Voci - Numero 1 Anno 5 - Amnesty International in Sicilia

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VOCI

DIAMO VOCE AI DIRITTI UMANI

i fatti e le idee

FEBBRAIO 2019

NUMERO 1 - ANNO 5

MINORI IN UN MONDO INGIUSTO

«Quando ho acceso la prima candela di Amnesty avevo in mente un vecchio proverbio cinese: “Meglio accendere una candela che maledire l’oscurità” Questo è oggi il motto per noi di Amnesty» (Peter Benenson)


VOCI VOCI - Rivista del Centro di Documentazione per la Promozione e l’Educazione alla Tutela dei Diritti Umani “Peter Benenson” COMITATO DI REDAZIONE Liliana Maniscalco Responsabile Circoscrizione Sicilia Amnesty International Giuseppe Provenza Responsabile della Redazione Carmen Cera Direttrice del Centro di Documentazione per la Promozione e l’Educazione alla Tutela dei Diritti Umani “Peter Benenson”

IN QUESTO NUMERO I bambini nascono per essere felici

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La Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza

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Baby mamme e povertà educativa

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La discriminazione dei ROM in Europa: prime vittime i bambini

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di Chiara Di Maria

di Renata Toninato e Maria Teresa De Riz

di Anna Maria Giorgi-Hellström

di Annalisa Zanuttini e Giuseppe Provenza

La Cina e i minori uiguri

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USA: Famiglie di richiedenti asilo separate forzatamente

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I minori ed il cinema

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di Andrea Pira

di Bruno Schivo

di Francesco Castracane

Silvia Intravaia Responsabile grafica

TUTTI I GIORNI

COLLABORANO

www.amnestysicilia.it

Giorgio Beretta, Daniela Brignone, Paola Caridi, Francesco Castracane, Vincenzo Ceruso, Mouhamed Cissé, Carmen Cera, Martina Costa, (Coord. Am. Latina), (Coord. Europa), (Coord. Nord America), Marta D’Alia, Chiara Di Maria, Aristide Donadio, Vincenzo Fazio, Maurizio Gemelli, Liliana Maniscalco, Andrea Pira, Daniela Tomasino, Fulvio Vassallo Paleologo.

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Copertina: © Amnesty International / un ragazzo di 11 anni a lavoro in una miniera di diamanti. Carnot, Repubblica Centrafricana, maggio 2015 / tag: CAR Blood Diamonds - Report: AFR1924942015ENGLISH.PDF FEBBRAIO 2019 N.1 / A.5 - Voci


Editoriale

I BAMBINI NASCONO PER ESSERE FELICI di Chiara Di Maria

#TheBerksKids - Don’t Let Children Grow Up in Jail /Amnesty International - Ottobre 2017

Le violazioni dei diritti umani che colpiscono i minori sono le più vili. Le vittime sono bambini e bambine, talvolta piccolissimi, adolescenti, persone in ogni caso prive di qualunque difesa. Ancora oggi purtroppo, così come ieri, i diritti umani dei minori continuano ad essere a rischio! I minori, infatti, sono soggetti vulnerabili per eccellenza che meritano una maggior tutela da parte dei governi affinché possano crescere in un ambiente che tenga conto e rispetti i loro diritti: che tenga conto del loro diritto di essere felici! I sistemi di giustizia troppo spesso non prevedono tutele per i ragazzi, fino a condannarli persino alla pena capitale. La guerra causa sofferenze indicibili soprattutto ai bambini, che non possono ricevere cure sanitarie, soffrono la malnutrizione e finiscono per essere più facilmente prede di sfruttamento o vittime di persecuzioni e di atroci vendette compiute su di loro dagli adulti. Centinaia di migliaia di loro sono addirittura impiegati come soldati mediante reclutamento forzato e somministrazione di sostanze stupefacenti. La piaga del lavoro minorile coinvolge un numero esorbitante di bambini e bambine letteralmente sfruttati, privati dei loro diritti fondamentali al gioco e all’istruzione. A ciò va aggiunto che la situazione dei bambini e delle bambine richiedenti asilo o rifugiati, non accompagnati, o separati dalle loro famiglie, spesso ospitati in precarissimi campi sfollati, il traffico di minori per fini sessuali e i matrimoni forzati delle 3

bambine completano un quadro odioso e davvero drammatico. Amnesty International dedica il proprio lavoro all’infanzia perché ritiene fondamentale sviluppare una sempre più diffusa coscienza civile sulla centralità dei diritti dei minori, sul rispetto della legislazione internazionale che c’è, ma che non viene applicata, rimanendo niente di più che parole nere su di un foglio bianco. Nello stesso tempo bisogna agire per denunciare i singoli abusi e quelli di massa a cui purtroppo sempre più spesso assistiamo. La sola indignazione però non basta! I diritti dei minori sono diritti umani, universali e inalienabili. Non possono essere oggetto di discriminazione, abuso, scambio, mercificazione. Non possono essere barattabili a seconda dell’età, della provenienza geografica, del colore della pelle, di interessi religiosi, politici o economici. Per tali ragioni è importante ricordare quanto sia fondamentale la lotta di Amnesty International per il rispetto dei diritti umani dei minori e il grande lavoro di educazione ai diritti umani. Questo perché siamo convinti che i bambini nascano per essere felici e i diritti li fanno diventare grandi: li fanno diventare dei cittadini consapevoli, capaci di avere delle loro opinioni e di prendere delle giuste decisioni. Chiara Di Maria Vice Responsabile Circoscrizione Sicilia Amnesty International Italia

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Approfondimento

LA CONVENZIONE INTERNAZIONALE SUI DIRITTI

DELL’INFANZIA E DELL’ADOLESCENZA di Renata Toninato e Maria Teresa De Riz

Ph.: immagine gratis - Pixabay

Il 20 novembre 1989 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (CRC), un documento che riflette una nuova visione del bambino e dell’adolescente che non sono solo bisognosi di attenzioni e cure, ma portatori di diritti. Secondo la CRC i minori sono titolari di propri diritti, parte di una famiglia e di una comunità, alla cui vita partecipano assumendosi responsabilità appropriate alla loro età e maturità. I principi fondamentali della Convenzione sono la Non discriminazione in quanto i diritti sanciti spettano ad ogni bambino ed adolescente indipendentemente dalla nazione, religione, gruppo etnico o sociale ecc. e il Superiore interesse del minore che prevede che in ogni azione legislativa, provvedimento giuridico o iniziativa deve essere prioritario cosa è migliore per i bambini e gli adolescenti. La CRC prevede diritti legati al nascere e crescere in modo sano, ad avere assicurati tutti gli elementi base per la sopravvivenza e lo sviluppo fisico e intellettivo (provision), diritti legati alla protezione da abusi, sfruttamenti, negligenze (protection) e diritti che promuovano lo sviluppo e la partecipazione (promotion). La CRC non punta solo alla cura materiale, Voci - FEBBRAIO 2019 N.1 / A.5

ma vuole che bambini e adolescenti crescano in un contesto favorevole al loro divenire adulti e cittadini e spinge i ragazzi ad assumersi responsabilità nella partecipazione alla vita sociale e nella difesa dei loro diritti secondo il loro livello di maturazione. La Convenzione è il trattato internazionale più ratificato. Nel 2000 la Convenzione si è arricchita di due Protocolli Facoltativi: il Protocollo sul coinvolgimento dei minori nei conflitti armati e il Protocollo sulla vendita dei minori, la prostituzione e la pornografia minorile. Nel 2012 è stato adottato un terzo Protocollo, entrato in vigore nell’aprile del 2014, relativo alle procedure di presentazione di comunicazioni.

La povertà La povertà è una situazione devastante che nega i diritti fondamentali per crescere armonicamente come individui e come esseri sociali: il diritto di nascere e crescere in modo sano, di aver assicurati tutti gli elementi base per la sopravvivenza, (alloggio, cibo, acqua), il diritto all’istruzione, ad essere protetti da abusi, sfruttamenti, negligenze e nega il diritto all’espressione, alla partecipazione, alla libertà di pensiero e associazione perché difficilmente i poveri 4


Approfondimento

possono far sentire la loro voce: diritti fondamentali per crescere armonicamente come individui e come esseri sociali. Il livello di povertà viene indicato come povertà relativa e povertà assoluta. La povertà relativa esprime le difficoltà economiche nella fruizione di beni e servizi, in rapporto al livello economico medio di vita dell’ambiente o della nazione, individuato attraverso il consumo pro-capite o il reddito medio. La povertà assoluta è la più dura condizione di povertà, nella quale non si dispone o si dispone con grande difficoltà o intermittenza delle risorse primarie per il sostentamento, come l’acqua, il cibo, il vestiario e l’abitazione. Nel 2018, la Banca Mondiale considera in condizioni di povertà di chi vive con meno di 1,90 dollari al giorno cioè il 9,6% della popolazione mondiale, secondo le Nazioni Unite.

Italia: bambini e adolescenti in condizione di povertà Secondo l’Istat (rapporto Istat del 26 giugno 2018) nel 2017 i minori in condizione di povertà assoluta erano 1 milione 208 mila (12,1%; nel 2016 12,5%). Un bambino su otto vive in condizioni di deprivazione, senza il diritto ad un’infanzia felice. Nelle famiglie in cui è presente almeno un figlio minore, l’incidenza della povertà assoluta è pari al 10,5% e rimane molto diffusa tra quelle con tre o più figli minori (20,9%). La condizione di povertà relativa per i minori si conferma su valori elevati, pari al 21,5% sia pure in calo rispetto al 2016 (22,3) come rende noto il rapporto Istat del giugno 2018.

Vittime dei conflitti Una situazione particolarmente difficile è quella dei minori coinvolti nei conflitti. La guerra acuisce i problemi economici e la povertà, ma non solo. I minori sono uccisi e mutilati dallo scoppio di bombe lanciate su zone popolose. A volte sono arruolati come kamikaze o costretti a diventare bambini soldato. Attacchi contro scuole, ospedali, docenti, studenti e personale medico negano anche ai minori l’accesso alle cure mediche e all’istruzione. Spesso i gruppi armati, ma anche le forze governative, saccheggiano gli edifici scolastici e gli ospedali o li utilizzano come caserme, centri di controllo, luoghi di detenzione o di arruolamento per ragazze e ragazzi. Per questo motivo in migliaia sono costretti a lasciare la loro casa per cercare protezione e asilo in un 5

altro paese o vivere da sfollati in un campo profughi all’interno della loro stessa patria.

Minori non accompagnati (MSNA) Alcune volte essi arrivano alla loro nuova destinazione senza adulti o genitori o perché sono morti a causa della guerra, o perché, non potendo scappare, hanno deciso di mandare i propri figli all’estero per motivi di sicurezza. I ragazzi possono essere allontanati per evitare l’arruolamento forzato, come nel caso dei minori eritrei, per poter andare a scuola oppure per chiedere asilo e facilitare così il successivo ricongiungimento familiare. A volte, però, si ritrovano da soli perché la fuga è stata improvvisa e scomposta e, nell’esodo di massa, le famiglie si sono disperse, senza poi riuscire a ritrovarsi. I minori “non accompagnati”, così vengono chiamati, si trovano in una situazione di particolare fragilità e vulnerabilità, poiché non vi è nessuno che si prenda cura di loro, sono vittime potenziali di abusi sessuali o cadono vittime della criminalità organizzata. Al 31 dicembre 2017 risultavano essere presenti nelle strutture di accoglienza 18.300 MSNA. 1 Circa 5.800 risultavano irreperibili, in transito verso altre destinazioni europee, e quindi fortemente a rischio di essere sfruttati nei cantieri, nei campi o nel mercato della prostituzione e privi delle tutele e della protezione offerte dal sistema di accoglienza nazionale. Il 7 aprile 2017 è stata approvata alle Camere la legge n. 47 “Disposizioni in materia di misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati”, entrata in vigore il 6 maggio 2017. Una legge avanzata anche rispetto agli altri paesi europei che comprende misure di protezione del minore che vanno dalla prima accoglienza alle disposizioni previste per l’integrazione nella società nazionale. Per monitorare l’applicazione della legge, è stato istituito anche un Tavolo comprendente associazioni e organizzazioni non governative della società civile a cui partecipa anche il Coordinamento Minori di Amnesty International Italia.

Renata Toninato Coordinamento Minori Amnesty International Italia

Maria Teresa De Riz Coordinamento Minori Amnesty International Italia

1  -  Dati tratti da Atlante Minori Stranieri Non Accompagnati di Save the Children, giugno 2018 FEBBRAIO 2019 N.1 / A.5 - Voci


Attualità

BABY MAMME E POVERTÀ EDUCATIVA di Anna Maria Giorgi-Hellström

Foto tratta dal Report: “Non ho l’età. I matrimoni precoci nelle baraccopoli della città di Roma”, Associazione 21 luglio Onlus - Nov. 2017 / © Giovanni Pulice

“Poiché il mondo si è impegnato a porre fine ai matrimoni precoci entro il 2030, dobbiamo raddoppiare i nostri sforzi per evitare che a milioni di ragazze venga sottratta l’infanzia da questa pratica disumana” Anju Malhotra Consigliere Principale in materia di Genere e Sviluppo, UNICEF Matrimoni e gravidanze precoci costringono ogni anno milioni di adolescenti, spesso poco più che bambine, ad abbandonare gli studi. L’analfabetismo e la mancanza di istruzione le condannano alla sottomissione al marito e alla sua famiglia. Spesso leggi arretrate vietano ad una ragazza che ha messo al mondo un figlio di tornare a frequentare la scuola. Le gravidanze precoci registrano un alto rischio di parti difficili e di mortalità di madri e bambini sia durante la gravidanza che durante il parto. Il ricorso all’aborto, praticato da persone che non hanno una Voci - FEBBRAIO 2019 N.1 / A.5

preparazione adeguata oppure in ambienti che non raggiungono uno standard medico minimo, rimane un rischio altissimo nelle gravidanze non volute di queste adolescenti.

La situazione oggi Gli ultimi dieci anni hanno visto una riduzione significativa dei matrimoni precoci a livello globale. Grazie agli sforzi compiuti in vari paesi, circa 25 milioni di bambine sono state salvate da una vita senza futuro. Secondo le recenti stime di UNICEF, tra le giovani donne di età compresa tra i 20 e i 24 anni, poco più di una su cinque (21%) si è sposata quando aveva meno di 18 anni. Dieci anni fa il rapporto era di una su quattro (25%). Ma se questi dati mostrano un trend positivo e offrono una speranza per il futuro, l’UNICEF ci conferma che ogni anno ci sono ancora 12 milioni di spose bambine. Al ritmo attuale, di qui al 2030, saranno oltre 150 milioni le ragazze che si sposeranno prima del 18° compleanno.

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Attualità

Un breve sguardo sul mondo ci dice che: Circa 650 milioni di donne oggi in vita hanno alle spalle un matrimonio contratto quando erano bambine. Nell’ultimo decennio è nell’Asia meridionale che si è registrato il calo più sensibile nel numero dei matrimoni precoci: si è passati dal 50% al 30%, dovuto in larga parte ai progressi avvenuti in India. Le ragioni sono da ritrovare nell’incremento dei tassi d’istruzione femminile e negli investimenti sull’adolescenza da parte dei governi locali. Una campagna di sensibilizzazione dell’opinione pubblica portata avanti con coraggio e determinazione ha dato risultati positivi nel diffondere il concetto di illegalità dei matrimoni precoci e di conoscenza dei danni che questi provocano. Uno dei paesi dove è ancora elevato il numero di spose bambine è l’Afghanistan. Una ricerca recente dell’UNICEF mette in luce come il principale fattore che incide sul fenomeno delle spose bambine sia il livello di istruzione: in più della metà dei nuclei familiari in cui si segnalano matrimoni precoci (il 56%) nessun membro della famiglia ha avuto un’istruzione. Per contro dove c’è un migliore livello di istruzione, il tasso di matrimoni precoci scende al 36%. (Child Marriage in Afghanistan, luglio 2018, UNICEF) E mentre il subcontinente indiano ha intrapreso questa strada di battaglia contro i matrimoni precoci, nell’Africa Subsahariana la diminuzione di matrimoni precoci ha visto solo un calo limitato negli ultimi dieci anni. Ma qualche segnale positivo arriva anche dal continente africano. In Etiopia – che era fra i 5 Stati africani con la maggior percentuale di matrimoni precoci – si è verificato un calo del 30% nell’ultimo decennio. In America Latina in questi ultimi anni si sono fatti notevoli progressi in campo legislativo, ad esempio in Ecuador si è arrivati a portare l’età minima per il matrimonio delle bambine da 12 a 18 anni. Per contro in alcuni paesi come Costa Rica, Guatemala, El Salvador e Repubblica Dominicana alcuni cavilli della legge permettono ancora il matrimonio per minorenni se c’è il consenso dei genitori o del giudice. In Nicaragua rimane purtroppo un dato molto preoccupante, soprattutto nelle zone rurali più povere una ragazza su tre si sposa prima dei 18 anni e il 10% delle baby spose ha meno di 15 anni.

Presentata all’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR) alla vigilia della Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne il 25 novembre 2017, un’indagine dell’Associazione “21 luglio”, Non ho l’età. I matrimoni precoci nelle baraccopoli della città di Roma, mette in luce il contesto di deprivazione socio-economica delle baraccopoli e mostra come le condizioni economiche svantaggiate siano più importanti dei motivi culturali nel causare matrimoni tra minori. La ricerca riguarda sette baraccopoli alla periferia di Roma e un palazzo occupato abitati da più di 3000 persone e prende in considerazione i matrimoni avvenuti dal 2014 al 2016. I risultati mostrano che, sul totale dei 71 matrimoni riscontrati nel periodo di riferimento, il tasso di unioni precoci è del 77%, numero che supera il record mondiale detenuto dal Niger (76%) e di gran lunga il tasso più alto detenuto in Europa come quello della Georgia (17%) e della Turchia (14%). È da notare che nel caso dei matrimoni forzati e combinati l’interruzione del percorso scolastico è indicata come una delle conseguenze più dannose del matrimonio in giovane età; per contro, quando l’unione è voluta dagli sposi (il 49% dei casi sul campione analizzato) è vero il contrario: è il fallimento dell’esperienza scolastica che contribuisce alla scelta del matrimonio precoce. L’indagine rileva inoltre che nel 72% dei matrimoni tra minorenni gli sposi avevano un’età tra i 16 e i 17 anni, e nel 28% dei casi tra i 12 e i 15 anni. In genere incide in modo determinante: una ragazza su due si sposa tra i 16 e i 17 anni, una su cinque tra i 13 e i 15 anni. Una ragazza con un’istruzione scolastica elementare è doppiamente esposta al matrimonio precoce rispetto ad una coetanea con istruzione superiore. Uno studio della banca mondiale mette in evidenza che il dramma delle spose bambine in molti Paesi in via di sviluppo rappresenta ancora un grave freno allo sviluppo complessivo della società con pesanti impatti economici e non solo. Il superamento di questa pratica è incluso nel Goal 5 degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.

Baby mamme in Italia: le baraccopoli intorno a Roma In Italia non esistono studi o statistiche a livello nazionale, forse perché il fenomeno è attribuito solo a comunità rom o famiglie di recente immigrazione. 7

Anna Maria Giorgi-Hellström Coordinamento Minori Amnesty International Italia

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Europa

LA DISCRIMINAZIONE DEI ROM IN EUROPA: PRIME VITTIME I BAMBINI di Annalisa Zanuttini e Giuseppe Provenza

Bambini ROM in una scuola di Ostrava, Repubblica Ceca, Aprile 2015 © Amnesty International / Jiri Pasz

Chi sono i ROM? Si ritiene che siano arrivati in Europa dal nord dell’India nel IX secolo

In quasi tutti i Paesi europei i ROM hanno condizioni di vita al di sotto delle varie medie nazionali hh redditi inferiori alla media

Non esiste un censimento ufficiale ma si parla di circa 10\11 milioni di persone, che rappresentano una delle minoranze più grandi e discriminate in Europa

hh peggiori condizioni di salute

Circa il 70% vive in Europa centrorientale dove rappresenta tra il 5 e il 10% della popolazione

hh alti livelli di disoccupazione

Vi sono grosse presenze anche in Europa occidentale: Spagna: tra 600 mila ed 800 mila persone Francia e Regno Unito: 300 mila persone Italia: 140 mila persone Inoltre all’interno del termine più generico “ROM” si definiscono molti sottogruppi basati su differenze di storia, lingua e professioni Voci - FEBBRAIO 2019 N.1 / A.5

hh abitazioni più misere hh un tasso di alfabetizzazione più basso

Di tale discriminazione diffusa e permanente in Europa le prime vittime sono i bambini ROM che in alcuni paesi vengono collocati forzatamente in classi “differenziate” e finiscono con l’abbandonare il percorso scolastico, perdendo un’importante possibilità per uscire dal circolo vizioso di povertà e di emarginazione in cui sono costretti. Alcuni paesi europei, in particolare, vanno citati per attuare una vera e propria discriminazione sistematica nei confronti dei minori ROM.

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Europa

REPUBBLICA CECA Un anno dopo la riforma del sistema di scuola primaria, che mirava a facilitare l’inclusione degli alunni provenienti da contesti svantaggiati nelle scuole tradizionali, i bambini ROM hanno continuato a subire discriminazione nell’accesso all’educazione. Lo stesso governo ha pubblicato dati che dimostravano che oltre il 24 per cento degli allievi ROM continuano a essere educati in scuole segregate etnicamente. Nel 2014, una scuola elementare della città di Ostrava si era rifiutata d’iscrivere due alunni ROM, sostenendo di non avere più posti. I tutori legali degli allievi avevano denunciato che il direttore aveva giustificato la sua decisione sostenendo che i genitori non ROM avrebbero iniziato a togliere i loro figli dalla scuola, poiché c’erano già nove bambini ROM iscritti in quella classe. Successivamente una corte distrettuale ha stabilito che il timore della “fuga dei bianchi” non poteva giustificare il trattamento degli allievi sulla base della loro etnia ed ha ordinato alla scuola di scusarsi con le famiglie.

REPUBBLICA SLOVACCA È ancora aperta la procedura d’infrazione avviata nel 2015 dalla Commissione Europea contro la Slovacchia, per la sistematica discriminazione e segregazione dei bambini ROM all’interno del sistema scolastico. A marzo, il ministro dell’Istruzione ha dichiarato che erano in corso di realizzazione complessi piani di riforma ma senza chiarire in cosa consistessero. Le modifiche approvate nel 2016 alla legge sulla scuola hanno avuto un impatto limitato dalla loro entrata in vigore. Tali modifiche non sono state in grado di risolvere il problema della sistematica eccessiva presenza di alunni ROM in scuole e classi speciali per bambini con disabilità lievi. Le scuole primarie tradizionali non avevano le risorse umane e finanziarie necessarie per affrontare il problema della segregazione degli allievi ROM. A febbraio 2017, le NGO ed Errc hanno criticato i risultati delle riforme finanziate nel 2016 dal ministero dell’Istruzione per le scuole che educavano allievi provenienti da contesti socialmente svantaggiati. La responsabilità di classificare gli studenti come persone con uno “svantaggio sociale” è stata affidata a psicologi invece che ai servizi sociali. Si sono verificati casi di erronea classificazione di studenti e di conseguenza alle scuole non sono

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state assegnate risorse sufficienti. Il ministero ha temporaneamente sospeso la misura e a fine anno gli alunni erano valutati sulla base della situazione dei loro genitori. In seguito alla chiusura avvenuta nel 2016 della scuola elementare di via Hollého, nella città di Žilina, che praticava la segregazione su base etnica, gli alunni ROM sono stati trasferiti in varie altre scuole. Questa mossa potenzialmente positiva è stata indebolita dall’atteggiamento delle autorità, che non hanno fornito sostegno sufficiente agli alunni ROM, in particolare riguardo ai costi di trasporto. A marzo, alcuni genitori non ROM di una delle scuole hanno protestato contro il trasferimento dei bambini ROM nel loro istituto.

ALTRI PAESI Pesanti discriminazioni nei confronti dei ROM, con particolare riguardo all’accesso dei bambini all’istruzione vanno altresì segnalate in Romania, Bulgaria, Bosnia Erzegovina. Tuttavia, il diffuso mancato riconoscimento ai ROM al diritto all’alloggio dappertutto in Europa, ripetutamente messo in rilievo da Amnesty International, che relega i ROM in campi isolati dal resto della società, finisce con l’impedire a molti bambini di usufruire di una istruzione adeguata che possa offrire loro una concreta possibilità di affrancamento dalla discriminazione in tutta Europa e non soltanto nei paesi citati, in cui il problema assume particolare gravità. È in considerazione di tale stato di cose che Amnesty International da sempre chiede all’Europa ed ai singoli stati un impegno affinché cessi la discriminazione nei confronti dei ROM e si intraprenda la strada della reale inclusione e cessazione di ogni violazione dei diritti umani nei confronti delle comunità ROM.

Annalisa Zanuttini Comitato Direttivo Coordinamento Europa Amnesty International Italia

Giuseppe Provenza Responsabile del Coordinamento Europa Amnesty International Italia Membro del Gruppo Amnesty Italia 233

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Estremo Oriente

LA CINA E I MINORI UIGURI di Andrea Pira

Uyghur rally - manifestazione presso le Nazioni Unite per la libertà della popolazione uigura a maggioranza musulmana ingiustamente imprigionata nei campi di concentramento cinesi, 5 febbraio 2019 © TIMOTHY A. CLARY/AFP/Getty Images

Resi orfani anche se i loro genitori sono ancora in vita. Doppiamente vittime della campagna antiterrorismo lanciata dal governo cinese. Quando alla fine della scorsa estate il mondo si è accorto dell’esistenza di campi di rieducazione dove le autorità di Pechino hanno recluso almeno un milione di uiguri e cittadini musulmani, è emersa anche la realtà delle ragazze e dei ragazzi strappati alle loro famiglie e rinchiusi a loro volta in orfanotrofi e centri speciali per tenerli lontani dalla loro cultura d’origine. A differenza che in passato la Cina non ha negato l’esistenza di tali campi di reclusione. Al contrario ha lodato il proprio modello di lotta alla radicalizzazione e al terrorismo. Lo Xinjiang è la regione all’estremo occidente della Repubblica popolare, terra della minoranza uigura, turcofona e di religione islamica, da anni spina nel fianco di Pechino. La provincia autonoma è attraversata da tensioni autonomiste e separatiste, alla base di un conflitto a bassa intensità che esplode di tanto in tanto con piccoli attacchi. Non mancano neppure infiltrazioni islamiste, le cui azioni sono usate da Pechino per giustificare la stretta repressiva contro la popolazione uigura. All’instabilità il governo Voci - FEBBRAIO 2019 N.1 / A.5

comunista ha risposto nei due modi che conosce meglio: militarizzazione della regione e massicci investimenti per favorire lo sviluppo, del quale al momento beneficiano però soltanto un ristretta cerchia di uiguri e han, gruppo maggioritario nella Cina, immigrati nello Xinjiang per dar man forte alle politiche governative, contribuendo ad alimentare la diffidenza reciproca tra le due comunità e quindi il malcontento. È ormai opinione assodata che la provincia sia diventa il laboratorio degli strumenti di controllo sociale messi in campo da Pechino: presidi di polizia, utilizzo di dati biometrici, programmi di controllo capillare con l’invio di volontari ospiti nelle abitazioni di famiglie uigure, delle quali scrutano comportamenti e attaccamento alla nazione e alla cultura cinese. I centri di rieducazione rappresentano il passo successivo. Pechino li presenta come luoghi nei quali gli ospiti (così sono definiti i reclusi) possono assaporare la vita lontano dal fondamentalismo. Resoconti meno edulcorati di quelli trasmessi dalla propaganda parlano invece del ricorso alla violenza e alle punizioni. Nel 2017 in contemporanea con l’emergere dei primi racconti su questi luoghi di detenzione, il governo 10


Estremo Oriente

locale dello Xinjiang ha iniziato anche la costruzione di altri centri, per fornire assistenza agli orfani, almeno fino al raggiungimento della maggiore età. Un’inchiesta dell’Associated Press ha fatto emergere che da inizio anno l’amministrazione regionale ha stanziato 30 milioni di dollari per 45 strutture, capaci di ospitare fino a 5.000 ragazzi e ragazze. Soltanto tra luglio e agosto, quando l’inchiesta è stata pubblicata, sono state indette gare per almeno nove centri di “tutela dei bambini svantaggiati”. Ragazzi e ragazze che sono inviati in queste istituzioni sono spesso figli di esuli o immigrati in Turchia per sfuggire alla detenzione, affidati a parenti finiti in uno dei centri di rieducazione. Il paradosso è che hanno ancora i genitori, la cui scelta è tra tornare in Cina, con il rischio di venir a loro volta rinchiusi perché considerati radicalizzati, oppure lasciare i loro figli da soli. Come i loro coetanei in altre parti della Cina anche gli uiguri sono immersi in quella che viene definita educazione patriottica. Ai giovani viene insegnato ad avere rispetto del Partito comunista al potere. L’utilizzo della lingua uigura è soppiantato dal mandarino. Come spiega James McMurray su Quartz, le politiche di assimilazione hanno avuto come effetto un impoverimento dei legami con la cultura tradizionale. Lo scopo fondamentale è far sì che l’unico vincolo di lealtà sia quello con lo Stato cinese. L’effetto non è però quello desiderato. Isolati dalla società uigura, questi giovani educati soltanto in mandarino cercano di riscoprire le proprie origini, diventando ferventi nazionalisti e sentendosi fuori luogo nella società cinese. Tagliati fuori dalla propria comunità e diffidenti verso lo Stato che li vuole assimilare. I gruppi per la tutela dei diritti umani denunciano pertanto la pratica di strappare ragazzi e ragazze alle loro famiglie, appellandosi anche a ciò che sancisce la stessa legge cinese in materia di adozioni e protezione dei minori. La stessa Convenzione dei diritti del fanciullo che Pechino ha ratificato obbliga i governi a garantire che bambine e bambini non vengano separati dalle famiglie senza l’assenso dei genitori, salvo decisioni dell’autorità, e che anche quando ciò accade la prima scelta di affidamento ricada sui parenti più stretti. Figli di migranti, come i milioni di bambine e bambine “lasciati indietro”, nelle aree rurali da genitori partiti in cerca di lavoro in altre province della Cina o nelle città più grandi. Gli ultimi dati del ministero per gli Affari sociali dicono che il numero dei cosiddetti “leftbehind children” è scesa nel 2017 a 6,9 milioni. L’attenzione per quanti sono stati affidati in gran parte ai nonni, costretti a vivere nelle aree meno sviluppate della Repubblica popolare, ha avuto un picco lo scorso

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inverno, quando sui social netowrk cinesi sono state diffuse le immagini del “bambino di giaccio”. Il viso di Wang Fuman, con i capelli, ciglia e sopracciglia ghiacciati, costretto ogni giorno a camminare per più di un’ora al gelo per andare a scuola, era diventato virale, aprendo un dibattito sulla povertà ancora diffusa nel Paese. L’altro aspetto delle migrazioni è il destino di quei bambini che assieme ai genitori, in una provincia o in una città diversa dalla propria si sono a lungo trovati privati del diritto all’istruzione o alla salute. Il sistema dell’hukou introdotto in epoca maoista, lega la possibilità di ricevere servizi assistenziali e sociali al proprio luogo di residenza. All’epoca un modo per limitare le migrazioni dalle campagne alle città. Ma proprio questi spostamenti, negli ultimi decenni, sono stati il motore della crescita cinese. Milioni di cinesi si sono trasferiti dalle aree rurali alle metropoli, alimentando la forza lavoro, disposta a trovare un impiego in fabbrica o nelle costruzioni. La più grande migrazione interna nella storia dell’umanità. Il lato oscuro di tale ondata è la privazione di diritti di cui spesso i più piccoli sono stati vittime. Manos Antoninis, direttore del Global Education Monitoring Report dell’Unesco, ricorda in un articolo sul South China Morning Post che all’inizio degli anni 2000, a Pechino, più della metà dei ragazzi e delle ragazze migranti era costretta a seguire le lezioni di scuole improvvisate, scontando la carenza di docenti e la bassa qualità dell’insegnamento e delle infrastrutture. Le limitazioni, aggiunge, iniziarono a essere rimosse dal 2006, quando alle amministrazioni locali fu data indicazioni di provvedere all’istruzione. Nel 2008 furono invece abolite le tasse scolastiche per i migranti provenienti dalle aree rurali. Non basta. Ai figli dei migranti sono richiesti ancora una serie di certificati per potersi iscrivere a scuola. Ben cinque: dal permesso di residenza temporaneo all’attestato della mancanza di qualcuno, nella città di provenienza, che possa prendersi cura del bambino o della bambina. Sottolinea ancora Antoninis che molte scuole fanno di tutto per complicare le iscrizioni. Sono inoltre forti gli stereotipi sui bambini migranti. La strada da fare quindi è ancora tanta. “Il prossimo passo sarà scrivere linee guida dedicati agli insegnanti che lavorano con i giovani migranti”. Per loro ci sono già troppo barriere “docenti e presidi non devono essere una di queste”.

Andrea Pira Giornalista, sinologo, si occupa e scrive di diritti umani e libertà civili

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Nord America

USA: FAMIGLIE DI RICHIEDENTI ASILO SEPARATE FORZATAMENTE di Bruno Schivo

Un bambino guarda Tijuana attraverso il muro della frontiera che separa il Messico dagli Stati Uniti. Aprile 2018 © Amnesty International / Sergio Ortiz Borbolla

Fin dal momento del suo insediamento, nel gennaio 2017, l’amministrazione del presidente Trump ha messo in atto politiche in tema di immigrazione che hanno causato danni gravi e forse irreparabili a migliaia di persone che cercavano salvezza negli Stati Uniti. Si sono verificati respingimenti di massa di richiedenti asilo al confine con il Messico, mentre un numero sempre più alto di loro è stato sottoposto a detenzione arbitraria e a tempo indeterminato. Tali procedure, che in diversi casi si possono assimilare a vere e proprie forme di torture o trattamenti disumani e degradanti, violano non solo gli standard internazionali, ma le stesse leggi degli USA. A fare le spese di questa politica sono stati soprattutto i nuclei familiari e, come è ovvio, in modo particolare i minori. Molto spesso infatti questi ultimi vengono divisi dalle loro famiglie. Apparentemente non ci sono motivazioni che giustifichino queste separazioni. Valquiria, trentanove anni, è stata allontanata dal figlio, un bambino di sette anni, il giorno dopo aver richiesto asilo ad El Paso, nel Texas. “Voi non avete alcun diritto qui! Tu non hai alcun diritto di restare insieme a tuo figlio!”, così si è sentita rispondere dagli agenti del Customs and Border Protection (CBP). “Mi sono sentita morire in quel momento.” - racconta la donna- “Non sapere dove è mio figlio, che cosa sta facendo. E’ la sensazione peggiore che una madre possa avere. Come può una madre non avere diritto a stare con il Voci - FEBBRAIO 2019 N.1 / A.5

proprio figlio?” La stessa risposta se l’è sentita dare da un funzionario del Department of Home Security (DHS) un uomo originario del Salvador, padre di un ragazzino di 12 anni, quando ha protestato perché il figlio veniva ammanettato. Eppure in entrambi i casi erano stati regolarmente presentati i documenti che provavano l’appartenenza alla stessa famiglia, così come la richiesta di asilo per il rischio di persecuzioni nel proprio paese di origine. “L’amministrazione Trump – afferma Erika GuevaraRosas, Americas Director di Amnesty International – sta portando avanti una campagna di deliberato aumento delle violazioni dei diritti umani allo scopo di punire i richiedenti asilo al confine tra USA e Messico e di creare un deterrente”. La separazione delle famiglie, con l’allontanamento forzato dei figli dai loro genitori, rientra in pieno in questa strategia. A conferma di ciò, tale pratica è stata utilizzata almeno a partire dall’autunno del 2017, in clima di riservatezza, mentre nell’anno in corso, oltre ad essere divenuta una prassi molto frequente è stata anche ampiamente pubblicizzata. Nell’ambito della politica della cosiddetta “tolleranza zero”, introdotta il 6 aprile 2018, l’amministrazione Trump rivendica che la separazione delle famiglie è una necessaria conseguenza del perseguire penalmente tutti i richiedenti asilo e le altre persone che attraversano illegalmente il confine tra Messico e USA. In realtà le autorità statunitensi hanno diviso 12


Nord America

anche richiedenti asilo per i quali non è stata proposta alcuna azione penale, compresi molti che hanno chiesto protezione ai valichi di frontiera ufficiali. Non è noto a quanto ammonti il numero totale di queste divisioni forzate. Tuttavia il CBP ha reso noto ad Amnesty International che tra l’aprile e l’agosto 2018 più di 6000 unità familiari sono state separate, molte di più di quanto avevano ammesso precedentemente le autorità. Il numero complessivo quindi è molto più alto, forse intorno ad 8ooo casi. Tanto più che la stima comunicata ufficialmente non tiene conto delle unità familiari non costituite da genitori e figli (ad esempio, nonni e nipoti), le quali non vengono riconosciute come tali. Nel corso del 2018 Amnesty International ha intervistato 15 famiglie che sono state separate dai loro bambini, sia prima che dopo l’introduzione della politica della cosiddetta “tolleranza zero”. Molti di loro riferiscono di non aver ricevuto alcuna informazione sui motivi della separazione e in ben 13 dei 15 casi, essa è avvenuta dopo che avevano avanzato la richiesta di protezione nei punti di frontiera regolari. Durante gli incontri con i ricercatori di Amnesty International, numerosi genitori o tutori hanno mostrato di essere in uno stato di grave sofferenza ed angoscia, ben evidenziato dal fatto che diversi di loro sono scoppiati a piangere non appena hanno iniziato a raccontare la loro vicenda. Appare evidente come la pratica delle separazioni familiari abbia lo scopo di spingere le persone a rinunciare alla richiesta di asilo. Inoltre, taluni episodi di separazione detentiva delle famiglie di richiedenti asilo si configurano come veri e propri casi di tortura sia per la normativa internazionale che per la legge americana (gli USA hanno ratificato la Convenzione ONU contro la Tortura a metà anni 1990). Maria, 55 anni, è stata separata da suo nipote Matheus (di 17 anni e disabile), in seguito alla loro richiesta di asilo, inoltrata a Santa Teresa, Texas. “Avrei bisogno di recarmi da uno psicologo.” – racconta la donna – “Non mi ricordo delle cose e non mi riesce di dormire. Durante la notte mi sveglio e non mi riesce più di addormentarmi. Inizio a parlare di qualcosa, ma mi dimentico di cosa stavo parlando. Piango molto, giacché rimango separata dal mio Matheus”.

minori vengono ampiamente calpestati, soprattutto a causa della loro esposizione ad un trauma grave e non necessario. Nei casi documentati da Amnesty è evidente che le autorità statunitensi non tengono in alcun conto i bisogni primari dei bambini. E ciò nonostante tutti i 50 stati della confederazione abbiano adottato una legislazione in tal senso. In effetti il 20 giugno scorso il presidente Trump, in seguito alle forti pressioni politiche e dell’opinione pubblica, ha dovuto firmare un ordine esecutivo che, a suo dire, poneva fine alla pratica delle separazioni forzate. In realtà però il documento si presta ad interpretazioni arbitrarie e lascia ancora ampio margine di manovra al DHS. Inoltre non prevede alcun intervento per riunire i circa 2600 minori che restano forzatamente divisi dalle loro famiglie. Per di più consente la detenzione a tempo indefinito dei minori con le loro famiglie, durante il periodo in cui viene valutata la loro richiesta di asilo; cosa illegale negli USA, secondo quanto stabilito dal Flores Settlement Agreement del 1997, che regola il trattamento dei minori migranti, e che il DHS e l’amministrazione hanno più volte cercato di cancellare o depotenziare. Amnesty International, tra le altre cose, chiede al Congresso degli Stati Uniti di esercitare un’attenta supervisione sull’operato del DHS, per porre fine all’arbitraria separazione delle famiglie dai loro figli. Sarebbe anzi opportuna l’approvazione di una legge che metta al bando la separazione e/o la detenzione di famiglie con bambini. Gli USA dovrebbero inoltre ratificare la Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti del Fanciullo che hanno firmato nel 1995. Ma al momento sono l’unico stato al mondo a non averla ancora adottata.

Bruno Schivo Resp. del Coord. Nord America Amnesty International Italia

IN EVIDENZA AMR5191012018ENGLISH.PDF

La separazione forzata delle famiglie viola diversi diritti fondamentali, tra cui il diritto all’unità familiare, alla libertà, a non essere sottoposti a tortura o maltrattamenti. L’incriminazione dei richiedenti asilo per l’ingresso non regolare, così come la separazione forzata delle famiglie, costituiscono una violazione degli obblighi degli USA nei confronti delle norme internazionali in materia di rifugiati. Anche i diritti dei 13

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Cinema

I MINORI ED IL CINEMA di Francesco Castracane

Class Enemy - Nemico di classe [Razredni sovražnik] Regia di Rok Biček - Slovenia, 2013

Questo articolo, prima di suggerire alcuni film di riferimento sulla questione delle violazioni dei diritti dei minori, dovrà affrontare alcune questioni complessive, necessarie allo scopo di definire l’ambito teorico di riferimento. Anzitutto la riflessione riguardo le questioni minorili, vanno allargate a tutti i mass media che attualmente costituiscono la struttura comunicativa contemporanea: la TV, i vari social network, i videogiochi, la musica. All’interno di questo magmatico mondo di iperstimolazioni percettive, quale è il ruolo che i messaggi veicolati hanno nella costruzione delle culture giovanili e delle innumerevoli sottoculture che ne derivano? La questione è piuttosto complessa, ma va qui affrontata come premessa. Il problema di fondo è, che nella maggior parte dei casi, per quanto all’infanzia e all’adolescenza si riconosca un proprio diritto all’esistenza, nei fatti ciò non avviene. Il bambino e l’adolescente vengono messi al centro delle aspettative del mondo adulto, senza che questi abbiano però una capacità di rappresentazione autonoma. La maggior parte dei film che parla dei bambini o dei giovani, è piena dei luoghi comuni degli adulti. In tali lavori, quasi sempre non si trova il racconto della vita del minore, ma piuttosto la rappresentazione delle fantasmatiche interiori dell’adulto. Ad esempio molti film parlano dei tentativi dei genitori di riallacciare rapporti con i propri figli, ma spesso si rappresenta unicamente il punto di vista delle figure adulte. Oppure i lavori sono circondati da una patina di rimpianto per l’età dell’innocenza persa. Ovviamente, la scelta dei temi da rappresentare è fortemente influenzata dal contesto storico e culturale dell’autore. Dai paesi meno sviluppati economicamente arriveranno storie di povertà e violazioni concrete dei diritti dei minori, mentre invece dai paesi più “ricchi” le storie riguarderanno soprattutto la solitudine emotiva dei giovani, che inseriti in una società atomizzata, sono Voci - FEBBRAIO 2019 N.1 / A.5

accerchiati dalla pressione costante del consumo e dall’incapacità del mondo adulto di dialogare concretamente con il sapere giovanile. La filosofia della Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, approvata il 20 novembre 1989 dall’Assemblea delle Nazioni Unite e ratificata dal Governo italiano nel 1991, è fondata sul concetto di minore come soggetto autonomo di diritti politici, civili sociali, culturali, economici. Per essere tale, il minore deve essere informato/formato, in modo adeguato al suo sviluppo psicologico e cognitivo, sui propri diritti e doveri a partire dalla prima infanzia. è evidente che buona parte di questa Convenzione è largamente inattuata. Inoltre, in Italia, esiste un Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale, la cui ultima versione è stata approvata nel Maggio 2018, il quale, nell’ultimo capoverso dell’articolo 11 recita: “La comunicazione commerciale non deve contenere un’esortazione diretta ai bambini affinché acquistino o sollecitino altre persone ad acquistare il prodotto pubblicizzato. L’impiego di bambini e adolescenti nella comunicazione deve evitare ogni abuso dei naturali sentimenti degli adulti per i più giovani. Sono vietate rappresentazioni di comportamenti o di atteggiamenti improntati alla sessualizzazione dei bambini, o dei soggetti che appaiano tali.” Basta accendere la TV è vedere come ci siano continui ammiccamenti al mondo dell’infanzia e a come l’utilizzo dei colori e delle musiche riporti all’estetica infantile. Una parte delle campagne pubblicitarie, sono formalmente rivolte agli adulti, ma costruite per piacere ai bambini. Se lo spot piace ai bambini, questi faranno pressione sugli adulti per essere accontentati. Se convinco un bambino che quel supermercato è bello, questo spingerà i genitori ad andare a fare la spesa in quel posto piuttosto che in un altro.

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Cinema

Infine l’ultima questione generale è la difficoltà ad utilizzare questi film, pensati da adulti e quindi rivolti tutto sommato a degli adulti, per il lavoro con gli adolescenti, che hanno difficoltà a riconoscersi nei contenuti espressi. Ma proviamo a fissare alcuni appunti in un ipotetico elenco di film che riguardano i diritti violati dei minori. Il primo autore del quale parlare è il giapponese Hayao Miyazaki, il più importante autore di anime (cartoni animati) giapponesi. I protagonisti dei suoi film sono bambini (il mio vicino Totoro; La città Incantata) oppure adolescenti (Kiki-Consegne a domicilio), dove le figure adulte di riferimento sono assenti e i protagonisti devono trovare un nuovo equilibrio. Il cinema anime è inserito nel contesto dei manga, fumetti che hanno grosso impatto sugli adolescenti giapponesi. Il successo di questi film fra le nuove generazioni è probabilmente rappresentato dal fatto che le storie raccontate, si intrecciano con la condizione emotiva dei ragazzi che sentono una difficoltà di rapporto con il mondo adulto. Degno di nota è il film “Il sole dentro” di Paolo Bianchini, un lavoro ispirato alla storia vera di Yaguine Koita e Fodè Tounkara, due ragazzini Guineani, che riescono a nascondersi nei motori di un aereo diretto in Europa, ma che arriveranno morti a Parigi. Nelle tasche dei due giovani fu ritrovata una lettera rivolta “Alle loro Eccellenze” i capi dell’Europa. Del 2008 è invece “Pa-ra-da” di Marco Pontecorvo, sulla realtà dei bambini di strada rumeni. Celine Sciamma invece firma una riflessione sull’identità di genere: “Tomboy” una storia di una bambina di 10 anni che si finge un bambino. Una citazione a parte merita il cinema iraniano postrivoluzione. Nel 1979 lo Scià viene rovesciato e la produzione cinematografica viene interrotta. Nel 1983 il nuovo governo tenta il rilancio della produzione, finanziando film che parlino della realtà dei bambini. Emergono due grandi registi: uno è Abbas Kiarostami che dirige nel 1988 “Dov’è la casa del mio amico”, la storia di un bambino che deve riportare un quaderno a un suo compagno. Invece Jafar Panahi (che negli anni recenti ha scontato 5 anni di arresti domiciliari e non può uscire dall’Iran) dirige nel 1995 “Il palloncino bianco”, che racconta la giornata di una bambina che perde i soldi mentre sta andando a comprare un pesciolino rosso. La caratteristica importante di questo regista è l’uso della macchina da presa, che viene montata ad altezza di bambino, cercando di mostrare, anche fisicamente, quale sia l’orizzonte concreto di una bambina e la contraddittoria realtà dell’Iran e dei minori afgani che vivono in quel paese.

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Majidi Majidi, invece, con “I ragazzi del paradiso” (1998), racconta le vicende di due bambini poveri che perdono un paio di scarpe. Come non citare invece il bellissimo “Central do Brasil” di Walter Salles, dove una donna accompagna un ragazzino di strada attraverso il Brasile, alla ricerca del padre. I due cineasti belgi Jean-Pierre e Luc Dardenne, hanno affrontato in alcuni loro film, la tematica della ricerca del padre o del significato della paternità: ne “Il figlio” un insegnante di falegnameria in un laboratorio per ragazzi disadattati, si ritrova fra gli allievi colui che 5 anni prima gli ha ucciso il figlio; in “L’Enfant – una storia di amore”, il compagno di una donna che ha appena partorito, vende il figlio ad un gruppo di spacciatori; Ne “Il ragazzo con la bicicletta”, un ragazzo dodicenne abbandonato dal padre, cerca di ritrovarlo. Altro film degno di nota e il bello e commovente “Billy Elliot” di Stephen Daldry, la nota storia del ballerino irlandese Philip Mosley. Assolutamente interessante il film “Class Enemy” del giovane regista sloveno Rok Biček; un severo professore inizia ad insegnare in una scuola superiore. A causa della tragica morte di una ragazza, gli studenti accusano il professore della sua morte. Le tensioni della guerra, apparentemente sopite, riesplodono. “Il segreto di Esma”, della regista bosniaca Jasmila Žbanić, è ambientato dopo la guerra della ex Jugoslavia, dove una ragazza adolescente vive con la madre a Sarajevo, città ancora ferita dall’assedio della città. Nel recente “A Ciambra”, di Jonas Carpignano, il protagonista Pio, è un ragazzino che fa parte della comunità Rom della piana di Gioa Tauro, e ne mostra, senza nascondere nulla, la vita. Concludo con un documentario, ancora non uscito in Italia, ma che affronta lo scabroso tema della pedofilia: “Shootball” del regista spagnolo Fèlix Colomer. I protagonisti sono Manuel Barbero, padre di una vittima di abusi sessuali, e Joaquín Benítez, il pedofilo che ha abusato del figlio di Manuel e di altri venti minori. Il regista del film affronta le figure chiave di questa storia con un lavoro di ricerca giornalistica. Per la prima volta, un pedofilo parla e confessa a una telecamera le proprie responsabilità. Francesco Castracane Educatore professionale nell’ambito delle dipendenze patologiche

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«Qui ad Atene noi facciamo così. La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo. Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo.» (Pericle – Discorso agli ateniesi – 461 a.c.) www.amnestysicilia.org

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