TIRANA > ARCHITETTURA BALCANICA

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quadrimestrale in Italia € 12,00

RIVISTA DI ARCHITETTURE, CITTà E ARCHITETTI

TIRANA > ARCHITETTURA BALCANICA

image concept Elisa Ossino / photography Andrea Ferrari / ad Designwork

vasca Spoon XL, rubinetteria Fez design Benedini Associati (Bibi, Camilla, Giampaolo Benedini) e-mail: info@agapedesign.it www.agapedesign.it

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gennaio aprile

TIME OFF TIRANA > ARCHITETTURA BALCANICA

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e d i t r i c e

lebbeus woods emre arolat zoom studio panidea westfourth architecture neo arhitekti 3lhd bevk perovic` sadar vuga arhitekti

2008


AND Rivista quadrimestrale di architetture, città e architetti n°11 gennaio/aprile 2008 direttore responsabile Eugenio Martera direttore editoriale Paolo Di Nardo comitato scientifico Giandomenico Amendola, Gabriele Basilico, Miranda Ferrara, Maurizio Nannucci, David Palterer, Sergio Risaliti, Giorgio Van Straten redazione Tommaso Bertini, Filippo Maria Conti, Samuele Martelli, Alessandro Melis, Elisa Poli, Pierpaolo Rapanà, Daria Ricchi, Eugenia Valacchi coordinamento editoriale Giulia Pellegrini coordinamento redazionale Fabio Rosseti corrispondenti dalla Francia: Federico Masotto dalla Germania: Andreas Gerlsbeck traduzioni italiano-inglese Miriam Hurley, Selig Sas crediti fotografici le foto sono attribuite ai rispettivi autori come indicato sulle foto stesse. L’editore rimane a disposizione per eventuali diritti non assolti progetto grafico Davide Ciaroni impaginazione elettronica Giulia Pellegrini, Pierpaolo Rapanà

stampa Litograf Editor, Città di Castello (PG) web underscore.biz comunicazione re.publique - Comunicazione d’Architettura comunicazione@and-architettura.it abbonamenti abbonamenti@dnaeditrice.it arretrati joodistribuzione@joodistribuzione.it quadrimestrale una copia € 12,00 numero con speciale € 15,00 numeri arretrati € 24,00 abbonamento annuale (3 numeri) Italia € 36,00; Europa € 45,00; resto del mondo € 60,00 (posta ordinaria) Registrazione del Tribunale di Firenze n. 5300 del 27.09.2003 ISSN 1723-9990 © AND - Rivista di architetture, città e architetti (salvo diversa indicazione) © dei progetti di proprietà dei rispettivi autori AND - Rivista di architetture, città e architetti è una testata di proprietà di DNA Associazione Culturale via V. Alfieri, 5 50121 Firenze è vietata la riproduzione totale o parziale del contenuto della rivista senza l’autorizzazione dell’editore e dell’Associazione Culturale DNA. La rivista non è responsabile per il materiale inviato non richiesto espressamente dalla redazione. Il materiale inviato, salvo diverso accordo, non verrà restituito.

in copertina/cover 3LHD, Sports/City Hall Bale © Damir Fabijanic´

direzione e amministrazione via V. Alfieri, 5 - 50121 Firenze www.and-architettura.it redazione spazio A18 via degli Artisti, 18r - 50132 Firenze redazione@and-architettura.it editore DNA Editrice via V. Alfieri, 5 - 50121 Firenze tel. 055 2461100 info@dnaeditrice.it pubblicità Urban Media via V. Alfieri, 5 - 50121 Firenze tel. +39 055 2461100 - fax +39 055 2001820 info@urbanmedia.it distribuzione JOO Distribuzione via F. Argelati, 35 - 20143 Milano joodistribuzione@joodistribuzione.it

soci sostenitori ANCE TOSCANA ARX SEZIONE EDILE DI CONFINDUSTRIA FIRENZE CONTEMPORANEA PROGETTI GRANITIFIANDRE URBAN MEDIA


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EDITORIALE

UNO SPAZIO PER GOVERNARE, Albana Tollkuci

URBAN MAKE-UP, Pierpaolo Rapanà

ALTRI ORIZZONTI, Armand Vokshi

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INSURGENT SPACE, Elisa Poli

TRACCE DI UN FUTURO, Paolo Di Nardo

DATEMI I COLORI! Intervista a Edi Rama

CITTà gemellate, Eugenio Giani

TIPO & MOLTEPLICITà, Artan Shkreli

COSCIENZA DELLA REALTà, Agron Lufi

PIANIFICARE LA CITTà, Ariela Kushi

GHERARDO BOSIO, Marie Lou Busi

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L’ALTRA SPONDA DEL SOGNO, Ulisse Tramonti

LE IDENTITà DI TIRANA, Fatós Dingo

I BALCANI, Pedreag Matvejevic´

SARAJEVO RIVISITATA, Lebbeus Woods

EMRE AROLAT, Santralistanbul Museum

ZOOM STUDIO, Single house in Boyana

PANIDEA PROJECTS, Vertigo Building Complex

WESTFOURTH ARCHITECTURE, America House

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NEO_ARHITEKTI, Textil Commercial Building in Užice

3LHD, Sports/City Hall in Bale

´ Congress Centre in Brdo, House HB BEVK PEROVIC,

SADAR VUGA ARHITEKTI, Apartment House Gradaška


EDITORIALE

PAOLO DI NARDO

Nuovo formato, nuova veste grafica, nuovo logo, nuova sede, nuovo modo di parlare d’architettura e fare comunicazione quindi nuova visione editoriale, ma sulle basi ed i contenuti tipici dell’entusiasmo e della voglia di ‘racconto’ che ha dato l’avvio al primo numero nel dicembre 2003. Esiste almeno un momento della propria esistenza in cui si sente la necessità di svoltare e confrontarsi con il cambiamento. Si acquisiscono nel tempo una coscienza ed un equilibrio tali da riuscire a fondere novità e passato con prospettive e linguaggi inediti. Questo numero rappresenta la necessità di svolta, di crescita capace di accettare sia le inevitabili critiche che i plausi come risorsa della vitalità del ‘dibattito’ da sempre cercato dalla rivista. La novità che più di ogni altra rappresenta AND e ne sintetizza la vocazione originaria è la sua nuova sede in via degli Artisti 18 rosso a Firenze. Un luogo di lavoro, ma non solo. Una sede, ma anche AND, uno spazio di narrazione dell’architettura attraverso forme di comunicazione annoverate nel contenitore della ‘creatività’, grazie alle quali parlare di architettura, allontanandosi però dalla stretta appartenenza alla disciplina. Si materializza quel luogo di multidisciplinarietà ricercato fin dal primo numero. La prima uscita di questo passaggio esistenziale accoglie temi che nei prossimi anni saranno di grande novità e attualità: Tirana AND Architettura Balcanica. È affascinante leggere la voglia di ‘novità’ a Tirana come in tutti i Balcani, abbinata alla ricerca di quella lucidità che, pur soppressa da anni ed anni di occultamento culturale, ha permesso la coesistenza di appartenenze diverse e spesso contraddittorie. Fatós Dingo nel suo articolo ci indica una chiave di lettura metaforica estremamente stimolante: «proviamo ad immaginare la città come un corpo con linee, curve, corsi, fiumi e colori. Nei Balcani luoghi e corpi sono intercambiabili […] l’attaccamento al ‘luogo’ fisico fa nascere la sensazione di viverlo come estensione spaziale del proprio ‘corpo’ concreto e metaforico». La domanda centrale per capire e dare un contributo culturale sta proprio nell’interrogativo sul ‘come’ la modernità potrà trovare forme di coesistenza sostenibili con questi luoghi così complessi e «vissuti come estensioni del corpo». Ed infine: la modernità è verticale? E di conseguenza la modernità è solo autoreferenziale? Domande retoriche, ma non del tutto. Certo il pericolo è sempre in agguato anche in ambienti all’avanguardia come quello della capitale albanese, come dimostra il risultato di qualche concorso, anche molto recente. L’articolo di Albana Tollkuci dimostra però come sia diffusa una certa sensibilità progettuale contro un ‘chiasso’ architettonico spesso di maniera. La figura carismatica di Edi Rama si staglia con una visione proiettata verso il futuro, avendo saputo dare ‘colore’ ad una appartenenza distrutta e calpestata. In un mondo in cui tutto divide e crea antagonismo, una pennellata di colore può essere un modo per ‘velare’ di unitarietà aree geografiche più ampie dei Balcani: l’Europa, il resto del mondo.


8 New size, new layout, new office, a new way of comunicating architecture. All this led to a new editorial vision, but still based on the same enthusiasm that shaped contents and narrative style of the first issue of december 2003. There is a moment in life when the need of change comes about and calls awareness and balance to melt old and new in an unexpected view, with a new language. This issue represents the wind of change blowing from criticism and approval, both blessed as main sources of vtality for the debate brought by the magazine. The new seat of AND in Via Degli Artisti 18/r in Florence is the best representation of its intents. It sums up recent changes with the primary calling of the magazine. It is more than just an office. A working place but also the set of a new architectural telling contaminated with other forms of creativity. This space is the materialization of that multidisciplinary approach demanded since the first issue. Tirana AND Balkan Architecture is a quite unexplored topic in the architectural debate. Coming in touch with the desire of change is fascinating as much as discovering the clearness of mind

planimetria della città di Tirana/ Tirana’s city plan

allowing the long coexistence of divergine cultures. As Fatós Dingo points out with a striking metaphor: «Let’s try to imagine the city as a body with lines, curves, flows, rivers and colors. In the Balkans, places and bodies are interchangeable […] Attachment to the physical ‘place’ creates the feeling of experiencing it as a spatial extension of our tangible and metaphorical ‘body’». The main challenge that modernity has to face is to find a sustainable coexistence in such complex places «experienced as spatial extensions of the ‘body’». And finally: is modernity vertical? Is it only selfreferential? Not just rethorical questions. Not even the forefronts, like the ones of the albanian capital, are totally free from the risk, and the results of some recent architectural competitions are there to prove it. Still, Albana Tollkuci’s article demonstrates that a certain sensitivity has clearly arousen and taken voice and strenth over a spread mannered architecture. Edi Rama’s carisma and visions are giving ‘color’ to a mistreated heritage. In this world of separations and rivalries a brush-stroke of color can bring together much wider areas than just the Balkan region: Europe, the rest of the world.

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Mario Campi, Fabio Reinhard, Jano Agron – primo classificato membri del gruppo/members of the group Mario Campi, Fabio Reinhard, Jano Agron gruppo di progetto/design team Felix Gßnther, Rosario Galgano, Urduja Morelli consulenze/specialists Rinaldo Passera, Klaus Daniels

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Uno spazio per governare Concorso per il nuovo Parlamento della Repubblica d’Albania

giuria/jury Gae Aulenti (presidente/president), Iñaki Abalos, Preston Scott Cohen, Georg Pendl, Albert Dubler, Agron Lufi, Florian Nepravishta ente banditore/auctioneer: Parlamento della Repubblica di Albania/the Parliament of the Republic of Albania procedura/procedure concorso di progettazine in due fasi/design competition in two phases esito/result 11 gennaio 2007/January 11st 2007

A place for the government. Competition for the New Parliament of the Republic of Albania Tirana’s insatiable desire for modernity might make it the last European capital to see ‘postmodernity’ with fresh eyes. An international competition for the new headquarters of the democratic parliament was held last June in Tirana and judged by a jury headed by the Italian architect Gae Aulenti. Of the competition’s various function needs, the objective and main priority was respect for, and a critical approach, to the existing building, the former ‘Poli-Byro’, and location of the current parliament. This was also the main criteria for deciding the winner. The building was designed by architect Anton Lufi in the ‘50s with light neoclassical colors. For fifty years, the building was at the service of the former Communist dictatorship as the main headquarters of political representatives. It was a major site of the era’s decision making and historical political policies. This was the clear, specific definition given by the committee that preselected the participating architectural studios, describing its exacting interest in a new architectural ‘addition’. The addition was asked to fulfill the difficult task of putting two different cultures into dialogue; two different approaches separated by a great span of time, which had come together in an architectural union with a wider vision of a future

di/by

Albana Tollkuci

Spinta da un’inarrestabile esigenza di attualità, Tirana è forse l’ultima fra le capitali europee a promuovere, con occhi freschi di ‘postmodernità’, il concorso internazionale per la nuova sede del Parlamento democratico. Il concorso si è tenuto nel giugno scorso a Tirana, ed è stato guidato da una giuria presieduta da Gae Aulenti. L’obiettivo era, al di là delle ragioni strettamente funzionali, quello di avere un progetto che esprimesse rispetto ma anche senso critico nei confronti dell’edifico esistente, l’ex ‘Polibyro’, sede attuale del Parlamento. Questo tema è stato anche un punto fondamentale su cui si è basata l’aggiudicazione del concorso. Concepito negli anni ‘50, con chiari colori neoclassici, dall’architetto Anton Lufi, l’edificio servì durante i cinquant’anni della ex-dittatura comunista come sede principale dei rappresentanti politici ed era il luogo più importante in cui venivano promulgate le decisioni e le direttive storico-politiche dell’epoca. La commissione che ha redatto il bando del concorso, ha definito in maniera chiara e specifica l’interesse per un progetto che prevedesse una ‘aggiunta’ architettonica all’edificio esistente, che riuscisse a mettere a confronto, a far coesistere, due culture diverse, due diversi approcci, lontani nel tempo. Questi si dovevano incontrare in una sintesi architettonica che esprimesse una visione positiva del futuro di una cultura che ha ormai lasciato alle spalle un passato oscuro e lontano. Con simili premesse le proposte presentate sono state molto diverse fra loro: si andava da un eclettismo forse eccessivo, alla sopravvalutazione dell’iconografia storica albanese, fino al rigore razionale e formale ad una ‘dimissione’ raffinata, espressiva e decostruttiva, dove la proposta del nuovo oscillava fra la necessità di avere un nuovo segno evidente nel prospetto principale lungo il boulevard, e quello di non interferire sulla sua integrità formale e storica. Alla ricerca di un nuovo parlamento democratico di tutti gli albanesi, dopo un vivace dibattito architettonico, la corona del vincitore è stata assegnata al gruppo costituito da Mario Campi, Fabio Reinhard e Jano Agron. Un progetto ‘contrastante’ ed ‘antitetico’, fin dalla genesi: la proposta presenta un peso volumetrico rilevante che si sovrappone all’edificio preesistente, rapportandosi in maniera rilevante ad esso. Credo che in questa scelta abbia prevalso lo spirito politico, più che quello architettonico: questa soluzione, inserendosi con forza nel rigore lineare della silhouette ‘bosiana’ del Boulevard Brasiniano, esprime ancora una volta il desiderio di ‘rivalsa’ che pervade lo spirito della cultura e della società albanese che, come in un accennato paragone con Sisifo, vede realizzare con difficoltà i propri obiettivi.

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parliament, museum, library, buffet-bar

gallery public and journalists

gallery president and invited guests parliament chamber water feature lobby, entrance

parking public and journalists parking public and journalists parking public and journalists

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© Markus Pillhofer

© Markus Pillhofer

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SCALE | 1:400

Coop Himmelb(l)au, secondo classificato progetto/planning Coop Himmelb(l)au – Prix, Dreibholtz & Partner capogruppo/principal in charge Wolf D. Prix partner di progetto/project partner Frank Stepper respondabile di progetto/project architect Hartmut Hank progettista/design architect Karin Miesenberger gruppo di progetto/project team Jörg Hugo, Markus Tritthart, Anja Sorger, Ernst Stockinger assistenti/assistants Simon Exner, Bruno Mock visualizzazioni 3D/3D visualization Matt Kirkham modello/model: Edward Chapton, Paul Hoszowski architetti esecutivi/executive architects ARX con Armand Vokshi strutture/structural engineering EB+G Ingenieure, Bollinger und Grohmann acustica/acoustical engineering Arup/Brian Cody

cantilever with media facade café/library/museum entrance gate

the ramp to public gallery gallery public and journalists gallery president and invited guests main entrance

access to parliament comittee rooms

parliament chamber

that had left behind its dark past. In this difficult situation, as if in a field of landmines, the ideas presented by the architects were of all stripes, ranging in a spectrum of colors from a perhaps excessive eclecticism, to over appreciation of historic Albanian iconography, from a rational and formal precision, to a refined, expressive and deconstructionist ‘submissiveness’. The ideas for the new construction vacillated between the need to have a clear new mark on the main façade along the boulevard and the need to avoid interfering with its formal and historic integrity. In the search for a new democratic parliament for all Albanians, following a contemporary architecture debate, the winner’s mantle went to the group formed by Mario Campi, Fabio Reinhard and Jano Agron. The design chosen is ‘contrasting’ and ‘antithetical’ since the genesis: the project consists of a relevant volumetric weight that stuck on the preexistent building relating with it in a strong way. I think that, this time, political spirit has been more important than the architectural one: the solution thwarts the precise horizontal orientation of the ‘Bosian’ silhouette on the Brasinian Boulevard and it states again the desire for ‘repayment’ that permeates the Albanian’s cultural and social heritage. A metaphoric ‘Sisyphus myth’ that sometimes makes difficult to reach the goals.


Mario Cucinella Architects, terzo classificato architettura/architecture: Mario Cucinella Architects ingegneria/engineering: Politecnica Ingegneria e Architettura

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Polychromink tower, veduta dal basso/ bottom view of the Polychromink Tower pagina accanto/following page: acquerello della Polychromink Tower/watercolour sketch of the Polychromink Tower

Š FM Conti


Urban make-up Bolles+Wilson, cinque opportunità per Tirana

testo di/text by

Pierpaolo Rapanà

Urban make-up. Bolles+Wilson, five opportunities for Tirana The most interesting thing about Julia Bolles and Peter Wilson’s architecture is the simplicity of the narrative structure supporting each project, combined with an extraordinary ability to communicate. It seems to arise not only out of a strong bond with the specific nature of the built environment and of the cultural horizon against which it is set, but above all out of a creative process that synthesises the pragmatic and the conceptual, the day-to-day and the marvellous. Among the many projects designed for Tirana, restyling of existing buildings and projects under construction convey most effectively the studio’s philosophy – reconceptualisation is what Julia Bolles would call it. These are true maquillage projects, in line with Edi Rama’s strategy of creating a more attractive appearance for Tirana, a city the mayor himself describes with the appropriate metaphor of «a woman ready to get up off her sickbed». The German studio’s project concepts re-

Ciò che desta maggiore interesse nell’architettura di Julia Bolles e Peter Wilson è la semplicità della struttura narrativa che supporta ciascun progetto, unita ad una straordinaria capacità comunicativa. Essa sembra scaturire, oltre che dal forte legame con le specificità dell’ambiente costruito e dell’orizzonte culturale in cui si calano, soprattutto da un processo creativo che fa sintesi di pragmatismo e concettuale, di quotidiano e meraviglia. Tra i numerosi interventi messi a punto per Tirana, sono i progetti di re-styling di edifici esistenti o in fase di realizzazione a veicolare con maggiore efficacia la filosofia dello studio. Si tratta d’interventi di vero e proprio maquillage – riconcettualizzazione, direbbe opportunamente Julia Bolles – in linea con la strategia di Edi Rama, mirati a restituire un aspetto più ammiccante a Tirana, città che lo stesso sindaco descrive, con una riuscita metafora, come «una donna pronta ad alzarsi dal letto di malattia». I concept di progetto sviluppati dallo studio tedesco rinunciano alla monumentalità e a qualsivoglia carattere iconico e universale. L’idea forte è ricercata con approccio fenomenologico, attinge con ironia al costume e ai luoghi comuni, per far emergere le anomalie dell’intorno e tradurle in elementi di progetto. Nel façade concept per la Polychromink tower – il telaio dell’edificio era già in costruzione quando, nel 2004 Peter Wilson fu incaricato di ripensare l’immagine dell’edificio – Bolles+Wilson propongono di ‘infestare’ le facciate con megaschermi pubblicitari che ‘fanno il verso’ agli innumerevoli cartelloni sbiaditi disseminati nella città – quando si dice il sense of humour! I grandi schermi sembrano rivestire inoltre un ruolo squisitamente compositivo di ‘media scala’ al fine di placare lo slancio verticale della torre che si staglia su uno sfondo ad oggi prevalentemente orizzontale. Ma la forza d’immagine del progetto risiede in centinaia di sottili lamelle policrome che cingono l’edificio lungo il perimetro intero, senza soluzione di continuità, e danno il nome al manufatto. La policromia è celata ad una visione frontale per la disposizione a frangisole delle lamelle, e desta stupore nell’osservatore che avvicina l’edificio dalla strada e lo colora ad ogni passo, dall’alto verso il basso,

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viste del progetto Virtual Air-conditioners/ views of the Virtual Air-conditioners project

nounce the monumental and every kind of iconic, universal character. They aim to state a bold idea through a phenomenological approach, ironically drawing on everyday life and clichés to reveal the anomalies around them and translate them into elements of design. In the façade concept for the Polychromink tower – the structure of the building was already under construction in 2004 when Peter Wilson was appointed to redesign the building’s image – Bolles+Wilson suggested that the façades be infested with huge advertising screens that ‘make fun of’ the countless faded advertising posters around the city, adding a touch of humour. The screens seem to play an exquisitely compositional role on the medium scale, placating the vertical impulse of the tower, which stands out against a prevalently horizontal background. But the strength of the project’s image lies in the hundreds of fine polychrome sheets surrounding the entire perimeter of the building without interruption, giving it its name. This multicoloured

nature is not apparent from the front because the sheets are arranged as sunshades, but it surprises the visitor approaching the building from the street, gradually adding new colour to the building from top to bottom with each step forward. During the walk the building stands out against its colourful background, like a wet brush on a watercolour painting. As Peter Wilson himself says, his delicate watercolours are the reason for the artist/mayor’s predilection for these masters of narrative architecture. Their partnership began just before Rama was named best mayor in the world, after Architecture Studio of France won the competition for the Tirana masterplan. In 2005 Wilson was asked to prepare a colour scheme for a residential building on the corner of Ismali Qemali and 4 Shkurti. The building was not very exciting at all, but its location was prominent. And there was something unusual about it: the whole building was covered with satellite dishes and air conditioning boxes, like so many false ears


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acquerello del concept di facciata 9 story collage; pagina accanto: acquerello del progetto rationalists apartments/watercolour of the 9 story collage faรงade concept; following page: watercolour of the rationalist apartments project


and noses, which had appeared when the regime fell and people were anxious to grab at any opportunity for freedom. The pretext for the reconceptualisation is once again to be found in the anomaly. The air conditioner module is replicated over the entire façade with white patches like stations for future installations. This strategy makes the existing randomly distributed ‘parasitic’ boxes immediately plausible and legitimate. Another constant in Bolles+Wilson’s method is use of elements on the medium scale to harmonise dimensional ratios. In this case this task is given to a red/orange stripe emerging directly out of Peter Wilson’s watercolour sketch. In addition to the Nine Story Collage and Don Bosko II, two other colour concepts from the German studio are currently under construction: a whole block with the positive-sounding name optimistic vectors and an evolution of the scheme for camouflaging the air conditioners, entitled Alchemical Marriage of Air-Conditioners with Satellite Dishes… necessity is the mother of invention!

progressivamente. Così la passeggiata stempera l’edificio sullo sfondo colorato della città, come un pennello bagnato su un acquerello. Proprio dai tenui acquerelli di Peter Wilson, come racconta lo stesso architetto, nasce la predilezione del sindaco-artista per questi maestri dell’architettura narrativa. Il sodalizio nasce all’alba del conferimento a Rama del titolo di miglior sindaco del mondo, e a seguito del concorso per il masterplan di Tirana, vinto dai francesi dell’Architecture Studio. Nel 2005 arriva l’incarico di redigere uno schema cromatico per un edificio residenziale d’angolo tra Ismali Qemali e 4 Shkurti. Un fabbricato tutt’altro che entusiasmante, ma situato in posizione privilegiata. E con una particolarità: i piatti delle antenne paraboliche e le scatole dei condizionatori, rivestivano l’intero edificio come orecchie e nasi posticci spuntati alla caduta del regime per la troppa ansia di raccogliere ogni sentore di libertà. Il pretesto per la riconcettualizzazione è rintracciato ancora una volta nell’anomalia. Il modulo dei condizionatori è replicato sull’intera facciata con delle toppe bianche che suggeriscono postazioni per le future installazioni. La strategia rende immediatamente plausibile e legittima la dislocazione random delle piccole scatole ‘parassite’ già esistenti. Un’altra costante del metodo Bolles+Wilson consiste nell’utilizzo d’elementi di media scala per armonizzare i rapporti dimensionali. In questo caso il compito spetta ad una zebratura rosso-arancione scalata direttamente dallo schizzo acquerellato di Peter Wilson. Oltre al Nine Story Collage e al Don Bosko II, altri due colour concepts dello studio tedesco sono oggi in fase di realizzazione: un intero isolato dal ben augurante nome optimistic vectors [vettori ottimisti], e un’evoluzione dello schema di mimetizzazione dei condizionatori intitolato Alchemical Marriage of Air-Conditioners with Satellite Dishes [Unione alchemica tra un condizionatore d’aria e l’Antenna Parabolica]… di necessità virtù!

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Studio Sfera, edificio residenziale in via Hoxha Tahsin/Sfera Studio, housing in HoxhaTahsin street


Altri orizzonti Verso una nuova architettura albanese

testo di/text by

Armand Vokshi

Toward a new Albanian architecture In the postcommunist era, Tirana and Albania’s big cities have been transformed by rapid economic growth driving great changes: the country, now close to union with Europe, has found its western roots once again. The new executive class, represented by the latest generations, is an expression of this change. Culture and society have opened up to European lifestyles. The behaviours, meeting-places and habits of Albanian young people mirror this cosmopolitan mentality. Thus we now have a generation open to everything that is new, including many people educated in universities abroad, coming back home full of new ideas. One representative example is the Tirana City Hall, with its young staff ideally representing this renewal. Great economic and social dynamism is accompanied by great urbanisation: the city skyline is continually changing and construction sites sprout up everywhere, drawing a ‘new’ image of the city. In this frenetic rush to build the landscape is changing constantly, with specimens of contemporary architecture appearing alongside buildings constructed purely out of speculation. In the past, the regime preached the rigid, monotonous style of socialist realist architecture for years and years: boring cement grey was the dominant colour. The canons of modern architecture were considered blasphemous and were not taught in universities. The system marginalised architects and intellectuals whose ideas did not fit into the imposed canons. One sad example is the impri-

Nell’era del post-comunismo, Tirana e le grandi città albanesi sono state travolte da una rapida crescita economica, motrice di grandi cambiamenti. Il paese, oramai prossimo ad una coesione con l’Europa, ritrova le proprie radici occidentali. La nuova classe dirigente, rappresentata dalle ultime generazioni, è espressione di questo cambiamento. Cultura e società si sono aperte agli stili di vita europei; i comportamenti, i luoghi di ritrovo, le abitudini dei giovani albanesi rispecchiano questa mentalità cosmopolita. In tale contesto si inserisce una generazione aperta al nuovo, formatasi spesso in università straniere e ricca di idee da portare nella propria nazione. Rappresentativo, a tal proposito, è il Comune di Tirana: il suo giovane staff è espressione di questo rinnovo. Il forte dinamismo economico e sociale è accompagnato da una grande urbanizzazione: lo skyline delle città è in continua evoluzione. Numerosi sono i cantieri che tratteggiano una ‘nuova’ immagine. In questa frenetica corsa edilizia si delinea un paesaggio mutevole dove accanto ad opere di pura speculazione si tracciano esempi di architettura contemporanea. In passato il regime ha predicato per lungo tempo gli stilemi dell’architettura real-socialista, rigida e monotona. Il noioso grigiore del cemento è stato il colore dominante. I canoni dell’architettura moderna sono stati additati come blasfemi e per questo non insegnati nelle università. Il sistema, infatti, ha emarginato architetti e intellettuali con idee non riconosciute dai canoni imposti. Un triste esempio è stato l’incarcerazione dell’abilissimo architetto e pittore Maks Velo, perseguitato per i suoi pensieri ‘occidentali’. La negazione del ‘vicino’ passato, dopo la caduta del regime, ha lasciato posto al nuovo modo di pensare. La rigidezza degli edifici real-socialisti è stata sostituita da un’architettura vivace e movimentata, dai colori accesi e ricca di nuovi materiali. La classe degli architetti si è formata in maniera autodidatta assorbendo concetti, forme e linguaggi oltre i confini, per poi reinterpretarli nei loro progetti. L’architettura contemporanea è caratterizzata da questa vivacità di cromie, non solo per il rifiuto verso il passato, ma anche per il coloratissimo intervento di ‘make-up’ fatto dal sindaco Edi Rama su Tirana. Un altro elemento di crescita per la qualità dell’aspetto urbano è la partecipazione di studi di fama internazionale, le cui opere sono motivo di confronto per gli architetti locali. Alla luce di quanto detto sopra si sono scelti due edifici realizzati a Tirana da studi albanesi: Studio Sfera e Atelier 4. L’architetto Artan Shkreli – Studio Sfera ha progettato un edificio nella centrale via Hoxha Tahsin, l’architetto Artan Shkreli ha progettato un edificio residenziale insolito per il suo modo di confrontarsi con l’architettura adiacente costruita durante il regime. Il colore giallo acceso esalta il gesto che lo distingue in facciata piegandosi verso la strada negli ultimi due piani; il singolare edificio è divenuto un punto di riferimento per la zona.

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nome progetto/project name Edificio residenziale e direzionale in via Hoxha Tahsin/residential and executive building on Hoxha Tahsin road progetto/design Sfera Studio – Artan Shkreli, Daniel Gjoni, Artan Raça, Anila Katundi strutture/structures CCS Konstruksion – Arben Dervishi, Ervin Paçi impianto elettrico/electrical system Fatmir Brati impianto idraulico/plumbing Mamica Babi superficie coperta/covered area 117 mq/sqm superficie totale/total area 873 mq/sqm progettazione/design date 2003 realizzazione/realization 2003-2004

pianta ultimo piano/last floor plan

pianta piano tipo/main floor plan

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Atelier 4, edificio residenziale/ Atelier 4, residential building

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sonment of the highly talented architect and painter Maks Velo, persecuted for his western-inspired ideas. Denial of the ‘near’ past after the fall of the regime gave way to a new way of thinking. The rigidity of socialist realism has given way to a lively new form of architecture featuring bright colours and new materials. The new class of architects is self-taught, and has absorbed concepts, forms and idioms from beyond the country’s borders to

reinterpret them in its own projects. Today’s architecture is characterised by bright colours, not only as a rejection of the past but because of the brightly-coloured ‘make-up’ work by Mayor Edi Rama in Tirana. Another element of growth in terms of the quality of the urban landscape is the participation of internationally renowned architectural studios, whose works provide inspiration for local architects.

In view of the above we have selected two buildings constructed by Albanian architectural studios in Tirana: Studio Sfera and Atelier 4. Studio Sfera designs also a residential building. In the city’s central Hoxha Tahsin street, architect Artan Shkreli has designed a residential building which dialogues with the buildings around it, constructed under the regime, in an unusual way. Its bright yellow colour underlines the gesture that makes its façade stand out, bending toward the road on the top two floors; the unusual building has become a landmark in the neighbourhood. Atelier 4 designs a residential building located in a former industrial zone in the suburbs, including both homes and commercial spaces. The project is inspired by the idea of toning down the monotonous size of the huge volume by creating blocks of different heights linked together by a yellow vein dividing different colours and materials on the façades. The result is therefore an image of a dynamic, constantly growing city, expressed in architecture. At this time of concentrated development, however, there are also non-places being created, non-architectures resulting from a lack of regulation, with no legislature to protect design, giving free rein to the developers.


nome progetto/project name Edificio residenziale e direzionale in via Ndre Mjeda/residential and executive building on Ndre Mjeda road progetto/design Atelier 4 – Tamara Eftimi, Altin Premti, Alban Eftimi, Olsi Eftimi, Andi Eftimi strutture/structures LEAL-CSE committente/client A.I.C. shpk appaltatore/contractor A.I.C. shpk superficie totale/total area 22.000 mq/sqm fine lavori/completion 2008 costo/cost 6.000.000 euro

Atelier 4, edificio residenziale/ Atelier 4, residential building

L’edificio residenziale progettato da Atelier 4 è situato in un’ex-area industriale periferica ed accoglie residenze e ambienti commerciali. Il progetto nasce dall’idea di smorzare la monotona grandezza dell’enorme volume, creando blocchi di diverse altezze legati tra loro da una venatura gialla che divide, sulle facciate, colori e materiali. Si delinea, dunque, l’immagine di una città dinamica e in costante crescita dove l’architettura ne è l’espressione. In questo concitato sviluppo, però, prendono forma anche i ‘non luoghi’, le non architetture frutto di una carente legislatura che, nella maggior parte dei casi, non tutela l’idea progettuale lasciando libero campo alle ditte costruttrici.

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Kirsten Pieroth giugno 2006/June 2006

Elena Jovanova, luglio 2005/July 2005

Armand Lulaj luglio 2005/July 2005

Armand Lulaj aprile 2005/April 2005


Insurgent space Ventiquattr’ore d’arte a Tirana

a cura di/by

Elisa Poli

The Balkans. Albania. Tirana. A brief survey of the relationship between art, architecture and the city. We will attempt to tell this story, or rather present an overview. To do this we need to create an image which is consistent but must nonetheless be made up of many small tiles put together like one of the great mosaics scattered here and there around the country, memorials to the regime, like the speeded-up history that, after fifty years of paralysis under the dictatorship, is now attempting to make up for lost time with lots of energy and very little money. For several years now the Albanian capital has been experiencing an air of artistic renewal encouraged by the sensitivity of mayor Edi Rama – who was an artist before he became a politician – promoting a series of projects focusing citizens’ attention on urban space. The well-known buildings constructed under the regime in the heart of the city are surrounded by poorer districts corroded by years of neglect and huge, ever-growing building sites. Whole apartment buildings, decaying and anonymous, have been repainted by artists expressly asked to give the city a new look. While the operation may seem to affect only the outer surfaces of the buildings, the concept behind it runs much deeper: underneath this thin layer of paint, the colour of which is never random because it is imagined as the go-between in a dialogue made up of images – as the references to Bruno Taut’s work demonstrate – lie the issues at the heart of Albania’s problems: political uncertainty, economic backwardness, uncontrolled speculation and cul-

Balcani. Albania. Tirana. Breve indagine sul rapporto tra arte, architettura e città. Tentiamo un racconto o, meglio, una veduta d’insieme. Per farlo occorre creare un’immagine coerente ma necessariamente fatta di piccoli tasselli, come i grandi mosaici sparpagliati per il paese, memoria del regime, come la storia a doppia velocità che dopo cinquant’anni di paralisi dittatoriale cerca ora di recuperare il tempo perduto con molta energia e pochissimi mezzi. La capitale albanese vive ormai da alcuni anni in un clima di rinnovamento artistico incentivato dalla sensibilità del sindaco Edi Rama – artista prima che politico – il quale ha promosso una serie di interventi volti a focalizzare l’attenzione dei cittadini sullo spazio urbano. Ai margini delle più note architetture costruite nel periodo del regime, che formano il cuore della città, si dipanano quartieri popolari ormai corrosi dall’incuria e grandi cantieri in espansione continua. Interi caseggiati, fatiscenti e anonimi, sono stati ridipinti da artisti chiamati espressamente per valorizzare la città. Se questa operazione sembra interessare solo la superficie dei palazzi la portata concettuale è di ben altro spessore: sotto il sottile strato del colore, mai casuale perché immaginato come tramite di un discorso fatto per immagini – come dimostrano i rimandi all’opera di Bruno Taut – si nascondono i temi nevralgici della questione albanese: incertezza politica, arretratezza economica, speculazione selvaggia e crisi culturale accentuate da un trend migratorio che dimostra le profonde difficoltà di vita nel paese. Le facciate dipinte rappresentano la volontà di rinascita, il bisogno di veicolare questo messaggio attraverso il mezzo artistico che, grazie anche alla creazione nel 2001 della Biennale d’Arte di Tirana, diventa principale promotore del nuovo volto che vuole assumere il paese. I nomi degli esponenti del modo dell’arte sono internazionalmente noti: Anri Sala, Adrian Paci, il kosovaro Sislej Xhafa, Besnik Haxhillari e giovani emergenti come Armand Lulaj, Genti Korini, Dritan Hiska e Ardian Isufi. La maggior parte di questi rappresenta ormai una voce fuori campo sul problema albanese visto che molti hanno deciso di trasferirsi all’estero per poter continuare a lavorare. Ma grazie alla Biennale il senso di marcia si è, almeno in parte, invertito: molti artisti stranieri hanno partecipato a questo evento (per mancanza di fondi non si è però svolta l’edizione del 2007) e, quasi a costo zero, hanno prodotto riflessioni e suggestioni all’interno della cornice urbana. L’ultima edizione, Sweet Taboos, ha avuto come sede principale un edificio residenziale non ancora completato. Le opere dialogavano con un cantiere – tipico proprio della speculazione prodottasi nella capitale – che veicolava i disvalori su cui gli artisti si sono trovati a riflettere. L’espansione non controllata della città rispecchiava il non controllo sociale come si è visto, ad esempio, nell’intervento di Suela Qoshja, che si è auto-rappresentata in una serie d’immagini impersonando una giovane prostituta albanese. Quasi tutti gli artisti hanno lavorato infatti su temi politici di forte impatto emotivo, supportati da questa inconsueta cornice architettonica. Lontano dai simboli istituzionali Edi Muka, storico

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I percorsi degli autobus Bus routes map Non sono i leziosismi grafici ad inspessire l’aura di Nikolin Bujari. L’importanza dei suoi interventi risiede nella ‘necessità’, nell’urgenza di un’azione di ‘richiamo alla realtà’ per evidenziare un disagio, un’anomalia, un bug del sistema. Si prendeva il bus ‘a naso’ perché la mappa degli itinerari degli autobus di Tirana semplicemente non esisteva, ma nessuno se ne era ancora accorto. Nikolin Bujari’s artistic aura does not depend on an affected design. The importance of his work is to be found in the ‘necessity’, in the urgent need of disclosing some discomfort, fault, or system bug. People used to jump on a bus hoping it would go in their direction, for there was no bus routes map in Tirana. Nikolin was the firstone to notice it.

tural crisis, accentuated by a migratory trend that reveals just how difficult life is in the country. The painted façades represent a desire for rebirth and a need to convey this message through art which, with the 2001 creation of the Tirana Art Biennial, is becoming the principal promoter of the new face the country wants to put on. The names of its artists are known the world over: Anri Sala, Adrian Paci, the Kosovar Sislej Xhafa, Besnik Haxhillari and young emerging artists like Armand Lulaj, Genti Korini, Dritan Hiska and Ardian Isufi. Many of them are commenting on Albania’s problems from offstage, having gone abroad to work. But the Biennial is in part reversing the direction of the flow: numerous foreign artists came to Albania to participate in the event (which was not held in 2007 due to lack of funds), producing reflection and ideas on the urban setting at almost no cost. The most recent Biennial, Sweet Taboos, was based primarily in a residential building which has not yet been completed. The artworks dialogued with a building site – typical of the speculation going on in the capital – representing precisely the absence of values the artists were reflecting on. The city’s uncontrolled expansion mirrors its lack of social control, as was the case, for example, in Suela Qoshja, a project which represented itself in a series of images impersonating a young Albanian prostitute. Almost all the artists worked on political themes of great emotional impact, supported by this unusual architectural setting. Far removed from the institutional symbols, Edi Muka, the historic curator of the Modern Art Museum in Tirana and promoter of the very recent TICA (Tirana Institute of Contemporary Art), wanted to emphasise how art can infiltrate itself between the folds of a city that is apparently impermeable to creativity. In this broken-up scenario the project that has met with the greatest success is by a young Italian artist curator, Stefano Romano, whose experience falls

in alto, da sinistra/top, from the left: Jakup Ferri, febbraio 2006/February 2006 Dren Maliqi, dicembre 2005/December 2005 Nikolin Bujari, mappa degli eventi a Tirana da gennaio 2005 a settembre 2006 e mappa dei percorsi degli autobus/Nikolin Bujari, events map in Tirana from January 2005 to September 2006 and bus map

somewhere in between artistic practice and urban renewal. His work consists of a series of performances, operations that take place within a twenty-four hour time range in significant spaces in the capital city, each produced by a different artist called by curators contacted by Romano himself. The title of the project, 1.60 Insurgent Space, has a number of meanings: OnepointSixty refers to the amount of time it takes a camera’s shutter to trigger a flash, a fraction of a second, while InsurgentSpaces refers to the locations where these lightning events take place: marginal places, squares, markets, public transportation vehicles, abandoned buildings, social housing, obsolete buildings, and Impermanent Citizenry, an idea repeatedly expressed in the many articles dedicated to him by the curator, is the hypothetical set of all the people who use these spaces, people in transit who do not want to appropriate non-institutional places to make them part of a codified system but are simply temporary guests, not there permanently. Conceived by Edi Muka and encouraged by the attention dedicated to each event by the national media, 1.60 brings together a system of experiences of different types. Begun in 2005 and completed in September of 2006, after 47 events with the participation of 60 artists, as Romano himself explains: «1.60 also arose out of the need for discussion of the Albanian frontiers, closed to the country’s own inhabitants. It’s as if the flow were officially allowed in one direction only, coming into the country, as if Albania had to absorb everything the west produces, unable to reject anything. In actual fact, as nature teaches us, there has to be a release valve somewhere, and perhaps, after the hordes of clandestine emigrants in the early ’nineties, today this valve might be exportation of new cultural models to increasingly decadent western Europe». It is no matter of chance that this experience has formed such an empathetic relationship with the city, rea-

wakening Albanians’ attention with such effective episodes. There is no desire for permanence, but simply traces that gradually disappear, as in the work of Jakup Ferri, who incorporated a series of drawings in the ruins of the Artists’ Bar, where the students of the Academy used to gather, now reduced to rubble. The project, quickly put together en plein air, is still visible in the scraps of paper sticking to the crumbling walls like wallpaper. A memory of the place that was a phantasmatic presence, a suggestion of life for space, occupied and then abandoned immediately afterwards. In other cases places have been replaced with crossings, with routes, as in Nikolin Bujari’s project focusing attention on the new bus platforms in various parts of the capital. The free spaces on the platforms have been occupied by advertising images, and no-one has thought to leave any room for bus timetables and routes. Covering commercial messages with information on the city, even for a single day, attracted a lot of attention from users, who saw the spaces as publicly useful for the first time. The bus also provided the location for Sislej Xahfa’s work, giving paper and pens to all the passengers on a bus and asking them to draw the most interesting places they came across along the route. Knowing how to look at the city and represent it in images is another way of attracting attention to urban culture, addressed in a light yet effective way. And there are many more examples, from showing a video in a notorious old porn cinema in Tirana to exchanging linens in a market. Some of these experiences bordered on the illegal, as was the case of three exhibitions held in a university residence which was actually more like a dormitory than decent student housing. Here three artists, Shkurti, Shkreli and Pema, created a rave-like atmosphere to remind other young people how much artistic expression can affect the visibility of places, even in a single night.


direttore del Museo d’Arte Moderna di Tirana e promotore del recentissimo TICA (Tirana Institute of Contemporary Art), ha voluto sottolineare come l’arte sappia infiltrarsi tra le pieghe di una città apparentemente resa impermeabile alla creatività. In questo frastagliato quadro il successo maggiore è stato ottenuto dal progetto di un giovane artista e curatore italiano, Stefano Romano, protagonista di un’esperienza a metà strada tra la pratica artistica e la riattivazione urbana. Si tratta di un gruppo di interventi puntuali, performance, operazioni consumate nell’arco delle ventiquattr’ore all’interno di spazi significativi della capitale, prodotte ogni volta da artisti diversi chiamati da curatori contattati a loro volta dallo stesso Romano. Il titolo del progetto 1.60 Insurgent Space ha diverse declinazioni: OnepointSixty fa riferimento al tempo impiegato dall’otturatore della macchina fotografica prima di scattare il flash, una frazione di secondo, InsurgentSpaces richiama i luoghi che sono protagonisti di questi eventi fulminei, luoghi marginali, piazze, mercati, mezzi di trasporto pubblici, edifici abbandonati, popolari, obsoleti, mentre Cittadinanza Impermanente, idea più volte espressa nei numerosi articoli a lui dedicati dal curatore, è l’insieme ipotetico di tutti coloro che usufruiranno di questi spazi, persone in transito che non vogliono appropriarsi di luoghi non-istituzionali per poi renderli parte di un sistema codificato ma semplicemente ospiti temporanei, non permanenti appunto. Voluto da Edi Muka e cresciuto attraverso l’attenzione che i media del paese hanno dedicato ad ogni evento 1.60 raccoglie un sistema di esperienze dai molteplici caratteri. Iniziato nel 2005 e terminato a settembre del 2006, dopo 47 eventi che hanno visto la partecipazione di 60 artisti, come spiega lo stesso Romano: «1.60 è nato anche come bisogno di aprire una discussione riguardo alle frontiere albanesi, chiuse per i suoi stessi abitanti. È come se fosse stato imposto un flusso (ufficiale) in un’unica direzione, quella in entrata, come se l’Albania dovesse assorbire tutto ciò che l’occidente produce, senza possibilità di rigetto. In realtà come la natura insegna, una valvola di sfogo da qualche parte deve pure esserci e forse dopo le ondate di clandestini dei primi anni ‘90, oggi quella valvola potrebbe essere l’esportazione di nuovi modelli culturali verso l’ormai sempre più decadente Europa occidentale». Non è un caso se questa esperienza ha saputo relazionarsi in modo tanto empatico con la città, risvegliando l’attenzione degli albanesi con episodi così efficaci. Nessuna volontà di permanenza ma tracce che lentamente scompaiono come nell’opera di Jakup Ferri che ha inserito una serie di disegni tra le macerie del Bar degli Artisti, ex ritrovo degli studenti dell’Accademia, oggi ridotto a rudere. L’intervento, en plein air, montato in rapidità, è ancora visibile nei piccoli brandelli di carta che ricoprono, come una suggestiva carta da parati, le pareti scrostate. Memoria del luogo che fu, fantasmatica presenza, ipotesi di vita dello spazio, occupato e subito abbandonato. Altre volte al luogo si è sostituito l’attraversamento, il percorso, come nel progetto di Nikolin Bujari che ha concentrato la sua attenzione sulle nuove pensiline per gli autobus collocate in varie zone della capitale. Gli spazi liberi delle pensiline sono stati occupati dalle immagini pubblicitarie e nessuno ha pensato di lasciare uno spazio per gli orari o il tragitto degli autobus. Coprire, anche solo per un giorno, i messaggi commerciali con apposite segnaletiche urbane, ha prodotto una nuova attenzione da parte degli utenti che per la prima volta hanno visto questi spazi secondo una logica di utilità pubblica. L’autobus è stato anche il luogo dell’azione di Sislej Xahfa, il quale ha fornito carta e penna a tutti i passeggeri di un mezzo pubblico chiedendo loro di disegnare i luoghi più significativi incontrati lungo il tragitto. Saper guardare la città e raccontarla attraverso le immagini è, di nuovo, un modo per richiamare l’attenzione sulla cultura urbana, affrontato qui in modo leggero ed efficace. Ma gli esempi sono davvero molti, dalla proiezione di video in un ex cinema a luci rosse, famoso a Tirana, allo scambio di biancheria in un mercato. Alcune di queste esperienze hanno rasentato l’illegalità come è avvenuto con tre mostre collocate in una residenza universitaria, forse più simile ad un dormitorio che ad un decoroso alloggio per studenti. Qui tre artisti, Shkurti, Shkreli e Pema hanno creato un’atmosfera quasi da rave ricordando ai loro coetanei quanto l’espressione artistica possa incidere, anche solo nell’arco di una notte, sulla visibilità dei luoghi.

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decorazioni colorate realizzate da Nga Marku/coloured decorations realized by Nga Marku


Tracce di un futuro di/by

Paolo Di Nardo

Traces of the future Every city has its own way of telling its story, in a crescendo leading from the ‘conspicuous’ to the most hidden, out-of-the-way spaces of urban existence. Every city has its own way of explaining what it is, in a linear path with narrative jumps articulated over time, through a uniform vocabulary that can make even the most attentive reader sleepy. Listening to Tirana tell its story has the same effect and the same transport as the encounter with the ‘illustrious stranger’ which the randomness of life brings to us at an unplanned time and place, as for instance during a long trip in an old-fashioned railway carriage: a meeting that will then stay with you for the rest of your life. And so, magically, the illustrious stranger bears its soul to you without any superimposed constructions, without any fears, without any moralising or pre-constituted language: a true story made up of uncertainties and relativity. If you want to get to know the real Tirana, you need to listen to it, to wait for it to express itself through strong emotions after its apparent impassivity and understandable self-defence. This city does not express itself all at once, but it leaves its mark, it makes its motions, it makes its sufferings felt, though without admitting it, in defence of a wounded pride that looks toward the future. The secret to getting to know this ‘illustrious stranger’ lies precisely in those flashes of the future that it casts toward the interlocutor, often shouts and sounds of expectation rather than images or refle-

Ogni città racconta a suo modo il proprio essere con un crescendo che dalle ‘evidenze’ porta fino agli spazi più reconditi e nascosti dell’esistenza urbana. Ogni città ha il suo modo di raccontare se stessa, attraverso un percorso lineare, con salti narrativi scanditi nel tempo, attraverso un’uniformità di linguaggio capace di assopire anche il lettore più attento. Ascoltare Tirana che racconta se stessa ha lo stesso effetto e lo stesso trasporto dell’incontro con ‘l’illustre sconosciuto’ portato dalla casualità della vita in luoghi e tempi non programmabili, come potrebbe accadere durante un lungo viaggio in una carrozza di vecchi treni, un incontro che poi ti accompagna per tutta l’esistenza. E così, magicamente, l’illustre sconosciuto ti apre l’anima senza sovrastrutture, senza paure, senza moralismi o linguaggi precostituiti: un racconto vero fatto di incertezze e relatività. Chi vuole conoscere Tirana, quella vera, deve saperla ascoltare, deve attendere che si esprima attraverso un’emozione forte dopo l’apparente durezza o comprensibile difesa verso l’altro. Questa città non si esprime di colpo, ma lascia dei segni, lancia degli ammiccamenti, fa sentire le proprie sofferenze, senza però ammetterlo, in difesa di un orgoglio ferito che vuole guardare avanti. Il segreto per conoscere ‘questa illustre sconosciuta’ sta proprio nei flash di futuro che sa lanciare all’interlocutore, spesso sono grida e rumori di aspettative più che immagini o sensazioni riflessive. Walter Benjamn consigliava a proposito delle città ricche di complessità un percorso di conoscenza molto particolare: «Orientarsi non vuol dir molto, ma smarrirsi come ci si smarrisce in una foresta è cosa tutta da imparare». A Tirana lo ‘smarrimento’ non appartiene alla sfera spaziale, è allusione, premonizione di un futuro prossimo attraverso sensazioni di contrasto legate al mondo percettivo: luce abbagliante e di colpo penombra, rumore e improvvisamente silenzio, ma soprattutto grigio e d’un tratto colore. L’orgoglio della città risiede proprio in questa smania di annullamento del ‘grigio’ troppo facilmente e simbolicamente legato ad un mondo passato e allo stesso tempo recente. Ecco quindi che il colore prende sempre più il sopravvento sul grigio, sul non-colore, pennellando edifici, finestre, balconi, tetti, basamenti e tutto ciò che rappresenta il limite fra lo spazio privato e quello pubblico. Anzi, più precisamente, tutti quei limiti urbani che attraverso il colore possano riappropriarsi del dialogo interrotto fra cosa pubblica e cosa privata. Capire la logica insediativa del colore a Tirana ha condotto la nostra analisi della città cercando di comprendere quali trame urbane fossero coinvolte e perché. Ne nasce una mappa del colore che avvolge gli spazi urbani più importanti della città, come il fiume Lana attorno al quale il colore si manifesta come un recinto, un vero limite. Questo non è casuale, come non può essere superficiale pensare al colore come quinta urbana al parco fluviale nel centro della città. è anche questo ma non

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mappatura della concentrazione e della distribuzione dei colori sui palazzi delle principali arterie di Tirana (elaborazione grafica Davide Ciaroni)/mapping the concentration and the distribution of the coloured building along the main streets in Tirana (graphics by Davide Ciaroni)


xive sensations. Walter Benjamin recommended a particular way of getting to know highly complex cities: «Finding your way around doesn’t mean a lot, but getting lost the way one would get lost in a forest is something you need to learn to do». In Tirana, ‘getting lost’ is not a matter of the spatial sphere; it is an allusion, a premonition of the near future through contrasting sensations linked with the world of perceptions: dazzling light and sudden darkness, noise and sudden silence, but above all, greyness and then, suddenly, colour. The city’s pride lies precisely in this mania for getting rid of the ‘grey’ too easily and symbolically linked with a world of the past which is at the same time recent. And so colour is increasingly taking over from grey, from non-colour, brushing in buildings, windows, balconies, roofs, basements and everything representing the boundary between public and private space. Or, more precisely, all those urban boundaries that can use colour to reappropriate the interrupted dialogue between the public and the private. Understanding the logic behind the use of colour in Tirana has been the guiding theme behind our analysis of the city, our attempt to understand what urban themes are involved and why. The result is a map of colour that surrounds the city’s most important urban spaces, such as the Lana River,

around which colour takes the form of a fence, a true boundary. This is not a matter of chance, just as colour cannot superficially be viewed as an urban backdrop to the river park in the city centre. It is this, but it is more than this. It means re-appropriating those passages that are so important for a Mediterranean city, between private places overflowing with secret life and public places where Albanian pride and sense of belonging give expression to a deep-seated longing and desire to belong. So it is not just make-up, but a true structure of spatial and existential cohesion that uses a particular feature of colour, its diversity, to reveal the many relations between full and empty volumes in the city. The study started out looking not only at the basis for the installation of colour but also the way in which it is expressed, through statistics based on its use. As our analysis progressed we realised the history-making power of colour as a tool capable of giving the city new meaning, rather than just a new face. Edi Rama dreams of a smiling, winking Tirana that the world will recognise for its colours, and ironically hopes that one day the Japanese will come to this far-away city to photograph it and its colours. In Tirana colour is happiness in action, consciousness of time but above all communication and planning for a near future coming closer and closer with stronger and stronger brushstrokes.


solo. Significa riappropriarsi di quei passaggi importanti per una città mediterranea fra i luoghi privati colmi di una vita segreta e i luoghi pubblici dove l’appartenenza e l’orgoglio albanese possono dare sfogo ad una profonda smania e ricerca dell’appartenenza. Non solo un maquillage, quindi, ma una struttura vera di coesione spaziale ed esistenziale che attraverso una peculiarità del colore, la diversità, mette in gioco molteplici rapporti fra pieni e vuoti urbani. L’inizio della ricerca si fondava non solo sull’insediamento del colore ma anche sul modo in cui questo si esprimeva attraverso una statistica basata sul suo utilizzo. Con il progredire dell’analisi ci siamo resi conto invece della forza epocale del colore come strumento capace di dare un nuovo senso alla città più che un nuovo volto. Nel sogno del sindaco Edi Rama c’è una Tirana sorridente e ammiccante capace di essere riconoscibile nel mondo proprio per i colori che accoglie fino a sperare, ironicamente, che un giorno i giapponesi verranno in questa città lontana a fotografarla e a fotografarne proprio i colori che le appartengono. Il colore a Tirana è felicità nell’atto, consapevolezza nel tempo, ma soprattutto comunicazione e progetto di un futuro prossimo che si sta avvicinando con pennellate sempre più forti.

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© Albana Tollkuci

© Albana Tollkuci

© Albana Tollkuci


Datemi i colori! Paolo Di Nardo

intervista/interviews Edi Rama foto/photo Filippo Maria Conti

Give me colors! Paolo Di Nardo The end of the totalitarian regimes induced the Balkan states to a new, more individualistic, understanding of urban space. What is going on in Albania and especially in Tirana? Edi Rama The transition to democracy was particularly dramatic in Tirana, and the rest of Albania, unlike the other Balkan states. Our society has always been particularly closed-off, with no ‘windows’onto the western world, completely collectivised, entirely opposed to the individual and to expression of individuality in any form. In Albania, all public space was nationalised; there was no private property at all. What happened at the time of change was individual re-appropriation of space and rejection of any kind of joint effort to manage spaces that had been rediscovered and reclaimed. There was a dramatic break with the past in which the individual took revenge against everything representing the State, after 50 years of imposition of a form of ‘public space’ in which everything was ‘ours’ but nothing was ‘mine’. In the beginning this brought horrors that no-one outside Albania could understand, so that for a long time ‘Albanians’ were considered equivalent to ‘barbarians’, people with no compass to orient themselves in democratic European culture. This was a time of great fear, of violence against everything representing the State. It was like a war: bridges were blown up to prevent the enemy from coming back. And so people burnt thousands of hectares planted with orange trees and olive trees,

Paolo Di Nardo La fine dei regimi totalitari ha spinto i paesi balcanici a confrontarsi anche con una visione diversa e più individualista dello spazio urbano. Che cosa sta succedendo in Albania e in particolare a Tirana? Edi Rama Per Tirana, e l’Albania in generale, diversamente dal resto dei Balcani, il passaggio alla democrazia è stato molto drammatico. La nostra è stata sempre una società molto chiusa, senza ‘finestre’ sul mondo occidentale, totalmente collettivizzata, in completo antagonismo nei confronti dell’individuo e di ogni tipo di espressione di una individualità, quale che fosse. In Albania lo spazio pubblico era completamente nazionalizzato, la proprietà privata non esisteva. Quello che successe nel momento del cambiamento fu la riappropriazione individuale dello spazio ed il rifiuto di ogni tipo di sforzo comune per gestire lo spazio ritrovato, recuperato. Ci fu una rottura drammatica con il passato, che si manifestò con una vendetta dell’individuo nei confronti di tutto ciò che rappresentava lo Stato che per 50 anni aveva imposto uno ‘spazio pubblico’ dove tutto era ‘nostro’ ma niente era ‘mio’. Questo portò, all’inizio, a commettere degli orrori che nessuno, fuori dall’Albania, riuscì comprendere o spiegarsi e per questo per molto tempo si sono associati, volgarmente, gli ‘albanesi’ ai ‘barbari’, a persone senza punti di riferimento nella cultura democratica europea. Quello fu un momento di grande paura, di violenza che si rivolgeva verso tutto ciò che ricordava lo Stato. Era come essere in guerra: si fanno saltare i ponti per impedire al nemico di tornare. Allora la gente bruciò migliaia di ettari di agrumi, di olivi, perché questi erano di proprietà dello Stato, della Cooperativa che rappresentava il meccanismo dell’oppressione della individualità e della iniziativa individuale. Si distrussero scuole, ospedali, tutto quello che era ‘struttura statale’ fu aggredito. Poi è cominciata l’occupazione della terra, cominciando dagli spazi pubblici della città, dove tutti gli spazi verdi sono stati occupati e la gente ha cominciato a costruire il proprio spazio: prima con le tende, poi hanno costruito un piano, poi due, tre... Attorno alle città le terre erano occupate dalle persone che scendevano dalle montagne, che mettevano una pietra e dicevano «questo è mio». In tutto questo riappropriarsi dello spazio, lo Stato ed il ‘senso comune’ non esistevano! Il Comunismo oltretutto aveva distrutto il contenuto di certe parole chiave utilizzando in modo eccessivo, rendendole così prive di valore, parole come ‘solidarietà’, ‘vivere insieme’, ‘pietà nazionale’, ‘volontariato’, parole che in una società democratica esprimono dei concetti che rendono possibile la coesione sociale ed il rapporto non solo tra cittadino e lo Stato ma anche tra gli stessi cittadini. Queste parole sono diventate per noi, invece, simbolo di un mondo che la gente voleva abbandonare, voleva rifiutare, voleva distruggere. Parlare di ‘spazio pubblico’, di ‘cosa pubblica’, di ‘comune accordo’, di ‘appartenenza’ non era pos-

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because they were the property of the State, of the Cooperative representing the mechanism for oppression of individuality and of individual initiative. They destroyed schools, hospitals, attacking everything that was ‘State-operated’. Then they began occupying land, starting with public spaces in the cities, where every green space was occupied and people started building their own spaces: they started by putting up tents, then they built on one floor, two, three... All around the cities land was occupied by people coming down from the mountains, who simply placed a stone on a piece of land and said «this is mine». There was no room for the State or for ‘common sense’ in this re-appropriation of space! Commu nism had rendered certain keywords meaningless with overuse: words like ‘solidarity’, ‘living together’, ‘national piety’, ‘volunteerism’, words that in a democratic society express the concepts that permit social cohesion and relations between citizens and the State as well as among citizens. In Albania these words had become symbols of the world that people wanted to leave behind, reject and destroy. In the ‘90s it was not possible to speak of ‘public space’, ‘public things’, ‘common agreement’, ‘belonging’, just as it was not possible to speak of urban planning, of the concept of living together. Everything that was public belonged to no-one, and people were absolutely indifferent to its fate: the spaces between public buildings or residential buildings became spaces to be occupied, but occupation brought disorder, waste, garbage. Then slowly people began to understand, to change. And so the buildings began to be transformed: the people living on the ground floor made their windows into doors and converted the rooms opening onto the street into shops; the people on the top floor expanded upwards, adding another floor; the people on the floors in between expanded ho-

skyline colorato/coloured skyline in apertura/opening esempi di espansioni abusive di molti edifici di Tirana/some examples of unauthorized built up on some buildings in Tirana

rizontally, onto their balconies, with the result that every balcony is now different, as all the empty spaces had to be incorporated into the individual’s space. Everyone was concerned with what was going on inside the buildings but no-one worried about what the buildings looked like, and so they became monsters on the outside! There was a sort of natural rather than conceptual deconstructivism. The City of Tirana did not exist as an authority, as a public power, and there was no sense of any need for such an authority. PDN And in this context developped the matter of colours... ER Tirana was grey, dust grey, ash grey, because people burnt their garbage; smog grey. And so I suggested colours... the first colour, for the first building to be renovated with European funds, was orange, an unusual colour in Albania. One day they asked me to go to the building site because there were dozens of people standing looking at these 50 sqm of orange in the midst of all that greyness: some of them were laughing, a woman was shouting that it was scandalous, the European Community official found it ‘obscene’, intolerable, not to European standards... but what does meet European standards in Tirana? Nothing! We had made a decision, to colour a building orange, and if this meant we didn’t meet the ‘European standards’, then we were not European. Only a few years earlier the Stalinist censorship commissions had been telling us how to dress, what colours to use; they decided who could buy paint in the only shop that sold it – only artists and students with government authorisation – and the colours had already been chosen: a certain blue for the sky, a certain pink for flesh... For 3 or 4 months paint was the subject of national debate: in Parliament, in the newspapers, among the people... The situation was very confused, and I risked my own personal and political credibility:

the poorest country in Europe had become like a Montmartre café, with everyone talking about paint! At that time I used to wear colourful clothing and people said: «He’s making Tirana into a canvas for his crazy ideas! Like any mediocre painter, he wants to destroy his own city!». But gradually more and more people came to like the idea of a ‘painted Tirana’ and wanted the process to continue. The old communist buildings, deformed by today’s freedoms, can be painted to become unique works of art, meteorites of absurd shapes fallen from the sky. People in Tirana started painting their own houses. The cafés changed their style. I made one street a homage to Mondrian, and the best thing about it was that this inspired everyone to renovate their shops: we painted the façades, above them, and they took off the metal shutters that they used to pull down at six PM, transforming the street into an ugly curtain of metal. Now they use glass instead of metal, because they feel safer; but we had not increased police patrols, all we had done was paint the street! And they also started contributing money to improve the street, for instance for repaving, for they felt safe and proud to be living on a ‘chic’ street. What we need to do is make city spaces into a big art gallery where artists and architects can make their projects reality, bring in their art and their colours. Our neighbourhoods, even the poorest of them, really can become little art districts, where the inhabitants can open little shops and cafés on the ground floor and people, tourists, will come here to have a coffee or buy something. The map of the city can become a map of a museum. I continue to repeat, though without success, to the World Bank and everyone else who is supposed to be taking an interest in Albania and Tirana: if you want economic growth in this city, what you need to do is invest in paint! Give me more paint!


sibile negli anni ‘90, come non era possibile parlare di pianificazione urbana, del concetto di vivere insieme. Tutto ciò che era pubblico era ritenuto di nessuno e quindi per la gente era assolutamente indifferente quello che gli accadeva: gli spazi fra gli edifici pubblici o dove viveva la gente sono diventati spazi da occupare, ma là dove finiva l’occupazione cominciava il disordine, cominciavano i rifiuti, l’immondizia. Poi, piano piano, la gente ha cominciato a capire, a cambiare. E così è cominciata anche la trasformazione dei palazzi: le persone che vivevano al piano terra trasformavano la finestra in porta e la stanza sulla strada in spazio di commercio; quelli che abitavano all’ultimo piano si espandevano verso l’alto, verso il tetto, per fare un altro piano; quelli che abitavano ai piani intermedi andavano in orizzontale, verso i balconi, con il risultato che adesso non c’è un balcone che assomigli ad un altro perché anche tutti gli spazi vuoti dovevano entrare a far parte dello spazio individuale. Tutti si occupavano di quello che succedeva dentro gli edifici ma nessuno si preoccupava dell’immagine del palazzo e così le case, esternamente, diventavano dei mostri! C’è stata una sorta di decostruttivismo naturale e non concettuale. Il Comune di Tirana non esisteva come autorità, come potere pubblico e non c’era il senso della necessità di avere questa autorità. PDN E in questo contesto è nata la ‘storia’ dei colori... ER Tirana era grigia, grigia di polvere, di cenere, visto che la gente bruciava le immondizie, di smog. Io allora proposi i colori... il primo colore, per il primo palazzo che fu ristrutturato grazie a dei finanziamenti europei, era l’arancione, un colore non comune in Albania. Un giorno mi chiamarono in cantiere perché di fronte a questi 50 mq di arancio in mezzo al grigio c’erano decine di persone: chi rideva, una donna urlava allo scandalo, il funzionario della Comunità Europea trovava la cosa ‘oscena’, insopportabile, fuori dagli standard europei... ma cosa c’è a Tirana che risponda agli standard europei? Niente! Noi avevamo fatto una scelta, quella di colorare un palazzo di arancione, e se questo significava non essere negli ‘standard europei’, allora non eravamo europei. Le commissioni staliniste di censura, solo pochi anni prima, ci dicevano come dovevamo vestirci, che colori usare, decidevano chi poteva acquistare i colori nell’unico negozio che li vendeva – solo artisti e studenti che avevano una autorizzazione statale – ed i colori erano già stabiliti: un certo blu per il cielo, un certo rosa per la carnagione... Per 3, 4 mesi questo è diventato il dibattito nazionale: in Parlamento, sui giornali, fra la gente... La situazione era estremamente confusa, io avevo messo in gioco la mia credibilità personale e politica: il paese più povero d’Europa era diventato come un caffè di Montmartre, dove si parlava di colori! A quell’epoca io stesso mi vestivo con abiti colorati e la gente diceva: «ha fatto di Tirana la tela della sua follia! Come tutti i pittori mediocri vuole distruggere la sua città!» Ma poi piano piano sono aumentati coloro ai quali ‘Tirana colorata’ piaceva, si voleva che il processo continuasse. Gli edifici comunisti di un tempo, deformati dalla libertà di oggi, possono essere colorati e divenire dei pezzi unici, meteoriti dalle forme assurde, cadute dal cielo. A Tirana le persone hanno cominciato a dipingere le proprie case; i bar hanno cambiato look; ho fatto fare una strada che fosse un omaggio a Mondrian e la cosa più bella è che questo ha spinto tutti a rinnovare i propri negozi: noi dipingevamo le facciate, in alto, e loro toglievano le persiane di ferro che alle sei del pomeriggio, dopo la chiusura, trasformavano la strada in una brutta cortina metallica. Adesso mettevano il vetro al posto del ferro, perché si sentivano più sicuri ma noi non avevamo aumentato la polizia, avevamo solo ‘colorato’ la strada. E hanno cominciato anche a contribuire economicamente per migliorare la strada, ad esempio per rifare il manto stradale, si sentivano sicuri e fieri di vivere in una strada ‘chic’. Dobbiamo trasformare gli spazi della città in una grande galleria d’arte dove gli artisti, gli architetti, realizzano i loro progetti, portano la loro arte, i loro colori. I quartieri, anche i più poveri, possono diventare realmente dei piccoli quartieri d’arte, dove le persone che vi abitano possono aprire piccoli negozi o caffè al piano terra, e la gente, i turisti, vengono qui a prendere un caffè o a comprare qualcosa. La mappa della città può diventare la mappa di un museo. Io continuo a dire, purtroppo senza successo, alla Banca Mondiale e a tutti gli altri che si stanno ‘occupando’ dell’Albania e di Tirana: se volete fare un progetto di sviluppo economico per questa città dovete investire nei colori! Datemi i colori!

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Città gemellate Firenze e Tirana

di/by

Eugenio Giani

Twin cities. Florence and Tirana This magazine recognises the central role now played by Tirana, Albania’s busily growing and modernising capital, in a contemporary interpretation of urban planning and architecture in Balkan cities, helping us appreciate the history of the special bond linking Florence with Tirana in the hopes that more people will become aware of it and support it. The twinning of Florence and Tirana is based on the deeply-rooted bond shared by Italy and Albania and specific ties between the two cities, and was initiated under Mayor Leonardo Domenici between 1999 and 2000. I recall that at that time, when there were still a lot of immigrants coming to Italy from Albania, people in Florence were asking how they could help Albania’s development, and more than one town councillor supported the idea of twinning the two cities to allow us to participate more closely in Albania’s process of restoration of order, political stability and economic modernisation. I sought to establish contact with the authorities in Tirana through an authoritative representative of the Albanian community in the city, Lutfi Guri, now Albanian Consul in Florence, and the President of Tirana City Council at that time came to Florence to meet me. In 2000 Tirana was about to hold a very important election associated with the relaunching of municipal institutions that had been neglected for a decade or so since the transition from the communist regime to democracy. The 2000 elections were won by a man who was

La presente rivista assegna alla Tirana di oggi, capitale albanese in pieno sviluppo e modernizzazione, un ruolo centrale nel contesto di una lettura contemporanea sul piano urbanistico e architettonico della realtà dei centri urbani nei Balcani e ci consente quindi di approfondire la storia di un legame particolare fra Firenze e Tirana che vogliamo più conosciuto e sentito da tutti. Il gemellaggio fra Firenze e Tirana costituisce un legame basato su profonde motivazioni che abbracciano l’Italia e l’Albania, nonché sulla specificità dei legami fra le due città. L’iniziativa è stata concepita all’inizio del mandato della Giunta guidata da Leonardo Domenici, a cavallo fra il 1999 e il 2000. Ricordo come in quella fase ancora caratterizzata da un fortissimo flusso migratorio dall’Albania verso l’Italia un ragionamento diffuso a Firenze era quello di domandarsi come poter essere più utili ad aiutare l’Albania nel suo processo di sviluppo e più di un consigliere comunale mostrò di condividere l’idea di un gemellaggio che ci consentisse di seguire più da vicino un processo in grado di ridare ordine, stabilità politica, modernizzazione economica all’Albania. Attraverso un autorevole rappresentante della Comunità albanese a Firenze, l’attuale Console di Albania nella nostra città, Lutfi Guri, cercai un contatto con le autorità di Tirana e l’allora Presidente del Consiglio comunale volle incontrarmi a Firenze. Tirana nel 2000 avrebbe vissuto un momento elettorale particolarmente importante, associato a un rilancio delle istituzioni municipali, mancato nella fase del decennio appena trascorso di passaggio dal regime comunista alla democrazia. Le elezioni del 2000 furono vinte da una figura nuova che sono convinto avrà un ruolo centrale nell’Albania del futuro, Edi Rama, giovane artista dotato di grande capacità di iniziativa e forte personalità, formatosi non solo in Albania ma anche in altri paesi europei e quindi dotato di un’apertura e di una cultura di grande supporto per il ruolo che è stato chiamato a svolgere. Nel gennaio del 2001 il gemellaggio fu formalmente firmato a Tirana e in quella sede ebbi l’onore di sostituire il Sindaco Leonardo Domenici, che a sua volta confermò il patto fra le due città a Firenze nelle settimane successive. L’eco che questo atto amministrativo ebbe sui media fu davvero notevole e consentì di attivare molte persone che segnalarono in Comune le loro esperienze di rapporti con l’Albania e con Tirana in particolare aprendo nuova conoscenza per me sui tanti legami che la storia recente e passata aveva creato fra Firenze e Tirana. Ricordo che Franco Tozzi, Consigliere Comunale di Lastra a Signa, cittadina vicino a Firenze, mi informò sull’esistenza di un materiale che per la prima viene pubblicato attraverso questa rivista, i progetti e le carte originali di Gherardo Bosio e di Ivo Lambertini in merito alla pianificazione urbanistica e alla progettazione dei principali edifici di Tirana avvenuta nel periodo in cui il territorio albanese fu

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Progetto Skanderbeg Skanderbeg Project Michelangelo Fabbrini Non vi è dubbio che il centro di Tirana sia il legame più evidente tra la nazione albanese e l’Italia. Fu durante il Ventennio che Tirana venne trasformata in una capitale europea, concentrando lungo un asse monumentale nord-sud, in pochi anni transitato da uno stile retorico a razionalismo semplificato, le funzioni rappresentative dello Stato. Durante gli anni del regime comunista, nella ‘città italiana’ si fondeva il pesante realismo quotidiano e il fantastico: in un mondo regolato da insopportabili leggi ferree, ai più appariva come una ‘zona’ realizzata da extraterrestri; e a chi, alla ricerca di una soluzione ai problemi quotidiani, la guardava con sguardo particolare, essa poteva manifestare speranza e libertà. Ma anche per i ricercatori italiani per molto tempo Tirana fu un luogo ignoto. Solo dagli anni ‘90 si è potuto accedere di nuovo alla ‘città italiana’, e così verificare che i luoghi più rappresentativi del potere (le sedi dei ministeri e il palazzo della presidenza, la banca nazionale, musei, università), sono cresciuti sull’impianto tracciato dagli architetti italiani. E assieme a questo si è anche potuto riscoprire la vita, le opere e le traiettorie umane di professionisti e di artisti che ‘fecero l’impresa’ di edificare una città in pochissimi anni. è così emerso un ‘marchio’ fiorentino e toscano in quella presenza. Gherardo Bosio, partecipe del dibattito fiorentino degli anni ‘30 – fu tra i fondatori del Gruppo Toscano, che lasciò prima che vincesse il concorso per la nuova stazione – fu chiamato nel ‘39 a dirigere la realizzazione della ‘città italiana’. Alla sua scomparsa, Giuseppe Paladini e Leone Carmignani sostituirono Bosio, a loro volta sostituiti da Ferdinando Poggi e Ivo Lambertini che firmarono il piano regolatore della città. E poi ancora Piero Bartolini, collaboratore di Bosio a Firenze, Antonio Maraini, Giuseppe Gronchi, i paesaggisti fratelli Sgaravatti e Pietro Porcinai. Nel 2006 il Comune di Firenze ha promosso, assieme a Tirana, il Progetto Skanderbeg, sostenuto anche dalla Regione Toscana, con l’obiettivo di realizzare un programma di riscoperta dell’architettura italiana presente in quella città. Il Comune di Firenze ha successivamente individuato l’associazione DNA quale attuatore del progetto. Michelangelo Fabbrini Without question, Tirana’s city center is the clearest connection between the countries of Albania and Italy. During the two decades of Fascist rule in Italy, Tirana was turned into a European capital, concentrating the State’ representative functions on a monumental north-south axis, which in a few short years went from a rhetorical style to simplified rationalism. During the communist regime, the ‘Italian city’ saw the merging of heavy handed realism and a fantastical style. In a world governed by crushing iron-clad laws, many saw it as a ‘zone’ built by aliens; and there were those who seeking a solution to daily problems, looked at it as a manifestation of possible hope and freedom. Even for Italian scholars, Tirana was an unknown place for a long time. Only since the nineties have they been able to again access the ‘Italian city’ and consider the most representative places of power (the headquarters of ministries and the President’s palace, the national bank, museums and universities), built on a plan designed by Italian architects. At the same time, they also rediscovered the lives, works and human stories of professionals and artists who undertook the task of building up a city in scant years. And they found the mark of Florence and Tuscany here. Gherardo Bosio, a leading figure in Florentine architecture of the 1930s, was one of the founders of the Gruppo Toscano [Tuscan group], which he left before it won the competition for the new station for Florence. In 1939, he was called to Tirana to oversee the building of the ‘Italian city’. When Bosio passed away, Giuseppe Paladini and Leone Carmignani replaced him and were replaced themselves by Ferdinando Poggi and Ivo Lambertini who designed the city’s master plan. Later came Piero Bartolini, who had worked with Bosio in Florence, Antonio Maraini, Giuseppe Gronchi, the landscape designer brothers Sgaravatti and Pietro Porcinai. In 2006, the City of Florence joined Tirana in organizing the Skanderbeg Project, also supported by the Region of Tuscany. The project aims to rediscover Italian architecture in Tirana. The City of Florence chose the DNA association to implement the project.

new on the scene but will be sure to play an important role in Albania’s future, Edi Rama, a young artist with a lot of initiative and character who had been educated not only in Albania but elsewhere in Europe and had the open-mindedness and cultural background needed for the role he was asked to play. In January 2001 the twinning agreement was officially signed in Tirana, and on that occasion I had the honour of standing in for Mayor Leonardo Domenici, who confirmed the agreement between the two cities in subsequent weeks in Florence. This administrative agreement attracted a lot of attention in the media, and a lot of people got involved, coming to City Hall to talk about their experiences with Albania and Tirana and offering me new information on the many links that past and recent history had forged between Florence and Tirana. In particular, I recall a town councillor from Lastra a Signa (part of the City of Florence), Franco Tozzi, who informed me of the existence of material first published in this magazine: the original maps and projects by Gherardo Bosio and Ivo Lambertini for urban planning and design of important buildings in Tirana at the time when Albania was considered a part of the Kingdom of Italy, just before the Second World War. This material clearly revealed the decisive contribution made by this group of technicians from Florence led by Gherardo Bosio and Ivo Lambertini, which made a profound mark on the history of city planning in Tirana. Research conducted and material collected since then has increasingly revealed the importance and the historic significance of the twinning, which has taken the concrete form of exchange of information, reciprocal visits by representatives, and I hope will also soon take the form of creation of a Florentine Garden in Skanderberg Square in Tirana acknowledging the link between the two cities. The Garden is to be located in a part of the square which is set slightly below road level, with a geometric shape that will stand out on the maps as a remaining sign of Bosio’s project, which then unfolds with creation of a broad avenue leading to the university he designed and the adjacent football stadium. Albania has seen some very positive developments in the seven years since the signing of the agreement, clearly visible in the demolition of buildings constructed in Tirana without permits which Mayor Edi Rama has had torn down and in the construction of new buildings that now give the Albanian capital the profile of a rapidly modernising city. In terms of human relations, we have seen how the young officials from Tirana City Hall who came to Florence to find out about our regulations, standards and administrative procedures in areas ranging from city police to the food board and commerce, protection of the city’s architectural heritage and monuments and city property registries have gradually gained experience and knowhow that has helped reconstruct the administrative and bureaucratic structure of a City Hall that is now highly authoritative in the Albanian state.


Today, my hope is that the young people I have seen projected into the top levels of responsibility in technical, bureaucratic and political positions in the wake of a specific policy decision by Mayor Edi Rama will provide the capital city and the rest of Albania with a solid base for the economic, social and civil growth the ‘Land of the Eagles’ needs. The work Paolo di Nardo and his colleagues have passionately and enthusiastically tackled in putting together this issue of And offers a further contribution to the tightening of the bond between Florence and Tirana and will provide the essential foundations for a very interesting exhibition on Italian architecture to be held in the Albanian capital. It is my hope that this very profitable special relationship will continue to grow and evolve, reciprocally enriching our relations and our plans for the future.

in apertura/opening Piano Regolatore Generale di Tirana, 1943, architetto Gherardo Bosio, ingegneri Ferdinando Poggi e Ivo Lambertini/Tirana’s Urban Plan, 1943, architect Gherardo Bosio, engineers Ferdinando Poggi and Ivo Lambertini

considerato parte integrante del Regno d’Italia, poco prima della Seconda Guerra Mondiale. Con quei materiali emerse con grande evidenza il contributo decisivo del gruppo di tecnici fiorentini di cui Gherardo Bosio e Ivo Lambertini risulteranno i più autorevoli, che hanno lasciato un segno profondo nella storia urbanistica di Tirana. Da allora le ricerche e il materiale raccolto hanno messo sempre più in evidenza l’importanza e il senso storico del gemellaggio che si è concretizzato in scambi di informazioni, reciproche visite di delegazioni, e spero presto possa concretizzarsi con la realizzazione del Giardino Fiorentino nella piazza Skanderberg a Tirana, come riconoscimento del legame fra le due città. Il Giardino è individuato in una parte della piazza, leggermente ribassata rispetto alla superficie stradale e geometrica, che dalle carte emerge come segno rimasto dal progetto di Bosio che poi si dispiegherà con la realizzazione del largo viale che conduce all’Università da lui progettata insieme all’adiacente stadio di calcio. In realtà questi sette anni hanno segnato un positivo sviluppo della realtà albanese, ben visibile nelle azioni di demolizione avvenute a Tirana degli edifici abusivi che il Sindaco Edi Rama ha voluto eliminare, ma anche nella costruzione di nuovi edifici che conferiscono alla capitale albanese oggi il profilo di una città avviata a una rapida modernizzazione. Sul piano umano abbiamo potuto constatare come i giovani funzionari del Municipio di Tirana che venivano a Firenze per informarsi ed apprendere i nostri regolamenti, le normative, le procedure amministrative in materia di Polizia Municipale, come di Annona e Commercio, Tutela dei beni architettonici e monumentali, Catasto urbano, hanno progressivamente maturato esperienze e conoscenze che hanno accompagnato la ricostruzione del tessuto amministrativo e burocratico di un’isituzione municipale che oggi si presenta in maniera ben più autorevole nel contesto statuale albanese. Spero che i giovani che ho visto prepotentemente proiettati ai più alti livelli di responsabilità negli incarichi tecnico-burocratici, come in quelli politici, per una precisa scelta di Edi Rama, offrano alla capitale e all’intera Albania la base per una crescita economica, sociale, civile quanto mai auspicabile per il ‘Paese delle aquile’. Il lavoro che con passione ed entusiasmo Paolo di Nardo ed i suoi collaboratori hanno fatto con la redazione di questo numero di And, costituisce un ulteriore contributo allo stringersi del legame fra Firenze e Tirana e costituirà base indispensabile per una mostra sull’architettura italiana nella capitale albanese che si preannuncia di assoluto interesse. L’augurio è che possa procedere ulteriormente l’approfondimento e la conoscenza degli straordinari rapporti così fecondi nel reciproco arricchimento di relazioni e realizzazioni.

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Piano Regolatore Generale di Tirana, 1943, architetto Gherardo Bosio, ingegneri Ferdinando Poggi e Ivo Lambertini/Tirana’s Urban Plan, 1943, architect Gherardo Bosio, engineers Ferdinando Poggi and Ivo Lambertini


Tipo & molteplicità Uno sguardo alla situazione urbanistico-architettonica

di/by

Artan Shkreli

To present a quick overview of the state of architecture in Tirana, we might say that the city’s architecture runs rapidly through a series of architectural styles ranging from Balkan Ottoman Baroque (see photos) to the Modernist Movement introduced by young Albanian architects, most of whom studied in Austria and Italy. All this has happened in only 25 years, the inevitable result being a confusion of styles not only within a particular neighbourhood but on a single street, and often even in a single house, where the ground floor may be made of adobe with only small slits for openings while the first floor is made of open brickwork plastered and decorated with highly eclectic stucco ornaments. During the years of fascist occupation of Albania, a number of monumental buildings were constructed in Tirana, often escaping the trap of historicism and almost always in the rationalist formal style (see photo). This is the time of the city’s first regulatory plan, prepared by architect Gherardo Bosio (1941) and his assistants. The plan turned out to be effective even when, after the Second World War, the communists took power in Albania and transformed the city of Tirana. The city’s historic centre and traditional bazaar rapidly disappeared, damaged by war and slated for demolition under Bosio’s plan. They left an empty space behind them until a new city planning scheme was developed, founded entirely on the notion of public property. The 1957 plan is nothing more than an extension of the Italian plan, the guidelines of which were adopted in many parts of the city. The new dic-

Per fare un percorso molto rapido sullo scenario architettonico a Tirana possiamo dire che l’architettura di questa città attraversa rapidamente una serie di stili architettonici dal barocco ottomano di profumo balcanico, a quello del Movimento Moderno introdotto dai giovani architetti albanesi, laureati principalmente in Austria e Italia. Tutto questo è successo in soli 25 anni, con la conseguenza inevitabile di una confusione stilistica, esteso non solo dentro un particolare quartiere ma anche all’interno dei vicoli, e spesso anche nell’ambito delle singole case, dove il piano terreno è fatto in adobe con piccole feritoie e il primo piano in laterizio forato intonacato e decorato di stucchi di forte sapore eclettico. Bisogna dire che durante gli anni dell’occupazione fascista dell’Albania si eressero a Tirana alcune opere di carattere monumentale spesso fuggenti dalla trappola storicista e quasi sempre di respiro formale razionalistico. Di questo periodo è anche la realizzazione del primo Piano Regolatore Generale della città, piano che venne redatto dall’architetto Gherardo Bosio e dai suoi collaboratori. Infatti questo piano risultò effettivo anche quando, dopo la Seconda Guerra Mondiale, i comunisti presero il potere e Tirana fu oggetto di numerose trasformazioni. Il centro storico ed il bazar tradizionale scomparvero velocemente, non soltanto perché danneggiati dalla guerra, ma anche perché non previsti dal piano Bosio. Il vuoto rimane tale fino al nuovo PRG fondato interamente sulla proprietà pubblica. Il PRG del 1957, non è altro che un’estensione di quello italiano, che in linea generale viene adottato in molte parti della citta. Si puo dire che al nuovo regime dittatoriale andava bene la concezione monumentalistica del centro di Tirana (iniziata da un altro italiano, Armando Brasini), ma anche lo sviluppo radiale della città, concepito da Bosio. La piazza centrale viene ampliata secondo il modello sovietico spazzando via i vecchi quartieri tradizionali, nascono le periferie di edilizia popolare su terreni espropriati e si creano anche dei centri industriali distanti dalla città (Kinostudio, Kombinat Stalin, Autotraktorat). L’architettura rompe con il passatto modernista prebellico ed abbraccia, sotto la spinta di regime, il modello neoclassico russo. Appaiono le colonne coi capitelli e i frontoni triangolari sui tetti degli edifici: dal Comitato Centrale del Partito, a quelli degli impianti dell’industria tessile. Per quanto possa sembrare strano questo revival architettonico scompare quando l’Albania esce dal Trattato di Varsavia. Soffia un vento di liberismo che si fa sentire anche in architettura. Negli anni ‘70 si assiste ad una produzione ispirata al razionalismo europeo; ma più che l’influenza di Le Corbusier si sente il purismo di Mies Van der Rohe e il decostruttivismo parigino. Esempio ne sono due fabbriche erette presso il centro: la Galleria Nazionale delle Arti di E. Faja, e il cosidetto palazzo di Kadaré progettato dall’architetto-artista Maks Velo. Se il primo si riferisce ad un neoplasticismo, il secondo gioca con volumi cubici e tesserine smaltate. Si puo parlare in quegli anni anche di una ricerca volumetrica ‘fuori dal programma’ specificato dall’austero e vigente regolamento edilizio, ricerca che vienne seguita

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tatorial regime liked the monumental conception of the centre of Tirana (initiated by another Italian: Armando Brasini), but also the city’s radial development, which was Bosio’s idea. The central square was expanded on the Soviet model, bulldozing traditional old neighbourhoods. Suburbs of social housing were built on expropriated land and industrial zones were set up far outside the city (Kinostudio, Kombinat Stalin, Autotraktorat etc.). Architecture broke with its pre-war modernist past and embraced the Russian neoclassical model under pressure from the regime. Columns appear with capitals and triangular pediments on the roofs of completely different buildings: from the Central Party Committee Headquarters (see photo) to textiles factories. It may seem strange, but this architectural revival ceased when Albania left the Warsaw Pact. The winds of free enterprise were blowing, and their effects extended to architecture. In the ‘70s construction was inspired by European rationalism; not so much the influence of Le Corbusier, but the purism of Van der Rohe and the Paris deconstructionists. Examples include two buildings in the city centre: the National Arts Gallery by architect E. Faja, and the Kadaré building designed by architect and artist M. Velo. While the former is based on neoplasticism, the latter plays with cubic volumes and enamelled tiles. In these years we might speak of ‘unplanned’ volumetric research, antithesis of the austere building code in effect at the time, a course taken by an unusual engineer, P. Kolevica. It did not last long; the Alba-

nian leaders’ sympathies for the Maoist ideologies of the ‘70s resulted in importation of the idea of applying the cultural revolution in Albania. The consequences were felt in all the arts, and by the three architects mentioned above; the first retired from the profession, while the second was imprisoned (for degenerate art) and the third was exiled. It was at this time that impoverishment of architecture resulted in hundreds of hectares of suburbs filled with prefabricated buildings, all the same, all grey, with no variety whatsoever. The industries in Tirana needed workers, and the workers who came in from rural areas were forced to live in these tiny, poorly equipped apartments. And while there was some positive innovation in urban planning, the slow but unstoppable degeneration of architecture did not stop until after the fall of the regime. The change in the political system in Albania did not lay the foundations for implementation of the new regulatory plan approved in 1989, also because the plan was, as was logical at the time, based on public property, and in the meantime urban properties had been redistributed to their former owners. The situation in Tirana was highly paradoxical, because the (already) old plan was applied only to the roads. Building permits were issued throughout the ‘90s on the basis of various precarious urban planning laws which were immediately compromised. On one hand there was no plan capable of providing an adequate response to the new needs (sudden presence of vehicles, demand for single-family homes, privatisation of public spaces in completely

constructed parts of the city, etc.), while on the other hand uncontrolled urbanisation doubled the population of Tirana in only a few years. The lack of governability resulted in a degree of unauthorised construction never seen before in the country. Tirana was choked by illegal constructions and the suburbs were literally besieged by poor households who forcefully occupied land and built shacks on it (rapidly expanded to become homes with 2 or 3 floors). 70% of all buildings constructed in Tirana after 1991 were unlicensed. The government totally froze all licensed construction in the centre of the capital until Edi Rama became mayor in September 2000. This marked a turning point. Rama energetically swept away more than 2000 shacks, giving the city hope and breathing space again. Strangely, his popularity grew even among those he evicted. His Council for Territorial Regulation promoted the first urban projects (opening up new roads and expanding existing ones) and architectural projects (rapidly switching from ‘typical’ constructions to a multitude of different designs). Rama also worked hard to rehabilitate the obtuse constructions of the communist era, using plaster and bright colours to create astounding effects. Tirana is a sick girl – he used to say – and make-up alone won’t heal her, but it will give her the strength to fight her illness. Tirana became an art city, a kind of land art on an urban scale. Thus the uniformity of communism was overturned in favour of the ‘difference’ created by the democratic development of Tirana and Albania; from the collective to the sum of individuals,


and in Tirana the collective managed to express itself through the uniqueness of its members. Once the emergency was past, town hall turned to the plan for the city centre, unchanged since the late ‘70s. Another prospect opened up for the city: international competitions. The first competition for Tirana city centre, won by the French Architecture Studio, was followed by competitions for individual buildings to make up the future centre. After 2005 the process of architectural redevelopment gave way to large-scale urban redevelopment: a detailed plan for revitalisation of Skanderbeg Square, the central park in the capital city, restoration of monumental buildings, revitalisation of the suburban park and the artificial lake, conversion of the Kombinat Centre in the southern part of the capital city, work on Lapraka, etc. In each of these urban planning projects the aim was freeing up public space used or abused by private citizens. Work is currently underway on preparation of a new regulatory plan for the capital city to replace the unsuccessful 1989 plan. Tirana has a lot more to say, and will probably say it in a more European vocabulary than anyone imagines.

Architecture Studio, progetto vincitore del concorso per il Masterplan del centro di Tirana, 2003/Architecture Studio, winner project for the Tirana’s centre Materplan competition, 2003 pagina precedente: rilievo della città di Tirana nel 1921, architetto Skender Frasheri/ in the previous page: Tirana’s survey in 1921, architect Skender Frasheri

dall’insolita figura di un ingegnere, P. Kolevica. Tuttavia non durerà molto: il feeling dei leader albanesi con le ideologie maoiste dei anni ‘70 ha come risultato l’importazione dell’idea di applicare anche in Albania la rivoluzione culturale. Tutta l’arte ne subì le conseguenze, e dei tre architetti sopracitati se il primo si ritira definitivamente dalla progettazione, il secondo viene addirittura arrestato e recluso (per aver applicato l’arte degenerata) ed il terzo esiliato. È proprio questo il momento in cui l’impoverimento dell’architettura crea centinaia di ettari in periferia colmi di edilizia prefabbricata, dequalificata, grigia e senza varietà alcuna. L’industria a Tirana aveva bisogno di operai e coloro che venivano dalle zone rurali erano costretti a vivere in questi appartamenti piccoli e di certo non ben attrezzati. E se c’è qualche innovazione positiva nel campo urbanistico, in quello architettonico si assiste ad un lento ed inarrestabile degrado che si fermerà soltanto dopo la caduta del regime. Il cambiamento del sistema politico in Albania non crea presupposti per implementare il nuovo PRG approvato nel 1989, anche perché quest’ultimo, come logico per l’epoca della sua stesura, si fondava sulla proprietà pubblica, ma nel frattempo si era avviato il processo di ridistribuzione del suolo urbano agli ex-proprietari. A Tirana si crea una situazione estremamente paradossale perché il (già) vecchio piano viene rispettato solo per quanto riguarda la rete viaria. Le concessioni edilizie vengono rilasciate durante tutti gli ‘90, in base ad una legge urbanistica molto precaria e subito compromessa. Da un lato la mancanza di un piano che poteva rispondere adeguatamente alle nuove esigenze (improvvisa presenza di auto, richieste per case unifamiliari, privatizzazione degli spazi pubblici in mezzo a quartieri urbanisticamente completati e cosi via), dall’altro lato un’urbanizzazione non controllata ha duplicato in pochissimi anni la popolazione di Tirana capitale. L’ingovernabilità crea un abusivismo mai visto in paese. Tirana si circonda di costruzioni illegali ed il sub-urb vienne letteralmente assalito da famiglie povere che occupano forzatamente la terra per poter costruire baracche (ma che ben presto sarebbero diventate vere e proprie case di 2 e 3 piani). Il 70% delle costruzioni realizzate a Tirana dopo il 1991 erano senza concessione edilizia. Il governo blocca totalmente ogni attività costruttiva nel centro della capitale fino al settembre 2000, periodo in cui Edi Rama diventa sindaco. è il momento della svolta. Con energiche operazioni Rama spazza via piu di 2.000 chioschi dando speranza e respiro alla città. Stranamente raccoglie un grande consenso anche da chi era stato colpito dalle sue ordinanze. Tramite il Consiglio del Regolamento del Territorio stimola i primi interventi urbani (aperture di nuove strade ed ampliamento di quelli esistenti) e architettonici (si passa velocemente dal ‘tipo’ alla ‘molteplicità’ progettuale). D’altro canto Rama si impegna in una forte azione di riabilitazione degli ottusi edifici dell’era comunista operando con intonaci e colori vivaci che generano un effetto strabiliante. «Tirana è una ragazza malata» – dice – «e la cosmetica non la guarisce, ma le offre la forza di combattere la malattia». Tirana diviene una city-art, una sorta di land-art a scala urbana. Si assiste quindi ad un ribaltamento dell’uniformità comunista a favore della ‘differenza’ determinata dall’evoluzione democratica di Tirana e dell’Albania; dal collettivo alla somma degli individui che riescono ad esprimere la propria individualità pur facendo parte di una collettività riconosciuta. Passata l’emergenza, il municipio mette mano al Piano del Centro, rimasto invariato dalla fine degli anni ‘70. Si apre un’altra prospettiva per la città: i concorsi internazionali. Dopo il primo, per il centro città, vinto dallo studio francese Architecture Studio, seguono quelli per i singoli edifici che dovranno comporre il futuro centro. Dopo il 2005 si passa dalla riqualificazione architettonica, a quella urbana in grande scala: piano particolareggiato per piazza Skanderbeg, per Giardini centrali della Capitale, restauro dei complessi monumentali, rivitalizzazione del parco periferico e lago artificiale, rifunzionalizazione del centro di Kombinat nella parte sud del capitale, interventi su Lapraka e molto altro. In ogni singolo intervento urbano l’accento si pone sulla liberazione del suolo pubblico usato, o abusato, dai privati. Attualmente è in corso la preparazione del nuovo PRG del capitale, che sostituirà quello infelice del 1989. Tirana avrà ancora molto da dire e probabilmente parlerà europeo prima di quanto possiamo immaginare adesso.

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sotto e a pag. 52: lavori di tesi ed esercitazioni di alcuni studenti della Scuola di Architettura di Tirana/below and on p. 52: some degree projects and practices of Tirana’s Architecture School students


Coscienza della realtà La scuola di architettura in Albania

di/by

Agron Lufi

Awareness of Reality. The school of architecture in Albania The foreigner arriving in Tirana today is pleasantly surprised upon arrival at Mother Teresa airport, and the sensation remains as he travels calmly toward the capital across the hills and plains, until the road takes him into the urban area, where nature gradually gives way to suburbs, where the landscape and the horizon disappear, blocked from view behind chaotic constructions. Of course society and its members often build without reference to rules or well-established principles. In this dynamic process of development and conformation of the built environment, everyone attempts to find some sort of rule in the chaos, to identify a code of social convention regarding urban space that has now become hard to distinguish, to explain why everything that is public has fallen into such disrepair, and to explain why our existence is increasingly dominated by the accumulation of residential volumes that are rising higher and higher towards us, in a form of architecture that is oriented toward consumerism and is rarely innovative. This is a fleeting economic and social process, but it is having permanent effects on the urban environment and a permanent impact on our cultural growth toward a European identity. In fifteen years of democracy and transition, architecture has thrown off the cultural and conceptual ideology and the mental and creative uniformity of the communist years and sought an orientation toward the new practice of modernity and postmodernity. We might say that it has attempted to

Quando oggi uno straniero arriva a Tirana, rimane piacevolmente sorpreso e incuriosito alla vista dell’aeroporto Madre Teresa e questa sensazione perdura anche quando il suo viaggio verso la capitale continua calmo, attraversando la pianura e il paesaggio collinare, fino a quando non si rende conto che la strada lo sta guidando verso l’area urbanizzata, e gradualmente la natura si sottomette alla periferia, dove il paesaggio e la linea dell’orizzonte vengono offuscati dalle costruzioni caotiche che diventano le uniche protagoniste dell’immagine. è chiaro che la società e chiunque faccia parte di essa, presi dal fervore, costruiscano non raramente senza regole o con regole e princìpi non consolidati. In questo processo dinamico di sviluppo e conformazione dell’ambiente costruito, ognuno cerca di trovare la norma dentro il caos, di individuare il codice dell’accordo sociale che riguarda lo spazio urbano ormai difficilmente distinguibile, di spiegare il perché quello che è pubblico sia così degradato, ma anche il perché del nostro essere sempre maggiormente dominati dall’accumulo dei volumi delle abitazioni che si alzano sempre più verso di noi, con un’architettura consumista e raramente innovativa. Questo è un processo economico e sociale passeggero, ma comporta effetti irrimediabili sull’ambiente urbano, così come ha un impatto permanente sul nostro accrescimento culturale proiettato verso un’identità europea. In quindici anni di democrazia e transizione, l’architettura si è scrollata l’ideologia culturale e concettuale e anche l’uniformità mentale e creativa del periodo comunista e ha tentato di orientarsi verso la nuova pratica della modernità e post-modernità. Diciamo che ha tentato di orientarsi più economicamente che culturalmente nel libero mercato e chiunque, in quest’ottica, capisce che il ruolo e l’impatto dell’educazione architettonica e urbanistica delle facoltà sono stati e saranno primari. La nuova Scuola d’Architettura si è creata nel 1971 come un corso di laurea distinto da quello di Ingegneria Edile e, per molti anni, fino agli anni ‘90, si sono laureati 20-25 architetti all’anno: un numero trascurabile sull’impatto sociale dello sviluppo. Alla metà degli anni ‘90 la Scuola subisce un’apertura reale verso i concetti e la pratica internazionale dell’architettura, risultato tangibile del tirocinio e specializzazione di tanti nuovi professori in Italia, Inghilterra, Francia, Stati Uniti, ecc. Indipendentemente dal processo della ‘fuga dei cervelli’ degli anni ‘90, oggi la Scuola d’Architettura del Politecnico di Tirana ha incrementato fino a 720 il numero degli studenti, fino a 32 i componenti dello staff permanente e fino a 35 quelli dello staff esterno, realizzando due corsi di laurea in Architettura e Urbanistica, e trasformando totalmente i curricula nel sistema a due livelli 4+2, secondo la Carta di Bologna. Per la natura che lega tradizionalmente la nostra Scuola con la pratica, possiamo dire che

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Evrin Mezini, Edificio polifunzionale, 2006 Elton Qepali, Teatro, 2003

Tirana metropolis Tirana metropolis Tirana Metropolis è una visione per lo sviluppo urbano della capitale dell’Albania secondo i criteri di una moderna città europea. Tirana è indicata come paradigma di come la città può essere immaginata, è pensata non solo come realtà di fatto, ma anche come figura chiara e intelligibile di ciò che la città necessita per essere riconosciuta come tale dai suoi abitanti. Questa ambizione richiede un approccio alla città che si colloca a metà strada tra la sua realtà e l’immaginazione come realtà alternativa. La pubblicazione presenta uno studio realizzato dal Berlage Institute Core Research: Una moderna capitale europea sotto la guida di Elia Zanghelis e Pier Vittorio Aurei, i progetti della Tirana Summer Academy ed interviste a Edi Rama – sindaco della città – e Kenneth Frampton. Tirana Metropolis, The Berlage Institute, Rotterdam, 2004. Tirana Metropolis is a vision for the urban development of the Albania’s capital as a modern European city. Tirana is addressed as a paradigm of how the city can be imagined. It is thougt not only as reality of found, but also as a clear and intellegible figure of what the city needs in order to be recognized as such by its inhabitants. This ambition requires an approach to the city that is halfway between its reality and its imagination as an alternative reality. Tirana aMetropolis presents the Berlage Institute Core Research Studio Tirana: A Modern European Capital under the guidance of Elisa Zanghelis and Pier Vittorio Aureli, the Tirana Summer Academy park projects and interviews with Edi Rama – mayor of Tirana – and Kenneth Frampton. Tirana Metropolis, The Berlage Institute, Rotterdam, 2004.

orient itself on the free market more economically than culturally, and the importance and impact of education in architecture and urban planning in this context is perfectly clear. The new school of architecture was opened in 1971 as a degree programme separate from Construction Engineering, and for many years – until the ‘90s – only 20 or 25 architects graduated each year: a figure with a negligible impact for social development. In the mid-‘90s the School truly opened up toward international concepts and practice in architecture, given tangible form in apprenticeships and specialisation programmes for new professors in Italy, England, France, the United States, etc. Despite the ‘brain drain’ of the ‘90s, the School of Architecture in the Polytechnic in Tirana now has 720 students, a permanent staff of 32 and an external staff of up to 35 people, offers two degree programmes in Architecture and Urban Planning, and has completely transformed the curricula in the system to two 4+2 levels, on the basis of the Bologna Charter. Our school has traditionally been linked with practice by nature, and we can say that in our development, and in the trends and concepts in education of our students between 1995 and 2005, we have noted that the school and architectural reality influence one another. Architecture, as a profession independent – to some degree – from national administration and politics, has matured considerably, creating a wide margin with urban planning, the progress of which is still dictated by factors outside the profession today. The practice of architects’ education and the didactic conclusions that our school has faced since the year 2000 have involved a series of problems that we may list with the following goals. Architectural education in Albania must inevitably involve a synthetic process of training in the studio, where the cultural and conceptual influence of professors who stay up to date at all times must stand out for students, so as to escape academic practices dominated by division of know-how into specialised sectors and by formal lessons. Our school today wishes to eliminate the true handicap of its background, which is, creating an ar-

sede dell’Università di Tirana, ex Casa del Fascio/Tirana’s University headquarters, ex Casa del Fascio [Fascist House]


chitectural product as something intellectual and artistic, in which composition and architectural significance lose contact with urban and historical context. Today’s staff is convinced of the importance of orienting students toward a form of cultural education in which technological ideas and concepts, even the most rational concepts of design, are better suited to the trends in artistic ambitions, for a digitalised ‘avant-garde’ scenography that often defines itself as contemporary, creating a product with more marketing and media value than cultural value. This revised version of traditional technology tending toward the contemporary, this widespread introduction of the concepts of ecology, bio-environment and sustainability, are now presented as needs of design practice and at the same time urgencies in the didactic and scholastic component. Encouragement of multicultural education and creativity, beyond the ready-made models and without getting emotionally carried away, with the aim of achieving professionally consolidated cultural innovation: this is the perennial goal of our School of Architecture for achievement of a new identity based on heterogeneity and contemporaneity.

negli sviluppi delle tendenze e dei concetti sulla formazione degli studenti degli anni 1995-2005, si nota un’influenza reciproca e incisiva tra scuola e realtà architettonica; in quest’ultima, l’architettura, con la sua indipendenza professionale, seppur relativa, dall’amministrazione statale e dalla politica, ha manifestato un forte maturazione creando un ampio margine con l’urbanistica, il progresso della quale, ancora oggi, è dettato da fattori extra-professionali. La pratica della formazione degli architetti e le conclusioni didattiche negli anni 2000 mettono a confronto la nostra Scuola oggi con una serie di problemi che possiamo elencare con i seguenti obiettivi. L’educazione architettonica in Albania deve passare inevitabilmente attraverso un processo sintetico di formazione in atelier dove deve spiccare l’incremento dell’influenza culturale e concettuale per gli studenti da parte di professori sempre aggiornati, in modo da rifuggere le pratiche accademiche dominanti nelle conoscenze settoriali e nelle lezioni formali. Oggi la nostra Scuola mira ad eliminare il vero handicap della sua formazione, cioè il creare un prodotto architettonico come qualcosa di intellettuale e artistico dove la composizione e il significato architettonico perdono i contatti con il contesto urbano e quello storico. Nello staff odierno esiste la convinzione di orientare gli studenti verso una formazione culturale dove le idee tecnologiche e i concetti, anche quelli più razionali della progettazione, si accordino meglio con le tendenze delle ambizioni artistiche, per una scenografia ‘all’avanguardia’ digitalizzata, spesso auto definita contemporanea, creando un prodotto con più qualità di marketing e mediatica piuttosto che di pregio culturale. La rivisitazione della tecnologia tradizionale del costruire verso quella contemporanea, l’introduzione più estesa dei concetti ecologici, bio-ambientali e della sostenibilità, si presentano oggi come bisogni della pratica progettuale e nello stesso tempo anche come urgenze della componente didattico – scolastica. L’incoraggiamento all’educazione multiculturale e alla creatività, al di fuori dei modelli già pronti e precostituiti e del trasporto emotivo, per poter arrivare ad una innovazione culturale consolidata professionalmente, è l’obiettivo perenne della nostra Scuola d’Architettura per il raggiungimento di una nuova identità basata sull’eterogeneità e sulla contemporaneità.

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© FM Conti

© FM Conti


Pianificare la città Alla ricerca di una nuova identità

di/by

Ariela Kushi

Planning the city. Looking for a new identity Tirana, in 2000: a European capital, survivor of fifty years of dictatorship, of years of transition, of a fictitious and disastrous economic boom. Tirana, in 2000, a ‘vacuum’ in the Europeans’ knowledge. Tirana, in 2000: streets packed with people, cars, horses and donkeys, air full of dust and smog. Smog from the cars and dust from a thousand unauthorised building sites that gobble up every blade of grass, that knock down or, at best, cast cement around the few surviving trees, transforming the city into a dull grey expanse of cement. Tirana, in 2000, neighbourhoods built up under the regime that have no identity, anonymous and minimalist, without architecture. Apartments designed to provide the minimum possible amount of living space (or even less). Necessity is the mother of invention, and people are starting to transform these buildings. Their envelope is no longer rigid matter but an amoeba that transforms itself as required: a veranda becomes a bathroom or a kitchen, a volume suddenly appears jutting out of a building where a new room has been added on, ground floors become shops, basements become bars, stairways are added to get to the bar or to create a separate entrance to the apartment on the 4th floor where 3 generations live together in 50 sqm. Tirana, in 2000: new buildings sprout up here and there without any urban planning, built to solve the housing problem but themselves responsible for new problems...

Tirana, anno 2000 una capitale europea, reduce da una dittatura cinquantennale, reduce da anni di transizione, reduce da un boom ecomomico fittizio e da una caduta disastrosa. Tirana, anno 2000, un ‘vuoto’ nella conoscenza degli europei. Tirana, anno 2000, la gente cammina per le strade insieme alle macchine, i cavalli e gli asini, si respira polvere e smog, smog delle auto e polvere dei mille cantieri abusivi che inghiottiscono ogni singolo pezzo d’erba e che abbattono o, nel migliore dei casi, incorporano nel cemento i pochi alberi rimasti, trasformando la citta in una landa di cemento cupa e grigia. Tirana, anno 2000, quartieri costruiti durante il regime senza una identità, anonimi e ridotti ai minimi termini senza un’architettura. Appartamenti studiati per avere il minimo possibile di spazio vivibile (anche meno di quello effettivamente necessario). Il bisogno aguzza l’ingegno e gli edifici cominciano a trasformarsi. L’involucro non è più materia rigida, ma un’ameba che si trasforma a seconda dei bisogni: una veranda che diventa bagno o cucina, un volume a sbalzo che appare d’improvviso per trasformarsi in una stanza, piani terra trasformati in negozi, sotterranei in bar, scale che si aggiungono per raggiungere il bar o, nel caso più estremo, per creare l’entrata separata all’appartamento del quarto piano dove anche tre generazioni vivono in 50 mq. Tirana, anno 2000, edifici nuovi spuntati qua e là senza pianificazione urbana, costruiti come soluzione al problema dell’abitazione ma che in realtà hanno creato ben altri problemi… «Ho visto questa energia individuale e molecolare trasformare la città. Ho avuto l’impressione di vedere migliaia di mani che, dall’interno degli edifici muovevano pareti, costruivano tramezzi, solai, nuovi volumi non pianificati… e mi sono chiesto come intervenire, come dirigere queste forze frammentate, sebbene le risorse fossero limitate». Edi Rama, Sindaco di Tirana Tutto cominciò con il colore… «Semplicemente dovrebbe accadere. Semplicemente! C’è anche una motivazione psicologica». «La gente dovrebbe svegliarsi dal grigio inverno in cui dorme da anni. Per me i colori sono stati speranza e segnali di cambiamento dopo anni passati nell’oblio». Edi Rama Prima si dipingono gli edifici nei viali principali, gli accessi alla città, un ritocco al ‘maquillage’ degli edifici governativi, si ristrutturano i palazzi più importanti con colori più delicati, tentando comunque di seguire uno spirito innovativo.

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«I saw all this molecular individual energy transforming the city. I had the impression of seeing a thousand of hands that, from the inside of the buildings moved walls, build partitions, slabs, new projected volumes…and I asked myself how to intervene, how to direct these fragmented forces, although the recourses were limited». Edi Rama, Major of Tirana

scene, invites world-famous artists and the biennial abandons the gallery walls for the city walls.

It all started with colour…

And the story goes on... Europe’s image of Albania is beginning to change. On the internet, in the newspapers, on the walls of art galleries, the colourful façades are appearing. The age of urban planning is here. Public space now has new value. Parks once filled with illegal constructions are once again green with grass and trees. There is colour there to. A competition has been announced for urban design in the city centre, won by Architecture Studio. A number of ideas competitions have been held for individual buildings, bringing well-known names from the world of architecture to Tirana: Peter Wilson, Mecanoo, 51N4E, Elia Zenghelis, MVRDV. Tirana is now facing the challenge of the new town planning scheme: the first one to take the populations’ desires into account. The city has become aware of its role in urban development and asks that abandoned public spaces be transformed into parks, basketball courts, children’s playgrounds. The most important thing is that they be maintained. The city will use its own funds, though it doesn’t have many. Citizens participate in

«Simply it should happen. Simply! It was also a psychological matter». «People should be awakened by the gray winter sleep they had fallen for years. For me, the colours were hope and change signals after years left in oblivion». Edi Rama First they painted the buildings on the main roads, the entrance routes to the city, they gave makeovers to government buildings, renovated important buildings, and here the colours are more subtle, the choice is linked with history but the innovative spirit still survives. But when it comes to those horrible monsters without heads or history, the social housing developments, the response is even more extreme. Lines of poetry claim freedom of expression on walls that had been covered with political slogans. These buildings will become installations at the Second Art Biennial in Tirana. Albanian artist Arni Sala, a well-known name on the international art

«This is a way that contributes for the city in those point where it happens and in a natural way also in the living of its habitants, because are the habitants that live behind the façades and in the space surrounding this buildings». Arni Sala

public forums, recognise the value of the city, the ‘landmarks’: a villa dating back to the ‘20s or ‘30s, a national institute, a historic school, etc. The old neighbourhoods, gobbled up in the urban expansion of recent years, without a distinctive character of their own, will start to find their own lost identity again on the basis of these ‘landmarks’. The city of Tirana is now a city of layers: historic layers, social layers, layers of buildings of different heights, and all these layers create a multitude that many would call chaos, but that here, looking toward the future, we see as inspiration to give the utmost expression to the energy typical of this city and create a new identity for Tirana.

interventi di riqualificazione urbana: in alto il fiume Lana, in basso risistemazione di strade carrabili e pedonali/urban redevelopment: above, Lana river; below, carriageable and peatonal streets


Ma quando si tratta di quegli orribili mostri senza testa né storia, gli edifici popolari, anche la risposta è più estrema. Nei muri che un tempo recavano impressi slogan politici, pezzi di poesie dimostrano la libertà d’espressione. Proprio questi edifici divennero installazioni della Seconda Biennale d’Arte di Tirana. Anri Sala, famoso artista Tiranese, oramai conosciuto e apprezzato negli ambienti internazionali d’arte moderna, invita altri artisti di fama mondiale facendo sì che la Biennale abbandoni le pareti delle sale espositive per occupare quelle della città. «Questo è un modo che contribuisce alla crescita della città. Nei punti in cui questo accade, il colore diventa parte della vita degli abitanti che vivono dietro alle facciate e negli spazi che circondano questi edifici». Anri Sala E la storia continua... L’immagine che l’Europa ha dell’Albania inizia a cambiare. Su internet, sulle pagine dei giornali, nelle gallerie d’arte appaiano le famose facciate colorate. Inizia l’era della pianificazione urbana. Lo spazio pubblico assume un nuovo valore. I parchi occupati da costruzioni abusive tornano a essere occupati da alberi e verde. Il colore invade anche loro. Si bandisce un concorso, poi vinto da Architecture Studio, per lo studio urbano del centro. Vari concorsi di idee per la progettazione di singoli edifici portano a Tirana alcuni grandi nomi del mondo architettonico: Bolles&Wilson, Mecanoo, 51N4E, Elia Zenghelis, MVRDV. Oggi Tirana affronta la sfida del nuovo piano regolatore, il primo che tiene conto della volontà degli abitanti. La cittadinanza ha preso adesso coscienza del suo ruolo nello sviluppo urbano e chiede che lo spazio pubblico, oggi ancora dismesso, venga trasformato e utilizzato per giardini, campi da basket, parchi giochi per i piu piccoli. Ma la cosa forse più importante è che le persone si impegnano per mantenere questi impegni, proponendo anche un’autotassazione, seppur limitata, per garantirne la realizzazione. I cittadini partecipano a forum pubblici, riconoscono il valore della città, i ‘punti di riferimento’, una villa degli anni ‘20, un istituto statale, una scuola... Alcuni quartieri senza un carattere definito, inglobati negli ultimi anni nello sviluppo urbano, cominciano a ritrovare la loro identità perduta proprio grazie a questi riferimenti. Tirana è oggi una città a strati: storici, sociali, fisici in una moltitudine che molti chiamerebbero caos, ma che qui, con gli occhi proiettati verso il futuro, viene intesa come spunto per esprimere al massimo l’energia tipica del luogo e per creare la sua nuova identità.

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Gherardo Bosio Eleganza, funzionalità, originalità

di/by Marie Lou Busi immagini/images Archivio Bosio Gherardo Bosio. Elegance, functionality, originality After a difficult start, the excellent architect Gherardo Bosio gained acclaim for his creative originality, sophisticated creations, and his love of beauty, making him a prime representative of the rebirth of Italian architecture in the thirties and of the important role Tuscan architects played in it. Bosio was a refined interior designer, architect, and an urban planner, a ‘total designer’ who design everything, from the key to a wardrobe to master plans for newly founded colonial cities. On the strength of his skill, in 1939, he was asked to redesign the master plan of Tirana, Albania. Bosio proved his broad urban planning vision, spearheading the formation of a central office for building and urban planning in Albania with the same criteria that had already been set for A.O.I. (Africa Orientale Italiana [Italian East Africa]). Projects for the master plans of Valona, Elbassan and other cities were also devised under his direction. He was also commissioned to design the accessories and décor for King Zogu’s villa, which later became the Lieutenant’s residence on the hill that overlooks Tirana. The first issues that the urban planning office took on were developing master plans for Tirana and the center’s monumental complex. The plan aimed to give the city a strong identity, emphasizing the center’s representative role. Foreseeing a great need for new works, the plan immediately set the task of defining the general plan of the main thoroughfares. At the same time, urban planning regulations were developed that laid down the standards for well-

Gherardo Bosio, architetto geniale, dopo duri inizi si era avviato per originalità inventiva, signorilità di concezioni, passione del bello, ad una delle posizioni più cospicue fra gli architetti italiani che meglio possono rappresentare il rinnovamento dell’architettura italiana degli anni ‘30 e l’importanza in esso avuto dai Toscani. Bosio è un raffinato arredatore e designer, architetto, urbanista, una figura di ‘progettista totale’ che disegna tutto, dalla chiave di un armadio ad un piano regolatore per una città coloniale di fondazione. Proprio per queste sue grandi capacità nel 1939 viene chiamato a redigere il Piano Regolatore di Tirana. Dimostrando una larga visione urbanistica Bosio promuove e dirige la costituzione di un Ufficio Centrale per l’Edilizia e l’Urbanistica dell’Albania con gli stessi criteri già stabiliti per l’A.O.I. (Africa Orientale Italiana). Sotto la sua direzione vengono eseguiti anche i progetti per i piani regolatori di Valona, Elbassan, ed altre città. Gli viene assegnato anche l’incarico per il completamento e l’arredamento della villa di Re Zogu, destinata poi a residenza del Luogotenente sulla collina che domina Tirana. I primi problemi affrontati dall’ufficio sono lo studio del Piano Regolatore di Tirana e del complesso monumentale del centro. Si tratta di un impianto finalizzato a dare una identità forte alla città, enfatizzando il ruolo rappresentativo del centro. Prevedendo la grande necessità di nuove opere si presenta l’esigenza immediata di determinare il disegno generale delle principali arterie stradali. Contemporaneamente elabora alcuni Regolamenti Urbanistici nei quali sono elencate le norme per la realizzazione di un’edilizia proporzionata e armonica stabilendo volumetrie altezze e materiali di rivestimento. I viali presi in considerazione dai regolamenti sono: viale Vittorio Emanuele, Viale Mussolini e Viale Principe Umberto. Bosio dedica grande impegno e studio al Viale dell’Impero che crea per collegare l’esistente nucleo cittadino, sviluppato intorno a Piazza Skanderbeg, al nuovo centro politicosportivo, piazza Littorio, oggi Madre Teresa, che va formandosi intorno alla Casa del Fascio. Questa alta costruzione con fronte simmetrico ed austero rivestita a bugnato, rialzata da un’imponente scalinata sulla quale sono posizionate gruppi scultorei, domina la città sia materialmente che moralmente. Ai lati si trovano due costruzioni: una destinata alla Gioventù Littorio Albanese con il retrostante stadio, l’altra destinata a sede del Dopolavoro Albanese con il suo cinema-teatro. Sul viale dell’Impero progetta edifici rappresentativi come gli Uffici Luogotenenziali, le sedi dei Comandi Militari e l’Albergo Dajti. Purtroppo nel pieno fervore del suo lavoro fu colpito da una grave malattia che lo spense nell’aprile del 1941. Era un architetto apprezzato e richiesto, generava forme nuove grazie a un’inesauribile ricerca progettuale di sobrio ed elegante disegno moderno. Nasce a Firenze nel 1903, si laurea in Ingegneria Civile a Roma nel 1926 ed inizia la sua attività professionale a Firenze sotto la guida di Ugo Giovannozzi; nel 1930 si laurea poi in architettura. Sono

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proportioned and harmonious building by establishing volumes, heights and cladding materials. The avenues affected by the regulations included Viale Vittorio Emanuele, Viale Mussolini and Viale Principe Umberto. Bosio devoted much attention and effort to designing Viale dell’Impero, which he made to connect the existing city core around Piazza Skanderbeg to the new political/athletic center, Piazza Littorio, now Madre Teresa, is set around the Casa del Fascio [House of Fascism]. This tall building with a symmetrical, sober façade clad in ashlarwork is raised on a majestic staircase holding sculptural groups. It dominates the city both physically and conceptually. There are two buildings to the side of it. One was the site of the Gioventù Littorio Albanese [Albanian Fascist Youth movement] with a stadium behind it. The other was the site of the Dopolavoro Albanese [fascist organization for workers’ leisure time] with a cinema/theatre. On the Viale dell’Impero, he designed office buildings like the Uffici Luogotenenziali [lieutenants’ offices], the headquarters of the Military Command and the Hotel Dajti. Unfortunately, at the height of his career, he became seriously ill and passed away in April, 1941. Bosio was an admired and much in-demand architect. He spawned new forms through the tireless pursuit of austere, elegant modern style. He was born in Florence in 1903 and graduated in civil engineering in Rome in 1926. He began his professional career in Florence, under the guidance of Ugo Giovannozzi. He graduated in architecture in 1930. His early career included architecture

del primo periodo formativo i concorsi di architettura come quello internazionale per il faro in memoria di Cristoforo Colombo a Santo Domingo, progetti e restauri di ville ed appartamenti per gli uffici del Movimento Forestieri e per le varie Fiere dell’Artigianato. Si batteva con entusiasmo per l’idea di un’architettura rinnovata scrivendo e pubblicando articoli su giornali e riviste regionali e nazionali e auspicava che l’Italia potesse ancora essere maestra nell’architettura. Nel 1931 Bosio si fa promotore della costituzione del primo Gruppo Toscano con Michelucci, Berardi e Guarnieri. Insieme a loro realizza i nuovi padiglioni per la IV Fiera Internazionale del Libro a Firenze, ma dopo questa esperienza abbandona il Gruppo per disaccordi con Michelucci. Oltre ad insegnare alla Regia Scuola di Architettura di Firenze, partecipa alla V Triennale di Milano ed al concorso per la Stazione di Venezia. Con la Casa del Golf dell’Ugolino all’Impruneta (Firenze) e Villa Ginori Conti a Cerreto di Pomarance (Pisa) si mette in evidenza come figura di punta della nuova architettura. Dal 1934 ottiene dal Ministero degli Esteri diversi incarichi di progettazione ed arredamento a La Paz (Bolivia), Budapest e Bucarest. In qualità di Ufficiale di Complemento di Cavalleria chiede ed ottiene di partire volontario per l’Africa Orientale Italiana nel 1936 dove redasse i progetti per i Piani Regolatori di Gondar, Gimma, e Dessiè. Con questi progetti intendeva dar vita ad un organismo centrale in Addis Abeba che sotto le direttive unitarie di un architetto potesse redigere tutti i piani regolatori delle città nuove e controllare l’attività edilizia dei privati nelle varie località per permettere uno sviluppo razionale, omogeneo e ordinato. Idea, questa, approvata da Mussolini in un’udienza privata. Oltre ai piani regolatori, numerosi sono anche i progetti per tribunali, centri studio, residenze per il governatore e palazzi rappresentativi. In questi ultimi e fecondi anni della sua vita, oltre ai grandi lavori in Albania, Bosio riesce a seguire e portare a compimento anche in Italia numerose opere e progetti: il Padiglione dell’Albania alla Fiera di Levante a Bari ed alla Mostra delle Terre Italiane d’Oltre Mare a Napoli, la trasformazione ed ampliamento di Palazzo Giuntini a Firenze) oltre alla cura di restauri e arredamenti Ciano, Benini, e Della Gherardesca.

pagina precedente/previous page Tirana, Casa del Fascio in fase di completamento, 1940 circa (immagine tratta da M.A. Giusti, Albania architettura e città, Maschietto Editore, Firenze 2006, p. 63/Tirana, Fascist House at the end of works, about 1940 (image taken from M.A. Giusti, Albania architettura e città [Albania architecture and city], Maschietto Editore, Florence 2006, p. 63

Padiglione dell’Albania alla Mostra Triennale delle terre d’Oltremare a Napoli, 1939-40/ Albanian Pavilion at the Overseas countries Triennal Exposition in Naples, 1939-40 apertura/opening page Tirana, piazza del Fascio, 1939-40. Prospettiva e cantiere/Tirana, piazza del Fascio, 1939-40. Perspective and works

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Casa del Golf dell’Ugolino, Firenze. Vista della casa verso la piscina e della casa verso i campi da gioco/Golf House at Ugolino, Florence. View of the house towards the swimming-pool and of the house towards the golf course

competitions like the international competition for the lighthouse in Santo Domingo commemorating Christopher Columbus, designs and restorations of villas and apartments for the offices of the Movimento Forestieri and numerous handicrafts trade fairs. He enthusiastically championed the idea of new architecture, writing and publishing articles in regional and national newspapers and magazines. His hope was that Italy could again become a leader in architecture. In 1931, Bosio supported the formation of the first Gruppo Toscano [Tuscan Group] with Michelucci, Berardi and Guarnieri. With the group, he designed new pavilions for the 4th International Book Fair in Florence. However, he left the group after that project due to disagreements with Michelucci. In addition to teaching at the Royal School of Architecture in Florence, he took part in the 5th Milan Triennial and the competition for Venice’s railway station. He marked himself as a leading figure in new architecture with the Casa del Golf dell’Ugolino in Impruneta (Florence) and Villa Ginori Conti in Cerreto di Pomarance (Pisa). Starting in 1934, he was commissioned by the Ministry of Foreign Affairs for numerous architecture and furnishing projects in La Paz (Bolivia), Budapest and Bucharest. As an auxiliary officer of the cavalry, he asked to go as a volunteer to Italian East Africa in 1936 where he designed the master plans of Gondar, Gimma and Dessiè. With these projects, he planned to create a central organization in Addis Abeba, which under the unified direction of one architect could devise all the master plans of the new cities and oversee building by private parties in the different places to make for rational, homogenous and orderly development. Mussolini approved this idea in a private meeting with the architect. In addition to the master plans, he designed many plans for courthouses, study centers, Governor’s residences and governmental buildings. Beyond the major projects in Albania, in the last, prolific years of his life, Bosio oversaw and completed many works and projects in Italy, including the Pavilion of Albania at the Fiera di Levante in Bari and the Mostra delle Terre Italiane d’Oltre Mare in Naples, the renovation and expansion of Palazzo Giuntini in Florence), in addition to restorations and furnishing design for the best work of Ciano, Benini, and Della Gherardesca.


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VI Triennale di Milano, 1936. Servizio da tè in argento/VI Milan Triennal, 1936. Silver tea-service Progetto per la casa di cura sul viale dei Colli a Firenze, 1932/Project for a rest-cure on viale dei Colli in Florence, 1932



L’altra sponda del sogno La Romagna del mito delle origini

di/by Ulisse Tramonti foto di/photo by Luca Massari The other shore of the dream. Tomagna and the Fascist origin myth If, as fascist historians often said, Albania received «the only lights of civilization and progress’ from across the sea, the Adriatic played a fundamental role in making that Italian-Albanian civilization that was laboriously built after the Pact of friendship and security was signed in Tirana in 1926. The sea once again witnessed a glorious historic process that had seen historic events on the Adriatic coastlines with the ancient Roman empire, the reign of the Serenissima Repubblica of Venice on the eastern shore, until Mussolini’s Italy, taken as a favored partner, turned Albania into a protectorate. For the young nation, founded in 1917, the Italians provided the construction for public works, financial assistance, cultural and charity institutions, as well as armed action against expansionist pressures from bordering countries. On the sea, the Albanian city of Durrës was favored. Here, in 1927, a large wharf was built, defining the coastal city’s future as the country’s first commercial port and first modern outpost of the capital Tirana, finally connected to the sea with a high-speed railway line, the first built in Albania. With Italian investment capital, these well-established architects of ‘colonial culture’ came from across the sea sent by the Ministry of Foreign Affairs, to redesign the first, rational infrastructural system and the architectural image of the major cities of this ‘protected’ nation. The architect Florestano Di Fausto moved back and forth between the two bordering countries,

Se è vero, come spesso veniva affermato dalla storiografia fascista, che dal mare erano giunte all’Albania «le uniche luci di civiltà e di progresso», l’Adriatico assumeva l’assoluto ruolo di fondamento originario di quella civiltà italo-albanese che andava faticosamente costruendosi dopo il Patto di amicizia e sicurezza siglato a Tirana nel 1926. Il mare reiterava ancora una volta un glorioso processo storico che aveva visto avvicendarsi sulle coste adriatiche l’imperialismo di Roma antica, il dominio della Serenissima Repubblica di Venezia sulla sponda orientale, fino all’arrivo dell’Italia mussoliniana che, adottata come partner preferenziale, aveva trasformato il territorio albanese in un vero e proprio protettorato. Il popolo italiano assicurava alla giovane nazione, costituitasi nel 1917, la realizzazione delle necessarie opere pubbliche, l’assistenza finanziaria, le istituzioni culturali e di beneficenza, oltre all’intervento armato contro le pressanti mire espansionistiche dei paesi confinanti. E quindi sul mare veniva privilegiata Durazzo, dove nel 1927 la costruzione di un grande pontile di attracco segnava il destino della città costiera a primo scalo commerciale del paese e primo moderno avamposto della capitale Tirana, finalmente collegata al mare da un veloce tratto ferroviario, il primo costruito in Albania. Con i capitali italiani di investimento giungevano dal mare, inviati dal Ministero degli Affari Esteri, quegli architetti di consolidata ‘cultura coloniale’, atti a ridisegnare il primo e razionale sistema infrastrutturale e la nuova immagine architettonica delle città più importanti della nazione ‘protetta’. L’alternata presenza dell’architetto Florestano Di Fausto nei due paesi frontalieri, collegava idealmente le due sponde dell’Adriatico, quella albanese del sogno espansionistico del regime a quella della Romagna, dove il fascismo consumava la liturgia dell’ ‘Uomo della Provvidenza’, attraverso la consacrazione di tutti quei luoghi da affidare ad un immaginario collettivo, preposto a decretare e consolidare la strutturazione del mito della fortuna dell’uomo Mussolini. Già dal 1923, in collaborazione con il governatore e ambasciatore Mario Lago, Di Fausto aveva costruito a Rodi e in altri centri insulari del Dodecaneso una cospicua serie di edifici per le istituzioni di potere; quando venne inviato in Albania nel 1927 a completare quanto già tracciato dal destituito Armando Brasini, l’architetto romano era impegnato a costruire Predappio Nuova, luogo privilegiato su cui fondare il mito fascista delle origini. Tutta la Romagna, ed in particolare la provincia di Forlì che Mussolini nel 1923, compiendo verso quella terra ‘il primo atto d’amore’, ne aveva vistosamente modificato i confini, sottraendo a Firenze i dodici comuni del circondario di Rocca San Casciano, era un territorio ‘in posizione speciale’, a cui erano destinate dal governo centrale continue e consistenti elargizioni in denaro. Una provincia, quella di Forlì, dove secondo Arnaldo Mussolini «essere fascisti a 18 karati era un obbligo imprescindibile».

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conceptually connecting the Adriatic’s two shores: the Albanian shore of the expansionist dream and the Romagna shore, where fascism performed the liturgy of the ‘Man of Providence’ by consecrating theses places for the collective imagination, with the intent of bolstering and validating the grand myth of the history of one man, Mussolini. In 1923, jointly with the governor and ambassador Mario Lago, in Rhodes and other island centers of the Dodecanese in Greece, Di Fausto had already built a impressive series of buildings for the institutions of power; when he was invited to Albania in 1927 to complete what had been laid down by the dismissed Armando Brasini, Di Fausto was busy building Predappio Nuova, a perfect place for building the fascist myth of origins. All of Romagna, especially the province of Forlì, where in 1923 Mussolini had completed his ‘first act of love’ for this land, had dramatically modified its borders. The twelve municipalities of the Rocca San Casciano district had been taken away from Florence. This area was in a ‘special location’ and received ongoing major infusion of money from the central government. In the province of Forlì, Mussolini’s native land, as Arnaldo Mussolini put it, «being a pure gold fascist was an absolute must». The places of Mussolini’s legend were set in a wider plan aimed at a dramatic renewal of the area.

Floristano Di Fausto, scuola elementare di Predappio 1927/Floristano Di Fausto, Primary school in Predappio 1927 in apertura/opening page Arnaldo Fuzzi, Casa del Fascio e dell’ospitalità, Predappio 1934-1937

Tourism was meant to take on a preeminent role second only to agriculture, embracing the Romagna coast and some art cities inland, watched over by Bertinoro, known as Romagna’s balcony for its extraordinary scenic location. With the renovated Colonna dell’Ospitalità [Column of hospitality] (1926), it celebrated the entire area as a true emblem of hospitality. In addition to Predappio Nuova, another place that embodied the myth of fascist origins and was the destination of a steady stream of tourism, especially political tourism was Forlì, ‘little Rome’, the true ‘city of Il Duce’, and the ‘model city’ for all of Italy. It was considered both a place for trying out a possible fascist urban policy, and an example of the politics driving national fascism. Another member of the club was Castrocaro, a hot spring locale favored by the presidential family of the nation’s ruler, and Rocca delle Caminate, the ‘nest of the eagle’ refuge, gifted by the people of Romagna to the powerful bird of prey which, according to Margherita Sarfatti had treacherously and providentially flown from Mussolini’s native Predappio to Rome (in Predappio, a pair of royal eagles were preserved and exhibited in a large aviary at the base of the stairway in Palazzo Varano). The wooded areas around Mount Fumaiolo were also taken from Tuscany in 1923 to establish a direct link between Rome and Romagna with the sacred


I luoghi del mito furono inseriti in una più vasta programmazione finalizzata ad un eclatante rilancio, dove il turismo doveva assumere un ruolo preminente secondo solo a quello dell’agricoltura e comprendere la Riviera romagnola e alcuni centri artistici dell’entroterra, sorvegliati da Bertinoro, ‘balcone di Romagna’ per la sua straordinaria posizione panoramica, che con la ripristinata Colonna dell’Ospitalità (1926) celebrava idealmente l’intero territorio, come luogo simbolico assoluto dell’accoglienza. Tra i ‘luoghi’ si contava oltre a Predappio Nuova, che consacrava il mito delle origini e che era meta di un incessante turismo soprattutto politico, Forlì, ‘piccola Roma’, ‘città del Duce’ per eccellenza, la ‘città modello’ per tutta la nazione, ritenuta non solo come luogo sperimentale di una possibile politica urbana fascista, ma esempio di politica trainante alla testa del fascismo nazionale. Da includere nel novero anche Castrocaro, luogo termale preferito dalla famiglia presidenziale del Capo del Governo e Rocca delle Caminate infine, il rifugio ‘nido dell’Aquila’, donato dalla popolazione romagnola a quel potente rapace che secondo Margherita Sarfatti aveva così proditoriamente e provvidenzialmente volato da Predappio a Roma (a Predappio, all’inizio della scalea di Palazzo Varano, veniva conservata ed esposta in una grande voliera, una coppia di aquile reali). Anche le aree boschive intorno al monte Fumaiolo furono sottratte nel 1923 alla Toscana, per stabilire con le sacre sorgenti del Tevere un legame diretto fra Roma e la Romagna. Sulla costa infine, Riccione entrava prepotentemente a far parte dei luoghi del mito fino dalle sue origini municipali, consacrata ‘figlia prediletta’ dell’intera nazione italiana dal 1934, quando fu scelta come residenza estiva ufficiale della famiglia del capo del Governo, dopo l’acquisto della villa Galli-Barnabei. A condividere il primato costiero con Riccione e ad assumere il ruolo

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Florestano Di Fausto, case economiche per sinistrati, Predappio 1926-1927/Florestano Di Fausto, social houses in Predappio 1926-1927 Saul Bravetti e Gustavo Giovannoni, nuovo centro direzionale di Forlì in Piazzale della Vittoria 1941/Saul Bravetti and Gustavo Giovannoni, new office district in Piazzale della Vittoria, Forlì 1941

waters of the Tiber. On the coast, Riccione also became one of the most important places of the origin myth since its beginnings as a city, it was deemed the ‘favorite daughter’ of the entire country of Italy in 1934, when it was chosen for the official summer residence of the family of Italy’s ruler, after they bought the Villa Galli-Barnabei. Cesenatico, a bridgehead for the entire Romagna Riviera, shared the coastal primacy with Riccione and took on the role of maritime outpost for the favored city of Forlì. There was a plan connect to two important centers directly and quickly by a Forlì-sea highway. This new twenty-four kilometer long highway section was to allow for the easy, safe transport of goods leaving from the port base. The new highway, a rapid connection for Via Emilia and Via Romea, was to bolster mass tourism to the other beach centers on the coast and, most importantly, promote tourism in artistic and hot spring centers in Forli’s inland area. In these same years, the civil engineering corps of Forlì was assigned the expansion of the small port of Cesenatico with a dock for leisure and merchant ships, the design of a railway connection before the port to develop adjacent industrial areas, and the construction of a second port for the docking of torpedo boats and other navy vessels. Florestano Di Fausto arrived in Predappio in 1926, at the behest of his prodigious protector, the marquis Giacomo Paulucci di Calboli Barone, chief secretary of the President of the Council. Di Fausto was asked to give a new image to the buildings that were being built in the new center. Di Fausto redesigned the small center as a ‘rural village’, to emphasize its official role of trade for the entire valley of the Rabbi River. In Predappio, the road at the base of the valley is the spatial element generating the entire city system with blocks of buildings serving the town’s life. This is the starting point, from which, geographic conditions permitting, a checkerboard of lots for housing units takes shape.

The same process of urbanization, from the different perspective of the large scale, took place in Tirana. The first master plan that Brasini drew up in 1925 started from the idea of a grand avenue, set to form the administrative and monumental center of an autonomous city. Its abstract intent to project a certain appearance coincides with its alienation from the context where it was set. Di Fausto’s efforts to order Predappio on a pre-set plan led to substantial changes, such as creating new grand spatial configurations in the Piazza del Mercato Viveri, a tribute both to the road intersection with the street that leads to the Rocca delle Caminate and Benito Mussolini’s birth house, and the large opening under Palazzo Varano, destined to be the square of political and religious power. The language that Di Fausto applied to the new buildings in Predappio was highly personal, an ‘eclectic ruralism’ as many have called it and must have created effects of amazed stupor even on visitors not wonting in experience, like Antonio Baldini and Antonio Beltramelli, who had just written Uomo Nuovo. His recount of his visit, published in the popular periodical Il Rubicone, was not without a certain dose of winking irony: «the new building’s fresh, bright colors, the apotropaic words in Latin and the decorative mascarons seemed like elements from a strange theatrical set, in super cinematic style». Di Fausto left Predappio in 1930 to take the role in Libya of the ‘consultant for architecture of the municipality of Tripoli’. In the small center of Predappio, he left the design of all the monumental planned works to others: the potentate Cesare Bazzani would make the mother church dedicated to Sant’Antonio da Padova (1931-33), Arnaldo Fuzzi the Casa del Fascio (1934-37), Cesare Valle the Casa della GIL (1937), and finally Enrico De Angeli the villa for Cesare Castelli (1941), director of the Aeronautiche Caproni shops.


Cesare Valle, Collegio Aeronautico di Forlì 1934-1941; Francesco Saverio Palozzi, Icaro 1941/Cesare Valle, Aeronautic school in Forlì 1934-1941; Francesco Saverio Palozzi, Icarus 1941

di avamposto marittimo della prediletta Forlì, veniva individuata Cesenatico, testa di ponte dell’intera riviera romagnola. Il collegamento fra i due importanti poli era previsto diretto e veloce per mezzo di un’autostrada Forlì-mare: un nuovo tronco stradale lungo ventiquattro chilometri che avrebbe permesso un agile e sicuro movimento delle merci in partenza dalla base del porto. In realtà la nuova autostrada, collegamento veloce per la via Emilia e la via Romea, doveva favorire la diffusione delle masse turistiche verso gli altri centri balneari della costa e soprattutto innescare la promozione turistica dei centri artistici e termali dell’entroterra forlivese. Ai tecnici del Genio Civile di Forlì fu dato l’incarico negli stessi anni di ampliare il piccolo porto di Cesenatico con una darsena per le imbarcazioni di diporto e mercantile, di progettare un raccordo ferroviario a monte della stessa per lo sviluppo di adiacenti aree industriali, ed infine la realizzazione di una seconda darsena per l’approdo delle torpediniere e di altre unità della marina. Florestano Di Fausto era giunto a Predappio nel 1926 per l’interesse del suo prodigo protettore, il marchese Giacomo Paulucci di Calboli Barone, capogabinetto del Presidente del Consiglio, a dare un’immagine altra alle architetture che stavano crescendo nel nuovo centro. Di Fausto ridisegnava il piccolo centro come una ‘borgata rurale’, a sottolinearne il ruolo ufficiale di scambio per l’intera vallata del fiume Rabbi. A Predappio è la strada di fondovalle l’elemento spaziale, generatore dell’intero sistema urbano, su cui si ergono isolati gli edifici funzionali alla vita del paese, e da cui si moltiplica, dove le condizioni geografiche lo permettono, una episodica lottizzazione a scacchiera per i blocchi residenziali. Lo stesso processo di urbanizzazione, nelle diverse angolazioni della grande scala, succedeva a Tirana, dove il piano regolatore studiato da Brasini nel 1925 si muoveva sull’idea di un grande viale, preposto a configurarsi come il centro direzionale e monumentale di una città autonoma, la cui astrazione di proiezione del visibile e dell’apparenza, coincideva con la sua alienazione dal contesto su cui veniva a situarsi. L’impegno di Di Fausto di fare ordine a Predappio su di un impianto già tracciato portava a modifiche sostanziali, come la creazione di nuove spazialità consistenti nella piazza del Mercato Viveri, esaltazione contemporanea del nodo viario di intersezione con la strada che porta alla Rocca delle Caminate e dalla casa natale di Benito Mussolini, e il grande slargo sotto il palazzo Varano, prefigurato come la piazza del potere politico e di quello religioso. Un linguaggio personalissimo quello applicato ai nuovi edifici predappiesi da Di Fausto, un ‘ruralismo eclettico’, come definito da più parti e che certamente doveva produrre effetti di sorprendente spaesamento anche su visitatori non sprovveduti, ma esigenti, come Antonio Baldini e Antonio Beltramelli, che aveva appena scritto Uomo Nuovo. Alla narrazione della visita, riportata sul diffuso periodico Il Rubicone, non mancavano vene di ammiccante ironia: «i colori freschi e squillanti delle nuove costruzioni, le scritte apotropaiche in latino, i mascheroni decorativi, apparivano elementi di un estraneo mondo scenografico, stile supercinema». Di Fausto abbandonava Predappio nel 1930 per assumere in Libia il ruolo di ‘consulente per l’architettura del municipio di Tripoli’, lasciando nel piccolo centro l’impostazione di tutte le opere monumentali previste: il potente Cesare Bazzani realizzerà la chiesa madre dedicata a Sant’Antonio da Padova (1931-33), Arnaldo Fuzzi la Casa del Fascio (1934-37), Cesare Valle la casa della GIL (1937), e infine Enrico De Angeli la villa per Cesare Castelli (1941), direttore delle locali officine Aeronautiche Caproni.

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Thoughts for a polysemic analysis

© FM Conti

Le identità di Tirana

Tirana’s identities

Spunti per una riflessione polisemica

Con la morte dell’imperatore Teodosio avvenuta nel 395, i territori albanesi si trovarono divisi tra Roma e Bisanzio. La ‘linea di Teodosio’ divise la civiltà albanese prima culturalmente in gheghi e toschi e più tardi anche religiosamente in cattolici e ortodossi. La caduta di Costantinopoli (1453) nelle mani dei Turchi ottomani rappresenta invece l’episodio emblematico che segnò la trasformazione di quella linea in un’altra divisione: quella tra il Cristianesimo e l’Islam. Con il concetto amministrativo di ‘millet’1 gli Ottomani volevano indebolire il senso di appartenenza etnica sostituendo il criterio etnico-linguistico con quello religioso. Gli Albanesi, non avendo una chiesa unica che servisse da collante per l’unità nazionale, si erano abituati ad accettare la coesistenza contraddittoria delle due appartenenze e professavano il Cristianesimo e l’Islam in tutte le sfaccettature ideologiche, culturali e artistiche senza dover tradire la loro albanesità. Nel 1614 Sulejman Pascià fondò la città di Tirana e vi costruì una moschea; nel 1780 veniva costruita la Chiesa ortodossa di San Procopio e nel 1865 quella cattolica di Santa Maria. Sempre più multiculturale Tirana assumeva il ruolo di cerniera culturale e geopolitica tra le due culture della civiltà2 albanese e nel 1926, quando diventò capitale d’Albania, fece confluire in sé le correnti politico-culturali del paese necessarie alla realizzazione del sogno rinascimentale di unificazione albanese. La città faceva sentire i suoi abitanti contemporaneamente autoctoni e ‘Altri’, gheghi e toschi, cattolici e ortodossi, mussulmani sunniti e bektashi. Per esaminare il carattere visivo di una città3 è necessario analizzare l’immagine mentale che di essa hanno i suoi cittadini. Il collettivo complesso ed eterogeneo della capitale albanese ha al suo interno un insieme diversificato di rappresentazioni cognitivo-emotive determinate dalle specifiche radici culturali e spirituali. Se tracciamo le regioni e i confini che le uniscono o le separano, se evidenziamo le modalità di comunicazione e di locomozione4 tra gli spazi psicologici del ‘caos’ topologico della capitale, riusciamo a delineare il ‘cosmos’ ordinato dei luoghi antropologici pervenuti alla modernità attraverso la storia. Per meglio capire i complessi rapporti ed equilibri tra il


di/by

When Emperor Theodosius died in 395, the Albanian territories were divided between Rome and Byzantine. The ‘line of Theodosius’ divided Albanian civilization first culturally in Ghegs and Tosks and later religiously in Catholic and Orthodox. The fall of Constantinople (1453) into the hands of Ottoman Turks was an emblematic event marking that line turning into a new division, that between Christianity and Islam. The Ottomans’ used the administrative idea of ‘millet’1 to weaken the sense of ethnic identity and replace ethnic/linguistic criteria with religious criteria. As Albanians did not have a single church as an adhesive for national unity, they were used to accepting the contradictory coexistence of the two identities, professing Christianity and Islam in all their ideological, cultural and artistic facets without disregarding their Albanianism. In 1614, Sulejman Pascià founded Tirana and built a mosque there. In 1780, the Orthodox church of St. Prokop was built; the Catholic church of St. Mary was built in 1865. The increasingly multicultural Tirana became a cultural and geopolitical link between the two cultures of Albanian civilization2. In 1926, when it became Albania’s capital, it absorbed the country’s political and cultural streams needed to realize the national renaissance dream of Albanian unification. The city made its people feel simultaneous native and ‘Others’, Gheg and Tosk, Catholic and Orthodox, Sunnite and Bektashi Muslim. In order to understand a city’s visual character3, we must examine the image that its inhabitants have of it mentally. The complex, heterogeneous community of Albania’s capital contains a diverse collection of mental and emotional representations based on specific cultural and spiritual roots. If we trace the regions and the borders that unite or separate them, highlighting the ways of communication and locomotion4 between the psychological spaces of the capital’s topological ‘chaos’, we find a ‘cosmos’ organized by anthropological places that have come to modernity through history. To help us better understand the complex relationships and balances between the sense of ‘us’ of ‘locals’ and the otherness of the ‘new arrivals’ we have to review all the city’s probable anthropological configurations, from its origins to the present-day.

Fatós Dingo


Coesistenza contraddittoria

contradictory coexistence

Orthodox Iconostasis in Berat

Iconostasio ortodosso a Berat

Iconotasio di legno dorato del 1806, Chiesa ortodossa della Dormizione della Madre di Dio, Museo Iconografico ‘Onufri’, Quartiere Castello, Berat/ Gilded wooden Iconostasis of 1806, Saint Mary Orthodox Church of Dormition, Iconographical Museum ‘Onufri’, Castle District, Berat in apertura: la moschea in piazza Skanderbeg e mosaico del Museo di arte moderna, dettaglio/opening: the mosque in Skanderbeg Square and the Modern Art Museum, detail


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Š Agron Dingo


© Joni Mergjeka

‘noi’ degli ‘autoctoni’ e l’alterità degli ‘arrivati’ si devono passare in rassegna tutte le probabili configurazioni antropologiche della città dalla fondazione ad oggi. Proviamo ad immaginare la città come un corpo con linee, curve, corsi, fiumi e colori. Nei Balcani luoghi e corpi sono intercambiabili. Le leggende raccontano di castelli dove fondamenta e muri si con-fondono con corpi di donne sacrificate. L’attaccamento al ‘luogo’ fisico fa nascere la sensazione di viverlo come estensione spaziale del proprio ‘corpo’ concreto e metaforico. Come inciderà la modernità su queste rappresentazioni di luoghi vissuti come estensioni del corpo? Pasolini insegna: «Un corpo è sempre rivoluzionario perché rappresenta l’incodificabile. È in esso che viviamo le situazioni codificate – vecchie e nuove – rendendole instabili e scandalose». Leggendo la faccia della città, le forme di un castello, la posizione di un corso di stile fascista, le statue e i mosaici futuristi tra il fascio e la stella rossa, gli edifici religiosi ecc. possiamo ricavare gli specifici sistemi di codifica ‘dell’incodificabile’ e scoprire i criteri e le modalità di attribuzione di senso alla contemporaneità. Questi sistemi combinano la dimensione temporale, orizzontale, sincronico/diacronica (le epoche romana, bizantina, ottomana, monarchica, fascista, comunista, moderna) con quella antropologica culturale e verticale dell’aspirazione al benessere e al perfezionamento (le concezioni socio-culturali di gheghi, toschi, cattolici, ortodossi e islamici). Un esempio di diversità di sistema di codifica è l’approccio verso l’immagine. La Chiesa ortodossa celebra ancora oggi la vittoria sull’iconoclastia come festa del proprio trionfo, l’Islam rifiuta la rappresentazione figurativa delle sembianze umane mentre la Chiesa cattolica non venera né rifiuta le sembianze umane. Come potrà influire questa eterogeneità rappresentativa sulla costruzione degli spazi e della cultura abitativa? Per attenuare la ‘crisi della presenza’5 quelli che si sono riversati di recente dalle zone rurali o dalle piccole città verso la capitale ricercano spazi abitativi comuni secondo l’appartenenza regionale creando così dei veri microquartieri. Paradossalmente il senso di spaesamento e di sradicamento che comporta questa specie di ‘diasporizzazione’ della capitale6 potrebbe creare le condizioni per la

configurazione urbanistica di una nuova ‘presenza culturale’ (post)moderna. Il desiderio di ‘modernità’ è verticale. Emergere significa esistere. Raggiungere la vetta diventa un’aspirazione sociale e architettonica. L’attenzione verso il basso e l’orizzontale dell’ecologia è marginale. Il salto nella modernità è stato troppo veloce e l’ebbrezza ha trascurato la quotidianità dei rifiuti, del traffico e dello smog. Si ha voglia di edifici alti, anzi, di torri semplicemente alte, indipendentemente dall’utilità. L’uomo stabilisce un rapporto conflittuale con la natura attraverso l’uso egemonico della ‘cultura’ e percepisce la città come qualcosa di ontologicamente diverso dall’ambiente fisico. L’abitante di una grande città si trova immerso nella datità della dimensione puramente culturale e stenta a trovare le radici fisiche della propria esistenza. Per questo la modernità del nostro secolo dirige l’architettura verso la ricerca del naturale. Tirana sta superando in fretta la fase del ‘puramente culturale’ e vive già la tensione del post-moderno, lo scontro tra l’aspirazione alla modernizzazione postsocialista e l’ecologia post-capitalista. L’imperativo ecologico si scontra con la voglia di ‘moderno’, di quel moderno appena assaporato e già svanito, anzi, demonizzato.

chiesa cattolica di Santa Maria, 1865 pagina seguente: dettagli dell’interno e della porta di accesso alla moschea/ St. Mary Catholic church, 1865 following page: interior and entrance door to the mosque, details

1 ‘Millet’, nel mosaico multietnico ottomano, indicava la divisione della popolazione in gruppi etnicoreligiosi ignorando la lingua, origine e cultura. 2 Dingo F., Identità albanesi. Un approccio psicologico, Bonanno Editore, Roma-Acireale 2007 3 Lynch K. L’immagine della città, Marsilio, Padova, 1964 4 Lewin K., Principi di psicologia topologica, Organizzazione speciali, Firenze 1961 5 De Martino F., La fine del mondo, Einaudi, Torino 1977 6 Dal 1990 ad oggi il numero degli abitanti di Tirana è passato da 250.000 a più di 700.000.


© Joni Mergjeka

72 Let’s try to imagine the city as a body with lines, curves, courses, rivers and colors. In the Balkans, places and bodies are interchangeable. Legends tell of castles where the foundation and walls were con-fused with the bodies of sacrificed women. Attachment to the physical ‘place’ creates the feeling of experiencing it as a spatial extension of our tangible and metaphorical ‘body’. How will modernity affect these representations of places experienced as extensions of the body? As Pasolini said: «A body is always revolutionary because it is uncodifiable. It is in the body that we experience codified situations – old and new ones – making them unstable and scandalous». Studying the face of the city, the forms of a castle, the position of a Fascist style course, the statues and futuristic mosaics between the Lictor fasces and the red star, the religious buildings and so forth, we can grasp the specific systems codifying the ‘uncodifiable’ and discover the criteria and modes of attributing meaning to the contemporary age. These systems combine a dimension that is temporal, horizontal, synchronic/diachronic (the Roman, Byzantine, Ottoman, monarchist, fascist, communist and modern eras) with a dimension of cultural anthropology, vertical in aspirations for wealth and improvement (the socio-cultural conceptions of Ghegs, Tosks, Catholics, Orthodox and Muslims). An example of the diversity of codifications systems is the attitude towards images. To this day, the Orthodox Church celebrates the victory over iconoclasm as proof of its triumph. Islam rejects the figurative representation of human features and the Catholic Church neither venerates nor rejects human features. How would this representative heterogeneity influence the construction of spaces and the housing culture? To soften the ‘crisis of presence’5, those recently come to the capital from rural areas or small cities, seek shared living spaces according to regional identity, creating micro-districts. Paradoxically, the feeling of estrangement and uprooting that this kind of ‘diasporization’ of the capital6 brings could create the conditions for an urban configuration of a new (post)modern ‘cultural presence’.

The desire for ‘modernity’ is vertical. Emerging means being. Reaching the peak becomes both a social and architectural aspiration. Attention downwards and to the horizontal dimension of ecology is marginal. The leap into modernity was made too quickly and the thrill obscured the daily problems of waste, traffic and smog. There is the desire for tall buildings, or just tall towers, regardless of practicality. Humans establish a conflictual relationship with nature through the hegemonic use of ‘culture’, perceiving the city as something ontologically different from the physical environment. The inhabitants of a large city find themselves immersed in the giveness of the purely cultural dimension and have trouble finding the physical roots of their existence. This is why the modernity of our century is directing architecture towards the pursuit of the natural. Tirana is quickly surpassing the ‘purely cultural’ phase and is already experiencing the tension of post-modernism, the conflict between aspiration to post-socialist modernization and postcapitalist ecology. The ecological imperative comes up against the desire for ‘modernity’, that modernity that has just been tasted and has already faded, or, rather, been demonized.

1 ‘Millet’, in the Ottoman multi-ethnic mosaic, meant dividing the population in ethnic-religious groups disregarding language, origin and culture. 2 Dingo F., Identità albanesi. Un approccio psicologico, Bonanno Editore, Roma-Acireale 2007 3 Lynch K., L’immagine della città, Marsilio, Padua 1964 4 Lewin, K., Principi di psicologia topologica, Organizzazioni speciali, Florence 1961 5 De Martino E., La fine del mondo, Einaudi, Turin 1977 6 Since 1990 Tirana’s population has grown from 250,000 to over 700,000.

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I Balcani di/by

Predrag Matvejevic`

Chi approda nei Balcani non tarda a rendersi conto delle loro contraddizioni. I Balcani vengono spesso identificati a oriente dell’Europa, in funzione dell’angolazione dalla quale li si osserva e dal punto di vista che si adotta. è stato detto e ripetuto più volte che, vista dal centro del nostro continente, questa ‘zona turbolenta’ comincia già a Monaco di Baviera o a Vienna (si riporta la famosa battuta di Metternich che riguardava una Vienna più balcanica che mitteleuropea); gli abitanti di queste due città spostano questa ‘frontiera incerta’ verso Lubiana e Zagabria (lo scrittore croato Miroslav Krleža ne vedeva il punto di partenza nel prestigioso Hôtel de l’Esplanade al centro di questa città), mentre gli Sloveni o gli stessi Croati la spingono ben più a est, verso Belgrado o Sarajevo, non senza qualche secondo fine. Dal lato orientale della penisola, persone più avvedute replicano talvolta che nei Balcani è nata la stessa Europa. La questione della molteplicità e della diversità demografica è tanto vecchia quanto gli stessi Balcani. Alle differenze etniche e linguistiche si aggiungono divergenze immaginarie e mitologiche. Ognuno pretende di avere radici più profonde dell’altro, ragioni più convincenti per impadronirsi dei territori vicini: uno Stato e un potere che affondano nelle brume del passato, dominando le tribù disperse nei dintorni. Gli avvenimenti reali e le loro rappresentazioni fittizie si sostituiscono così gli uni alle altre. Un passato lontano e molti avvenimenti recenti hanno lasciato nei Balcani piaghe che continuano a sanguinare. Le esperienze acquisite sotto i regimi imposti dal ‘comunismo staliniano’ occultano un’altra eredità dolorosa. Accanto ad alcuni tentativi positivi della ‘edificazione socialista’ – industrializzazione, aumento di produzione, sicurezza sociale allargata, occupazione e scolarità più accessibili, alfabetizzazione, ecc... – un alto numero di fallimenti aggrava irrimediabilmente il bilancio: l’Albania di Enver Hoxha, la Romania di Nicolae Ceausescu, la Bulgaria di Todor Živkov, persino la Jugoslavia di Tito, affatto più prospera degli altri paesi dell’Est, che non ha resistito ai regolamenti di conti nazionalisti. Accanto a loro, nel cuore dei Balcani, si trovano anche una Grecia con i suoi ‘malesseri’ così come la fragile enclave della Rumelia turca, due paesi che non sono stati esposti alle violenze di un ‘comunismo’ che ha calpestato i propri ideali. Queste nazioni hanno conosciuto alcuni problemi che oltrepassano le loro frontiere particolari e si ripercuotono al di là dei loro territori. Ecco uno dei molti modi di presentare i Balcani, «questo spazio che produce più storia di quanta possa consumarne» (W. Churchill), per gli uni la «vetrina» del nostro continente, per gli altri il suo «termometro»: la «culla d’Europa» o la sua «polveriera». Estratto dal saggio I Balcani di Predrag Matvejevic,` per gentile concessione dell’autore

The Balkans Anyone who comes to the Balkans swiftly notices their contradictions. The Balkans are often identified as being to the east of Europe, based on the angle from which they are observed, the point of view taken. It has been said and repeated many times that, seen from the center of our continent, this ‘turbulent area’ already starts in Munich or in Vienna (the famous line by Metternich is quoted, about a Vienna more Balkan than Mitteleuropean); the inhabitants of these two cities shift this ‘uncertain boundary’ to Ljubljana and Zagreb (the Croatian writer Miroslav Krleža saw its starting point in Zagreb’s center at its prestigious Hôtel de l’Esplanade). The Slovenians and the Croatians themselves push it further east, to Belgrade or Sarajevo, not without ulterior motives. From the peninsula’s eastern side, the cleverest will say that Europe itself was born in the Balkans. The issue of the Balkans’ multiplicity and demographic diversity is as old as the Balkans themselves. Legendary and imagery divergences are added to the ethnic and linguistic ones. Each side claims to have roots deeper than the other, all the more reason to take over neighboring territories; a State and a power that stretches back into the fog of history, dominating the tribes scattered around it. Real events and their fictional representations take turns supplanting one another. A distant past and many recent events have left wounds in the Balkans that are still bleeding. The experiences under the regimes imposed by ‘Stalinist communism’ obscure another painful legacy. Alongside some positive attempts at ‘socialist building’ – industrialization, the increase of production, expanded social security, more accessible employment and education, literacy and so forth – there are a large number of failures that irremediably tilt the balance: Enver Hoxha’s Albania, Nicolae Ceausescu’s Romania, Todor Živkov’s Bulgaria, and even Tito’s Yugoslavia, no more prosperous than the other Eastern European countries, which did not resist nationalistic score-settling. Alongside them, in the heart of the Balkans, there is also Greece with its ‘pains’, and then the fragile enclave of Turkish Rumelia, two countries that have not been subjected to the violence of ‘Communism’ that squashed its own ideals. These nations experienced problems that went beyond their particular boundaries and were felt beyond their lands. Here is one of the many ways of presenting the Balkans «that produce more history than they can consume» (W. Churchill), for some the «window onto» our continent, for others, its «thermometer». «Europe’s cradle» or its «powder keg». Abstract from the essay The Balkans by Predrag Matvejevic,` permission granted by the author

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Edifico per la gestione dell’energia elettrica (Elektroprivreda) bombardato dall’artiglieria e incendiato. Sarajevo, 1992. Ivan Straus, architetto/Electrical Management Building, shelled by artillery and burning. Sarajevo, 1992. Ivan Straus, architect


Sarajevo rivisitata La realtà della teoria

di/by

Sarajevo revisited. The reality of theory The question of how theory relates to practice is a continual matter of interest and debate in the field of architecture. The Electrical Management (Elektroprivreda) Building in Sarajevo, Bosnia, gives us a good chance to consider the issue. First, a brief (as possible) history. Sarajevo is the capital city of Bosnia and Herzegovina, which in 1992 was one of the six republics incorporated into Yugoslavia, an independent Socialist federation founded in 1945. With the end of the Cold War in 1990, Yugoslavia began to break up and the republics became independent countries in their own right. In the case of Bosnia, this was accompanied by massive violence, and a war raged on its soil from 1992 to 1995, which the so-called Dayton Accords ended. Tens of thousands were killed and the worst genocide since the Holocaust was carried out by Bosnian Serbs against Bosnian Muslims. The city of Sarajevo was under blockade and military siege from 1992 to 1995, during which time it had no normal supplies of food or water, no electricity, gas, or heat, and no telephone links. It was almost completely cut off from the outside world. The UN flew in canned food and basic medical supplies. Among civilians only journalists were allowed to fly in and out on UN relief flights. A few cultural figures – prominently Susan Sontag – became ‘journalists’ and came to Sarajevo during its darkest hours to give moral support, stage theater performances, and other gestures to encourage people generally, but particularly Sarajevo’s artists and intellectuals. The city was dark and cold and under constant artillery and sniper fire. The Bosnian Serb army surrounding Sarajevo had in mind to humiliate the people in the city, to punish the city for its cosmopolitan character and traditions. As much as anything, the siege was a terrorist act, a war on diversity and urbanity, an attack on the very idea of city. Thankfully – because of the strong spirit of its people – the terrorists ultimately failed. In November of 1993, I went to Sarajevo – as a ‘journalist’ – at the invitation of Haris Pasovic, head of the Sarajevo International Film and Theater Festival, who was aware of my work from a lecture I have given in Sarajevo two years earlier. I

Lebbeus Woods

La questione sul come la teoria si relazioni alla pratica è un continuo argomento di interesse e dibattito in ambito architettonico. L’Edificio per la gestione dell’energia elettrica (Elektroprivreda), a Sarajevo ci fornisce una buona occasione per prendere in considerazione l’argomento. Per prima cosa occorre una breve (il più possibile) introduzione. Sarajevo è la capitale della Bosnia Erzegovina, che nel 1992 era una delle sei repubbliche incorporate e unite sotto la Jugoslavia, una federazione socialista fondata nel 1945. Con la fine della Guerra Fredda, nel 1990, la Jugoslavia cominciò a disgregarsi e le repubbliche divennero nazioni indipendenti con una loro autonoma legislazione. Nel caso della Bosnia l’evento fu accompagnato da una massiccia dose di violenza e da una guerra che esplose nei suoi territori dal 1992 al 1995 e che solo i cosiddetti accordi di Dayton fecero cessare. Decine di migliaia di persone furono uccise e fu intrapreso il peggior genocidio dai tempi dell’olocausto da parte dei serbi bosniaci nei confronti dei bosniaci musulmani. La città di Sarajevo fu sotto assedio militare dal 1992 al 1995 durante quel periodo non riceveva normali approvvigionamenti di cibo e acqua, non arrivava elettricità, gas o riscaldamento e non esisteva alcun collegamento telefonico. Fu praticamente tagliata fuori dal resto del mondo. Era l’ONU a fornire cibo in scatola e i medicinali di base. Tra i civili era permesso solo ai giornalisti entrare e uscire dal paese con aerei delle Nazioni Unite. Tra le figure culturali di maggior rilievo si ricorda Susan Sontag, ‘giornalista’ per l’occasione, che arrivò a Sarajevo durante le sue ore più buie per dare supporto morale, organizzare spettacoli teatrali ed altri eventi per incoraggiare la gente, in particolare gli artisti e gli intellettuali di Sarajevo. La città era buia e fredda e sotto costante presenza di artiglieria e del fuoco dei cecchini. L’esercito serbo bosniaco che circondava Sarajevo era intenzionato ad umiliare la popolazione, a punire la città per il suo carattere cosmopolita e le sue tradizioni. Come nient’altro prima di quel momento l’assedio fu un atto terroristico, una guerra alla diversità urbana, un attacco alla vera idea di città. Per fortuna, grazie allo spirito tenace della gente, alla fine i terroristi hanno fallito. Nel novembre del 1993 andai a Sarajevo nelle vesti di ‘giornalista’, invitato da Haris Pasovic, presidente del Festival internazionale di cinema e teatro di Sarajevo che conosceva il mio lavoro grazie ad una lezione che avevo tenuto in città due anni prima. Ero con un altro architetto, Ekkehard Rehfeld, che aveva partecipato attivamente a tutte le conversazioni e agli eventi. Avevo portato con me copie degli allora freschi di stampa War and Architecture (Pamphlet Architecture 15) [Guerra e architettura. Pamphlet di Architettura 15] ed un rotolo di ingrandimenti fotocopiati per farne una mostra. Il mio obiettivo era quello di aiutare gli architetti locali a ripensare il ruolo che l’architettura poteva giocare durante e dopo l’assedio. Ho avuto modo di toccare con mano ciò che la gente stava sopportando e vedere numerosi edifici danneggiati. L’Electrical Management Building, insieme all’ufficio della posta, al parlamento, alla biblioteca nazionale, alle moschee e alle chiese era il simbolo della vita civile e per questo erano nel mirino dell’esercito occupante serbo bosniaco. Ho conosciuto l’architetto dell’edificio, Ivan Straus, uno degli architetti maggiormente rispettati in Jugoslavia, che ha sempre sostenuto la mia presenza e le mie idee. Fu lui, durante una sua ultima visita, che mi chiese di progettare la ricostruzione dell’Edificio per la gestione dell’energia elettrica. In questo e altri progetti di ricostruzione che ho proposto a Sarajevo la mia teoria era chiara: l’occupazione e una guerra durata quattro anni avevano cambiato ogni cosa. Il socialismo era finito e cominciava una privatizzazione dagli esiti incerti. La città stava perdendo la sua varietà etnica, Serbi, Croati, Sloveni, chiunque potesse partiva, e prima che la città fosse completamente circondata, i rifugiati musulmani si riversarono in città. Il sistema delle infrastrutture e dei servizi fu enormemente danneggiato e non c’era idea di come riuscire a recuperare il denaro per poterlo riparare o di quando questo potesse avvenire. Gli edifici indispensabili al funzionamento sociale ed economico della città furono danneggiati e sarebbero stati inutilizzabili senza un’estensiva opera di ricostruzione, ma, ancora una volta il problema era capire come ciò sarebbe stato finanziato. Mai come in quel momento la gente ha sofferto anni di privazioni, terrore e incertezza e molti di loro hanno

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was accompanied by another architect, Ekkehard Rehfeld, who fully participated in all conversations and events. I brought with me forty freshly printed copies of War and Architecture (Pamphlet Architecture 15) and a roll of photocopy enlargements to make an exhibition. My goal, put simply, was to help architects there begin thinking about the role architecture would play both during and after the siege. I was able to see first-hand what the people were enduring and many damaged buildings. The Electrical Management Building, along with the Post Office, Parliament, National Library, mosques and churches were symbolic of the civic life of the city, and therefore were especially targeted by the besieging Bosnian Serb army. I met the architect of the building, Ivan Straus, one of the most respected architects in Yugoslavia, who was also very supportive of my presence and ideas. It was he, during a later visit, who asked me

to design a reconstruction of the Electrical Management Building. In this and other reconstruction projects I proposed for Sarajevo, my theory was clear: the siege, and the four-year-long war, changed everything. Socialism was out, and an uncertain privatization was in. The city was losing its ethnic diversity, as Serbs, Croats, Slovenes, and anyone who could left and, for a while, before the city was completely surrounded, Muslim refugees poured in. The infrastructure of utilities and services was severely damaged, with no idea of where the money would come from to repair them, or when that would even be possible. Buildings vital to the social and economic functioning of the city were damaged and unusable without extensive reconstruction, but, again, how this would be financed was unclear. More than all this, the people of the city had suffered years of deprivation, terror, and uncer-

tainty, and many would be transformed by it. How, I asked, could architecture play any positive role in all of this? My answer was that architecture, as a social and primarily constructive act, could heal the wounds by creating entirely new types of space in the city. These would be what I called ‘freespaces’, spaces without predetermined programs of use, but whose strong forms demanded the invention of new programs corresponding to the new, postwar conditions. I had hypothesized that «90% of the damaged buildings would be restored to their normal pre-war forms and uses, as most people want to return to their old ways of living… but 10% should be freespaces, for those who did not want to go back, but forward». The freespaces would be the crucibles for the creation of new thinking and social-political forms, small and large. I believed then – and still do –


that the cities and their people who have suffered the most difficult transitions in the contemporary world, in Sarajevo and elsewhere, have something important to teach us, who live comfortably in the illusion that we are immune to the demands radical changes of many kinds will impose on us, too. There was a chance in Sarajevo to forge a ‘third way’ that would set a model for the whole world, and provide a true alternative to what we already know. Architecture would necessarily be a vital part of this alternative. The design for the reconstruction of the Electrical Management Building is a case study in the application of this theory. Most of the building would be restored to accommodate corporate offices of the known kind. However, in the space that had been literally blasted off by artillery fire, would be constructed a freespace, to be inhabited by those who, in the reinvention of ways to inhabit space, would open the way to the future. What has happened since the early and mid-90s in the formerly Socialist world in Eastern Europe is that Western-style consumer capitalism and ‘free-market’ privatization have taken over. There are big profits to be made, at least by an entreprenurial few, from the sale of government owned properties to developers. They bring a glittering, glossy kind of architecture, as a symbol of the East catching up with the West. The conservatives in the ‘new’ countries of the East want to fight this kind of import, but don’t have much of a chance. One reason is that they merely want to preserve the past and have no alternative to moving forward. To do so, some new idea, some new theory, needs to be brought into play. Architects, ultimately, are not builders, but idea people. We have concepts and make designs that embody or implement them. We present them as clearly and openly as possible, and can only hope that others will find them useful to their ends, and build them. In the case of the Electrical Management Building in Sarajevo, my theory and design were not used. This does not mean that they are wrong, or a failure. Nor does it mean that those who elected to ignore them were wrong to do so. More challenges await us, and they may yet be useful, in ways we cannot yet conceive. This is the reality of theory. proposta per la ricostruzione dell’Edificio per la Gestione dell’ Energia Elettrica, 1994. Progetto e disegno di Lebbeus Woods/ proposed reconstruction of the Electrical Management Building, 1994. Design and drawing by Lebbeus Woods pagina precedente: proposta per la ricostruzione dell’Edificio per la Gestione dell’Energia Elettrica, 2008. Rendering di Lebbeus Woods, progetto del 1994 di Carlos Fueyo/previous page: proposed reconstruction of the Electrical Management Building, 2008. Computer rendering of Lebbeus Woods, 1994 design by Carlos Fueyo

subito conseguenti e profonde trasformazioni. In che modo, mi chiesi, l’architettura poteva giocare un ruolo positivo in tutto questo? La mia risposta fu che l’architettura, come atto sociale e primariamente costruttivo, poteva curare le ferite creando completamente nuovi generi di spazio nella città. Questo è ciò che ho chiamato freespaces [spazi liberi], spazi senza programmi d’uso predeterminati ma le cui forme forti richiedevano l’ideazione di programmi nuovi corrispondenti alle nuove condizioni post guerra. Avevo ipotizzato che il 90% degli edifici danneggiati sarebbero stati restaurati nelle loro forme originali, prima della guerra, e con le stesse destinazioni d’uso poiché la maggior parte della popolazione desiderava tornare al proprio antico modo di vivere. Ma il 10% doveva essere costituita di freespaces per coloro che non desideravano tornare al passato ma guardare avanti. I freespaces erano cruciali per la creazione di nuovi pensieri e per la genesi di nuove forme socio-politiche, piccole o grandi. Credevo inoltre, e lo credo tuttora, che le città e le persone che hanno sofferto le più difficili transizioni nel mondo contemporaneo, a Sarajevo e in qualsiasi altra parte del mondo, abbiano qualcosa di importante da insegnare a noi che abitiamo confortevolmente nell’illusione di essere immuni dal peso che ogni cambiamento radicale è capace d’imporre. Ci fu l’occasione a Sarajevo di forgiare una ‘terza maniera’ che avrebbe creato un modello per il mondo intero e fornito un’alternativa autentica a ciò che già conosciamo. L’architettura sarebbe stata necessariamente una parte vitale di questa alternativa. Il progetto per la ricostruzione dell’Edificio per la gestione dell’energia elettrica è un caso studio nell’applicazione di questa teoria. Molti edifici dovevano essere restaurati per accogliere uffici aziendali. In ogni caso, nello spazio letteralmente azzerato dal fuoco d’artiglieria si sarebbe costruito un freespace occupato da coloro che, nel re-inventare i modi di vivere lo spazio, avrebbero aperto la strada al futuro. Ciò che è accaduto dall’inizio/metà anni ‘90 nell’ex mondo socialista dell’Europa dell’Est è che il capitalismo consumistico in stile occidentale e la privatizzazione del libero mercato hanno preso il sopravvento. Ci sono grossi profitti possibili, anche solo dal punto di vista imprenditoriale vendendo le proprietà del governo alle imprese edili. Esse determinano una tipologia architettonica rilucente e patinata come simbolo di un Est che sta raggiungendo l’Ovest. I conservatori nelle ‘nuove’ nazioni dell’Est vogliono lottare contro questo tipo di importazione ma non hanno molte possibilità di successo, uno dei motivi è che essi desiderano semplicemente preservare il passato senza fornire alternative per progredire. Per riuscirci c’è bisogno di mettere in campo qualche idea nuova, qualche nuova teoria. Da ultimo, gli architetti non sono costruttori ma creativi. Facciamo progetti che rappresentano o incorporano questi concetti. Li presentiamo più chiaramente e apertamente possibile e possiamo solo sperare che altri li trovino altrettanto utili ai loro fini e li costruiscano. Nel caso dell’Edificio per la gestione dell’energia elettrica di Sarajevo la mia teoria e il mio progetto non furono utilizzati. Ciò non significa che siano sbagliati o che siano un fallimento. Né significa che chi ha deciso di ignorarli sbagliasse a farlo. Altre sfide ci aspettano, e possono essere così utili in modi che neanche possiamo concepire. Questa è la realtà della teoria.

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Controcorrente Emre Arolat, Santralistanbul Contemporary Art Museum

testo di/text by Fabio Rosseti foto di/photo by Ali Bekman

Against the stream Silahtaraga Power Station on the Golden Horn, the promontory where the two rivers that flow through Istanbul come together, supplied the city with electricity from 1911, in the days of the Ottoman Empire, to 1983. After a couple of decades or so of abandonment and partial demolition of some of the buildings, the station has now begun to supply the city with another kind of ‘energy’. Istanbul Bilgi University promoted the recovery and conversion of the old power station into a cultural and arts centre: Santralistanbul. Based on the example of institutions and projects now famous all over the world, such as the ‘model’Tate Modern, the Turkish university set the ambitious goal of making the cultural and architectural project for the recovery of the industrial buildings in the old power station into an engine powering urban, social and cultural development. The new Santralistanbul (Santral means ‘power station’ in Turkish) now produces a new kind of ‘energy’ delivered above all to the city of Istanbul. The city’s historical culture and geographic position has traditionally made it a crossroads and a

nome progetto/project name Museo di arte contemporanea Santralistanbul progetto preliminare/preliminary design Emre Arolat (EAA), Nevzat Sayın(NSMH) esecutivi/construction drawings EAA – Emre Arolat Architects architetti responsabili/responsible architects Kerem Piker, Natali tombak (EAA) strutture/structures Tuncel direzione lavori/project management Turner Pro-ge sistema di facciata/façade systems Gural Aluminium impianto meccanico/mechanical project Dinamik Proje impianto elettrico/electrical project Enkom progetto infrastrutturale/infra-structure project Sigal paesaggio/landscape project Trafo Mimarlar committente/client Bilgi University materiali/materials cemento armato, lamine di alluminio microforato (prima pelle), facciata continua in vetro (seconda pelle)/concrete framework system, perforated aluminium sheet (primary skin), double glazed façade (secondary skin) superficie lotto /site area 120.000 mq/sqm superficie coperta/covered area 1.743 mq/sqm superficie costruita/total floor area 6.767 mq/sqm luogo/place Sütlüce-Istanbul, Turchia data progetto/project date 2004-2006 realizzazione/construction date 2006-2007 www.emrearolat.com

Dal 1911, in pieno Impero Ottomano, al 1983 la Centrale Elettrica di Silahtaraga, ubicata sul Golden Horn [Corno d’Oro], il promontorio alla congiunzione di due fiumi che attraversano Istanbul, ha fornito energia elettrica alla città. Dopo un paio di decenni o poco più di abbandono, che avevano portato anche ad una parziale demolizione di alcuni edifici, questo luogo ha iniziato a fornire un tipo diverso di ‘energia’. La Istanbul Bilgi University ha promosso il recupero e la trasformazione della vecchia centrale in un Centro per la cultura e le arti: Santralistanbul. Seguendo l’esempio di istituzioni e progetti oramai famosi in tutto il mondo, primo fra tutti il ‘modello’ Tate Modern, l’università turca si è posta l’ambizioso obiettivo di trasformare il recupero degli edifici industriali della vecchia centrale, un intervento culturale ed architettonico, in un volano di sviluppo urbano, sociale e culturale. La nuova Santralistanbul (santral significa ‘centrale elettrica’, in turco) produrrà quindi una nuova ‘energia’ che verrà erogata prima di tutto ad una città, Istanbul, appunto, che per cultura storica e posizione geografica è sempre stata il crocevia ed il fulcro di incontri, scambi e conflitti, culturali e non solo, in grado di diffondersi e germinare ben oltre i propri limiti urbani. La nuova Santral, in questo processo di rinnovamento, è un museo ma anche un laboratorio, uno spazio educativo, un ambiente di ricerca. Il progetto realizzato dallo studio EAA – Emre Arolat Architects, esplicita di fatto il proprio processo creativo: il ‘contesto’ viene interpretato secondo la sua accezione più ampia ed ogni contesto (che sia il luogo fisico o l’ambiente, in senso lato) suggerisce un approccio diverso, prevalendo sull’approccio puramente visuale. Allo stesso modo la scelta dei materiali nasce dalle sue stesse caratteristiche visive e tattili, piuttosto che da una scelta a priori. La vecchia centrale è stata così studiata, sezionata, indagata nei suoi diversi aspetti: dal suo progetto, 1910 (quello che doveva essere), ad oggi (quello che è divenuta). Gli indizi scaturiti si sono combinati con il senso del luogo, con il suo ‘ambiente’ e la scelta progettuale è stata quella di un recupero, anzi di un rinnovamento della vecchia centrale che, per le caratteristiche intrinseche del progetto, del luogo e della sua nuova funzione, lo pone in una sorta di sospensione temporale, legando il nuovo complesso al ‘luogo’ piuttosto che alla ‘contemporaneità’, tanto di moda oggi. Il maggiore intervento ha riguardato ciò che restava dei due edifici principali, dove si trovavano le caldaie e dove è stato realizzato il museo. I due grandi volumi affiancati sono stati ricostruiti e reinterpretati: è stata ricostruita in qualche modo la massa fisica originale, industriale ma la superficie di questo corpo, che oggi produce un’energia diversa, si è astratta. Il nucleo centrale, denso, pesante, in cemento armato, dove si articolano le sale del museo, è circondato, ma non toccato, da una doppia pelle di vetro e acciaio microforato, leggera e semitrasparente. Il nucleo si può così espandere sotto questa nuova superficie e se di giorno i due edifici, con la loro ‘apparente’ massa rievocano e si riconnettono alla storica natura del luogo, di notte divengono dei fari di luce, di energia che dissolve la pelle esterna creando volumi puri.

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fulcrum for encounters, exchanges and conflicts, cultural and otherwise, which were disseminated and germinated well beyond its city limits. The new Santral is part of this renewal process, a museum but also a workshop, an educational facility and a research centre. The project by EAA – Emre Arolat Architects expresses the studio’s creative process: ‘context’ is interpreted in its broadest sense and every context (whether a physical location or an environment in the broad sense of the word) suggests a different approach, which prevails over the purely visual approach. In the same way, the choice of materials is a product of the materials’ visual and tactile characteristics rather than a choice made a priori. Thus the old power station has been studied, divided up, investigated in every aspect: from its design, 1910 (what it was intended to be) to the present (what it has become). The information thus uncovered was combined with the meaning of the place, with its ‘environment’, and the design choice was recovery, or rather, renewal of the old power station, which, due to the intrinsic features of the project, the place and its new function, places it in a sort of suspended time, linking the new complex with the ‘location’ rather than the ‘contemporariness’ that is so much in vogue today. The biggest work was done on the two main buildings, where the boilers were and the museum


pianta piano terra ± 0,00 m/ground floor plan ± 0,00 m 0

10 m

pianta primo piano +6,30 m/first floor plan +6,30 m

vista della facciata lato sud e dei volumi interni/south elevation and interior volumes

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was created. The two big volumes standing side by side were rebuilt and reinterpreted: the building’s original physical and industrial mass was restored, but the surface of the mass, which now produces a different kind of energy, has become abstract. The dense, heavy central core of reinforced concrete containing the halls of the museum is surrounded but not touched by a double skin of glass and microperforated steel, light and semitransparent. Thus the core can expand under this new surface and while by day the two buildings, with their ‘apparent’ mass, evoke and are linked with the historical nature of the place, by night they become lighthouses, whose light and energy dissolves the building’s outer skin to create pure volumes.

pianta quarto piano +21,90 m/fourth floor plan +21,90 m

pianta quinto piano +26,40 m/fifth floor plan +26,40 m

sezione longitudinale ff/longitudinal section ff



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sezione aa/section aa

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d

c

sezione cc/section cc

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0

10 m

sezione dd/section dd

sezione ee/section ee

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Materie naturali Zoom Studio, Single House in Boyana

testo di/text by

Pavel Veselinov Yanchev foto di/photo by Simeon Levi

Natural materials Building houses in Bulgaria has been a tradition with quite a long history. Like most of the European regions, this part of the Balkan Peninsula has its own native and very specific architectural elements. The architectural appearance of the traditional Bulgarian house has been preserved, even though the country used to be a part of the Ottoman Empire for a long period of time. The most common elements are oriels and sloped roofs, as well as the use of natural materials like stone and wood. The project’s concept definitely turns back to our historical roots using these elements and materials in the context of the XXI century architecture. Boyana is a part of Sofia located at the foot of the Vitosha Mountain. Becoming a larger city in the last 30 years, Sofia definitely has insufficient residential space in the city centre and inconvenient dwelling zones in the outskirts. That’s how small satellite villages like Boyana have naturally become a part of the city and one of the most popular places for comfortable living. The region is mostly built with single family houses. The site is oriented north-south and has considerable displacement in

planimetria/site plan 0

20 m

La costruzione di residenze in Bulgaria vanta una tradizione piuttosto longeva. Come molte delle regioni europee, questa parte della Penisola Balcanica ha elementi architettonici molto caratteristici. L’immagine associata alla casa tradizionale bulgara è stata preservata, benché il paese abbia fatto parte dell’impero Ottomano per lungo tempo. Gli elementi più comuni sono i bow window ed i tetti inclinati così come l’utilizzo di materiali naturali quali pietra e legno. L’idea alla base del progetto si rifà senza dubbio alle nostre radici storiche usando quegli stessi elementi e materiali inseriti all’interno del contesto architettonico del XXI secolo. Boyana fa parte di Sofia, ed è situata ai piedi del Monte Vitosha. Essendo divenuta una città di ampie dimensioni solo negli ultimi trent’anni Sofia ha senza dubbio uno spazio insufficiente per le abitazioni nel centro città e zone residenziali disagiate nei sobborghi. Questo è il motivo per cui piccoli villaggi come Boyana sono stati inglobati naturalmente nella città divenendo le migliori aree dove poter vivere in maniera confortevole. Questa zona si caratterizza principalmente per le costruzioni unifamiliari. L’area ha un orientamento nord-sud e si distingue per un significativo sviluppo in questa direzione. Si accede al garage direttamente dalla strada al livello più basso della casa. Al centro della corte si trova la zona barbecue da casa estiva. Il livello di ingresso serve come seminterrato dove si trovano una vasca Jacuzzi, un’area fitness, una sauna, una cantina e uno spazio espositivo. Un lucernario illumina tutti questi locali. A differenza di molti degli schemi funzionali abitativi, al primo piano si trovano le camere da letto, e al secondo si trova l’ampio soggiorno che unisce tutte le funzioni giornaliere. Esiste un’uscita diretta dalla camera principale alla piscina nella corte. I piani della casa evidenziano distintamente la separazione delle tre aree funzionali: ‘attività giornaliere’, ‘attività notturne’ e ‘tempo libero’. Il colore rosso domina nei punti rilevanti, mentre l’ordito delle sottili assi di legno e cemento divengono lo sfondo. Il sistema in alluminio Schüco è utilizzato per le finestre nel colore alluminio naturale, mentre i radiatori sono collegati ad un sistema locale di riscaldamento. Il livello del seminterrato è trattato con pietra arenaria mentre i piani superiori presentano finiture a intonaco grigio e sottili assi di legno tra le finestre sui lati nord e sud. La terrazza sul retro è lavorata con pietrisco tenuto insieme da una maglia metallica e questa particolare texture si ritrova nei locali del seminterrato. Sebbene si tratti di un metodo di rivestimento piuttosto innovativo, l’effetto assomiglia al classico muro in pietra delle tradizionali abitazioni bulgare. Il tetto è ricoperto da tegole bituminose. L’ingresso è segnato dal marchio distintivo di ZOOM Studio: un box di metallo nero.

nome progetto/project name Casa unifamiliare a Boyana architetto/architect ZOOM Studio strutture/structures ZOOM Studio interni/interior design ZOOM Studio luogo/place Boyana, Sofia, Bulgaria superficie lotto/site area 876 mq/sqm superficie coperta/built-up area 177 mq/sqm superficie costruita/total built-up area 456 mq/sqm www.zoomstudio.org

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pianta secondo piano/second floor plan

pianta primo piano/first floor plan

pianta piano terra/ground floor plan 0

5m


that direction. The garage entrance is directly on the street and its level is below all of the house levels. On the top of the yard is the barbeque summer house. The entrance level serves as basement where the Jacuzzi, fitness, sauna, winery room and installation room are located. A lantern light window is illuminating the premises. Opposite to most of the functional dwelling schemes, on the first residential level are situated all of the bedrooms and on the second floor, there is the large living-room which combines all of the daily functions. There is a way out from the master bedroom to a swimming pool in the yard. The levels in the house are distinctly separating the three function zones ‘daily activities’, ‘night activities’ and ‘leisure’. The red colour dominates the accent points, while the texture of light wooden boards and visible concrete are used as a background. The aluminum Schuco system is used for the windows in the natural aluminum colour. The radiators are connected to a local heating system. The basement level façade is treated with sandstone, while the upper levels are finished with grey plaster and light wooden boards between the windows on the north and south elevations. The backyard terrace is treated with crushed stone held by a metallic mesh. This texture is flowing down through the lantern light window into the basement premises. Although this is quite a new method of covering façades, the stone resembles the classical stone masonry wall from the traditional Bulgarian houses. The roof is covered with bituminous tiles. The entrance is marked by the most often used ZOOM studio knack – the black metal ‘box’

interno: vista del camino/ interior: view of the fireplace pagina precedente: fronte posteriore e particolare del prospetto principale/ previous page: behind front and main front detail

0

5m

prospetto sud/south elevation

© EVA Magazine, Bulgaria

prospetto est/east elevation

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torre: piano 17/ltower: level 17 20 m

0 livello ± 0,00 m/level ± 0,00 m 0

20 m

livello 17/ level 17

livello1/level 1 ± 0,00 m

sezione bb/section bb

0

40 m

nome progetto/project name Vertigo Building Complex Torre per uffici ed attività commerciali (edificio a 17 piani per uffici, aree commerciali, parcheggi sotterranei e fuori terra/17 storey office building, commercial areas, underground and air car-park) architetto/architect Raimondo Flaccomio – Panidea Projects resposabile di progetto/project management IES CO, IES KFT Properties Development committente/client Casa Chic AD data progetto/design date 2007 inizio lavori/start: settembre 2007/september 2007 fine lavori presunta/estimated completion ottobre 2009/ october 2009

sezione aa/section aa

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40 m

luogo/place Sofia, Bulgaria superficie totale/total area 34.500 mq/sqm superfici parziali in mq/partial areas sqm torri ad uffici: 11.400, servizi: 3.600, banca: 400, spazi commerciali 1: 1.320, spazi commerciali 2: 1.180, ristoranti: 2.200, ristoranti open space: 1.800, sala conferenze: 200, parcheggio sotterraneo: 7.600, parcheggio esterno: 3.600/offices tower: 11.400, offices services: 3.600, bank: 400, retail shops 1: 1.320, retail shops 2: 1.180, restaurants: 2.200, restaurants open space: 1.800, conference hall: 200, underground parking: 7.600, external parking: 3.600 importo lavori/total amount 40.000.000 euro www.panidea.it


Landmark urbano Panidea Projects, Vertigo Building Complex

testo di/text by

Urban landmark Vertigo Building is a major real estate investment in a key commercial area of Sofia, the capital of Bulgaria. It is located on Boulevard Bulgaria, a few minutes from the city center and some major sites of the city. The complex consists of an 18-story building for offices for a total 17,000 sqm, a center for retail spaces for a total 3,400 sqm, with green areas and underground and above-ground parking lots for up to 350 parking spaces. The office tower rises on one side of the lot, seeming to rise in a sudden twist. This impression is accentuated by a deep cut that runs across the façade’s entire height, as if to underscore the dynamic quality of the project and the idea behind it. Beyond meeting the (clear) commercial objectives of a considerable investment (40 million euro), the project seeks to make a mark, signaling and launching a more Western style contemporary approach in a city with an architectural scene seeking its definition. The continuous glass façade, a seemingly ‘obvious’ mark of the contemporary age, rebels against this normalcy with the multi-facetted nature of its continuous surface, inclined and intersecting planes, rejecting all right angles, as if cut from a single block. Light bounces, reflects and spreads, rendering Vertigo Building a new urban landmark.

rendering dell’esterno/external rendering

Fabio Rosseti

Vertigo Building è il progetto di un edificio che rappresenta un investimento immobiliare in un’area commerciale chiave di Sofia, la capitale bulgara, posta lungo il Boulevard Bulgaria, a pochi minuti dal centro della città e da alcuni dei luoghi urbani più importanti. Il complesso è formato da un edificio di 18 piani destinato ad uffici per 17.000 mq, una piastra destinata ad aree commerciali per 3.400 mq, con aree verdi ed un parcheggio sotterraneo e di superficie che serve fino a 350 posti auto. La torre degli uffici che si erge su un lato del lotto sembra muoversi in una torsione improvvisa, immagine accentuata da un profondo taglio che percorre la facciata per tutta la sua altezza, quasi a sottolineare la dinamicità del progetto e dell’idea che risiede dietro a questo tipo di intervento: oltre a porsi obiettivi strettamente commerciali legati ad un investimento di un certo rilievo (40 milioni di euro), c’è la volontà di lasciare e lanciare un segnale di contemporaneità più occidentale in una città caratterizzata da un panorama architettonico in cerca di una propria definizione. La facciata continua in vetro, un segno apparentemente ‘ovvio’ di contemporaneità, si ribella a questa normalità attraverso la sfaccettatura della sua superficie continua, piani inclinati che si intersecano, rifiutando l’angolo retto, come se fossero stati tagliati da un unico blocco. La luce rimbalza, si riflette, si diffonde trasformando il Vertigo Building in un nuovo landmark della città.

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Alchimia cromatica Westfourth Architecture, America House

testo di/text by Filippo Maria Conti foto di/photo by Stefan Tuchila

Chromatic alchemy Romania became part of the European Union in January 2007 and has increasingly become the perfect stage for new international investors. On 25 December, 1989 (the day Nicolae Ceausescu was caught and executed) the Romanian people finally escaped a political situation that had too long reduced it to paralysis – of the economic, cultural and moral sort. Not even Eric Arthur Blair (AKA George Orwell)’s novel 1984 depicted the degree of severity of this regime in which everything was still, gray, strictly prohibited and in which human beings were seen merely as a labor force; culture was a danger; color was a form of rebellion and thinking independently was not tolerated. Almost twenty years have gone by since then. This new awareness also affects architecture, where the new dynamic quality of forms and colors is in perfect contrast to the gray, static quality of the existing architecture. This sparks new mechanisms and gives a new sense of identity are approaching the new millennium with ambitious goals. The Romanian people’s growing desire to dialogue with the western world is seen in the new America House, a 130-meter-long business center that has

planimetria/site plan 0

50 m

Entrata a far parte dell’Unione Europea a partire da gennaio 2007, la Romania rappresenta sempre più il palcoscenico ideale per i nuovi investitori internazionali. Era il 25 dicembre del 1989 (giorno della cattura e dell’esecuzione di Nicolae Ceausescu) quando il popolo rumeno usciva definitivamente da una situazione politica che per troppo tempo lo aveva ridotto alla paralisi non solo economica, ma anche culturale e morale. Nemmeno Eric Arthur Blair (alias George Orwell) nel romanzo 1984 era stato in grado di dipingere le rigide linee di un regime in cui tutto era fermo, grigio, severamente proibito e in cui l’uomo era solo forza lavoro, la cultura un pericolo, il colore una forma di ribellione e il pensare in modo autonomo non era tollerato. Questa nuova consapevolezza si ripercuote anche in architettura dove, paradossalmente, il nuovo dinamismo delle forme e dei colori si inserisce in perfetto contrasto con la grigia e statica realtà del panorama architettonico esistente, innescando nuovi meccanismi. Il crescente bisogno di confronto con realtà di stampo più occidentale si riflette anche nel nuovo America House, un polo direzionale lungo 130 m che è diventato molto di più che un semplice edificio: è stato, infatti, il sasso lanciato nello stagno che sta provocando una sempre maggiore e vigorosa onda d’urto nell’intero panorama di Bucarest e della stessa Romania. La robustezza della forma e il sapiente utilizzo di pannelli vetrati dai diversi cromatismi sulla facciata esterna hanno creato un’alchimia perfetta rendendo più morbido l’impatto del prospetto-mosaico posto a sud. Gli spazi interni, caratterizzati da un’elevata flessibilità, acquistano ulteriore rilevanza qualitativa e funzionale grazie all’uso di tecnologie e materiali altamente performanti come, ad esempio, i rivestimenti ed i pavimenti realizzati con prodotti di assoluto rilievo di un’azienda italiana leader nel settore, GranitiFiandre. Tutto ciò ha permesso che l’intero edificio assumesse un ruolo di primo piano nel panorama urbano. All’interno dei suoi 9 livelli fuori terra (oltre ai tre interrati destinati a garage) si trovano una galleria commerciale posta al primo piano, uffici, negozi, ristoranti e ambasciate. L’America House è diventata un punto di riferimento culturale e rappresenta solo una parte di un progetto più ampio che prevede la realizzazione di altri edifici nelle zone adiacenti.

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nome progetto/project name America House architetto/architect Westfourth Architecture New York/Bucharest – Vlad Arsene, Calin Negoescu, Zzing Lee, Cristina Galeata, Gabriel Bunea, Iulian Dumitriu, Radu Ursoiu strutture/structures Inginerie Structural HVAC/HVAC Miga Airvent impianti elettrici/electrical systems Cons-Eng. Co. plumbing/plumbing Roinstar involucri esterni/exterior envelope Aludesign appaltatore principale/general contractor Ozer Construction Romania materiali/materials GranitiFiandre collezione New Marmi, Michelangelo Statuario semilucidato formato 120x60 cm, circa 600 mq/ GranitiFiandre New Marmi Collection, honed Michelangelo Statuario size 120x60 cm, about 600 sqm

luogo/place Bucharest, Romania superficie lotto/site area 45.000 mq/sqm inizio lavori/start 2004 fine lavori/completion 2005 costo/cost 25.000.000 euro www.westfourtharchitecture.com

prospetto sud/south elevation

0

Š Florin Andreescu

15 m


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become much more than a mere building. It was a first pebble thrown in the pond that is making growing waves throughout Bucharest and even Romania. Its sturdy form and intelligent use of the outside cladding with vitreous components of varying colors create a perfect alchemysoftening the southern facing façade’s impact. The highly flexible interiors gain (are getting) more qualitative and functional relevance thanks to the use of really performant technologies and materials, such as the walls’ cladding and the floors produced by GranitiFiandre, the Italian market leader. So, the building as a whole takes on a role of considerable import in the city’s skyline. Inside its 9 aboveground floors (in addition to three underground levels for a parking garage), there is a shopping gallery on the first floor, offices, stores, restaurants and embassies. The pebble that America House threw in the pond has made it a standard setter and it is one part of a wider plan to build other buildings in adjacent areas.

a

pianta piano terra/ground floor plan

pianta piano tipo/ground floor plan

interni/interiors pagina precedente: vista notturna del prospetto sud/previous page: night view of the south façade

sezione aa/section aa

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15 m


© Nikola Vukašinovic`

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a 0

10 m

pianta piano terra/ground floor plan

nome progetto/project name Edificio commerciale Textil architetto/architect NEO_arhitekti – ` Vladimir Milenkovic` Snežana Vesnic, ` associati/associates Milan Lazic, Stamatovic` Stamatovic` arhitekti committente/client: Compagnia Textil luogo/place Užice, Serbia superficie/area 5.000 mq/sqm data progetto/design date 2004 fine lavori/completion 2007

© Vladimir Milenkovic`


‘Anti-design’ NEO_arhitekti, Textil Commercial Building in Užice

testo di/text by

‘Anti-design’ Can something which is constrained nevertheless expand itself? NEO_arhitekti deliver a surprising, yet familiar answer: one can, in fact when the outer limits are reached, always develop inwards. The location of Užice entails that almost everything here is constrained. The town lies in the narrow basin of the river Detinja and is enclosed by the Zlatibor and Tara mountain ranges. Situated here is the commercial building Textil, created from the expansion of a conventional 50’s warehouse. Actually the new building has literally swallowed the old, and further approached the outer limits of the site. Textil has therefore continued its development internally. Doing so it has retained yet jazzed up the industrial charm. There is yet another surprise: we find ourselves in Serbia, where construction sites of recent years, to express it mildly, are marked by arbitrary and unplanned architecture. That, which is elsewhere self-evident, is here new and exceptional: clarity in concept and quality in execution. Simplicity is something still yearning for recognition in Serbia. The success of the design is due, not only to the architects, but also to the client. The planning process was pursued with very good co-operation and understanding. ` deSnežana Vesnic` and Vladimir Milenkovic have livered an unbiased design which they themselves describe as ‘anti-design’, as a reaction to the surroundings and context. Despite this forceful dadaist expression a frolicsome building has been created. The architects have themselves turned away from all that which they have no influence upon to concentrate on the interior. The result is an introverted building which publicly exhibits only its perforated façade but reveals nothing of its interior life. What has been achieved is an efficient room programme and, as a contrast to this programmatic severity, a rather playsome façade, made of finely ground marble, which defies its surroundings. Contrast is a recurring theme in this project. The old and the new complement each other conflictfree. The storeroom is integrated into the existing area, the trade and the administration into the new. These areas are united by the perforated building envelope, and on the interior by the atrium which permits unhindered and fluid movement. Two homogeneous, gently coiled concrete staircases, connect the ground floor reception area with the

ˇ ` Vesna Vucinic

Può qualcosa che è costretto espandere comunque se stesso? NEO_arhitekti forniscono una sorprendente, quanto rassicurante risposta: quando si raggiungono i limiti esterni, ci si può infatti sviluppare sempre verso l’interno. La geografia di Užice comporta che praticamente qualsiasi cosa qui sia ‘costretta’. La città si trova nello stretto bacino del fiume Detinja ed è circondata dalle catene montuose del Zlatibor e Tara. Qui si trova l’edificio commerciale Textil, creato dall’ampliamento di un deposito dallo stile piuttosto convenzionale risalente agli anni ‘50. In realtà il nuovo edificio ha letteralmente inghiottito quello vecchio e inoltre ha raggiunto i limiti più esterni dell’area. Perciò Textil ha proseguito il suo sviluppo all’interno. Facendo questo ha conservato, ma reso più interessante, il fascino industriale. C’è anche un’altra particolarità: ci troviamo in Serbia, dove i luoghi sono caratterizzati da un’architettura arbitraria e non pianificata. Ciò che altrove è abbastanza ovvio qui è nuovo ed eccezionale: chiarezza concettuale e qualità nell’esecuzione. La semplicità è qualcosa che ancora agogna riconoscimento in Serbia. Il successo del design è dovuto non solo agli architetti, ma anche al cliente. Il processo progettuale è stato perseguito infatti grazie ad un’eccellente cooperazione e un ottimo livello di comprensione. Snežana Vesnic` e Vladimir Milenkovic` hanno fornito un progetto imparziale che loro stessi descrivono come ‘anti-design’, come una reazione ai dintorni e al contesto. Nonostante l’espressione forzatamente dadaista, è stato creato un edificio ‘positivo’. Gli architetti si sono sottratti a tutto ciò che non potevano influenzare per concentrarsi sull’interno. Il risultato è un edificio introverso che esibisce pubblicamente solo la sua facciata perforata ma che non rivela niente della sua vita interna. Si è raggiunto un programma spaziale efficiente e, come in contrasto a questa severità programmatica, una facciata in qualche misura giocosa, fatta di marmo dalla grana fine che sfida i suoi dintorni. Il contrasto è così un tema ricorrente in questo progetto. Il vecchio e il nuovo si completano a vicenda senza conflitto. Il magazzino si integra con la parte esistente, il commerciale e l’amministrativo nel nuovo. Queste aree sono unite dall’involucro perforato che riveste l’edificio e all’interno da un atrio che permette un movimento ininterrotto, libero da ostacoli e fluido. Due scalinate simili, circolari, realizzate in cemento, connettono l’area della reception al piano terra con gli uffici ai piani superiori. Questi rappresentano i punti forti della zona pubblica. La maggior parte dell’arredamento è stato disegnato dagli stessi architetti. Il motivo bianco e nero è ulteriormente rafforzato dalla scelta del decoro interno: bianco per gli spazi pubblici e nero negli spazi per uffici. Per alleggerire quest’austera organizzazione del colore e aggiungere una nota ludica all’interno gli architetti sono giunti all’idea di integrare attrezzatura ginnica, pareti e travi orizzontali in toni caldi del legno. Per cosa? Per fare ginnastica, per cosa altro! Altrimenti per stendere e presentare i tessuti che, dopotutto, rappresentano il fine ultimo di questo edificio.

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upper floor offices. These are the focal point of the public area. The majority of the furniture has been designed by the architects themselves. The black and white motive is further strengthened with the choice of the interior décor: white in the public areas, black in the office areas. To relax the stark colour concept and to add a little playfulness to the interior, the architects came up with an idea: gymnastic equipment, wall and horizontal bars in warm timber tones have been integrated, for gymnastics, what else! Otherwise for the unfurling and presentation of textiles which afterall is the purpose of this building.

sezione aa/section aa

0

10 m



Scatola di pietra 3LHD, Sports/City Hall in Bale

testo di/text by Francesca Oddo foto di/photo by Damir Fabijanic´

Stone Box The new Sports City Hall in Bale, Croatia, is a shining example of history and the current age in dialogue. Its architecture expresses modern languages and evokes a sense of historic memory. It is the creation of 3LHD, an architecture studio based in Zagreb, founded by Saša Begovic, Marko Dabrovic, Tatjana Grozdanic Begovic, and Silvije Novak, four young architects with a fine sensitivity to the interaction between architecture and its city setting. This project conducts this relationship through an alternation of interference and assonance. The compact, spectacular and powerful structure sits elegantly on the edges of Valle’s historic center, proclaiming its gravity, underscored with sculptural force. Rather than taking formal distances from its surrounding urban fabric, it evokes it, cladding its structure in the same stone found throughout the heart of the city, on a hill overlooking an ancient Roman consular road. With its large proportions, it imposes itself on the city, like the bastion of a fortress. The architects say that they took inspiration from a traditional stone shelter structure built by local shepherds, protecting against heat in the summer and cold in the winter. They explain, «This structure was traditionally built without cement or mortar, fitting together stones found on site. It is a primitive example of prefabrication, existing in the Mediterranean area since pre-history». The Sports City Hall is the city’s second largest building after the church. Its monumental quality (its quiet, reserved nature notwithstanding) expresses

prospetto est/east elevation 0

5m

Il nuovo Sports City Hall della città di Bale, in Croazia, è un esempio brillante di dialogo fra storia e contemporaneità. La sua architettura è testimone di linguaggi attuali e allo stesso tempo respira il senso della memoria. Ne è autore 3LHD, studio di architettura con base a Zagabria fondato da Saša ` Silvije Novak, quattro giovani progettisti sensibili ` Marko Dabrovic, ` Tatjana Grozdanic` Begovic, Begovic, alle dinamiche di interazione fra architettura e scenario urbano. Un rapporto che in questo progetto viaggia attraverso un’alternanza di interferenze e di assonanze. Un volume compatto, scenico, potente si adagia con garbo ai bordi del centro storico della cittadina istriana, dichiara la sua gravità, la afferma con decisione e con vocazione scultorea. Non stabilisce distanze formali con il tessuto urbano nel quale si inserisce, anzi lo richiama rivestendo la sua massa della stessa pietra che popola il cuore della città, situata su un colle sovrastante un’antica via consolare romana. Si impone piuttosto sul profilo cittadino con le dimensioni, come fosse il baluardo di una fortezza. I progettisti affermano di aver tratto ispirazione da una tradizionale struttura di riparo in pietra costruita dai pastori locali, capace di proteggere l’ambiente dal caldo durante la stagione estiva, dal freddo durante quella invernale. «Tradizionalmente costruito senza cemento o malta, incastrando le pietre trovate sul sito, questa struttura è un esempio primitivo di prefabbricazione, vivo nell’area Mediterranea fin dalla preistoria», spiegano. Lo Sports City Hall è il secondo edificio più grande della cittadina dopo la chiesa. La sua monumentalità, sia pure silenziosa e riservata, testimonia il suo ruolo sociale: oltre ad ospitare il campo da basket e una sauna, è anche un luogo di incontro per la comunità, nel quale è possibile organizzare conferenze, fiere, eventi. Gli spogliatoi sotterranei diventano lo strumento attraverso il quale la struttura si aggancia al plesso della vicina scuola. È una scatola imponente, ma si stacca dal suolo in alcuni punti, come per acquisire leggerezza. Ora il suo corpo lapideo è sorretto da una cortina di schermi di vetro, in un’acrobazia strutturale che gioca a sovvertire le leggi della gravità; ora subisce dei tagli tridimensionali che privano il volume dei suoi spigoli in prossimità dell’appoggio al suolo. A tratti l’edificio si presta ad una lettura antropomorfa, soprattutto di notte, quando la cortina a vetri si offre alla città come una grande bocca luminosa che si lascia penetrare dalle atmosfere urbane. All’interno gli spazi sono limpidi, essenziali, nitidi. Scanditi e modulati da una sequenza severa di pilastri in cemento armato. Costruito in 11 mesi, l’edificio è stato realizzato in elementi in cemento armato prefabbricati. Storia/contemporaneità, gravità/leggerezza, opacità/trasparenza, tecniche costruttive tradizionali/tecniche costruttive moderne sono le dicotomie che conferiscono verbo al progetto, che ne definiscono il carattere, la cifra, l’energia.

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b

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1 entrata/entrance 2 vestibolo/hall 3 entrata/entrance 4 campo/pitch 5 impianti meccanici/mechanical services 6 magazzino attrezzature/equipment store 7 corridoio di evacuazione/evacuation corridor 8 spogliatoio/dressing room 9 bagno/sanitary facility 10 docce/showers 11 armadietti+ambulatorio/cabinet+ambulatory 12 bagno per docenti/sanitary facility-teachers 13 bagno per persone disabili/ sanitary facility-disabled persons 14 bagni per gli ospiti/sanitary facilities-guests 15 corridoio di entrata/entrance corridor 0

10 m

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pianta piano terra/ground floor plan

b

sezione aa/section aa

sezione bb/section bb

sezione cc/section cc

prospetto nord/north elevation

its social role. In addition to housing a basketball court and sauna, it is a community meeting place, in which conferences, fairs and other events can be organized. The underground changing rooms become a connection point with the nearby school complex. Though it is an imposing container, it separates from the ground at certain points, as if wanting to become lightweight. Its stone structure may be supported on one point by a curtain of glass screens in a structural acrobatic feat that seems to subvert the laws of gravity; and then at another point may be subjected to three-dimensional cuts that remove its corners near where it rests on the ground. At times, the building invites an anthropomorphic interpretation. Especially at night, the glass cladding opens to the city like a great, lighted mouth that invites in the city’s atmosphere. The interior spaces are clean, simple and bright. A rigid sequence of reinforced cement columns paces and modulates the spaces. The building was completed in 11 months with reinforced concrete prefabricated components. History/modernity, gravity/lightweightness, opacity/transparency, and traditional/modern construction technologies. These dichotomies inform the project, its character, its style and its verve.


nome progetto/project name Municipio e centro sportivo a Bale/City Hall and sports center in Bale architetto/architect 3LHD ´ gruppo di progetto/project team Saša Begovic, ´ Marko Dabrovic, ´ Tatjana Grozdanic´ Begovic, ˇ ´ Marin Mikelic´ Silvije Novak, Ljerka Vucic, ´ UPI-2M collaboratori/collaborators Berislav Medic, (strutture/structural engineering) Robert Alar, UPI-2M (strutture/structural engineering) Mateo Biluš, B.M.P. (fisica tecnica/building physics) Tomislav Fujs, Vodotehnika, MEP Engineering (impianto idraulico/plumbing) ´ Branko Corko, IPZ-elektroinženjering 22, (ingegneria elettrica/electrical engineering) Igor Šundov, Rena prom, MEP Engineering (meccanica/mechanical)

committente/client Comune di Bale/Bale Municipality appaltatore principale/general contractor Tehnika d.d. luogo/location Bale, Croazia superficie lotto/site area 3.660 mq/sqm superficie coperta/gross floor area 1.108 mq/sqm volume/volume 6.084 mc/cm inizio progetto/start 2005 fine lavori/completion 2006 costo/cost 1.000.000 euro progetto vincitore di concorso/ competition winner project www.3lhd.com

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Trasparenza europea Bevk Perovic´ Arhitekti, Congress Centre in Brdo

testo di/text by Živa M. Brecelj foto di/photo by Miran Kambicˇ

` insieme al gruppo di architetti che collaborano con loro, hanno da Matija Bevk e Vasa J. Perovic, tempo iniziato a movimentare il panorama urbano dei luoghi in cui operano attraverso le loro idee e realizzazioni, sempre all’avanguardia. Dal 1997 hanno progettato e costruito prevalentemente piccole case private e ville, fino ad arrivare alla realizzazione di progetti più complessi come la Facoltà di Matematica o le residenze per studenti, entrambi a Lubiana, o il grande Centro Congressi a Brdo, a qualche decina di chilometri da Lubiana. Il Centro è stato progettato e realizzato, nel 2006-2007, in funzione delle esigenze ufficiali e protocollari legate al periodo di Presidenza slovena dell’Unione Europea, iniziato lo scorso gennaio. Una volta terminato il periodo di presidenza, l’edificio verrà adibito a centro culturale e congressuale. La costruzione, inserita nell’eccezionale scenario di un parco naturale protetto, è stata concepita come un basso padiglione vetrato in simbiosi con il paesaggio. è la natura che diviene protagonista, non l’architettura. Le dimensioni dell’edificio sono state dettate dalla preesistente tenuta di Zois, separata dal Centro Congressi attraverso una grande piattaforma in pietra. Un taglio nel volume, nella parte orientale dell’edificio, ne sottolinea in modo discreto l’ingresso. L’organizzazione funzionale privilegia, data la destinazione attuale del Centro, una distribuzione aperta verso l’esterno che simboleggia l’apertura comunicativa delle istituzioni. Al piano terra si trova la sala ricevimento per conferenze stampa, eventi o esibizioni; nella parte centrale il cuore del Centro Congressi: una grande sala a doppia altezza interamente ricoperta da pannelli in legno, microforati, che contribuiscono a creare la calda atmosfera che caratterizza l’intero complesso. Al primo piano gli uffici, spazi flessibili e aperti, si snodano intorno all’atrio e sono separati dal corridoio solo attraverso pareti in vetro stampato. Le ampie vetrate esterne dell’edificio riflettono la natura che lo circonda completamente, trasformandola nella sua stessa facciata. nome progetto/project name Centro Congressi Brdo architetto/architect Bevk Perovic´ Arhitekti – Matija Bevk, Vasa J. Perovic, ´ Andrej Ukmar committente/client JGZ Brdo luogo/place Brdo pri Kranju, Slovenia area/area 10.000 mq/sqm data di progetto/design date 2005 fine lavori/completion 2007

planimetria/site plan 0

20 m

pagina precedente: fronte principale previous page: main front

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European Transparency Matija Bevk and Vasa J. ` with the group of architects who work with Perovic,

them, have been contributing their progressive ideas and projects to the cities they work in for some time. Since 1997 they have mainly designed and built small private homes and villas, but they have also produced more complex projects such as the Faculty of Mathematics, the student residences in Ljubljana or the great Congress Centre in Brdo, not far from Ljubljana. 10 m

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sezione trasversale aa/cross section aa

The Centre was designed and built in 2006-2007 to meet the official requirements of the protocol

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for Slovenia’s presidency of the European Union, which began in January of this year. When the presidency is over the building will be used as a cultural and congress centre. The building, located amidst the beauty of a nature reserve, is designed as a low glass pavilion living in symbiosis with the landscape. The focus is on nature, not architecture. The building’s size was determined by the existing Zois estate, separated from the Congress Centre by a large stone platform. An opening in the eastern side of the volume discretely underlines the entrance. The building’s functional organisation services the Centre’s function with a distribution of space that is open to the outside, symbolising the 0

pianta primo piano/first floor plan a

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communicative openness of the institutions. The ground floor contains a reception hall for press conferences, events and exhibitions and, in the central part of the building, the heart of the Congress Centre: a large hall two storeys high entirely covered with micro-perforated wooden panels, which help create the warm atmosphere characterising the entire complex. On the first floor the offices, which are flexible open spaces, wind around the atrium, separated from the corridor only by printed glass walls. The large outside walls of the building reflect its natural surroundings and make them into its faรงade.

interno/interior sopra: vista della corte interna e della sala conferenze/above: the internal court and the conference hall


nome progetto/project name Casa HB architetto/architect Bevk Perovic´ Arhitekti – ´ Maja Valicˇ Matija Bevk, Vasa J. Perovic, ˇ Slovenia luogo/place Lubiana Pirnice, data di progetto/design date 2004-2005 realizzazione/realization 2005-2007


House = landscape Bevk Perovic´ Arhitekti, House HB

foto di/photo by Miran Kambicˇ

From the project report House HB’s architectural concept was shaped by the area on the prominent edge of Ljubljana, Slovenia’s capital city. This place is simultaneously absolutely picturesque and a typical Slovenian suburb, surrounded by masses of anonymous two-story little houses, classic post-war Central European architecture. The project seeks to define another kind of home environment. House HB is a decisive new definition of a rural-type low, elongated tradition house. The house stands on a small hill, looking like a transparent object growing out of the earth. Despite its dominant position, it seems to merge seamlessly with the landscape. From another perspective, it looks like a prototype house, an icon of a standard house, as if drawn by a child. The roof and side façades are both clad in aluminum panels, merging the surfaces and leaving the house smooth, free of ornamental details. The house becomes a mark, a model of a house. House HB seeks to maintain the traditional local house’s iconographic themes, such as a pointed roof, relatively small volume, and linear arrangement of the spaces. Nonetheless, it is much more spacious than it seems from afar. The private areas, including the bedrooms and library, are partially underground. The living areas are visible in the upper part. The two levels make for completely different living experiences. The lower floor is concrete and faces a hidden patio. The upper part is glass and is completely transparent along the building’s edges. The open interiors have no dividing walls. The separation of different areas, like the kitchen, dining room and living room, are marked by the arrangement of furniture, making virtual rooms. The boundary between the inside and outside is blurred. The interior extends into the lawn on a wood platform, making the landscape an extension of the living space.

Dalla relazione di progetto Il concept architettonico che sta alla base del progetto della Casa HB nasce proprio della posizione del terreno su cui sorge, una delle parti più prominenti del paesaggio circostante. Il luogo è molto pittoresco anche se di fatto si tratta della tipica realtà suburbana slovena: agglomerati di anonime case isolate, al massimo di due piani, tipiche dell’architettura del dopoguerra nell’Europa centrale. Il progetto cerca di definire un diverso tipo di ambiente domestico. La Casa HB è la ridefinizione di una specifica tipologia rurale tradizionale, con le sue forme basse ed allungate. La casa è situata sulla sommità di una bassa collina e sembra essere un oggetto trasparente che emerge dal terreno. Nonostante la sua posizione dominante, la casa sembra fondersi con il paesaggio. Ad una seconda occhiata sembra anche che sia una sorta di archetipo della casa, come se fosse disegnata da un bambino. Il tetto e due delle facciate sono rivestiti dello stesso materiale, pannelli di alluminio che uniformano le superfici. La casa appare essenziale, nella sua assenza di qualsiasi ornamento, come se fosse un segno, un modello della casa stessa. House HB tuttavia conserva le caratteristiche iconografiche della casa tradizionale: il tetto a capanna, i volumi contenuti, gli spazi disposti in successione ma è molto più spaziosa di quanto appaia dall’esterno. Gli spazi personali della casa, come le camere da letto o la biblioteca, affondano nel terreno, nascosti, mentre gli spazi pubblici, come il soggiorno, si trovano nella parte superiore e visibile della casa. I due livelli offrono esperienze abitative sostanzialmente diverse – la parte inferiore, al di sotto del livello del terreno, è realizzata in calcestruzzo e si apre verso il cortile, nascosto dal terreno circostante; nella parte superiore della struttura invece le pareti longitudinali sono completamente in vetro, trasparenti. Gli spazi giorno interni sono aperti, senza pareti divisorie. Le diverse aree, come la cucina, la sala da pranzo o il soggiorno sono individuati da elementi di arredo che formano delle stanze virtuali. Il confine fra interno ed esterno è indistinto, l’interno della casa prosegue, passando dalle piattaforme in legno, fino al prato. Il panorama diviene un’estensione dell’ambiente abitativo.

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interno: vista del camino/interior: view of the fireplace nella pagina precedente: fronte posteriore e particolare del prospetto principale/in the previous page: behind front and main front detail 0

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Switching Surface Sadar Vuga Arhitekti, Apartment House Gradaška

testo di/text by Živa M. Brecelj foto di/photo by Hisao Suzuki

Switching surface The Sadar Vuga Arhitekti (SVA) studio was founded in 1996 by Jurij Sadar and Boštjan Vuga in Ljubljana, Slovenia and has become a leading player in European architecture and design. For the last twelve years, SVA’s architects have focused on open, innovative and integrated architecture, design and urban planning. The studio’s work has concentrated on quality and an approach to architecture that enhances our wellbeing through our senses that come daily into contact with the context in which we live. The variety of the studio’s clients is reflected clearly in their projects’ diversity, running the gamut from city council to the national government, from individuals to multinationals and leading contractors. Their portfolio is ever expanding, with completed projects honored by many awards, including the innovative design of the city, sculptures in public spaces, new interactive public buildings and new designs or installations within historic structures. The planning of public buildings often makes use of suggestions from the local culture and atmosphere, yet managing to create interior spaces that respond to highly individual tastes and wishes. An excellent example of this ability is the Gradaška luxury apartment building on the edges of Ljubljana’s center, in a unique area between the historic center and the protected rural enclave of Krakovo. The building seems like a giant ice cube reflecting its surroundings. Its proportions, location, shape and the organization of its space rise over the entire block made mainly of small houses with predominantly rural shapes. The twelve separate, independent apartments cover the area, with several floors and half floors. The central area is always divided into one and a half floors or two floors. The apartments’ vertical arrangement is highlighted by the large glass surfaces that convey the building’s urban character. The spaces are differentiated by the living area’s double height extensions. These vertical spaces are surrounded both by ‘open loft’ spaces and a more conventional arrangement of closed, separate spaces for bedrooms. In the building’s structure, the apartments fit together like pieces in a threedimensional Tetris video game. Glass takes on the starring role on the interesting smooth façade, pointedly free of terraces. This

Sadar Vuga Arhitekti, studio fondato da Jurij Sadar e Boštjan Vuga a Lubiana nel 1996, è oggi tra i maggiori protagonisti dell’architettura e del design europeo. La filosofia dello studio si basa sulla ricerca della qualità nella produzione architettonica e sulla convinzione che il suo sviluppo, in prospettiva, contribuisca al nostro benessere e generi impulsi positivi nel contesto in cui viviamo, stimolando i nostri sensi e la nostra immaginazione. L’elenco dei loro committenti esprime la varietà della loro attività professionale: dalle amministrazioni cittadine al Governo Centrale, dai privati alle multinazionali fino ai maggiori costruttori edili. In dodici anni di attività hanno affrontato lavori di architettura, design e di urbanistica con un approccio aperto, essenziale, realizzando opere che, oltre ad arricchire il loro curriculum, hanno ricevuto numerosi premi e segnalazioni. Spaziano da una progettazione urbana dal carattere innovativo ad elementi di arredo urbano, da nuovi edifici pubblici caratterizzati da una moderna interattività a progetti di restauro. Le residenze, in particolare, non prescindono mai dal contesto culturale e climatico del luogo in cui sono inserite, così che anche gli spazi interni rispondano ai gusti ed ai desideri di committenti e fruitori. Ne è un esempio il lussuoso condominio Gradaška, situato ai bordi del centro di Lubiana, in una particolare zona tra il nucleo storico e l’enclave rurale protetta di Krakovo. L’edificio, che potrebbe apparire come un enorme cubo di ghiaccio, riflette gli edifici e gli spazi circostanti grazie alla sua superficie vetrata, e per dimensione, forma e organizzazione dello spazio, sovrasta il resto dell’isolato costituito prevalentemente da villette di carattere rurale. I 12 appartamenti che lo compongono, ognuno diverso e personalizzato rispetto agli altri, si trovano tutti su piani sfalsati. Questo movimento genera al centro dell’appartamento il doppio volume della zona giorno attorno al quale si snodano open space o tradizionali camere da letto separate dagli ambienti circostanti. La sottolineatura di questo sviluppo verticale delle diverse unità, gli spazi aperti, le grandi vetrate, sottolineano il carattere contemporaneo e metropolitano dell’edificio: gli appartamenti si incastrano nell’involucro esterno come i pezzi tridimensionali del Tetris. Il vetro è l’indiscusso protagonista della facciata, deliberatamente senza terrazze. La superficie, liscia, è caratterizzata dalla combinazione di vetro riflettente e vetro trasparente: comunica eleganza e consistenza, e conferisce una particolare qualità tattile alla facciata. Tre materiali diversi costituiscono le superfici dei prospetti: il nastro di pietra che descrive ciascun appartamento, la combinazione dei pannelli in vetro su cui si specchiano i dintorni, che lasciano intravedere l’interno, e la base, una sorta di filigrana decorativa che regala riflessi verdi a tutta la costruzione. La facciata funziona come una specie di ‘Superficie di Scambio’ (Switching Surface) tra il carattere contemporaneo e metropolitano del nuovo edificio ed il carattere quasi rurale dell’area in cui questo si trova.

nome progetto/project name Edificio residenziale Gradaška architetto/architect SVA – Jurij Sadar, Boštjan Vuga, ˇ Tomaž Beno Masten, Tadej Žaucer, Goran Golubic, ˇ Celigoj, Lucijan Šifrer, Ana Struna committente/client Lesnina Inzeniring d.d. materiali/materials struttura: cemento armato, acciaio/structure: reinforced concrete, steel; rivestimento: pannelli strutturali di pietra, vetro, vetro riflettente/cladding: structered stone panels, glass, reflecting glass

data di progetto/design date 2003 fine lavori/completion 2006 luogo/site Ljubljana, Slovenia superficie lotto/site area 1.545 mq/sqm superficie coperta/building area 795 mq/sqm superficie costruita/total floor area 3.800 mq/sqm 12 appartamenti, da 90 mq a 350 mq/12 apartments, biggest 350 sqm, smallest 90 sqm posti auto/total parking sites 39 volume totale/total volume 14.850 mc/cm www.sadarvuga.com

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in queste pagine/in these pages viste assonomeriche di ogni appartamento, viste del fronte posteriore/axonometric views of each apartment and behind view of the building

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enormous smooth surface is a combination of reflecting and transparent glass combining to convey a sense of elegance and substance, while giving the faรงade a tactile quality. The vertical surface consists of three different materials: stone that delineates the individual apartments, the combination of reflective and transparent glass panels reflecting the surroundings and the base whose green filigree ornamentation throws a green reflection on the faรงade. The faรงade serves as a kind of transition between the structure and vibrant character of the metropolitan vertical lofts on the one hand and the atmosphere of a town on the other.

sezione longitudinale aa/longitudinal section aa pianta secondo piano/second floor plan

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Š Peter Koraca

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Hanno collaborato a questo numero / Contributions to this issue

Živa M. Brecelj

giornalista/reporter

Ljubiana (Slovenia), 1975. Da diversi anni collabora con l’edizione slovena di Elle e con altre testate femminili di moda, design, arte, arredamento e lifestyle. In questo numero di AND ha presentato i progetti di due importanti studi di architettura sloveni. Attualmente vive e lavora a Firenze/Ljubjiana (Slovenia), 1975. Has worked with the Slovenian edition of Elle and other women’s fashion, design, art, interior decorating and lifestyle magazines for several years. In this issue of AND Brecelj presents projects by two important Slovenian architectural studios. Currently lives and works in Florence

Marie Lou Busi

architetto/architect

Firenze, 1961. Si laurea presso l’Università degli Studi di Firenze nel 1992 con una tesi su Gherardo Bosio. è autrice, insieme a C. Cresti e L. Billeri, del volume Gherardo Bosio. Architetto fiorentino 1903-1941, Pontecorboli, Firenze 1996/Florence, 1961. Graduated from Florence University in 1992 with a thesis on Gherardo Bosio. With C. Cresti and L. Billeri, authored the volume Gherardo Bosio. Architetto fiorentino 1903-1941, Pontecorboli, Florence 1996

Filippo Maria Conti

architetto/architect

Bologna, 1974. Laureatosi in Progettazione Urbana presso la Facoltà di Architettura di Firenze, svolge l’attività di architetto tra Bologna e Firenze occupandosi principalmente di pianificazione territoriale e di risparmio energetico/Bologna, 1974. Degree in Urban Design from the Faculty of Architecture in Florence. Works as an architect in Bologna and Florence, mainly in the areas of territorial planning and energy conservation

Paolo Di Nardo

architetto/architect

Firenze, 1958. Fondatore e direttore editoriale della rivista AND, nel 2002 fonda lo studio ARX che si occupa di progettazione e ricerca architettonica; collabora con studi quali Coophimmelb(l)au, Diener & Diener, Obermayer Planen + Beraten. è professore a contratto di progettazione presso la Facoltà di Architettura di Firenze e autore di numerosi articoli e saggi sull’architettura contemporanea/Florence, 1958. Founder and editor of AND magazine. In 2002 Di Nardo founded studio ARX, which is concerned with architectural research and design; he also works with studios such as Coophimmelb(l)au, Diener & Diener, Obermayer Planen + Beraten. He is a temporary professor of design with the Faculty of Architecture in Florence and has authored numerous articles and essays on contemporary architecture

Fatós Dingo

psicologo/psychologist

Berat (Albania), 1966. Da circa quindici anni vive e lavora tra Firenze e La Spezia. Psicologo e docente di Etnologia delle popolazioni Mediterranee. Si laurea in Lingua Russa a Tirana e in Psicologia a Firenze. Collabora alla Cattedra di lingua albanese presso la Facoltà di Filologia a S. Pietroburgo e alla Cattedra di Antropologia Culturale presso la Facoltà di Psicologia di Firenze/Berat (Albania), 1966. Has lived and worked in Florence and La Spezia for about fifteen years. Psychologist and Professor of Ethnology of Mediterranean Populations. Graduated from Tirana University with a degree in Russian and from Florence University with a degree in Psychology. Works with the Professorship of Albanian in the Faculty of Philology in St. Petersburg and with the Professorship of Cultural Anthropology in the Faculty of Psychology in Florence

Michelangelo Fabbrini

architetto/architect

Firenze, 1959. Si laurea in architettura presso l’Università di Firenze nel 1985. Fonda la società Open Plan Consulting, con la quale si occupa di organizzazione e gestione di programmi di cooperazione internazionale/Florence, 1959. Graduated from Florence University with a degree in architecture in 1985. Founded Open Plan Consulting, with which he works on organisation and management of international cooperation programmes

Eugenio Giani

politico/politician

Firenze, 1959. Laureato in Giurisprudenza, è impegnato in politica da molto tempo. Ha ricoperto le cariche di Assessore alla Mobilità, Trasporti e Lavori Pubblici del Comune di Firenze, Presidente della Firenze Parcheggi. Attualmente è Assessore per lo Sport e il tempo libero, la Valorizzazione delle tradizioni popolari fiorentine, le Relazioni internazionali ed i Gemellaggi/Florence, 1959. Holds a Law degree and has worked in politics for a long time, holding the positions of Councillor for Mobility, Transportation and Public Works of Florence Municipality and President of Firenze Parcheggi. Currently Councillor for Sports and Leisure, Promotion of Florence’s Folk Traditions, International Relations and Twinning

Ariela Kushi

architetto/architect

Tirana (Albania), 1979. Si laurea nel 2003 presso L’Accademia di Architettura di Mendrisio. Nel 2004 inizia a lavorare presso il Municipio di Tirana dove si occupa di pianificazione urbana e dal 2006 segue il Piano Regolatore della città. Partecipa a numerosi forum nazionali ed internazionali su Tirana ed è autrice di molti articoli su questo tema/Tirana (Albania), 1979. Graduated from Mendrisio Academy of Architecture in 2003. Started working as a town planner with the City of Tirana in 2004, and has been in charge of overseeing the city’s urban planning scheme since 2006. Has participated in numerous national and international forums on Tirana and written countless articles on the city

Agron Lufi

architetto/architect

Tirana (Albania), 1947. Ingegnere e architetto. Si è specializzato in molte università: il Politecnico di Torino, l’Architectural Association School e la Bartlett School of Architecture di Londra, l’Università della Florida e la Facoltà di Architettura di Firenze. è Direttore del Dipartimento di Architettura e Urbanistica Politecnico di Tirana e direttore dell’ADC-Design Studio/Tirana (Albania), 1947. Engineer and architect. Specialised studies in a number of universities: the Polytechnic of Turin, the Architectural Association School and the Bartlett School of Architecture in London, Florida University and the Faculty of Architecture in Florence. Head of the Department of Architecture and Urban Planning at Tirana Polytechnic and director of ADC-Design Studio

Predrag Matvejevic´

letterato/literate

Mostar (Bosnia-Erzegovina),1932. è stato docente di Letteratura Francese a Zagabria e di Letterature comparate alla Sorbona di Parigi. Ha vissuto in Francia fino al 1994, ‘tra asilo ed esilio’; dal 1994 vive e lavora in Italia. Professore ordinario di Slavistica all’Università la Sapienza di Roma. è membro del World Political Forum di Michail Gorbaciov/Mostar (Bosnia-Herzegovina),1932. Taught French Literature in Zagabria and Comparative Literature at the Sorbonne in Paris. Lived in France until 1994, ‘between asylum and exile’; has lived and worked in Italy since 1994. Professor of Slavic Studies at La Sapienza University in Rome. Member of Mikhail Gorbachev’s World Political Forum

Francesca Oddo

critica/critic

Messina, 1973. Scrive di architettura per diverse riviste specializzate, cartacee e digitali. Formazione da architetto, è attratta dall’attività giornalistica. Impegnata nella comunicazione dell’architettura e nell’organizzazione di eventi espositivi, lavora per la MEDIA AGECY di iMage a Firenze/Messina, 1973. Writes on architecture for a number of specialised publications, both printed and digital. Educated as an architect, Oddo found herself drawn to journalism. She works in the areas of architectural communications and exhibition organisation for iMage MEDIA AGENCY in Florence

Elisa Poli

critica/critic

Bologna, 1979. Svolge un dottorato in Storia dell’architettura presso l’Università degli Studi di Firenze in cotutela con l’Université de Paris1 Pantheon-Sorbonne. Si occupa di critica architettonica. Sta attualmente compiendo ricerche presso il CAC (Canadian Architecture Collection) di Montréal. Nel 2002 ha partecipato alla pubblicazione Il volto nascosto della città/Bologna, 1979. Graduated from a Florence University programme in the History of Architecture organised with l’Université de Paris1 Pantheon-Sorbonne. Now an architectural critic, she is conducting research at the CAC (Canadian Architecture Collection) in Montréal. In 2002 she participated in the publication of Il volto nascosto della città

Edi Rama

sindaco di Tirana/major of Tirana

Tirana (Albania), 1964. Sindaco di Tirana dal 2000. Dopo un soggiorno a Parigi rientra in Albania ricopre il ruolo di Ministro della Cultura impegnandosi per la rinascita della cultura albanese contemporanea. Concentra da sempre sulla città grandi sforzi di rinnovamento cercando e ricevendo consensi dalla comunità internazionale/Tirana (Albania), 1964. Mayor of Tirana since 2000. After spending time in Paris, Rama returned to Albania and became Minister of Culture, working to promote the rebirth of contemporary Albanian culture. He has always concentrated much effort on renewal of the city, with the consensus of the international community

Pierpaolo Rapanà

architetto/architect

Lecce, 1978. Svolge attività professionale in collaborazione con lo studio ARX di Firenze e attività di ricerca come Cultore della Materia nel corso Laboratorio di Architettura II presso la Facoltà di Architettura di Firenze. Fa parte della redazione di AND/Lecce, 1978. Works in partnership with studio ARX of Florence and conducts research as a scholar with the Architectural Workshop of the Faculty of Architecture in Florence. A member of the AND editorial staff

Fabio Rosseti

architetto/architect

Viareggio (LU), 1961. Vive e lavora a Firenze, rivolgendo la sua attenzione al rapporto fra architettura e tecnologie dell’informazione. è coordinatore della redazione di AND con la quale ha collaborato fin dal primo numero. Ha scritto vari articoli per AND e per altre testate/Viareggio (LU), 1960. Lives and works in Florence, focusing on the relationship between architecture and information technologies. Editorial staff coordinator of AND, he has worked with the magazine since its very first issue, writing various articles for AND and for other publications

Artan Shkreli

architetto/architect

Tirana (Albania), 1964. Fonda Sferastudio nel 1996 insieme a Daniel Gjoni. è stato direttore dell’Istituto Nazionale dei Monumenti della Cultura, Consigliere del Primo Ministro per il Territorio e l’Eredità. Dal 2002 guida il Fondo Albanese per i Monumenti e dal 2007 è docente di Storia dell’architettura Albanese presso UFO University-Tirana/Tirana (Albania), 1964. Founded Sferastudio with Daniel Gjoni in 1996. Curator of the National Institute of Cultural Monuments, Advisor to the Prime Minister for Territory and Inheritance. Since 2002 he has led the Albanian Fund for Monuments, and since 2007 he has taught the History of Albanian Architecture at UFO University-Tirana

Albana Tollkuci

architetto/architect

Tirana (Albania), 1976. Si laurea presso il Politecnico di Bari, con una tesi sulla ricostruzione post-bellica dei centri storici. Attualmente è docente di Storia dell’Architettura presso POLIS, Facoltà di Architettura di Tirana; lavora presso il Municipio di Tirana occupandosi di pianificazione urbana/Tirana (Albania), 1976. Graduated from Bari Polytechnic with a thesis on post-war reconstruction of historic city centres. Currently teaches History of Architecture at POLIS, the Faculty of Architecture in Tirana; town planner with Tirana City Hall

Ulisse Tramonti

architetto/architect

Forlì (FC), 1946. Ordinario di Progettazione Architettonica, Direttore del Dipartimento di Progettazione dell’Architettura e responsabile dell’Ufficio Relazioni Internazionali presso la Facoltà di Architettura di Firenze. È autore di molti saggi, relatore in convegni sulle proble matiche dell’architettura e Visitig professor presso le più importanti Facoltà di Architettura europee/Forlì (FC), 1946. Professor of Architectural Design, he is currently Head of the Department of Architectural Design at Florence University and in charge of the International Relations Office. Tramonti has written numerous texts and spoken at conferences on architectural issues. Visiting professor in the most important Architecure Faculties abroad

Pavel Veselinov Yanchev

architetto/architect

Sofia (Bulgaria), 1981. Si laurea presso la UACEG di Sofia nel 2007. Collabora come junior architect e Project Manager Assistant presso lo STOA Group di Sofia dal 2004 al 2007. Attualmente collabora con lo Zoom Studio di Sofia/Sofia (Bulgaria), 1981. Graduated from UACEG in Sofia in 2007. Junior Architect and Assistant Project Manager with the STOA Group in Sofia from 2004 to 2007. Currently works with Zoom Studio in Sofia

Armand Vokshi

architetto/architect

Tirana (Albania), 1973. Dopo aver vissuto in Germania per molti anni, si trasferisce in Italia, dove si laurea in architettura a Firenze. Collabora dal 2004 con lo studio Arx e svolge la propria attività sia in Italia che a Tirana. è Cultore della Materia nel corso Laboratorio di Architettura II presso la Facoltà di Architettura di Firenze/Tirana (Albania), 1973. After living in Germany for many years, Vokshi moved to Italy, where he took a degree in architecture at Florence University. Since 2004 he has worked with studio Arx of Florence in Italy and in Tirana. Scholar in the Architecture Workshop II programme with the Faculty of Architecture in Florence

Vesna Vucinic ˇ ´

architetto/architect

Bonn (Germania), 1972. Si laurea a Vienna presso la University of Technology nel 1999. Si occupa d progetti che incoraggino lo scambio e la cooperazione. è inoltre corrispondente per A10 New European Architecture. Vive e lavora tra Vienna e Belgrado/Bonn (Germany), 1972. Graduated from Vienna’s University of Technology in 1999. Works on projects encouraging dialogue and cooperation. Correspondent for A10 New European Architecture. Lives and works in Vienna and Belgrade

Lebbeus Woods

architetto/architect

Lansing, Michigan (USA), 1940. è co-fondatore e direttore scientifico di RIEA.ch, centro internazionale per la ricerca e la sperimentazione avanzata nel campo dell’architettura. Molti suoi lavori sono esposti in Musei quali il Moma di New York, il Mak di Vienna o la Fondazione Cartier di Parigi. Visiting-professor in molte università, attualmente è docente di architettura alla Cooper Union di New York/ Lansing, Michigan (USA), 1940. Cofounder and scientific director of RIEA.ch, an international centre for advanced research and experimentation in architecture. Many of his works are on exhibit in museums such as Moma in New York, Mak in Vienna or the Cartier Foundation in Paris. Visiting professor at numerous universities, he is a professor of architecture at Cooper Union in New York


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