Editoriale
AMNESTY E IL PRIGIONIERO: LA STORIA DI UNA VITA di Liliana Maniscalco
Amnesty International nasce con e per il prigioniero: è il 1961 e vede la luce per difendere due giovani studenti che, brindando alla riacquistata libertà delle colonie portoghesi sotto la dittatura di Salazar, finiscono in carcere con la sola colpa di avere espresso un’idea e che rientrano nella prima categoria di detenuti individuata dall’organizzazione come biosognosi di tutela immediata. E’ Peter Benenson, fondatore di Amnesty, nell’articolo “The Forgotten Prisoners” a lanciare la prima campagna di quello che sarebbe stato il più grande movimento per i diritti umani nel mondo e a definire per primo il termine prigioniero di coscienza: qualsiasi persona a cui sia impedito (dall’imprigionamento o altro) di esprimere (in ogni forma di parole o simboli) qualunque opinione personale che non sostenga o giustifichi violenza personale. Vengono escluse anche quelle persone che hanno cospirato con un governo straniero per rovesciare il proprio. Amnesty si occupa di loro, prima che di tutti gli altri. Tuttavia, negli anni successivi amplia quello che viene definito come il suo “mandato” e comincia a lavorare anche sulla questione delle violazioni dei diritti umani dei prigionieri politici. Spesso vittime di procedure giudiziarie irregolari, processi iniqui, privi di difesa, privi di veri e propri processi, con le loro storie portano l’organizzazione a chiedere ad ogni governo processi equi da svolgersi in tempi ragionevoli, con pene commisurate alle colpe. 3
E’ in questo contesto che nasce l’opposizione di Amnesty alla tortura, alla pena di morte e, infine, all’ergastolo senza possibilità di liberazione condizionale. Un provvedimento, quest’ultimo, disumanizzante e che sconfessa in tutto l’essenza del carcere quale strumento finalizzato alla recuperabilità del reo. In molti paesi ancora oggi Amnesty continua questa sua opera. L’Italia fa capolino nei rapporti di Amnesty a partire dagli anni Settanta e Ottanta. Si parla fin da subito del problema delle condizioni carcerarie. Esse costituiscono la violazione dei diritti umani sistematica e continuativa nel paese. Assicurare condizioni dignitose e rispettose dei diritti umani nelle carceri è ancora una delle raccomandazioni principali rivolte all’Italia, come in tutto il resto del mondo. Più volte, nell’ultimo decennio, gli organi internazionali di garanzia dei diritti umani segnalano l’esistenza di un diffuso problema di sovraffollamento nelle carceri italiane, incompatibile con l’obbligo internazionale di garantire condizioni di detenzione rispettose della dignità umana e con il diritto di tutti a non essere sottoposti a pene o trattamenti disumani o degradanti. La sentenza della Corte europea dei diritti umani nel caso Torreggiani contro Italia, oltre a condannare APRILE 2016 N. 2 / A.2 - Voci