VOCI
Rivista del Centro di Documentazione per la Promozione e l’Educazione alla Tutela dei Diritti Umani “Peter Benenson”
DIAMO VOCE AI DIRITTI UMANI i fatti e le idee
DICEMBRE 2021
NUMERO 2 - ANNO 7
MONDO SENZA PACE
«Quando ho acceso la prima candela di Amnesty avevo in mente un vecchio proverbio cinese: “Meglio accendere una candela che maledire l’oscurità” Questo è oggi il motto per noi di Amnesty» (Peter Benenson)
VOCI VOCI - Rivista del
Centro di Documentazione per la Promozione e l’Educazione alla Tutela dei Diritti Umani “Peter Benenson”
COMITATO DI REDAZIONE Chiara Di Maria Responsabile Circoscrizione Sicilia Amnesty International Italia Giuseppe Provenza Responsabile della Redazione Carmen Cera Direttrice del Centro di Documentazione per la Promozione e l’Educazione alla Tutela dei Diritti Umani “Peter Benenson” Silvia Intravaia Responsabile grafica
COLLABORANO Giorgio Beretta, Daniela Brignone, Paola Caridi, Francesco Castracane, Vincenzo Ceruso, Mouhamed Cissé, Carmen Cera, (Coord. Am. Latina), (Coord. Europa), (Coord. Nord America e Isole Caraibiche), Marta D’Alia, Chiara Di Maria, Aristide Donadio, Vincenzo Fazio, Maurizio Gemelli, Liliana Maniscalco, Giuseppe Provenza, Fulvio Vassallo Paleologo.
IN QUESTO NUMERO Editoriale 3 di Chiara Di Maria
Chi fornisce armi ai terroristi?
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Ucraina, una guerra pericolosamente internazionalizzata
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Libia, un paese nel caos
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di Giorgio Beretta
di Giuseppe Provenza
di Martina Manzari e Refka Znaidi
Myanmar, terra senza pace
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Il conflitto nel Tigray
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W4R2021 e Appelli
14
di Anna Violante
di Federica Carelli
di redazione
TUTTI I GIORNI www.amnestysicilia.it Amnesty Sicilia @Amnestysicilia @amnestysicilia /amnestysicilia /amnestysicilia @amnestysicilia
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Foto di copertina: Un carro armato distrutto diventa terreno di gioco per bambini a Bengasi, in Libia. Marzo 2011 © UNMAS/MAXIMILIAN DYCK DICEMBRE 2021 N.2 / A.7 - Voci
EDITORIALE di Chiara Di Maria
È efficace il vaccino? Terza dose si o terza dose no? Il mio collega di stanza si è vaccinato? Quanti nuovi positivi oggi? Quando mi scade il Green Pass? Che colore è la mia zona? Posso andare a fare l’aperitivo con gli amici? Potrò partire per capodanno? Sono queste le domande che ci poniamo e che continuamente ci suggeriscono alla tv, alla radio, sui social. L’argomento che oggi invade tutti i canali informativi è la pandemia da Covid 19 come unico male che affligge il mondo. In realtà, i mali che affliggevano il mondo ante pandemia non sono scomparsi, ma sono stati semplicemente occultati dal Covid 19, sentito come il male a noi più vicino. Il covid dunque non si è sostituito alle piaghe dell’umanità: ne è diventato un’aggravante.
Come spesso succede, la violenza colpisce principalmente chi non ha armi e, nonostante più di vent’anni fa il Consiglio di Sicurezza Onu abbia fissato i pilastri del tema della Protezione dei civili (PoC) nei conflitti armati con la Risoluzione 1265, ad oggi la popolazione continua ad essere la principale vittima della guerra. 1 Secondo l’ultimo rapporto del segretario generale dell’Onu sulla Protezione dei civili, infatti, sono migliaia quelli che continuano a soffrire in modo sproporzionato le conseguenze dei conflitti armati. 2 Purtroppo i numeri scorrono implacabili davanti agli occhi. Sono quasi 4,5 milioni di morti ufficiali a giugno 2021. Sono un miliardo gli esseri umani che muoiono di fame. Sono 270milioni le persone costrette a emigrare per cercare migliori condizioni di vita.
Sono 2mila miliardi i dollari spesi per comprare armi.
Tra i più grandi mali che da sempre affliggono il mondo ci sono i conflitti Sono numeri di un mondo che non vuole armati che causano morte, spostamenti e guarire e che nella grande pandemia da Covid-19 ha trovato nuove ingiustizie, sofferenze su vasta scala. nuove ragioni di conflitto e guerra. Numerosi sono i conflitti armati attualmente in corso nel mondo, tra cui quelli che vedono coinvolte più parti all’interno dello stesso Paese – conflitti armati non-internazionali – e quelli che vedono coinvolte forze armati di due o più Stati, conflitti armati internazionali. Purtroppo il binomio guerra-pandemia ha aggravato il danno umanitario derivante dai conflitti armati ed esacerbato le vulnerabilità dei civili nei Paesi in conflitto, dove i sistemi sanitari sono vicini al collasso a causa dei continui attacchi alle strutture e al personale medico.
Questa edizione di voci si pone l’obiettivo di accendere i fari sui conflitti dimenticati per dare voce a chi una voce non ha.
Chiara Di Maria Responsabile Circoscrizione Sicilia di Amnesty International Italia
1 - http://unscr.com/en/resolutions/1265 2 - https://www.un.org/annualreport/
#WRITE4RIGHTS 2021 Dal 25 Novembre al 23 Dicembre 2021
FIRMA UN APPELLO SALVA UNA VITA! LA TUA MARATONA PER I DIRITTI
(online proseguirà per tutta la 1° settimana di gennaio 2022)
#W4R2021 https://www.amnesty.it/maratone/firma-un-appello-salva-una-vita/
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DICEMBRE 2021 N.2 / A.7 - Voci
Armi e Conflitti armati
CHI FORNISCE ARMI AI TERRORISTI? di Giorgio Beretta
Talebani a Kabul, agosto 2021 © AP Photo/RAHMAT GUL
Ha suscitato l’indignazione mondiale l’abbandono dell’Afghanistan lo scorso agosto da parte delle forze militari statunitensi e dei loro alleati, tra cui l’Italia, dopo venti anni di occupazione.
tattico, 20 aerei leggeri da attacco al suolo e 18 aerei leggeri da sorveglianza e ricognizione) e finanche otto droni da ricognizione e sei palloni aerostatici radiocomandati.
L’incapacità dell’intelligence militare di prevedere il collasso dell’esercito afghano e le immagini delle disastrose operazioni di evacuazione restano scolpite nella memoria: migliaia di afghani si sono riversati all’aeroporto di Kabul nel disperato tentativo di trovare un posto sugli aerei militari in partenza verso i paesi occidentali.
Non tutti i mezzi potranno essere utilizzati dai talebani, ma già diversi depositi sono stati saccheggiati dalle milizie dell’Isis: ce n’è abbastanza per rifornire miliziani islamici e “signori della guerra” di mezzo mondo.
Lo sdegno è cresciuto nei giorni successivi quando sono apparse le foto dei talebani vestiti di tutto punto con mimetiche americane che imbracciavano nuovissimi mitragliatori “made in USA”: migliaia di armi “dimenticate” dalle forze armate americane di cui si sono prontamente impossessate le milizie talebane dell’Emirato teocratico islamico dell’Afghanistan. Un enorme arsenale composto da circa 600mila “armi leggere” (compresi 350mila fucili d’assalto, 60mila mitragliatori e 25mila tra lanciagranate, lanciarazzi e mortai) oltre a 16mila sistemi di visione notturna, ma soprattutto di quasi 76mila veicoli terrestri (tra cui veicoli tattici e da trasporto leggeri, gommati e cingolati), 208 mezzi aerei (110 elicotteri tattici, da trasporto e da combattimento, 60 aerei da trasporto Voci - DICEMBRE 2021 N.2 / A.7
L’amministrazione Biden ha prontamente fatto sparire gli elenchi di queste armi il cui valore è stimato in vari miliardi di dollari: nel corso degli anni gli Stati Uniti hanno infatti fornito alle forze di sicurezza afgane addestramento e equipaggiamenti militari per un valore stimato di 83 miliardi di dollari di cui tre miliardi solo nell’ultimo anno. Non è la prima volta che gli Stati Uniti perdono traccia dei propri armamenti nelle zone di guerra. Anzi c’è un lungo elenco di armi e sistemi militari finiti in mani “indesiderate” ampiamente documentato dai maggiori organi di informazione mondiale e, in diversi casi, anche dal Pentagono. Andando a ritroso nel tempo, troviamo migliaia di armi statunitensi, inclusi lanciagranate e mitragliatori, del valore di centinaia di milioni di dollari rimaste “vulnerabili alla perdita o al furto” durante la lotta contro l’Isis in Siria.
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Armi e Conflitti armati
Graphic “Taliban’s new arsenal” - The Times and The Sunday Times Corrections & clarifications. Sunday September 05 2021, 12.01am BST, The Sunday Times: «Il nostro grafico “Taliban’s new arsenal” (Notizie, la scorsa settimana) mostrava l’equipaggiamento fornito dagli Stati Uniti alle forze armate afgane dal 2001. Quanto di esso sia ora nelle mani dei talebani non è noto. Ci scusiamo per qualsiasi confusione causata.» https://www.thetimes.co.uk/article/corrections-amp-clarifications-mln927jj8
armi di fabbricazione americana a combattenti legati ad al Qaeda, alle milizie salafite e ad altre fazioni combattenti in Yemen: armi che sono arrivate anche nelle mani dei ribelli sostenuti dall’Iran.
«L’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, il suo principale partner nella guerra, hanno usato le armi prodotte dagli Stati Uniti come una forma di valuta per acquistare la lealtà di milizie o tribù locali», riporta la CNN.
CNN Exclusive Report: Sold to an ally, lost to an enemy. /febbraio 2021. Gli Stati Uniti hanno spedito armi e segreti ai Sauditi e agli Emirati. Ora, alcuni sono nelle mani di combattenti legati ad al Qaeda e all’Iran - By Nima Elbagir, Salma Abdelaziz, Mohamed Abo El Gheit and Laura Smith-Spark, CNN https://edition.cnn.com/interactive/2019/02/middleeast/yemen-lost-us-arms/
Nel 2017, a seguito di un audit richiesto tra gli altri anche da Amnesty International, le forze armate statunitensi hanno ammesso il mancato monitoraggio di trasferimenti di armi destinati alle forze armate irachene per un valore di oltre 1 miliardo di dollari. Un’ampia indagine della CNN del 2019 ha inoltre documentato come l’Arabia Saudita e i suoi partner della coalizione militare in Yemen, in violazione degli accordi con gli Stati Uniti, hanno trasferito
Ma già nel 2015, il Pentagono aveva ammesso di aver perso traccia di oltre 500milioni di dollari di armi donate come aiuto ai militari yemeniti. A tutto questo si sommano le decine di migliaia di armi e veicoli militari depredati da Al-Qaeda e dall’Isis dalle armerie e dai depositi dei vari teatri di guerra abbandonati dai militari sostenuti dalle forze occidentali. Invece di chiederci “chi arma i terroristi?” dovremmo cominciare a farci un’altra domanda: in che mani
sono finite le “nostre” armi?
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Giorgio Beretta Analista del commercio internazioneale e nazionale di sistemi militari e di armi comuni, Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa - OPAL, Rete Italiana per il Disarmo - RID
1 - CNN Exclusive Report: Sold to an ally, lost to an enemy https://edition.cnn.com/interactive/2019/02/middleeast/yemen-lost-us-arms/
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DICEMBRE 2021 N.2 / A.7 - Voci
Europa
UCRAINA, UNA GUERRA PERICOLOSAMENTE INTERNAZIONALIZZATA di Giuseppe Provenza
REGIONE DI LVIV, UCRAINA - 20 SETTEMBRE 2021 - Un cartello è visto durante le esercitazioni militari ucraino-americane RAPID TRIDENT - 2021 nei locali del Centro internazionale per il mantenimento della pace e la sicurezza dell’Accademia nazionale delle forze terrestri intitolato a Hetman Petro Sahaidachnyi, Lviv Regione, Ucraina occidentale. © SERHII HUDAK/ UKRINFORM/BARCROFT MEDIA via Getty Images
L’11 ottobre 2021 la cancelliera tedesca Merkel aveva reso noto che nel corso di colloqui telefonici con i presidenti di Francia, Russia e Ucraina era stato concordato un incontro dei ministri degli esteri dei quattro paesi per discutere sul conflitto nel Donbass, l’area, al confine con la Federazione Russa, in cui si fronteggiano dal 2014 le forze armate dell’Ucraina, approvvigionate da Stati Uniti e NATO, e le formazioni militarizzate delle due regioni del Donbass autoproclamatesi indipendenti, la Repubblica Popolare di Donetsk e la Repubblica Popolare di Lugansk, sostenute militarmente ed economicamente con uomini e mezzi della Federazione Russa.
quale le due parti avevano emanato comunicati con cui si accusavano reciprocamente di aver violato la tregua, causando feriti sia fra i civili che fra i militari.
L’incontro non si è mai tenuto, anzi quell’annunzio ha segnato l’inizio di una crescente tensione internazionale.
A questi fatti seguì in marzo l’invasione della Crimea da arte della Russia.
Quella che si sta svolgendo in Ucraina è, infatti, una guerra ufficialmente non internazionale, ma che in realtà ha pesanti riflessi che non è esagerato definire mondiali per il confronto che lì si è materializzato fra Federazione Russa e Stati Uniti. L’opportunità dell’incontro fra i quattro ministri degli esteri si era manifestata in seguito al riacutizzarsi del conflitto nel mese di settembre del 2021, durante il Voci - DICEMBRE 2021 N.2 / A.7
Prima di esaminare questo riacutizzarsi del conflitto, ricostruiamo i fatti dalle origini. La crisi in Ucraina aveva avuto inizio nel febbraio del 2014 in seguito alla così detta “rivoluzione di maidan” e alla conseguente caduta del governo ucraino filo russo, sostituito da un governo filo occidentale. Quell’evento aveva provocato pesanti dimostrazioni nelle regioni russofone confinanti con la Russia, il Donbass, che chiedevano l’indipendenza.
In aprile le regioni di Donetsk e Lugansk proclamarono la propria indipendenza confermata in maggio da referendum. Alla dichiarazione d’indipendenza il governo ucraino rispose con l’intervento militare che diede inizio ad una guerra senza esclusione di colpi da entrambe le parti, con scontri e bombardamenti che provocarono un gran numero di vittime fra militari e civili e ingenti distruzioni di edifici pubblici e privati. 6
Europa
Nel luglio del 2014 il conflitto aveva causato anche l’abbattimento di un aereo di linea della Malaysia Airlines da parte di un missile di fabbricazione russa, apparentemente lanciato da postazioni separatiste. Contemporaneamente, sia l’Unione Europea che gli Stati Uniti adottavano sanzioni economiche nei confronti della Federazione Russa. Le ragioni del conflitto sono sia economiche che di politica internazionale. Il Donbass è costituito dalle regioni più ricche del paese. Sono zone industriali, con prevalenza di industrie pesanti, che proprio nella Russia hanno un importante sbocco commerciale che non intendono perdere a causa della politica del governo centrale, così come l’Ucraina non è disposta a perdere la parte più ricca del proprio territorio. Dall’altra parte la Russia, perduto il controllo sul governo ucraino, non intende veder scivolare il paese verso l’occidente, intrattenendo rapporti commerciali con l’Unione Europea, con possibilità che ne diventi membro, e rapporti militari con la NATO, con possibilità di entrare a far parte dell’alleanza militare, divenendo una grave minaccia. La gravità del conflitto spinse le parti, Ucraina, Russia, e repubbliche separatiste, a riunirsi, sotto l’egida dell’OSCE, a Minsk, capitale della Bielorussia, dove il 5 settembre 2014 firmarono il cessate il fuoco. Il mancato rispetto di questo, tuttavia, rese necessario un nuovo accordo firmato sempre a Minsk l’11 febbraio 2015, questa volta fra i capi di stato di Ucraina, Russia, Francia e Germania (in linguaggio giornalistico il “quartetto di Normandia”), sempre con la supervisione dell’OSCE (così detto accordo di Minsk II). Un ulteriore accordo per il cessate il fuoco si è successivamente raggiunto il 22 luglio 2020, con validità a partire dal giorno 27. Va tuttavia sottolineato che mai si è potuto realizzare un vero cessate il fuoco, ma piuttosto una belligeranza contenuta che si è protratta con fasi alterne fino ad oggi, continuando a causare morti, feriti, catture di militari e civili, questi ultimi sequestrati per ottenere lo scambio di prigionieri, e distruzioni anche di moltissime abitazioni civili. Le cifre dei 7 anni di guerra sono impressionanti: almeno 14mila morti, come si è detto fra militari e civili, molte migliaia di feriti, 1,8 milioni di sfollati interni verso l’Ucraina occidentale (quarto paese nel mondo per sfollati interni, dopo Siria, Yemen e Iraq), e 2milioni di rifugiati nella Federazione Russa.
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Nel marzo dell’anno in corso, in seguito agli ennesimi episodi di violazioni del cessate il fuoco, il presidente russo Putin, aveva ribadito telefonicamente al presidente francese Macron e alla cancelliera tedesca Merkel, la necessità che l’Ucraina si attenga agli accordi sottoscritti nel tempo. In seguito a ciò il ministro degli esteri ucraino aveva dichiarato «Non può essere deciso nulla sull’Ucraina, senza l’Ucraina». 1 Era stato l’inizio di un nuovo riscaldamento della temperatura. In aprile gli atteggiamenti di Stati Uniti da una parte e Federazione Russa dall’altro, erano diventati allarmanti, con un considerevole ammasso di militari da parte russa ai confini con l’Ucraina e con l’ingresso di due navi da guerra nel Mar Nero, da parte americana. La situazione era successivamente peggiorata in seguito alle esercitazioni militari NATO “Rapid trident 2021” in territorio ucraino, riguardo alle quali si era pronunciato anche il presidente bielorusso Lukashenko che aveva accusato gli Stati Uniti di aver istituito centri di addestramento in Ucraina, che, secondo lui, equivarrebbero a vere e proprie basi militari. «[Gli USA] stanno dispiegando truppe della NATO in Ucraina. Servendosi del pretesto di avviare nuovi centri di addestramento, gli Stati Uniti, di fatto, stanno creando basi militari in Ucraina» (fonte Sicurezza Internazionale, 27 settembre 2021). D’altro canto, secondo il recente rapporto “Moscow Mercenaries’ wars” del Center for Strategic and International Studies (CSIS) 2, al culmine del conflitto hanno operato nel Donbass da 2.500 a 5.000 mercenari russi. Alcuni di questi, come risulterebbe documentato in un video prodotto dal quotidiano francese Le Monde, apparterrebbero alla ben nota compagnia militare Wagner, la cui presenza risulterebbe nello stesso video in vari luoghi ove si svolgono o si sono svolte guerre civili, come Siria, Libia e vari paesi dell’Africa centrale. 3 Era stato l’allarmante deteriorarsi della situazione in Ucraina, con gli atteggiamenti reciprocamente provocatori fra Russia da una parte e Stati Uniti e Nato dall’altra, ad indurre i presidenti di Russia Francia ed Ucraina e la cancelliera tedesca a concordare l’incontro fra i ministri degli esteri dei loro paesi di cui si è scritto in apertura, incontro superato in uno scenario in cui protagonisti sono ormai soltanto 1 - https://twitter.com/OlegNikolenko_/status/1376569877117468683 2 - CSIS report: Moscow’s Mercenary Wars The Expansion of Russian Private Military Companies https://russianpmcs.csis.org 3 - Mercenaires russes Wagner : enquête vidéo sur l’« armée fantôme » de Vladimir Poutine https://www.lemonde.fr/international/video/2021/04/04/mercenaires-russes-wagner-enquete-video-surl-armee-fantome-de-vladimir-poutine_6075520_3210.html DICEMBRE 2021 N.2 / A.7 - Voci
Europa
Riservisti delle Forze di Difesa Territoriale Ucraine in un’esercitazione alla periferia di Kiev. Dicembre 2021 © OKSANA PARAFENIUK
Russia e Stati Uniti, con il concorso degli altri paesi della NATO e l’Ucraina vittima designata. Sul finire di novembre e l’inizio di dicembre, infatti, da parte degli Stati Uniti è stato reso noto un notevole movimento, documentato, di truppe russe ai confini con l’Ucraina dove si erano ammassati fino a 175mila soldati in previsione, secondo gli esperti militari americani, di una invasione in gennaio. Da qui l’organizzazione di un incontro in video chiamata, fra Biden e Putin, tenutosi il 7 dicembre, preceduto da un’intensa attività diplomatica di Biden, con Regno Unito, Germania, Francia ed Italia, volta ad ottenere dagli alleati l’adesione a pesanti sanzioni nei confronti della Russia in caso di invasione, così da presentarsi all’incontro in posizione di forza. È stato in virtù di questo appoggio che, Biden, nel corso dell’incontro, avrebbe minacciato le pesanti sanzioni economiche concordate con gli alleati che sarebbero in grado di causare danni gravi all’economia russa. Da parte di Putin sarebbero state richieste garanzie che l’Ucraina non entrerà nella NATO, richiesta che sembra improbabile che venga accettata da Biden. Alla preoccupazione da parte dei paesi europei sul rischio che scoppi una guerra in Europa che non sia più interna per divenire ufficialmente internazionale, si aggiunge, a questo punto, un’altra preoccupazione di carattere economico. Non va dimenticato che la Russia fornisce a svariati paesi europei petrolio e gas Voci - DICEMBRE 2021 N.2 / A.7
che potrebbero venire a mancare. Il rischio che ciò avvenga ha infatti già causato il rialzo del prezzo di questi due beni, con conseguenze non indifferenti per le economie dei paesi dell’Europa Occidentale. Ciò che in ogni caso rincresce è che l’Ucraina sia ormai divenuta il luogo in cui Russia e Stati Uniti hanno deciso di fronteggiarsi mostrando i muscoli. La speranza è che, fra queste due parti, non si superino i limiti della contesa verbale ed economica e si scelga la via del dialogo pacifico e costruttivo. Soprattutto l’auspicio è che si torni a pensare esclusivamente ai danni sugli esseri umani prodotti da questa conflitto, come tutti i conflitti privo di umanità. Che si cominci a pensare alla ricostruzione, a ridare una casa a chi l’ha avuta distrutta, a portare aiuti materiali e morali a chi ha perduto familiari, a riportare a casa quasi quattro milioni di persone costrette ad abbandonare familiari, amici, lavoro, abitazione per fuggire da una guerra che probabilmente ha favorito, come sempre avviene, gli affari di pochissimi e le ambizioni di qualche governante, causando morte e gettando nella disperazione milioni di innocenti.
Giuseppe Provenza Coordinamento Europa di Amnesty International Italia Membro del Gruppo Amnesty Italia 233
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Nord Africa
LIBIA, UN PAESE NEL CAOS di Martina Manzari e Refka Znaidi
I posti di blocco militari rimangono una vista comune in Libia dove persistenti scontri tra milizie rivali hanno sollevato timori di violenza, mentre il paese si prepara per elezioni cruciali. Dicembre 2021© AFP/MAHMUD TURKIA
La Libia è nel caos dallo scoppio della primavera araba nel 2010 e dalla caduta del dittatore Gheddafi nel 2011. I tentativi di costruire uno stato democratico dopo la rivoluzione si sono tramutati in una guerra civile tra governi rivali nel 2014. I gruppi armati, compresi gli estremisti come Daesh, sono proliferati e il Paese senza legge è diventato un principale punto di transito per le persone provenienti da tutta l’Africa che vogliono raggiungere l’Europa. Dal 2014 i combattimenti sono stati principalmente tra centri rivali di potere politico nella Libia orientale e occidentale: l’amministrazione di Tripoli, nota come Governo di Accordo Nazionale (GNA), guidata da Sarraj, e l’amministrazione di Tobruk. Sebbene il GNA sia stato ufficialmente riconosciuto dalle Nazioni Unite come governo legittimo della Libia, aveva poco potere sul campo e alcuni diffidavano della sua politica considerata sotto determinati aspetti estremista. Negli ultimi anni le potenze straniere sono sempre più intervenute nella guerra civile in Libia per difendere i propri interessi geopolitici ed economici. Il GNA è
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stato sostenuto dall’ONU e dai paesi occidentali, ma i suoi principali alleati erano Turchia, Qatar e Italia. Il LNA (Libyan National Army) godeva del sostegno di Russia, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e, in misura minore, Francia e Giordania. Le parti straniere hanno inondato la Libia di armi e droni, ignorando l’embargo sulle armi delle Nazioni Unite. La Russia ha inviato mercenari a fianco del LNA, anche la Turchia non si è astenuta nel supportare i combattimenti. Dopo diversi tentativi di ristabilizzazione si è raggiunta, finalmente a Febbraio 2021, una tregua con l’insediamento di un Governo di Unità Nazionale che dovrà guidare il paese fino alle elezioni di Dicembre. L’instabilità politica e economica della Libia ha causato danni irreversibili ai civili. Secondo le Nazioni Unite, più di 200mila persone sono sfollate e 1,3milioni hanno bisogno di assistenza umanitaria. I numeri delle vittime sono altamente politicizzati e difficili da verificare.
DICEMBRE 2021 N.2 / A.7 - Voci
Nord Africa
Migranti nelle celle di un centro di detenzione in Libia, 31 gennaio 2017 © ALESSIO ROMENZI/Unicef
L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) stima che ci siano anche circa 636 mila migranti e rifugiati nel Paese. Alcuni sono detenuti in centri di detenzione gestiti dal governo e da gruppi armati. A ottobre 2021 le violazioni commesse all’interno dei centri di detenzioni sono state confermate dal rapporto delle Nazioni Unite “Libya: Evidence crimes against humanity and war crimes committed since 2016” 1 che denuncia la complicità del governo libico in crimini contro l’umanità. La pubblicazione di questo rapporto è l’ennesima prova di quello che Amnesty International e centinaia di altre ONG sostengono da tempo: la Libia non è un paese sicuro. È per questo che il principio di non respingimento dovrebbe essere applicato dai paesi europei per evitare di diventare complici delle torture, stupri e detenzioni arbitrarie che i migranti respinti subiscono in Libia. Eppure, la collaborazione con la “Guardia Costiera Libica” (LGC) va in tutt’altra direzione. Dal 2017 al 2020 il nostro paese ha speso 22.1 milioni di euro per finanziare la LGC, la quale ha comprovate
responsabilità nella morte di migranti in mare oltre che essere stata filmata mentre utilizza armi contro i migranti stessi e contro le organizzazioni di salvataggio presenti nel Mediterraneo. Nonostante la mobilitazione nazionale contro tali accordi, a Luglio di quest’anno il Parlamento Italiano ha rinnovato il suo impegno a supportare la LGC. Amnesty International con tutti i suoi attivisti continuerà a chiedere alle autorità italiane la sospensione della collaborazione con le autorità libiche se queste non garantiranno la protezione dei diritti umani di persone migranti e rifugiate. Allo stesso tempo, Amnesty si batte per l’evacuazione immediata delle persone rinchiuse nei centri di detenzione libici, per l’estensione di canali di ingresso regolari e per il ripristino di un sistema istituzionale di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale. PERCHÉ SALVARE VITE NON È REATO E LA LIBIA NON È UN PORTO SICURO.
Martina Manzari e Refka Znaidi Coordinamento Medio Oriente e Nord Africa di Amnesty International Italia
1 - Libya: Evidence crimes against humanity and war crimes committed since 2016, UN report finds - https://www.ohchr.org/en/NewsEvents/Pages/DisplayNews.aspx?NewsID=27595&LangID=E Independent Fact-Finding Mission on Libya https://www.ohchr.org/EN/HRBodies/HRC/FFM_Libya/Pages/Index.aspx
Voci - DICEMBRE 2021 N.2 / A.7
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Asia
MYANMAR, TERRA SENZA PACE di Anna Violante
YANGON, MYANMAR - 2021/12/04: Circa 50 manifestanti antimilitari che fanno il saluto a tre dita e tengono in mano un grande striscione con le parole “L’unica vera prigione è la paura e la vera libertà è la libertà dalla paura”. Protestavano contro il golpe militare e per chiedere il rilascio di Aung San Suu Kyi. Molti manifestanti sono rimasti feriti dopo che le forze della giunta di Min Aung Hlaing hanno aperto il fuoco sui manifestanti pacifici usando proiettili veri e un camion dell’esercito è entrato nella manifestazione ad alta velocità. Feriti anche due giornalisti. © SANTOSH KRL/SOPA IMAGES/LIGHTROCKET via Getty Images
Il 6 ottobre, in una lettera aperta a tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite, la segretaria generale di Amnesty International Agnès Callamard ha esortato i governi ad aumentare la pressione diplomatica per porre fine alle violazioni dei diritti umani da parte dell’esercito e a fermare il flusso delle armi, mentre chiedeva ai paesi dell’ASEAN (Association of Southeast Asian Nations / Associazione delle Nazioni del Sud Est Asiatico) di premere sulla giunta perché rilasci tutti i prigionieri politici e consenta l’assistenza umanitaria alle organizzazioni internazionali. 1 La lettera è seguita ad un appello firmato da 70.000 persone di 161 paesi. Min Aung Hlaing, il generale sanguinario che il primo febbraio ha preso il potere con la forza in Myanmar, sembra non convincere del tutto più nessuno all’ONU. Benché finora gli embarghi si siano rivelati poco efficaci e le azioni concrete non abbiano seguito le parole di 1 - Myanmar: Open letter on the need for urgent action to end violations and impunity in Myanmar https://www.amnesty.org/en/documents/asa16/4779/2021/en/
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deploro che nell’ultima seduta di ottobre sono state pronunciate quasi all’unanimità, paesi chiave come la Cina e i membri dell’ASEAN hanno ripetutamente espresso il loro disappunto nei confronti della condotta dei generali al potere. La prima ha poca fiducia nella stabilità del governo, condizione indispensabile per perseguire i propri fini di sfruttamento del territorio e dei beni commerciabili, i secondi non hanno ammesso Min Aung Hlaing alla loro seduta di ottobre ritenendolo reo di non aver assolto alle loro raccomandazioni sull’allentamento della repressione nei confronti degli oppositori politici e delle minoranze etniche e religiose. Nello stesso tempo, però, tutti i paesi asiatici, compresi India e Giappone, continuano a inviare diplomatici per trattare con la giunta di affari economici e sull’allentamento della morsa repressiva. Intanto la popolazione civile soffre e muore sempre di più. Agli oltre 1.000 morti e 8.000 prigionieri, uccisi o rastrellati durante le manifestazioni di dissenso pacifico al golpe o nelle loro case, si aggiungono i contadini delle minoranze etniche sfollati in campi DICEMBRE 2021 N.2 / A.7 - Voci
Asia
Agnès Callamard, dal 29 marzo 2021 nuova Segretaria generale di Amnesty International © REUTERS/DENIS BALIBOUSE Il 6 ottobre 2021, in una lettera aperta a tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite, la segretaria generale di Amnesty International Agnès Callamard ha esortato i governi ad aumentare la pressione diplomatica per porre fine alle violazioni dei diritti umani da parte dell’esercito e a fermare il flusso delle armi, mentre chiedeva ai paesi dell’ASEAN (Association of Southeast Asian Nations / Associazione delle Nazioni del Sud Est Asiatico) di premere sulla giunta perché rilasci tutti i prigionieri politici e consenta l’assistenza umanitaria alle organizzazioni internazionali. https://www.amnesty.org/en/documents/asa16/4779/2021/en/
profughi di fortuna o trucidati nei loro villaggi da un esercito spesso affamato e allo sbando che uccide anche solo per rubare del cibo. Ma la paralisi delle attività produttive e dei trasporti dei beni di prima necessità, la distruzione degli ospedali civili dove i medici per primi si erano ammutinati, la disoccupazione dilagante, insieme al covid-19, arrivato dall’India a fine primavera, minacciano di fare ancora più morti delle armi. Il paese rischia il collasso, mentre le armi contro la giunta, impugnate fin da marzo dagli eserciti delle minoranze etniche, soprattutto Kachin, al confine con la Cina e Karen con la Tailandia, sono ora usate anche dai giovani birmani o bamar che, dopo brevi addestramenti in clandestinità, combattono in conflitti aperti e compiono attentati contro avamposti delle istituzioni e dell’esercito in grandi città come Yangon a Mandalay. La guerra ai golpisti è stata ufficialmente dichiarata il 7 settembre dal NUG (National Unity Government of Myanmar) il governo ombra di unità nazionale, formato in aprile dagli eletti a suffragio universale nel novembre 2020 della Lega per la Democrazia (NLD) di Aung San Suu Kyi insieme ai leader delle minoranze. E’ la prima volta che la maggioranza buddista bamar, che occupa la fertile pianura del fiume Irrawaddy, si allea con i ribelli delle montagne in passato guardati con distacco, con sentimenti ostili o addirittura apertamente razzisti come nel caso a noi noto dei Voci - DICEMBRE 2021 N.2 / A.7
Rohingya. Ed è la prima volta che è stato formato un esercito di unità nazionale, il PDF (People’s Defence Force) contro quelle che il governo ombra definisce le “milizie terroriste di Min Aung Hlaing”. Se il PDF, ufficializzato ai primi di luglio, conta ora su circa 80mila soldati, armati in gran parte dai vicini cinesi, “i terroristi” del Tatmadaw (nome ufficiale delle forze armate del Myanmar) sono 350mila, riforniti anch’essi dalla Cina, dalla Russia e, attraverso triangolazioni più o meno legali, da molti paesi che hanno firmato l’embargo delle armi fra cui, purtroppo, anche il nostro. Ma questo è un capitolo a parte. Quel che è certo è che il popolo birmano non è disposto a piegarsi. In Myanmar si continuerà a combattere. Se l’appoggio morale dell’Occidente al NUG è garantito - il 5 ottobre l’Unione Europea ha votato unanimemente il ripristino della costituzione - quello di Cina, ASEAN e Paesi dell’area è ambiguo e zoppicante. Troppi sono infatti i tentativi di condurre alla ragione Min Aung Hlaing e troppo pochi quelli per il rilascio dei prigionieri politici e per ridare legittimità al governo democratico.
Anna Violante Coordinamento Asia di Amnesty International Italia
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Africa Orientale
IL CONFLITTO NEL TIGRAY di Federica Carelli
Centro d’accoglienza nel Tigray – Foto: © European Union, 2021 (via Flickr: https://www.flickr.com/photos/eu_echo/50928690132/in/photostream/)
Bisogna rompere il silenzio sul conflitto in corso in Etiopia, nella regione del Tigray ma anche in quelle vicine di Afar e Amhara, ponendosi dalla parte delle vittime civili. “Forse ci renderemo conto della gravità della carestia in Etiopia quando sarà troppo tardi e quando ci troveremo a contare le tombe delle persone decedute” ha denunciato Alex de Waal, direttore esecutivo della World Peace Foundation alla Fletcher School della Tufts University (fonte Agenzia Dire) Emergono in maniera preponderante le difficoltà a far raggiungere aiuti umanitari nel Tigray a causa di un blocco degli approvvigionamenti imposto dall’esercito federale. Vanno senza dubbio citate anche le difficoltà a reperire e verificare le notizie sul conflitto. Si rischia una strage silenziosa che potrebbe diventare una polveriera regionale. È bene specificare che questa crisi non riguarda solo il Tigray perché “ci sono tra i 60mila e i 70mila rifugiati etiopi nel Sudan e in Somalia c’è l’esercito etiope nel ruolo di peacekeeper che probabilmente vorrà far tornare indietro i soldati” (fonte Agenzia Dire). Auspicabile è, infine, la creazione di un osservatorio sui diritti per un’informazione il più possibile credibile e verificabile. È utile anche ricordare la petizione contro la violenza di genere come strumento di guerra promossa da Amnesty International. 1
Va rammentato anche il recente intervento di Papa Francesco a favore della conclusione del conflitto. A livello di mass media, l’unico giornale di carta stampata che ha parlato del conflitto è stato il quotidiano l’Avvenire, il quale ha sinteticamente descritto a linee generali la situazione venutasi a creare in seguito al conflitto. Molto importante è sottolineare come il più grande strumento di informazione su questo conflitto sia l’organizzazione di eventi di riflessione e informazione che vedono la partecipazione attiva di tantissime persone interessate. Anche i social media aiutano nella diffusione delle informazioni su questo conflitto che, con il passare dei giorni, sta assomigliando sempre più a una vera e propria guerra civile. La difficoltà nel reperimento delle informazioni è dovuta anche e soprattutto al fatto che la situazione varia molto velocemente, in un contesto in cui, per altro, manca l’interesse a far circolare le informazioni. È doveroso anche ricordare la mancata distribuzione dei pacchi umanitari contenenti beni di prima necessità come strumento atto alla creazione di ulteriore odio fra le popolazioni interessate. Negli ultimi giorni si sta assistendo all’evacuazione dei cittadini dello Zambia residenti in Etiopia. Federica Carelli Coord. Africa Centrale e Orientale di Amnesty International Italia
1 - Giustizia per le vittime di violenza sessuale nel Tigray https://www.amnesty.it/appelli/giustizia-per-le-vittime-di-violenza-sessuale-nel-tigray
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DICEMBRE 2021 N.2 / A.7 - Voci
#WRITE4RIGHTS 2021 Dal 25 Novembre al 23 Dicembre 2021
FIRMA UN APPELLO SALVA UNA VITA! LA TUA MARATONA PER I DIRITTI
(online proseguirà per tutta la 1° settimana di gennaio 2022)
#W4R2021 https://www.amnesty.it/maratone/firma-un-appello-salva-una-vita/
Quest’anno la maratona di lettere “Write for Rights” si concentra sulle persone prese di mira per il proprio attivismo pacifico, per le proprie opinioni o per le proprie caratteristiche personali: attivisti per i diritti LGBTI, ambientalisti e manifestanti pacifici. Queste persone sono state indebitamente picchiate, intimidite, incarcerate e grazie alla “Write for Rights” riceveranno messaggi di solidarietà da migliaia di persone in tutto il mondo. Loro e le loro famiglie sanno quanto sia importante non essere dimenticati! #Write4Rights 2021
OGNI FIRMA PUÒ VALERE UNA VITA Ogni giorno nel mondo ci sono persone che, per difendere un proprio diritto, rischiano la vita. Aiutaci con la tua firma a salvarli. Per scoprire di più sulle persone, le loro storie e TUTTI GLI APPELLI vai su https://www.amnesty.it/entra-in-azione/appelli/
FERMARE TUTTE LE COMMESSE DI ARMI ITALIANE ALLA TURCHIA La Turchia è da molti anni uno dei maggiori clienti dell’industria bellica italiana. Chiediamo all’Italia di sospendere tutte le forniture di armi verso la Turchia e di non limitare lo stop solo alle commesse future.
GIUSTIZIA PER LE VITTIME DI VIOLENZA SESSUALE NEL TIGRAY I soldati e le milizie alleate con il governo etiope hanno commesso stupri contro donne e ragazze di etnia tigrina e hanno inflitto a loro e ai loro cari danni fisici e psicologici gravissimi.
POLONIA: PROTEGGERE GLI AFGANI ALLA FRONTIERA Trentadue richiedenti asilo provenienti dall’Afghanistan sono bloccati al confine con la Polonia e la Bielorussia da settimane, con accesso limitato ad acqua, cibo, alloggi adeguati e cure mediche.
https://www.amnesty.it/appelli/fermare-tutte-learmi-italiane-alla-turchia/
https://www.amnesty.it/appelli/giustizia-per-levittime-di-violenza-sessuale-nel-tigray/
https://www.amnesty.it/appelli/poloniaproteggere-gli-afgani-bloccati-alla-frontiera/
Voci - DICEMBRE 2021 N.2 / A.7
SALOMÉ RISCHIA LA VITA Il governo del presidente Moreno deve garantire giustizia e protezione alle donne dell’Amazzonia che proteggono la natura e i nostri diritti umani. https://www.amnesty.it/appelli/salome-rischiaogni-giorno-la-vita/
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FERMIAMO LA DETENZIONE E LA TORTURA DI RIFUGIATI E MIGRANTI IN LIBIA Chiedi di porre fine agli orrori in Libia. https://www.amnesty.it/appelli/fermiamo-ladetenzione-la-tortura-rifugiati-migranti-libia/
ANNULLARE LE ACCUSE CONTRO JULIAN ASSANGE Gli Stati Uniti d’America devono annullare tutte le accuse contro Julian Assange, incluse quelle di spionaggio.
RIPORTIAMO-A-CASA-NAZANIN! Nazanin Zaghari Ratcliffe è una prigioniera di coscienza e deve essere rilasciata! https://www.amnesty.it/appelli/riportiamo-casanazanin/
https://www.amnesty.it/appelli/annullare-leaccuse-contro-julian-assange/
PARAGUAY: BAMBINE, NO MADRI! Ogni giorno, in Paraguay, due ragazze di età pari o inferiore a 14 anni diventano madri, sconvolgendo l’infanzia e le opportunità di vita di centinaia di ragazze ogni anno. https://www.amnesty.it/appelli/ paraguay-bambine-no-madri/
BIELORUSSIA: DIFENSORI DEI DIRITTI UMANI DETENUTI I difensori dei diritti umani bielorussi Ales Bialiatski, Valyantsin Stefanovich e Uladzimir Labkovich rimangono in custodia cautelare e affrontano accuse fasulle come rappresaglia per il loro lavoro presso Viasna, Centro per i diritti umani. https://www.amnesty.it/appelli/bielorussiadifensori-dei-diritti-umani-detenuti/
SALVIAMO AHMAD DALLA PENA DI MORTE Ahmadreza Djalali, ricercatore esperto di Medicina dei disastri e assistenza umanitaria, è stato condannato in via definitiva a morte da un tribunale iraniano con l’accusa di “spionaggio”. Le condizioni in cui persiste la detenzione di Djalali sono disumane: oltre alla continua paura dell’esecuzione, il ricercatore è sottoposto a continue e immense torture. https://www.amnesty.it/appelli/iran-ricercatoreuniversitario-rischia-la-pena-morte/
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FRUSTATO E CONDANNATO PERCHÉ BLOGGER Raif Badawi è un blogger saudita e prigioniero di coscienza. Deve essere liberato immediatamente! https://www.amnesty.it/appelli/frustato-econdannato-perche-blogger/
NIGER: STOP AI BAMBINI SOLDATO! La crisi nell’area tri-frontaliera del Niger è aumentata drammaticamente negli ultimi anni. ISGS che JNIM, i due principali gruppi armati che operano nella regione, hanno commesso crimini di guerra, compreso uccisione di civili e attacchi alle scuole. https://www.amnesty.it/appelli/niger-stop-aibambini-soldato/
QATAR: STOP ALLO SFRUTTAMENTO DEI LAVORATORI MIGRANTI! I lavoratori migranti sono al centro della realizzazione del sogno del Qatar di ospitare la Coppa del Mondo FIFA 2022. Ma 10 anni dopo che la FIFA ha assegnato il torneo al Qatar, migliaia di loro vengono ancora sfruttati da datori di lavoro senza scrupoli. https://www.amnesty.it/appelli/qatar-stop-allosfruttamento-dei-lavoratori-migranti/
FERMATE LE VIOLENZE DEGLI STATI UNITI CONTRO GLI HAITIANI Migliaia di haitiani stanno viaggiando verso il confine tra Stati Uniti e Messico per cercare asilo negli Stati Uniti con molti stanziamenti nei campi dopo che è stato loro negato l’accesso nel paese.
CILE: DALLA PARTE DI CAROLINA E DEL DIRITTO ALLACQUA! Verónica, Carolina e Lorena di Mujeres Modatima trascorrono le loro giornate tra vessazioni, sorveglianza, minacce e stigmatizzazioni a causa del loro attivismo in difesa del diritto all’acqua.
https://www.amnesty.it/appelli/fermate-leviolenze-degli-stati-uniti-contro-gli-haitiani/
https://www.amnesty.it/appelli/cile-dalla-partedi-carolina-e-del-diritto-allacqua/
GIUSTIZIA LE SOPRAVVISSUTE DI BOKO HARAM Difendi ora le donne vittime degli abusi e delle violenze sessuali subite. https://www.amnesty.it/appelli/giustizia-lesopravvissute-boko-haram/
..segue su Amnesty.it DICEMBRE 2021 N.2 / A.7 - Voci
«Io ho un sogno, che un giorno questa nazione si leverà in piedi e vivrà fino in fondo il senso delle sue condizioni: noi riteniamo ovvia questa verità, che tutti gli uomini sono creati uguali.» (Martin Luter King – Washington – 28 agosto 1963) www.amnestysicilia.org
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