TRASPARENZA > Opacità

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TRASPARENZA > OPACITà

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RIVISTA DI ARCHITETTURE, CITTà E ARCHITETTI

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settembre dicembre

2009

TRASPARENZA > OPACITà

16

e d i t r i c e

ateliers jean nouvel stefano boeri hof tabanlioglu assadi pulido rafael moneo fuksas zaha hadid dap studio salvatore re arquitectos anónimos® valerio olgiati


AND Rivista quadrimestrale di architetture, città e architetti n°16 settembre/dicembre, 2009 direttore responsabile Francesca Calonaci direttore editoriale Paolo Di Nardo comitato scientifico Giandomenico Amendola, Gabriele Basilico, Miranda Ferrara, Maurizio Nannucci, David Palterer, Sergio Risaliti, Giorgio Van Straten redazione Tommaso Bertini, Filippo Maria Conti, Samuele Martelli, Elisa Poli, Pierpaolo Rapanà, Daria Ricchi, Eugenia Valacchi

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16 sommario/summary Trasparenza > Opacità

Trasparenza e leggerezza?, Maria Grazia Eccheli

Quasi architettura, Paolo Di Nardo

Trame sensibili, Azzurra Macrì

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Ibrido lussureggiante, Alessandro Melis

Eye catching, Veronica Balutto

Doppio MAC, Guido Incerti

Sulla riva sinistra, Vittorio Savi

ARCHITETTURA. L’Opaco. IL Trasparente, Vittorio Savi

Dynamo Camp, Paolo Di Nardo

Piazza SANTA MARIA NOVELLA, Fabio Rosseti

opacità, Gianni Cavallina

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FUKSAS, Complesso parrocchiale San Paolo

Zaha Hadid, Burnham Pavilion

DAP Studio, Biblioteca Elsa Morante

Salvatore Re, Residenza Praticelli

Arquitectos anonimos, Casa FFTA

Valerio Olgiati, Atelier Bardill

EcocenTrico, Intervista a James Wines

EcocenTrico, Intervista a Stefan Tischer

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EDITORIALE, Paolo Di Nardo

EDITORIALE

Random [03] RANDOM, Diego Barbarelli

AND COMICS, Giorgio Fratini


Negli ultimi cento anni il concetto stesso di edificio ha subito profonde trasformazioni e conseguenze lessicali ed in questo mutarsi continuo il concetto di trasparenza ne è stato il vettore primario. Dall’idea premoderna del manufatto come ‘corpo organico traslato del corpo umano’ di cui si imitava la struttura ideale, si è passati al concetto di edificio come ‘corpo meccanico’ che attraverso le esperienze futuriste e la sua divulgazione lecorbuseriana si è proiettato su tutte le modernità. La postmodernità ha trasformato l’edificio in ‘corpo immateriale’ definito da Franco Purini «ossimoro con il quale si indica la avvenuta scissione tra la realtà concreta dell’edificio e la sua immagine mediatica».1 Questo nuovo concetto esprime la convinzione della riduzione del valore dell’architettura come trasfor-

EDITORIALE

mazione della realtà «(...) esprime il paradosso di una realtà fisica che si subordina al suo simulacro il quale, destinato a circolare nell’universo telematico, smentisce la sostanza dell’architettura come radicamento e trasformazione». Subentra quindi nel lessico architettonico del corpo immateriale il concetto di invisibile, non più come capacità di comunicare gli aspetti nascosti della realtà, ma come ricerca di proiettare l’impossibile come «realmente l’unica realtà possibile». (Purini) Luigi Prestinenza Puglisi esprime come sempre con estrema efficacia questa ‘realtà possibile’: «La massa muraria supplisce, con la sua inerzia, al variare delle situazioni ambientali esterne. Sue caratteristiche sono: la pesantezza, l’opacità, la permanenza. Una parete innovativa invece attivando dei sensori, reagisce al variare delle situazioni esterne producendo mutamento. è pertanto leggera, flessibile, fragile. La massa muraria agisce come una barriera all’informazione. Blocca tutto ciò che tenta di attraversarla. La parete sensibile è assimilabile invece a un trasmettitore: comunica per attivare strategie adeguate. Pensiamo adesso ad un edificio tradizionale e a uno tecnologicamente avanzato. Il primo trova il suo equilibrio nell’interagire il meno possibile con l’ambiente. Il secondo vive di contatti con l’esterno, funziona come pelle, come un sistema nervoso. Come una membrana, se non vogliamo usare il parallelo

PAOLO DI NARDO

troppo impegnativo con la fisiologia umana».2 Il passaggio dall’opacità alla trasparenza, o meglio lo scambio continuo fra questi due aspetti dell’architettura è sempre stato nell’epoca moderna il vettore che ha trasformato i linguaggi dell’architettura fino ai giorni nostri. Walter Benjamin nel 1929 ne Il ritorno del Flaneur vede nella trasparenza di Giedion, Mendelsohn, Le Corbusier il senso di un futuro caratterizzato da ‘spazi di transito’. «Per abitare nel vecchio senso dove l’intimità, la sicurezza stava al primo posto è suonata l’ultima ora. Giedion, Mendelsohn, Le Corbusier trasformano la dimora degli uomini anzitutto in uno spazio di transito attraversato da tutte le pensabili forze e onde di luce e aria. Il futuro sta sotto il segno della trasparenza». La trasparenza assume valori oltre che architettonici anche di portata sociale dettato da necessità di cambiamento dei primi del ‘900. Trasparenza come ‘parola d’ordine’ di una società «che si accinge a costruire case con pareti di vetro, dove le terrazze entrano profondamente dentro le stanze che già non sono più tali».3 In questo senso un personaggio chiave nell’aver traslato il valore del ‘vetro’ nel campo culturale e sociale, fino a sfociare nel campo dell’immaginario surreale è Paul Scheerbart: «(...) anche delle finestre non si parlerà più molto dopo l’introduzione dell’architettura di vetro; la parola stessa ‘finestra’ scomparirà dal nostro vocabolario. (...) queste sono purtroppo visioni avveniristiche, che però dobbiamo tenere ben presenti se vogliamo che un giorno sorga realmente questa nuova era». Walter Benjamin, nel salutare l’architettura di vetro del poeta Paul Scheerbart, vede un tentativo moderno di «rottura nei confronti della continuità borghese», un atto di «barbarie positiva entro la generale ‘povertà’ di esperienze da cui i moderni gli parvero coinvolti. Scheerbart pone grande valore nel far alloggiare la sua gente, i propri cittadini in quartieri adeguati alla propria condizione: in case di vetro regolabili e mobili, come intanto ne costruivano Loos e Le Corbusier. Non per nulla il vetro è un materiale freddo e sobrio. Le cose di vetro non hanno aura. Il vetro è soprattutto il nemico del segreto. è anche il nemico del possesso». La ‘trasparenza’ vagheggiata da Sheebart attraverso il vetro è portatrice di un messaggio teso a ritrovare l’istinto della trasparenza negli stessi rapporti sociali e umani oltre che a contrapporsi a quella che Giulio Schiavoni nel saggio inserito in Architettura di vetro, definisce ‘cultura caserma’ del primo anteguerra. Quindi al concetto trasparenza va dato il suo vero ruolo di trasportatore da una cultura, quella tettonica, ed un altra, quella dei monitor. Un ruolo non legato ad una scelta di appartenenza che, come tutte le prese di posizione, porta al fallimento ed alla fine di un’idea, ma ad una lettura trasversale su più campi interpretativi di un mondo che è sempre più consapevole della relatività dell’atto culturale creativo. Relatività temporale, strategica, ciò che si pensa in un certo momento è sfuggevole e relativo, un momento prima già pensato da altri. Esiste quindi oggi una contrapposizione tra i due termini? Oppure l’essere ‘leggeri’ può voler significare anche ‘pesantezza’? Su questa domanda possiamo certamente andare avanti.

Note 1 F. Purini, Comporre l’architettura, Laterza, Bari 2000, p. 137. 2 L. Prestinenza Puglisi, Hyperarchitettura, Testo & Immagine, Torino 1998, p. 63. 3 W. Benjamin, Avanguardia e rivoluzione, Einaudi, Torino 1973, p. 107.


In the past 100 years, the concept of the building has undergone profound transformations and lexical consequences. The concept of transparency has been the primary vector in this continuous metamorphosis. From the pre-modern idea of the building as an ‘organic body shifted from the human body’ imitated by the structural ideal, the concept of building as a ‘mechanical body’ followed. Through futuristic experiences and their diffusion Le Corbusier projected himself into all aspects of modernity. Post-modernity has transformed the building into an ‘immaterial

converting human habitations into the transitional spaces of every imaginable force and wave of light and air. The coming architecture is dominated by the idea of transparency». Transparency assumes values that, besides being architectural, are also within the reach of society dictated by the necessity for change dictated by the early 20th century. Transparency as a ‘password’ of a society «that is about to build houses with glass walls, where the terraces enter deeply into rooms that can no longer be called such». 3 In this sense, a key character of the shifting

body’ that Franco Purini defines as an «oxymoron

of the value of ‘glass’ into the cultural and social field to the point that it flowed into filed of surreal imagi-

with which the split that took place between the tangible reality of a building and its media covered im-

nary is Paul Scheerbart «(…) There won’t even be much mention of windows after the introduction of

age is indicated». 1 This new concept expresses the

glass architecture; the word ‘window’ will vanish from

conviction of the reduction of the value of architecture as the transformation of reality «(…) expressing

our vocabulary. (…) unfortunately these are futuristic visions that we must keep in mind if we want such a

the paradox of a physical reality that subordinates to its simulacrum to which, destined to circulate in the

new era to truly rise one day». Benjamin, when writing of poet Paul Scheerbart’s

telecommunications universe, denies the substance

glass architecture, sees a modern attempt to «break

of architecture as one of embedding and transformation». Therefore, the concept of the invisible takes

with the bourgeois continuity», an act of positive barbarities within the general ‘poverty’ of experiences

over the immaterial body in architectural vocabulary, no longer intended as ability to communicate hidden aspects of reality, but as a quest to project the impossible as «really the only possible reality». (Purini) Luigi Prestinenza Puglisi expresses this ‘possible

from which the modern person seemed – according to him – to be involved: «Scheerbart places much

reality’ with extreme effectiveness, as always: «The building mass makes up for the variations in outdoor environmental conditions with its inertia. Its traits are: weightiness, opacity, permanency. An innovative wall, on the other hand, by activating sensors reacts to the changes in outdoor conditions by producing a change. Consequently, it is light, flexible and fragile. The building mass acts like a barrier to information. It blocks out everything that tries to cross It. A sensitive wall can be assimilated to a transmitter: it communicates in order to activate suitable strategies. Let’s think of a traditional building and one that is technologically advanced. The first building finds its balance by interacting as little as possible with the environment. The second lives on it contacts with the outdoors, it functions as its skin, like a central nervous system. Like a membrane, if we want to avoid using parallels with human physiology that are too demanding».2 The passage from opaqueness to transparency, or the exchange between these two aspects of architecture (to state it more clearly) has always been the vector that transformed architectural forms of expression in modern times right up until the present. In his essay The return of Flaneur (1929), Walter Benjamin sees the sense of a future characterised by ‘transit spaces’ in the transparency of Giedion, Mendelssohn, and Le Corbusier. «Because the cult of ‘dwelling’ in the old sense, with the idea of security at its core, has now received its death knell. Giedion, Mendelssohn and Le Corbusier are

built by Loos and Le Corbusier. It is no accident that glass is a cold and sober material. Things made of glass have no aura. Glass is an enemy to secret, above all. It is also an enemy to possession». Through glass, Scheerbart’s longed for ‘transparency’ is a carrier of a message aimed at recovering the instinct of the transparency of the same social and human relationships as well as to contrast with that of Giulio Schiavoni in the essay included in Architettura di vetro [Glass Architecture], defining the ‘barracks culture’ of the pre-war years. Therefore, the concept of transparency deserves its true role as transporter from one culture, the tectonic one, and another, that of the monitors. A role that is not linked to a choice of affiliation, that, like all stances, leads to the failure and the end of an idea but rather to a transversal viewpoint on several interpretive fields of a world that is increasingly more aware of the relativity of the creative cultural act. A temporal, strategic relativity: what we think at a certain moment is elusive and relative, a moment before that has already been thought by others. Is there a contrast today between the two terms? Or can being ‘light’ also mean ‘heaviness’? We can certainly go on and on with this question.

value on accommodating his people, his own citizens, in quarters suitable to their social condition: in adjustable and mobile glass houses like the ones

Notes 1 F. Purini, Comporre l’architettura, Laterza, Bari 2000, p. 137. 2 L.

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© Hélène Binet


Trasparenza e leggerezza? di/by

Maria Grazia Eccheli

Transparency and lightness? In faraway 1927, Ernst May took part in a debate of his own request in the magazine he founded, Das neue Frankfurt, regard-

Nel lontano 1927 Ernst May, su Das neue Frankfurt, la rivista da lui ideata, interveniva in un dibattito da lui voluto sulla copertura piana: «…tra i numerosi problemi costruttivi… nessuno ha tanto agitato gli animi quanto il problema tetto piano e tetto a falde. Nonostante che entrambi i tipi di copertura siano stati

ing flat covering: «…among the numerous problems regarding construction… none has agitated souls as much as the problem of the flat roof versus the pitched roof. Notwithstanding the fact that both kinds of covering have been used for thousands of years in every part of the world and the solution of flat covering has even been adopted in countries of Northern Europe during the classical era as well as in the successive one without this choice ever raising public debates…». The most convincing comment is probably that of Adolf Behne: «the pitched roof is attractive when it is attached to the body of the building in a clear and simple manner», as the beauty reflecting the harmony on Medieval life testifies. Usually in the successive periods – according to Behne – the roof detaches from its function and almost turns into an architectural pretext: the exact opposite of the flat roof’s purpose: that is to say the ability to understand how to grasp the significance of one’s own fundamental necessity, re-framing the building as a unitary piece. Now, in the year 2009, And magazine asks me to write some remarks about transparency and opacity, terms that seem to be the emblem of the latest, irresistible formal ‘war’ – after that of the flat roof: a slogan that would like to surrogate the complexity of this architectural condition, in a similar manner to the first one, from the process of construction the problem of significance.

applicati per millenni in tutte le parti del mondo e che la soluzione della copertura piana sia stata adottata anche nei paesi nordeuropei sia nell’epoca classica che in quella successiva, senza che questo avesse mai sollevato pubblici dibattiti…». Il commento più convincente è forse quello di Adolf Behne «il tetto a falde è bello quando si collega al corpo dell’edificio in modo chiaro e semplice», come testimonia la bellezza che riflette l’armonia della vita medioevale. Solamente in epoche successive – secondo Behne – il tetto si stacca dalla sua funzione e diviene quasi un pretesto architettonico: esattamente il contrario dell’intenzionalità del tetto piano, vale a dire la capacità di saper cogliere il significato della propria necessità originaria ricomponendo nuovamente l’edificio come fatto unitario. Oggi 2009, la rivista And mi chiede una riflessione su trasparenza e opacità, termini che sembrano l’emblema di un’ultima ed irresistibile ‘guerra’ formale – dopo quella del tetto piatto: uno slogan che vorrebbe, analogamente al primo, surrogare l’intera complessità del fatto architettonico (dal fatto costruttivo al problema del significato). ‘Trasparenza, leggerezza…’: ma si tratta davvero di una questione propria dell’architettura? L’idea di architettura non corrisponde forse ad un problema di adeguatezza e di verità della costruzione a fronte di un luogo o di un programma? Di fronte a tali problemi ‘trasparenza e leggerezza…’ divengono solamente mezzi formali, tra gli altri, per declinare l’adeguatezza dell’architettura rispetto ai suoi compiti per così dire istituzionali, perdendo quindi quel carattere ideologico e dirimente che sembra loro affidato dal dibattito attuale, ultima incarnazione di un proteiforme zeitgeist. L’architettura è luce e ombra, trasparenza e opacità e solo la verità delle sue forme rende un edificio unico. Non proviamo forse un senso di leggerezza dentro lo spazio ipostilo della moschea di Cordova mascherata alla città da un muto e interminabile muro? Ma tale sovrana indifferenza dell’architettura, oltre che nella diacronia è ravvisabile anche nell’esperienza di un singolo artista. Peter Zumthor, ad esempio, sembra volta in volta reinventare la ‘scorza’ delle sue architetture. A Sumvitg, inseguendo la leggerezza delle strutture in legno, trasformando le pareti della Cappella di San Benedetto in un’araldica successione di esili sostegni delle nervature a foglia della copertura, smaterializzandole vieppiù nella luce celeste di un leggero stacco inserito tra l’involucro in legno e la copertura. Nel progetto per i Bagni Termali a Vals, non proponendosi immagini mentali da adattare al compito assegnatogli ma rispondendo a questioni fondamentali non affatto immaginarie come il luogo, il compito e i materiali (montagna,

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© Roland Halbe

Mies van der Rohe, Neue Nationalgalerie, Berlino in apertura/opening page Peter Zumthor, Kunsthouse, Bregenz

‘Transparency, lightness…’: but does this really deal with an architectural issue? Doesn’t the concept of architecture correspond to the problem of suitability

that are not imaginary at all such as the place, the assignment and the materials (mountain, water and stone), he advances into the bowels of the mountain,

ture of his time» leads him to identify form and structure: the liberation of the wall from its bearing function brings about the possibility to ‘open’ up towards

and truth of construction in view of a place or a programme? In view of such problems ‘transparency and lightness…’ become simply formal means, among others, to weaken architecture’s pertinence when compared to its so-called institutional roles, losing the ideological and illustrative features that seem to be entrusted to them by the current debate, the latest incarnation of a protean zeitgeist. Architecture is light and shadow, transparency and opaqueness. Only the truth of its forms makes a building unique. Do we not perhaps get a sense of levity inside the hypostyle hall of the Great Mosque of Cordova camouflaged in the city by a silent and interminable wall? But such regal indifference of the architecture, aside from that of diachrony, is also visible in the experience of the single artist. For example, Peter Zumthor seems to re-invent the ‘crust’ of his architecture time after time. In Sumvitg, the lightness of the wood buildings was used as a model, transforming the walls of the Saint Benedict Chapel into a heraldic series of slender supports of its covering’s leaf veining, dematerializing them more and more into the celestial light of a slight detachment inserted between the wooden enclosure and the covering. In the project for the Thermal Baths at Vals, by not proposing mental images to adapt to the assignment but answering to fundamental issues

composing (by using what can be defined as artificial geological layers) a sort of abandoned stone quarry with a structural norm that seems to be entrusted to the sole logic of the excavation. However, I think it would be sensible to reassess some ridiculous equivalents: for example, the one that identifies transparency and lightness with the concept of modernity; as if its opposite, the idea of opaqueness (of buildings in general) should be a concept from the past (if not from ancient times). This is an essential analysis for the understanding of Mies van der Rohe’s work: if his architectural creations seem to respond in toto to both themes of levity and transparency, they are also the result of a lengthy pursuit towards a form that finds its own origin and ends in the relationships between inner and outer space – with nature and the landscape. What other sense can be made out of the renowned collages in which only works of art – Picasso’s Guernica or enigmatic statues – are capable of inhabiting impalpable spaces that are framed by an almost invisible architecture, reduced to minimal fragments in a backdrop of infinite landscapes. A relentless research that even crosses fields that are dialectically opposed (see buildings analysed contemporaneously in iron/glass and in cement/brick); a research aimed at transforming technical shapes into architectural shapes of unexpected structural clarity. The tension with which Mies pursues «the architec-

the external envelope of the building at any point. It is in this manner that pillars follow a rule that turns out to be independent from closure subsets that (whether they are in glass or brick) are practically reduced to being a contingent way to use a structure that transcends them and is almost independent of them. The results are surprising effects: volumes seem to be freed of all their weight and acquire an aerial levity. The National Galerie is paradigmatic. Within the orderly arrangement of cross-shaped pillars, like those of temple, the (real) exhibit gallery rises upon the powerful base along with the glass bordering the square-shaped hall used for temporary exhibits that tends to disappear in order to reveal Mies’ original intuition: the structure’s beauty is superior to that of any finished building. Usually in the designs of his first skyscrapers, glass acquires a discriminatory value of shape: if in the polygonal plan version glass is not considered as a simple, inert covering but as an element rich in shadows and reflections caused by linear and multifaceted surfaces that intercept the light; in the second version featuring a plan with convex elements, the curvature is regulated on the play of reflections on the glass surface, revealing grooves like those in a gigantic column: «my thoughts guide my hand and my hand shows if the thought is correct». Mies’ lesson seems explicit in the work of Alberto Campo Baeza. From the Spanu House to the Blas


© Javier Callejas Alberto Campo Baeza, Casa Olnick Spanu, New York

House, the theme of lightness existing in the presence of and in view of gravity appears like the result of the declension of ancient questions: type, nature,

acqua e pietra), s’inoltra nelle viscere della montagna, componendo, mediante una sorta di artificiali strati geologici, una sorta di cava di pietra abbandonata la cui norma strutturale sembra essere affidata alla sola logica dello scavo.

space, size, light and matter are voices suspended within the shapes dictated by the location. Powerful bases, in which the most intimate part of family life is developed, hold up diaphanous glass rooms that host everyday household life in a total immersion of the beauty of the landscape; when such beauty is darkened or difficult to perceive, Baeza re-constructs it with the fragrance of lemon trees, pools of water sheltered by silent walls in lime: like ancient patios, like in the Roman villas ‘recovered’ by Mies with his amazing court houses. Two buildings by Peter Zumthor and Rafael Moneo created in the same year develop the identical theme of luminous shapes: when they filter the glacial light of day present in their interior, then the night is transformed into solidified light. In the Kunsthaus at Bregenz, three long structural walls with an arrangement recalling the iconography of Mondrian’s works are disposed by Zumthor in such a way as to separate the inner space from the public’s course. The building entrusts the role of welcoming the work of art to a second, opaque area. A final double-boundary in acidated glass converts the entire building into a pure parallelepiped of light along the shores of Lake Constance. Also on the water, but this time on the shore of stormy ocean waves, Moneo designs abstract bastions out of translucent material instead of stone. A light that is almost suspended during the daytime defines the wide

Credo comunque sia responsabile rivedere ridicole equivalenze: quella ad esempio che identifica trasparenza e leggerezza con l’idea di contemporaneità; come, all’opposto, l’idea di opacità (cioè di murario in genere) con un atteggiamento rivolto, se non all’antico, certo al passato. Una lettura indispensabile per accedere all’opera di Mies van der Rohe: se al tema della leggerezza e della trasparenza sembrano rispondere in toto le sue architetture, esse sono anche il risultato di un lungo percorso verso una forma che ha nelle relazioni tra spazio interno e spazio esterno – con la natura e con il paesaggio – la propria origine e il proprio fine. Quale altrimenti il ‘senso’ dei notissimi collages nei quali solamente opere d’arte – Guernica di Picasso o enigmatiche statue – sanno abitare impalpabili spazi che, sul fondo di paesaggi infiniti, sono inquadrati da un’architettura quasi invisibile, ridotta a minimali frammenti? Una ricerca ostinata che attraversa anche campi dialetticamente opposti (vedi edifici analizzati contemporaneamente in ferro/vetro e in cemento/muratura); una ricerca tesa a trasformare forme tecniche in forme architettoniche di inaspettata chiarezza strutturale. La tensione con cui Mies insegue ‘l’architettura del proprio tempo’ lo porta ad identificare forma e struttura: la liberazione della parete dalla sua funzione portante apre alla possibilità di ‘aprire’ verso l’esterno l’involucro dell’edificio in qualsivoglia punto. è così che i pilastri seguono una norma che risulta indipendente dai sottoinsiemi di chiusura che, siano essi in vetro o in muro, sono ormai ridotti quasi a contingente modo d’utilizzare una struttura che li trascende e che ne è quasi indipendente. Ne risultano effetti sorprendenti: i volumi sembrano liberarsi di tutto il loro peso ed acquistare un’aerea leggerezza. Paradigmatica è la Neue Nationalgalerie. Dentro l’ordinato disporsi dei pilastri cruciformi che, come quelli di un tempio, s’innalzano sul forte basamento che contiene la (vera) galleria d’esposizione, il vetro che perìmetra la sala quadrata destinata a esposizioni temporanee tende a scomparire, rivelando così l’intuizione originaria di Mies di una bellezza della struttura come superiore a quella di ogni edificio finito. Solamente nel progetto dei suoi primi grattacieli, il vetro acquista un valore discriminatorio della forma: se nella versione a pianta poligonale il vetro non è considerato un semplice rivestimento inerte ma un elemento ricco di ombre e riflessi provocati dalle superfici lineari e sfaccettate che intercettano la luce; nella seconda versione, con pianta ad elementi convessi, la curvatura è regolata sul gioco di riflessi della superficie in vetro, e svela scanalature come di una gigantesca colonna: «i miei pensieri guidano la mia mano e la mia mano dimostra se il pensiero è giusto». La lezione di Mies sembra esplicita nel lavoro di Alberto Campo Baeza. Dalla casa Spanu alla casa de

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© Joe Vare


© Federico Negro Sanaa, Museo d’Arte Moderna, New York accanto/side: Sanaa, Padiglione alla Serpentine Gallery, Londra

ramps, rest areas and routes strategically positioned between the light external enclosure and the powerful internal enclosure of wooden boxes. On an immense

Blas, il tema di una leggerezza che vive in presenza e a fronte della gravità appare come il risultato della declinazione di antiche questioni: tipo, natura, spazio, misura, luce e materia sono voci sospese dentro le forme dettate dal luogo. Forti basamenti, in cui si rapprende la parte più intima della vita familiare, reggono

rocky podium, at night, two luminous prisms restore the entire life of theatres they contain to the city. Sejima’s is a pursuit that reaches the edge of abstraction, towards an architecture that seems to almost stretch towards nothing but thin air – in the same way as Malevich’s widely known White on White, painted in two shades of white that are barely perceptible. Rarified spaces inhabited by slender steel pillars like in a forest covered in snow filmed by Waida and the ‘empty wall’ as Kandinsky ironically called it «bidimensional, perfect, level and well-proportioned, but silent, sublime and self-sufficient»: the empty wall that became an architectural element for MM protagonists. Sejima works within space by declining nature suspended between Mies’ pursuit and oriental tradition. Slabs that were hollowed out in order to contain nature made of light and sky, secret oases, skillful arrangements of essences entrust the colours of the seasons to impalpable spaces. Curtains like rice paper to conceal impossible (for westerners) domestic rooms. In order to recover zenith lights and hanging gardens (as well as to astound), the Sanaa group shook up the seven superimposed boxes that make up Manhattan’s Museum of Modern Art by sliding them around. The white glass concealed by grey iron net, not opaque and not transparent, appears like a sculpted lighthouse that stands out in a disorderly place.

diafane stanze di vetro che ospitano la vita quotidiana della casa in una totale immersione nella bellezza del paesaggio; allorché tale bellezza sia oscura o difficile, Baeza la ri-costruisce con fragranze di limoni, con vasche d’acqua al riparo di silenziosi muri di calce: come negli antichi patii, come nella casa romana, ‘ritrovata’ da Mies con le sue sorprendenti case a corte. Due edifici di Peter Zumthor e di Rafael Moneo, pensati nello stesso anno, sviluppano l’identico tema di volumi luminosi che, se filtrano le algide luci del giorno al loro interno, si trasformano la notte in luce solidificata. Nella Kunsthaus di Bregenz, tre lunghi muri strutturali, con una disposizione che richiama l’iconografia delle opere di Mondrian, sono disposti da Zumthor a separare gli spazi interni dai percorsi del pubblico. L’edificio demanda ad un secondo perimetro opaco il compito di accogliere l’opera d’arte. Un ultimo doppio perimetro in vetro acidato trasforma l’intero edificio in un puro parallelepipedo di luce sulle rive del lago di Costanza. Sempre sull’acqua, ma in riva alle burrascose onde dell’oceano, Moneo disegna astratti bastioni non più di pietra ma di materiale traslucido. Una luce diurna come sospesa caratterizza le ampie rampe, soste e percorsi, strategicamente collocati tra il leggero involucro esterno e quello interno, possente, delle scatole di legno. Su uno smisurato podio roccioso, due prismi luminosi, alla notte, restituiscono alla città l’intera vita dei teatri che contengono. Una ricerca al limite dell’astrazione quella di Sejima, verso un’architettura che – al pari del famoso ‘quadrato bianco su fondo bianco’ di Malevich, dipinto in due toni di bianco appena percepibili, – sembra tendere al quasi nulla. Spazi rarefatti abitati da sottili pilastri di acciaio, come in un bosco innevato di Waida, e da «la parete vuota», come la chiamava ironicamente Kandinsky, «bidimensionale, perfetta, piana e ben proporzionata, ma silenziosa, sublime e autosufficiente»: quella parete vuota che divenne per i protagonisti del MM elemento architettonico. Sejima lavora dentro lo spazio declinando una natura sospesa tra ricerca Miesiana e tradizione orientale. Piastre scavate a contenere la natura fatta di luce e cielo, segrete oasi, sapienti disposizioni di essenze, demandano il colore delle stagioni a impalpabili spazi. Tende come carta di riso a velare impossibili, per l’occidente, stanze domestiche. Per ritrovare luci zenitali e pensili giardini, ma anche per sorprendere, il gruppo Sanaa sommuove, slittandole, le sette scatole sovrapposte che compongono il Museo d’Arte Moderna a Manhattan. Il bianco vetro schermato da grigie reti stirate, non opaco non trasparente, appare come uno scultoreo faro che si staglia nel disordinato luogo.

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Quasi architettura Jean Nouvel, Sala concerti a Copenhagen

testo di/text by

Paolo Di Nardo

foto di/photos by Philippe Ruault Almost architecture A blue volume; a cube; or almost. In Jean Nouvel’s case it makes no difference since his stylistic expression is a-geometric,

Un volume blu; un cubo; o quasi. Nel caso di Jean Nouvel non ha importanza poiché la sua poetica è a-geometrica, essenzialmente emotiva. Ciò che conta è la labilità della percezione, l’evanescenza del confine. L’abilità del maestro francese risiede nella capacità di generare identità attraverso elementi di

essentially emotional. What really counts is the perception’s openness to change, the elusiveness of a boundary. The French master’s command of his art lies in his ability to generate identities through transitional elements. Such a frame of mind is particularly important in this area of Copenhagen – Ørestad – where the flat and neutral surroundings are destined to a radical urban transformation, where the transferral of all Danmarks Radio buildings is interpreted as an opportunity to find a catalyzing element for urban capital and qualities. The new DR Concert Hall in Copenhagen, home to the Danish National Symphony Orchestra, was inaugurated a few months ago after six years of work and 300 million Euro in expenses. It is the most recent manifestation of a singular quest, a constantly changing idiom, a manipulator of concepts and images, a relentless pursuit of ‘hyper-specificity’ and dematerializations. The New York Times has defined it a «resilient emotional sanctuary: a little corner of utopia in a world where walls are collapsing». The enthusiasm and anticipation provoked by each of Nouvel’s projects are cloaked in his poetic uncertainty. Under the morning sky, the building is presented as an impenetrable cobalt monolith. It gradually loses its solidity to become an ethereal shape wrapped in blue, a parallelepiped mantled in mystery, until its complete metamorphosis into

transizione. Questo atteggiamento è particolarmente importante in quest’area di Copenhagen – Ørestad – dove un intorno piatto e neutro è avviato ad una radicale trasformazione urbanistica e il trasferimento di tutte le strutture della Denmarks Radio è visto come l’occasione per trovare un elemento catalizzatore di capitali e qualità urbana. La nuova DR Concert Hall di Copenhagen, sede della Danish National Symphony Orchestra, è stata inaugurata da alcuni mesi al termine di lavori durati sei anni per un costo di oltre 300 milioni di euro. È la più recente manifestazione di una ricerca singolare, di un linguaggio in costante mutazione, manipolatore di concetti e di immagini, sempre alla ricerca di ‘iper-specificità’ e di smaterializzazioni. Il New York Times l’ha definito un «santuario emozionante, un piccolo angolo di utopia in un mondo in cui i muri stanno crollando». L’entusiasmo e l’attesa suscitate da ogni progetto di Nouvel sono racchiuse nella sua poetica dell’incertezza. Sotto la luce del mattino l’edificio si presenta come un impenetrabile monolite di cobalto. Progressivamente perde corposità per diventare un volume vaporoso velato di blu, un parallelepipedo ammantato di mistero, fino alla completa metamorfosi in un effimero gioco di proiezioni, luci e colori che durante la notte raccontano la vitalità dell’interno. «La prima idea alla base dell’edificio – spiega l’architetto francese – è stata quella di uno schermo blu, una sorta di lanterna magica. La seconda è stata di suscitare la domanda: cos’è questo edificio?». Quando il sole è basso, si possono intravedere i profili frastagliati dei volumi e i vari gradi di trasparenza delle superfici racchiuse dalla pelle microforata. L’energia dell’architettura è intrappolata in questo spazio intermedio e nell’effetto straniante che esso produce. Il resto del progetto è descritto nella relazione tra semplicità e complessità. L’interno è infatti un universo indipendente: 25.000 mq si dispiegano in un dedalo di corridoi e sale coloratissime disposte su sette livelli attorno ad un foyer centrale. Qui l’architettura si qualifica attraverso specifici dettagli, spazi e materiali: le pareti del foyer, ad esempio, sono realizzate in cemento alternato in gettata con strati di materiale plastico, da cui risultano particolari ripiegature; la sala concerti principale (Studio1, 1.800 posti) sembra intagliata nel legno; lo Studio 2 (Orchestral Hall, 550 posti) è caratterizzato da grandi pannelli di compensato sui quali sono stampati 38 ritratti di famosi solisti e compositori; lo Studio 3 (Rhythmic Studio, 350 posti) è racchiuso in pareti nere, alternate da pannelli lucidi chiari, e pavimento color quercia. Il rosso è invece il colore dominante dello Studio 4 (Choral Hall, 350 posti) che presenta pannelli orientabili – su modello dell’IRCAM parigino – per la massima flessibilità d’utilizzo. La consueta visionaria sfrontatezza di Nouvel riesce a catturare lo stato dell’arte in un’unica proposizione, per usare le parole del NY Times: «i muri stanno crollando».

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prospetto sud/south elevation

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nome progetto/project name Centro specializzato in diagnostica e trattamento CEDT Daimiel/Specialized centre in diagnostics and treatments CEDT Daimiel progetto/project design Ateliers Jean Nouvel consiglieri di Jean Nouvel/advisers to Jean Nouvel Olivier Boissière, Hubert Tonka partner/partner in charge Stefan Zopp (studi preliminari/preliminary studies, realizzazione/ consruction) capi progetto/heads of project Frédérique Monjanel (concorso/competition); Brigitte Métra (APS) progetto illuminotecnico/lighting designer Yann Kersalé dipinti/artistic paint work Alain Bony e/and Henri Labiole architetti/architects realizzazione/construction Michel Calzada, Lotte Adolph, Mitzi Vestergaard, Mette Lyng Hansen, Jolanta Maria Skowronska, Daniel Cajzer, Michal Treder, Mireia Sala Fonte, Charlotte Kihm-Moyer, Abel Patacho, Erich Gerlach, Anna Devigili, Sarah Hearne, Anke Ropertz, Ludovica Barassi, Elena Rojas Danielsen, Sofie Falkentorp, Lorenzo Parrot, Pil Thielst, Michael Giger, Sabine Furger studi preliminari/preliminary studies Eric Nespoulous, Abdel Hafid Rakem, Olivier Davenier, Mathieu Forest, Marta Grzadziel, Pierre Truong, Claude Godefroy, Cyril Desroche, Toshihiro Kubota, Mette Lyng Hansen, Sophie Gramatica, Lotte Adolph, Charles Bessard, Dan Dorell, Michel Calzada, Mitzi Vestergaard, Gilles Charrier concorso/competition Olivier Davenier, Antoine Bordenave, Alexandre Dumoulin, Mathieu Forest, Marta Grzadziel, Toshihiro Kubota, Philippe Papy, Mitzi Vestergaard. Mickael Zeichardt grafici/graphic designers Natalie Saccu de Franchi, Marie Maillard, Eugénie Robert progetto interni (ristorante, mobili foyer, sedute sale concerto)/interior design (restaurant, furniture foyer, seat concert hall) Jean Nouvel Design –

Sabrina Letourneur, Eric Nespoulous, Arnaud Lapierre, Jeremy Lebarillec, Bertrand Voiron, Jennifer Kandel strutture/structures Terrell International S.A.S., Niras climatizzazione/air conditioning engineering Flack + Kurtz (UK) Ltd., Terrell International S.A.S, Niras consulenti/consultants acustica/acoustics: NAGATA Acoustics INC (Yasuhisa Toyota, Motoo Komoda); scenografia/scenography: Jacques Le Marquet, Ducks (Michel Cova); segnaletica interna/interior signage: L’Autobus Impérial, Paris; HQE/HEQ: Pierre Lefèvre; economia/economy: Davis London Economie, Niras; ingegnere civile/civil engineer: Niras architetto locale/local architect Niels Fuglsang A/S committente/client DR – Denmarks Radio luogo/place Copenhagen, Danimarca data progetto (concorso)/design date (competition) gennaio/January 2002 studi preliminari/preliminary studies aprile/April 2004 realizzazione/construction 2003-2009 superficie costruita/built area 25.000 mq/sqm www.jeannouvel.com

in apertura: foyer e ristorante opening page: foyer and restaurant

an ephemeral play of projections, lights and colours that narrate the vitality of its interior at night . The French architect explains: «The initial idea at the base of the building was that of a blue screen, a type of magic lantern. The second was that of arousing the question: what is this building?». When the sun is low, one can catch a glimpse of the jagged outlines of its shapes and various degrees of transparency of the surfaces enclosed by the micro-drilled outer layer. The energy of the architecture is trapped in the intermediate space and in the distancing effect it produces. The interior is an independent universe: 25,000 square metres that unfold in a maze of coloured corridors and halls arranged on seven levels around a central foyer: for example, the foyer floors are out of cement alternating with layers of plastic material from which a particular foldage result; the main concert hall (Studio 1, 1,800 seats) looks as if it has been carved in wood; Studio 2 (Orchestral Hall, 550 seats) features large plywood panels onto which 38 portraits of famous soloists and composers have been printed; Studio 3 (Rhythmic Studio , 350 seats) is enclosed in black walls that alternate with shiny, light panels and oak-coloured floors. Red is the dominant colour in Studio 4 (Choral Hall, 350 seats) that presents adjustable panels – along the model of IRCAM in Paris – for the maximum use flexibility. Nouvel’s habitual boldness is able to capture the state of the arts in a unique proposal, to use the words of the New York Times: «the walls are collapsing».


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pianta livello 0: +2,90 m level 0 plan: +2,90 m

vista del foyer/view of the foyer

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pianta livello 3: +17,90/18,25/20,40 m level 3 plan: +17,90/18,25/20,40 m

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sezione aa/section aa

sezione bb/section bb

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sopra: vista della sala concerti (Studio 1) above: view of the concert hall (Studio 1) pagina seguente: vista della sala del coro (Studio 4)/following page: view of the choral hall (Studio 4)

pianta livello 6: +28,85/29,85 m level 6 plan: +28,85/29,85 m

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© Marco Giorgi

Trame sensibili Stefano Boeri, Riqualificazione ex Arsenale a La Maddalena

vista verso il mare e particolare della facciata ricoperta da una maglia forata di esagoni view towards the see and detail of the façade covered with a perforated frame made of hexagons

testo di/text by

Azzurra Macrì

foto di/photos by Paolo Rosselli

Sensitive patterns The Archipelago of the La Maddalena is without doubt one of the most stunning places in Italy. Here, on the Island of the La Madd-

L’Arcipelago de La Maddalena è senza dubbio fra i posti più suggestivi d’Italia. Qui, proprio sull’Isola de La Maddalena, lo studio di Stefano Boeri ha realizzato, in vista del G8, poi spostato a L’Aquila, un progetto di ampio respiro che ha previsto la riqualificazione ed il recupero dell’ex Arsenale Militare.

alena itself, Stefano Boeri’s studio has created, in view of the G8 which has since then moved to Aquila, an ambitious project aimed at redefining and rescuing the ex-Military Arsenal there. The work is made up of new buildings and conversions. There is the conference centre, the nautical centre and prestigious school (situated in the area covered by the granite arcades that used to house the military car park), the sports centre (obtained in part from under the arches themselves, partly in the old magazines and storehouses), the hotel and the tourist harbour. The whole rests upon an area of 155,000 square metres, and has nowadays become one of the main nautical complexes in the Mediterranean. In other words, a real ‘city within a city’, as underlined by the planning team, worked on by a good 1,600 people, workmen, technicians and planners. A visit to the Island of the La Maddalena is like entering the weaving of a spell of emotion beyond comparison. The arrival point of intelligent and informed tourists, the island grabs the visitor’s attention and ravishes the senses. In this context, the Boeri group has not only stuck to the project deadlines (eighteen months), but, rather more importantly, has interacted most eloquently with one of the most precious pearls of the Mediterranean, not for nothing designated as a National Park. The conference centre, without doubt the most representa-

L’opera si compone di nuove costruzioni e di riconversioni: il palazzo delle conferenze, il polo nautico e la scuola di eccellenza (situati nell’area coperta dai portici in granito che precedentemente ospitava il parco auto militare) il centro sportivo (ricavato in parte sotto le stesse arcate, in parte nei vecchi magazzini), l’hotel, il porto turistico. Il tutto su un’area di 155.000 metri quadrati, che è diventata oggi uno dei principali complessi nautici del Mediterraneo. In altre parole, una vera e propria «città nella città», come è stato sottolineato dal team dei progettisti, per la realizzazione della quale hanno lavorato in ben 1.600 fra operai, tecnici e progettisti. Visitare l’Isola de La Maddalena significa essere protagonista di una magia, di un incanto, di un’emozione senza pari. Meta di un turismo intelligente, l’isola spiazza e rapisce gli animi sensibili. In questo contesto, l’abilità del gruppo Boeri non è stata solo quella di rispettare i tempi di realizzazione (diciotto mesi), quanto, e soprattutto, quella di dialogare con estremo garbo e sensibilità con una delle perle più preziose del Mediterraneo, non a caso Parco Nazionale. Il palazzo delle conferenze, certamente il corpo più rappresentativo del complesso, ne è la prova concreta. L’edificio si propone al mare con determinazione e slancio sicuro, cerca il dialogo con le sue acque cristalline, si protende per poterle idealmente incontrare. Qui, la prima volontà di interazione con il paesaggio. Un parallelepipedo di vetro, agganciato ad un basamento di basalto, si proietta a sbalzo sul mare. Quasi completamente ricoperta di una maglia forata, costituita da una sequenza di esagoni che si sovrappongono in parte fino a formare delle figure romboidali, simile ad una trina di certa tradizione sarda, l’architettura si spinge a sbalzo sul mare per sei metri, offrendo ad esso una parete interamente a vetri. Uno schermo, trasparente come il mare, attraverso il quale è possibile ammirare la costa frastagliata della Gallura. Qui, ancora, l’intenzione di stabilire un dialogo fra il mare e l’architettura. Il rapporto fra di essi si fa osmotico: il mare ‘chiama’ l’architettura che, rapita, si protende, ferma e allo stesso tempo dinamica, verso di esso. Il mare, elemento naturale, invade visivamente l’architettura, spazio costruito, la quale a sua volta diventa cannocchiale visivo verso le bellezze naturalistiche, verso i tipici costoni granitici della zona. Sugli altri lati, dove la trama di esagoni si sovrappone alle superfici vetrate, il rapporto visivo con il paesaggio si fa più articolato, lasciando al visitatore la possibilità di inquadrare determinati scorci di costa piuttosto che altri, come in una sequenza di cornici che accostate correttamente producono allo stesso tempo sia una visione di insieme, sia una visione per parti. Con una superficie di circa 2.000 metri quadrati, l’edificio ospita, oltre a spazi flessibili per eventi

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nome progetto/project name Ex Arsenale Maddalena progetto/project design Stefano Boeri con/with Michele Brunello (project coordination); Davor Popovic (project leader main conference and delegate area); Barbara Cadeddu (project leader interventions extra arsenale); 2+1 Officina Architettura (responsible architect definitve project arsenale residence); Vincenzo Vella (responsible architect executive project arsenale residence); Liverani/Molteni architets (responsible architect catering building); Marco Brega (director studio Stefano Boeri) e/and Javier Deferrari (main conference, delegate area); Andrea Grippo (masterplan and external areas, delegate area) e con/and with Eugenio Feresin (arsenale residence) Marco Tradori (arsenale residence) Costantina Verzì (outdoor areas) Marco Dessì (external areas)

Marco Giorgio (main conference) Daniele Barillari (main conference, delegate area) Mario Bastianelli (main conference) Maurizio Burragato (delegate area) Andrea Barbierato (delegate area) con il contributo di/with the contribution of Alessandro Agosti, Lorenza Baroncelli, Stefano Baseggio, Kristina Drapic, Moataz Faissal Farid, Stefano Onnis, Edoardo Boi, Alessandro Gioffrè, Inge Lengwenus, Piergiorgio Loi, Corrado Longa, Yari Marongiu, Fabrizio Piras, Sebastian Russi, Vittorio Secci, Walter Dejana appaltatore principale/main contractor Anemone Costruzioni s.r.l. strutture/structures Italingegneria impainti/MEP engineering Enetec s.r.l. consulenti/consultants arredamenti e aree esterne/furnishing and outdoor

areas: Maddalena De Ferrari e Andrea Balestrero A12 paesaggio/landscape: Emanuela Borio e Laura Gatti consulenti tecnici/technical consultants: Favero&Milan illuminotecnica/lighting: Ferrara Palladino video/video: Attu Studio visualizzazione area 4/visualization area 4: Stack Studios visualizzazione area 5/visualization area 5: Studio Cast & Ello e/and Gianni Dedola modelli/models: ON&OFF e/and Sebastiano Conti Gallienti atrio e interni della suite presidenziale dell’hotel/hall and presidential suite hotel interior design: Antonio Marras con/with Stefania Beltrame cliente/client Ministero Italiano dell’Interno luogo/place La Maddalena (OT) data progetto/design date 2008 inizio lavori/start 2008


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fine lavori/completion 2009 area totale d’intervento/total area of intervention 155.000 mq/sqm sala conferenze/conference hall 2.230 mq/sqm polo nautico/nautical pole 8.240 mq/sqm hotel/hotel 13.400 mq/sqm sport e centro benessere/sport and wellness center 3.300 mq/sqm aree verdi/green areas 30.000 mq/sqm asfalto/asphalt 23.000 mq/sqm spazi e percorsi pubblici/public spaces and paths 15.300 mq/sqm www.stefanoboeri.net

vista sud-est con lo sbalzo agganciato al basamento di basalto/south-east view with the jetty anchored to the basalt basement


vista sud-ovest: la parete interamente a vetri verso il mare south-west view: the totally glazed faรงade towards the sea

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pianta primo piano/first floor plan

pianta piano terra/ground floor plan

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tive part of the complex, is in itself the concrete proof of this. The edifice presents itself to the sea in a determined and confident manner. Seeking a relationship with the crystal waters, it stretches out to reach them. Here, we see the first desire to interact with the landscape. A rectangular block of glass, attached to a basalt base, sits imposingly upon the sea. Almost completely covered in pierced outer shell, made up of a sequence of hexagons overlaid in part by a form of rhomboid designs, similar to the lace of certain Sardinian traditions, the architecture leaps out onto the sea for six metres, seeming to be a wall made up entirely of glass, a screen, as transparent as the sea, through which the jagged coast of Gallura can be admired. Here, again, the intention to establish a dialogue between the sea and the architecture is clear. The relationship between the two is osmotic: the sea ‘calls’ the architecture, which reaches out to it, still, yet at the same time dynamic. The sea, a natural element, invades the space of the architecture, an artificial volume, which itself becomes a telescope on the natural beauty, towards the characteristically granite coasts of the area. On the other sides, where the design of hexagons is superimposed on the glass surfaces, the visual rapport with the countryside is more articulate, leaving the visitor with the chance to frame certain pieces of coast rather than others, like a sequence of paintings that, when placed together correctly, produce a simultaneous vision of

nautici, un’ampia sala conferenze. Il palazzo costituisce un nuovo landmark per l’Arcipelago de La Maddalena, capace di diventare l’elemento di legame fra la forza della rigogliosa natura sarda ed il rigore delle forme dell’architettura militare. Di notte, quando il palazzo delle conferenze si illumina, si trasforma in un faro nelle tenebre circondato dal suono delle acque del mare. Il polo nautico e la scuola di eccellenza trovano posto fra le originarie arcate in granito, materiale principe e protagonista di gran parte della costa sarda: qui si articolano attività commerciali, espositive, spazi di formazione. L’elemento forte di questa area è caratterizzato da una copertura bianca di 10.000 metri quadrati simile ad una vela che viaggia a dieci metri dal suolo e ospita una teoria di pannelli fotovoltaici per la produzione di energia. Una parte dell’intervento ha trasformato gli ex bunker militari in uno spazio, ampio 4.000 metri quadrati, dedicato ad attività sportive. Nella zona nord dell’ex Arsenale si trova poi l’hotel, dotato di cento camere, la SPA e il centro benessere, la piscina, il ristorante, un’ulteriore sala conferenze per seicento posti a sedere. Il porto turistico, che si estende su 128.000 metri quadrati, dispone di 700 posti barca, di nuove banchine attrezzate, di aree destinate alla manutenzione nautica. L’intero progetto ha puntato fin dai suoi esordi a qualificarsi come sostenibile in senso lato, capace, cioè, di dialogare con il paesaggio non solo da un punto di vista visivo/emotivo, ma anche di interpretare le esigenze concrete di utilizzo del complesso attraverso l’uso di tecnologie attente all’ambiente. Grazie all’impiego di scambiatori di calore che usano l’acqua del mare per la climatizzazione degli edifici, di pannelli solari per la produzione di acqua calda, di ampie superfici fotovoltaiche per la produzione di energia da fonti rinnovabili, il progetto è stato condotto, come spiega il team, con l’obiettivo di definire un modello di sostenibilità mirato a preservare e a tutelare lo straordinario ambiente naturale dell’Arcipelago de La Maddalena. Sostenibilità, materiali trasparenti, coperture simili a vele, tecnologie a basso impatto ambientale: tutto concorre a definire il progetto del gruppo Boeri come sensibile, dotato cioè di una leggerezza intelligente, acuta, perché capace di parlare un linguaggio che è contemporaneo e che, allo stesso tempo, si esprime attraverso toni delicati. Anche quando i nuovi ed agili volumi trasparenti lasciano il posto alle originarie quinte granitiche, il progetto conferma la propria vocazione alla discrezione nel rispetto della storia costruttiva locale. L’intervento intuisce il cuore pulsante del luogo, e lungi dallo smorzarne i battiti, cerca con esso nuovi accordi e formule di sinergia.


in queste pagine: vista nord-est e interno in these pages: north-east view and interior view

the constituent parts, and also at the same time the whole. With a surface area of about 2,000 square metres, the building contains, in addition to flexible

The entire project has been aimed towards being, broadly speaking, viably sustainable, able to interact with the landscape not only from a visual

areas for nautical events, a spacious conference hall. The building forms a new landmark for the Archipelago, becoming the binding element between the strength of the harsh Sardinian landscape and the rigour of the forms of military architecture. At night, when the conference centre is lit up, it is transformed into a lighthouse standing out from the gloom, and surrounded by the sounds of the sea. The nautical centre and school lie amongst the original arches in granite, the main material of a large part of the coast of Sardinia. Here, commercial activities, exhibitions and training sessions are held. The strong point of this area is characterised by a 10,000-square-metre white cover similar to a sail which reaches ten metres from the ground and plays host to a pattern of solar panels for energy production. Another part of the project has transformed the ex-military bunker into a 4,000-squaremetre area dedicated to sporting activities. In the northern area of the ex-Arsenal there is the hotel, with a hundred bedrooms, the spa and the health centre, the swimming pool, the restaurant and a further conference hall seating six hundred. The tourist harbour, extending for 128,000 square metres, provides 700 boat moorings, new fullyequipped quays, and areas dedicated to boat maintenance.

and artistic point of view, but also able to fulfill the practical needs of the complex through the use of environmentally-relevant approaches. Thanks to the use of heat exchangers which use sea water for the buildings’ air-conditioning, solar panels which produce hot water and large areas of panel surfaces to produce energy from renewable sources, the project has been carried out, as the team explains, with the aim of defining a model of sustainability that preserves and cares for the extraordinary natural environment of the Archipelago. Sustainability, transparent materials, sail-like coverings, technology with a low environmental impact: combined together, the Boeri group’s project is clearly sensitive, touched with an acute and intelligent lightness because it is able to communicate in a manner which is contemporary, while at the same time expressed in delicate tones. Even when the new and agile transparent surfaces give way to the original granite backdrops, the project confirms its commitment to discretion in following local building traditions The work here is in touch with the pulsing heart of the place and, far from causing it to beat softer, seeks new relationships and formulas of synergy with it.


sezione aa/section aa

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sezione bb/section bb

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Ibrido lussureggiante HOF, Sede degli uffici tecnici del Comune di Perugia

testo di/text by

Alessandro Melis

foto di/photos by Pietro Savorelli Lush hybrid The redefinition of Palazzo Grossi, previously an educational building built in several stages between 1953 and 1955, to be used nowadays as

La riconfigurazione di Palazzo Grossi, già sede scolastica realizzata a più riprese tra il 1953 e il 1955, da adibire oggi a sede del Centro Servizi Tecnici del Comune di Perugia, si deve allo studio Hof, fondato da Paolo Belardi e Alessio Burini nel 1987. Il risultato mostra, ancora una volta, che il cosiddetto

the site of the Centro Servizi Tecnici for the Comune of Perugia, is due to studio Hof, established by Paolo Belardi and Alessio Burini in 1987. The result shows, once again, that what has been dubbed the ‘Perugia-model’ offers a contemporary and effective answer to the age-old question, to be honest, typically Italian, regarding the setting of contemporary works in urban contexts in which the existing architecture has been ‘historicized’. The dialogue between tradition and innovation is an oxymoron which is only apparent because it is truly from focussing on what already exists that the Perugian duo models its planning strategies, giving up in any case any kind of easy captatio benevolentiae that an approach aimed at camouflaging style would ensure. Respect for the original compositional organisation, in this case in the shape of a courtyard, is not only no kind of restriction, but becomes, for the designers, a resource to invest in terms of environmental quality, positioning and internal distribution, even avoiding any kind of philological reproposition, according to a methodological process that has already been applied, in a more extreme, but equally convincing, version, in the reconstruction of Villa Micheli at Ceccano. In the case of the ex-school building the process of hybridization, radical in its conception as opposed to in its subversive aesthetic value, aims at keeping the existing external installation, so

‘modello-Perugia’ offre una risposta efficace ed attuale all’annosa questione, per la verità tutta italiana, dell’ambientamento di opere contemporanee in contesti urbani già ‘storicizzati’. Il dialogo tra tradizione e innovazione è un ossimoro solo apparente perché è proprio dall’attenzione per l’esistente che il duo perugino modella le proprie strategie progettuali, rinunciando tuttavia a qualsiasi facile captatio benevolentiae che un approccio teso al mimetismo stilistico garantirebbe. Il rispetto dell’assetto compositivo originario, in questo caso a corte, non solo non costituisce un vincolo, ma diventa, per i progettisti, una risorsa su cui investire in termini di qualità ambientale, orientamento e distribuzione interna, pur evitando ogni riproposizione filologica, secondo un processo metodologico già applicato, in una versione più estrema, ma altrettanto convincente, nella ricostruzione di Villa Micheli a Ceccano. Nel caso dell’ex edificio scolastico il processo di ibridazione, radicale nella concezione più che nel valore eversivo dell’estetica, ha lo scopo di mantenere l’impianto esistente all’esterno, al fine di preservarne l’immagine nella memoria collettiva e la funzione di landmark, e, allo stesso tempo, di garantire le necessità di rifunzionalizzazione, performance e bioclimatica. Una volta ridotte le dimensioni interne della corte, si è proceduto ad un ideale ‘incapsulamento’ di un nuovo parallelepipedo vetrato a doppio involucro, addossato alla facciata interna, mentre lo spazio aperto è stato articolato su due livelli sovrapposti per ospitare un ampio atrio di ingresso al pian terreno e un ‘giardino segreto’ pensile al piano superiore. Oltreché diacronico, il processo di contaminazione è sincronico e coinvolge, al di là dell’esistente e del nuovo, generi d’arte diversi con diversi gradi di integrazione. Al coronamento trattato a corten, con ritagli in foggia di uccelli, fa da contrappunto, in basso, una parete semitrasparente, in lastre di vetro decorato con una rielaborazione artistica, ispirata ai caratteri etruschi, di Alfred Hohenegger, che illumina naturalmente la platea magna d’ingresso. Un’installazione, stavolta di Riccardo Blumer, rappresentante le effigia di un grifo rampante, simbolo dell’antica Peroscia, si innesta nella balaustra del giardino di cui costituisce il fuoco. In conclusione l’intervento di studio Hof si pone come sostenibile tout court: gli aspetti di tipo socio-psicologico, gli obblighi normativi e le esigenze tecniche ed economiche si fondono in un concept unitario e low profile in cui il binomio tradizione-innovazione è declinato attribuendo all’edificio caratteri distinti per l’esterno, rispettoso della tradizione, e l’interno, proteso verso il futuro. Una particolare attenzione, infine, è stata rivolta al comfort, attraverso un controllo microclimatico ‘customizzato’ e la presenza di dispositivi passivi tra cui i già citati doppio involucro e il giardino pensile.

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planimetria generale/general plan

nome progetto/project name Sede degli uffici tecnici del Comune di Perugia/Perugia Municipality’s Technical Offices Headquarter progetto/project design HOF – Paolo Belardi, Alessio Burini, Alessio Boco con/with Massimo Boco, Roberto Fioroni strutture/structures Studio Baliani – Roberto Baliani, Sergio Calabrò impianti meccanici e prevenzione incendi/mechanical systems and fire prevention Progter – Marco Sciamanna impianti elettrici e speciali/electrical and special systems Guglielmo Zepparelli studi geologici, idrogeologici e geotecnici/geological, hydrogeological and geotechnical studies Geoter Ambiente – Claudia Ribaldi ricerche storiche e archivistiche/historic and archival researches Scriptorium – Sonia Merli consulenza economico-finanziaria/economic-financial consultant Santucci & Partners – Salvatore Santucci, Marco Malizia studi preliminari per la sicurezza/safety preliminnary studies Aldo Preiti coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione ed esecuzione (Dlgs. 494/96)/safety coordinator in design and executive phases (Dlgs. 494/96) Roberto Baliani sistemazione vegetale del giardino pensile/vegetal layout of the roof garden Aldo Ranfa progetto di fattibilità ambientale/environmental feasibility design Abacus – Maurizio Serafini valutazione impatto acustico e componente vibrazione/ acoustic impact assestment and vibration component Sergio Mugianesi progetto comunicazione visiva/visual communication design Antonio Paoloni elaborazioni infografiche/digital drawing and renderings Raoul Basile, Gina Comodini, Ismaele De Rosa, Davide Germini, Benedetta Papa, Carl Volckerts

accanto e in apertura: vista del cortile interno con l’edificio parassita soft-tech on the right and in the opening page: the internal court with the soft-tech parasitic building

direzione dei lavori/works supervising Roberto Baliani direzione artistica/artistic supervising HOF – Paolo Belardi, Alessio Burini assistenti di cantiere/works assistants Siro Ercolani, Elisa Tapperi RUP/municipal coordinator Piergiorgio Monaldi coordinamento procedure amministrative/ administrative procedures coordinators Laura Cesarini, Antonio De Pascalis assistenza tecnica al RUP/techincal assistance to the municipal coordinator Marco Eugeni commissione di collaudo in corso d’opera/commettee of test in situ Fabio Ricci, Sergio Asfalti, Leonardo Tortoioli concessionario/concessionaire Pascoli Srl appaltatore generale/general contractor Calzoni Spa opere grafiche e artistiche/graphic and art works Grifo Magno (ingresso/entrance): Antonio Paoloni Ombre (atrio/lobby): Paolo Tramontana Signa Volant (galleria/gallery): Alfred Hohenegger G®IFO (giardino pensile/roof garden): Riccardo Blumer ex-Pascoli (scala principale/main stairs): Carl Volckerts Uccelli (altana tecnologica/techological covered roofterrace): Alfred Hohenegger concorso/competition 2003 progetto/design 2004-2006 inizio lavori/start 2007 fine lavori/completion 2009 superficie totale/total area 6.835 mq/sqm (uffici/offices 5.715 mq/sqm; numero posti di lavoro/ works stations number 262; superficie accessoria/ additional area 745 mq/sqm; superficie esterna/ external area 375 mq/sqm) importo lavori/cost 6.103.418 euro www.hof.it

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as to preserve the image in the collective memory and the function of landmark, and, at the same time, to ensure the needs of giving a new function, performance and bioclimatics. Once the internal dimensions of the courtyard had been reduced, there followed an ideal ‘encapsulation’ of a new mass in a double glass shell, dressed to the internal face, while the open space was expressed on two overlapping levels, to hold a large entrance hall on the ground floor and a ‘secret’ hanging garden on the upper floor. As well as occurring over the course of time, the contamination process is also immediate and involves, beyond that which exists and that which is new, different degrees of integration of various artistic genres. The upper part, with trimmings in the form of birds, acts in counterpoint to, at the bottom, a semi-transparent wall, in decorated glass sheets with a reworking of Etruscan characters, by Alfred Hohenegger, which lights up the main stalls of the entrance in a natural manner. An installation, this time by Riccardo Blumer, showing the image of a griffin rampant, symbol of ancient Peroscia, has been inserted into the balustrade of the garden, acting as its focal point. In conclusion, the work by Hof Studio is proposed as, at the end of the day, sustainable. The socio-psychological elements, the legal requirements and the technical and economic needs are based on a single and low profile concept in which the tradition-innovation axis is reduced, so giving the building distinct character on the outside, in line with tradition, whilst within it stretches forth towards the future. Finally, particular attention has been paid to comfort, by way of ‘customized’ control of the microclimate and the presence of passive devices through which the above-mentioned double glass shell and the hanging garden.


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pianta livello -2/-2 level plan

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pianta livello -1/-1 level plan

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pianta livello 0/0 level plan

pianta livello +3/+3 level plan

pianta livello +1/+1 level plan

livello +4/+4 level plan


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in queste pagine: viste del retro e di alcune aree interne/in these pages: view of the back part and of some inner areas

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Eye catching Tabanlioglu Architects, Dogan Media Center a Ankara

testo di/text by

Veronica a Balutto

foto di/photos by Cemal Emden The Dogan Media Centre is the headquarters for the television channels and newspapers that belong to one of the leading groups in Turkey;

Il Dogan Media Centre, è la sede di canali televisivi e di varie testate di uno dei più importanti gruppi leader turchi e si propone come base di interazione tra i marchi del gruppo e risorsa di sicuro effetto. La costruzione si sviluppa in risposta al sito, che, data la forma ortogonale, richiedeva una forma pura.

it serves as a base for interaction between the group’s brands and as a highly effective resource. The building was developed in response to the site, whose right-angle layout called for a pure form. The basic design modules are a 4x4x4-meter cube and a 8x8x8-meter structural module. The faces of the main cube have been remodelled through the extrusion and subtraction of smaller cubes, which erode the underlying linearity of the form. Many ramifications and annexes project from the main volume; each section is devoted to a specific TV channel or periodical. The various units, studios and staff offices, manage to maintain their identity and unique character, while composing a homogeneous cluster that aims for overall unity. The modular structure, made of reinforced concrete, is seven stories high; each floor fits into an even grid, standing four meters high, with every two floors forming a cube. The pattern of staggered levels creates an alternating layout that includes many non-work spaces on the mezzanines. The intermediate floors are held up by a framework of beams and secondary columns made of steel, composing a well-connected structure. Inside the building, sightlines are filtered through different layers: the focal point at which all the angles intersect is the central lobby. Flanking the stairs that lead to the other floors are glass barriers with stainless steel handrails: this creates complete transparency. On

Il modulo progettuale base è un cubo di 4x4x4 metri, combinato con un modulo strutturale di 8x8x8 metri. Le facce del cubo principale sono state rimodellate tramite processo di estrusione e sottrazione di cubi di minori dimensioni che hanno eroso la linearità di base della forma. Dal volume principale spuntano numerose diramazioni e annessioni: ogni elemento è dedicato ad un canale televisivo o ad una testata giornalistica. Le varie unità, studi e uffici di operatori, riescono a mantenere il loro carattere di identità ed esclusività, componendo un agglomerato omogeneo che punta all’unità di insieme. La struttura modulare, costruita in cemento armato, raggiunge i 7 piani di altezza; ogni piano si sviluppa, all’interno di una maglia regolare, su 4 metri di altezza, ogni due piani si forma un cubo. Il gioco di piani sfalsati crea una struttura alternata che individua numerosi spazi extra operativi creati dai mezzanini. I piani intermedi sono supportati da un orditura di travi e colonne secondarie in acciaio a comporre una struttura ben legata. All’interno dell’edificio si percepiscono prospettive filtrate da diversi layers: punto focale di incrocio di tutte le angolazioni è l’atrio centrale. Intorno alle scale, i muri parapetto, realizzati in vetro con guida superiore in acciaio inox, contribuiscono a creare la trasparenza completa. All’ultimo piano si trovano le vip lounge ed una terrazza. I due piani sottostanti ospitano le sale per gli impianti tecnici, sala parrucchieri e make-up e, nel sottosuolo, i parcheggi interrati, nonché una cisterna che permette di irrigare in esterno con acqua di raccolta. Il Dogan si presenta, infatti, come edificio user-friendly, di facile mantenimento. La palette cromatica delle finiture, interne ed esterne, è omogenea: prevalgono toni grigio scuro e ombreggiature sulle nuances dal nero al marrone; il tutto a creare un effetto cromatico ben bilanciato, innovativo ed elegante. Una visibilità ben delineata per questa costruzione: ogni particolare è studiato ad arte per esaltare al massimo la resa architettonica; da ogni angolazione la prospettiva è di alto impatto visivo. Effetto potenziato dalla pelle dell’edificio che rievoca un ordito in rilievo infatti la lamiera traforata richiama simbolicamente l’alfabeto Braille, a sottolineare che la comunicazione, materia principale per la Dogan, è una disciplina che avvicina tutti. I pannelli metallici traforati filtrano la luce solare che entra nell’edificio, creando un pattern di chiaro scuri in continuo movimento. All’esterno completa il paesaggio un parcheggio a L, parallelo all’edificio. Il Dogan, decisamente innovativo, rappresenta un elegante equilibrio tra ricerca formale ed innovazione.

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pianta piano terra/ground floor plan 0

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pianta primo piano/first floor plan


pianta livello uffici/offices floor plan

pianta piano vip/vip floor plan

the top floor are the VIP lounge and an outdoor terrace with a view. The two levels in the base underneath house technical rooms for the plant systems, a salon, and underground, the parking garage, as well as a cistern that collects rain for watering the grounds. The Dogan is a user-friendly, low-maintenance building. A uniform palette is used for the interior and exterior claddings: dark grey tones predominate, with darker nuances ranging from black to brown; this creates a well-balanced, innovative, elegant chromatic effect. The visibility of this building is well-delineated: every detail has been carefully designed to set off the architectural result, which is visually striking from every angle. This effect is made stronger by the outer surface of the building, which evokes a textured weave. Made of perforated sheet metal, it symbolically refers to the Braille alphabet, highlighting the idea that communication – Dogan’s raw material – is a field that brings everyone closer together. Perforated metal panels filter the sunlight that comes into the building, to create a constantly shifting pattern of light and shadow. Outside, an Lshaped parking lot parallel to the building rounds out the landscape. A truly innovative project, the Dogan headquarters is an elegant balance of experimental form and innovation.

nome progetto/project name DMA – Dogan Media Center progetto/project design Tabanlioglu Mimarlik – Melkan Gürsel & Murat Tabanlioglu gruppo di progetto/project team Murat Cengiz, Çagri Akay, Ozan Öztepe, Ali Eray interni/interior design Tabanlioglu Architects facciata/façade Emmer Pfenninger Partner AG progetto illuminazione/architectural lighting Studio Dinnebier committente/client Ortadogu Otomotiv ve Tic.A.S luogo/place Ankara, Turchia data progetto/design date 2006 inizio lavori/start 2007 fine lavori/completion 2008 superficie costruita/built area 4.299 mq/sqm superficie lotto/site area 11.475 mq/sqm www.tabanlioglu.com.tr

vista generale/general view pagine seguenti: dettaglio della facciata composta da pannelli metallici traforati following pages: detail of the façade made of perforated metal panels

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dettaglio/detail

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vista dal basso verso il soffitto view form below towards the ceiling pagina seguente: interno, vista dell’atrio following page: interior, view of the lobby


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Doppio MAC Assadi Pulido, Padiglione per la XVI Biennale cilena di architettura

testo di/text by

Guido Incerti

foto di/photos by Felipe Assadi, Nicolás Saieh For the 16th Architecture Biennial in Santiago, Chile, held in 2008, architects Felipe Assadi and Francisca Pulido were engaged to design a tempo-

Nell’ambito della XVI Biennale di Architettura di Santiago del Cile, tenutasi nel 2008, gli architetti Felipe Assadi e Francisca Pulido ricevettero l’incarico per il progetto di un padiglione espositivo temporaneo, che potesse ampliare l’insufficiente superficie a disposizione entro il Museo d’Arte Contem-

rary exhibition pavilion to expand the inadequate space that was available in the Chilean capital’s Museo de Arte Contemporáneo. Located across from the museum in the city’s main park, Parque Forestal, the pavilion designed by Assadi and Pulido is a unique paradigm of the «relationship between transparency and opacity, accessibility and inaccessibility, scrutability and inscrutability».1 That’s because this small pavilion has laid bare the logic behind a kind of architecture – the experimental architecture found at biennials – that is often cryptic to most people, hidden away within the spaces of museums and galleries, invisible from the outside, or better yet, in old, isolated infrastructures that are hard to reach. The same thing probably would have happened with the Chilean Biennial as well, had it been held only within the MAC. But the need to expand the area available for the event made this project necessary. The design conceived by the Chilean architects thus managed to ‘transfer’ the proportions of what would have been the main exhibit hall to the outside, turning space into architectural material, a temporary, attention-grabbing, landmark space that can be passed through and enjoyed by everyone. Its aim was to render visible and transparent not the building itself, but what the building was

poranea della capitale cilena. Posizionato di fronte allo stesso Museo, nel Parco Forestale della città, il padiglione ha avuto la peculiarità di essere un paradigma nel «rapporto fra trasparenza e opacità, fra accessibilità e inaccessibilità, fra perscrutabilità e imperscrutabilità».1 Questo piccolo padiglione infatti ha portato allo scoperto le ragioni di un’architettura, quella della ricerca e delle biennali, che spesso risulta criptica ai più, si nasconde entro gli spazi, invisibili dall’esterno, dei musei e delle gallerie o meglio ancora in quelli ben isolati, di vecchie infrastrutture difficilmente raggiungibili. Forse la stessa cosa si sarebbe verificata anche per la Biennale cilena, se questa si fosse tenuta esclusivamente all’interno degli spazi del MAC. Ma la necessità dell’ampliamento delle superfici necessarie alla manifestazione, ha reso necessario il progetto. L’edificio immaginato dagli architetti cileni poté così ‘traslare’ all’esterno, all’aperto, la volumetria di quella che sarebbe stata la sala principale dell’esibizione, trasformando di fatto lo spazio in materia architettonica, landmark attrattore temporaneo, fruibile ed attraversabile da tutti. Con lo scopo di rendere visibile e trasparente, più che l’oggetto in sé, quello che l’oggetto avrebbe contenuto: «l’Architettura che dovrebbe guidare la nostra Terra».2 Ecco quindi la sospensione del volume libero, compositivamente voluta per non intralciare l’attraversamento dello spazio sottostante, e creare contemporaneamente una piazza coperta inferiore ‘evento’ collettivo, nonché la trasparenza del rivestimento, che rompe l’opacità delle pareti rendendo visibile il contenuto del volume, dando luce così ad un sentimento di curiosità ‘voyeristica’, necessaria ad attrarre il pubblico, spalancando la disciplina verso l’esterno. Così da permettere la circolazione di una nuova conoscenza, da sempre l’obiettivo ultimo della trasparenza. Se la generazione dello spazio è figlia di questo concetto, coerentemente anche l’aspetto tecnico realizzativo ne segue la via. Una via che grazie all’uso di materiali sostenibili e totalmente riciclabili, quali il laminato in allumini zincato per la pelle esterna, il cartone pressato in blocchi per la costruzione delle pareti, la moquette di pavimentazione e la struttura portante in tubi da ponteggio, porterà la trasparenza del padiglione, mano a mano a rarefarsi fino a svanire nel riciclo. Lasciando come unica eredità il nucleo stesso della trasparenza. La conoscenza autentica. Note 1 Tomás Maldonado, Memoria e conoscenza: sulle sorti del sapere nella prospettiva digitale, Feltrinelli, Milano 2005, p. 37. 2 Hacía una Arquitectura que Cuide Nuestra Tierra [Verso un’architettura che guidi la nostra Terra] era il titolo della Biennale di Architettura cilena in oggetto.

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nome progetto/project name Padiglione per la XVI Biennale dell’Architettura Cilena/Pavilion for XVI Biennale of Chilean Architecture progetto/project design Felipe Assadi + Francisca Pulido Architects collaboratori/collaborators Pablo Casals, Francisco Duarte consulenti/consultants Arbol Color, Hunter Douglas, Interfaceflor luogo/place Parque Forestal s/n, MAC [Museo de Arte Contemporaneo], Santiago, Cile data/date 30 ottobre/October-9 novembre/November www.assadi.cl

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pianta livello 0/level 0 plan

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meant to contain: «architecture that cares about our planet».2 Thus the open-plan structure is raised up so as not to block pedestrian traffic below, creating a cov-

pianta livello +4,70 ml+4,70 m level plan

prospetto sudlsouth elevation

ered plaza underneath the collective ‘event’, while the transparent skin breaks the opacity of the walls and makes their content visible, inspiring a sense of ‘voyeuristic’ curiosity that attracts the public and opening the discipline up to the outside world. As a result, it allows the circulation of a new kind of knowledge, which is always the ultimate goal of transparency. While the generation of space is the outgrowth of this concept, the technical aspects of the building’s construction follow the same approach. An approach that by using sustainable, fully recyclable materials such as aluzinc sheeting for the outer skin, corrugated cardboard blocks for the walls, carpeting for the floors, and a weight-bearing structure made of scaffolding, will make the pavilion gradually become more and more transparent until it disappears and is recycled. Leaving the very essence of transparency as its only legacy. Authentic knowledge.

Notes 1 Tomás Maldonado, Memoria e conoscenza: sulle sorti del sapere nella prospettiva digitale, Feltrinelli, Milan 2005, p. 37. 2 Hacia una Arquitectura que Cuide Nuestra Tierra [Towards an Architecture That Takes Care of our Planet] was the title of the Chilean Architecture Biennial in question. sezione aalsection aa


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la passerella di accesso al padiglione the access foot bridge to the pavilion sopra: vista dalla piazza above: view from the square



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fasi di montaggio/building phases

1 montante in alluminio zincato di 1,2 mm con pittura poliestere; larghezza 110 mm, lunghezza massima 3 m 2 chiusura del tubo in alluminio zincato, 0,8 mm con pittura poliestere; diametro 88 mm 3 tubo in alluminio zincato con pittura poliestere 0,6 mm, lungo 6 m 4 nastro in alluminio zincato perforato con pittura poliestere 0,5 mm di spessore [perforazioni 103 (2,95 mm); perforato 110 m1 (3,9 mm)] 5 nastro in alluminio zincato con pittura poliestere 0,5 mm di spessore senza perforazioni 6 anello di plastica in ABS, diamtero interno 43 mm

1 aluzinc mullion 1.2 mm with polyester paint; 110 mm wide and max 3 m lenght 2 closing of the zinc coated aluminium pipe, 0.8 mm with polyester paint; 88 mm diameter 3 zinc coated aluminium pipe with polyester paint 0.6 mm, 6 m long 4 zinc coated perforated aluminium tape with polyester paint 0.5 mm thikness [perforations 103 (2.95 mm); perforated 110 m1 (3.9 mm)] 5 zinc coated perforated aluminium tape with polyester paint 0.5 mm thikness without perforations 6 ABS plastic ring, interior diameter 43 mm

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6 fasi produttive del nastro di alluminio zincato productive phases of the aluzinc stripes


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Sulla riva sinistra Rafael Moneo, Biblioteca universitaria di Deusto, Bilbao

testo di/text by

Vittorio Savi

foto di/photos by Duccio Malagamba On the left side The old district located beyond the estuary, on the left bank of the Nervión is called Deusto. The University gets its name from this dis-

Di là dell’estuario il vecchio quartiere in riva sinistra del Nervión si chiama Deusto. L’Università prende il nome dal quartiere. Sempre l’Università Deusto è stata culla di illustri giuristi e, insieme, protagonista della vita culturale

trict. The University of Deusto has always been the cradle of illustrious jurists as well as protagonist of the city’s cultural life – bearing witness to the solid civic commitment towards its city, Bilbao, in the sphere of the Basque metropolitan area. Although from this side of the estuary the location appears to be favourable to the urban cut of its architecture, the difference between the block (large) and the site (smaller), has made the issue of urban settlement rather complex. If we add the invasive presence of the indistinct Guggenheim Museum to this, the uncertainty worrying the architect is understandable (an uncertainty destined to be resolved with a choice that is coherent with the geography and history of the place, yet with the Rafael Moneo’s poetic vicissitude). From a formal point of view, the Library’s project and building do not propose to compete with the protagonism of the Museum (a category like any other). From a standpoint of their contents, they would not want to relinquish public statute essential to the renovation of this portion of the urban landscape. Regarding this second aspect, the Library does not intend to establish liaisons dangereuses with the adjacent Museum, but appropriate associations with this relatively distant ‘University Centre’ that is to be accessed by way of the well-designed foot bridge by engineer Fernandez, that can almost be

cittadina – dando così testimonianza di un forte impegno civico verso la città, Bilbao, nell’ambito dell’area metropolitana basca. Sebbene, di qua dall’estuario, il luogo appaia favorevole al taglio urbanistico dell’architettura, la differenza tra l’isolato (grande) e il sito (più piccolo), ha reso complesso il problema insediativo. Se a ciò aggiungiamo la presenza invasiva del pur sfuggente museo Guggenheim, si capirà l’incertezza che ha afflitto l’architetto (destinata a risolversi nella scelta coerente con la geografia e con la storia, ancora con la vicissitudine poetica di Moneo). Dal punto di vista formale, il progetto e l’edificio della Biblioteca non intenderanno competere con il protagonismo del Museo (una categoria come un’altra). Dal punto di vista contenutistico, non vorranno rinunciare allo statuto pubblico, essenziale al rinnovamento di questa parte del paesaggio urbano. Per questo secondo aspetto, la Biblioteca non vuole allacciare liaisons dangereuses, bensì corrette relazioni sia con il Museo contermine, sia con il relativamente lontano organismo ‘centrale dell’Università’, al quale porta il garbato ponte pedonale dell’ingegner Fernandez, quasi passerella – che sarà sorvegliata dal totem ferrigno di Chillida. Queste, altre intenzioni, meno poetiche che critiche, nonché il consiglio di Belem e di Jeff Brock (figlia e genero, vedi di loro l’architettura-manifesto, Terme di Panticosa, And 15), hanno condotto Moneo ad accostarsi alla materia o pietra artificiale come il diffusore di vetro pressato. Secondo il Tailor Made predisposto dall’azienda produttrice, questo glassblock avrebbe potuto essere disegnato dall’architetto nella specifica veste originale. Così è stato. Il suo genio di designer improvvisato gli ha suggerito il vetromattone percorso di scanalature profonde venti centimetri, ragion per cui sarà detto Dorico: elemento neutro ma fotosensibile, illuminato del bianco o del grigio monocromatico. La produzione nello stabilimento della gran quantità di pezzi. La posa in opera di altrettanti, consentiranno di istaurare la facciata continua, monocromatica, collegata alla struttura di cemento armato, non senza debito intervallo. Darà vita all’involucro totale, salvo eccezioni. Niente di meglio per individuare la struttura volumetricamente autonoma, capace di epifenomeni quali, di giorno, l’attenuazione dei bagliori rimandati dalle lastre di titanio, lucide e opache, di cui è rivestito il Museo, e l’ambientazione all’interno del parco fluviale cioè dell’insieme dei giardini che si stabiliranno di qua e di là dal Nervión. Forse il gesto progettuale più efficace è rappresentato dalla produzione, messa in opera dei vetro-

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described as a catwalk – that will be watched over by Chillida’s iron totem. These other intentions, less poetic than critical, along with advice from Belem and Jeff Brock (daughter and son-in-law. See their architecture-demonstration, Panticosa Spa, And 15) led Moneo to approach matter or artificial stone as a diffuser for pressed glass. According to Tailor Made, made available by the company, this glassblock could have been designed by the architect in its specific, original aspect. This came to pass. His genius as an improvised designer prompted the glass-brick along the 20 centimetre-deep grooves, the reason behind its being called Doric: a neutral, yet photosensitive element illuminated by white or a monochromatic grey. The production of a large quantity of pieces at the planimetria generale/site plan

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plant. The installation of many pieces allow the construction of the continuous, monochromatic façade connected to the reinforced concrete structure, not lacking the proper interval. This will create a total enclosure, exceptions aside. There is no better way to detect the volumetrically independent structure, able of epiphenomena as – during the day – the reduction of the glare reflected by both the shiny and opaque titanium sheets covering the Museum, and the setting layout in the Fluvial Park – with the combination of gardens that will be created on both sides of the Nervión. Perhaps the most effective planning sign is represented by the production and installation of the angular Doric glass-bricks confirming the geometric identity of the architectural structure as one that is

mattoni angolari dorici, che sapranno confermare alla fabbrica architettonica l’identità geometrica di solido cubizzante dagli spigoli arrotondati – ineffabile. Neppure fossimo nella Berlino espressionista degli anni dieci e venti del Novecento, anziché nella Bilbao decostruttivista degli anni zero del duemila, codesta facciata di vetro pressato, una volta retroilluminata, la sera, trasformerà il blocco nella grande lampada o nel faro imprevisto, eppure sarà in grado di oscurare il Museo e di consegnare la spettacolare massa volumetrica alle fenditure più nere del nero, anziché al brillio della pelle, fatta di lastre di titanio. Viceversa la ‘distanza concettuale’ tra Museo e Biblioteca andrà riducendosi, se si considererà quanto l’architettura sgusciante di Gehry abbia influito sull’orientamento impresso da Moneo alla planimetria della Biblioteca. Ogni sala di lettura lavorerà sulla diagonale fino ad aprirsi nello spicchio di cristallo su cui incombe la veduta della macchina spettacolare. Lo spicchio ripetuto di piano in piano, determinerà il vuoto annesso, il patio di cristallo. Al patio di cristallo farà da riscontro lo spicchio degli uffici sopra l’accesso, quello contrassegnato dalla scritta Biblioteca Deusto. Mentre dovrebbe risultare perfetto il deposito librario, spazio servente per eccellenza, racchiuso come sarà dalla parete cementizia e dalla controparete vetrocementizia. [NdR Lo scritto di Savi traduce e rielabora liberamente il testo della relazione progettuale anonima]


pianta piano terra/ground floor plan

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solid, almost cube even if rounded – ineffable. It is almost like being in the Expressionist Berlin of the 1910’s and 1920’s instead in the Deconstructivist Bilbao of the early 21st century! That pressed glass façade, once retro-illuminated in the evenings, will transform the block into a large lamp or an unexpected lighthouse. Yet, it will be able to overshadow the Museum and deliver its spectacular volumetric mass to the blacker-than-black crevices, instead of to the shimmer of its skin composed of titanium sheets. Viceversa, the ‘conceptual distance’ between the Museum and the Library will be reduced, if we consider to what degree the smooth architecture of Gehry has had an influence upon the orientation impressed by Moneo on the Library’s plans. Each reading room will be placed on a diagonal axis until they open onto the crystal segment overlooking the spectacular machine. This segment, duplicated from one floor to the next, will determine the attached cleft: the crystal patio. This crystal patio will be corresponded by the segment of the offices located above the entrance, indicated with the sign Biblioteca Deusto. The library deposit, a service area par excellence, seems to be perfect: closed off by a cement wall and by a counter wall in glass cement. [Editor’s Note This article by Savi is a loose translation and re-elaboration of an anonymous planning report]


nome progetto/project name Biblioteca dell’Università di Deusto/Deusto Universitary Library progetto/project design José Rafael Moneo architetto responsabile/project architect Valerio Canals Revilla collaboratori/collaborators Santiago de Molina, Alberto Brito, José Ortiz, Angela Pang, Gabriel Fernández-Abascal, Alberto Montesinos strutture/structures NB 35 Jesús Jiménez Cañas ingegneria meccanica/mechanical engineering PGI Ingeniería modello/model makers Estudio Rafael Moneo – Juan de Dios Hernández y Jesús Rey committente/client Universidad de Deusto/ Deusto University luogo/place Bilbao Spagna superficie netta/usable area 19.000 mq/sqm superficie totale/total area 25.000 mq/sqm data progetto/design date 2002-2005 realizzazione/construction 2005-2008 a

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pianta piani 2, 3 e 4/2nd 3rd and 4th floor plan



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una sala lettura/a reading room pagina seguente: un deposito libri following page: a deposit of books

vista assonometrica lato sud axonometric view of the south side vista assonometrica lato nord axonometric view of the north side


spaccato assonometrico axonometric view sezione aa/section aa

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L’opaco. Il trasparente

Architettura

Opaque. Transparent

Architecture

di/by

Vittorio Savi


1. Per me, non solo per me, anche, soprattutto, per Beatriz Colomina, un passaggio davvero mitico dell’architettura contemporanea europea a indirizzo moderno coincide con l’incontro fra due maestri protagonisti del secolo breve. Parigi. Forse, al caffé di boulevard Saint-Germain, un pomeriggio imprecisato dei primi anni venti (certo, uno degli avventori, Le Corbusier, ne riferirà alla pag. 174 del suo capitale trattato, Urbanisme, uscito nel 1925). Forse L-C e Adolf Loos siedono al tavolino, l’uno di fronte all’altro. Di sicuro conversano di varia umanità. «Un uomo coltivato non guarda dalla finestra; la sua finestra è di verre

depoli; la finestra non è lì che per illuminare, non per far transitare lo sguardo oltre il serramento» asserisce Loos. «Dipende dal panorama» ribatte L-C. Qualora il panorama riguardi la reale città di oggi, disordinata, confusa, priva di orizzonti naturali, continuerebbe ad essere lecito un taglio di finestra come quello vigente, rettangolare in piedi, finito dal serramentro di legno o di ferro, chiuso dal vetro smerigliato o dal vetro opalino, lucifero ma opaco, niente affatto trasparente. Qualora il panorama riguardi la città contemporanea ideale, da lui stesso pianificata in forma di grande parco tipo Versailles, solcato dalle strade, punteggiato di grattacieli, cosparso di greche formate dagli edifici a ville sovrapposte, a provocare la parvenza di tessuto urbano, eccetera, eccetera, allora sarebbe eccellente il taglio della finestra rettangolare coricata, con il serramento, vetro trasparente, vetro comune o cristallo molato, per contemplare appunto gli aspetti della città nuova. Perso nella contemplazione, lì per lì L-C si sottrae al disincanto loosiano, consono allo spirito europeo in corsa verso la crisi, come il treno verso la stazione di testa. L-C rigetta l’ipotesi della opacità – che, saltando di brutto gli annessi e connessi, vorrei chiamare istanza-Loos. Sceglie invece la visione ottimistica, tramite i fattori della trasparenza, siano essi finestre in lunghezza oppure vetrate continue. E sceglie di collegare concettualmente, sensibilmente la sfera privata interna con la sfera pubblica esterna. Ci si potrebbe chiedere se, nel corso della carriera che lo attende, rifiuto dell’opacità, ipostatizzazione della trasparenza andranno sempre di pari passo, e non si scambieranno mai la parte. Sarebbe domanda alla quale rispondere. 2. Berlino. Un architetto, che dalla natia Aachen si è traferito nella capitale, dove adesso vive e opera, elabora progetti di costruzione neo-neoclassica e, spontaneamente, avanza qualche progetto d’avanguardia, però scisso dalla ricerca altrui, ad es. l’enfatica ricerca neoromantica nella chiave espressionista, che, sia a parole, (cfr. le giaculatorie di Paul Scheerbart,

Glasarchitektur, 1913), sia a fatti (magari sperimentali, vds. Bruno Taut, Padiglione del Vetro alla fiera di Colonia, 1914), sostiene l’architettura del ferro e del vetro, vetro in lastre trasparenti o opache, nonché vetro pressato a formare le cosiddette mattonelle translucide. Nel bel mezzo dello sconvolto primo dopoguerra, il rigorista Ludwig Mies van der Rohe matura l’idea della costruzione pelle e ossa, per seguitare nella metafora, pelle (diafana) e ossa (opache), che non siano attaccate dall’osteoporosi, siano sane, salde. Mies elabora il disegno del grattacielo incombente sulla Friedrichstrasse, in due versioni, la prima indicata come espressionista (1919), la seconda indicata come razionalista (l’anno successivo). La variante razionalista, esibisce la facciata a tutta altezza, di cristallo, lucido e terso, che si presti a seguire il tracciato curvilineo della planimetria. Ammesso e non concesso che Mies focalizzi la questione, una volta per tutte, si fa fautore del partito dell’impiego del cristallo, lucido e terso, della trasparenza intesa come categoria operativa per l’architettura. Nel contempo,

1. In my opinion (one that is also shared by others), and above all in the opinion of Beatriz Colomina, a legendary passage in contemporary European architecture focused upon modernity coincides with the encounter between two prominent masters of the ‘brief century’. Paris. Perhaps, at the café on Boulevard Saint-Germain, any afternoon during the early 1920’s. (Of course, one of the regular customers, Le Corbusier, will make a reference to it on page 174 of his revolutionary Urbanisme, published in 1925.) Perhaps Le Corbusier and Adolf Loos are seated at a table, facing one another. One thing is sure, they are discussing various fine arts. «An educated man does not look out the window; his window is made of verre dépolis; the window is there only to let in the light, not to make one’s glance shift beyond the shutters», argues Loos. «That depends on the view», retorts Le Corbusier. Should the view regard today’s city, untidy, confused and lacking in natural horizons, it would still be allowable to have a window shaped like those that are now in use: rectangular, vertical and complete with wooden or iron shutters, closed with frosted or opal glass that brings in the light while remaining opaque, in no way transparent. Should the view regard the ideal contemporary city he designed in the shape of a large park like Versailles, grooved with roads, dotted with skyscrapers, scattered with meteors, created out of overlapping buildings and villas to cause the appearance of an urban texture, etcetera etcetera, then an excellent choice for a window would be rectangular, horizontal with shutters, transparent glass, plain glass or cut crystal, perfect for contemplating aspects of the new city. Lost in contemplation, at the moment Le Corbusier removes himself from Loos’ disenchantment, appropriate for the current European spirit that is heading towards the crisis, like a train heading towards the terminus. Le Corbusier rejects the hypothesis of opaqueness – eliminating all the appurtenances in such a complete way that I would like to call it the Loosinstance. He prefers to take an optimistic viewpoint, by way of transparency factors, whether they are horizontal or continuous glass panels. And he chooses to conceptually connect the private interior sphere with the public exterior sphere, as well as sensibly. It is only natural to question if the refusal of opaqueness, the hypostatization of transparency that were in store for him during his career went hand in hand or if they will ever exchange roles. That is a question that should be answered. 2. Berlin. An architect who leaves his native Aachen to move to the capital, where he now lives and works, elaborating projects of a neo-neo-classic construction and spontaneously advances several avant-garde projects, clearly separated from the research of others. An example of this is the emphatic Neo-Romantic pursuit in an Expressionist overtone that with words ( Paul Scheerbart’s short prayer Glasarchitektur 1913) and facts (even though they were experimental: Bruno Taut’s Glass Pavilion at the Cologne Werkbung Exhibition, 1914), sustains iron and glass architecture, glass in transparent or opaque sheets as well as pressed glass to form the so-called translucent tiles. Right in the middle of the devastating early post-World War One years, the excessively precise Ludwig Mies van der Rohe developed the idea of the skin and bones architecture, to then continue with the metaphor skin (diaphanous) and bones (opaque). They were not to be affected with osteoporosis, they were to be healthy and set. Mies elaborates the design of the impending skyscraper on the Friedrichstrasse in two versions: the first one indicated as Expressionist (1919), the second indicated as Rationalist (the following year). The rationalist variant displays the façade at full height, in crystal, lucid and clear that lends itself to follow the French curve outline of the planimetrics. For the sake of argument, let’s say that Mies focalises the question and makes himself a promoter of the party supporting the use of crystal, lucid and clear,


una volta per tutte, ha recusato l’uso del vetro greggio e l’uso del vetro opaco. Prova ne sia che Mies, emigrato negli USA nel 1939, lasciandosi dietro il destino immutabile, dalla propria postazione chicagoiana, progetterà e/o costruirà, costruirà... unicamente parallelepipeidali teche vitree distese sull’orizzontale o impennate lungo la verticale. Interessante lo studio precoce (1942) del museo per small city: facciate di cristallo minimizzano la presenza degli elementi costruttivi (piastra, montanti, piastra) e acuiscono l’ostensione delle sculture e dei quadri di moda, tra questi Guernica. Significativi il disegno e la vicissitudine realizzativa di Villa Farnsworth (1945-1951). La villa si avvale dei montanti per staccarsi dalla, anziché attaccarsi alla terra al limitare dello stagno, intanto i prospetti cristallini, lucidi e tersi, sanno mescolare la veduta dell’esterno acquoreo con la vista dell’interno domestico, Tuttavia, considerati nell’insieme, non riescono ad assurgere alla dignità di involucro. A tacere della Galleria Nazionale a Berlino (1969), davvero il vertice dell’architettura di ferro e vetro, intrisa della saga dei Berlinesi, e di uno in particolare, Mies emigrante: non fa in tempo a tornare ed è subito morto. I prospetti vitrei, l’enorme zoccolo litico finiscono per configurare l’involucro trasparente della vasta cella superiore sotto copertura d’acciaio dai lacunari rimarchevoli. Qui si mostrano temporaneamente le opere. Invece le opere delle collezioni permanenti riposano sotto, nello zoccolo cavo, oscuro, tutto sigillato dalle lastre di travertino tranne che sul lato del giardino delle statue. 3. «Alzate lo scheletro della struttura e poi riempite i buchi con quello che preferite» suona così, volgare, il refrain del famoso Auguste Perret della Società di progettazione e costruzione dei F.lli Perret. Quasi a scusarsi, Perret poi avrebbe offerto mille esempi mirabili di erezione dello scheletro strutturale e altrettanti esempi di riempimento dei varchi. Il riempimento più spettacolare è quello di Nôtre Dame du Raincy (192123). Enorme schermo a claustra, occupati da grossolani vetri dipinti. Tutto si può dire meno che lo schermo non risulti analogo alla vetrata medioevale. (La vetrata si prestava a riscattare l’aere dei duomi dal profondo monocromo, a colorare l’atmosfera e, in definitiva, a renderla vibrante). L-C piglia per fondamentale il problema teorico e pratico posto dal suo maestro. E occupandosi del problema tamponamento della struttura edilizia, senza volere, torna a imbattersi nell’istanza-Loos, che, se accettata, diverrebbe risolutiva. Il tamponamento si sarebbe potuto effettuare sì mediante l’apposizione del cristallo laminato, oppure tramite l’inserimento di qualcosa di translucente, ormai sinonimo di opaco... Nel cortile dell’edificio condominiale di rue Saint-Guillaume è attiva l’officina popolata dai carpentieri piuttosto che dai muratori, tesa al rifacimento dell’hôtel particulier, al pianterreno deve sistemarsi lo studio medico del dott. Dalsace e, al piano superiore, l’alloggio dei coniugi Dalsace. Leggenda vuole che, quando viene in incognito, L-C entri nel cortile, cerchi nella catasta dei materiali, prenda in mano il mattone di vetro modello Nevada. Prodotto dalla reputata vetreria Saint-Gobain stampato nel pezzo unico a due facce, l’una di vetro trattato a scaglie, l’altra uguale alla prima, ma forata dall’oblò, Design déco al pari di quello del monile. «Sembra uscire dalla oreficeria di Van Cleef & Arpels anziché dalla reputata vetreria Saint Gobain» pensa tra sé e sé L-C. In fondo, L-C viene attratto meno dal pezzo che dall’insieme, meno dal vetromattone Nevada, che dal telaio a griglia metallica entro il quale posarlo. Influenzato dal lavoro di Pierre Chareau e Bernard Bijvoët, L-C non solo elegge il pannello vitreo elementare a chiave della costruzione, la Maison Dalsace, presto soprannominata Maison de Verre, ma anche si dedica al perfezionamento del pannello-trasformatore della figura umana in siloetta

once and for all featuring transparency intended as an operative category in architecture. At the same time, he refutes the use of unelaborated glass once and for all, along with the use of opaque glass. Proof of this is that Mies, who emigrated to the United States in 1939 leaving an unchangeable destiny behind, will design and/or build, build, build from his new post in Chicago… only parallelepiped glass boxes either horizontally extended or rising sharply vertically. The early study of the museum for small city (1942) is interesting: crystal façades minimize the presence of construction elements (slab, frame, slab) and heightens the exposition of the sculptures and paintings in vogue, among which, Guernica. The creative design and vicissitude of Villa Farnsworth (1945-1951) are significant. The villa makes use of its frames to detach from, instead of attaching to the ground bordering the pond while the crystalline, lucid and clear façades skillfully blend the view of the watery exterior with a view of the domestic interior. However, when considered on a whole, they cannot be elevated to the dignity of a building envelope. At the Neue National Galerie in Berlin (1969), truly the zenith of iron and glass architecture, imbued with the saga of Berlin natives and in particular, the emigrated Mies: he died shortly after witnessing its completion. The glass façades, the enormous stone base end up casting the transparent enclosure of the wide upper cell under a steel covering that features remarkable coffers. It is here that the temporary collections are exhibited. Works from the permanent collections are located below in a stone hollow that is very dark and completely sealed by travertine sheets, with the exception of the side facing the garden of statues.

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3. «Lift the structure’s frame and then fill the spaces with whatever you prefer». The refrain of renowned August Perret (Perret is F.lli Perret project design and construction company) sounds so vulgar. Almost as an apology, Perret would have later offered a thousand admirable examples of the erection of a structural frame and another thousand examples of how to fill spaces. The most spectacular filling is the one at Nôtre Dame du Raincy (1921-23). An enormous claustra shield, occupied by coarse painted glass. Many things can be said about this Church, but one thing is for sure: the effect is analogous to a medieval glass panel. (All things considered, the panel lends itself to the redemption of areas of the deeply monochromatic domes, to colour the atmosphere and make it vibrant, all things considered) Le Corbusier interprets the theoretic and practical problem put forward by his mentor as fundamental. Dedicating himself to the problem of filling space in construction, involuntarily stumbles back upon the Loos-instance that, if accepted, would become decisive. Space-filling could be executed by way of the apposition of laminated crystal, or through the insertion of something translucent, that at this point is synonymous with opaque… In the court yard of the condominium on Rue Saint Guillaume, there is a workshop filled with carpenters instead of brick layers. They are busy at the renovation of the hôtel particulier. Dr. Dalsace’s medical studio will be located on the ground floor and the doctor and his wife will live on the upper floor. Legend has it that when Le Corbusier arrived incognito, he came through the courtyard, looked through the heap of materials and put a Nevada model glass brick in his hand…manufactured by the widely recognized Saint-Gobain glass makers who created a single two-sided piece. One side of the glass was slivered. The other side was also slivered but drilled through its oval, Art nouveau jewel style. «It looks like it came out of the Van Cleef & Arpels jewelry store rather than the renowned Saint-Gobain glass works», Le Corbusier thought to himself. In the end, Le Corbusier was not as attracted to the piece as he was of the full effect, not so much impressed by the Nevada glass brick as to the metallic


sgranata. Onde conseguire la performance nella coibentazione. Il seducente vetromattone può, deve restare, il telaio di metallo va trasformato in telaio di c.a., ovviamente quest’ultimo va suddiviso in tanti sottomoduli quadrati, ciascuno riservato al Nevada. A conclusione del procedimento si avrà, in lecorbusieriano, il pan de verre; in italiano, il pannello di vetrocemento prefabbricato a piè d’opera, Probabilmente L-C non è l’inventore del pan de verre, semmai è colui che elegge il muro vetrocementizio a elemento della nuova architettura, senza dimenticare la vetrata continua, opaca ovvero trasparente, anch’essa volta al tamponamento. Porterei ad esempio la coppia dei capolavori degli anni 1932-1934, la Maison Clarté a Ginevra (abitazione condominiale), la Cité de Refuge a Parigi (albergo collettivo), così qui come là il pan de verre pannello prefabbricato vetrocementizio si alterna con il pan de verre vetrata continua Con questa esperienza, L-C aumenta di poco la sua gloria. La aumenta di molto, allorché ‘nel riempire i buchi’ intuisce la distinzione degli spazi, quale rimarrà implicita, fino alla predicazione di Louis Kahn sul palcoscenico della ricerca internazionale. Nello stesso corpo di fabbrica si verificano spazi serviti e spazi serventi: a questi occorre prescrivere la cura del pan de verre traslucido opaco, a quelli la cura del pan de verre traslucido trasparente. 4. «Ah, les italiens» – canta oggi Paolo Conte. Ieri, nel corso del quarto decennio del novecento, gli italiani, eredi di patrimoni architettonici preclari,

si vantavano di essere clienti di formidabili vetrerie nazionali: la Fidenza Vetraria di Fidenza; la Balzaretti e Modigliani di Livorno; la possente succursale pisana della Saint-Gobain. Al pari di L-C, l’architetto, il costruttore italiano provavano un debole per il pannello del vetrocemento, caro assemblaggio translucente come l’alabastro, dalla varia tipologia: solai, volte, tamponanamenti verticali, altri elementi verticali, orizzontali dal kappa (indice di coibentazione) elevato, dal lambda (indice di trasparenza) insufficiente. L’uso del pannello di vetrocemento permetteva all’impresa costruttrice l’economia di scala e certi vetromattoni evoluti a diffusori, pur annegati nel cemento, assolvevano al compito, quanto caritatevole, di portare luce al luogo languente nel buio umido; scantinato, blocco-scala, bagno. Soffermiamoci sulla copertura prefabbricata nello stabilimento dalla Fidenza Vetraria e ripiena di diffusori, insomma sul lucernario issato sopra la galleria degli arrivi ne Fabbricato-Viaggiatori, stazione ferroviaria di SMN, di Giovanni Michelucci e del Gruppo Toscano, Firenze 1935. Da notare come il solaio vetrocementizio si sommi alla presenza della vetrata continua fatta dalla Balzaretti e Modigliani con lastre abbinate, con interposta lana di vetro, che, opacissima, monta e cala, tra la galleria di testa, il salone delle biglietterie, la galleria delle partenze. (Appartenendo al Gruppo, Italo Gamberini, ricorderà quel solaio e mediante il pannello prefabbricato similare identificherà il cornicione sporgente a coronamento del presunto primo curtain-wall eretto in un centro storico italiano, edificio per uffici e abitazioni di via Nazionale, Firenze 1964, malnoto sebbene lodato dal commento del grande architetto razionalista, Adalberto Libera). Milano1936. Il cantiere plurimo nel parco della VI Triennale di Milano. propone ville riservate a utenti speciali, abitazioni sperimentali soprattutto nell’uso del vetrocemento, in genere soddisfacendo l’istanza-Loos e, di contro, sventando l’istanza-Mies. Alessandria 1937. Ignazio Gardella dispone i diffusori nelle pareti contrapposte della sala di attesa del suo dispensario antitubercolare a denotare la trama rada, a connotare la decorazione, paragonabile

grid frame into which it will be set. Influenced by the work of Pierre Chareau and Bernard Bijvoët, Le Corbusier does not only select the elementary glass panel as the key to the structure, la Maison Dalsace, soon to be called Maison de Verre, but he also dedicates himself to perfecting the panel – he transforms the human shape into a grainy silhouette, so that a performance in caulking can follow. The enticing glass brick can and must remain as a metal frame in reinforced concrete. Obviously the latter should be split up into many squared sub-modules, each of which is reserved for a Nevada. The procedure concludes, resulting in a Le Corbuisier-style pan de verre, an on-site prefabricated glass block wall. It is probable that Le Corbusier is not the inventor of the pan de verre. If anything, he is the one who selected a glass block wall as an element of this new architecture without omitting the use of the continuous glass panel – opaque or (for precision) transparent, also orientated towards space-filler. I would like to cite the pair of masterpieces of the years 1932-1934 as an example: the Maison Clarté in Geneva (condominium) and the Cité de Refuge in Paris (collective hotel). In both cases, the pan de verre pre-fabricated glass block wall alternates with the continuous glass panel. With this experience, Le Corbusier increased his glory by a bit. What increased his glory much more was the moment in which he perceives that ‘by filling in the spaces’ there is a distinction of space that will remain implicit until Louis Kahn preaches of it on the main stage of international research. In the same body of work, both spaces that are served and spaces that serve are to be found: the translucent opaque pan de verre is prescribed to one and the other is to be administered translucent transparent pan de verre. 4. Paolo Conte sings «Ah, les Italiens». Yesterday, during the fourth decade of the 20th century the Italians, heirs to an illustrious architectural fortune proudly stated that they were customers of the formidable national glassworks: the Vetreria di Fidenza in Fidenza; the Balzaretti and Modigliani in Leghorn; and the imposing Saint-Gobain branch in Pisa. On par with Le Corbusier the architect, the Italian builder also had a weakness for glass block walls, assembly translucent like alabaster in various roles: ceilings, vaults, vertical fillers, other vertical elements, K-index elevated horizontal (caulking index), Lambda-index (index of insufficient transparency. Use of the glass block wall allowed the builder to save on returns to scale and certain glass bricks developed as diffusers, even if they are buried in cement, resolved the problem by generously bringing light to a place left to languish in the humid dark; basements, stairwells, bathrooms. Let’s pause to reflect upon the prefabricated covering at the Fidenza Vetraria plant, filled with diffusers, in other words on the skylights mounted above the Arrivals gallery of the Fabbricato-Viaggiatori Florence Railway Station

(Giovanni Michelucci and Gruppo Toscano. Florence 1935). Noteworthy is the way the glass block ceiling adds to the presence of the continuing glass panel made by the Balzaretti and Modigliani company with matching sheets, interposed glass wool (very, very opaque) that rises and falls between the main gallery, the ticket hall and the Departure gallery. (Being a member of the Group, Italo Gamberini, will remember that ceiling and with a similar pre-fabricated panel, he will identify the crowning protruding ledge of what is presumed to be the first curtain wall erected in an Italian old town centre: a building used for offices and flats on Florence’s Via Nazionale 1964, infamous and yet praised by comments from the great Rationalist architect Adalberto Libera.) Milan 1936. The multiple construction site in the VI Triennale di Milano park offers private, reserved villas to special customers, dwellings that can be defined as experimental, especially regarding the use of glass blocks in a way that


al rapporto tra negativo e positivo fotografico. Vigevano 1937-1938. Eugenio Faludi rompe gli indugi e impiega un unico pannello curvato vetrocementizio per tamponare tutta una parte del Palazzo dei Congressi. Quale? Naturalmente la tromba delle scale, a spazialità servente, che, però, trattata così, si fa incerta tra la condizione funzionale e la condizione monumentale. Milano 1938. Franco Albini espone il pannello vetrocementizio nel muro di Villa Pestarini, a modo di insegna araldica, emblematica della costruzione culturalmente matura, anziché del casato Pestarini. 5. Converrebbe censire le architetture contemporanee moderne, almeno le italiane, disegnate e fatte di pannelli vetrocementizi dediti non solo a tamponare, ma anche a integrarsi perfettamente, concettualmente e sensibilmente, con il telaio trave-pilastro. A raccolta compiuta, sarebbero leciti certi confronti e l’emissione del giudizio di valore recitante: una prova dell’atelier svizzero-italiano dei fratelli Tami rappresenta il campione migliore, segnalato com’è dall’ottima resa estetica e dalla congruente resa funzionale. Nel 1937, il titolare, Rino Tami, partecipa al concorso progettuale per la nuova Biblioteca Cantonale a Lugano. Il progetto Tami batte il progetto Giuseppe Terragni – nella fattispecie architetto transfrontaliero, autore della cubizzante, cava Casa del Fascio a Como (1937), devota all’intento di mettere sotto gli occhi di tutti i comportamenti dei potenti di turno, i fascisti lariani; perciò forata dalle finestre ampie; l’interno espressivo di una tal quale trasparenza metaforica, caratterizzato com’è dai pannelli diafani, sfortunatamente ridotti a riempitivi estetizzanti, allo scopo di creare le stanze degli uffici. Il progetto Tami vince la gara. Due anni più tardi, Tami costruisce la biblioteca in riva al lago, propriamente definibile razionalista, in quanto obbediente al principio teorico caratteristico: sia lama più lunga che alta, più alta che larga, ovvero sia torre a base quadrata, di lato inferiore all’altezza, qualunque corpo di fabbrica parallelepipedo assolve all’unica funzione principale, e una sola. Lì, in riva al lago, il porticato corpo di fabbrica secondario, stretto, lungo, alto cinque piani, è perpendicolare a quello primario. È scatola parellelepipeda ospitante le file delle scaffalature Lips Vago e i volumi sopra la scaffalature. Non solo. I pannelli prefabbricati opachi si integrano nel telaio strutturale grigliato peculiare del deposito librario, unitario e servente per eccellenza, là dove la translucenza grigia, alla bisogna aiutata dalla illuminazione artificiale, induce la introvertita consultazione dei dorsi e esclude la contemplazione estroversa del parco postico. 6. Varrebbe la pena continuare, adempiere però ad altro tipo di censimento. Censimento delle architetture, almeno le italiane, attente a valersi del e mostrare l’uso vario del mattone di vetro, glassblock (prima o poi, in realtà dopo, molto dopo, sarà tale la denominazione internazionale). Sarebbe tutt’uno tirare il bilancio e avvertire il manifestarsi di una varia fenomenologia. Da un lato, la ritirata. Disperando, non a torto, di superare gli standard, la produzione si sottrae all’innovazione del prodotto, del vecchio buon mattone dal basic design, dal colore tradizionale, bianco, grigio, verde. La vetreria si sottrae al nuovo, che non sia l’accoppiamento dei pezzi saldati a fuoco e dall’introduzione della camera d’aria rarefatta, Risultato un mattone come il Primalith di Saint-Gobain. Dall’altro, la diffusione del pronto uso del prefabbricato vitreo presso inadatti frammenti di costruito: sparsi lucernari calpestabili e transitabili; sparsi schermi; sparsi solai, sparsi parapetti, sparse pensiline. Propagarsi penoso, in parte

satisfies the Loos-instance and on the other hand, foils the Mies-instance. Alessandria 1937. Ignazio Gardella places diffusers on the walls facing the waiting room of his antitubercular dispensary to denote the grazed pattern, to connote the decoration comparable to the relationship between photographic negative and positive. Vigevano 1937-1938. Eugenio Faludi stops delaying and uses a single curved glass block panel to fill in an entire portion of the Palazzo dei Congressi. Which area? The stairwell, naturally. A service space that now brings about a fusion between its condition of being functional and monumental Milano 1938. Franco Albini displays the glass block wall on the wall at Villa Pestarini as a coat of arms (emblematic of a culturally mature construction), instead of the Pestarini family name). 5. It would be advantageous to register a modern contemporary architecture census (at least Italian architecture) designed and manufactured with glass block panels used not only as filler, but also to be perfectly integrated (conceptually as well as sensibly), with a pillar-beam frame. Once all information has been gathered, certain comparisons and assessments pertaining to its basic merit: the Tami brothers’ Swiss-Italian atelier was the best example since it featured aesthetic excellence as well as functional excellence. In 1937, owner Rino Tami took part in a planning competition for the new Biblioteca Cantonale in Lugano. The Tami project beats the Giuseppe Terragni project. In this case the architect from over the border, creator of the cube shaped, hollow Casa del Fascio in Como (1937) was devoted to the intention of showcasing the behaviour of those in power at the time (the Lariani Fascists) to everyone; it is drilled with wide windows; an expressive interior featuring a powerful metaphoric transparency characterized by diaphanous panels that are unfortunately reduced to serving as aesthetic fillers destined to create office space. The Tami project won the competition. Two years later, Tami built the library located along the shores of Lake Lugano, rightfully defined Rationalist in that it adheres to the theoretic characteristic principle: should the blade be longer than it is tall, taller than it is wide or – in other words – should the tower have a square base, or a side inferior to its height, any parallelepiped building performs one single principle, and only one. There along the lake, the secondary porticoed building: narrow, tall (five storeys) is perpendicular to the primary one. It is a parallelepiped box that hosts the aisles of Lips Vago shelves and the space above them. That’s not all. The opaque prefabricated panels are integrated with the library deposit’s peculiar grilled frame, unitary and useful par excellence. Here the grey translucency – with the help of artificial lighting – induces the indoor consultation of the volumes and excludes any outdoor contemplation of the park behind. 6. It would be worth the while to continue, fulfilling another kind of census though. An architectural census, at least of Italian architecture, careful to take advantage of (as well as) demonstrating the various uses of the glassblock. (Sooner or later – actually much later – the term will become international.) It would be a good solution to take full stock and perceive the presence of a varied phenomenology. On the one hand, the retreat. Desperate (and rightfully so) to surpass standards, the production removes itself from the product’s innovation, from the good old brick, with its basic design, in a traditional colour: black, grey, green. The glassworks removes itself again, could it be that the combination of welded pieces and the introduction of the rarified air chamber bring about a result of a brick like that of the Saint Gobain Primalith? On the other hand, there is the diffusion of the ready-to-use prefabricated vitreous found in unsuitable fragments of construction: scattered,

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compensato dall’affermarsi di qualche immagine iconica, assai riconoscibile, persino familiare (ad es. la sequenza delle voltine all’estremo dei binari del nuovo fabbricato-viaggiatori della stazione Termini di Eugenio Montuori e altri, Roma 1948). Dall’altro ancora, incredibile ma vero, il calo del curtain-wall sotto il profilo qualitativo e il calo della posa dello stesso sotto il profilo quantitativo; conseguente ritorno in auge del prospetto composto a forza di finestre, con tanto di serramento. chiuso dal cristallo lucido e terso. Nel 1956. il critico insigne, apostolo del moderno, Siegfried Giedion, ha ragione di redigere la didascalia del ritratto fotografico canonico dei Lake Shore Apartaments di Mies, Chicago 1951: «L’impiego del vetro può aver toccato qui la punta massima, a meno che l’industria non crei i mezzi tecnici per regolare le qualità delle luci senza l’impiego di tende». Evidente che Giedion si riferisce al cristallo in lastra. E il vetro pressato? Durante una temperie del genere, qual è la sorte del glassblock? Stante la prerogativa dell’utilità associata all’opacità, ne vengono sfornati milioni e milioni. Parte stoccati nei magazzini annessi agli stabilimenti industriali e venduti dagli agenti all’ingrosso. Parte indirizzati alla prefabbricazione degli elementi architettonici. E gli scarti della produzione? Quasi tutti versati nel crogiolo del forno vetrario. Alcuni portati alla discarica senza remissione. Da bambino, frugavo nella piccola discarica vicino al muro di cinta dello stabilimento vetrario, trovavo spesso qualche sasso strano. Pareva generato dal fallimento irreparabile della vetrificazione, di sicuro non era buono neppure per il crogiolo.

7. Un giorno imprecisato al limitare del terzo novecento, l’insigne critico irregolare Colin Rowe, sbotta come la trasparenza in sé sia ben poca cosa, ma, in architettura, possa essere lo strumento della percezione simultanea delle diverse situazioni spaziali. Col che spezza il cuore di parecchi architetti, che lavorano sul testo e sul contesto. e che cominciano a credere che la percezione simultanea sarà insieme critica e operativa. Schiude loro anche la mente e loro si mettono a pensare al modello dotata di paratie ma trasparenti, anzi, addirittura, priva di diaframmi. Sentimento di progetto incerto. Presagio di spazialismo liquido. 8. Arrivato a questo punto, desidererei concedermi il racconto rapsodico. A cavallo dei decenni ottanta e novanta, in oriente, gli architetti giapponesi devono detestare il muro di mattone; deprecare il muro di vetrocemento opaco, sempre troppo pesante; prediligere meno la parete di vetro cristallino trasparente che la medesima resa sipario dalla retroapposizione dei tendaggi di plastica o di stoffa, di preferenza a tinta lattiginosa. Questi sipari, combinati insieme, creano una specie di involucro leggero alla terra. Seducente epifania, incompatibile con la durata, peculiare dell’arte edificatoria occidentale. Nel 1989-1992, in occidente, si schiude la temperie culturale, per cui il valente architetto olandese, Wiel Arets, incaricato di dare il progetto e il disegno dell’Accademia di Architettura e Arte a Maastricht, avendo in odio qualunque modo rescisso dall’esprit de finesse, abbandonato modo perrettiano di riempire i buchi dello scheletro portante, decide di assolvere al rito purificatorio – alla rivisitazione del pannello di L-C. Traccia il disegno, ‘dipinge la tela di formato rettangolare, pressoché quadrato’. Accenna a dividere il campo in tanti quadrati. Pian piano il rito si trasforma nell’esercizio disciplinare – progettazione e prefabbricazione in stabilimento del pannello vetrocementizio completo di glassblock della serie basic, dalla trasparenza inusitata. Quindi, a cantiere attivo, ‘farà appendere i quadri astratti’, che ciascuno si inserisca nella casella corrispondente, fra pilastro e pilastro, fra trave e trave. A ben considerare, concettualmente e sensibilmente, sarà la forma strutturale a dipendere dalla forma del pannello, non il contrario.

passable skylights that are easily stepped on: scattered screens; scattered ceilings; scattered parapets and scattered shelters. Pitiful propagation, partially compensated by the establishment of a few iconic images that are easily recognized, perhaps even familiar (for example the sequence of the small vaults along the platforms of the new traveler-building at Eugenio Montuori Roma Termini station and others 1948). Yet another aspect, incredible but true, is the fall of the curtain-wall under a qualitative profile and its fall under a quantitative profile as well; the consequent return in vogue of the window façade, shutters included, closed by a lucid and clear crystal. In 1956, the renowned critic and apostle of modernity, Siegfried Giedion is correct when he drafts the caption of the photographic, canonical portrait of Mies’ Lake Shore Apartments. Chicago 1951: «The use of glass here might have just attained its maximum expression unless the industry finds a way to regulate the quality of lights without the use of curtains». Obviously, Giedion is referring to sheets of crystal. What of pressed glass? In such a climate what lies in store for the glassblock? On account of the prerogative of usefulness associated with opaqueness, millions and millions are manufactured. Some are stored in industrial warehouses and sold to wholesale agents. Some are used for the pre-fabrication of architectural elements. What happens to production rejects? Almost all of them are thrown into the crucible of the glassmaker’s oven. Some are brought to the dump without any remission. As a child, I used to rummage through the nearby scrap-yard near the wall surrounding the glassworks plant, I often found a strange stone. It seemed to have been generated by the irreparable failure of its vitrification, surely it wasn’t even good enough to be tossed into the crucible. 7. One indeterminate day in the 1970’s renowned, nonconformist critic Colin Rowe burst out with how transparency in itself is not that important a factor but in architecture it can be the instrument of simultaneous perception of diverse spatial situations. Heartbreaking for many architects who work on text and context and begin to believe that simultaneous perception can be critical and operative at the same time. It also opens their minds and they start thinking about a model that features transparent bulkheads, even without diaphragms. A feeling of an uncertain project, an omen of liquid spatialism. 8. At this point I would like to grant myself a rhapsodic tale. In the Orient between the 1980’s and 90’s, it must be that Japanese architects hate the brick wall; deprecate the opaque glass block wall that is always too bulky; not liking the transparent clear glass wall as much as adopting the same concept converted into a curtain to be used as a retro-appostion for plastic or cloth drapes, preferably in a milky shade. These curtains, combined, create a kind of light envelope to the floor, are an enticing revelation that is incompatible with the peculiar duration of Western art of building. From 1989-1992, in the Western countries, the cultural climate opens up. Therefore, Dutch architect Wiel Arets, appointed to present the project and design of the Maastricht Academy of Art and Architecture, detesting all that is rescinded from esprit de finesse in any way and having abandoned Perret’s manner of filling spaces of the post-and-beam, decides to employ the rite of purification – to the re-visitation of the Le Corbusier panel. He traces the design, «painting the rectangular, almost square-shaped canvas», alluding to a division of the field into many squares. Gradually, the rite is transformed into a disciplinary exercise – planning and prefabrication into the creation of the glassblock panel complete (basic glassblock) with its unusual transparency. So, he ‘has abstract paintings hung’ while the construction site is still open,


A quanto è dato constatare: esito sublime, insieme epifanico e durevole, opaco e trasparente, archittettura assegnabile alla cappella dell’edificio storiografico del tempo postmoderno. (Più avanti, tramite il suggerimento di Kenneth Frampton, additerò simulacri e tipo della cappella). Questo non è l’ultimo lavoro di Arets prevedente disegno, fabbricazione, posa isomorfica dei pannelli. Solo che, malauguratamente, le opere successive riusciranno impeccabili, cioé fredde e belle di bellezza impoetica. 9. A cavallo del ventunesimo secolo, Renzo Piano si oppone alla moda dei materiali che fanno il verso all’immaterialità. Forse per questo, in concomitanza con l’accettazione della commessa della Maison Hermès a Tokyo, opta per la ripresa della tradizione costruttiva tettonica, opere high-tech, forti e spaziose. Il programma è cogente, obbligante alla creazione della showroom monomarca, organismo multipiano, sorgente dalla stazione metropolitana Gynza, fronte stretta sulla arteria commerciale battuta dal traffico incessante, fronte lunga sul vicolo, che lo separa dall’edificio alto dirimpettaio. A Piano spettano progettazione e costruzione. E Piano schizza, disegna, simula il costruito al computer. Ideazione e innovazione non lo toccano da vicino, semmai riguardano i tecnici della Seves Glassblock, azienda leader mondiale nel campo della produzione del vetromattone (tra loro, intendo menzionare Max Davighi). Ideazione. In base alle esigenze, non ai propositi dell’autore genovese, si ricorre al sistema Tailor Made, si allestisce il modello e dal modello viene tratto lo stampo, L’impasto della sabbia è arricchito di ferro, sicché il nuovo glassblock riesce proprio trasparente (malgrado la diffrazione sia inevitabile). Formato eccedente il formato consueto: dal 20x20 si sale al 30x30 (lo stesso del foulard di Hermès). Aggiunta giro giro della finitura metallica a ali tese (un mattone a ali tese ricorda il mitologico cavallo con le ali: donde l’appellativo di Pegasus). Innovazione. L’innovazione veramente rimarchevole consiste nell’agire le vitree facciate continue, di modo che ognuna non rivesta il ruolo di facciata a sé ma partecipi in maniera determinante dell’involucro di pelle trasparente e antidecorativa. La quale, pelle, a sua volta risulterà organica all’intero corpo di fabbrica, senza possibilità di venir tolta dalla ‘carne’. 10. Non sarà a caso se, di recente, l’insigne critico Kenneth Frampton, pioniere dello studio analitico della Maison de Verre, vorrà aumentare il suo fortunato Architettura moderna: una storia critica, mediante il paragrafo funzionale alla individuazione della tendenza architettonica. Isole nella corrente, tre opere scalate nel tempo e nella posizione geografica, tanto accomunabili per il ricorso alla materia vetrosa, quanto differenti in ordine alla tipologia dell’uso e al relativo effetto tettonico. «Il minimalismo svizzero-tedesco sembrerebbe aver esercitato una certa influenza anche oltre confine, in particolare sull’architetto olandese Wiel Arets e sulla sua Accademia d’Arte e Architettura (1989-93), abilmente inserita nel nucleo storico della città di Maastricht. La complessa configurazione di questo edificio a quattro piani si articola in un telaio strutturale architravato di calcestruzzo armato con tamponamenti di vetrocemento. In questo caso l‘immagine complessiva deriva dall’unico materiale, anche se (come nella Maison de Verre di Pierre Chareau e Bernard Bijvoët a Parigi del 1932) aperture con telaio di acciaio e vetri trasparenti interrompono la continuità dei mattoni di vetro. Anche Renzo Piano farà poi ricorso a un involucro avvolgente di mattoni di vetro per la Maison Hermès, realizzata a Tokyo nel 2001, riuscendo, in questo caso, a evitare il ricorso

and every painting will be inserted in its corresponding spot between one pillar and another, one beam and another. Taking it into careful consideration, conceptually and sensibly, it will be the structural form that depends on the panel and not vice-versa. It is easy to verify the results: they are sublime, revealing and enduring, opaque and transparent, an architecture to be awarded to the chapel of the Historiographic building of post-modern times. (Later, with a suggestion from Kenneth Frampton, I will point out simulacrums and the type of chapel) This is not the last work by Arets featuring a planned design, fabrication and the isomorphic positioning of panels. Unfortunately, later works will turn out to be impeccable. That is to say, they are cold and beautiful but their beauty is lacking in poetry. 9. Between the 20th and 21st centuries, Renzo Piano opposes the style adopted by material to imitate the immaterial. Perhaps it is for this reason, in conjunction with his acceptance of a request from the Maison Hermès in Tokyo, he chooses to recapture the tectonic tradition of construction, high-tech works that are powerful and spacious. The programme is binding: calling for the creation of a one brand showroom, a multi-storey organism rising from the Gynza underground station, the narrow entrance along the commercial strip located on a street with incessant traffic, the long entrance onto an alley that separates it from the tall building standing in front of it. Piano has the assignment of planning and construction. And Piano sketches, designs, simulates the building on the computer. Conception and innovation do not directly involve him. Those details regard experts from Seves Glassblock, world leaders in the field of glassblock construction (among them, I would like to mention Max Davighi). Conception. Based upon the demands and not the intentions of the Genoa-native architect, the Tailor Made system will be adopted, the model is set up and the mould will be cast from this. The sand mixture is enhanced with iron, so that the new glassblock will appear transparent (notwithstanding the fact that a defraction is inevitable). The dimension exceeds the usual format: from 20x 20 it increases to 30x30 (the same measurements of a Hermès scarf). A metal finish with outstretched wings is added around the borders (a brick with outstretched wings evokes the image of a winged horse: from which the name Pegasus is derived). Innovation. The truly remarkable innovation consists in positioning the continuous glass façades in such a way that each one does not assume the feature of façade in itself, but it participates in a determining manner in the transparent and anti-decorative outer layer (skin). The façade in ‘leather’ in turn will be organic to the entire structure, without any possibility of being separated by the flesh. 10. It is no coincidence if recently renowned critic Kenneth Frampton, a pioneer of the analytic study of the Maison del Verre would like to add to his successful Modern Architecture: A Critical History with this functional paragraph regarding the individuation of the architectural tendency. An island in the current, three works that have risen through time and in their geographical position, as associated with the recourse to glass material as they are different in the order of the ways they can be used and their relative tectonic effect. Loosely translated, he states that Swiss-German minimalism seems to have exercised a certain influence over the border, in particular to Dutch architect Wiel Arets and his Maastricht Academy of Art and Architecture (1989-93), skillfully inserted in the city’s historic nucleus. The complex configuration of this 4-storey building is split into a structural architrave frame out of reinforced

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alle finestre. Come nella Maison de Verre, una caratteristica comune a questi edifici – data dal carattere tettonico dei blocchi di vetro – è il modo con cui sia il telaio strutturale che la membrana traslucida articolano il carattere dello spazio interno». 11. Oggi, a Bilbao, nei pressi del Museo Guggenheim di Frank Gehry (1998) e della Biblioteca Deusto di Rafael Moneo (dieci anni dopo), la partita tra l’opaco e il trasparente si avvia al finale, ed è probabile termini con il pareggio. Nel mentre, va richiamato l’assioma teorico, direi l’assioma teorico fondamentale di Rafael Moneo, già rinvenibile nella slegata dispensa universitaria. La formulazione è all’incirca questa: l’adesione ai principi inerenti all’esperienza dell’architettura A o B non comporta di necessità, nell’esperienza C, l’adozione degli stessi elementi linguistici. L’identità profonda della sede, infrastruttura dell’ampio territorio urbano e extraurbano e, insieme, attrezzatura lungo la riviera del Nervión, la forma sconvolta,che trae partito dalla dimensione stessa dell’insediamento in quel sito, sono designabili quali principi presiedenti all’architettura del museo. Quali che siano le dichiarazioni ufficiali, almeno al primo di questi l’architettura della biblioteca tiene fede coraggiosamente, rendendosi essenziale ai sistemi insediativi generali (specie a quello universitario), perno del paesaggio fluviale.

Di contro, la biblioteca scarta di parlare il medesimo idioletto parlato dal museo, sceglie invece di articolare il raffinato contestualismo critico. Se l’organismo esploso del Guggenheim è ricoperto completamente di cieche scaglie di titanio impermeabile; allora l’organismo quieto della Deusto, raccolta nella forma cubizzante finto-cilindrica, risulta rivestita dall’involucro, involucro dato dall’installazione in curva blanda dei nuovi mattoni di vetro a basso lambda, sfornati da Seves Glassblock, in trentaseimila pezzi – tutti dotati di scanalature profonde, lungo le quali scende l’acqua piovuta dal cielo nuvoloso sopra l’estuario; e per via delle scanalature ecco il nome: Dorico (designer: Rafael Moneo). Involucro di pelle rigata lungo la verticale, pelle opaca, spenta, – come lo era la pupilla borgesiana. Che questo tegumento sia opaco, non significa che manchi di luminescenza. Più tardi, la luce artificiale sarà accesa. La retroilluminazione provocherà strisce luminose di strisce avvolgenti, visibili dall’esterno, capaci di rischiarare appena il notturno bilbaino. Non sfuggano, a est e a ovest, i magnifici spicchi a tutta altezza, di cristallo, lucido e terso, intesi a propiziare gli sguardi, lanciati dalla sala alla gran macchina museale; dall’ufficio al campus universitario. Il successo di questa ennesima fatica di Moneo è da ricercare nel suo essere dimostrativa. Essa spiega e prova come al ricorso alla teoria dogmatica occorra sostituire la strategia progettuale delle soluzioni flessibili. Come all’obbedienza all’imperativo miesiano oppure all’imperativo lecorbusieriano occorra lasciar subentrare il ragionamento critico e la strategia progettuale per cui l’opaco sia là dove la fabbrica possa e debba essere opaca, il trasparente sia là dove la fabbrica possa e debba essere trasparente.

concrete and glass block wall filling. In this case, the overall image is derived from a single material, even if (like in Pierre Chareau and Bernard Bijvoët’s 1932 Maison de Verre in Paris) openings featuring steel frames and transparent glass interrupt the continuity of the glass bricks. Renzo Piano will also employ the glass brick building envelope for his Maison Hermès created in Tokyo in 2001. In this case he was able to avoid the use of windows. As in the Maison de Verre, there is a common feature between the buildings (given the tectonic characteristics of glass blocks): the way in which the structural frame as well as the translucent membrane articulate the characteristics of its interior. 11. Today, the match between opaque and transparent is approaching its conclusion in Bilbao near Frank Ghery’s Guggenheim Museum (1998) and the Rafael Moneo’s Deusto Library (ten years later). It is probable that this match ends in a tie. In the meantime, the theoretic axiom should be recalled. I would venture to call it Rafael Moneo’s essential theoretic axiom, already retraceable in the detached University pantry. The formulation is pretty much the following: the adherence to principles that are inherent to the experience of architecture A or B does not necessarily lead to experience C, the adoption of the same idiomatic elements. The profound identity of the location, the infrastructure of the wide urban and extra-urban territory together with the fixtures along the Nervión, the disarranged shape, that takes its cue from the dimension itself of the installation on the site, are designable as presiding principles of the museum’s architecture. Whatever the official declarations, at the very least the first of these the Library’s architecture remains courageously faithful, making itself essential to the general installation systems (especially with those regarding the University), the mainstay of the river’s landscape. On the other hand, the library rejects the typical expressive form of that of the museum, preferring to articulate the refined critic contextualism instead. If the explosive organism of the Guggenheim is completely covered with blind, waterproof slivers of titanium; then the tranquil organism of the Desuto, gathered in a cube-like, pseudo-cylindrical shape appears to be covered by its enclosure. This enclosure is created with an installation of a mild curve of 36,000 new, low Lambda index Seves Glassblock glass bricks, all of which feature deep grooves along which rainwater falling from the cloudy skies above the estuary descends. The name Doric is derived from these grooves. (Rafael Moneo, designer). An enclosure made out of a ridged outer layer: an opaque, muted skin – like a Borgesiana pupil. Should this integuement be opaque, it does not mean that it is lacking in luminescence. Later, the artificial light will be turned on. Backlights will cause luminous stripes of enveloping stripes, visible from outdoors, capable of barely illuminating the Bilbao night. Impossible not to admire the magnificent segments of lucid, clear crystal, that rise to the top from east to west. All eyes will be upon it, from the monumental museum machine; from the office to the University campus. The success of yet another effort on the part of Moneo is to be found in his demonstrative being. It is clarified and proven by the fact that dogmatic theory must be substituted by the planning strategy of flexible solutions. Faithful to Mies’ imperative or to that of Le Corbusier, it is necessary to allow critical reasoning to take over and the planning strategy in which opaque is to be fabricated where it can and must be opaque, the transparent is to be fabricated where it can and must be transparent.


Dynamo Camp

di/by Paolo Di Nardo foto di/photos by Arrigo Coppitz

Recreational architecture

Dynamo Camp

Architettura ricreativa

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laboratori/labs teatro/theatre

mensa/dining hall

uffici/offices mensa/dining hall

residenze/housing

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40 m

planimetria generale/general plan fattoria cavalli/horses’ farm

piscina/swimming pool


nome progetto/project name Dynamo Camp progetto/project Elio Di Franco collaboratori/collaborators Luigi Pacciani strutture/structures Pietro Mele impianti tecnici/technical systems Francesco Sadovsky impianti elettrici/electrical systems Studio Tecnico 71 impianti idrotermosanitari/hydrotermosanitary systems Francesco Sadovsky direzione lavori/works management Elio Di Franco coordinatore della sicurezza/safety coordinator Stefano Finetti committente/client KME proprietà/owner KME impresa/general contractor CPF Costruzioni luogo/place Limestre (PT) superficie/area 10.000 mq/sqm data progetto/design date 2006 realizzazione/realization 2006/2007 costo/cost 13 milioni euro

sopra: vista generale delle residenze above: general view of the residential buildings nella pagina seguente: la mensa in the following page: the dining hall

Alla fine degli anni ‘80 Paul Newman dette vita in America al primo Hole in the Wall Camp il cui obiettivo era quello di rendere migliore la vita dei bambini affetti da gravi patologie che oltre a minarli nel fisico tolgono loro la forza e la gioia della vita sociale, del gioco e dello svago propri della loro età. Dopo 20 anni nasce il primo Camp italiano: su iniziativa della Fondazione Dynamo, una fondazione di venture philantrophy nata nel 2003 da un idea di Vincenzo Manes, viene recuperato e convertito il complesso degli edifici industriali della ex SMI Società Metallurgica Italiana, divenuta Europa Metalli del gruppo KME, a Limestre, alle pendici dell’Appennino Pistoiese. Per una volta il recupero di una vasta area industriale dismessa, situata in un contesto ambientale di assoluto rilievo, dichiarato Oasi Naturale dal WWF, non è finalizzato al suo sfruttamento speculativo, ma alla filantropia. La ‘terapia ricreativa’ è la base scientifica che ispira l’attività di questo Camp, come degli altri sparsi per il mondo. Questo tipo di terapia spinge i bambini affetti da gravi patologie a partecipare attivamente all’avventura del Camp, coinvolgendoli in esperienze in grado di valorizzare la socializzazione con altri bambini e di far riscoprire loro le proprie capacità. Gli effetti di tale terapia sono tali da mutare, positivamente, la capacità di questi bambini di confrontarsi con la propria malattia. Nella primavera del 2006 per il progettista, l’architetto Elio Di Franco, e per l’impresa, CPF Costruzioni, che ha realizzato l’intervento, inizia la sfida: ripulito il complesso da tutto ciò che non era funzionale e congruo alla nuova destinazione ma anche alla memoria del luogo, si trattava di creare nuovi spazi o adattare gli esistenti per facilitare la terapia ricreativa. Spazi stimolanti, facilmente riconoscibili, accessibili in ogni parte, in grado di favorire quelle attività così importanti per i piccoli ospiti, ed in grado di integrare gli spazi di vita quotidiana con l’ambiente naturale in cui il complesso è immerso. Il complesso si articola in 3 nuclei funzionali: le residenze, gli spazi ricreativi e di socializzazione, le strutture sportive. Gli spazi ricreativi e sociali sono di fatto il baricentro simbolico e funzionale dell’intero complesso, sottolineando così il loro ruolo fondamentale nella terapia. Il grande edificio della mensa, di nuova realizzazione, con la sua struttura trilitica, mista in legno e cemento armato, sembra voler richiamare simbolicamente gli elementi naturali che lo


In the late ‘80s, actor Paul Newman created the first Hole in the Wall Camp in America, a project aimed at improving the lives of children with serious medical conditions that not only undermine their health, but rob them of the energy and joy of socializing, playing and having fun like other kids their age. Twenty years later, a camp has now been founded in Italy: Fondazione Dynamo, a venture philanthropy foundation created in 2003 at the initiative of Vincenzo Manes, has recovered and converted the industrial complex that formerly belonged to SMI Società Metallurgica Italiana (later Europa Metalli – KME Group) in Limestre, on the slopes of the Pistoian Appennines. For once, the conversion of a vast, abandoned industrial area, located in a significant environmental setting that is a WWF nature preserve, is not geared towards speculation, but philanthropy. ‘Recreational therapy’ is the scientific idea behind the activity of this camp, like the other Hole in the Wall camps around the world. This type of therapy helps children with serious medical conditions become active participants in the adventure of camp life, engaging them in experiences that encourage socialization with other children and help them rediscover their own abilities. The effects of this therapy have a positive influence on the children’s capacity to deal with their illnesses. In spring 2006, the real challenge began for the architect, Elio Di Franco, and the construction company, CPF: once the complex had been cleared of everything that was not useful for its new purpose or for preserving the memory of the place, it was a task of creating new spaces or adapting existing ones for ‘recreational therapy’. These spaces needed to be stimulating, easily recognized, and completely accessible, both facilitating the activities that are so important for the young campers, and integrating daily living spaces with the natural surroundings. The complex is divided into three functional clusters: the dormitories, the recreational and social spaces, and the sports facilities. The spaces for recreation and socialization are the symbolic and functional heart of the entire complex, emphasizing their fundamental role in therapy. The large cafeteria building, which is a new trilithic structure made of wood and reinforced concrete, seems to symbolically echo the natural elements around

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10 m

pianta della mensa/plan of the dining building


circondano, gli alberi e la pietra, e la ‘semplicità’ formale che questi esprimono. Come in un gioco di costruzioni le imponenti travi si incastrano e si appoggiano l’una sull’altra; la pulizia delle linee, la trasparenza delle pareti, sembrano concentrare l’attenzione sullo spettacolo naturale circostante... Poi ti rendi conto che gli aspetti funzionali, tecnologici e costruttivi di una struttura in grado di, tenere libero da qualsiasi ingombro strutturale uno spazio di poco più di 1.000 mq in cui i bambini mangiano, si incontrano e giocano; di permettere l’uso di pareti vetrate, su 3 lati, senza soluzioni di continuità, che danno la sensazione di uno spazio aperto; di creare, con gli aggetti esterni, coperti, di 4 metri, degli spazi di transizione protetti fra interno ed esterno, sono forse più importanti della loro essenziale, seppur raffinata ed indiscutibile, qualità estetica. Lo stesso concetto si ritrova ovviamente anche negli altri immobili, anche se si tratta di ristrutturazioni: le residenze, ad esempio, o la piscina od il centro medico adiacente alla mensa. Le prime, ricavate in uno dei vecchi edifici industriali, molto rassicurante con la sua forma tradizionale, così simile ai disegni dei bambini, ma ugualmente divertente, stimolante ed originale con le sue numerose finestre, ognuna con un vetro di colore diverso: un ‘gioco’ architettonico, ma anche uno strumento terapico forte, in grado di stimolare i sensi e la fantasia con una forte spinta simbolica – il mondo esterno che appare colorato, ma che al tempo stesso entra all’interno attraverso le tantissime finestre. Allo stesso modo la piscina coperta, che sfrutta tecnologie bioclimatiche per il suo riscaldamento, ha le pareti in gran parte vetrate, su cui scende in modo asimmetrico, la falda del tetto come una coperta, protettiva. Il progetto residenze, interno ed esterno housing building, interior and exterior nella pagina seguente: la piscina in the following page: the swimming pool

del centro medico ha, da parte sua, fatto convivere gli aspetti più strettamente funzionali e tecnologici, con il desiderio di trasformare questo spazio in qualcosa di divertente, di accogliente, che fosse il più lontano possibile dall’idea di ‘cura’ od ‘ospedale’. è evidente come in questo caso il progetto, l’architettura, del Dynamo Camp di Limestre, pur presentandosi ai suoi livelli più alti, sia prima di tutto uno strumento per migliorare la qualità della vita di questi bambini, rompendo, simbolicamente, ma anche fisicamente, quell’isolamento dal mondo esterno che la malattia ed il suo trattamento creano.


it, the trees and stone, and the ‘simplicity’ of their forms. Like a construction toy, it has massive interlocking beams that rest on each other; its clean lines and transparent walls seem to focus attention on the spectacular natural surroundings... Then one realizes that the functional, technological, and structural aspects of this building design—which manages to eliminate all obstructions from a space of just over 1000 sqm, where the children eat, play, and spend time together; that allows for seamless glazed walls on three sides, to give the feeling of an open space; that uses roofed, four-meter external projections to create sheltered transitional spaces between the inside and outside – are perhaps more important than their pared-down, yet unquestionably sophisticated aesthetic quality. The same concept can obviously be found in the other buildings, even though they are renovations: the dormitories, for example, or the swimming pool and the medical center adjoining the cafeteria. The former, located in one of the old industrial buildings, have a very reassuring, traditional form, quite similar to children’s drawings, but are also fun, stimulating and original, featuring a large number of windows, each with different coloured glass. This architectural ‘game’ is a powerful therapeutic tool that spurs the senses and the imagination through a strong symbolic stimulus: the outside world becomes a colourful place, and also makes its way inside through the many windows. In a similar way, the indoor pool, which is heated using bioclimatic technology, has walls made mostly of glass, and an asymmetrical pitched roof that descends over them like a sheltering blanket. The design for the medical center also combines strictly functional, technological elements with the desire to make this space fun and inviting, as far removed as possible from the idea of ‘doctors’ or ‘hospital’. One can clearly see how the design and architecture of the Dynamo Camp in Limestre, though of outstanding quality, is first and foremost a tool for improving these children’s lives, breaking down the symbolic and physical barriers that illness and medical treatment have placed between them and the outside world.

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pianta della piscina/plan of the swimming pool

prospetto sud/south elevation

sezione aa/section aa

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prospetto ovest/west elevation



Piazza SMN

SMN Square

di/by

Fabio Rosseti

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A new place to stay

Un nuovo luogo da vivere

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40 m

planimetria generale/general plan


dettagli delle panche e della pavimentazione details of the benches and of the paving

La Piazza di Santa Maria Novella, prospiciente l’omonima chiesa, ha assunto nell’ultimo decennio sempre più una immagine anomala di ‘piazza secondaria’, quasi un ‘retro’ della ben più viva, produttiva e caotica Piazza della Stazione. Per i Fiorentini sembrava aver perso il suo ruolo, la sua importanza, a favore dei turisti o di un transito frettoloso. In questa sorta di abbandono la piazza è stata tenuta viva da alcune comunità di extracomunitari, unici in quel periodo a dare a questo spazio la sua funzione originaria di luogo di incontro, popolare. Nel 2007 il Comune di Firenze, grazie al progetto dell’architetto Maurizio Barabesi, dà il via al recupero della piazza con lo scopo di far sì che questa diventi nuovamente anche per i Fiorentini quel luogo di incontro e di comunicazione che è sempre stato. Il disegno generale recupera in maniera decisa quello creato da Porcinai negli anni ‘40 del secolo scorso, rinunciando però alla grande aiuola romboidale centrale, con la sua fontana. Il fuoco centrale della nuova piazza è una installazione composta da sette manufatti, sette ‘panche’, realizzate con materiali e colori diversi (corten, legno, vetro, acciaio inox), il cui gioco di trasparenze ed opacità, grazie alla presenza di luci esterne ed interne, di superfici riflettenti o grezze, di monitor che diffondono immagini, attrae, incuriosisce, stimola la comunicazione, l’incontro, fra le persone. è una dichiarazione di intenti molto netta quella di Barabesi, sottolineata da scelte progettuali forti, pur nel rispetto della storicità del luogo: la piazza è un unico piano di calpestio complanare, dove anche il prato è parte integrante della pavimentazione; la pavimentazione vera e propria, in pietraforte Albarese dell’Appennino, richiama la facciata dell’Alberti disponendosi parallelamente a questa, sottolineando questo rapporto con una rigatura discontinua della superficie e dei ricorsi di acciaio corten ad intervalli regolari. Nella pietra della pavimentazione è incisa anche la linea che, idealmente e fisicamente, veniva tirata nell’antichità fra i due obelischi cinquecenteschi con un canapo, scandendo lo spazio. Questa grande piazza recupera così la sua funzione originaria non attraverso una sterile restaurazione delle sue condizioni ma attraverso un profondo lavoro di attualizzazione dello spazio facendo convivere i valori del passato con una contemporaneità materica e funzionale. La piazza ritorna così ad essere luogo di riferimento del vivere quotidiano.


Over the last decade, Piazza Santa Maria Novella, named for the church it lies in front of, has increasingly taken on the anomalous image of a ‘secondary piazza’, almost a ‘backstage’ to the much livelier, productive and chaotic Piazza della Stazione. To Florentines, it seemed to have lost its role and its importance: a place left to the tourists or crossed through in haste. In this state of neglect, the square was kept alive by certain immigrant communities, the only people in that period who preserved its original function as a public gathering place. In 2007, the City of Florence undertook a restoration project based on a design by architect Maurizio Barabesi, with the aim of restoring the square’s status among Florentines as the space of socialization and exchange that it has always been. The overall design clearly restores the layout created by Porcinai in the 1940s, although it sacrifices the large diamond-shaped central lawn and fountain. The focal point of the new square is an installation composed of seven structures, ‘benches’ of different materials and colours (corten steel, wood, glass, stainless steel), whose pattern of transparency and opacity – created through external and internal lighting, rough or reflective surfaces, monitors playing images – attracts and intrigues people, stimulating communication and interchange. Barabesi’s project is a very clear statement of intent, underscored by design choices that are bold, yet respect the history of the site. The square is a single plane in which even the lawn becomes an integral part of the surface; the actual paving, made of Pietraforte Albarese stone from the Apennines, evokes Alberti’s facade, arranged parallel to it and underscoring this relationship with broken stripes and courses of corten steel at regular intervals. The paving stones are also engraved to show the line that was physically and conceptually drawn in ancient times between the two 16th-century obelisks by a rope that marked out the course for chariot races. This large piazza has thus recovered its original function, not through a sterile restoration to its previous state, but through a profound modernization of the space that weds the values of the past to contemporary materials and services. The square has therefore once again become key spot in the daily life of Florence.

nome progetto/project name Recupero e riqualificazione di piazza Santa Maria Novella Restoration and redevelopment of Santa Maria Novella Square progetto/project Maurizio Barabesi collaboratori/collaborators Marzia Cantini Giovanni Cansella, Nicola Curradi, Giuseppe De Grazia, Rodrigo Diodati, Margherita Tricca, Francesca Privitera, Giuseppe Maradei, Massimo Frosini, Sandra Pratesi, Matteo Redi, Claudio Trimarco direzione lavori/works management Maurizio Barabesi collaboratori alla direzione lavori/collaborators to the works management Marzia Cantini, Andrea Fiorini, Pietro Di Tore coordinatore della sicurezza/safety coordinator Vito Tafaro RUP/municipal coordinator Giuseppe Cini collaboratori del RUP/municipal coordinator’s collaborators Patrizia Moreno, Giovanni Cinanni, Cristina Brogi committente/client Comune di Firenze – Direzione Cultura, Servizio Tecnico Belle Arti e Fabbrica di Palazzo Vecchio impresa appaltatrice/general contractor Lami Costruzioni pietra ‘albarese’/‘albarese’ stone F.lli Bianchi manto erboso/grass Bindi Secondo impianto di irrigazione/irrigation system Pollice Verde installazione centrale/central installation ingegneria/engineering Leonardo Paolini – Sertec video installazione/video installation Leonardo Betti carpenteria metallica/metal carpentry Comea opere di vetro/glass works Santelli Vetri impianto illuminazione, elettrico ed elettronico lighting, electrical and electronic systems Ciem, Avuelle video/video Switch Craft luogo/place Firenze data progetto/design date 2001 fine lavori/completion 2009 costo/cost 2.143.000 euro

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Next Florence Next Florence

Switch – Creative Social Network La contemporaneità non è semplicemente la ricerca estrema di nuovi linguaggi, la tutela del patrimonio artistico del passato non si limita alle reti antipiccione e alla peridoica pulizia dello smog dai monumenti. Il progetto di riqualificazione urbana di Santa Maria Novella rappresenta un unico nella nostra città di come contemporaneità e tutela del patrimonio possano avanzare insieme, supportandosi a vicenda, rompendo l’ormai stantia contrapposizione fra il grande passato e la ricerca di un futuro per Firenze. A partire dai nuovi arredi urbani – frutto di un approfondito studio sulla struttura e l’orientamento originario della piazza – fino all’installazione video che ne sta al centro, la nuova SMN è a tutti gli effetti a new place to stay, ma anche un bel passo avanti nella concezione del rapporto fra classico e contemporaneo: la tecnologia e il linguaggio dell’oggi al servizio del patrimonio di ieri. L’installazione video full HD che giace orizzontalmente, senza irrompere nelle architetture, ha le potenzialità tecniche per ospitare le più svariate sperimentazioni di video arte, ma anche contenuti e multimedia che promuovono e informano sulla ‘classicità’ che la circonda. La fruizione stessa dei contenuti non è imposta – come nei vari megaschermi inseriti in molte recenti riqualificazioni – ma abbisogna dell’interesse e della vicinanza dei fruitori, in una logica della visibilità urbana che si discosta nettamente dagli standard commerciali e dalla venerazione incondizionata della tecnologia. Qualcuno recentemente ha scritto che «si può essere pienamente immersi nella contemporaneità anche sviluppando progetti che riguardano il patrimonio storico-artistico, gli archivi o la musica barocca», la nuova SMN è un primo bell’esempio in questa direzione.

Switch – Creative Social Network The state of being contemporary is not simply the extreme pursuit of new idioms. The safeguard of the past’s artistic heritage is not limited to the nets set up to keep the pigeons away and the periodic smog removal from monuments. The SMN urban regeneration project is a unique example for our city of how being current and safeguarding our heritage can progress side by side, sustaining one another, breaking what has become a stale opposition between a great past and the pursuit of a future for Florence. Starting with new urban furniture – a result of an in-depth study pertaining to the structure and original orientation of the piazza – up to the video installation in the old town centre, the new SMN is ‘a new place to stay’ in every sense. It is also a great step ahead in the conception of the relationship between classic and contemporary: today’s technology and terminology at the service of yesterday’s heritage. The full HD video installation that is positioned horizontally, without invading the architecture, possesses the technical potential to host the most diverse video art experimentations as well as services and multimedia that promote and inform the public about the surrounding ‘classicism’. Making use of the services is not obligatory – as is the case with the various mega screens found in many recent urban regenerations – but it needs the interest and the proximity of its users within the logic of an urban visibility that absolutely moves away from commercial standard and unconditional love for technology. Someone recently wrote that «we can be completely immersed in today’s modernity while developing projects pertaining to an historic-artistic heritage, archives or baroque music». The new SMN is the first valid example in this direction.

le installazioni video full HD orizzontali the horizontally positioned video installations


Opacità Il limite della trasparenza

di/by

Gianni Cavallina

Un tempo, un uomo delle prime epoche, sotto il sole del Mediterraneo, capì che poteva, come tanti altri animali, costruirsi un rifugio, per sé e per i suoi cari, un rifugio che lo riparasse dai temporali e nel quale potesse in qualche modo riscaldarsi la notte e difendersi dalle bestie feroci. Lo aveva già trovato, questo rifugio, lo aveva trovato suo padre, ed il padre di suo padre. Non c’era bisogno di stancarsi, di ferirsi le mani, la caverna, l’anfratto, era già là, a sua disposizione. Ma ora pensò che poteva avere una sua tana, proprio come gli animali, e che, con un po’ di fatica, poteva crearsi una sua ‘caverna’. La caverna era fatta di massi, e lì, sotto il sole, tra il mare e la colline c’erano tanti massi, pochi cespugli di mirto, e, di tanto in tanto, qualche leccio. L’uomo agisce, si fa faber, e mette un sasso sopra un altro, poi altri ancora. L’uomo crea un muro, che gira intorno e ricrea la caverna. Manca ora una difesa dalla pioggia; frasche intrecciate; ma è meglio affidarsi ancora ai sassi, e concludere verso l’alto il cerchio, fino a creare una volta. Quello che l’uomo ha fatto con le sue mani è compiuto, sta in piedi, gli serve, proprio come la grotta naturale che Dio gli aveva preparato. L’uomo è felice, si è costruito, con le pietre, la prima ‘casa’. è una casa di pietra. Un uomo delle prime epoche, tra le brume del nord, tra umide pianure erbose e grandi boschi, tra montagne sferzate da pioggia e neve, capì che poteva, come altri animali, costruirsi un rifugio, per sé e per i suoi cari, un rifugio che lo riparasse dalle tormente, e nel quale potesse in qualche modo riscaldarsi e difendersi dalle bestie feroci. Lo aveva già trovato, questo rifugio, e lo aveva trovato suo padre, ed il padre di suo padre. Non c’era bisogno di stancarsi, di ferirsi le mani; gli alberi dei boschi, i tanti alberi erano un rifugio; ci si poteva fermare accanto, ripararsi da neve e pioggia, o arrampicarsi al primo pericolo, ed aspettare che lupi ed orsi, alla fine, si stancassero, ed andassero altrove. Ora capiva però che poteva avere per sé un suo bosco, e staccando con le braccia i rami, scalfendo i tronchi con pietre fino a farli cadere, trarne una serie di pezzi, divisi per grandezza e resistenza. E due tronchi potevano, infissi nella umida terra, reggere a loro volta un lungo tronco; ed ancora ripetere l’operazione con tronchi più bassi sui due lati lunghi del trilite. Poi unire le tre strutture con rami di fronte e sui lati, in modo da rendere stabile la costruzione; infine, con legni più fini, creare le pareti sui lati, lasciando davanti un vuoto, la porta. Infine, con frasche, tenute insieme, coprire la struttura; l’uomo si è costruita una capanna, la casa del nord. Sono luogo, clima, condizioni, a creare, in Europa, le due ‘forme’ dell’Architettura; la forma muraria, litica, al sud, e la forma lignea, al nord. Oggi ci troviamo a parlare di ‘trasparenze’, e sembra che poter vedere attraverso dia leggerezza, impersoni civiltà e progresso; il pianeta esalta quello che gran parte del Moderno aveva proposto come tecnologia dei tempi nuovi: la struttura metallica.

Opacity. The bounds of transparency One day, a man of primeval times, under the Mediterranean sun, figured out that like most other animals, he could build a refuge for himself and his loved ones, a refuge that would shelter him from storms, where he could keep warm at night and defend himself from wild beasts. He had already found such a refuge, as his father had, and his grandfather before. There was no need to tire his limbs and blister his hands; the cave, the cavern, was already there for him to use. But now it crossed his mind that he could have a den of his own, just like animals do, and that with a little effort, he could create his own ‘cave’. Caves were stone, and there, beneath the sun, between the sea and the hills, was stone after stone, a few shrubs of myrtle, and an occasional holm oak. The man takes matters into his own hands, becoming homo faber, and puts one stone atop another, then adds more. He builds a wall, which forms a circle and recreates a cave. Now he needs shelter from the rain: woven branches, perhaps, but it would be better to rely on stones again, and close off the circle at the top, to make a vault. The thing the man has crafted is now done; it stands upright, it is useful, just like the natural grotto that God prepared for him. The man is happy; with stone, he has built the first ‘house’. It is a stone house. A man of primeval times, in the foggy North, amid damp grassy plains, vast forests, and mountains lashed by rain and snow, figured out that like other animals, he could build a refuge for himself and his loved ones, a refuge that would shelter him from blizzards, where he could keep warm at night and defend himself from wild beasts. He had already found such a refuge, as his father had, and his grandfather before. There was no need to tire his limbs and blister his hands; the trees in the forest, tree after tree, were a refuge, he could rest beneath them, find shelter from the rain and snow, or climb them at the first sign of danger, to wait for the wolves or bears to give up and go elsewhere. But now it crossed his mind that he could make a forest of his own, and by breaking off the branches with his hands, scraping at the trunks with stones until they fell, he could collect a series of pieces, divided by size and strength. And if two trunks were set into the damp ground, they could hold up a long trunk, and then he could do the same thing with shorter trunks on the two long sides of the trilithon. Then he could connect the three structures with branches on the front and sides, to make the structure stable; and then, using thinner pieces of wood, create walls on the sides, leaving a hole in front, the door. And then finally, using bundles of twigs, he could cover it; the man had built himself a hut, the house of the north.

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archetipi dei due modi del costruire, il costruire in area mediterranea, muraria, o litica, la ‘grotta’ o ‘caverna’, e il costruire in area nordica, lignea, la ‘capanna’. (da C. Chiappi, G. Villa, Tipo, progetto, composizione architettonica, Firenze 1979) archetypes of the two ways of building, building in a mediterranean area, masonry or with stone, the ‘cave’ and building in a nordic area, wooden, the ‘hut’. (from C. Chiappi, G. Villa, Tipo, progetto, composizione architettonica, Florence 1979)

Mies van der Rohe, Padiglione della Repubblica tedesca a Barcellona, 1927 Mies van der Rohe, German Republic Pavilion in Barcelona, 1927

in apertura: un nuraghe e la sua apertura, esempio di un antico modo di costruire secondo il sistema murario, tipico dell’Europa mediterranea (da C. Norberg Schulz, Architettura, presenza, linguaggio, luogo, Milano 1996)/opening: a nuraghe and its opening, example of an antique way of building in the masonry system, typical of mediterranean Europe (from C. Norberg Schulz, Architettura, presenza, linguaggio, luogo, Milan 1996)

sopra: la struttura della capanna nordica, nella gerarchia degli elementi lignei, il palo verticale, Irminsul, il colmo, First, la copertura, Ridge (da C. Norberg Schulz, Il mondo dell’Architettura, Milano 1986) above: the structure of the nordic hut in the hierarchy of the wooden elements, the vertical pole, Irminsul, the top, First, the cover-up, Ridge (from C. Norberg Schulz, Il mondo dell’Architettura, Milan 1986)


© Gianni Cavallina

© Gianni Cavallina

© Gianni Cavallina Giorgio Grassi, restauro del teatro romano di Sagunto Giorgio Grassi, restoration of the Roman Theatre in Sagunto

via San Leonardo a Firenze/via San Leonardo in Florence

Álvaro Siza, uffici del rettorato del Campus universitario di Alicante, 2006/Álvaro Siza, Rectorate offices at the University Campus in Alicante, 2006

Ma questa struttura non è altro che derivazione dalla capanna lignea. è dalla capanna, e dal tempio greco, per arrivare alla raffinatezza matematica del gotico ed all’ingegneria ottocentesca delle grandi serre, che nasce l’architettura intelaiata, leggera, capace di captare la pallida luce del nord. D’altra parte è logico che, in presenza di luoghi brulli, sassosi, il muro di pietra, o di mattoni, muro spesso, continuo, con poche aperture, sia da sempre preferito per proteggersi dal clima caldo; ed è dalla coscienza muraria del costruire che deriva la piramide, il nuraghe, la grande architettura romana, romanica, rinascimentale, fino al denso cemento organico di Le Corbusier. Di certo l’odierna impiantistica ha risolto i problemi, e condizionamento, intercapedini, vetri speciali, hanno portato verso il modo nordico del costruire. Tuttavia ci sembra che certe caratteristiche dei luoghi, e la maggior semplicità costruttiva degli antichi sistemi murari, portino a ripensare i presupposti del Moderno. Vediamo che, al di là delle lezioni magistrali di Kahn, e del numeroso repertorio di opere murarie degli ultimi decenni (Ungers, Rossi,Botta, Siza, Natalini, Carmassi, Moneo, Grassi, Venezia, Campo Baeza) il ‘muro’ torni a costituire ‘segno’ inderogabile del territorio. Il muro, come ‘limite’, separazione tra un dentro ed un fuori, tra un conosciuto ed un ignoto, va anche inteso come ‘passaggio’, come ‘filtro’, come elemento che chiude, ma che, al contempo invita a scoprire il ‘nascosto’, a violare il Giardino delle Esperidi; il muro conserva ancora valore e fascino della prima costruzione. Le città antiche erano ‘denotate’ dalle loro mura, e dalle case dell’edilizia ‘povera’, ma ancor più dai segni, dagli elementi primari, chiese, palazzi, torri, che segnalavano la città; e nessuno di questi è trasparente. La città come opera d’arte costituisce la sua immagine figurale. L’immagine è opaca; le porte delle mura, così come finestre di palazzi, rosoni di chiese, feritoie di torri, suggeriscono l’entrata, la violazione. Che errore, per Sitte, la demolizione delle mura e la conservazione delle porte! Per girarci intorno anziché entrare? Che errore l’apertura di Via della Conciliazione! Apre totalmente la vista del porticato e della chiesa; prima i fedeli passavano dagli angusti Borghi, per esaltarsi nella sorpresa della visione, il San Pietro; metafora della vita terrena improvvisamente dischiusa nella visone del Paradiso. Al contrario cosa sono i muri di Villa Giulia, se non filtri tra una successione di mondi, il cortile semicircolare, i due giardini, il ninfeo, un succedersi di quinte verso l’infinito? La finestra è una ferita, ed il muro se ne lamenta, ma è ferita ‘utile’, che consente al muro di sostanziarsi nella sua ‘cosità’ fatta di pietre. La grande finestra è tale solo quando la struttura lo consente, quando questa è lignea, metallica, intelaiata, moderna. Il Padiglione della Germania di Mies è capolavoro dell’architettura ma è anche la fine del muro. Si deve vedere tutto, da fuori a dentro e da dentro a fuori; non ci deve essere sorpresa, ma, anzi, socialità ed etica comunanza degli uomini hanno da essere espresse attraverso la trasparenza. La scuola di Morbio, di Botta, non disdegna le grandi finestre, ce n’è bisogno; ma la parte muraria, cementizia, resta preponderante, e conserva una sua monumentale mediterraneità. Monumentalità intesa, da etimo, come ‘veicolazione di un messaggio’ ancora presente nel MART di Rovereto, dove l’unica trasparenza è lasciata alla grande copertura, ‘riparo’ della piazza interna, ‘segno di città’. è ancora un chiuso con aperture, che colloquia con il luogo costruito, così come colloquiano i muri di via San Leonardo sui colli fiorentini, che chiudono gli spazi interni, ma innescano un senso di scoperta, di superamento; l’opacità è la ‘trasparenza dell’immaginario’. Il Rettorato del Campus di Alicante, di Álvaro Siza, è proprio concepito come racchiuso in un analogo recinto murario. Si tratta di un recinto come quello di Villa Giulia, ma qui siamo di fronte ad un ‘monumento alla rovescia’: la dignità dell’edificio si abbassa alla semplicità del complesso rurale. E sono proprio le case dei contadini, esaltate da Loos come capolavoro dell’architettura, a mostrarci la valenza assoluta delle opacità murarie. Casale del Chianti, fienile emiliano, masseria pugliese, alternano muri ad aperture, a logge, a coperture, e tutto è funzionalmente legato al clima, alla terra, ai suoi materiali, a ‘opere e giorni’ del contadino, che usa la costruzione per la vita e il lavoro in relazione all’esposizione, al tempo, ai periodi di raccolto. L’opacità è a volte voluta: Giorgio Grassi, nel riuso del teatro romano di Sagunto la accentua con coraggio linguistico, chiudendo la parte posteriore dello scenafronte verso la città. Moneo, nell’archivio di Navarra, suggerisce una pelle simile a quella in pietra del vecchio castello, ma ne sottolinea la diversità temporale grazie alla diversa grana. Così anche nello splendido restauro del teatro romano di Cartagena, l’unica concessione che Moneo fa al moderno è un muro in pietra che denunzia immediatamente la sua diversità dai ruderi delle tribune, lasciati nella loro forma di rovina. Oggi l’opacità del recinto, pur nel caleidoscopico panorama ipertecnologico, sta nuovamente sollecitando l’opera di chi non disdegna concetti come memoria ed appartenenza. Splendido il bianco isolamento di due opere di Campo Baeza, Casa Guerrero a Cadice e l’asilo di Ponzano, manufatti nel recinto, recinto che l’autore ripropone in area nordica, per il Museo di Neuss, in Germania, usando il laterizio, con larghe finestre, in chiave con il genius loci regionale. Tre anni fa il tema della Biennale di Venezia era la Città di pietra e chi scrive si trovò, nel progettare una cattedrale ortodossa ed il suo contorno urbano, di fronte alle difficoltà di una muratura assolutamente tradizionale, in pietra. Quasi impossibile dimenticare gli insegnamenti di quella scuola del Moderno che è stata la facoltà fiorentina degli anni ‘60. Ma tutto veniva superato dal fascino dell’opaco, immaginando la bianca, abbagliante, pietra di Trani, diventare rosa al tramonto, sotto gli ultimi raggi del sole mediterraneo.

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Rafael Moneo, Restauro del teatro romano di Cartagena, 2004, muro di conclusione della cavea (foto di G. Cavallina 2009) Rafael Moneo, Restoration of the Roman Theatre in Cartagena, 2004, end wall of the cavea (photo by G. Cavallina 2009)

Location, climate, and environment are what create the two ‘forms’ of architecture in Europe: stone-based in the South, and wood-based in the North. Nowadays people talk about ‘transparency’, and it seems that being able to see through something entails lightness, embodies civilization and progress; the whole world extolls what much of Modernism presented as the technology of the new age: the metal structure. But this structure is merely a derivation of the wooden hut. A path leads from the hut, and the Greek temple, through the mathematical sophistication of Gothic structures and the 19th-century engineering of large greenhouses, to arrive at lightweight architecture, built around a framework, that can capture the pale light of the North. On the other hand, it is logical that in barren, rocky places, walls of brick or stone, thick, continuous walls, with few apertures, have always offered perfect protection from the hot climate, and skill in masonry is what led to the pyramids, nuraghe, large-scale Roman, Romanesque, Renaissance architecture, all the way to Le Corbusier’s dense organic concrete. Of course, modern building engineering has solved climatic problems, and air conditioning, cavity walls, and special glass have ushered us towards the Nordic style of construction. Yet it seems that certain local characteristics, and the greater structural simplicity of the old masonry systems, may bring people to reconsider the premises of Modernism. In addition to the brilliant lessons of Kahn, and the long list of masonry-based projects in recent decades (Ungers, Rossi, Botta, Siza, Natalini, Carmassi, Moneo, Grassi, Venezia, Campo Baeza), the ‘wall’ is making a comeback as an inescapable ‘sign’ of place. The wall, as a ‘boundary’, a separation between inside and outside, between known and unknown, should also be seen as a ‘landscape’, a ‘filter’, an element that closes off, but at the same time, invites one to discover what it hides, to trespass in the Garden of the Hesperides; the wall still preserves all the value and magic of primeval construction. Ancient cities were represented by their walls, and their ‘primitive’ houses, but even more by signs, by primary elements, the churches, palaces, and towers that marked the city, and none of these are transparent. The city as a work of art constitutes its figurative image. The image is opaque; the gates in the city walls, like the windows of its palaces, the tracery of its churches, the loopholes of its towers, suggest entry, violation.

What a mistake, in Sitte’s view, to tear down the city walls and keep the gates! Are we to walk around them instead of going through? What a mistake, to create Via della Conciliazione! It opens up a full vista of the colonnade and church, whereas before, pilgrims had to pass through narrow streets to then be overwhelmed by the stunning sight of Saint Peter’s: a metaphor of how earthly life suddenly blossoms into the vision of Paradise. On the other hand, what are the walls of Villa Giulia, if not filters between a series of worlds: the semicircular courtyard, the two gardens, the nymphaeum, a succession of frames leading to infinity? A window is a wound, and the wall may groan, but it is a ‘useful’ wound that helps the wall take on substance in its ‘thinghood’ of stone. A window is large only when the structure makes this possible, when it is wooden, metal, with a framework, modern. Mies’s German Pavilion is a masterpiece of architecture, but is also the end of the wall. Everything must be visible, from outside in and inside out; there must be no surprises; rather, social interaction and shared human values must be expressed through transparency. Botta’s school building in Morbio does not forego large windows, which are necessary; but concrete masonry remains preponderant, preserving a monumental Mediterranean character. Monumentality, in the etymological sense of ‘conveying a message’, can also be found in the MART building in Rovereto, where the only transparent element is the large glass dome, the ‘shelter’ for the inner courtyard, a ‘sign of the city’. Once again, it is an enclosed space with openings in it, interacting with the constructed site, as do the walls of Via San Leonardo in the Florentine hills, which close off the spaces inside, but create a sense of discovery, of crossing boundaries; opacity is the ‘transparency of the imagination’. The rectory building at the University of Alicante, by Álvaro Siza, is closed off by an analogous wall. It is an enclosure like the one at Villa Giulia, but here it is a ‘monument in reverse’: the dignity of the building is brought down to the simplicity of the rural complex. And farmhouses, which Loos praised as masterpieces of architecture, are precisely what show us the absolute value of opaque walls. Rural settlements in Chianti, barns in Emilia, fortified farms in Puglia all alternate walls with apertures, loggias, roofed spaces, and everything is functionally linked to the climate, the land, the earth’s materials, to the ‘opera et dies’ of the farmer, who uses the building for his life and work in accordance with sun and wind, time, harvest periods. Opacity is sometimes intentional: in his renovation of the Roman theater in Sagunto, Giorgio Grassi accentuates it with linguistic courage, closing off the rear of the scaenae frons towards the city. Moneo, for the General Archives of Navarre, uses a skin that is similar to the stone one of the old castle, but underlines the different era by using a different grain of stone. Likewise, in his splendid restoration of the Roman theatre in Carthage, the only concession that Moneo makes to Modernism is a stone wall that immediately proclaims its difference from the remains of the tribune, which are left in their ruined state. Today, the opacity of walls, even in the current hypertechnological, kaleidoscopic panorama, is once again inspiring the work of architects who do not spurn concepts such as memory and local identity. One splendid example is the white isolation of two projects by Campo Baeza, Casa Guerrero in Cadice and the nursery school in Ponzano: structures within an enclosure, an enclosure that the architect also uses in the North, for the museum of Neuss, in Germany, adopting brick, with large windows, in keeping with the region’s genius loci. Three years ago, the theme of the Venice Biennial was City of Stone, and this writer, in designing an Orthodox cathedral and its urban surroundings, found himself facing the challenges of utterly traditional masonry, made of stone. Almost impossible to put aside the lessons of the academy of Modernism that was the Florence school of architecture in the ‘60s. But they were all overcome by the fascination of opacity, imagining how the dazzlingly white Trani limestone would take on a rosy hue in the last rays of the Mediterranean sun.


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La scatola sacra FUKSAS, Complesso parrocchiale San Paolo a Foligno

Ceux qui ont plus de choses que de mots – c’est le commun. Ceux qui ont plus de mots que de choses – l’écrivain, l’orateur. Ceux qui ont plus de formes que de mots – les intérieurs. Paul Valery, Cahiers, D 615-616

testo di/text by Elisa Poli foto di/photos by Moreno Maggi

The sacred box Making the sacred speak is always

Far parlare il sacro è sempre un compito particolarmente difficile. Le cattedrali, costruite con le pietre

a particularly difficult task. Cathedrals, built in the stone of the centuries, sit unchanging – even when

dei secoli, risiedono immutabili – anche quando non ancora finite – nei luoghi più intimi ed esposti delle città; sono il simbolo della nostra cultura, il segno di uno spazio oggettivo, uno dei pochi forse

not yet finished – in the most intimate and the most exposed places in the city; they are the sym-

che oggi ci rimane. Le chiese storicamente erano la casa dei fedeli – quando la religione rappresentava un aspetto condiviso e condivisibile della società – uno spazio simbolico e al contempo vivibile,

bol of our culture, the sign of an objective space,

vissuto, consumato dal fumo delle candele e dal passaggio dei piedi degli uomini. Non è cambiato di

perhaps one of the few which are left nowadays. Historically, the churches were the house of the

molto questo atteggiamento anche quando ai luoghi sacri se ne sono aggiunti altri, fortemente evocativi del bisogno che il pubblico dimostra nei confronti della propria sintassi minima, come i musei, gli

faithful – when religion was a shared and shareable aspect in society – a space which is at the

stadi, le stazioni e gli aeroporti. Ma le chiese sono rimaste. Anche nel Novecento, quando la fabbrica ha rappresentato il nuovo culto delle città, anche quando Michelucci ha progettato il suo capolavoro

same time symbolic and accessible, experienced,

non più all’interno di una piazza ma nel movimento futurista dell’autostrada, anche allora il sacro ha

consummated and consumed by the smoke of the candles and the passage of the feet of mankind.

mantenuto la sua forza, forse l’ha accresciuta. Il primo ostacolo al concepimento dello spazio sacro risiede proprio in una dialettica insolubile: accogliere da una parte le numerosissime voci dei fedeli

This attitude has not changed a great deal even when other places have joined the ranks of those

che l’abiteranno e trasformarle in un oggetto ermetico, capace di contenere il silenzio, la preghiera interiore. Il secondo ostacolo consiste invece nel concetto di limite: il perimetro della chiesa non può

which are religious, strongly evocative of the need that the public shows in relation to its minimal syntax, such as museums, stadiums, stations and

essere approcciato se non con un taglio netto, una variazione di ritmo improvvisa. Non ci si avvicina al sacro, non lo si può omettere nell’attesa di una processione di eventi visivi che ce lo rendano meno totalizzante, lo si può solo vivere. Il terzo ostacolo, questo inerente alla nostra epoca, riguarda il lin-

airports. But there are still churches. Even in the twentieth century, when the factory represented the new cult of the city, even when Michelucci designed his masterpiece no longer in a city square but on the futurist movement of the highway, even then the sacred kept its strength, indeed perhaps it increased. The first hurdle at the conception of the sacred space truly lies in an insoluble dialectic: accommodate on one side the multitudinous voices of the faithful that will use it and transform it into an impenetrable object, able to contain silence, interior prayer. The second hurdle consists instead in the concept of limit: the edge of the space cannot be approached if not with a clear break, a sudden variation in rhythm. The sacred cannot be approached, it cannot be ignored waiting for a succession of visual events, making it somehow less all-encompassing, it can only be experienced. The third hurdle, this time inherent to our period, concerns communication: how can we

guaggio: come farlo parlare pur concedendogli il grande privilegio del silenzio? A far parlare il sacro ci ha provato di recente Massimiliano Fuksas attraverso il progetto per la Chiesa di Foligno. Un compito difficile, svolto con totale consapevolezza e dedizione. Il programma prevedeva la costruzione di un complesso parrocchiale costituito da un corpo principale destinato a chiesa, uno secondario occupato dalla sacrestia, mentre un terzo elemento, che unisce questi ultimi due, ospita la cappella feriale. Fuksas ha immaginato un edificio costituito da due parallelepipedi inseriti uno nell’altro, di cui il maggiore, esterno, cubico e silente è attraversato nella parte bassa da una larga e bassa feritoia che costituisce l’ingresso principale, a cui si accede tramite una rampa, mentre il secondo, come una scatola aperta e sollevata da terra, racchiude al suo interno l’altare e lo spazio di culto. La parte esterna, in calcestruzzo armato a vista è interrotta da una serie di aperture che richiamano metaforicamente antichi rosoni e concedono allo sguardo di penetrare la massa solida della chiesa. La parte interna – un velario con struttura in acciaio e finitura in intonaco di cemento alleggerito – viene appesa per mezzo di travi in acciaio posizionate in copertura. Questo elemento, che definisce la forma a pianta centrale, costituisce al contempo – proprio per la sua forma – l’idea di un peristilio interno senza colonne, suddividendo il percorso dell’atrio da quello della navata laterale e del presbiterio. L’idea molto forte di smaterializzare all’interno il senso dell’edificio lasciando che sia la luce, filtrata sapientemente, a formarne le gradazioni d’intensità, bilancia la geometria forte e pulita dell’edificio esterno che annuncia, nel paesaggio tutto triangolare delle montagne, la presenza del sacro contemporaneo. Le forme, in questa nuova opera di grande intensità, raccontano il senso di un percorso interiore che ha saputo coniugare i rimandi storici e le suggestioni di un’architettura archetipica.

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40 m

planimetria/site plan

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pianta piano terra/ground floor plan

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pianta primo piano/first floor plan

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sezione aa/section aa

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sezione bb/section bb

make it speak in order to deliver the great privilege of silence? Massimiliano Fuksas has recently attempted to

to create degrees of intensity, balances the strong, clear geometry of the external building which announces, in the totally triangular landscape of

make the sacred speak through the project for the Church of Foligno. A difficult task, carried out with total awareness and dedication. The plan aimed at the construction of a parish complex made up of a main body for a church, a second occupied by the sacristy, whilst a third element, joining these two, houses the weekday chapel. Fuksas has imagined a building made up of two rectangular blocks placed one inside the other, of which the larger, external, one, cubic and silent, is crossed at the bottom by a large low loophole which creates the main entrance, entered via a ramp, while the second, like an open box, lifted off the ground, encloses within it the altar and the worship area. The external part, in reinforced concrete has a view broken up by a series of openings which metaphorically bring to mind ancient rosettes and allow the eye to penetrate the solid mass of the church. The internal part – a veil in steel and finished in plastering of lightened concrete – is suspended by means of steel girders in a covering position. This element, which defines the form of the central plan, produces at the same time – precisely due to its shape – the idea of an internal peristyle without columns, subdividing the path of the entrance from that of the lateral nave and the presbytery. The excellent idea of dematerializing the meaning of the building to the interior, leaving the light, skilfully filtered,

the mountains, the presence of a contemporary sacredness. The shapes, in this new grandly intense work, communicate the sense of an internal journey which has known how to marry together the historical references with suggestions of an archetypical architecture.

nome progetto/project name Complesso Parrocchiale San Paolo/San Paolo Parish Complex progetto/project Massimiliano e Doriana Fuksas strutture/structures Gilberto Sarti impianti/systems A.I. Engineering interventi artistici/artistic contribution Enzo Cucchi, Mimmo Paladino impresa di costruzione/contractor Ediltecnica committente/client Conferenza Episcopale Italiana – Diocesi di Foligno arredi sacri in pietra Fuksas Design/sacred stone furnitures by Fuksas Design Scalpellino Maurizio Volpi arredi in legno Fuksas Desing/wooden furnitures by Fuksas Design Falegnameria Bertini corpi illuminanti Fuksas Desing/lights by Fuksas Design iGuzzini illuminazione luogo/place Foligno (PG) progetto/design 2001-2009 fine lavori/completion 2009 superficie lotto/site area 20.690 mq/sqm chiesa/church 610 mq/sqm complesso parrocchiale/parish complex 1.300 mq/sqm volume utile lordo/usable volume 87.000 mc/cm costo/cost 3.600.000 euro www.fuksas.it

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sezione cc/section cc

sezione dd/section dd

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Courtesy of Zaha Hadid Architects Š Michelle Litvin


Ombre fluide Zaha Hadid Architects, Burnham Pavilion a Chicago

testo di/text by

Laura Luperi

Fluid shadows A new pavilion is to be added to the

Un nuovo padiglione si va ad aggiungere alla lunga lista di architetture effimere progettate dal Pritzker

long list of ephemeral architecture designed by the Pritzker Award Winner Zaha Hadid, amongst which

Zaha Hadid, tra cui il celeberrimo Summer Pavilion per la Serpentine Gallery, il R. Lopez de Heredia Vina Tondonia Pavilion a Barcellona e l’itinerante Chanel Contemporary Art Container.

are the immensely celebrated Summer Pavilion for the Serpentine Gallery, the R. Lopez de Heredia

La realizzazione del Burnham Pavilion si inserisce fra le molte iniziative che comprendono anche la costruzione dell’adiacente installazione di Ben Van Berkel per celebrare il centenario del Plan of Chicago

Vina Tondonia Pavilion in Barcelona and the tour-

e riportare l’attenzione pubblica sulle problematiche della pianificazione urbanistica della Windy City,

ing Chanel Contemporary Art Container. The construction of Burnham Pavilion takes its

anche attraverso il coinvolgimento diretto della popolazione. Il piano, redatto da Daniel H. Burnham ed Edward Bennett nel 1909, universalmente riconosciuto come una pietra miliare della progettazione

place amongst the several initiatives, which also include the adjacent installation by Ben Van Berkel,

urbanistica, mirava a scelte che possiamo considerare ancora oggi strategiche, come la creazione di un sistema organico ed esteso di parchi, la valorizzazione delle risorse naturali, la riorganizzazione dei

to celebrate the centenary of Plan of Chicago and concentrate public awareness once more on the

trasporti e del centro civico. Il padiglione della star anglo-irachena è una vera e propria scultura dalle forme fluide che agisce da

problems of urban planning in the Windy City, also

landmark lungo la South Chase Promenade del Millenium Park.

through involving the population directly. The plan, put together by Daniel H. Burnham and Edward

Aperto al pubblico tra agosto ed ottobre 2009, potrà successivamente essere smontato e reinstallato in altro sito o ‘smaltito’ grazie ai materiali completamente riciclabili ed agli elementi facilmente smon-

Bennett in 1909, universally recognised as a milestone in urban planning, aimed at choices which even nowadays can be considered strategic, like

tabili e rimontabili che lo compongono. La spazialità multiforme e aerodinamica del padiglione, a cui peraltro Hadid ci ha abituato negli ultimi progetti elaborati con l’ormai imprescindibile Patrick Schumacker, in cui pareti, pavimento e soffitto

the creation of an organic and extended system of parks, the development of natural resources, and the reorganisation of the transport network and the central downtown area. The pavilion by the Anglo-Iraqi star is truly a sculpture in line with the fluid forms acting as a ‘landmark’ along the South Chase Promenade of Millenium Park. Open to the public between August and October 2009, it will then be possible to dismantle and reinstall it afterwards thanks to the completely recyclable materials from which it is constructed and its design in various sections which are easily put together and taken apart. The multiform and aerodynamic volume of the

si fondono, richiamando alla mente la vicina Cloud Gate, scultura a scala urbana di Anish Kapoor, nasce dall’elaborazione delle linee diagonali, tracciate da Burnham nel suo piano ad alterare la rigida griglia ortogonale degli isolati. Hadid ha rielaborato ed esteso questi tracciati, inserendoli fra le matrici progettuali e utilizzandoli per delineare le nervature e le aperture nel soffitto del padiglione. La complessa struttura curvilinea del padiglione è uno ‘scheletro’ di 7.000 elementi curvi di alluminio, ognuno diverso dall’altro, saldati fra loro e avvolti da un rivestimento in tessuto, che sottolinea il carattere temporaneo del manufatto e permette, al calar del sole, un’illuminazione mutevole dell’intero involucro. Così come l’adiacente padiglione di UNstudio vuole dare la possibilità ai visitatori di esplorare, secondo visuali inconsuete, il panorama cittadino attraverso il tetto galleggiante, altrettanto la scultura di Hadid, vera a propria esperienza multimediale, rivolge il suo tributo a Burnham e Bennet, proiettando sulle superfici interne del padiglione le video installazioni dell’artista inglese Thomas Gray che descrivono lo sviluppo urbanistico della metropoli dell’Illinois e i progetti contemporanei per il nuovo volto della città, nell’ottica di attirare l’attenzione sulle problematiche, ancora attuali, della pianificazione su vasta scala.

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c d

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pianta/plan 2,5 m

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B C

B

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sezione aa/section aa

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2,5 m

SECTION A

SECTION A

pavilion, which Hadid has already familiarized us with in the the test projects worked on with the by now essential Patrick Schumacker, in which walls,

sezione bb/section bb SECTION B SECTION B

B

A A

sezione cc/section cc SECTION C SECTION C

sezione dd/section dd SECTION D SECTION D

B

floor and ceiling blend, brings to mind the nearby Cloud Gate, an urban-scale sculpture by Anish Kapoor, originating in a design based on diagonal lines, sketched out by Burnham in his plan to alter the rigid othogonal gridwork of blocks. Hadid has reworked and extended these sketches, placing them within the planning matrices and using them to delineate the bands and the openings in the ceiling of the pavilion. The complex curvilinear structure of the pavilion isC a ‘skeleton’ of 7,000 curved aluminium parts, D C each one different, welded together and wrapped D in a covering of fabric, underlining the temporary nature of the artefact and, at the setting of the sun, allows the entire shell to be bathed in everchanging light. In the same way as the adjacent pavilion by UNstudio, it wants to give visitors the opportunity to explore, through bizarre imagery, the city’s skyline through the floating roof, likewise Hadid’s sculpture, truly a multimedia experience, addresses his tribute to Burnham and Bennet, projecting on to the internal surfaces of the pavilion the video installations by the English artist Thomas Gray describing the urban development of the urban landscapes of Illinois and the contemporary plans for the new face of the city, with the aim of drawing attention to the problems, still current today, of planning on a vast scale.


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Courtesy of Zaha Hadid Architects Š Michelle Litvin


Thomas Gray at The Gray Circle

viste interne ed esterne del padiglione e delle video installazioni/inner and exterior views of the paviion with a video-installation

Courtesy of Zaha Hadid Architects Š Michelle Litvin


nome progetto/project name Padiglione Burnham – padiglione temporaneo per installazioni multimediali/ Burnham Pavilion – temporary pavilion to house multimedia installation architetto/architect Zaha Hadid Architects progetto/project Zaha Hadid e/and Patrik Schumacher capo progetto/project architect Jens Borstelmann, Thomas Vietzke gruppo di progetto/project team Teoman Ayas, Evan Erlebacher architetto locale/local architect Thomas Roszak strutture/structures Rockey Structures realizzazione/fabricator Fabric Images illuminazione ed impianti elettrici/lighting and electrical Tracey Dear contenuto multimediale/multimedia content film/film installation: Thomas Gray, The Gray Circle progetto sonoro/sound design: Lou Mallozzi, Experimental Sound Studio committente/client Burnham Plan Centennial luogo/place Chicago, USA progetto/design 2001-2009 anno/year 2009 www.zaha-hadid.com

prospetto nord/north elevation

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NORTH

2,5 m

prospetto est/east elevation EAST

prospetto ovest/west elevation

prospetto sud/south elevation SOUTH

WEST

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Interazione e interferenza DAP Studio, Nuova biblioteca civica Elsa Morante

testo di/text by Azzurra Macrì foto di/photos by Luigi Filetici

Interaction and interference What happens when a

E se un’architettura contemporanea si accosta ad un oratorio dei primi del Novecento? DAP studio di

piece of contemporary architecture is placed alongside an oratory from the beginning of the twentieth

Milano (Elena Sacco, Paolo Danelli) ha dimostrato che la cosa non solo è possibile, ma che si possono creare delle interazioni fra il linguaggio della contemporaneità e quello della memoria senza produrre

century? DAP studio of Milan (Elena Sacco, Paolo Danelli) has shown that the thing is not only pos-

ferite, senza strappi. Anzi, coinvolgendo le due architetture in un unico gioco di volumi e di richiami, facendole diventare l’una anima dell’altra. Accade a Lonate Ceppino, in provincia di Varese, dove DAP

sible, but that it can be created in the interactions

studio è stato impegnato in un lavoro di restauro dell’ex oratorio di San Michele e nella realizzazione

between the languages of both the here and now and of memory, seamlessly and without damaging

di un ampliamento. Fra i due si inserisce un nuovo volume nel quale si trova l’ingresso. Con copertura vetrata, il corpo di congiunzione diventa, con il buio, una grande lampada che proietta la luce

the two. Indeed, involving the two architectures in a single game of volumes and recollections, each

interna verso l’alto, nel vuoto che separa i due volumi. Nell’edificio storico, ormai sconsacrato, è stata collocata la biblioteca civica Elsa Morante. Al piano superiore la sala delle capriate è uno spazio poli-

is made to become the soul of the other. It is all happening at Lonate Ceppino, in the province of

funzionale e flessibile destinato ad ospitare convegni ed esposizioni. L’ampliamento accoglie invece i collegamenti verticali, i locali di servizio, il magazzino, i bagni per il pubblico e il bagno per il perso-

Varese, where DAP studio has been involved in a

nale. Inoltre, all’ultimo livello, lì dove la copertura diventa in un angolo trasparente, quasi a catalizzare

restoration project at the old oratory of San Michele and in the creation of an extension. Between the

la luce esterna e a proiettare quella artificiale di notte, si trova uno spazio per una lettura più intima. I due volumi sono collegati al primo piano tramite una passerella in legno.

two, a new volume has been inserted, forming the entrance. Covered in glass, the body of this linking area becomes, with the onset of night, a great lamp

L’aspetto delle due architetture è decisamente diverso, ma il loro accostamento è avvenuto con garbo e sensibilità, sfruttando colori e materiali come strumenti di interazione. Entrambe candide, le due architetture si confrontano adottando materiali diversi, eppure vicini per gradazioni e tonalità. Il con-

which shines the internal light upwards into the emptiness which separates the two volumes. The historical building, now deconsecrated, now holds the local library, Elsa Morante. On the upper floor a wooden-raftered room is a flexible multi-function area for meetings and exhibitions. The extension on the other hand contains the utilities, the storeroom, the public conveniences and the staff bathroom. Furthermore, at the final level, in the corner where the covering becomes transparent, pretty much increasing the external light and projecting the artificial light at night, there is a more private reading area. The two volumes are connected on the first

fronto avviene anche per interferenze: la ricerca decorativa della facciata opaca dell’oratorio trova nel nuovo volume una superficie di rivestimento liscia, addirittura riflettente. «La dialettica tra edificio storico e nuovo ampliamento è la chiave di lettura di tutto l’intervento – spiegano i progettisti – ed è il tema che ha orientato le scelte progettuali. Il rapporto tra le due presenze è stato giocato contrapponendo matericità e leggerezza, solidità ed instabilità, materiali opachi e materiali riflettenti». Il nuovo volume è pensato come un guscio leggero in lamiera bianca forata su tutti i lati. In corrispondenza delle retrostanti aperture la lamiera si sovrappone alterando il diametro dei fori, i quali si allargano per fare passare la luce all’interno. Dall’esterno, l’effetto prodotto è quello di una perdita di consistenza dell’involucro. C’è un altro elemento, questa volta immateriale e dinamico, che predispone i due corpi al dialogo: è la luce, che di giorno li abbaglia e li distingue, producendo un’atmosfera di nitore quasi etereo, e di notte li avvicina attraverso un gioco di equilibri luminosi votato a sposare le due architetture in un unico corpo.

planimetria/site plan

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pianta piano terra/ground floor plan

b a

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pianta mezzanino mezzanine plan

pianta primo piano/first floor plan


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nome progetto/project name Nuova biblioteca civica Elsa Morante/New Local Library Elsa Morante progetto/design Dap Studio – Elena Sacco, Paolo Danelli progetto allestimento/interior design Dap Studio – Elena Sacco, Paolo Danelli collaboratori/collaborators Alessia Mosci, Paolo Vimercati, Fabio Pelizzari strutture/structures G.B. Scolari impianti/systems M. Piantoni, A. Bronzoni committente/client Comune di Lonate Ceppino (VA) impresa costruttrice/general contractor Gruppo Edilia allestimento/interior installation Habitat Italiana data progetto/design date 2006-2007 realizzazione/realization 2007-2008 costo/cost 460.000 euro www.dapstudio.com

sezione aa/section aa

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5m

floor by a wooden walkway. The appearance of the two architectural styles is decisively different, but they have been placed together with taste and sen-

sezione bb/section bb

prospetto sud/south elevation

sitivity, making use of colours and materials as tools of interaction. Both distinct, the two architectural styles contrast with one another through the use of materials which are different, but nevertheless near each to the other in nuance and tone. The relationship also works in terms of contrast. the decoration of the opaque facade of the oratory finds in the new structure a surface which is smooth, even reflective. «The dialectic between the historical edifice and the new extension is the key to understanding the whole work» explain the planners «and is the theme that has directed the design choices. The relationship between the two has been played with by juxtaposing weight and lightness, solidity and instability, both opaque and reflective materials». The new part is conceived as a light shell in white pierced sheet on all sides. In line with the rear opening the sheet overlaps, altering the sizes of the gaps, which widen to allow the light to enter. From the outside, the effect produced is one in which there is a loss of consistency in the outer shell. There is another element, this time intangible and dynamic, which aids the two in their dialogue. The light, which in the daytime dazzles the eye and distinguishes the two, producing an atmosphere of almost ethereal clarity, at night brings them together by playing on an illuminated balance which ultimately succeeds in marrying the two architectures into a single body.


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interno: il salone al primo piano e le connessioni verticali nella nuova annessione interior: the hall on the first floor and the vertical connections in the new annexion


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localizzazione dei mobili libreria al piano terra/location of the book-cases on the ground floor

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abaco delle librerie/abacus of the book-cases

[mobile al primo piano/book-case on the first floor]

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© Pietro Savorelli

nome progetto/project name Residenza studentesca Praticelli/Student housing Praticelli progetto e direzione lavori/project and works management Salvatore Re collaboratori/collaborators L. Parenti, F. Baldi, R. Bellina, R. Bernardeschi, I. Calvanese, R. Capocchi, G. D’Agostino, P. A. Log, M. Mariani, M. Trebbi strutture e impianti/structures and systems RPA – M. Rasimelli, D. Bonadies collaboratori/collaborators L. Bragetta, M. Cirimbilli, E. Coluzzi, M. Di Carlo, E. Favaroni, L. Iovine, S. Piazzoli, L. Spinozzi progetto idraulico/hydraulic design RPA – A. Scarinci progetto facciata in vetro e acciaio/design of the glass and steel façade Werner Sobek Stuttgart GmbH & Co. KG – Werner Sobek; Coopsette S.C.a R.L. Div. Teleya – Fabio Frambati

indagine geologica e geotecnica/geological and geotechnical survey Marcello Ghigliotti progetto del verde/landscape design Elisabetta Norci imprese/contractors Consorzio Etruria, COTREP luogo/place San Giuliano Terme (PI) data progetto/design date 2001-2005 realizzazione/realization 2005-2008 superficie lotto/site area 31.500 mq/sqm superficie parco urbano/urban park area 11.500 mq/sqm superificie utile lorda/gross area 25.000 mq/sqm volume utile lordo/gross volume 87.000 mc/cm costo/cost 28.713.000 euro (edifici/buildings); 600.000 euro (parco urbano/urban park) www.leonardoprogetti.com


Architettura di processo Salvatore Re, Residenza studentesca Praticelli

Alessandro Melis

e/and Laura Luperi intervistano/interview Salvatore Re

Alessandro Melis Praticelli, prima opera pisana di respiro europeo che si inserisce nel panorama architettonico nazionale: dopo Carmassi, a Pisa, sta cambiando qualcosa? Salvatore Re Sì, mi auguro infatti che Praticelli sia la prima di tante. Non c’è cultura dell’architettura, perché non è vista come un bene di utilità sociale. Basta vedere le mappe delle nuove architetture in Italia: mentre nel nord esistono reali possibilità di confronto, nel sud come anche nel centro la situazione risulta critica. Firenze ne è l’esempio: la storia che ci ha consentito di arrivare ad oggi con un grande bagaglio culturale è però l’elemento che ci ha soffocato; il bagaglio è diventato zavorra. Oggi si vede il progresso, la contemporaneità solo come qualcosa che può mettere in crisi l’equilibrio con la storia: l’urbanistica e l’architettura, si adoperano per l’uomo o no? L’attenzione all’uomo non è molto spesso evidente. La Toscana potrebbe offrire tante opportunità, e Pisa in particolare potrebbe, per le sue caratteristiche, emergere nel contesto regionale ed internazionale. La stazione ferroviaria, il Complesso di Piazza dei Miracoli, l’Università degli Studi di Pisa, la Normale, la Scuola di perfezionamento Sant’Anna, il CNR, sono gli elementi di una città che ha una connettività e una contemporaneità di avanguardia, di eccellenza; come mai poi tutte queste realtà non riescono veramente a dialogare? In fin dei conti forse il problema sta proprio nella condizione di isolamento delle varie componenti culturali della città, finché non si riuscirà a modificare questa visione, lo sviluppo della città sarà compromesso. Bisogna crederci: la città offre già tutte le possibilità per trasformarsi, è un processo inevitabile. AM Qual’è la condizione degli architetti? SR Siamo orfani: gli architetti devono essere parte di un sistema economico e produttivo. è finito il tempo di pensare corporativamente alle tariffe, all’impresa. Noi siamo parte ormai, di quel mondo economico, di quelle imprese; abbiamo un preciso compito: realizzare belle opere che funzionino. Le opere di architettura sono beni economici e devono avere un budget prestabilito; i soldi pubblici vanno spesi bene, una volta definito l’importo è necessario che rimanga quello. La nostra generazione ha il compito di riportare serenità nella costruzione, nel realizzare le opere, ma anche il mondo produttivo deve condividere questo percorso di crescita. In questo momento in Italia manca una classe politica; non ci sono coloro che devono disciplinare le scelte, dare gli indirizzi chiari per il bene ed il progresso dell’uomo. Bisogna fare sì che gli amministratori politici credano nell’architettura, nel proporre, nel produrre realmente idee nuove di città. Per esempio, il Concorso di Prato della Casa del Terzo Millennio, di cui mi occupo in questi giorni, dando ai partecipanti la finalità realizzativa certa di un progetto, di un idea, ha permesso l’arrivo di ben 125 proposte dal mondo! Quando alle persone che si mettono in gioco, dai la certezza di realizzare le proprie idee, queste ci credono e s’impegnano con passione. AM All’estero ci possono essere progettisti che sono anche grandi accademici e viceversa: è più raro in Italia. SR Dovrebbe essere la prima cosa: progetta bene, realizza bene e poi insegni. In Italia tale consuetudine non trova efficacia. Firenze, grande Facoltà di Architettura nel panorama italiano, non ha contribuito alla divulgazione dell’architettura contemporanea. Personalmente dalla passata esperienza con la California University, in cui ci si confrontava con gli studenti in una maniera dialettica, attraverso varie esperienze vane di ingresso alle Facoltà di Architettura italiane, sono approdato con un collega ingegnere e docente, alla formazione di uno spin off con la Facoltà di Architettura di Parma per la ricerca sugli involucri edilizi. Da una piccola facoltà dove il preside con grande intelligenza manageriale ci ha messo a disposizione il dipartimento, sono nati partnership, ricerca e business. AM Come vedi la nostra generazione? SR Sta facendo un lavoro encomiabile, siamo passati dall’epoca dei grandi accademici, che non si sporcavano le mani, a gente che lavora, che pensa a costruire; ci sono dei trentenni che si affacciano alla professione, con sacrificio, impegno ed etica.

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© Pietro Savorelli

vista sud ovest/south-west view

Process architecture | Alessandro Melis Praticelli, the first Pisan work of European scope to enter the national architectural panorama: after Carmassi, in Pisa, is anything changing? Salvatore Re Yes, in fact I hope that Praticelli is the first of many. There isn’t a culture of architecture, because it’s not seen as a socially useful contribution. You only need to look at the maps of new architecture in Italy: while in the north there are real chances to compare, in the south, just like the centre, the situation turns out to be critical. Firenze is the prime example of this: history has brought it to the modern day with a rich cultural heritage but it is also the thing that has suffocated us; the heritage has become deadwood. Nowadays we see progress, modernity, only as something out of sync with history: urban planning and architecture, are they supposed to be for people or not? There is not often a lot of consideration for people. Tuscany could offer a great deal of opportunities, and Pisa in particular could, due to the way it is, shine out in both a regional and international context. The railroad station, the Piazza dei Miracoli complex, the Università degli Studi, the Scuola Normale, the Scuola of Sant’Anna, the CNR research centre, are the elements of a city at the cutting edge, of excellence; so how come all these realities never manage to communicate? At the end of the day, maybe the problem lies in the

isolation of the various cultural components of the city. Until it manages to change this way of looking at things, the development of the city is going to be compromised. We need to believe the city already offers all the opportunities to transform itself, it’s an inevitable process. AM What condition are architects in? SR We’re orphans: architects have to be part of an economic and productive system. The time to think about the tariffs and the business in corporate terms has gone. Nowadays we are a part of this economic world, of these companies; we have an exact task: create beautiful works of art that work. Works of architecture are economic products and must have a realistic budget; public money needs to be spent well, once the budget has been decided it needs to remain at that level. Our generation has got the job of bringing serenity back into building, into creating works, but also the world of production has to share in this voyage of growth. At the moment in Italy we are missing a political class; there isn’t anybody to guide the choices, point the way clearly for the common good and the progress of people. The political leaders need to believe in architecture, in proposals, in really producing new ideas of the city. For example, the competition in Prato for the House of the Third Millennium, which I’m working on at the moment, has given those taking part the certainty of a project


b

a 1 hall/hall 2 reception/reception 3 back office/back office 4 infermeria/surgery 5 servizi/services 6 ufficio/office 7 sala mensa/refectory 8 distribuzione self-service/self-service area 9 cottura/cooking area 10 lavaggio stoviglie/dishes washing area 11 dispensa/store room 12 spogliatoio/changing room 13 magazzino/storage 14 caffetteria/café 15 sala giochi/play room 16 spazio internet/internet area 17 sala musica/music room 18 commerciale/commercial 19 banca/bank 20 soggiorno/living room 21 alloggio studenti/students’ rooms 22 bagno/bath room 23 cucina/kitchen 24 loggia/loggia

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pianta piano terra/ground floor plan

1 distribuzioine/distribution 2 biblioteca/library 3 archivio/archive 4 sala studio/study room 5 servizi/services 6 auditorium/auditorium 7 magazzino guardaroba/storage ward-robe 8 sala convegni/congress room 9 sala video/video room 10 palestra/gym 11 soggiorno/living room 12 alloggio studenti/students’ rooms 13 bagno/bath room 14 cucina/kitchen 15 loggia/loggia

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1 sala riunioni/meeting room 2 suites/suites 3 sala convegni/congress room 4 soggiorno/living room 5 alloggio studenti/students’ rooms 6 bagno/bath room 7 cucina/kitchen 8 loggia/loggia 9 ripostiglio/storage room

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pianta secondo piano/second floor plan

© Pietro Savorelli

prospetto sud ovest/south west elevation

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vista del lato nord est view of the north-east side

with a clear productive end, of an idea, and it has generated a good 125 proposals from around the world! When you give people who are active go-

AM Who do you like among the up-and-coming? SR I see young people who are no longer aping the masters like Aldo Rossi, Álvaro Siza. Nowadays

getters the chance to do something real, to create their ideas, they do so with passion! AM Abroad it’s possible for planners to be great academics and vice versa: it’s rarer in Italy. SR It should be the first thing: design well, carry out those plans well and then teach. In Italy, this habit doesn’t happen. Florence, a large Faculty of Architecture in the Italian landscape, has not contributed to the spread of contemporary architecture. Personally, from past experience with the University of California, where contact with students happened in a dialectic manner, through various experiences entering Italian Faculties of Architecture, with an engineer and teaching colleague I have come to form a spin off with the Faculty of Architecture at Parma for research on construction coverings. From a small faculty, where the head, with a great deal of managerial intelligence, has made the department available, partnerships, research and business have all come forth. AM How do you see our generation? SR It’s carrying out praiseworthy work, we’ve left behind the age of the great academics, who don’t get their hands dirty, to people who work, that think about building; there are thirty-year-olds in the profession, operating with sacrifice, hard work and ethics.

there’s a lot of freedom and ownership of the terminology; everyone is finding their own way. I really like Beniamino Servino, an architect who, with limited means, at Caserta, manages to produce architecture full of merit. Often, those who have been fortunate enough to work abroad, I’m thinking of Renzo Piano and Massimiliano Fuksas, on coming back to Italy they’ve been able to do great things with brilliance, like Fuksas, with intellectual honesty, like Piano. AM How did Praticelli come about? SR From a pronounced increase in the potential demand for sleeping accommodation for 5,000 undergraduates, with less than 1,000 euros per square metre. The process was streamlined and engineered. An example: the covering panel in zinc-titanium, to avoid being left with off-cuts, was sized up based on the dimensions of the laminate roll. In the project the economic component is largely based on a previously-decided budget. The architectural system is a clear expression of this condition: the comb for its repetitive matrix, like the employment of industrialized bathrooms. The use of industrial-style cement floors with coloured pigments and the uniform nature of the doors in finished or zinc-coated plate.


© Paola De Pietri

We’ve built the 6,600 facing tiles in titanium zinc, all the same, and in a way that, with simple modules, the windows for both the single and double

AM Chi ti piace fra i giovani? SR Vedo ragazzi che non scimmiottano più maestri come Aldo Rossi, Álvaro Siza. Oggi c’è molta libertà e proprietà di linguaggio; ciascuno sta trovando la propria strada.

rooms could be created. The window which dominates the north face shows the ability between planners to integrate in the intention, to bear in mind the limitations of the budget available and to react efficiently to the design intentions and the functional needs. Working with Studio Sobek has made the construction of the ‘glassed system’ possible supported by a network of high-tension cables, a structure that works like a sail. Five years of process and eighteen months to build 100,000 cubic metres. AM How did your studio manage the project? SR The architect can, and has to, become the coordinator of the process, also in the structural stages and in the installation of the utilities. We aim to have a studio which plans, with architecture which coordinates the processes: integrated design, in which the project responds, from the initial concept to the various needs in carrying it out.

Mi piace molto Beniamino Servino, un architetto che con pochi mezzi, a Caserta, riesce a fare delle architetture degne di merito. Spesso coloro che hanno avuto la fortuna di lavorare all’estero, penso a Renzo Piano e Massimiliano Fuksas, al loro rientro in Italia hanno avuto la possibilità di fare grandi cose con genialità, come Fuksas, con onestà intellettuale come Piano. AM Come nasce Praticelli? SR Da un contributo evidente alla domanda potenziale dei 5.000 posti letto per universitari aventi titolo, con meno di 1.000 euro/ mq. Si è ingegnerizzato ed ottimizzato il processo. Un esempio: il pannello di rivestimento in zinco titanio, per non avere sfridi, è stato dimensionato partendo dalle dimensioni del rotolo del laminato. Nel progetto la componente economica è predominante secondo un budget prefissato L’impianto architettonico è chiara espressione di tale condizione: il pettine per la sua matrice ripetitiva, così come l’impiego di bagni industrializzati. L’utilizzo di pavimenti in cemento tipo industriale con pigmenti colorati e la tipologia uniformata delle porte in lamiera zincata e verniciata. Abbiamo costruito le 6.600 formelle di facciata in zinco titanio, tutte uguali, e in modo che con semplici moduli potessero essere realizzate le finestre per le camere singole e doppie. La vetrata che segna e domina la facciata a nord rappresenta la capacità di integrazione tra progettisti nell’intento di rispettare le limitazioni del budget a disposizione e di rispondere efficacemente alle intenzioni progettuali e alle esigenze funzionali. La collaborazione dello Studio Sobek ha reso possibile la realizzazione del ‘sistema vetrata’ sostenuta da un complesso articolarsi di cavi in tensione, una struttura che lavora come una vela. Cinque anni di processo e 18 mesi per costruire 100.000 mc. AM In che modo il tuo studio gestisce il progetto? SR L’architetto può e deve diventare il coordinatore del processo, anche delle fasi strutturali e della parte impiantistica. Miriamo ad avere uno studio di progettazione, di architettura che coordina i processi: una progettazione integrata, in cui il progetto risponde, fin dal concept ai vari requisiti prestazionali.

una delle corti/one of the courts

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Š Pietro Savorelli

prospetto nord ovest/north west elevation

prospetto sud est/south west elevation

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Chiaro-scuro Arquitetctos Anónimos®, Casa FFTA a Vila Nova Gaia

testo di/text by Eugenia Valacchi foto di/photos by Abel Andrade

Lights and shadows Two criteria lie at the heart of FFAT, an interesting single-family home created by Arquitectos Anónimos® in Vila Nova de Gaia, Portugal: the compact geometry of the exteriors, and the rationality of the interiors, designed to optimize and brighten the living spaces. Problems deriving from the layout of the site heavily influenced the solution that was adopted: the extreme vicinity of another building, standing only six meters from the eastern facade, made it necessary to find a design strategy that would protect the clients’ privacy while ensuring good illumination; the exterior appearance of the building is therefore an outstanding ‘manifesto’, a statement of intent by the architects, who have taken a MiddleEastern approach to make light, and the true life of the home, flow through the interior, while creating a pronounced ‘closure’ towards the outside world that is accentuated by the dark colour of the phenolic resin used on the facades. The large doors and windows can be completely shuttered by panels of the same phenolic plywood, yielding a compact, monolithic structure that stands two stories high above ground, with one level below, and a large roof terrace overlooking the sea. On the ground floor, the daytime area is arranged as a large living room next to the kitchen, with no dividing walls except for the private areas (bath-

Due criteri stanno alla base dell’interessante progetto FFAT, la casa unifamiliare ideata da Arquitectos Anónimos® a Vila Nova de Gaia in Portogallo: la serrata geometria degli esterni e la razionalità degli interni, studiati per rispondere ad esigenze di ottimizzazione e illuminazione degli spazi. Problematiche derivate dalla morfologia del sito hanno influenzato largamente la soluzione adottata: infatti l’estrema vicinanza con un altro edificio, posto a sei metri dalla facciata est, ha reso necessario adottare una strategia progettuale volta a mantenere la privacy dei committenti e, insieme, a garantire l’illuminazione degli ambienti; l’aspetto esterno dell’edificio è dunque un vero e proprio ‘manifesto’, una dichiarazione d’intenti degli architetti che, al modo mediorientale, hanno previsto che la luce, così come la vita stessa dell’abitazione, si manifestasse all’interno, ostentando una ‘chiusura’ verso il mondo esterno accentuata dallo scuro cromatismo prodotto dalla resina fenolica di rivestimento delle facciate. Le grandi aperture previste, infatti, sono completamente oscurabili tramite pannelli dello stesso materiale; quello che ne risulta è un compatto monolite che si sviluppa su due piani fuori terra, un interrato e un ampio tetto-terrazzo traguardante il mare. Al piano terra, la zona giorno si configura come un grande living-room adiacente alla cucina, privo di pareti divisorie se non per quanto riguarda gli ambienti di servizio (bagno, guardaroba); al primo piano,

gli spazi delle tre camere e della zona studio beneficiano della luce naturale proveniente dai due grandi volumi parzialmente vetrati che si stagliano sulla copertura e che permettono l’illuminazione e la ventilazione della casa anche quando la ‘pelle’ esterna di rivestimento è completamente chiusa.

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In contrasto con l’atteggiamento di ostentata ‘chiusura’ degli esterni, rimarcata dal rigido colore scuro della pelle dell’edificio, che lo rende una ‘fortezza’ non dialogante con l’abitato circostante, gli spazi interni sono giocati su varie tonalità di bianco, pronti a riflettere in ogni ambiente la luce opalina proveniente dall’alto. L’opacità del guscio si traduce così in un’estrema trasparenza interna, dove l’assenza di tramezzi al piano terra permette l’immediata comprensione visiva della geometria dello spazio; al tempo stesso, la possibilità di ‘rompere’ la rigida corazza esterna tramite l’apertura delle finestre e delle porte vetrate produce effetti di flessibilità e ambiguità formale per cui dalla severa stereometria dell’edificio ‘chiuso’ si perviene alla possibilità di ottenere una struttura estremamente permeabile alla luce e alla vita che si svolge all’esterno.

nome progetto/project name CasaFFAT/FFAT House progetto/design Arquitectos Anónimos® consulenti per la struttura/structural consultants Paulo Lima, Manuel Branco Leite committente/client Fernando Afonso, Fátima Cardoso luogo/place Vila Nova Gaia, Portogallo data progetto/design date 2004 realizzazione/realization 2005-2006 superficie lotto/site area 320 mq/sqm superficie costruita/built area 270 mq/sqm superificie per piano/floor area 90 mq/sqm costo/cost 200.000 euro www.arquitectosanonimos.com

planimetria/site plan

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vista dell’esterno completamente chiuso an outside view of the entirely closed building

room, closet); on the upper floor, the three bed-

to reflect the opaline light that enters every room

rooms and the study area take advantage of natural light from two large, partially glazed volumes

from above. The opacity of the shell is thus transformed into a striking transparency inside, where

that project from the roof and allow illumination and ventilation even when the outer ‘skin’ is com-

the absence of partitions on the ground floor permits an immediate visual grasp of the spatial ge-

pletely closed.

ometry; at the same time, the option of ‘breaking’

In contrast with the marked ‘closure’ of the exteriors, emphasized by the severely dark colour of the

the rigid external armour by opening the windows and glass doors creates a flexibility and formal

building envelope that makes it a ‘fortress’, refusing any dialogue with its surroundings, the interiors

ambiguity whereby the severe stereometry of the ‘closed’ building still allows for a structure that is

are played out in various shades of white, primed

extremely permeable to light and life outside.


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pianta primo piano/first floor plan

pianta piano terra/ground floor plan

in queste pagine: viste del vano scala in these pages: views of the staircase

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Al cielo Valerio Olgiati, Atelier Bardill a Scharans

testo di/text by Pia Fasano foto e disegni/photos and drawings Archivio Olgiati

Towards the sky In Scharans, a small town in the

A Scharans, un piccolo paese del Cantone dei Grigioni situato sulle Alpi, a oltre 2.000 metri di altezza,

canton of Graubünden, located in the Swiss Alps at over 2,000 meters above sea level, stands a rust-

si trova una edificio rosso ruggine tempestato da un disegno floreale che ricorda i motivi degli antichi stampi scavati nel legno e usati per confezionare le forme di burro. Presenta la stessa sagoma delle

coloured building spangled with a floral pattern that recalls the motifs of old wooden butter moulds. It

case tradizionali di montagna, ma, al suo interno, è uno scrigno pieno di sorprese. Si tratta dell’Atelier Bardill, realizzato da Valerio Olgiati per il musicista e artista Linard Bardill.

has the same external silhouette as a traditional

Il permesso di costruire all’edificio è stato concesso dalle autorità locali solo a condizione che la

mountain home, but inside, is a little treasure trove of surprising gems. The project in question is Atel-

nuova architettura avesse esattamente lo stesso volume del vecchio fienile che andava a sostituire. Ed è proprio a partire da questo vincolo che l’architetto libera la sua fantasia e realizza un oggetto affa-

ier Bardill, built by Valerio Olgiati for the musician and artist Linard Bardill.

scinante, che muove dalla tradizione e che al tempo stesso la travalica, che dialoga con le forme che lo circondano e che comunque non intende mimetizzarsi nel paesaggio. Se al suo esterno conserva il

Local authorities granted the construction permit only on the condition that the new structure have

volume dell’originario fienile, procedendo verso l’interno si scopre un mondo inaspettato: nessun tetto a falde, nessuna distribuzione degli spazi consueta, niente di ordinario. Una stanza da lavoro, che

exactly the same volume as the old barn it was to

occupa poco meno di un terzo di tutto l’atelier, si apre attraverso un’ampia parete vetrata verso uno

replace. And it was based on this restriction that the architect unleashed his imagination, coming up

spazio all’aperto, con un morbido prato verde e un grande occhio spalancato sul cielo, come a captare luce e aria. Da qui, è possibile alzare gli occhi verso il cielo e vederne i suoi umori cambiare, assistere

with a fascinating design that is rooted in tradition, yet overcomes it, that creates a dialogue with the forms around it, yet is not meant to blend into the

alle variazioni di luce durante le stagioni, stabilire una relazione con il tempo, con il clima. Le pareti, in cemento armato, sono trattate allo stesso modo dell’esterno. Uno spazio essenziale, dunque, pensato per la meditazione, per l’ispirazione, per la creatività. La stanza da lavoro è semplicissima: prevede

landscape. While on the outside, it preserves the volume of the original barn, one ventures inside to discover an unexpected world: no pitched roof, no classic distribution of space, nothing run-of-themill. The workroom, which takes up just under a third of the entire atelier, has a wide glass wall that looks out onto an outdoor space with a soft green lawn and a large, round oculus opening onto the heavens, as if to capture light and air. Here, one can look up to the sky and see its changing moods, watch the light vary with the seasons, establish a relationship with time and the elements. The reinforced concrete walls are finished the same way on the inside as on the outside. In short, it is a pareddown space, conceived for meditation, inspiration, creativity. The workroom is extremely simple, with several counters and a fireplace in one corner, in front of which is the famous armchair designed by

alcuni banconi e un camino ricavato in angolo, di fronte al quale si trova la celebre poltrona del 1956 su design dei coniugi Eames. Unica concessione al lusso. Di notte, una sequenza di luci puntuali a soffitto illuminano delicatamente lo spazio. L’atelier fa eco all’architettura rurale, ma al tempo stesso si distingue per il suo colore e per i suoi interni. Tuttavia l’atelier non intende negare il luogo nel quale si inserisce: se è vero che attraverso le sue componenti cromatiche e la sua organizzazione interna ne prende le distanze, al tempo stesso, oltre a conservare un profilo esterno comune a quello delle costruzioni che lo circondano, intesse un rapporto di relazioni visive fra i suoi ambienti interni e il paesaggio. Attraverso alcune bucature sulla sua pelle, infatti, l’atelier si mostra all’esterno e lascia che questo penetri nel suo cuore. Da queste interazioni/interferenze nasce un gesto poetico, singolare, capace di rapire l’immaginazione dell’artista proprietario e dei visitatori. A prescindere dalla tinta che tratteggia la personalità di questo edificio, destinato a suscitare stupore e meraviglia, ad essere distinguibile attraverso il suo linguaggio emozionale, unico, originale, Olgiati sembra operare, come scrive Michele Costanzo, «nella riduzione dei materiali, delle tecnologie e degli elementi costitutivi, realizzando in questo modo un’architettura ricca di sorprese, in cui si coniugano precisione concettuale, abilità artigianale e creatività artistica». L’atelier Bardill è, in questo senso, un’architettura e un’opera d’arte, uno spazio da vivere ed una scultura, nel quale Olgiati procede «per via di levare e per via di porre».

vista esterna dell’atelier external view of the atelier

planimetria Sharans/general plan Sharans

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pianta piano terra/ground floor plan

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pianta della copertura/roof plan


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prospetto ovest/west elevation

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nome progetto/project name Atelier Bardill progetto/design Valerio Olgiati collaboratori/collaborators Nathan Ghiringhelli (capo progetto studio Olgiati/project manager office Olgiati), Nikolai Müller, Mario Beeli ingegneria strutturale/structural engineer Patrick Gartmann, partner of Conzett, Bronzini, Gartmann AG, Chur direzione lavori/construction supervisor Linard Bardill committente/client Linard Bardill, musicista e poeta/musician and poet luogo/place Scharans, Svizzera data progetto/design date 2002 inizio lavori/start luglio/July 2006 fine lavori/completion agosto/August 2007 superficie atelier/atelier area 70 mq/sqm superficie corte/courtyard area 150 mq/sqm superificie garage, magazzino, locali tecnici garage, storage, technic area 65 mq/sqm volume/volume 665 mc materiali/materials cemento rosso gettato in opera, acciaio, rame/red in-situ concrete, steel, copper informazioni tecniche/technical information riscaldamento a energia solare, sistema di ventilazione/heated by solar energy, controled air ventilation system www.olgiati.net l’Atelier Bardill è aperto al pubblico il venerdì dalle 13 alle 17/Atelier Bardill is open for the public on Fridays between 1 pm and 5 pm

Charles and Ray Eames in 1956. The only concession to luxury. At night, a series of spotlights on the ceiling delicately illuminate the space. The atelier echoes rural architecture, yet is made distinctive by its colour and its interiors. Nevertheless, the studio does not try to negate its setting: though its chromatic elements and internal layout may set it apart, it both preserves an exterior silhouette similar to the buildings around it and weaves a web of visual relationships between its interiors and the landscape. Through several apertures in its envelope, the atelier reveals itself to the outside world and lets the surroundings filter through to its heart. These interactions and intrusions create a unique, poetic statement that captures the imagination of the artist owner and of visitors. Above and beyond the colour that gives this building its personality – meant to elicit amazement and wonder, to be distinguishable through its unique, original emotional language – Olgiati seems to work, as Michele Costanzo writes, «through the reduction of materials, technology and constituent elements, creating an architectural project that is full of surprises, that combines conceptual precision, craftsmanlike skill and artistic creativity». In this sense, Atelier Bardill is both a piece of architecture and a work of art, a living space and a sculpture, in which Olgiati proceeds «by subtraction and by addition».


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in questa pagina: viste interne dell’area di lavoro/in this page: interior views of the working-area pagina precedente: il fronte nord caratterizzato dalla piccola scala, elemento tipico del villaggio/previous page: the north façade with the small stair, a typical element of the town


ECOCENTRICO forma e linguaggio nell’era ecologica/form and language in the ecological era a cura di/edited by Pierpaolo Rapanà

Pierpaolo Rapanà

intevista/interviews

James Wines (SITE)

Pierpaolo Rapanà Lo studio che lei ha fondato nel 1968, SITE Environmental Design, è stato tra i primi a focalizzare sulle questioni ambientali. Ritiene che la sovrapposizione tra la nuova sensibilità verso l’ambiente e la rivoluzione digitale possa apportare nuovi significati alla sua definizione di architettura come ‘spugna ambientale’? James Wines Verso la fine degli anni ‘60 e agli inizi degli anni ‘70, molti giovani architetti della nuova generazione iniziarono a occuparsi di contenuto al di fuori delle convenzioni formaliste del design, specialmente di tradizione Modernista e Costruttivista. Per fare un esempio, con Gianni Pettena abbiamo affrontato la questione in occasione della conferenza di Firenze in luglio. Eravamo d’accordo sul fatto che nell’era della ‘architettura radicale’, entrambi abbiamo fortemente sentito l’esigenza di attribuire agli edifici una sorta di messaggio contestuale e psicologico, ovvero un commentario che fosse appropriato a livello sociale. In un certo senso eravamo entrambi consapevoli del fatto che l’architettura diventava arte e l’arte si evolveva in architettura. Un magnifico precedente storico del pensiero integrativo è tutta la Firenze gotica e rinascimentale, una città in cui ovviamente gli edifici erano destinati a trasmettere messaggi politici e religiosi. Il Modernismo partiva con le stesse premesse, effettivamente le sue finalità estetiche e funzionali avevano il compito di rappresentare i valori sociali e politici della nascente era industriale. Ma questo accadeva più di cento anni fa. Oggi quegli stessi schemi stilistici sono diventati puramente teorici e irrilevanti, soprattutto nell’epoca post-industriale dell’informazione e dell’ecologia in cui viviamo. In sintesi, il potenziale comunicativo di movimenti come il Modernismo e il Costruttivismo ha perso efficacia come espressione adatta al nuovo millennio. Credo che la maturazione di una responsabilità nei confronti dell’ambiente rappresenti per i designer una grossa opportunità per elaborare contenuti nuovi. I principali interessi politici e ecologici del ventunesimo secolo confermano questa missione. Con

una sociologia e una geologia rinnovate, nuove incursioni nella psicologia ambientale, scienze della terra completamente aggiornate, avventure espansionistiche nel campo dell’astrofisica e naturalmente con la rivoluzione digitale e le sue frenetiche innovazioni tecnologiche, esiste uno straordinario potenziale al quale attingere per un nuovo linguaggio dell’architettura. Basterà aprire le arti della costruzione alle nuove risorse. Credo che i professionisti del design abbiano il dovere di porsi domande fondamentali sul contenuto. La maggior parte degli architetti sono essenzialmente creatori di forma e non di dialogo. Tanto per fare un esempio, il 90% delle illustrazioni contenute nelle riviste di design contemporaneo si riferisce a creazioni di forme fini a se stesse. Sfortunatamente, la maggior parte di questi lavori sono elaborati al computer sulla base della tradizione della scultura organica e costruttivista di cinquanta anni fa. PR I progetti più recenti dei SITE vanno in un’altra direzione. Penso ad esempio alla torre di Mumbai, dove la ‘differenza’ sembra avere un ruolo centrale eppure il legame con il contesto è ben saldo. Luogo e identità possono essere generati per ‘differenza’? JW Si, nel lavoro di SITE il contesto è tutto. è la nostra inesauribile fonte di ispirazione nonché il punto di partenza della risposta che forniamo, di volta in volta, alle varie situazioni. La torre di Mumbai è stata evidentemente una risposta ad un contesto fisico e culturale specifico. Insieme al mio studio abbiamo lavorato per trovare un linguaggio che fosse significativo anche a livello ambientale (cioè verde). Abbiamo capito che esistono alcune idee, funzioni, convenzioni e altri elementi di lunga tradizione che fanno parte in maniera subliminale di ogni cultura. Credo che oggi l’impegno sia evitare l’ossessività del linguaggio eurocentrico dell’architettura Modernista che sembra imporsi in ogni angolo del mondo ed elaborare un vocabolario del design che sia allo stesso tempo sensibile al contesto e più astratto nonché appropriato al luogo. I risultati dovrebbero essere autentici nel senso di contemporanei, appartenenti cioè al ventunesimo secolo. Ciò che lo studio SITE ha cercato di fare a Mumbai è stato creare un parco verticale, un ‘fuga verticale’ di giardini su più livelli in uno spazio limitato. In breve, abbiamo privilegiato una soluzione tipo ‘giardini pensili di Babilonia’. PR Ed è anche un tributo a Frank Lloyd Wright... JW Evidentemente la nuova e intensa ondata di interesse nei confronti di Wright scaturisce dal movimento ambientale. Lui fu ovviamente tra i primi a esplorare il concetto di ‘edificio con contesto’ come principale forza motivante dell’architettura. Ma nel progetto SITE di Mumbai la filosofia progettuale è ispirata prevalentemente al rispetto dei principi architettonici della cultura Vastu, basandosi quindi sulle caratteristiche fisiche e sui valori spirituali del corpo umano. Seguendo queste linee guida siamo partiti dal nucleo come spina dorsale della struttura procedendo poi verso l’alto, attraverso fasi successive, fino a raggiungere l’ultimo piano tradizionalmente percepito come il punto più elevato dell’illuminazione. Questa strategia ha anche avuto un risvolto pratico. Abbiamo proposto una spina dorsale verticale (contenente tutti i servizi dell’edificio), una struttura portante gigante in cima all’edificio, che in fase di costruzione è servita da gru, e una serie di cavi per sollevare e sostenere i singoli piani. Tra i vantaggi di questa struttura innovativa, la possibilità di costruire ogni piano a terra per poi sollevarlo fino a destinazione. Un approccio tecnologico mirato a semplificare la fase costruttiva e a ridurne i costi. Tra l’altro, questa novità ha rappresentato una conferma dei principi vedici dell’architettura classica indiana e del simbolismo degli strati sovrapposti. PR Il suo lavoro sembra sondare la contrapposizione tra naturale e artificiale. Può elaborare questo concetto? Esiste una contrapposizione tra naturale e artificiale? JW Si, credo che il lavoro del SITE comporti sempre una certa dialettica, spesso un dialogo tra ciò che è naturale e ciò che è artificiale. Oggi molti edifici sono concepiti come oggetti che devono sedurre e quindi sono impreziositi con piante e alberi. Quando l’idea nel suo insieme accoglie la natura come suo elemento intrinseco, pur attraverso gli imperativi funzionali o estetici, io mi sento a mio agio con quel tipo di struttura. Al contrario non amo la vegetazione come ‘elemento decorativo sovrapposto’ in quanto mi riporta agli eccessi decorativi dell’architettura post-moderna. Quando abbiamo lavorato al progetto della torre di Mumbai, ad esempio, il nostro compito


schizzo e sezione longitudinale del progetto Urban Forest per la New World Plaza di Beijing, Cina (2008)/sketch and section of the Urban Forest project for the New World plaza in Beijing, China (2008)

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è stato essenzialmente quello di erigere un parco verticale all’interno degli spazi ristretti del sito di Cumballa Hill. Il concetto si fondava sull’integrità dell’obiettivo. In linea generale, preferisco sempre integrare un edificio con il paesaggio circostante. Se la vegetazione c’è già, non sarà necessario razionalizzarne artificialmente la sua presenza con piante e alberi. Questo fa emergere un dilagante problema dell’architettura contemporanea, specialmente per quanto riguarda gli edifici progettati ancora secondo i principi del Modernismo/Costruttivismo. Nei primi anni ‘20, quando questi stili influenti si stavano evolvendo, nell’architettura i valori estetici più elevati coincidevano con la celebrazione della tecnologia, l’utilizzo dei materiali industriali e una certa attenzione nei confronti dell’arte astratta. Questo criterio di ‘buon gusto’ è a tutt’oggi diffuso e gli architetti hanno ancora difficoltà a confrontarsi con il rapporto tra un edificio, il contesto culturale e il paesaggio. Questi elementi vengono spesso considerati devianti rispetto al rigore dei principi del design formalista. I più integralisti considerano la vegetazione un ‘diversivo invasivo’, se non proprio una forma di ‘sentimentalismo pastorale’. Per molti architetti in auge la situazione potrebbe essere riassunta così: «Dio mi impedisce di modificare il mio stile per abbracciare la responsabilità ambientale facendo così fronte all’incombente supremazia di quei noiosi ambientalisti». Per ampliare la definizione di integrazione dell’architettura con il paesaggio, SITE ha spesso preso in considerazione la geologia delle immediate vicinanze come parte delle pareti di un edificio. Probabilmente siamo stati tra i primi designer a creare un terrario con pareti in vetro come elementi intrinseci – un’esperienza estetica simultanea sia dal basso che dall’alto. Oggi si inizia a comprendere il pensiero integrativo anche nel mondo accademico. Molti dei miei studenti cercano di cogliere la differenza tra contenuto naturale puro e vegetazione come semplice elemento decorativo a posteriori. Secondo me, l’elemento decorativo sovrapposto rappresenta una delle pecche più grosse nell’interpretazione di Charles Jenks del design post-moderno. Di conseguenza, e da una prospettiva storica più attuale, credo che molta parte dell’architettura mondiale debba concordare che il movimento Po-mo sia stato dirottato dalla sua stessa predilezione per la superficie rispetto alla sostanza. L’impressione è che le idee reali siano state barattate con le simulazioni. Spesso Jencks ha paragonato i riferimenti del Post-modernismo a quelli della Pop Art; ma al movimento architettonico manca la risonanza culturale e l’autenticità del Pop. Baudelaire aveva criticato questo allontanamento dalla sostanza nelle sue riflessioni sui simulacri. E aveva ragione a dire che la simulazione, specialmente quella che oggi nasce dalla saturazione mediatica, può diventare spesso un’illusione della realtà. Sfortunatamente, il design post-moderno è stato troppo spesso consapevole e obbligato a identificarsi con un esempio legittimo di simulacro. Se consideriamo l’originalità del design in movimenti come modernismo, cubismo e costruttivismo vediamo che i principali innovatori furono coinvolti ingenuamente dalle nuove idee. Credo che lo stesso stile essenziale del pensiero concettuale diventerà una parte del movimento ambientale. Se consideriamo le fasi iniziali del Modernismo, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, così come si manifestava ad esempio nel lavoro di Adolf Loos e Mallet-Stevens, possiamo cogliere i segni evidenti (anche se ancora in fase embrionale) della nascita della rivoluzione Modernista. Per una completa espressione della rivoluzione dobbiamo attendere fino agli anni ‘20-‘30, quando iniziano a circolare le visioni più ampie di Mies van der Rohe, Le Corbusier, Alvar Aalto e Walter Gropius, oltre ai proclami del Bauhaus. In sintesi, ci sono voluti circa trent’anni perché il linguaggio modernista si cristallizzasse. Lo stesso processo evolutivo deve aver luogo prima di poter parlare di un linguaggio convincente nel design ecologico. Ci vuole del tempo. PR Nel suo ultimo libro Green Architecture vengono fuori dei nuovi valori estetici. Siamo vicini a una nuova sensibilità estetica? JW è abbastanza ovvio che stia accadendo così. Nel periodo precedente la Rivoluzione Industriale, verso la metà del 1880, bisognava essere completamente tagliatati fuori dalla realtà per non percepire l’imminenza dei cambiamenti nel commercio, nell’economia, nella politica e nell’arte. Oggi viviamo nell’epoca post-industriale e sulla base dei nuovi valori e dei nuovi processi dobbiamo elaborare una visione unitaria per apprezzare i cambiamenti.


Urban Forest www.siteenvirodesign.com

«Il progetto di James wines (SITE) con Li Wang, Marc Halle, Ronghui Li, e Yang Yang, vincitore del concorso per la New World Plaza di Beijing, è concepito come uno spazio interscalare tra i piccoli quartieri residenziali della città e le sue gigantesche zone commerciali. Numerosi nastri di cemento gettati in opera disegnano percorsi pedonali intrecciati e frammentano le ampie zone verdi ad individuare delle piccole foreste. Questa rete di arterie pedonali racchiude una serie di isole irregolari, ciascuna caratterizzata da una diversa funzione o essenza arborea, da specchi d’acqua o salotti urbani, da rivestimenti e trame materiche ogni volta diverse. La piazza principale forma un dosso, un guscio intrecciato che ricopre le attività commerciali del piano sottostante. In definitiva la New world Plaza è una FORESTA URBANA – verticale e orizzontale, fisica e simbolica, esperienziale ed ecologica».

«The first award concept for the New World Plaza in Beijing, China, 2008, designed by James wines (SITE) with Li Wang, is conceived as an interscalar space between the city’s small residential neighborhoods and its mega-sized commercial zones. Cast in place ribbons of concrete cover the walking surfaces to create a fragmented visual imagery and provide planting zones for large forests of trees. This arterial network circumscribes a series of irregularly shaped enclosures, composed of multiple plantings, earth mounds, water catchments, seating areas, rain shelters, various paving textures, and forest-like composition of L.E.D. lampposts. The main plaza rises gradually to form a mounded, weblike structure, sheltering an arcade of small stores and restaurants. Overall the New world Plaza is interpreted as an URBAN FOREST – vertically and horizontally, phisically and symbolically, experientially and ecologically».

Quando ho scritto Green Architecture, la mia premessa è stata che i brutti edifici non sono sostenibili perché la società molto semplicemente li butterà giù, indipendentemente da quanto sia verde la tecnologia che essi impiegano. Nel 1998 era difficile trovare esempi di architettura verde convincenti e che coincidessero alla mia nozione di eccellenza estetica. Oggi sono molti di più gli esempi da apprezzare. Se decidessi di scrivere un seguito al mio primo libro, avrei molto più materiale interessante al quale attingere. Credo che la sfida più grande, oggi, sia vendere la rivoluzione ambientale come una forza sociale positiva. La Rivoluzione Industriale ha conquistato il mondo efficacemente con la promessa di una vita bella, ricca, felice e libera. Un messaggio allettante per il XIX secolo. Sfortunatamente oggi il movimento ambientale corrisponde a una sequela di divieti rigorosi, restrizioni e appelli al sacrificio. Nessuna rivoluzione ha successo se si basa su tiritere pessimistiche e prospettive di disagi futuri. Le strategie di marketing devono cambiare affinché il movimento ambientalista possa affermarsi. Inoltre, le società e i loro governi non possono scaricare tutta la responsabilità per le soluzioni ecologiche su scienza, ingegneria e tecnologia perché in questo modo si ignora l’importanza di quelle motivazioni sociali, psicologiche e economiche che sono parte integrante del panteon di ogni cambiamento. PR Ci racconti qualcosa su James Wines uomo e insegnante. JW Negli ultimi trent’anni ho cercato, in qualche modo, di combinare la mia attività di insegnante con quella accademica impegnandomi attivamente nel campo della formazione. Mi piace confrontarmi con i giovani e contribuire alla loro evoluzione intellettuale e artistica. L’insegnamento è un vero e proprio scambio; attraverso i miei studenti percepisco un’idea precisa e sempre attuale dell’ambiente così com’è oggi, grazie proprio alle loro capacità intuitive nel percepire la vita contemporanea. Quando dialogo con i miei studenti, imparo sempre molto sulla cultura post-industriale, sui cambiamenti nell’azione politica, nella musica, nell’arte e nel concetto di

identità collettiva e personale. Probabilmente gli studenti non possiedono la mia stessa conoscenza della storia e dei processi ma hanno una profonda percezione di dove il mondo stia andando. Personalmente traggo grande beneficio da questa esposizione alla sensibilità dei giovani. Ultimamente, ad esempio, insieme a un mio ex studente cinese, Li Wang, abbiamo vinto un concorso internazionale per la New World Plaza di Pechino. Lavorando insieme al progetto io ho dato il mio contribuito in termini di lunga esperienza professionale e Li ha aggiunto la sua grande sensibilità per l’identità culturale cinese, un talento nel design che rispecchia le priorità asiatiche e una straordinaria abilità nell’uso del computer e nella comprensione della vita sociale nella Cina odierna. Da una prospettiva ottimistica, credo che negli ultimi dieci anni non ho mai insegnato a studenti che non fossero attivamente coinvolti nella questione ambientale. Per molti di loro si tratta principalmente di un impegno di natura tecnologica; altri hanno investito nelle politiche e nelle infrastrutture della pianificazione urbanistica e altri ancora si sono impegnati nell’elaborazione di un nuovo linguaggio espressivo per l’architettura. Tutto ciò è molto incoraggiante e mi trasmette una notevole dose di speranza per il futuro.

Shake Shack, chiosco e café, Madison Square Park, New York City, New York, USA, 2004. Concept: SITE – Denise M.C. Lee e James Wines; gruppo di progettazione: Sara Stracey, Brandon Coburn, Cheryl Woo; foto: Esto Photographics Inc Shake Shack, food kiosk and café; Madison Square Park, New York City, New York, USA 2004. Concept: SITE – Denise M.C. Lee, James Wines; team: Sara Stracey, Brandon Coburn, Cheryl Woo; foto: Esto Photographics Inc pagina seguente: planimetria del progetto Urban Forest per la New World Plaza di Beijing, Cina, 2008/next page: plan of the Urban Forest project for the New World plaza in Beijing, China, 2008


PR The practice you founded in 1968, SITE Environmental Design, was among the first to focus on environmental issues. Recently a new ecological insight overlapped to the computer revolution. Does this bring more meanings to your definition of architecture as environmental sponge? JW During the late 1960s and early 70s, a large number of younger generation architects became interested in content drawn from outside of conventional formalist design – especially Modernist and Constructivist traditions. For example, Gianni Pettena and I were just discussing this issue with regard to the July conference in Florence. We agreed that during the ‘radical architecture’ era, we both felt strongly that buildings should have some kind of psychological and contextual message – in other words, a socially germane level of commentary. In this sense, we were both involved with architecture becoming art and art evolving into architecture. As a magnificent historical precedent for integrative thinking, it is obvious that all of Gothic and Renaissance Florence was a city of buildings dedicated to delivering civic and religious messages. Modernism started with similar intentions – in fact, its aesthetic, as well as functional, purpose was to reflect the social and political values of an emerging industrial era. But that was one hundred years ago. Now these same stylistic devices have become academic and irrelevant – especially in the current post-industrial age of information and ecology. In summary, the communicative content of such movements as Modernism and Constructivism have declined in value as an appropriate expression of the new millennium. I think, with the growth of ecological responsibility, we designers have a great opportunity for the development of new design content. Every major political and ecological concern of the Twenty-first Century is reinforcing this mission. You have a new sociology and geology, new ventures in environmental psychology, radically revised earth sciences, expansive adventures in astro-physics and, of course, there is the convulsively changing technology of the digital revolution. So, you have an incredibly rich potential for a new architectural language, just by opening up the building arts to new sources. I think the design professions should be asking a few fundamental questions about content. Most architects are still basically form makers and not dialecticians. For example, just look at contemporary design magazines; where 90% of the illustrated examples are various manifestations of shape making for its own sake. Sadly, most of this work is computer-generated form based on the traditions of organic and constructivist sculpture created fifty years ago. PR Your recent projects seem to go in another direction, I’m thinking of the residential tower in Mumbai for example. You move in search of something else. Is it correct to say that in your projects ‘difference’ is the main issue? Are place and identity generated by ‘difference’? JW Yes, for the work of SITE, context is everything. It is always our generative wellspring of ideas and the basis of our firm’s response to each separate situation. The Mumbai tower was definitely a response to a specific physical and cultural context. My office worked with me in trying to find an environmentally significant (meaning green) language as well. We recognized that there are always certain ideas, functions, conventions and elements of long tradition that are subliminally part of every culture. I think the challenge today in trying to avoid the obsessively Euro-centric language of Modernist architecture – which now seems imposed on every country in the world – and develop a contextually responsive, more abstract and site-specific design vocabulary. The results should have a contemporary authenticity, belonging to the Twenty-first Century. What SITE tried to do in Mumbai is create a vertical park – a ‘vertiscape’ of gardens on multiple levels – confined by a spatially limited piece of land. As a result, we ended up with a kind of Hanging Gardens of Babylon solution. PR And there is also a tribute to Frank Lloyd Wright... JW Clearly the vast surge of new interest in Wright is the result of the environmental movement. He was obviously a major pioneer in the concept of the ‘building with context’, as a key motivational force in architecture. But in SITE’s Mumbai project, the concept was more about respecting the Indian culture’s Vastu principles of architecture It was based on the physical characteristics and spiritual values of the human body. Following these guidelines, we started with the core of the structure as the spine and proceeded upward in successive stages to reach the top floor – traditionally seen as the higher point of enlightenment. This strategy also had a practical aspect. We proposed a vertical spine (containing all the building services), a giant truss at the top to serve as a crane during construction and a series of cables to elevate and support the individual tiers. As a benefit of the innovation, each floor plane could be constructed on the ground and then lifted up to its final destination. This technological approach was intended to make the entire building process easier and less expensive. Also, it was an innovation that confirmed the Vedic principles of classical Indian architecture and the symbolism of successive strata. PR Your work sort of sounds out the opposition natural/artificial. Can you elaborate on this? Is there an opposition between natural and artificial? JW Yes, I think SITE’s work is always involved with some kind of dialectic; often a dialogue between natural and artificial oppositions. There are a lot of buildings now constructed as attractive objects, encrusted with plants and trees. If the whole ensemble idea seems to invite nature as an intrinsic element – either through function or aesthetic imperatives – I tend to feel comfortable with this kind of structure. On the other hand, I don’t like vegetation used as some kind of applied décor. This reminds me too much of all that decorative excess in Post-modernist architecture. For instance, when we were working on the Mumbai tower, the entire assignment was to build a vertical park environment within the very limited dimensions of a site on Cumballa Hill. The concept was based on the integrity of that purpose. In general, I much prefer to integrate a building with existing landscape. If vegetation already exists on site, then you don’t have to artificially rationalize the presence of plants and trees. This brings up a pervasive problem in contemporary architecture – especially buildings still designed on strictly Modernist/Constructivist principles. During the early 1920s development of these influential styles, high end aesthetic evaluations in architecture became synonymous

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with the celebration of technology, the use of industrial materials and a commitment to the principles of abstract art. His criterion for ‘good taste’ still prevails; so architects have a very hard time dealing with a building’s relation to cultural context and landscape. These ingredients are usually considered deviant from the rigorous principles of formalist design. In the hard line view, vegetation is deemed an ‘intrusive diversion’, or, even worse, as evidence of ‘pastoral sentimentality’. For many mainstream architects the situation can be summed up as, «God forbid I might have to change my style in order to embrace green responsibility and face the impending supremacy of those pesky environmentalists». To expand the definition of integrating landscape with architecture, SITE has sometimes included the geology of the immediate area as part of the walls in a building. I think we were among the first designers to create glass terrarium walls as intrinsic ingredients – revealing both above and below ground as simultaneous aesthetic experiences. Integrative thinking is beginning to be understood in academia today. I see many students now who grasp the difference between naturerelated content that is genuine and vegetation that is nothing more than after-the-fact decor. For me, that ‘applied decoration’ element was one of the major flaws in Charles Jenks’s interpretation of post-modernist design. As a consequence – and from the perspective of recent history – I think most of the architecture world has now come to agree that the Po-mo movement was derailed by its own preferences for surface over substance. They seem to have traded in real ideas for simulations. Jencks often equated the connections of Post-modernism to Pop Art; but the architectural movement lacked the cultural resonance and authenticity of Pop. Baudelaire critiqued this disconnection from substance in his observations concerning simulacra. He was right in crediting the fact that simulation – especially as a consequence of today’s media saturation – can often become an illusion of the real thing. Unfortunately, Post-modernist design was often too selfconscious and contrived to qualify as even a legitimate example of simulacra. If you look at the original Modernist, Cubist and Constructivist movements in design, the major innovators were genuinely involved with new ideas. I think that same substantive brand of conceptual thought will become part of the environmental movement as well. If you look at the nascent phases of Modernism in the late 19th and early 20th Centuries – for example, as manifested in the architecture of Adolf Loos and Mallet-Stevens – you can see the clear (but still evolving) beginnings of the Modernist revolution. The full blown revolution wasn’t fully developed until

in queste pagine: Fondazione Pietro Rossini, giardino di sculture e padiglione, Brisoco, Milano, 2003. Progetto architettonico: SITE – Denise M.C. Lee, Stomu Miyazaki & James Wines; gruppo di progettazione: Joshua Weinstein, Patrick Head and Sara Stracey in these pages: Fondazione Pietro Rossini, sculpture farm and pavilion, Brisoco, Milan, Italy, 2003. Architectural designer: SITE – Denise M.C. Lee, Stomu Miyazaki & James Wines; team: Joshua Weinstein, Patrick Head and Sara Stracey


Ecofont/ecofont www.ecofont.eu

«Dopo la gruviera olandese, ora c’è anche un font olandese con i buchi. SPRANQ, società di marketing e comunicazione di Utrecht, ha sviluppato un nuovo carattere che utilizza fino al 20% in meno di inchiostro: l’Ecofont, basato sul typeface opensource Vera Sans. Le idee brillanti sono spesso semplici: quanto di una lettera può essere rimosso, pur mantenendo la sua leggibilità? Dopo lunghi test con tutti i tipi di forme, i migliori risultati sono stati ottenuti utilizzando piccoli cerchi. Gratis da scaricare e di libero utilizzo». «After Dutch holey cheese, there now is a Dutch font with holes as well. Appealing ideas are often simple: how much of a letter can be removed while maintaining readability? After extensive testing with all kinds of shapes, the best results were achieved using small circles. After lots of late hours (and coffee) this resulted in a green font that uses up to 20% less ink. Based on the opensource typeface Vera Sans, the Ecofont is free to download and free to use».

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the 1920s and 30s, when the more inclusive visions of Mies van der Rohe, Le Corbusier, Alvar Aalto and Walter Gropius, plus the proclamations of the Bauhaus, took precedence. In summary, it took about thirty years for the Modernist language to become crystallized. So this same evolutionary process must take place before we can expect to see a convincing age of ecology design language. All of this just takes time. PR In your recent book Green Architecture some new aesthetic values come about. Are we on the border of a new aesthetic sensibility? JW It’s pretty obvious this is going to happen. During the advent of the Industrial Revolution in the mid-1880s, one would have had to be totally cut off from reality to not see the emerging changes in commerce, economics, politics and the arts. We are now in the post-industrial epoch; so based on this new set of values and processes, we need a cohesive vision to celebrate these changes. When I was writing Green Architecture, my premise for the book was that bad buildings are not sustainable because society will simply tear them down, no matter how much green technology they embody. In 1998, I had a very hard time finding persuasive images of green architecture, which corresponded to my notion of aesthetic excellence. Now there are a lot of very creditable examples. If I decided to write a sequel to my first book, I would have a lot more exciting material to choose from. I think one of the biggest challenges now is selling the environmental revolution as an optimistic social force. In reality, the Industrial Revolution originally conquered the world based on promises for a good life, with plenty of wealth, happiness and personal freedom as its rewards. This was a very appealing message in the 19th century. Unfortunately, the environmental movement has been communicated as a litany of finger-wagging reprimands and calls for restraint and sacrifice. No revolution has ever succeeded, based on a sales pitch of negativity and scenarios of discomfort. The marketing strategies must change for environmentalism to succeed. Also, societies and their governments can’t pass all responsibility for green solutions on to science, engineering and technology, because this avoids the fundamental importance of social, psychological and economic motivations in any pantheon of change. PR Tell us something more about the James Wines man and teacher. JW Somehow I’ve combined teaching and practice for the past thirty years of my life; so I must be pretty committed to education. I really enjoy dealing with young people and contributing to their intellectual and artistic development. But education is really an exchange; since what I gain from my students is a finely tuned (and constantly changing) sense of the present day environment, based on their intuitive ability to understand contemporary life. In my dialogues with students, I learn a lot about our post-industrial culture – changes in political action, music, art, and concepts of personal and collective identity. They may not know as much about history and process as I do, but they have a deep connection with where things are going. I benefit a great deal from this exposure to youthful sensibilities. For example, my former student Li Wang (from China) and I recently teamed up and won an international competition for the New World Plaza in Beijing. As we worked on this project together, I brought the advantages of long professional experience to the table; but Li contributed a great sensitivity to Chinese cultural identity, specialized design talents reflective of Asian priorities, exceptional computer skills and an understanding of public life in China today. On the optimistic side of things, I don’t believe I have lectured for a single university student group over the past decade that hasn’t been actively involved in the environmental initiative. Some of their commitments are more technological in nature; some are invested in the politics and infrastructure of urban planning, whereas others are deeply concerned with the development of a new architectural language. All of this is a very heartening experience and gives me a great deal of hope for the future.


ECOCENTRICO Alessandro Melis

intevista/interviews Stefan Tischer a cura di/edited by Annacaterina Piras

Alessandro Melis Che possibilità ci sono di utilizzare il paesaggio per intervenire e dare qualità agli spazi infrastrutturali che hanno un forte impatto sul territorio? Stefan Tischer Possiamo rispondere a questa domanda su tre livelli, partendo dall’assunto che il progetto paesaggistico contribuisce a migliorare e rendere più sostenibile l’infrastruttura. In primo luogo, è necessario comprendere che non si può più considerare l’infrastruttura solo come un’opera ingegneristica o architettonica, ma si deve ritenere elemento paesaggistico che solo successivamente segue regole costruttive e funzionali e che spesso funge da catalizzatore per lo sviluppo di un certo territorio. Ad esempio, in Germania di norma l’architetto paesaggista interviene nella primissima fase di progettazione riflettendo sui tracciati, sulle modalità di attraversamento di zone urbanizzate o naturali fornendo alternative e strumenti di progettazione. Tra i primi esempi in Italia ricordiamo l’architetto paesaggista Pietro Porcinai che studiò il tracciato dell’autostrada del Brennero, negli anni ‘60, in un momento in cui, non ancora noti a tutti i concetti di ecologia o sostenibilità, si viveva il paesaggio come elemento percettivo ed estetico. Il paesaggista fiorentino invece risolse la problematica del tracciato tenendo conto delle sempre differenti viste dall’autostrada verso la montagna, e viceversa, andando a concepire un intervento che risulta essere ancora oggi dal punto

di vista paesaggistico perfettamente integrato, anche se può ovviamente non corrispondere ai canoni estetico-tecnico-funzionale odierni, soprattutto per quanto riguarda la sicurezza legata al dimensionamento dei raggi di curvatura. Un altro esempio storico di infrastruttura integrata nel proprio contesto paesaggistico è l’autostrada Monaco-Salisburgo, progettata negli anni ‘30, una delle prime della Germania. Il tracciato venne stabilito principalmente in base alle viste indicate da Hitler che, già in lontananza, voleva scorgere la sua casa di vacanze a Berchtesgaden. Per questo ancora oggi l’autostrada ha inclinazioni a dir poco improbabili e tocca anche le zone umide del lago Chiemsee. è dunque importante tenere sempre conto del paesaggio sin dall’inizio della fase progettuale invece che assegnare al paesaggista gli spazi residui di un intervento già definito. Un ottimo esempio da citare a tal proposito è quello di Rem Koohlas per il concorso della ville nouvelle di Melun Sénart (1987) attraverso cui si è compreso chiaramente che l’infrastruttura è il paesaggio, e viceversa, tramite l’individuazione di infrastrutture lineari integrate con fasce paesaggistiche che interagiscono con l’esistente. Anche il parcheggio di Zaha Hadid a Strasburgo, è un’opera, anche se dal carattere più strettamente architettonico, in cui l’ingegneria viene sottomessa all’idea di creare un nuovo manufatto che dia un’identità a una periferia anonima e banale. Il secondo livello importante da considerare è di carattere storico. Si deve infatti tenere in debito conto che la disciplina dell’architetto paesaggista ha avuto due origini differenti: da una parte la tradizione dell’arte dei giardini; dall’altra degli esempi eccellenti di metà Ottocento come il Central Park a New York di Frederick Law Olmsted, il sistema dei parchi pubblici a Berlino di Peter Joseph Lenné e gli interventi di Jean-Charles Alphand nella Parigi haussmaniana. Una delle maggiori difficoltà non era tanto la progettazione, quanto la gestione dello spazio pubblico, soprattutto perché ognuno di questi progettisti, proveniva da altre discipline: Olmsted era un giornalista e aveva un background che gli fu utile per progettare spazi per una società borghese e operaia in evoluzione; Lenné invece, pur con una formazione da giardiniere, seguito più tardi dall’ingegnere idraulico James Hobrecht, fu l’autore del Piano Regolatore di Berlino in un momento di notevole crescita della città. Oltre ad aver creato un sistema di gestione dei canali, che ha successivamente determinato la tipica forma della lottizzazione berlinese, i due hanno fornito un’interpretazione della città come rete di parchi e spazi pubblici restituendoli, al contrario degli edifici, in maniera dettagliatissima nelle tavole di progetto. Ciò a testimonianza, ancora una volta, di come il progetto dello spazio pubblico debba necessariamente anticipare l’ingegneria e l’architettura nella pianificazione. Alphand è colui che ha inoltre inventato l’arredo urbano attraverso lo studio di cordoli, panchine, padiglioni, interpretando le nuove tracce urbane degli ‘sventramenti’ haussmaniani come spazi da studiare e su cui intervenire. La disciplina dell’architettura del paesaggio nasce, dunque, proprio dall’esigenza d’infrastrutturazione del territorio, sia peri-urbano, che di espansione. Il terzo livello di cui si deve tenere conto, è il ruolo preminente che l’architetto paesaggista deve assegnare alla categoria della sostenibilità applicando le nuove tecnologie studiate da architetti e ingegneri. Purtroppo oggi spesso il paesaggista viene interpellato per ultimo, non essendogli più riconosciuto, come nell’Ottocento, quel ruolo di coordinatore dell’ intervento di infrastrutturazione. Possiamo, tuttavia, citare tra gli esempi contemporanei l’interessante progetto per gli esterni e il parcheggio, firmati da Michel Desvigne et Christine Dalnoky, per la fabrica della Thomson a Guyancourt, in Francia, su progetto di Renzo Piano. In questo caso, ad esempio, assistiamo allo stravolgimento di un sistema classico con l’introduzione di una dinamica naturale che permette l’abbassamento dei costi di gestione, grazie allo sfruttamento di opportunità come quella della raccolta delle acque (piovane), tramite l’utilizzo di fossati ricavati tra le file delle auto e successiva depurazione grazie alla vegetazione presente. AM A che cosa stai lavorando attualmente? ST Il progetto più esteso al quale ho lavorato degli ultimi anni è il Masterplan per Port of Spain, capitale di Trinidad e Tobago. La richiesta dell’amministrazione era di tipo infrastrutturale. Mi si chiedeva la progettazione della rete stradale dell’intera città, dovendosi affrontare i problemi causati dalle


Port of Spain la struttura del verde come maggiore elemento di strutturazione e di identità per la città: il massimo del risultato raggiungibile e auspicabile in termini di progetto sostenibile. (Masterplan per il centro di Port of Spain, Trinidad + Tobago, progetto Geniva/Consultino Engineers, David Brown/urban planning e Stefan Tischer/ architetto paesaggista e urban designer) the green infrastructure as main element of development and identity of the city: for a sustainable design the maximum result is desirable. (Masterplan for the Port of Spain, Trinidad + Tobago, progetto Geniva/consultino engineers, David Brown/ urban planning e Stefan Tischer/landscape architect and urban designer)

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inondazioni di acqua, causa le corpose piogge estive, e il problema del congestionamento del traffico. Ho avuto la fortuna di lavorare insieme a un gruppo d’ingegneri di Montreal che hanno da subito intuito di non poter risolvere tutto solo da un punto di vista ingegneristico, ma attraverso un piano che comprendesse tutti gli aspetti della città, dalle strade alle piazze, dei nuovi progetti di sviluppo. Un altro progetto, in collaborazione con Annacaterina Piras e Armani Associati, riguarda lo sviluppo di quella zona situata nella periferia sud di Piacenza denominata Le Cascine. In questo caso si tratta di un’urbanistica ‘concessionata’ in cui l’amministrazione cede ai privati lo sviluppo urbano riservandosi un potere di controllo. Al momento è difficile prevedere come si concretizzerà, ma è previsto che l’intervento diventi un grande parco pubblico integrato secondo le prescrizioni sia del Piano Regolatore, che del Piano del Verde. Prima di trasferirmi in Italia, negli ultimi cinque anni, a Montreal, mi sono occupato di ricerca concettuale sul ruolo dell’architettura del paesaggio, tra cui un progetto incentrato sulla sostenibilità, presentato al Festival dei Giardini (Flora Montreal International 2006) tenutosi nella zona del vecchio porto della città canadese. Si trattava di un padiglione di documentazione per il Tetto verde, di cui s’illustrava il funzionamento, le modalità costruttive gli aspetti estetici. Lungo 80 m, in una successione densificata della stratificazione di tutti i materiali utilizzati per il tetto verde, culminava in un punto densissimo, staccato da terra a creare una sorta di lounge che lo rendeva simile a un’installazione artistica.


FloraMontreal1 anche il disegno del tetto stesso dimostra i differenti spessori necessari per i diversi tipi di vegetazione (architetto paesaggista: Stefan Tischer) even the roof’s design shows the different thickness for the different kinds of vegetation (landscape architect: Stefan Tischer)

Alessandro Melis How can landscape be used to modify and enhance infrastructure spaces that have a major impact on the surrounding area? Stefan Tischer That question can be approached on three levels, starting from the assumption that landscape design helps improve infrastructure and make it more sustainable. First of all, infrastructure should no longer be considered merely as an engineering or architectural project, but as an element of the landscape that follows structural and functional rules only as a subsequent consideration, and that often acts as a catalyst for the development of a given area. In Germany, for instance, landscape architects are involved from the very first stages of planning, to think about the layout of the project, how it crosses urban or natural areas, and to provide alternatives and planning tools. And it was Florentine landscape architect Pietro Porcinai who designed the route of the Brennero motorway in the 60s, at a time when concepts of ecology and sustainability were not familiar to everyone, and landscape was perceived as a visual, aesthetic element. He designed the route by taking into consideration the view of the mountains from the road, but also vice-versa, and even today, the project is wellintegrated from the standpoint of landscape architecture, although it might not meet contemporary standards, especially with regard to the radii of curvature. Another example is the Munich-Salzburg autobahn built in the 30s, one of the first in Germany. The route was laid out based only on views selected by Hitler, who wanted to be able to glimpse his holiday house in Berchtesgaden from afar. That’s why even today, the highway has absurd dips in it and even touches the swampy areas of Lake Chiemsee. It’s always important to think about landscape at the beginning of the project, and not just give landscape architects the spaces left over in a fully conceived plan.

One excellent example is Rem Koolhaas’s competition entry for the Melun-Sénart ‘ville nouvelle’ (1987), which grasped the idea that infrastructure is landscape and vice-versa, designing linear infrastructures integrated with bands of open space that interact with the existing landscape. Zaha Hadid’s car park in Strasbourg is also a project, albeit a more architectural one, where engineering takes second place to the idea of creating a new object that will give an identity to an anonymous, boring neighbourhood on the outskirts of the city. The second level to be addressed is of a historical nature. The discipline of landscape architecture is rooted in two different traditions: on the one hand, the art of gardening; on the other, superlative mid-19th-century projects such as Central Park in New York, by Frederick Law Olmsted; the public park system in Berlin, by Peter Joseph Lenné; and Jean-Charles Alphand’s work in Haussmann’s Paris. One of the biggest problems was not the design, but the management of public space, especially because each of these designers came from other fields. Olmsted was a journalist, with a background that proved useful in designing spaces for an evolving middle-class and working-class society, Lenné, on the other hand, though trained as a gardener, followed later on by hydraulic engineer James Hobrecht, was responsible for Berlin’s urban planning at a time when the city was in considerable expansion. In addition to the canal system, which later determined the characteristic form of land parcels in Berlin, the pair furnished a vision of the city as a network of parks and designated public spaces, in contrast to buildings, that was painstakingly detailed in their planning documents. Once again, this shows how the design of public space must come before engineering and architecture in the planning process. Alphand was the inventor of street furniture, designing curbs, benches, and pavilions, and interpreting the new urban layout of Haussmann’s ‘guttings’ as a space to be studied and developed. The discipline of landscape architecture was born out of precisely this need to build local infrastructure, both around the city and in its expansion.


FloraMontreal2 Padiglione d’informazione sui tetti verdi alla Flora Montreal International 2006. Le mostre di giardino rappresentano un’importante opportunità di comunicazione col grande pubblico, nello specifico in riferimento alle esigenze dello sviluppo sostenibile, ma anche e soprattutto illustrano il ‘come operare’ in maniera concreta. Il ‘plastico’ nell’immagine dimostra molto concretamente come funziona un tetto verde e quali sono gli strati necessari per il suo corretto funzionamento (architetto paesaggista: Stefan Tischer) Information pavillion on the roof gardens at Flora Montreal International 2006. Landscape exhibitions represent a great opportunity to communicate with the public, specifically about sustainability, but most of all they show how to operate. The model in this image shows how layers actually work in a performing green roof (landscape architect: Stefan Tischer)

The third level is the role that landscape architects must assign to sustainability, applying the new technology developed by architects and engineers. Unfortunately, landscape architects are often the last people to be called in these days, unlike the nineteenth century when they were the coordinators of infrastructure building. There are some positive examples, however, such as the landscapes and parking created by Michel Desvigne and Christine Dalnoky for the Thomson factory in Guyancourt, France, designed by Renzo Piano. They radically transformed the classic system, introducing natural dynamics that reduce management costs by taking advantage of opportunities such as collecting rainwater through ditches between the rows of cars, which is then purified by the vegetation. AM What are you working on at the moment? ST My biggest project in recent years is the masterplan for Port of Spain, the capital of Trinidad and Tobago. The administration’s infrastructure challenge was to design the street network of the entire city, while tackling the flooding problems caused by summer rains and by traffic. I worked with a group of engineers from Montreal who immediately saw that they wouldn’t be able to solve everything from an engineering standpoint, but rather needed a plan that would cover every aspect of the city, from the streets to the squares, in the new development plans. Another project, along with Annacaterina Piras and Armani Associati, has to do with the development of the Piacenza neighbourhood called Le Cascine. In this case it is based on an urban planning system where the administration entrusts private companies with the development process, while maintaining power of oversight. At the moment it’s hard to foresee how it will develop, but I hope that it will become a large public park, integrated with the general land use plan and greenery plan. Before coming to Italy, in my last five years in Montreal, I was doing conceptual research on the role of landscape architecture, including a sustainability project that was presented at the garden festival held in the Old Port area. It was a pavilion showcasing ‘green roofs’, illustrating how they work, construction methods, and aesthetic aspects. Eighty meters long, with a gradual concentration of all the materials used for roof gardening, it culminated in an extremely dense point, detached from the ground to create a sort of lounge that made it almost a work of art.

Il Parco de Le Cascine veduta a volo di uccello e inserimento foto realistico del progetto del parco (architetto paesaggista: Stefan Tischer con Annacaterina Piras, architetti: Armani Associati) birdview simulation of the park (landscape architect: Stefan Tischer with Annacaterina Piras, architects: Armani Associati)

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[sul comodino]

[sul comodino]

[letture facoltative]

[sul comodino]

Tim Richardson Avant Gardeners. 50 progettisti

Christian R. Pongratz, Maria Rita Perbellini

Viviana Gravano Paesaggi attivi. Saggio contro

Sara Marini Architettura parassita. Strategie

visionari per il paesaggio contemporaneo 22 publishing, Milano, 2008 Molti testi recenti sono stati dedicati ai paesaggisti, ma tra

Cyberstone. Innovazioni digitali sulla pietra Edilstampa, Roma, 2009 Pongratz e Perbellini hanno lo studio a Verona ma insegnano

la contemplazione. L’arte contemporanea e il paesaggio metropolitano Costa & Nolan, Milano, 2008 Dal situazionismo a Matta-Clark,

di riciclaggio per la città Quodlibet, Macerata, 2008 è la più accurata analisi del parassitismo uscita in Italia. Partendo dall’analisi etimologica

i pochi che si distaccano dalla scelta dell’antologia inclusiva vi è questo di Richardson che propone

in Texas dove sviluppano la loro ricerca sui contributi d’innovazione che si possono ottenere nella

Dan Graham e Ghirri passando per Perec, Eco e Pistoletto utilizzando il metodo della deriva.

e scientifica del termine, indaga i contributi delle altre discipline e le esperienze progettuali

una lettura critica teorizzando l’esistenza di una corrente: i paesaggisti concettualisti. L’elemento distintivo di questa nuova tendenza, vista come

lavorazione della pietra tramite l’uso dell’informatica. Molti progettisti ribaltando il luogo comune che la vede immutabile hanno iniziato a utilizzarla in

Questo è il percorso indicato dalla Gravano per perdersi nel paesaggio metropolitano. Non per contemplarlo ma per relazionarcisi tramite l’azione e riuscire

che hanno sviluppato l’idea del parassita. Frutto di un approccio informale, risponde alle necessità di trasformazione e di densificazione racchiudendo sia

l’equivalente del postmodernismo in architettura, è la fedeltà ad un’idea come linea guida del

modo espressivo attraverso curve, sinuosità, ‘pixellature’. Gli algoritmi e le tecniche robotizzate

a percepirne le potenzialità. Perché lo spazio deve essere praticato e l’osservatore non è mai neutrale ma

una natura teorica che un attivismo concreto. Il parassita, distinto dall’esistente ma funzionalmente

progetto. In opposizione a scelte romantiche o naturalistiche dal sapore malinconico fanno riferimenti ai luoghi e alla storia

hanno permesso la nascita di una nuova estetica: la pietra non allude più solo alla stabilità e alla durata ma di volta in volta anche

è sempre parte attiva, perché ogni geografia è soggettiva. In questa rassegna delle iniziative fondanti dell’attivismo urbano vi è un’unica

dipendente, dichiara una precaria ribellione e attiva una riflessione critica sulla città. In tempo di Piano Casa una possibilità

al movimento, alla plasticità e alla sensualità.

certezza: il paesaggio non è definibile ma è continuamente alterabile.

da non trascurare.

[optional lectures]

[on the nisghtstand]

Viviana Gravano Paesaggi attivi. Saggio contro

Sara Marini Architettura parassita. Strategie

la contemplazione. L’arte contemporanea e il paesaggio metropolitan Costa & Nolan, Milan, 2008 From situationism to Matta-Clark,

di riciclaggio per la città Quodlibet, Macerata, 2008 This is the most accurate analysis of parasitism to come out in Italy. Starting from etymological and

Dan Graham and Ghirri by way of Perec, Eco and Pistoletto using drift method. This is the

scientific analyses of the term, it examines the contributions from other disciplines and design

route shown by Gravano to get lost in the urban landscape. Not to contemplate it but rather to establish interaction with it through action and succeed in

experiences that have developed the idea of the parasite. Benefiting from an informal approach, it answers to the need for transformation and densification,

perceiving the potential. Because space must be experienced and the observer is never neutral but

enclosing both a theoretical nature and a real activism. The parasite, distinct from what is already

is always an active part, because every geography is subjective. In this review of the founding initiatives of urban activism only one thing is certain: the landscape

in existence, yet functionally dependent on it, declares a shortterm rebellion and activates a critical reflection on the city. In time for Piano Casa, a chance not

is not definable, but is continually moving.

to be neglected.

o utilizzano colori e materiali artificiali per gli interventi.

[on the nightstand]

[on the nisghtstand]

Tim Richardson

Christian R. Pongratz,

Avant Gardeners. 50 progettisti visionari per il paesaggio contemporaneo

Maria Rita Perbellini Cyberstone. Innovazioni digitali sulla pietra; Edilstampa, Rome, 2009

22 publishing, Milan, 2008 Many recent texts have been dedicated to landscape designers, but among the few that leave behind the choice of inclusive

Pongratz and Perbellini have a studio in Verona but they teach in Texas where they carry out their research on the innovative contributions that they gain in

anthologies there is this one by Richardson that proposes a critical reading, putting forward

stone-working through the use of computers. A large number of designers, overturning the

the idea of a current thread: conceptualist landscape gardeners. The distinctive element of this new tendency, seen as the equivalent of post-modernism in architecture, is

common ground that is seen as unchangeable, have started to use it in an expressive way through curves, sinuous shapes and ‘pixellation’. Algorithms

faith in an idea as the guideline of the project. As opposed to romantic or naturalist choices from gloomy

and automated techniques have brought about the birth of a new aesthetic: stone no longer alludes

taste they make references to places and history or use artificial colours and materials in their work.

only to stability and duration, but also from time to time to movement, malleability and sensuality.


Random [03]

a cura di/edited by Diego Barbarelli

[ricreazione]

[io c’ero]

[cose nostre]

Franco La Cecla, Melo Minnella L’Ape. Antropologia su tre ruote

Private Flat Firenze, 2-4 ottobre 2009

Sostenibile ma bello. Progetti di Iosa Ghini Associati,

Eleuthera, Milano, 2009 La Cecla è stato ultimamente su molti comodini con il suo pamphlet Contro l’architettura. L’ho apprezzato maggiormente

Spazi espositivi nelle case è la formula di private flat. In questa edizione 14 abitazioni affidate ad altrettanti curatori si sono trasformate temporaneamente

a cura di Maurizio Corrado Editrice Compositori, Bologna, 2009 Nel titolo la sfida del prossimo decennio. Se la sostenibilità è oramai un dato di fatto

in questo suo nuovo testo dove emerge l’antropologo. è un canto, che accompagna le foto

in luoghi dell’arte all’insegna dello slogan situACTION. Una manifestazione che tramite

l’architetto deve individuare l’uso delle nuove soluzioni senza trascurare l’estetica.

di Minnella, al vero mezzo di trasporto che nato in Italia ha conquistato il mondo: l’Ape. Dal carattere popolare, rifiuta l’etichetta del design e accetta

la partecipazione, l’instabilità e la sorpresa attiva nuove forme di esposizione della cultura.

La ricerca di Iosa Ghini, come si vede nei progetti presentati, ha questo obiettivo.

[I was there]

[round here]

di essere manipolato dal gusto e trasformato dall’uso. La maneggevolezza e la disponibilità

Private Flat Florence, 2-4 ottobre 2009 Display spaces in houses is the

Sostenibile ma bello. Progetti di Iosa Ghini Associati edited by Maurizio Corrado

alla personalizzazione ne hanno fatto un mezzo di trasporto e di lavoro irrinunciabile divenendo immagine consueta tanto in Egitto

private flat formula. On this occasion 14 abodes entrusted to an equal number of exhibitors are

Editrice Compositori, Bologna, 2009 The title holds the challenge for the next decade. If sustainability

temporarily transformed into places of art in the interests of the slogan situACTION. An event that through participation, instability and

is today a given fact the architect needs to identify the uses of new solutions without neglecting the appearance. Iosa Ghini’s research,

surprise activates new forms of cultural exposure.

as the projects which are presented illustrate, aims to do exactly this.

[sul comodino]

[ricreazione]

Jacques Derrida Adesso l’architettura Libri Scheiwiller, Milano, 2008 Il decostruzionismo, il movimento che più si è nutrito di filosofia,

ANIMAls mensile Coniglio Editore, Roma Le riviste di fumetti sono oramai una rarità sostituite dagli annuali

può essere finalmente riletto attraverso la pubblicazione dei saggi che Derrida ha dedicato

antologici o dagli albi da libreria. Prova ad invertire la tendenza ANIMAls che senza la malinconica

all’architettura. Per una revisione critica a posteriori tra forzature, fedeltà e travisamenti dei concetti chiave.

riproposizione di un modello passato cerca di radicarsi alla scena contemporanea.

che in India.

[recreation] Franco La Cecla, Melo Minnella L’Ape. Antropologia su tre ruote Eleuthera, Milan, 2009 La Cecla has been on a great deal of desks lately with his pamphlet ‘Against Architecture’. I have appreciated him somewhat more in this, his new text in which the anthropologist comes out. It is a tribute, which accompanies the photos by Minnella, to the true means of transport that, originating in Italy, has conquered the world: the Ape. In character popular, it refuses a design label and accepts being manipulated by taste and transformed by use. Its flexibility and openness to being personalized have made it an indispensable means of transport and of work, so becoming a common sight as much in Egypt as in India.

[on the nightstand] Jacques Derrida Adesso l’architettura Libri Scheiwiller, Milan, 2008 Deconstructivism, the movement which, more than any other, has been fed by philosophy, can finally be re-read due to the publication of the essays which Derrida dedicated to architecture. For a critical revision behind forcing, faithfulness and distortion of the key concepts.

[recreation] ANIMAls monthly Coniglio Editore, Rome Comic strip magazines are nowadays a rarity replaced by anthologies or bookshop collections. ANIMAls tries to reverse this tendency, without the gloomy re-proposal of a past model attempting to root itself firmly in the contemporary scene.

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COMICS


Hanno collaborato a questo numero / Contributions to this issue

Veronica Balutto

architetto/architect

Laura Luperi

architetto/architect

Udine, 1976. Si laurea in architettura presso lo IUAV di Venezia nel 2002. Architetto, ma anche designer e giornalista pubblicista attiva nel campo del design e dell’architettura, collabora con diverse aziende ricevendo vari riconoscimenti, ricordiamo quello al concorso Young & Design 2006 al Salone del Mobile di Milano 2006/ Udine, 1976. She graduated in architecture from the University IUAV of Venice in 2002. She collaborates with various companies in her capacity as an architect, but also as a designer and freelance journalist in the fields of design and architecture, and her talents have been acknowledged on various occasions, including the 2006 Young & Design competition at the Salone del Mobile 2006 in Milan

Pisa,1981. Si laurea in Architettura nel 2008 presso l’Università degli Studi di Firenze, indirizzo Restauro e Conservazione dei Beni Architettonici, con una tesi sperimentale in Restauro Archeologico. Svolge attività professionale, in collaborazione con lo studio Heliopolis 21 Architetti Associati, sia nel campo del restauro architettonico che in quello della progettazione/Pisa, 1981. She graduated in 2008 from Florence’s Università degli Studi with a degree in Architecture, her Major being Restoration and Preservation of Architectural Heritage with an experimental thesis in Archaeological Restoration. She is active professionally and collaborates with Heliopolis 21 Architetti Associati in the field of architectural renovation as well as project design

Diego Barbarelli

Azzurra Macrì

Perugia, 1975. Redattore di PresS/Tletter e PresS/Tmagazine, collaboratore di Compasses/Perugia, 1975. Editor of PresS/Tletter and PresS/Tmagazine, contributor to Compasses

Finlandia, 1975. Dopo avere studiato in Italia per diventare architetto, ha deciso di essere giornalista. Osserva e scrive di architettura per profonda passione. Interessata alle forme di comunicazione dell’architettura nei paesi non ancora sedotti dalle suggestioni mediatiche, pubblica su diverse riviste di settore in Italia e all’estero/ Finland, 1975. After having studied architecture in Italy, she decided to become a journalist. She observes architecture and writes about it with a deep passion. Particularly interested in the forms of communication of architecture in countries that have not been seduced by the influence of media, she publishes in various magazines dedicated to the field in Italy and abroad

Gianni Cavallina

architetto/architect

Firenze, 1942. Svolge attività scientifica e didattica presso la Facoltà di Architettura di Firenze dal 1969. è docente di Composizione Architettonica dal 1991. Ha partecipato a laboratori e convegni in Italia ed all’estero. Tra i suoi libri citiamo Firenze, Università e Centro Storico, 1976, Simbolo, Funzione e Scala, 1991, Dal Significato al Progetto, 1995, Il margine inesistente, 1999/Florence, 1942. He has been a faculty member of the Architecture Department in Florence since 1969, active in scientific spheres as well as in education. He has been teaching Architectural Composition since 1991. He has also participated in workshops and conventions in Italy and abroad. Among his published works we would like to mention: Firenze, Università e Centro Storico, 1976, Simbolo, Funzione e Scala, 1991, Dal Significato al Progetto, 1995 and Il margine inesistente, 1999

Paolo Di Nardo

architetto/architect

Firenze, 1958. Fondatore e direttore editoriale della rivista And, nel 2002 fonda lo studio ARX che si occupa di progettazione e ricerca architettonica; collabora con studi quali Coophimmelb(l)au, Diener & Diener, Obermayer Planen + Beraten. è professore a contratto di progettazione presso la Facoltà di Architettura di Firenze e autore di numerosi articoli e saggi sull’architettura contemporanea/ Florence, 1958. Founder and editor of And magazine. In 2002 Di Nardo founded studio ARX, which is concerned with architectural research and design; he also works with studios such as Coophimmelb(l)au, Diener & Diener, Obermayer Planen + Beraten. He is a temporary professor of design with the Faculty of Architecture in Florence and has authored numerous articles and essays on contemporary architecture

Maria Grazia Eccheli

architetto/architect

Docente presso il Dipartimento di Progettazione di Architettura della Facoltà di Firenze. Ha svolto numerosi programmi di ricerca e pubblicato vari testi. Dal 2000 è direttrice della rivista Firenze Architettura, edita dal Dipartimento di Progettazione. Svolge attività professionale ed ha partecipato a numerosi concorsi nazionali ed internazionali ricevendo riconoscimenti/Professor at the Architectural Project Design Department in Florence, she has carried out numerous research programmes and published various articles. She has been editor of Firenze Architettura magazine since 2000, edited by the Project Design Department. She is very active professionally and has participated in many national and international competitions, receiving acknowledgements

Giorgio Fratini

architetto/architect

Prato, 1976. è architetto, illustratore e autore di fumetti. Vive e lavora a Firenze. è stato pubblicato in Italia e Portogallo il suo primo romanzo grafico Sonno elefante – I muri hanno orecchie, Edizioni BeccoGiallo (It) e Campo das Letras (Pt)/Prato, 1976. He is an architect, illustrator and comic-book writer. He lives and works in Florence. His first graphic novel, Sonno elefante – I muri hanno orecchie (Edizioni BeccoGiallo (It) and Campo das Letras (Pt)) was published in both Italy and Portugal

Guido Incerti

architetto/architect

San Donà di Piave (VE),1972. Dopo studi allo IUAV e alla TU Delft, collabora con studi internazionali quali DillerScofidio+Renfro. Rientrato in Italia nel 2004 fonda a Firenze, con altri, nEmoGruppo. Si occupa della relazione architettura/corpo, in particolare di UMIC, Unità di Minimo Intervento Corporeo. Ha curato con D. Simpson e D. Ricchi la monografia su DS+R. Dottore di Ricerca presso la Facoltà di Architettura di Firenze/San Donà di Piave (VE),1972. After studying at IUAV and at TU Delft, he collaborates with international studies such as DillerScofidio+Renfro. Upon returning to Italy in 2004 he founded, along with others, nEmoGruppo. He is involved in architecture/body relations, particularly of UMIC, Unit of Minimum Body Intervention. With D. Simpson and D. Ricchi, he edited the monograph on DS+R. PhD graduate at the Faculty of Architecture in Florence

giornalista/journalist

Alessandro Melis

architetto/architect

Cagliari, 1969. Si laurea a Firenze e fonda nel 1995 Heliopolis 21 a.a. con sedi a Pisa e Cagliari. Alterna all’attività professionale l’attività didattica e di ricerca alla Facoltà di Ingegneria di Pisa e alla Facoltà di Architettura di Firenze. Ha pubblicato monografie e saggi. Ha curato mostre, tenuto conferenze, visiting critic e lectures presso istituti italiani ed esteri. Docente presso la Angewandte di Vienna/Cagliari, 1969. After graduating in Florence, he founded Heliopolis 21 a.a. in 1995 with branches in Pisa and Cagliari. He alternates his professional activity with didactic and research pursuits at the University of Pisa and at the University of Florence. Besides having published monographs and essays, he has directed exhibitions, held conferences, visiting critics and lectures at both Italian and foreign institutes. He is a teacher at the Angewandte in Wien

Elisa Poli

critica/critic

Bologna, 1979. Dottore di ricerca in Storia dell’architettura presso l’Università degli Studi di Firenze in cotutela con l’Université de Paris1 Pantheon-Sorbonne. Si occupa di critica architettonica. Sta attualmente compiendo ricerche presso il CAC (Canadian Architecture Collection) di Montréal. Nel 2002 ha partecipato alla pubblicazione Il volto nascosto della città/Bologna, 1979. Graduated from a Florence University programme in the History of Architecture organised with l’Université de Paris1 Pantheon-Sorbonne. Now an architectural critic, she is conducting research at the CAC (Canadian Architecture Collection) in Montréal. In 2002 she participated in the publication of Il volto nascosto della città

Pierpaolo Rapanà

architetto/architect

Lecce, 1978. Svolge attività professionale in collaborazione con lo studio ARX di Firenze e attività di ricerca come Cultore della Materia nel corso Laboratorio di Architettura II presso la Facoltà di Architettura di Firenze. Fa parte della redazione di And/Lecce, 1978. Works in partnership with studio ARX of Florence and conducts research as a scholar with the Architectural Workshop of the Faculty of Architecture in Florence. A member of the And editorial staff

Fabio Rosseti

architetto/architect

Viareggio (LU), 1961. Vive e lavora a Firenze, rivolgendo la sua attenzione al rapporto fra architettura e tecnologie dell’informazione. è coordinatore della redazione di And con la quale ha collaborato fin dal primo numero. Ha scritto vari articoli per And e per altre testate/Viareggio (LU), 1960. Lives and works in Florence, focusing on the relationship between architecture and information technologies. Editorial staff coordinator of And, he has worked with the magazine since its very first issue, writing various articles for And and for other publications

Eugenia Valacchi

architetto/architect

Firenze, 1975. Si laurea a Firenze nel 2003. Dottore di Ricerca presso il Dipartimento di Storia dell’Architettura dell’Università di Firenze. Lavora attualmente nel team dello studio di architettura ARX e collabora fin dai primi numeri con la rivista And/Florence, 1975. She graduated from Florence in 2003. PhD graduate at the Department of History of Architecture at the University of Florence. She works as part of the ARX architectural studio team and has collaborated with And magazine since the early issues


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