STONE > WOOD
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RIVISTA DI ARCHITETTURE, CITTà E ARCHITETTI
18
maggio agosto
2010
STONE > WOOD
18
e d i t r i c e
mecanoo longhi ensamble studio peter rich studio palterer exit studio lassila hirvilammi steven holl pieta-linda auttila lundgaard & tranberg giovanni maciocco andreas wenning giorgio volpe
AND Rivista quadrimestrale di architetture, città e architetti n°18 maggio/agosto, 2010 direttore responsabile Francesca Calonaci direttore editoriale Paolo Di Nardo comitato scientifico Giandomenico Amendola, Gabriele Basilico, Miranda Ferrara, Maurizio Nannucci, David Palterer, Sergio Risaliti, Giorgio Van Straten coordinamento comitato scientifico Alessandro Melis redazione Tommaso Bertini, Filippo Maria Conti, Samuele Martelli, Elisa Poli, Pierpaolo Rapanà, Daria Ricchi, Eugenia Valacchi coordinamento editoriale Giulia Pellegrini coordinamento redazionale Fabio Rosseti corrispondenti dalla Francia: Federico Masotto dalla Germania: Andreas Gerlsbeck dagli Stati Uniti: Daria Ricchi traduzioni italiano-inglese Team Translation, Mike Wiesmeier crediti fotografici le foto sono attribuite ai rispettivi autori come indicato sulle foto stesse. L’editore rimane a disposizione per eventuali diritti non assolti progetto grafico Davide Ciaroni impaginazione elettronica Giulia Pellegrini, Pierpaolo Rapanà direzione e amministrazione via V. Alfieri, 5 - 50121 Firenze www.and-architettura.it redazione spazio A18 via degli Artisti, 18r - 50132 Firenze redazione@and-architettura.it editore DNA Editrice via V. Alfieri, 5 - 50121 Firenze tel. +39 055 2461100 info@dnaeditrice.it comunicazione Niccolò Natali niccolonatali@and-architettura.it pubblicità DNA Editrice via V. Alfieri, 5 - 50121 Firenze tel. +39 055 2461100 niccolonatali@and-architettura.it
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in copertina/cover Lassila Hirvilammi, Kuokkala church, Jyväskylä © Jussi Tiainen
18 sommario/summary Stone > Wood
MASCHERE DI PIETRA, Alfonso Acocella
Llotja Lleida, Daria Ricchi
Leggere il contesto, Fabio Rosseti
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Artificio naturale, Azzurra Macrì
RADICI NELLA PIETRA, Lapo Muratore
PILL’ ’E MAT A, Paolo Di Nardo
PRISMA MUTO, Eugenia Valacchi
SPECIE EVOLUTA, Fabio Rosseti
BIOCOMPATIBILITà ED ECOSOSTENIBILITà, Erminio Redaelli
Lassila Hirvilammi Architects, Kuokkala Church
Steven Holl, Knut Hamsun Center
EDITORIALE, Paolo Di Nardo
EDITORIALE
Wood 89
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Pieta-Linda Auttila, Wisa Wooden Design Hotel
Lundgaard & Tranberg Arkitekter, Tietgen Dormitory
Giovanni Maciocco, Intervento al parco dell’Anglona
Andreas Wenning, Case sugli alberi
Giorgio Volpe, Residenze a basso consumo energetico
EcocenTrico, Intervista a John Peterson, PA
RANDOM, Diego Barbarelli
AND COMICS, Giorgio Fratini
Random [05] 142
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EDITORIALE
PAOLO DI NARDO
Pietra, legno, e fra questi la ceramica: l’essenza, potremmo dire, dell’architettura, o meglio ancora del ‘fare’ architettura, ovvero del costruire. Questi sono gli strumenti con cui l’architettura si realizza, i materiali da costruzione, quelli più essenziali, che, da quando è comparso sulla terra, l’uomo ha iniziato ad utilizzare per modificare lo spazio attorno a lui e renderlo più accogliente e sicuro. E una volta soddisfatte queste esigenze elementari, gli stessi materiali servivano, servono, per decorare, per rendere più piacevole anche esteticamente questo spazio. Questo numero di AND ritorna a questa essenza, cerca, con gli ovvi limiti pratici che una rivista può avere, di fare il punto della situazione sull’uso di questi elementi. Il momento non è casuale, gli ultimi anni sono stati, a livello globale, anni di grandi cambiamenti, nel bene e nel male, nella società e nell’economia mondiale. Sono gli anni di una sempre maggiore presa di coscienza di quanto l’ambiente, in senso lato, sia estremamente sensibile e delicato e di quanto l’antropizzazione ‘selvaggia’ del secolo passato sia avvenuta con scarsa considerazione dell’ambiente naturale. Oggi che la parola ‘sostenibilità’ è quasi spogliata del suo significato vero e originale per l’uso semplicistico che ne è stato fatto, per la sua banalizzazione, diventa appunto necessario iniziare a porre dei nuovi punti fermi o riscoprire quelli esistenti. Si ‘ri-scopre’ così che la pietra oltre che per costruire o per rivestire l’architettura, può comunicare: la semplicità dei materiali permette all’architetto di mediare attraverso di essi simbologie e significati che difficilmente potrebbero essere trasmessi diversamente. è il caso del progetto di Palterer per il sito archeologico di Pill’ ’e Mata, in Sardegna o del progetto di Peter Rich in Sudafrica che affonda profondamente le radici nella cultura africana. Si ‘ri-scopre’ che il legno è un ottimo materiale da costruzione e non più solo da finitura e si realizzano edifici con strutture lignee anche laddove questa tradizione non ha radicamento. La tecnologia, le nuove lavorazioni che questa rende possibile, permettono di modellare il legno come se fosse una materia duttile, come nel caso del Wisa Wooden Design Hotel di Pieta-Linda Auttila, o di sottolineare la complessa semplicità di una struttura di copertura come nella Kuokkala Church di Lassila Hirvilammi Architects, in Finlandia. La ceramica, da parte sua, è anch’esso un materiale la cui essenza è rimasta inalterata nel tempo: è sempre un impasto argilloso fluido che, una volta cotto, diviene un mattone per costruire, una lastra per pavimentare o rivestire, un oggetto per esser usato o per decorare. L’innovazione, soprattutto negli ultimi anni, ne ha esaltato le caratteristiche chimico-fisiche, meccaniche ed estetiche. La ceramica ha saputo, al pari del legno e della pietra, stare al passo delle esigenze del costruire, o, se vogliamo dirlo con altre parole, al passo dell’architettura e dell’ambiente.
Stone, wood, and between these ceramics: the essence, we might say, of architecture, or better still ‘doing’ architecture, that is, of building.
chitectural covering material, can communicate: the simplicity of materials allows the architect to mediate through these same symbols and mean-
These are the tools with which architecture is realized, construction materials, those more essential that, since when it appeared on the earth, man began to use to change the space around him and make it more welcoming and safe. And once satisfied with these basic needs, these same materials served, and serve, to decorate, to make this space more aesthetically pleasing. This issue of AND returns to this essence, trying, with the obvious practical limitations that a journal can have, to take stock of the use of these elements. The timing is not accidental – recent years have been, globally, years of great change, for the better and for the worse, in the global society and economy. They are years of an increasing awareness of how much the environment, in the broadest sense, is both extremely sensitive and delicate and of how much the ‘wild’ humanization of the past century has taken place with little regard for the natural environment. Today the word ‘sustainability’ is almost stripped of its true meaning and origin for a simplistic one that because of its banality, it has become necessary to start looking for new fixed points or to rediscover existing ones. It is ‘re-discovering’ thus that stone, in addition to being a building or ar-
ings that could hardly be otherwise transmitted. It’s the case of Palterer’s project for the Pill’ ’e Mata archaeological site, in Sardinia or project Peter Rich’s project in South Africa which sinks deep roots into African culture. It is ‘re-discovering’ that wood is an optimal building material and not just for finishing, and wooden structures are made even where this tradition does not have roots. Technology and the new processes that it makes possible, allow the shaping of wood as if it were a ductile material, as in the case of Pieta-Linda Auttila’s Wisa Wooden Design Hotel, or the emphasis of the complex simplicity of a roof structure as in Lassila Hirvilammi Arthitects’ Kuokkala Church, in Finland. Ceramic is, for its part, also a material whose essence has remained unchanged over time: always a fluid clay-like dough that, once fired, becomes a brick for building, a plate for paving or covering, an object to be used or to decorate with. Innovation, especially in recent years, has enhanced the chemical-physical characteristics, mechanical and aesthetic. Ceramics has been able, like wood and stone, to stay in step with building demands, or if we want to say it another way, in step with architecture and the environment.
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Š Peppe Maisto
Maschere di pietra di/by
Alfonso Acocella
Stone masks To quote Tadao Ando’s concise and personal interpretative view: «Western architecture has employed thick stone walls to separate inner
«L’architettura occidentale – citando una sintetica e personale visione interpretativa di Tadao Ando – ha impiegato massicce murature in pietra per separare gli spazi interni dagli esterni; le finestre ritagliate in muratura così spesse da apparire come veri gesti di rifiuto del mondo esterno, erano di piccole dimen-
areas from outer ones; windows cut out of walls so thick that they appear to be authentic gestures of refusal of the outer world, they were of a small dimension and had very stern shapes. These openings shone intensely – substituting the light – rather than allowing the light to enter; they probably expressed the aspiration of man, condemned to live in darkness, towards light. A shining ray of light crossing through that darkness could have heralded like an invocation and the windows were conceived not for the pleasure of seeing, but simply in order to allow light to enter in the most direct way possible. This light that produced areas of solid and resolute configuration by puncturing the architecture. The openings created with such a severity divided the movement of the light with precision and the space was almost sculpted by bright lines that broke the darkness with an ever-changing configuration».1 We have asked ourselves many times as to the ‘nature’ of these «thick stone walls» of Western architecture evoked by the Japanese master. We believe that walls’ thickness did not always signify structural evidence (affirmation) nor the use of only one type of stone. From the ambivalence of the use of stone in architecture – suspended between structure and covering, between building modes and architectural ‘masks’ – we would like to focus on the moment of the ‘origins’ linked to the Roman experience in
sioni e possedevano forme severe. Queste aperture, ancora più che consentire alla luce di entrare, brillavano intensamente sostituendosi così alla luce stessa; esprimevano, probabilmente, l’aspirazione alla luce di uomini condannati a vivere nell’oscurità. Un brillante raggio di luce attraversando quella oscurità poteva suonare come un’invocazione e le finestre erano concepite non per il piacere di vedere, ma semplicemente per consentire l’ingresso alla luce nella forma più diretta. Una luce, questa, che perforando l’interno dell’architettura produceva spazi di solida e risoluta configurazione. Le aperture realizzate con simile severità segmentavano il movimento della luce con precisione e lo spazio era modellato, quasi in maniera scultorea, da linee luminose che spezzavano l’oscurità e la cui configurazione mutava in ogni momento».1 Ci siamo più volte interrogati sulla ‘natura’ di queste «massicce murature di pietra» dell’architettura occidentale evocate dal maestro giapponese. L’essere massiccio delle murature, secondo noi, non ha voluto dire sempre evidenza (affermazione) strutturale, né impiego di un solo tipo di materiale litico. Dell’ambivalenza d’uso della pietra in architettura sospesa fra stuttura e rivestimento, fra modi costruttivi e ‘maschere’ architettoniche vorremo mettere a fuoco il momento delle ‘origini’ connesso all’esperienza romana in cui, per la prima volta, si afferma in forma matura la concezione dell’ordine murario. La massima espressione di una tecnica muraria di tipo stratigrafico, con un’esaltazione dei valori di superficie e di rivestimento parietale, è legata proprio all’esperienza romana sulla quale hanno dato contributi interpretativi fondamentali (fra Otto e Novecento) personaggi di primo piano della cultura artistica e architettonica europea quali Semper, Bötticher, Riegl, Choisy, Meurer, Bettini e altri. Nell’architettura romana, salvo alcuni manufatti architettonici particolari (quali gli edifici di culto più importanti, i templi), non esiste una corrispondenza diretta, esplicita, fra la struttura portante e la facies parietale, interna o esterna, a vista. La verità strutturale per cui un edificio romano sta in piedi, assolvendo al suo ruolo statico, è molto diversa da quella che, in genere, appare a prima vista; dando questa particolare risoluzione al problema della costruzione gli architetti romani si allontanarono da quanto aveva espresso sin allora l’architettura greca. Anticipazioni si registrano nel mondo ellenistico. La maggiore carica innovativa della tecnica costruttiva ellenistica fa sì che – sia pur a fronte dell’abitudine prevalente alla struttura muraria massiva ed omogenea secondo la ‘maniera greca’ – già prima delle esperienze romane, la concezione di una costruzione
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Pompei, foro. Portico con tabernae del mercato coperto/Portico with tabernae of the covered market in apertura/opening page Kengo Kuma, Stone Museum, Nasu, Giappone
which the concept of the order of stone building was established for the first time in a mature form. The height of expression of stone building tech-
finds its initial – even if limited – applicative experiments. The wall (that part of construction included between
stone or terra cotta bricks that made up the framework of cement hand dipped into very fluid mortar by workers who were not always necessarily quali-
nique of a stratigraphic manner, with the enhancement of the values of the surface and wall coverings, is linked to Roman use of stone. High profile personalities from the European artistic and architectural scene between the nineteenth and twentieth centuries such as Semper, Bötticher, Riegl, Choisy, Meurer, Bettini and others have offered essential contributions to the interpretation of this technique. In Roman architecture, with the exception of several particular architectural structures (such as the most important houses of prayer, the temples), there is no direct, explicit correspondence between the bearing structure and the inner or outer surface facies walls in view. The structural truth behind the reason why a Roman building stays up (besides its static status), is very different from that which it seems to be at first sight. In giving this particular solution to the question of construction, Roman architects distanced themselves from that which Greek architecture had expressed until then. This had been seen only in part in the Hellenistic world. The major innovative charge of Hellenistic building techniques enable the concept of ‘composite’ and ‘stratigraphic’ construction in even the earliest Roman architecture (even in the face of the prevalent use of massive and homogeneous stone structures in accordance with the ‘Greek way’) with the contextual use of different materials, in which it
the grade plan and the bolster of the covering) in Roman architecture, having been influenced by such innovation, can be viewed as a composite, specialized structure made of different materials, and different levels with diverse functions that are organised and hierarchized from within to the exterior. In general, a central bearing wall was built onto which a series of levels that fortified the thickness of the wall’s framework (towards both the interior as well the exterior) by using crushed roof tiles, lime plaster and plaster with fresco paintings, encaustic paintings, stucco and thick stones. During the Imperial Era thin slabs of multi-coloured marble, mosaics made with crushed glass and exposed bricks were also used. The wall’s frame work, in a solid resistant form and to support the covering, is generally obliterated; the surface layers of covering in material and colour continuity, borders and outlines space by deleting all evidence of the bearing structure. In general, the bearing wall structure appears treble, made up of three layers: two external screens and a much thicker nucleus in concrete. The featured protagonist of the composition of the central nucleus is the opus caementicium, a material destined to revolutionize the system of construction in ancient architecture and promote a grandiose ‘spatial architecture’ in which the essential role is played by lime mortar (material) as combining material compared to the ‘scraps’ (caementia) of
fied (like those proposed for the planning of wall perimeters). Without walls, the opus caementicium was usually used exclusively for the foundation; outstanding point is that it was always adopted for the inner nucleus combined with formwork-walls that are extremely varied in type, morphology and dimension of the materials from which they are composed. Such walls were generally built with elements with a ‘wedge’ morphology, whether natural stone was used or ‘artificial’ ones like bricks were adopted. The ‘wedge’ is always found in the opus reticolatum and opus testaceum, less defined, yet always present, in the opus incertum and opus vittatum. The purpose of this particular ‘wedge’ morphology was to obtain – inwards – the co-penetration of the differing materials used (nucleus-wall surface) and – outwards – a completely level wall suited to additional surface coverings to remain in view. Vitruvio is one of the sources: in the second chapter of De Architectura, it is pointed out that a certain care for the characteristics of the various types of opus romani clearly shows the peculiarity of this new Roman concept of construction essentially based upon concrete and compares it to the Greek tradition and late Hellenistic additions that introduce – as mentioned above – combined emplecton walls, a prelude to the Roman developments of composite walls.
Roma, foro di Traiano. Ricostruzione del portico/Reconstruction of the portico immagine tratta da/image taken from Henri Stierlin, Impero Romano, Taschen, Colonia, 1997, p. 132
What still needs to be clarified is the reason why the Romans concealed the framework of the bearing walls to such a point (rejecting any aesthetic addi-
muraria ‘composita’, ‘stratigrafica’, con uso contestuale di materiali diversi, trovi i suoi primi, anche se limitati, esperimenti applicativi. Recependo tali innovazioni, in ambito romano il muro – ovvero quella parte della costruzione compresa
tion of a structural element), choosing the covering instead as the true protagonist of the architectural image. Without a doubt, we are facing the ripening of a sensitivity towards an architectural form that was different from that derived from the Greek trilithon concept or the Hellenistic peristilia. The obliteration of construction frames in Roman architecture was usually accompanied by the concealment of their tectonic features, their structural hierarchization and differentiation, taking full advantage of the ‘concealing’ solution of vertical walls and wide enveloping vaults, authentic innovative tools of the Roman architectural design. Sergio Bettini emphasizes with great insight: «In Roman art, vaults and cupolas have the fundamental figurative function of enveloping and unifying space, of obtaining that characteristic effect of totality of space to which even the most particular shape is subordinated. It is this very spatial totality that determines the strictly architectural meaning of Roman buildings and is the departure point for the exact comprehension of the particular shapes absorbed by this architecture and not the shapes taken one by one or a combination of single forms. Right from the start, from the initial adoption of cement in building techniques, the special accent of Roman architecture is placed no longer on the element (like in Greek architecture), but on its ‘binding’, the comprehensive unity of the work».2
fra il piano di spiccato e il piano di appoggio delle coperture – è riguardabile come struttura composita e specializzata fatta di molteplici materiali, di strati a funzioni diversificate, organizzati e gerarchizzati dall’interno verso l’esterno. In genere è dato un nucleo murario portante centrale a cui si sovrappone una serie di strati che ingrossano lo spessore dell’ossatura muraria (sia verso l’interno che l’esterno) utilizzando cocciopesti, intonaci di calce, intonaci colorati con pitture ad affresco, encausti, stucchi, rivestimenti lapidei a spessore e, dall’epoca imperiale, anche lastre sottili di marmi policromi, mosaici in pasta vitrea, laterizi a vista. L’ossatura muraria, in forma di solido resistente e di sostegno alla copertura, è, in genere, obliterata; gli strati superficiali di rivestimento in continuità materica e coloristica, delimitano e definiscono lo spazio azzerando ogni evidenza della struttura portante. La struttura muraria portante risulta, generalmente, tripartita, ovvero composta da tre strati materici: due cortine all’esterno e un nucleo interno, di più rilevante spessore, in calcestruzzo. Nella composizione del nucleo centrale fa da protagonista l’opus caementicium, un materiale destinato a rivoluzionare i sistemi di costruzione dell’architettura antica e a promuovere una grandiosa ‘architettura spaziale’ in cui un ruolo essenziale è svolto dalla malta di calce (materia) quale elemento aggregante rispetto ai ‘rottami’ (caementa) di pietra o di laterizio cotto che costituiscono l’ossatura del calcestruzzo stesso allettati a mano nella malta molto fluida da maestranze non necessariamente qualificate (come quelle preposte alla realizzazione dei paramenti murari). Privo di cortine, l’opus caementicium è comunemente impiegato unicamente in fondazione; in spiccato, invece, è utilizzato sempre come nucleo interno, in abbinamento con casseforme-cortine molte variegate per tipologia, morfologia e dimensioni dei materiali costitutivi. Tali cortine risultano generalmente formate da elementi – sia nel caso di utilizzo di pietre naturali che di prodotti ‘artificiali’, quali i laterizi cotti – con una morfologia a ‘cuneo’ (rigorosa nell’opus reticolatum e nell’opus testaceum, meno definita ma sempre presente nell’opus incertum e nell’opus vittatum). Questa particolare morfologia a ‘bietta’ è finalizzata a ottenere – verso l’interno – la compenetrazione degli eterogenei materiali costitutivi (nucleoparamenti) e – verso l’esterno – una parete completamente pareggiata e complanare idonea ad accogliere qualsiasi altro strato di rivestimento superficiale da lasciare a vista. Fra le fonti antiche Vitruvio, nel secondo capitolo del De Architectura, precisa con una certa cura le caratteristiche delle diverse tipologie di opus romani esplicitando la peculiarità della nuova concezione costruttiva romana a base essenzialmente concretizia e confrontandola con la tradizione greca e il tardo
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Pompei, terme del foro. Calidarium
There are many retraceable examples of ‘structural illusion’ in Roman architecture (even in complexes in which there surely was no lack of funds or technical skills). The one outstanding example is the brick jack arches covered with slabs of marble to resemble large monolithic architraves seen in the Courtyard’s Dorian pillars and at the Teatro Marittimo at Emperor Hadrian’s Villa Tiburtina in Tivoli. ‘Fake architecture’ used in covering walls with paint, paintings, marble claque, mosaic or stucco, all pursue the same purpose: ‘dressing’ up the wall so that it conveys a superior aesthetic quality than what would have been otherwise possible. In a similar manner, we believe that in most contemporary architecture adopting the stone technique (and consequential architectural idioms) of covering is still used. The ‘stone mask’ that is both an image and an evocation of the legendary monolithic structures of Mediterranean building civilizations of pre-Roman times. Notes 1 Tadao Ando, “Luce” (1993) in Tadao Ando, Electa, Milano 1994, p. 521. 2 Sergio Bettini, Lo spazio architettonico da Roma a Bisanzio, Edizioni Dedalo, Bari 1990, p. 147.
pagina seguente/following page Kengo Kuma, Lotus house, Kanagawa, Giappone
aggiornamento ellenistico che introduce — come già accennato — murature miste a emplecton, preludio degli sviluppi romani delle murature composite. Rimane da esplicitare il motivo per cui i romani dissimularono a tal punto l’ossatura muraria portante (rifiutando ogni apporto estetico dell’elemento strutturale), eleggendo, invece, il rivestimento a vero protagonista dell’immagine architettonica. Siamo di fronte, indubbiamente, alla maturazione di una sensibilità alla forma architettonica diversa da quella derivante dalla concezione trilitica greca o peristilia ellenistica. L’obliterazione delle membrature costruttive si accompagna, in genere, nell’architettura romana, a un occultamento della loro tettonicità, della loro gerarchizzazione e differenziazione strutturale, sfruttando soluzioni di ‘ricoprimento’ delle murature verticali e delle ampie e avvolgenti volte, veri dispositivi innovativi della concezione architettonica romana. «Nell’arte romana – evidenzia con grande acutezza Sergio Bettini – le volte e le cupole hanno la funzione figurativa fondamentale di raccogliere e unificare gli spazi, di ottenere quell’effetto caratteristico di totalità dello spazio, a cui vengono subordinate anche tutte le forme particolari. È questa totalità spaziale, appunto, che determina il significato propriamente architettonico degli edifici romani e costituisce il punto di partenza per l’esatta comprensione delle forme particolari che in essa vengono assorbite; non sono le forme singolarmente prese o un accostamento di forme singole. Già dagli inizi, dalla stessa adozione della tecnica cementizia, l’accento dell’architettura romana è posto non sull’elemento, alla maniera greca, ma sul ‘legamento’, cioè sull’unità complessiva della fabbrica».2 Gli esempi dell’‘illusionismo strutturale’ rintracciabili nell’architettura romana sono molteplici (anche in complessi dove sicuramente non esistevano limitazioni economiche o di competenze tecniche); fra tutti possiamo citare il caso particolarmente significativo delle piattabande in mattoni foderate con lastre di marmo a simulazione di grandi architravi monolitici sia nel Cortile dei pilastri dorici che nel Teatro marittimo della Villa tiburtina a Tivoli dell’imperatore Adriano. In fondo le ‘finte architetture’ da rivestimento, con pitture dipinte, placcature marmoree, mosaici o stucchi, perseguono tutte la medesima finalità: gettare sulla parete una ‘veste’ che trasmetta una qualità estetica superiore a quanto sarebbe stato possibile per altra via. Non dissimilmente riteniamo che nella maggior parte delle architetture contemporanee in pietra si continui a operare attraverso la tecnica (e i linguaggi architettonici conseguenti) del ricoprimento, del rivestimento, della ‘maschera litica’ simulacro ed evocazione, allo stesso tempo, della mitica struttura monolitica delle civiltà costruttive mediterranee preromane. Note 1 Tadao Ando, ‘Luce’ (1993) in Tadao Ando, Milano, Electa, 1994, p. 521. 2 Sergio Bettini, Lo spazio architettonico da Roma a Bisanzio, Bari, Edizioni Dedalo, 1990, p. 147.
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Llotja Lleida
nw sw
ne se
Mecanoo architecten, Teatro e sala congressi
di/by Daria Ricchi foto di/photos by Mecanoo architecten Theatre and congress hall The Lleida area is famous for its fruit production; and it is especially in the inside that architects play with the vegetable
La zona di Lleida è famosa per la sua produzione di frutta; ed è in particolare negli interni che gli architetti giocano con questo tema vegetale: sagome di alberi illuminano le pareti laterali mentre molteplici profili di foglie movimentano il soffitto. I Mecanoo desideravano inoltre un edificio che sembrasse
theme: silhouettes of trees light up the side walls while multiple outlines of leaves enliven the ceiling. Moreover, Mecanoo wanted a building that more than anything would seem to grow from the ground, and in fact the stone that covers it has the same color of the soil on which it stands; to not create a monolithic block, the building ends with a rooftop garden that provides a grassy cape and at the same time a verdant and enjoyable views for the surrounding buildings. And not only that. The building serves as a transition between the natural landscape – mountains and river – and the town, becoming a kind of urban glue. Alternating with the plant images is the presence of real vegetation on the roof with pergolas supporting various types of climbers, roses, jasmine, and ivy. The roof garden also provides shelter from the summer heat just as the projecting the volume of the building does, and under which it additionally creates a space for meetings and an outdoor plaza. The project for a Lleida theater and conference center, second in Catalonia only to the capital of Barcelona, dates to 2004, but the works were completed only in 2010. It has the appearance of a spacecraft in form but not materially, like the brutalist auditorium of Delft, built in the early sixties by Van den Broek and Bakema, that Francine
nascere dal terreno, infatti la pietra che lo ricopre ha lo stesso colore del suolo su cui sorge; per non realizzare un blocco monolitico, l’edificio si conclude con un tetto giardino che offre un manto erboso e allo stesso tempo una vista godibile e verdeggiante per gli edifici circostanti. Non solo. L’edificio funge così da tramite tra il paesaggio naturale – montagna e fiume – e quello cittadino, divenendo collante urbano. Alle immagini vegetali si alterna la presenza di vegetazione reale presente sul tetto con pergole che supportano vari tipi di rampicanti, rose, gelsomini e edere. Il tetto giardino fornisce anche riparo dalla calura estiva così come il volume aggettante dell’edificio, sotto al quale si crea inoltre uno spazio per incontri e una piazza all’aperto. Il progetto per teatro e sala congressi a Lleida, seconda in Catalogna solo alla capitale Barcellona, risale al 2004 ma i lavori si sono conclusi solo nel 2010. Ha la sembianza di una navicella spaziale analoga e somigliante nella forma, ma non nei materiali, all’opera brutalista dell’auditorium di Delft, costruito nei primi anni Sessanta da Van der Broek e Bakema, che Francine Houben ben conosce avendovi costruito di fronte la celeberrima biblioteca. Anch’esso appare come un monolite, ma in realtà è un edificio costituito da più volumi, tutti organizzati attorno a molteplici foyer fono-assorbenti. E i materiali stessi servono anche a distinguere le diverse parti dell’edificio e il loro orientamento: l’esterno è in pietra mentre l’interno vede pareti intonacate con pavimentazioni in legno o marmo, e nel foyer si trovano vari tipi di legno massello. All’interno, attorno ad un’unica corte centrale, una monumentale scalinata parte dal livello stradale per arrivare alla sala multifunzionale al primo piano; un’altra rampa conduce al secondo livello dove una serie di aperture a nastro consentono un panorama a trecentosessanta gradi sulla città e sul fiume. Il teatro è capace di ospitare mille persone e funziona anche come centro congressi (per un totale di 37.500 metri quadrati) al quale si sommano uffici per la stampa, zone VIP e un centro incontri – sul lato cittadino –, bar e ristoranti – sul lato che si affaccia sul fiume e sulla nuova piazza. Le entrate del teatro servono anche come sala per conferenze e riunioni. Tutti gli spazi logistici sono disposti in maniera estremamente funzionale e in parte sotterranei. Pur somigliando ad una porzione di paesaggio questo edificio dovrà divenire, in realtà, un riferimento architettonico e urbano per la cittadina catalana.
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pianta piano terra/ground floor plan 0
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pianta secondo piano/second floor plan
sezione aa/section aa
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Houben knows well, having built the well-known library. This appears also as a monolith, but in reality is a building consisting of several volumes, organized around a sound-absorbent foyer complex. And the same materials serve also to distinguish the different parts of the building and their orientation, the exterior in stone while in the interior are seen plastered walls with wood or marble floors, and in the foyer are found several types of solid wood. Inside, around a single central courtyard, a monumental staircase begins from the street level, arriving to the first floor multifunction hall; another ramp leads to the second level where a series of strip openings allow a three hundred and sixty degree panoramic view onto the city and river. The theater can seat one thousand people and also functions as a conference center (for a total of 37,500 square meters) to which are added press offices, VIP areas, and a meeting center – on the town side –, bars and restaurants – on the side overlooking the river and the new plaza. The theater entrances also serve as a conference and meeting hall. All of the logistic spaces are arranged in an extremely functional manner, and are in part underground. Although this building resembles a piece of landscape, it should become, indeed, a urban and architectural landmark for the Catalan town.
nome progetto/project name La Llotja de Lleida fase di concorso/competition progetto/design Mecanoo architecten ingegneria strutturale/structural engineering ABT consulenza acustica/acoustics consultant Peutz ingegneria elettrica e meccanica/electrical and mechanical engineering Deerns Raadgevende Ingenieurs consulente per i costi/costs consultant Basalt Bouwkostenadvies committente/client Municipality of Lleida fase di progetto/executive phase progetto/design Mecanoo architecten in collaborazione con/in collaboration with Labb arquitectura ingegneria strutturale/structural engineering BOMA consulenza acustica/acoustics consultant Higini Arau ingegneria elettrica e meccanica/electrical and mechanical engineering Einesa Ingenieria architettura tecnica/technical architect J/T Ardèvol i Associats consulente per i costi/costs consultant J/T Ardèvol i Associats consulente per la sicurezza e l’antincendio/security and fire safety consultant Einesa Ingenieria capoprogetto/project manager Eptisa S.A. Direcció Integrada committente/client Centre de Negocis i de Convencions S.A., Lleida luogo/place Lleida, Spagna superficie/area 37.500 mq/sqm (teatro e centro congressi/theatre and congress centre); 9.500 mq/ sqm (parcheggio, terrazze, lounge/parking, terraces, lounge); 15.325 mq/sqm (piazza/public square); 2.591 mq/sqm (uffici Mercolleida e svago/Mercolleida offices and retail) data progetto/design date 2004-2005 fine lavori/completion 2010 www.mecanoo.com
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planimetria/site plan
in basso: la grande scala di collegamento che conduce al primo piano below: the wide staircase leading to the first floor
sezione bb/section bb
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corridoio al primo piano corridor on the first floor sotto: auditorium principale below: main conference hall
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Leggere il contesto Longhi Architects, Pachacamac House
testo di/text by Fabio Rosseti foto di/photos by Cholon Photography, Elsa Ramirez Understanding the context Pachacamac «he who gives life to the world», according to Incan mythology he is the god of fire and the son of the Sun god.
Pachacamac, «colui che dà vita al mondo», secondo la mitologia Inca dio del fuoco e figlio del dio Sole. Un dio che controlla l’equilibrio del mondo, ma capace di scatenare terremoti con la sua rabbia; un dio feroce che uccide per gelosia il primo figlio della prima donna del mondo, fecondata dal dio
A god who controls the balance of the world, yet capable of unleashing earthquakes with his rage; a ferocious god who kills the first son of the world’s first woman out of jealous rage. This son was also the Sun god’s child. His buried body will bring forth essential foods such as corn, yucca and fruit to feed humanity. The mythological duality seems to be reflected onto the place as well, the first mountain slopes, only 40 kilometres from Lima, where the vegetation yields to the rocky desert: it is here that the Pre-Incan civilization built a city that is now one of the most sought-after archaeological sites in Peru. The ability of Luis Longhi to understand this context, his profound connection with Peruvian history and culture and last, but not least, his skill in interpreting the desires of his clients, a couple of philosophers (another almost archaic figure in a hyper-technological world), brought a unique architecture to life: this adjective is not intended to be an aesthetic qualification, even if it very well be, but it has a literal value, of singularity. Pachacamac House could not have been brought into being anywhere else but here. The entire project seems to be imbued with the same duality that characterizes Pachacamac with a pursuit of a relationship that Luis Longhi describes as thus: «It’s like any other human relationship, and as such it can be directed, sophisticated, romantic, respectful, healthy or unhealthy».
Sole, ma dal cui corpo, sepolto, nasceranno i cibi essenziali, come il mais o le yucas e i frutti, che sfameranno gli esseri umani. La dualità mitologica sembra riflettersi anche nel luogo, le prime pendici montuose, a soli 40 km da Lima, dove la vegetazione lascia il passo al deserto roccioso: qui la civiltà pre-incaica costruì una città, oggi uno dei siti archeologici di maggior interesse del Perù. La capacità di Luis Longhi di leggere il contesto, il suo forte legame con la storia e la cultura peruviana, e non ultima la capacità di interpretare i desideri dei suoi committenti, una coppia di filosofi (figure, anche queste, quasi arcaiche, in un mondo ipertecnologico), hanno dato vita a un’architettura unica: l’aggettivo non vuole essere una qualificazione estetica, anche se potrebbe esserlo, ma ha un valore letterale, di singolarità. Pachacamac House non può che essere nata in questo luogo. Tutto l’intervento sembra pervaso della stessa dualità che caratterizza Pachacamac, alla ricerca di un rapporto che, come dice Luis Longhi, «è come ogni altro rapporto umano, e come tale può essere diretto, sofisticato, romantico, rispettoso, sano o insano». Il rapporto con il luogo è totale, fisico. Questa abitazione è «sepolta nella collina», nel desiderio di bilanciare l’equilibrio fra architettura e ambiente. L’impatto visivo dei tagli irregolari nel terreno che servono a portare aria e luce agli spazi interni della casa, ricorda le faglie aperte dai terremoti (scatenati da Pachacamac) nelle rocce andine. Spazi irregolari, interni ed esterni, profondamente materici, sono messi in risalto dal continuo gioco di luci e ombre creato dai tagli, dalle aperture ma anche da un attento uso della pietra usata come elemento costruttivo e come rivestimento, e dal cemento a faccia vista, che caratterizza gli spazi interni, lasciato grezzo, con le imperfezioni delle casseforme. Solo una scatola di vetro si protende dal fronte della collina rocciosa verso i campi sottostanti, una sorta di simbolo che in realtà ci svela la presenza di un’architettura nascosta in grado di interagire con l’ambiente naturale che la circonda. Gli Inca scavarono nelle rocce andine città e templi, giunti fino a noi, che esprimevano il profondo rapporto fra l’uomo e la natura e l’architettura era parte fondamentale di questo rapporto. In questa abitazione si ritrovano questi temi, lo stesso rispetto per l’ambiente, lo stesso valore dell’architettura vista anche come strumento di mediazione fra l’uomo e la terra, l’ambiente che lo circonda. Le alte montagne che circondano questa piccola collina sassosa, sono gli stessi Apu, le medesime divinità che proteggevano le città inca, secondo una continuità culturale che, sicuramente, in questo caso è stata in grado di adeguarsi ai tempi e alle necessità moderne.
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nome progetto/project name Pachacamac Hill House progetto/design Longhi Architects – Luis Longhi gruppo di progetto/project team Veronica Schereibeis, Carla Tamariz, Christian Bottger costruzione/construction Longhi Architects – Hector Suasnabar committente/client una coppia di filosofi/a couple of philosophers luogo/place Lima, Perù superficie/area 480 mq/sqm data progetto/design date 2006 fine lavori/completion 2009 www.longhiarchitect.com
vista della facciata est/view of the east façade sotto: vista dall’alto/below: eye bird view in apertura: uno dei canyon di servizio opening page: one of the service canyons
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pianta secondo piano/second floor plan
The relationship with the place is total, physical. This dwelling is ‘buried in the hill’, in the desire to balance the equilibrium between architecture and environment. The visual impact of the irregular cuts into the soil that serve to bring air and light to the house’s interior recalls the faults opened by the earthquakes unleashed by Pachacamac into the rocks of the Andes. Irregular spaces both internal and external that are profoundly tangible are highlighted by the constant alternation of light and shadow created by the cuts and openings as well as a careful use of the stone as a constructive element and covering as seen in the cement (left in its ‘raw’ form with the imperfections of its formwork) left in full view that typify the interior. There is only one glass box that stretches out towards the rocky hill and the fields below, a kind of symbol that actually reveals the presence of a hidden architecture capable of interacting with the natural environment that surrounds it. The Incas dug cities and temples in the rocks of the Andes that can still be seen, expressing the relationship between man and nature. Architecture was an essential part of this relationship. These themes can be found in this dwelling: the same respect for the environment, the same value of architecture seen as an instrument of mediation between man, earth and the surrounding environment. The tall mountains surrounding this small, rocky hill are actually the Apu, the divinities that protected Incan cities that, according to a cultural continuity, are capable of adapting to modern times and necessities in this case.
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vista della piazza di accesso view of the entrance plaza pagina seguente: l’entrata al piano inferiore following page: the entrance to the lower floor
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Š Roland Halbe
Artificio naturale Ensamble Studio, La Trufa, un pezzo di natura costruita
testo di/text by
Azzurra Macrì
Natural device In a flourishing pine grove, a mass of stone opens its heart to host a small, poetic dwelling on a steep, rocky cliff skirted by the wa-
Su un costone di roccia scoscesa e lambita dalle acque dell’Oceano Atlantico, lungo la costa della Galizia, all’interno di una folta pineta, un blocco di pietra apre il suo cuore per ospitare una piccola abitazione poetica. Un ambiente di 25 metri quadrati diventa l’anima del robusto masso. Qui naturale
ters of the Atlantic Ocean along the Galicia coast. 25 square metres of space becomes the soul of a robust mass. Here natural and artificial meet, they come face to face and begin an ongoing dialogue between nature and the hand of man. La Trufa [The Truffle] is a work by Antón GarcíaAbril of Ensamble Studio. This holiday house is so ravishing thanks to the way it entices the landscape as well as for the contemplative environment it is capable of offering to those who spend some time inside it. It also calls attention to itself for the process of its formation: the goal was to literally fabricate a mass of stone. The idea was that of digging a deep ditch and then placing bales of hay to build volume that were arranged to create a parallelepiped. After that, the space between the ground and the volume of hay was filled with concrete which became a sole entity with its soul, once it was solidified. With the use of a bulldozer, the large mass was excavated – just like a large truffle, from which the project La Trufa gets its name – and placed into the core of the pine grove. «But what we had created was not yet architecture, we had fabricated a stone», explains García-Abril. The parallelepiped was opened on its shorter side with quarry machinery: at that point the hay was accessible and, in order to avoid any and all waste, the designers left it there so that it could become
e artificiale si incontrano, si confrontano, generano un dialogo costante fra la natura e l’intervento dell’uomo. La Trufa, opera di Antón García-Abril, di Ensamble Studio, rapisce per la seduzione che esercita sul paesaggio e per l’atmosfera di meditazione capace di donare a chi trascorre del tempo al suo interno. E attira l’attenzione per il suo processo di formazione, mirato a fabbricare, letteralmente, un blocco di pietra. L’idea è stata quella di scavare un’ampia buca al centro della quale sono state impilate delle balle di paglia, disposte a creare un parallelepipedo. Successivamente, lo spazio fra la terra e il volume di paglia è stato riempito di calcestruzzo che, una volta solidificatosi, è diventato tutt’uno con la sua anima. Attraverso una ruspa, il grosso blocco è stato sterrato – proprio come un grosso tartufo, da qui il nome del progetto – e adagiato nel cuore della pineta. «Ciò che avevamo creato non era ancora architettura: noi avevamo fabbricato una pietra», spiega García-Abril. Usando una macchina per tagliare la pietra, il parallelepipedo è stato aperto su uno dei suoi lati corti: a quel punto la paglia è diventata accessibile e, per evitare ogni spreco, i progettisti hanno lasciato che diventasse lauto banchetto per una giovane mucca. A quel punto, 50 metri cubi di vuoto sono diventati lo spazio interno di progettazione. «La mucca aveva mangiato il volume di paglia, e per la prima volta appariva l’interno: lo spazio architettonico era finalmente disponibile, dopo essere stato per lungo tempo massa vegetale e rifugio per animali», continua. Per via di togliere il blocco di pietra viene quindi scarnificato al suo interno, liberato dal suo cuore morbido ed edibile perché diventi quello che in potenza può contenere la sua anima: uno spazio minimalista, nel quale è possibile soggiornare sposando la natura, facendosi cingere, avvolgere fino a diventare parte di essa. La sua realizzazione si è svolta come un’avventura ludica, concepita quasi come un gioco di costruzione. La parte orientata verso il mare è protetta da una grande lastra di vetro che consente di godere del paesaggio e di stabilire, ancora una volta, un rapporto di interazione fra spazio costruito e ambiente naturale. Sulla parete opposta si apre una porta che introduce in uno scrigno abitato da un angolo per la conversazione ed uno per il riposo. Non mancano doccia e servizio igienico a scomparsa. «Ci siamo ispirati al Cabanon di Le Corbusier – racconta l’architetto. Il nostro desiderio era quello di costruire con le nostre mani un pezzo di natura, uno spazio contemplativo, una piccola poesia». Una poesia nella quale tempo e spazio si contraggono lasciando che il rapimento estatico possa fluttuare facendo eco al respiro del mare.
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PAULINA
immagini delle fasi di realizzazione images of the realization process tutte le immagini/all images Š Ensamble Studio
© Ensamble Studio
nome progetto/project name La Trufa [Il Tartufo/The Truffle] progetto/design Antón García-Abril – Ensamble Studio collaboratori/collaborators Ricardo Sanz, Javier Cuesta appaltatore generale/general contractor Materia Inorgánica luogo/place Costa da Morte, A Coruña, Spagna superficie/area 25 mq/sqm data progetto/design date agosto/August 2006 fine lavori/completion febbraio/February 2010 www.ensamble.info
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QR CODE scarica il video della realizzazione inquadrando il codice QR con il tuo smartphone/download the video of the construction on your smartphone via QR Code
© Ensamble Studio
vista sulla Costa da Morte view on the Costa da Morte
© Roland Halbe
a sumptuous banquet for a young calf. At that point, a 50 cubic metre space had become the empty interior of the project: «The calf had eaten the hay and the interior was revealed for the first time: the architectural space was available at last after having been a shelter for animals and a vegetable mass for a long time», he continues. The stone was gutted due to its removal, freed from its soft and edible core so it could contain what would potentially become its soul: a minimalist space in which one could live in harmony with nature, becoming enveloped in the surroundings, embraced by nature – as it were – until it becomes a part of it. The creation of the dwelling took place as if it were a recreational adventure, conceived almost as a game of construction. The part facing the ocean is protected by a large sheet of glass that grants a view of the landscape and to establish yet again an interactive relationship between constructed space and the natural environment. There is a door along the opposite wall that accesses to an intimate room that includes an area for conversation and one for resting. There is also a shower and bath area. The architect explains: «We took the Le Corbusier’s Cabanon as motif. Our wish was to build with our own hands, a piece of nature, a contemplative space, a little poem». A poem in which time and space are contracted, enabling the ecstatic abduction to float and echo the breath of the ocean. a sinistra e pagina seguente: viste interne on the left and following page: internal views
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Š Roland Halbe
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Radici nella pietra Peter Rich Architects, Mapungubwe Interpretation Centre
testo di/text by
Lapo Muratore
Roots in stone Africa, place of suffering and mystery. On the one hand the extreme environmental conditions of many regions, the wars and struggles
Africa, luogo di sofferenza e di mistero. Da un lato le condizioni ambientali estreme di molte regioni, le guerre e le lotte fra le diverse etnie e popolazioni; dall’altro la consapevolezza della vastità del suo territorio, che comprende il deserto come le foreste pluviali e la savana, e della ancestrale ricchezza
between different ethnic groups and populations; on the other the awareness of the vastness of its land, which includes the desert, rainforests and savanna, and of the ancestral cultural richness of its people. These images of Africa, while having deep roots in the everyday reality of the continent, become, however, stereotypes for use by a western culture that often still continues to see Africa and its culture according to their own cultural ‘yardstick’. Maybe it is just for the reason why the sense of belonging and rootedness is so strong in African cultures. Peter Rich, South African architect, is undoubtedly one of the greatest interpreters of these roots in contemporary architecture. His architectures, in their formal linearity, functional and interpretative, are born from this cultural and environmental heritage, from those roots that sink into this continent so much so as to make them unique. They are simple, essential architectures: simplicity born from the careful use of local materials and technologies – wood, stone, brick masonry, metal frames – as well as a precise attention to the functionality of space, freeing them from any purely decorative frills, if not those that may result from the form itself or by the use of color, perhaps the same ones used by people to paint their clothes. The Mapungubwe Interpretation Centre, in Ma-
culturale delle sue popolazioni. Queste immagini dell’Africa, pur avendo profonde radici nella realtà quotidiana del continente, divengono tuttavia stereotipi ad uso di una cultura occidentale che spesso continua a vedere ancora l’Africa e la sua cultura secondo il proprio ‘metro di misura’ culturale. Forse è proprio per questo che il senso di appartenenza e di radicamento è così forte nelle culture africane. Peter Rich, architetto sudafricano, è senza dubbio uno dei maggiori interpreti di queste radici nell’architettura contemporanea. Le sue architetture, nella loro linearità formale, funzionale ed interpretativa, nascono da quei retaggi culturali ed ambientali, da quelle radici che affondano in questo continente così tanto da renderle uniche. Sono architetture semplici, essenziali: la semplicità nasce dall’uso attento dei materiali e delle tecnologie locali – legno, pietra, murature in mattoni, telai metallici – così come da una precisa attenzione alla funzionalità degli spazi, liberandoli da ogni orpello puramente decorativo, se non quello che può derivare dalla forma stessa o dall’uso dei colori, magari gli stessi usati dalla popolazione per dipingere le proprie vesti. Il Mapungubwe Interpretation Centre, nel Mapungubwe National Park, nella Valle del Limpopo, in Sud Africa, segue questa linea a maggior ragione, sorgendo in un parco nazionale creato per difendere l’ambiente dove si sviluppò un’antica civiltà africana. Interpretation Centre è una locuzione inglese che significa «istituzione per la diffusione della conoscenza del patrimonio culturale e naturale» di un paese o di un popolo. Il suo doppio scopo – sottolineare la criticità in cui si trova l’ambiente naturale della zona e l’eredità culturale di una civiltà che è nata in quel luogo – Rich lo esprime attraverso un’architettura che sicuramente ha a che fare più con l’architettura del paesaggio e la tecnologia che con l’edilizia e l’urbanistica. Si tratta di uno spazio espositivo caratterizzato da superfici fluide, sottili volte realizzate da maestranze locali con il metodo delle stratificazioni sottili, tecnologia che si ritrova nelle antiche costruzioni di culture passate. Sopra le volte così realizzate sono state murate le pietre raccolte sul luogo, a proteggere naturalmente gli spazi sottostanti dalla calura africana. Due elementi, alle estremità del complesso, riprendono le forme dei cairn, svuotandoli, tipici tumuli di pietra che si ritrovano nelle culture sud africane. L’attento e sapiente uso dei materiali, l’orientamento, il gioco di aperture, fanno sì che questa struttura, senza ricorrere a macchinari, nel pieno rispetto dell’ambiente circostante, riesca a mantenere un ambiente fresco e piacevole anche nelle condizioni estreme in cui si trova.
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l’arrivo al Centro/the arrival to the Centre sotto: schizzo/below: sketch pagina seguente: vista generale esterna del complesso/following page: general view of the exterior
nome progetto/project name Mapungubwe Interpretation Centre progetto/design Peter Rich Architects progettista/principal architect Peter Rich gruppo di progetto/project staff Lineo Leratholi (programmazione sociale/social programming), Desrae Dunn, Abdullah Abass (documentazione d’appalto/contract documentation), Anne Fitchett (materiali di ricerca/materials research), Heinrich Kammeyer, Franz Prinsloo ingegneria strutturale/structural engineering John Ochsendorf, Michael Ramage (volte strutturali/ structural vaults); James Bellamy (supervisione costruzione delle volte strutturali/structural vault monitoring and training); Henry Fagan & Partnrs – Henry Fagan and Mark Mallin (consulenti per le strutture e ingegneria civile/structural consulting and civil engineers) committente/client SANParks – South African National Parks luogo/place Mapungubwe National Park and World Heritage Site, Sud Africa superficie totale/total area 1.948 mq/sqm superficie coperta/building ground floor area 964 mq/sqm superficie esterna/exterior area 469 mq/sqm data progetto/design date gennaio-settembre/ January-September 2007 fine lavori/completion settembre/September 2009 costo/cost 1.050.000 euro www.peterricharchitects.co.za
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1 arrivo/partenza pedonale/pedestrian arrival/ departure 2 piazzola di arrivo/arrival landing 3 ponte/bridge 4 reception e entrata/reception and entry 5 corte esterna/outdoor courtyard 6 bagni pubblici/public toilets 7 ristorante/restaurant 8 negozio di oggetti di artigianato/craft shop 9 passeggiata galleggiante/lfloating walkway 10 spazio voltato per mostre/main vaulted exhibition space 11 tumulo est (mattina)/east (morning) cairn 12 tumulo ovest (pomeriggio)/west (afternoon) cairn 13 spazi di insegnamento e apprendimento/ teaching and learning areas 14 passeggiata di accesso Mesa/Mesa walkway access 15 percorso di ritorno/return route 16 spazio esterno di insegnamento/external teaching area 17 partenza per i safari/game drive dropp off 18 edificio direzionale San Park/San Park headquarter building
pungubwe National Park, in the Limpopo Valley, South Africa, follows this line of reasoning even more, rising in a national park created to protect the environment where the ancient African civilization developed. ‘Interpretation Centre’ is an English expression meaning «institution for the dissemination of knowledge of cultural and natural heritage» of a country or a people. Rich expresses its dual purpose – to highlight the criticality in which is found the natural environment of the area and the cultural legacy of a civilization that was born in that place – through an architecture that surely has more to do with landscape architecture and technology than it does with building and urban planning. It deals with an exhibition space characterized by fluid areas, subtle vaults realized by local craftsmen using a method of subtle layering, technology that is refound in ancient constructions of past cultures. Above these vaults were walls made of stone material recovered from the site, to naturally protect the spaces below from the African heat. Two elements, at the ends of the complex, reproduce the forms of the cairn, emptying them, typical cairn that is found in South African cultures. A careful and intelligent use of materials, the orientation, the play of openings, all of this makes this structure, without recourse to machinery and thus respecting the surrounding environment, are able to maintain a cool and pleasant environment, even within the extreme conditions in which it is located.
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schizzo dell’esterno sketch of the exterior sopra: un’immagine delle volte all’interno above: an image of the inner vaults pagina precedente: esterno di un padiglione previous page: exterior of a pavilion
Pill’ ’e Mata Studio Palterer, Protezione e musealizzazione di un sito archeologico
testo di/text by Paolo Di Nardo foto di/photos by David Palterer Protection and conversion to a museum of an archaeological site The relationship of a land and of a people with its own history is undoubtedly one of
Il rapporto di un territorio e di un popolo con la propria storia è senza dubbio uno dei legami più forti. Leggendo la storia di questo progetto sembra di leggere uno dei racconti de Le città invisibili di Calvino, e precisamente il terzo, quello su Zaira.
the strongest possible links. Reading the story of this project seems like reading one of the tales of Calvino’s The Invisible City, namely the third, the one on Zaira. Zaira is a city made «of the relations between the size of its space and the facts of its past», a city that «does not tell its past, keeping it like the lines on a hand, written in the corners of the streets, in the window grilles, in the stairway handrails, in the lightning rods, in the flagpoles, each part in turn lined with scratches, jags, and notches». In an area on the outskirts of Quartucciu, in the Cagliari province, planned for the placement of manufacturing plants, a very large nechropolis, both dimensionally and temporally, was discovered: 250 burials were identified, for a period of time from the third century BC up to the fifth century AD, and over 2,000 artifacts recovered. The powerful theme of the relationship of the city with the traces of its own memory has thus been established: how to protect the excavation sites, how to evalute the finds, were very delicate subjects. David Palterer’s project, like with Zaira, has interpreted the relationship between space and memory, and has recounted the history of this city through the signs, writings, and tracks, about the architecture and with the architecture. The structure that protects part of the gravesite
Zaira è una città fatta «di relazioni tra le misure del suo spazio e gli avvenimenti del suo passato», una città che «non dice il suo passato, lo contiene come le linee d’una mano, scritto negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre, negli scorrimano delle scale, nelle antenne dei parafulmini, nelle aste delle bandiere, ogni segmento rigato a sua volta di graffi, seghettature, intagli, svirgole». In un’area periferica di Quartucciu, in provincia di Cagliari, destinata a insediamenti produttivi, è stata rinvenuta una necropoli molto ampia, sia dimensionalmente che temporalmente: 250 sepolture individuate, per un arco di tempo che dal III secolo a.C. arriva al V secolo d.C. e oltre 2.000 reperti recuperati. Si è posto prepotentemente, quindi, il tema del rapporto della città con le tracce della propria memoria: come proteggere gli scavi, come valorizzare i reperti, sono stati temi molto delicati. Il progetto di David Palterer, come per Zaira, ha interpretato le relazioni tra spazio e memoria, ha raccontato il passato di questa città attraverso segni, scritti, tracciati, sull’architettura e con l’architettura. La struttura che protegge parte delle sepolture rinvenute, creando attorno ad esse un percorso di scoperta per il visitatore, e al tempo stesso offrendo uno spazio espositivo per molti dei reperti recuperati, colpisce per le dimensioni quasi fuori scala delle mura che delimitano lo spazio. Grandi blocchi di pietra, posati a secco, alcuni dei quali incisi con le parole Pill’ ’e Mata, richiamano metaforicamente la ricomposizione (sottolineata dall’allineamento apparentemente casuale delle parole incise), attraverso i frammenti, i reperti di una storia, di una memoria. Fra le due mura si incunea un volume monolitico, rosso, sfaccettato, che ospita i servizi e la direzione del centro, accentuando ancora di più l’immagine di questo intervento come un landmark e come negazione di un’altra negazione (e quindi affermazione), quella dell’Architettura, sminuita, negata dai capannoni industriali e dalla sterile periferia urbana. I materiali, la pietra, il legno grezzo, l’acciaio corten, rimandano tutti alla terra, quella terra che ha nascosto e protetto le sepolture fino a oggi. La luce invece contribuisce a costruire lo spazio interno e a mediare il rapporto del visitatore con le tracce della memoria: captatori e conduttori portano la luce naturale, dall’esterno verso l’interno, in una sorta di metaforico accompagnamento del visitatore verso il focus di questa esperienza. Un cipresso, simbolicamente contrapposto all’ingresso, il mirto, il rosmarino, il timo, sono la giusta conclusione di un progetto che, facendo proprie le simbologie iconografiche di un territorio e di una cultura, riesce a tracciare dei segni che raccontano il passato di una città.
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1 area archeologica/archaeological area 2 area accoglienza/reception area 3 servizi/toilets 4 direzione/director’s office 5 percorso visitatori/visitors’ route 6 disimpegno/corridor 7 biglietteria, bookshop/ticket office, bookshop 8 aula all’aperto/open air classroom
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nome progetto/project name Necropoli di Pill’ ’e Mata. Protezione e musealizzazione di un sito archeologico/ Necropolis Pill’ ’e Mata. Protection and conversion to a museum of an archaeological site progetto/design Studio Palterer – David Palterer, Norberto Medardi con/with Studio Progetto – Pietro Reali, Paoulina M. Tiholova strutture/structures Studio Tecnico CFR impianti/systems Umberto Cattaneo Engineering impresa edile e posa dei materiali lapidei/contractor and laying of the stony materials Pau Franceschino & C. fornitore e trasformatore dei materiali lapidei/ supplying and transformation of the stone Zivelonghi Luigi Flavio consulente per i materiali lapidei/consultant for the stone Gianni Baldini luogo/place Quartucciu (CA) fine lavori/completion dicembre/December 2009
veduta d’insieme arrivando dal centro della città/general view arriving to the site from the city centre in apertura: la facciata interna verso il parcheggio/opening page: the internal façade towards the parking area
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1 la somiglianza tra la costruzione e la sua rovina/the resemblance between the building and its own ruins (G.B. Piranesi, L’antichità d’Albano e di Castelfidardo) 2 i blocchi di massello di pietra di Lessinia, depositati in cantiere/solid Lessinia stone blocks in the building yard 3 il sollevamento e la costruzione dei muri portanti/the lifting of the blocks and the building of the main walls (G.B. Piranesi, La ritualità dell’atto) 4 in costruzione/under construction
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Pill’ ’e Mata
1 tetto verde Sedum/Sedum green roof 2 lettere incise nella pietra/letters carved in stone 3 parete interna in blocchi di pietra della Lessinia/internal wall in Lessinia Stone blocks 4 percorso area archeologica in corten corten route to the archaeological area 5 parete esterna in blocchi di pietra della Lessinia/external wall in Lessinia Stone blocks 6 pavimentazione in legno di castagno/ chestnut wood flooring
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was recovered, creating around it a path of discovery for the visitor, and at the same time providing an exhibition space for many of the artifacts
recovered, striking for the almost out of scale size of the walls that surround the space. Large blocks of stone, laid dry, some of them engraved with the words ‘Pill’ ’e Mata’, refer metaphorically to the reconstruction (underlined by the seemingly random alignment of the engraved words), through the fragments, the artifacts of a history, of a memory. Between two walls a monolithic, red, faceted volume is wedged, that houses the center’s services and management, emphasizing even more the image of this project as a landmark and as a negation of another negation (and so an affirmation), that of the architecture, belittled, denied by industrial warehouses and barren urban periphery. The materials, the stone, the wood, the corten steel, return everything back to the land, that land that has thus far hidden and protected the burial site. The light on the other hand contributes to creating the interior space and to mediating the relationship between the visitor and the traces of memory: sensors and wires bring natural light from outside to inside, in a kind of metaphorical accompaniment to the visitors toward the focus of this experience. The cypress, symbolically counterposed to the entry, myrtle, rosemary, and thyme are the right conclusion for a project that by incorporating the iconographic symbols of a land and culture, is able to trace the signs that tell the past of a city.
‘l’ordine gigante’ della muratura lapidea incombe e disegna i rapporti proporzionali all’interno/the ‘giant order’ of the stone wall dominates the interior drawing the proportional ratios sotto: controcampo/below: reverse angle
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Prisma muto EXiT architetti associati, Cappella di famiglia a Padova
di/by Eugenia Valacchi foto di/photos by Teresa Cos Mute prism The EXiT (Loschi-Pagano-Panetto) group of designers took on the challenging task of conversing with such ‘absolute’ themes as life
Nel difficile compito di operare nell’architettura dialogando con temi ‘assoluti’, come la vita e la morte, senza cadere nella tentazione di facili retoriche, il gruppo di progettazione EXiT (Loschi-Pagano-Panetto) realizza per il Cimitero Maggiore di Padova una cappella familiare che si pone come monolitica
and death, without yielding to the temptation of simple rhetoric. To adopt this architecturally, the group created a family chapel in the Padova Cimitero Maggiore, cemetery that presents itself like a monolithic icon dedicated to silence and pondering. Its form is pure, a mute prism with a smooth and stern stone surface. The expressive strength of this solid, closed figure is toned down by its access door that opens a crack to let light and air pass through into the inner area. An almost metaphysical abstraction in which the modular arrangement of the stone slabs of the covering conceals the actual burial niches, making them more difficult to see. The result is a less oppressive atmosphere. The concept of the designers, aimed at interpreting the wishes of the family, is that of creating an area capable of responding to the emotional needs of the people going there to visit their dearly departed; it is in this view that one must interpret the treatment of the surfaces of this small building that presents a ‘punctured’ covering made up of a combination of steel pipes arranged in such a way as to let light, air, rain pass while contact with the outdoors, nature and life remains. Similarly, the wide access door offers a soft light to the area, allowing for a constant relationship with the surroundings. The white gravel flooring reduces the effect of being ‘locked inside itself’ by
icona dedicata al silenzio e alla riflessione, forma pura, prisma muto dalla liscia e grave superficie in pietra. La forza espressiva del solido chiuso è smorzata dal varco di accesso, che frange uno spigolo per immettere luce e aria nello spazio interno, quasi metafisica astrazione dove la scansione modulare delle lastre di pietra del rivestimento maschera i reali alloggiamenti dei loculi, rendendone più difficile l’individuazione e conferendo dunque all’insieme un carattere meno opprimente. L’idea dei progettisti, volta a tradurre i desideri della famiglia committente, è quella di realizzare uno spazio in grado di far fronte alle esigenze emotive delle persone in visita ai propri cari; è in quest’ottica che si deve interpretare il trattamento delle superfici del piccolo edificio, che presenta una copertura ‘forata’, costituita da un insieme di tubi in acciaio, disposti in modo tale da far passare luce, aria, pioggia, e mantenere dunque sempre un contatto con l’esterno, la natura, la vita. Analogamente, l’ampio varco di accesso accorda una morbida luce all’ambiente e consente una relazione costante con l’intorno, così come la pavimentazione in ghiaia bianca riduce l’effetto di luogo ‘concluso’, proiettando anche nell’intimità del vano la sensazione di trovarsi all’aperto, in un luogo naturale adatto alla riflessione e al raccoglimento spirituale. L’aspetto della cappella, oltre alla sua rigida stereometria, deve molto alle caratteristiche del materiale di rivestimento, la pietra Piasentina, tradizionalmente usata in Veneto e Friuli e dalle forti connotazioni storiche (lo stesso Palladio si è avvalso dell’uso di questa pietra per alcune delle sue opere): si tratta di una roccia sedimentaria calcarea dai versatili effetti cromatici ottenuti variando le lavorazioni superficiali, in uno spettro che parte dal fondo grigio con vene bianche e arriva a zone con tonalità tendenti al bruno. Queste lastre dalle venature chiare sono tagliate ‘a piano sega’, modalità che consente di apprezzare i ‘graffi’ dello strumento sulla pietra e le conseguenti scabrosità che producono morbidi effetti di chiaroscuro; la pietra è modulata all’interno e all’esterno secondo una scansione interrotta da modanature orizzontali che ne sottolineano la severa geometria. Il registro linguistico dell’intera cappella sembra così contrapporsi, attraverso una razionale misurabilità degli spazi e una compiuta matericità tattile e visiva, al codice metaforico dettato dall’assenza di peso e dall’ineffabilità del mistero della dipartita; questo percorso spirituale tra la vita e la sacralità della morte trova piena espressione proprio nell’accostamento tra il compatto involucro litico e la sua copertura smaterializzata e impalpabile, pervasa di luce.
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nome progetto/project name PGN. Cappella di famiglia PGN. Family Chapel progetto/design EXiT architetti associati – Francesco Loschi, Giuseppe Pagano, Paolo Panetto direzione lavori/works management Giuseppe Pagano strutture/structures Alberto Soligo impresa/contractor Parpajola fornitore pietra Piasentina/Piasentina Stone supplier Iaconcig committente/client privato/private luogo/place Padova data progetto/design date gennaio/January 2009 fine lavori/completion settembre/September 2009 superficie coperta/covered area 13 mq/sqm volume/volume 63 mc/cm www.exitstudio.it
1 schema di montaggio per la copertura 1 protezioni per acqua piovana 2 copertura coibentata – lato superiore 3 copertura coibentata – lato inferiore 4 struttura autoportante 5 angolari a ‘L’
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roofing assembly scheme 1 protections for rainwater 2 insulated roofing – upper side 3 insulated roofing – lower side 4 self-bearing structure 5 ‘L’ section angular beam
projecting the sensation of being outdoors – even in the intimacy of this area – in a natural place that is well suited to meditation and spiritual reflection.
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sezione aa/section aa
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a
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pianta livello + 0,6 m/+ 0,6 m level plan 0
2m
The aspect of the chapel, aside from its rigid stereometry, owes much to the features of the materials used to cover it: the Piasentina stone traditionally used in the Veneto and Friuli regions possesses powerful historic connotations (Andrea Palladio used this stone for some of his works): this is a sedimentary limestone with versatile chromatic effects obtained by changing the way the surface is treated, in a spectrum that spans from a dark grey with white veins to portions with nuances that lean towards brown. These slabs with light veins are ‘saw cut’, a technique that highlights the scratches of the saw onto the stone and its subsequent roughness produces soft chiaroscuro effects; the stone is modulated on the outside as well as on the inside according to an articulation that is interrupted by the horizontal decorative moulding which accentuates its stern geometry. In this way, the idiomatic register of the entire chapel seems to be set against itself, through a rational measurability of the areas and a finished tactile and visual tangibility. A metaphoric code dictated by the absence of weight and the ineffableness of the mystery of death; this spiritual path between life and the sacredness of death finds its full expression precisely in the combination of the compact stone wrapping and its intangible cover, pervaded by light.
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Specie evoluta
Fabio Rosseti
Production culture
Evolved species
di/by
Design culture
Cultura del progetto. Cultura della produzione
Kengo Kuma, Casalgrande Ceramic Cloud per Casalgrande Padana
Negli ultimi anni i cambiamenti avvenuti nel settore della produzione ceramica per l’edilizia sono stati davvero significativi, sotto numerosi punti di vista. La ceramica è uno dei materiali più antichi utilizzati dall’uomo, la sua versatilità e le sue caratteristiche intrinseche hanno permesso di utilizzarlo secondo un ampio spettro d’uso: materiale costruttivo, decorativo, protettivo. Ad ogni condizione d’uso la ceramica è in grado di offrire una risposta adeguata e spesso più efficace di quanto sia possibile ottenere dalla pietra o dal legno. La duttilità dell’impasto crudo della ceramica, ad esempio, permette di ottenere forme diverse, anche complesse, con minimo sforzo, cosa che non avviene con la pietra, adattandosi così alle più diverse esigenze formali e costruttive; rispetto al legno invece, è innegabile la resistenza nel tempo anche alle condizioni più sfavorevoli o la resistenza al fuoco. Il progetto architettonico, l’Architettura, ha da sempre trovato nella ceramica uno dei suoi elementi, se non il principale, costruttivi e decorativi: il mattone altro non è che un impasto ceramico poroso dove prevale l’argilla; numerosi sono gli esempi di porcellane e maioliche che hanno abbellito progetti grandiosi. Queste capacità della ceramica hanno fatto sì che all’evoluzione della cultura del progetto architettonico, si affiancasse, parallelamente, l’evoluzione di una cultura della produzione ceramica, dove alla necessità tecnologiche dell’uno rispondeva la capacità innovativa dell’altro. Il progetto architettonico contemporaneo è divenuto più complesso e sono molte le ‘risposte’ che questo deve dare, sia in termini funzionali che formali, ma anche etici e sociali, e non può assolutamente prescindere da alcuni punti fondamentali, quali: – versatilità degli elementi costruttivi, per poter rispondere nel modo più efficacie alle esigenze espressive, formali e funzionali del manufatto architettonico; – protezione e salvaguardia dell’ambiente, che deve avvenire secondo criteri di ecosostenibilità che tengano conto del ‘bilancio’ ambientale globale necessario alla realizzazione del progetto architettonico e non solo alle caratteristiche e prestazioni finali del singolo materiale o tecnologia (rispetto delle risorse naturali, abbattimento degli inquinanti nella produzione dei componenti, ecc.);
ZPZ Partners Centro di Medicina Rigenerativa Stefano Ferrari, Modena Casalgrande Padana – Piastrelle BIOS
ZPZ Partners Centre for Regenerative Medicine Stefano Ferrari, Modena Casalgrande Padana – BIOS Tile
Il prodotto, brevettato, grazie alle particelle antibatteriche presenti nella massa della piastrella, abbatte al 99,9% i quattro principali ceppi batterici: Staphylococcus aureus, Enterococcus faecalis, Escherichia coli, Pseudomonas aeruginosa. L’azione battericida rimane inalterata nel tempo e non ha bisogno della luce per attivarsi, mentre in presenza di umidità vede amplificare ulteriormente i propri effetti benefici. Disponibile in tutte le serie delle linee Granitogres e Marmogres, non esistono vincoli di finiture, colori e formati.
The product, patented, thanks to the antibacterial particles present in the tile mass, combats 99.9% of the four major bacterial strains: Staphylococcus aureus, Enterococcus faecalis, Escherichia coli, and Pseudomonas aeruginosa. The bactericidal action remains unaltered over time and does not need light to be activated, while in situations of dampness further amplification of their beneficial effects can be seen. Available in all the series of the Granitogres and Marmogres lines, there are no finish, color, or format constraints.
In recent years the changes begun in the field of ceramic production for construction have been enormous, from many points of view. Ceramic is one of the oldest materials used by man, its versatility and intrinsic characteristics have allowed its use under a wide range of use: building material, decorative, protective, etc. For each use condition ceramic is able to provide an adequate response and often more effectively than what can be obtained from stone and wood. The ductility of raw ceramic raw dough, for example, allows for different forms, also complex, and with minimal effort, which does not happen with stone, adapting itself to different formal and constructive needs; compared with wood, rather, it has an undeniable resistance over time to even the most adverse conditions, as well as resistance to fire. Architectural design, architecture, has always found one of its elements in ceramic, if not the main one, constructive and decorative: brick is nothing but a porous ceramic body where the clay prevails; there are numerous examples of porcelain and earthenware that have graced grandiose projects. These capabilities of ceramic have meant that the changing culture of architectural design has paralleled the evolution of a ceramic producing culture, where the technological needs of one answered the innovative abilities of the other. Contemporary architectural design has become more complex and there are many ‘answers’ that this should give, both in functional and formal terms, but also ethical and social, and can not completely be left aside from a few key points, such as: – versatility of the building elements in order to respond more effectively to the needs of the formal and functional expression of the architectural form; – protecting and safeguarding the environment, in accordance with the criteria of environmental sustainability that take into account the global ‘balance’ needed to achieve architectural design, and not just the characteristics and final performance of the single material or technology (respect for natural resources, pollutant reduction in the production of components, etc.). – comfort, environmental and social, for individuals who will use and interact with the product;
De Angelis Mazza e Associati Lugano-Milano Edificio residenziale e direzionale Deltazero, Lugano, Svizzera Pavimento sopraelevato, Cotto d’Este, Kerlite Avantgarde Bluestone, formato 31,9x142,7 cm; 31,9x31,9 cm Grès laminato Kerlite è realizzato attraverso un processo produttivo che conferisce alla lastra ceramica un alto grado di elasticità e di resistenza. Kerlite è disponibile fino a formati di 3 metri x 1, per uno spessore di 3 mm; è estremamente leggero, facile da tagliare e da posare; la superficie delle lastre è altamente resistente e igienizzabile con estrema semplicità. Kerlite può essere utilizzato come rivestimento di pareti o pavimenti, ma anche come materiale per la realizzazione di piani cucina, rivestimento d’arredo, lavabi. Nella produzione di Kerlite viene, fra l’altro, riutilizzato il calore prodotto per la cottura mentre gli scarti di lavorazione sono riimmessi nel ciclo produttivo.
De Angelis Mazza and Associates Lugano-Milan Deltazero residential and office building, Lugano, Switzerland Cotto d’Este Bluestone Kerlite Avantgarde raised floor, size 31.9x142.7 cm; 31.9x31.9 cm Kerlite laminate grès is achieved through a process which confers a high degree of elasticity and strength to the ceramic plate. Kerlite is available in sizes up to 3 metersx1, for a thickness of 3 mm; it is extremely lightweight, easy to cut and lay; the plate surface is highly durable and easily washable. Kerlite can be used as wall or floor covering, but also as material for the production of kitchen worktops, furniture covering, and wash basins. In the production of Kerlite, among other things, the heat generated in the firing and waste processing phases are recycled back into the production cycle.
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Gruppo Fincibec a sinistra in alto: pavimento collezione Ethnos, serie Iowa, di Monocibec in basso: collezione Darwin, serie Floreana, di Century collezione Ethnos, serie Yuma, di Monocibec collezione Greenway, serie Nature, di Naxos
Gruppo Fincibec top left: Monocibec Iowa series Ethnos floor collection bottom: Century Floreana series Darwin collection Monocibec Yuma series Ethnos collection Naxos Nature Series Greenway collection
Queste collezioni di Fincibec, oltre ad essere certificate ‘Zero CO2 No Emission’, utilizzano il sistema di decorazione digitale senza contatto DJS – Digital Jet System. Questo sistema è il frutto di una lunga e complessa ricerca che ha riguardato, oltre alla parte applicativa, anche un approfondito studio nel campo degli ossidi coloranti. Si è arrivati alla realizzazione di nanopigmenti capaci di svilupparsi e integrarsi nel prodotto alle altissime temperature della greificazione. Ne è risultata una qualità estetica elevatissima, grazie al trasferimento di immagini ad alta risoluzione, unita alle eccezionali prestazioni della ceramica tecnica di ultima generazione. La forte riduzione dei residui e degli scarti di lavorazione che il sistema consente e la conseguente maggior razionalizzazione nell’impiego di energia e materie prime
These Fincibec collections, in addition to being ‘Zero CO2 No Emission’ certified, use the digital non-contact DJS – Digital Jet System decoration system. This system is the result of a long and complex research that has involved, beyond the application process, a detailed study in the field of colored oxides. It has led to the realization of nanopigments, which are able to develop and integrate themselves with the product at high vitrification temperatures. The result is a high aesthetic quality, thanks to the transfer of high resolution images, combined with the exceptional performance of the latest generation of technical ceramics. The sharp reduction of production residue and waste that the system allows is the consequent major
– comfort ambientale e sociale per gli individui che utilizzeranno il manufatto e per coloro che comunque interagiranno con esso; – qualità estetica; – sostenibilità economica e sociale. L’industria della ceramica risponde a questi punti attraverso una costante ricerca e innovazione tecnologica che porta alla creazione di nuovi tipi di materiali ceramici, con prestazioni di eccellenza, a nuove lavorazioni, all’integrazione di tecnologie, ad alto valore aggiunto, all’interno della produzione, a nuove tecnologie di decorazione e disegno fino a sviluppare prodotti in grado di interagire con l’ambiente in cui si collocano non solo in termini, passivi, di rapporto spaziale fra elementi costruttivi, ma attivamente attraverso reazioni fisico-chimiche con quello stesso spazio. Ponendo attenzione a questi temi, abbiamo così cercato di evidenziare alcuni spunti di riflessione, fra i tanti possibili, sul rapporto, contemporaneo, fra ‘progetto’ e ‘ceramica’; spunti ai quali nella produzione ceramica attuale è possibile trovare una risposta concreta. Molte aziende si rivolgono ad architetti o studi che non sono più ‘semplici’ art director che definiscono il disegno o il colore di una collezione, ma sono veri e propri centri di ricerca e sviluppo, in grado di coniugare ricerca tecnologica e artistica al fine di ottenere prodotti sempre più innovativi. Le opere, le tecnologie sperimentate in serie uniche o limitate vengono poi trasferite nella produzione corrente con innegabili vantaggi anche per l’utente finale. L’esempio più attuale ed eclatante è senza dubbio la collaborazione fra una delle maggiori aziende ceramiche, la Casalgrande Padana, e uno dei più famosi architetti contemporanei, Kengo Kuma, noto per la sua attenzione ai materiali più diversi, dalla pietra, al bambù, al cemento, alla ceramica. Quest’opera, fra architettura e land art, in corso di realizzazione, si configura come un’inconsueta struttura tridimensionale che sperimenta innovativi utilizzi applicativi dei componenti ceramici di ultima generazione. Interamente realizzata con speciali lastre di grandi dimensioni in grès porcellanato fissate meccanicamente a un’intelaiatura metallica appositamente concepita, la
– aesthetic quality; – economic and social sustainability. The ceramic industry is responding to these points through constant research and technological innovation that leads to the creation of new types of ceramic materials with excellent performance, new processes, technological integration, of high added value within the production, to new decoration and design technologies to develop products capable of interacting with the environment in which they are located, not only terms of passive, spatial relationship between components, but also actively through physical-chemical reactions with the same space. Paying attention to these issues, we have thus tried to highlight some ‘key thinking points’, among the many possible, about the contemporary relationship between ‘project’ and ‘ceramic’; points to which current ceramic production is possible to find a concrete response: Many companies are turning to architects or studios that are not ‘simply’ art directors who define the design or color of a collection, but rather who are true centers of research and development, able to combine artistic and technological research in order to obtain the most innovative products. The works, the technology, tested in single or limited series, are then transferred to the current production with great benefits for the end user. The most current and striking example is undoubtedly the collaboration between one of the largest ceramic companies, Casalgrande Padana, and one of the most famous contemporary architects, Kengo Kuma, known for his attention to diverse materials, from stone to bamboo, cement, and ceramic. This work, between architecture and land art, in the process of realization, constitutes an unusual three-dimensional structure that experiments with the innovative application of last generation ceramic components. Entirely made with special large porcelain stoneware plates mechanically fastened to a specially designed metallic framework, the construction spreads over 40 meters and to a height of 7 meters, defining an architectural object which aims to symbolically identify a land with a clear productive purpose, that of ceramics in fact, and a strong bond with the project’s culture.
in alto a sinistra: GranitiFiandre, pavimento collezione Serie100, formato: 75x75 cm a destra: GranitiFiandre, pavimento collezione Active
top left: GranitiFiandre, Series 100 floor collection, size: 75x75 cm right: GranitiFiandre, Active floor collection
Serie 100 nasce grazie alla nuova linea Extreme. Il processo produttivo è totalmente sicuro e assolutamente rispettoso dell’ambiente ed impiega risorse naturali ampiamente disponibili. L’utilizzo di materiale riciclato in Serie 100, nei colori medio scuri, arriva a percentuali prossime al 100%, mentre nei materiali chiari si arriva comunque a percentuali superiori al 50%. Con un ciclo di cottura opportunamente ottimizzato, garantisce un prodotto dalle elevate prestazioni tecniche. Quattro sono le cromie proposte, che richiamano subito alla mente le percentuali di materiali riciclati utilizzate: White 50, Grey 70, Anthracite 100 e Black 100.
Series 100 began thanks to the new Extreme line. The manufacturing process is completely safe and absolutely environmentally friendly, and uses widely available natural resources. The use of recycled material in Series 100, in the medium dark colors, reaches percentages close to 100%, while in the light materials, however, reaches rates above 50%. With an optimized firing cycle, a high technical performance product is ensured. There are four proposed colors, which immediately call to mind the percentages of recycled materials used: White 50, Grey 70, Anthracite 100, and Black 100.
Active Clean Air and Antibacterial CeramicTM si basa sull’applicazione ad una temperatura elevata di polveri micrometriche di biossido di titanio (TiO2) che, sfruttando il processo di fotocatalisi, permette di realizzare materiali dalle concrete qualità antinquinanti ed antibatteriche. Grazie all’azione del biossido di titanio applicato sulle lastre in gres porcellanato tecnico Fiandre, si ottiene, sia in interno che esterno, l’abbattimento fino al 70% di agenti inquinanti organici ed inorganici, con la conseguente purificazione dell’aria, oltre all’eliminazione fino al 100% di alcuni dei principali ceppi batterici (come per esempio Escherichia coli, Klebsiella pneumoniae, Staphylococcus aureus), agenti patogeni di malattie potenzialmente gravi. La lastre Active inoltre risultano autopulenti, con sensibile riduzione dei detergenti chimici necessari.
Active Clean Air and Antibacterial CeramicTM is based on the high temperature application of titanium dioxide (TiO2) micrometric powders, benefitting from the photocatalysis process, allowing the creation of materials with specific anti-pollution and anti-bacterial qualities. Thanks to the action of titanium dioxide applied to the Fiandre technical porcelain stoneware slabs, both internally and externally, the destruction of up to 70% of organic and inorganic pollutants is achieved, with a resulting air purification, in addition to the elimination of up to 100% of some of the major bacterial strains (such as Escherichia coli, Klebsiella pneumoniae, and Staphylococcus aureus), pathogenic agents of potentially serious diseases. The Active plates are also self-cleaning, with a significant reduction of chemical cleaners needed.
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Laminam Energia, pannello ceramico fotovoltaico
costruzione si sviluppa per oltre 40 metri per un’altezza di 7, definendo un oggetto architettonico destinato a identificare simbolicamente un territorio con una chiara vocazione produttiva, quella ceramica, appunto, e un forte legame con la cultura del progetto. L’attenzione per l’ambiente è un altro punto che, oggi più che mai, è divenuto essenziale. Anche in questo campo le esigenze architettoniche e progettuali legate alla sostenibilità hanno trovato un alleato nel mondo della ceramica. Sono sempre più numerose le aziende ceramiche che conseguono prestigiose certificazioni di qualità ambientale per la propria produzione. Produzione che, sempre attraverso la ricerca tecnologica e scientifica, trova nuove strade per la tutela e la salvaguardia dell’ambiente in cui viviamo: da prodotti bio-attivi all’utilizzo di prodotti di recupero, fino all’integrazione fra alta tecnologia e prodotto ceramico. La ricerca, condotta spesso assieme a prestigiosi centri scientifici internazionali, ha portato alcune aziende a sviluppare dei materiali in grado di abbattere in maniera sensibile, quasi totale, i carichi inquinanti, sia organici che inorganici, dell’ambiente in cui sono collocati. Si usano tecnologie diverse: chi ricorre alle nanotecnologie per rendere la ceramica antibatterica al 99,9% (anche in assenza di luce) nei confronti dei principali ceppi batterici responsabili di infezioni; chi utilizza il biossido di titanio, applicato ad altissima temperatura, che grazie ad un processo di fotocatalisi e alla luce naturale o artificiale, è in grado di eliminare agenti patogeni di malattie potenzialmente gravi, abbattere sensibilmente sostanze inquinanti (come ossidi di azoto, ossidi di zolfo, benzene, monossido di carbonio e altre di derivazione antropica); inoltre il processo di ossidazione fotocatalitica rende le superfici autopulenti, riducendo sensibilmente l’uso di detergenti chimici ed il relativo inquinamento. è indubbio il grande vantaggio che l’uso di questo tipo di materiali può portare a centri sanitari, strutture con grandi afflussi di utenti o anche alle semplici abitazioni, in termini di qualità e sicurezza ambientale. Negli stessi termini di qualità ambientale si stanno muovendo le aziende ceramiche che, sempre più numerose, riutilizzano percentuali sempre più alte di materie prima, resti e scarti di lavorazione delle linee ceramiche, od altri
La lastra LAMINAM ENERGIA di Laminam, che costituisce una pelle fotovoltaica di soli 8 mm totali di spessore, è prodotta in diversi formati – 1000x1000, 1000x1500, 750x1000 mm; una struttura regolabile a scomparsa, applicata sul retro, ne consente sia la posa in facciata che a tetto, adattandosi facilmente anche alle strutture preesistenti. Le lastre Laminam Energia sono autoportanti e prive dei tipici contorni in alluminio, quindi concepite per essere perfettamente inserite ‘a filo’ nei sistemi di rivestimento in uso dell’architettura contemporanea. Il prodotto è disponibile nei 13 colori della serie Collection di Laminam.
The LAMINAM ENERGIA plate by Laminam, which constitutes a photovoltaic skin of only 8 mm of total thickness, is produced in different sizes – 1000x1000, 1000x1500, 750x1000 mm; a hidden adjustment structure, applied to the back, allows the laying of it on facades as well as roofs, easily adapting itself to existing structures. The Laminam Energy sheets are self-supporting and free of the typical aluminum contours, and therefore designed to be placed perfectly ‘flush’ in covering systems used in contemporary architecture. The product is available in 13 Laminam Collection series colors.
Concern for the environment is another point that, today more than ever, has become essential. Also in this area the architectural and design requirements related to sustainability have found an ally in the world of ceramics. A growing number of ceramic companies are achieving prestigious environmental quality certification for their production. Production that, always through technological and scientific research, finds new ways to protect and safeguard the environment in which we live: from bio-active products to the use of recycled products, and finally the integration of high technology and ceramic products. The research, often conducted alongside prestigious international scientific institutions, has led some companies to develop materials that are able to reduce significantly, almost completely, both organic and inorganic pollutant loads, of the environment in which they are located. Different technologies are used: nanotechnology to make ceramic 99.9% anti-bacterial (even in the absence of light) in comparison to the main bacterial strains responsible for infection; titanium dioxide, applied at high temperature, that due to a photocatalysis process, thanks to natural or artificial light, is able to eliminate pathogens of potentially serious disease, significantly reducing pollutants (such as nitrogen oxides, sulfur oxides, benzene, carbon monoxide, and other humanderived compounds); in addition, the photocatalytic oxidation process creates self-cleaning surfaces, significantly reducing the use of chemical detergents and their related pollutants. It is almost certain undoubtedly that one great advantage is that similar materials may be used in healthcare facilities, with their large inflows of people, or even in simple dwellings, in terms of quality and environmental safety. In the same terms of environmental quality, a growing number of ceramic companies are moving toward an increasingly high percentage of reuse raw materials-remains and scraps of ceramic production lines, or other materials including post consumer recycled glass, to produce new collections created with materials that would otherwise go into landfills or, worse, dispersed into the environment. And since it is no longer possible to think of environmental sustainability only in terms of a global energy balance, companies are
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in alto: pavimenti e rivestimenti Refin, serie Murcia, formati 60x60 cm, 30x60 cm
above: Refin, Murcia series flooring and covering, sizes 60x60 cm, 30x60 cm
La serie Murcia trae ispirazione dal marmo Crema Marfil, pietra naturale di origine spagnola. Il marmo rivive in una collezione ceramica che conferma la qualità estetica e la versatilità del materiale naturale e ne arricchisce la componente tecnica grazie alle eccellenti prestazioni del grès porcellanato Refin. Murcia è un prodotto eco-compatibile: le piastrelle Murcia sono infatti prodotte con un impasto ceramico contenente il 20% di vetro CRT (vetro riciclato post-consumer) proveniente da schermi di televisori e monitor a tubo catodico ormai dismessi. Grazie al contenuto di vetro riciclato post-consumer le piastrelle Murcia consentono di massimizzare i crediti LEED ottenibili e rappresentano una soluzione eco-sostenibile per l’edilizia verde. Sono realizzate due varianti, entrambe di colore chiaro, e caratterizzate da sottili venature irregolari più scure, che risaltano con intensità variabile sul colore uniforme dello sfondo.
The Murcia series draws its inspiration from Crema Marfil marble, Spanish natural stone. The marble comes alive in a ceramic collection that confirms the aesthetic quality and versatility of the natural material, which enriches the technical component thanks to the excellent performance of Refin porcelain stoneware. Murcia is an eco-friendly product: Murcia tiles are in fact produced with a ceramic mixture containing 20% CRT glass (post-consumer recycled glass) from abandoned television screens and CRT monitors. Thanks to the post-consumer recycled glass content Murcia tiles help maximize obtainable LEED credits and represent an environmentally sustainable solution for green building. Two variants are made, both light-colored, and characterized by a darker fine, irregular streaking that stands out with varying intensity against the uniform color of the background.
materiali, fra cui il vetro riciclato post consumer, per produrre nuove collezioni create con materiali che altrimenti andrebbero in discarica o, peggio, dispersi nell’ambiente. E dato che ormai non è più possibile pensare alla sostenibilità ambientale se non in termini di bilancio energetico globale, le aziende sono sempre più attente anche all’ottimizzazione dei processi produttivi, ma anche ad assecondare, attraverso propri prodotti, la stessa necessità di ottimizzazione e risparmio energetico che costantemente viene espressa nell’architettura contemporanea, indifferentemente dai grandi progetti a quelli più tradizionali e ‘semplici’. In questa ottica si collocano soluzioni innovative come quella che prevede di integrare in una sottile lastra ceramica (3 mm) delle celle fotovoltaiche. Gli elementi finali così ottenuti sono spessi solo 8 mm e possono essere utilizzati, ad esempio, per una facciata ventilata in un edificio, per creare campi fotovoltaici, coperture inclinate, e, dato che sono privi di profili metallici, possono essere usati come un altro qualsiasi materiale di rivestimento architettonico, con il vantaggio di realizzare delle superfici fotovoltaiche perfettamente integrate con l’architettura. La produzione di lastre con spessori estremamente ridotti, 3-3,5 mm, rappresenta anch’essa una interessante innovazione: processi produttivi innovativi, la ricerca nel campo delle materie prime, permettono oggi di produrre lastre sottilissime con caratteristiche meccaniche altamente performanti e con dimensioni che arrivano anche fino a 3x1 metri. Questo materiale, estremamente versatile e di facile impiego, di fatto modifica il concetto stesso di rivestimento ceramico, sia che si tratti di pareti o pavimenti. La possibilità, data dal sottile spessore, di sovrapporlo ai rivestimenti esistenti permette soluzioni architettoniche nuove, ottenute, ad esempio, senza la demolizione del materiale sottostante, con un’innegabile vantaggio in termini di tempi, costi e, non ultimo ma ancora una volta, rispetto dell’ambiente, vista l’eliminazione dei detriti. è significativo che questa continua ricerca verso l’innovazione tecnologica abbia oramai coinvolto anche l’aspetto che forse costituisce l’elemento di maggior (o forse più tradizionale...) appeal nei confronti dell’utente finale: la decorazione. Mutuando in sostanza il principio della stampa a getto di inchiostro, che già a suo tempo rivoluzionò il concetto di qualità di stampa nell’informatica, oggi moltissime aziende utilizzano sistemi di decorazione digitale, addirittura arrivando a sviluppare anche tecnologie in proprio per raggiungere i migliori risultati. Il vantaggio di questo sistema risiede prima di tutto nella altissima qualità del disegno, in termini di risoluzione, che può essere raggiunta e nella versatilità del suo uso. Semplificando, per ovvie ragioni, potremmo dire che come per una stampante digitale connessa ad un computer, così una linea di decorazione digitale è in grado di riprodurre disegni, stampe, immagini, anche a grandi dimensioni, cosi come sulla singola piastrella, aumentando notevolmente le possibilità espressive e comunicative dei progettisti. Inoltre la razionalizzazione del processo decorativo e il maggior controllo su di esso permette di ridurre sensibilmente i residui e gli scarti di lavorazione, così come di ottimizzare il consumo di energia e materie prime, andando a porre un ulteriore tassello nel quadro di ricerca della qualità ambientale che la produzione ceramica ha ormai intrapreso.
becoming increasingly aware also to the optimization of production processes, but also to go along with, through its products, the same need for optimization and energy savings which is constantly expressed in contemporary architecture, by large as well as by more traditional and ‘simple’ projects. In this context are found innovative solutions like the one that plans to integrate photovoltaic cells into a thin (3 mm) ceramic plate. The final elements thus obtained are only 8 mm thick and can be used, for example, for a ventilated facade of a building to create solar fields, tilted roofs, and, since they are devoid of metal profiles, can be used as almost another architectural covering material, with the advantage of achieving photovoltaic surfaces perfectly integrated with the architecture. The production of plates with extremely reduced thickness, 3 to 3.5 mm, represents another interesting innovation: innovative production processes, research in the field of raw materials, now allow the production very thin plates with high performance mechanical properties and with dimensions that reach up to 3x1 meters. This material, extremely versatile and easy to use, in fact changes the very concept of ceramic covering, whether it be walls or floors. The possibility which is given by this thinness, of overlaying it onto existing coverings, allows new architectural solutions, obtained without, for example, the demolition of the underlying material, with an undeniable advantage in terms of time, cost, and not least but again, given the elimination of debris, respect for the environment. It is significant that this continuing search for technological innovation has now also involved the aspect that perhaps is the greatest element (or perhaps more traditional...) appeal in regards to the end user, to decoration. Borrowing in essence the principle of ink jet printing, which already in its time has revolutionized the concept of print quality in information technology, today many companies use digital decoration systems, even to develop their own technologies to achieve even better results. The advantage of this system lies primarily in the very high quality of design in terms of resolution which can be reached, and the versatility of its use. Simplifying, for obvious reasons, we could say that just as a digital printer connected to a computer, also a line of digital decoration is able to reproduce drawings, prints, pictures, even in large formats, as well as on a single tile, greatly increasing the expressive and communicative possibilities of the designers. Moreover, the rationalization of the decorative process and greater control over it can significantly reduce production waste, as well as optimize the consumption of energy and raw materials, thus putting another piece into the picture of the search for environmental quality that ceramic production has already undertaken.
Wood Biocompatibilità ed ecosostenibilità
di/by
Erminio Redaelli 96
Come noto, le architetture di legno, come le architetture di terra, appartengono ad una tradizione millenaria sviluppatesi in tutte le culture del mondo. Il legno è stato il primo materiale da costruzione adoperato dal genere umano. Le più antiche costruzioni artificiali in legno rinvenute risalgono all’era Paleolitica. La ragione primordiale sta nella semplicità di realizzazione, prima come uso misto con la terra in modalità strutturale e poi con l’acquisizione della manualità degli antichi, anche grazie alla sua grande reperibilità. Perché coninuare a usare il legno? Il grande architetto Ugo Sasso (1946-2009), fondatore della Bioarchitettura® in Italia, così rispose: «Se vogliamo assegnare alle generazioni future lo stesso diritto che abbiamo noi sull’ambiente dobbiamo rispondere a una domanda: quanto petrolio ciascuno di noi può consumare? Tanto quanto se ne produce. Quanto se ne produce? Zero, perché quello che usiamo è stato prodotto dalla terra in milioni di anni. Se vogliamo essere rigorosi, non possiamo utilizzare allegramente pietre, metalli e petrolio. Il legno invece si riproduce». Ecco perché, senza preoccupazione o timore, l’uomo ha sempre utilizzato il legno, laddove esso cresce, in una sorta di simbiosi uomo-natura che considera la terra madre, caldo grembo e il legno padre, forte protezione. Materiale, anch’esso come la terra, che a fine ciclo potrà tornare senza sforzo al luogo di appartenenza, concime nella terra per la nutrizione della flora futura. Profondamente ecologico, lavorabile anche da mani meno esperte, che, a seconda della qualità, è docile e modellabile per piegarsi ad ogni idea umana, ovvero forte, energico e potente per atteggiarsi strutturalmente a protettore di grandi spazi coperti. Disponibile nella maggior parte dei territori occupati dall’uomo, era l’unico materiale che forniva elementi costruttivi di forma prevalentemente lineare. La sua facile reperibilità, le buone caratteristiche fisico-meccaniche e la sua agevole lavorabilità gli conferirono subito una posizione importante nel settore edile. Il legno, materia prima ricca di calore fisico e di vita latente, mantiene queste prerogative qualunque sia la lavorazione e il livello di finitura. Nel corso delle sue trasformazioni da materia ‘viva’ a materiale da costruzione non vengono emessi gas tossici né rifiuti nocivi per l’ambiente. L’energia necessaria per ottenere il legname d’opera di produzione Biocompatibility and ecosustainability As is known, wood architecture, like landscape architecture, belongs to a millenary tradition developed in all world cultures. Wood was the first building material used by mankind. The oldest wood constructions found date back to the Paleolithic era. The primordial reasoning lies in the simplicity of construction, first with the mixed-use of wood and earth in a structural way, and later with the acquisition of the ancients’ manual ability, and also due to its great accessibility. Why continue to use wood? The great architect Ugo Sasso (1946-2009), founder of Bioarchitettura® [Bioarchitecture] in Italy, responded so: «If we want to give future generations the same right we have to our environment we need to answer a question: how much oil can each of us consume? As much as we produce. How much can we produce? Zero, because what we use was produced by the earth over millions of years. If we want to be strict, we can not blithely use stones, metals and oil. Wood instead reproduces itself». That is why, without concern or fear, man has always used wood, wherever it grows in a kind of human-nature symbiosis that considers mother earth, warm lap and father wood, strong protection. Material, also like the earth, which at the end of the cycle can effortlessly return to its origins, fertilizing the ground for future plant nutrition. Profoundly ecological, workable also by less experienced hands, which, depending on its quality, is malleable and can be shaped to every human idea, or strong, energetic and powerful to play the role of structural protector of large covered areas. Available in most of the places occupied by man, it was the only material that provided mostly linear structural elements. Its easy accessibility, good physical-mechanical properties and its easy workability give it an immediate important position in the construction industry. Wood, raw material rich in physical heat and latent life, retains these qualities whatever the level of workmanship and finish. In the course of its transformation from ‘living’ matter into building materials, no toxic or harmful waste gases are released into the environment. The energy required to obtain naturally dried and locally produced wood, called grey energy, is about
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© Giorgio Zanetti
©Tullio Arecco/Twice25
pagina precedente: case vittoriane painted ladies a San Francisco; un esempio di casa in legno Walser previous page, from above: painted ladies Vicotorian houses in San Francisco; an example of a Walser wood house
locale seccato naturalmente, detta energia grigia, circa 470kWh/t, è molto modesta rispetto a quella occorrente per la lavorazione di altri materiali utilizzati in edilizia. Nel caso in cui il legname avesse bisogno di trasporto su lunga distanza, l’energia grigia aumenterebbe a 1.850 kWh/t. Per il polistirolo espanso occorrono 30.000 kWh/t, per la fibra di cellulosa 3.500 kWh/t, per l’alluminio 30.000 kWh/t e per l’acciaio 3.500 kWh/t. Il legno è materiale rigenerabile. Questo vuol dire che una razionale gestione della risorsa ‘bosco’ può garantire sempre una costante quantità di materia prima ‘legno’. La definizione secondo la quale il legno è un materiale rinnovabile, è senza dubbio veritiera; è necessario però che, attraverso piani di gestione forestale, questa affermazione diventi sempre attuabile. Il bosco, senza un taglio programmato, invecchia dal punto di vista biologico, instaurando maggiore instabilità ecologica con il conseguente aumento di incendi e il deperimento degli esemplari più vecchi. In Italia un apporto incoraggiante arriva dalla Magnifica Comunità di Fiemme, in Trentino Alto Adige, che cura le proprie foreste di conifere garantendone il continuo rinnovamento; è il primo ente ad aver ottenuto, nel 1997, la certificazione FSC, frutto di una gestione del patrimonio forestale sviluppato da 900 anni. La moderna architettura ha saputo risolvere i punti deboli delle costruzioni in legno. Costruire a regola d’arte, adottando cioè i particolari accorgimenti richiesti da un materiale ‘vivo’ quale il legno, porta a far durare un edificio parecchi decenni. Ad oggi esistono ancora costruzioni in legno storicizzate: – le Stavkirker, circa 1.000 chiese in legno, costruite in Norvegia tra il 1100 e il 1300, che entrarono a far parte della coscienza popolare nell’Ottocento, grazie ai quadri romantici di Johannes Flintoe e Johan Christian Dahl; – la più vecchia casa in legno svizzera, casa Niderhöst a Svitto, risale al 1176 e circa quattro anni fa è stata accuratamente smontata. è attualmente in attesa di essere rimontata in un luogo adeguato; – l’architettura in legno delle case Walser, popolazione che a partire dal 1100-1200 si trasferì nell’area della Valsesia, costituisce oggi un esempio di arte architettonica molto caratteristica di quest’area territoriale, come d’altronde quasi tutti gli edifici abitativi permanenti dell’area alpina; – più vicine al nostro tempo, le bellissime case vittoriane di San Francisco, denominate painted ladies, sorsero tra il 1870 e il 1906. Molte purtroppo andarono distrutte dal terremoto del 1906, ma ne esistono ancora circa 13.000 da poter ammirare; – le famose Gridshell di Frei Otto, nel Mannheim Lattice Shell Federal Garden Exhibition, 1971, con le loro 70.000 assicelle contribuirono alla riduzione del peso, all’utilizzo di una minor quantità di materiale con conseguente aumento di resistenza della struttura; – molti altri architetti o cultori dell’architettura organica, biocompatibile ed ecosostenibile si sono succeduti nell’utilizzo di un materiale che oggi più che mai si sta riaffermando quale soluzione corretta all’esigenza di un abitare in armonia con l’universo. Come ci ricorda Julius Natterer, professore di Tecnica costruttiva in legno presso l’Università Tecnica Federale di Losanna, se la Tour Eiffel rappresentava al tempo il più alto simbolo dell’innovazione nell’uso dell’acciaio, in tempi recenti sono stati la copertura dell’Expo 2000 di Hannover di Thomas Herzog, il padiglione svizzero di Peter Zumthor e il padiglione giapponese di Shigeru Ban a rappresentare lo spostamento di tendenza. è in questo solco naturale di ricerca di forme derivanti dalla natura che si inserisce il concetto di Bioarchitettura®. La riscoperta delle tecniche costruttive antiche, con la visione e la consapevolezza delle grandi risorse tecniche oggi disponibili, ci svela un’architettura dal volto umano, radicata nel paesaggio, nella geografia e nella cultura del luogo, quindi nella storia. Ogni essere umano porta nei propri geni la capacità di associare ad una certa forma edificatoria e urbana caratteristiche proprie del luogo. Tali forme non possono essere impunemente prodotte con materiali di ultima generazione, in quanto apparirebbero come forzature scenografiche, scollegate dal luogo. L’uso del legno implica comunque una notevole conoscenza del materiale, delle sue tecniche di coltivazione, delle sue prerogative di resistenza strutturale, della sua lavorabilità, della capacità di autoresistere a condizioni esterne anche particolari, di autoproteggersi grazie ai propri componenti, di autoimmunizzarsi contro gli attacchi dei batteri utilizzando risorse che vengono liberate se il taglio è stato eseguito nei periodi corretti, durante il riposo invernale e con periodo di fase lunare adeguato. Associato ad altri materiali quali la pietra e l’argilla, riporta ad un modo di costruire che privilegia materiale a basso impatto, escludendo o limitando materiali provenienti dalla tecnologia estremamente energivora e inquinante, orientando l’intervento verso la biocompatibilità e la ecosostenibilità. Questi termini individuano in modo dualistico ogni azione umana che deve essere, nello stesso tempo, rispettosa sia della vita che dell’ambiente. è ovvio che in questa direzione diventa doveroso confrontarsi continuamente con la natura, verificarne e copiarne le sue specificità, il suo modo di operare, di usare modalità adeguate per ogni esigenza, di risolvere esigenze climatiche con soluzioni talmente raffinate da essere umanamente incomprese se non indagate con mezzi scientifici. L’abbandono di materiali naturali che ha caratterizzato l’edilizia del dopoguerra, privilegiando l’utilizzo sfrenato di prodotti a derivazione petrolifera, pubblicizzati come soluzioni economicamente vantaggiose per soluzioni permanenti senza problemi di durabilità, di impermeabilità, di inattaccabilità da agenti esterni, ha prefigurato, in modo menzognero, una soluzione abitativa a basso costo e quindi socialmente utile. Anche l’urbanistica si è adeguata a tali teoremi, proponendo immensi quartieri che, nell’assunto progettuale, nascevano per formare luoghi di elevata socializzazione e quindi dei nuovi centri storici. Peccato che quei quartieri siano nati per poi rimanere delle ingombranti periferie, luoghi di grande sofferenza sociale, di qualità materica pessima e per lo più abbandonati a loro stessi. Quale relazione, ci si chiederà, esiste tra l’abbandono e il livello materico dell’edificio? Cito una riflessione fatta in Egitto circa 30 anni fa, in un famoso luogo per le vacanze a basso costo: Sharm el Sheik. Il Governo offrì ai nomadi del deserto una casa in riva al mare, costruita con materiali durevoli, calcestruzzo ad esempio, organizzata in piccoli quartieri, secondo una logica da villaggio turistico. L’obiettivo era quello di formare nuclei di residenti locali che potessero diventare mano d’opera per i futuri insediamenti turistici. I nomadi le utilizzarono per ricoverare i propri animali, preferendo ancora le tende di antica fattura, ma ottime per la traspirabilità e per il riparo dalle temperature oscillanti tipiche di quei luoghi. E quindi, case moderne per ricovero di animali e, accanto, tende di immagine arcaica, ma di abitabilità efficiente e piacevole. Forse con un’attenzione alle modalità costruttive tipiche di quelle popolazioni, si sarebbe raggiunto un altro risultato. Questa è, a mio avviso, la chiave di volta del costruire. Il rispetto della tradizione locale coniugata alla maturazione della ricerca scientifica e tecnologica, che svela mondi ancora per la maggior parte a noi sconosciuti, della perfezione costruttiva della natura. Che, appunto perché non capace di intendere e volere, procede per istintualità genica. A noi, che invece è stata data la capacità di discernere, procediamo con grossolanità in una gara alla produzione di bellissimi mobili e monumenti, che appunto sono mobili e quindi privi di radici, mentre la casa è un immobile, con radici che si legano al tempo e allo spazio e quindi alla storia e alla geografia. Agli architetti di oggi rivolgo l’auspicio che possano innamorarsi della vicinanza alle forme che la natura ci regala e che non riusciamo più a vedere o che addirittura ignoriamo. Non per essere copiate, ma per essere indagate nella ricerca delle modalità di forma e di contenuto che sono, per natura, perfette e adeguate alla vita. E quindi biocompatibili ed ecosostenibili.
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pagina seguente: un esempio di Stavkirker, chiese in legno costruite in Norvegia tra il 1100 e il 1300/following page: an example of a Stavkirker, wooden churches built in Norway between 1100 and 1300
470kWh/t, is very modest compared to that required for the processing of other construction materials. In the case in which wood needs to be transported long distances, grey energy increases to 1,850 kWh/t. For polystyrene foam it requires 30,000 kWh/t, for cellulose fiber 3,500 kWh/t, for aluminum 30,000 kWh/t and for steel 3,500 kWh/t. Wood is a ‘renewable’ material. This means that a rational management of the ‘forest’ resource can ensure a constant quantity of ‘wood’ raw material. The definition according to which wood is a renewable material, is undoubtedly true; it is necessary though, that through forest management plans, this statement becomes more feasible. The forest, without planned cutting, ages from a biological standpoint, creating more ecological instability resulting in an increase of fires and decay of older species. In Italy an encouraging contribution comes from the Magnifica Comunità di Fiemme [Fiemme Magnificent Community], in Trentino Alto Adige, which cares for their conifer forests, ensuring continuous renewal; it is the first institution to have been awarded in 1997, FSC certification, a result of forest asset management developed over a period of 900 years. Modern architecture has known how to resolve the weaknesses of wood construction. Building according to the rule of art, adopting special measures required by a ‘living’ material such as wood, making it to last for many decades. To date there still exist wooden structures which are historically documented: – the Stavkirker, about 1,000 wooden churches built in Norway between 1100 and 1300, which became part of popular consciousness in the nineteenth century through the romantic paintings of Johannes Flintoe and Johan Christian Dahl; – the oldest wooden house in Switzerland, the Niderhöst and Svitto house, dates back to 1176 and about four years ago was carefully dismantled and is now waiting to be reassembled at an appropriate place; – the wooden architecture of the Walser houses, a population which starting in 1100-1200 transferred to the Valsesia area, and now forms a very characteristic example of the architectural art of this area, as do almost all of the permanent residential buildings of the alpine area; – closer to our time, the beautiful Victorian houses of San Francisco, called Painted Ladies, were built between 1870 and 1906. Unfortunately many of them were destroyed by the earthquake of 1906, but there are still about 13,000 that can be admired; – the famous Frei Otto Gridshell, in the Mannheim Lattice Shell Federal Garden Exhibition of 1971, with their 70,000 clapboard slats that contributed to a weight reduction, using a smaller amount of material leading to increased structural resistance; – many other architects or lovers of organic, biocompatible, and environmentally friendly architecture, have succeeded in using a material that today more than ever is reaffirming the correct solution needed for living in harmony with the universe.
As Julius Natterer, professor of Wood construction techniques at the Federal Technology University in Lausanne, reminds us, if the Eiffel Tower in its time represented the greatest symbol of innovation in the use of steel, in recent times it has been the roof of the Expo 2000 in Hanover by Thomas Herzog, the Swiss pavilion by Peter Zumthor, and the Japanese Pavilion by Shigeru Ban, all representing the changing trend. It is in this line of research of naturally derived forms that the concept of Bioarchitettura® [Bioarchitecture] fits in. The rediscovery of ancient building techniques, together with the vision and awareness of the great technical resources available today, reveals an architecture with a human face, rooted in the landscape, geography and culture of the place, and so in history. Every human being carries in their genes the ability to ally themselves with a certain building and urban form characteristic of the particular place. These forms can not be produced with impunity with the materials of previous generation, insofar as they would appear like some kind of forced scene, disconnect from the context. The use of wood still implies a strong understanding of the material, its cultivation techniques, its structural resistance strengths, its workability, its capacity to resist even extreme external conditions, its ability for self-protection thanks to its own components, of auto-immunity against bacterial attacks using resources that would be liberated if the cut was made during the correct period, during the winter rest and with the proper lunar phase. Combined with other materials such as stone and clay, it brings back a way of building that favors low-impact materials, excluding or limiting extremely energy consuming and polluting technology, orienting the project toward biocompatibility and environmental sustainability. These terms identify in a dualistic manner every human action that must be, at the same time, respectful of life and of the environment. It is obvious that in this direction it becomes an obligation to continually confront nature, verifying and copying its specificity, its mode of operation, using the appropriate means for each need, to resolve climatic requirements with solutions so sophisticated as to be humanly misunderstood if not investigated with scientific means. The abandonment of natural materials that have characterized postwar construction, favoring the rampant use of petrolium derived products, promoted as costeffective solutions, over permanent solutions to every problem of durability, water resistance, and resistance to external agents, has predicted, in an untruthful way, a low-cost and socially useful housing solution. Even urbanism has adapted itself to these theorems, proposing immense neighborhoods that, in the design idea, were founded in order to form new historic centers with a high level of social interaction. It is a shame that these neighborhoods were founded and all remain as cumbersome suburbs, places of great social suffering, of poor quality material, and mostly left to themselves. What relationship, we ask ourselves, is there between this abandonment and the quality of the building material? I would like to remind an observation I made in Egypt about 30 years ago in a popular holiday location on the low coast: Sharm el Sheik. The Government offered the desert nomads a house by the sea, built with durable materials, such as concrete, organized in small neighborhoods, according to the logic of the tourist village. The objective was to train groups of local residents who could become the workforce for future tourist facilities. The nomads used them to house their animals, still preferring their tents, antique but great for breathability and sheltering from the oscillating temperatures typical of those places. And thus, modern homes for sheltering animals and, next to them, archaic looking, yet habitable and pleasant tents. Perhaps with a focus on the construction methods typical of those people a different result would have been achieved. This is, in my opinion, the cornerstone of building construction. Respect for local tradition combined with the maturity of scientific and technological research, which reveals to us worlds for the most part yet unknown, of the constructive perfection of nature. Which proceeds – precisely because it is incapable of understanding and will – by genetic instinct. To us, who instead have been given the capacity to discern, proceed with coarseness in a race to the production of beautiful furniture and monuments, that are precisely just furniture and thus devoid of roots, while the house is a building, with roots that bind to time and to space and therefore to history and geography. To the architects of today I convey the hope that they can fall in love with the proximity of the forms that nature has given us and that we will really no longer be able to ignore. Not to be copied, but to be investigated in the research of the modality of the form and of the content that are, by nature, perfect and suitable to life. And so biocompatible and ecosustainable.
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Understatement scandinavo Lassila Hirvilammi Architects, Kuokkala church
testo di/text by Alfredo Cisternino foto di/photos by Jussi Tiainen
Scandinavian understatement There are latitudes in
Vi sono latitudini alle quali la neve attutisce persino il chiacchiericcio accademico e gli eterni luoghi
which the snow muffles even the academic chatter and eternal stereotypes concerning tradition and
comuni circa tradizione e modernità. Nel 2001 Anssi Lassila e Teemu Hirvilammi fondano uno studio a Oulu (Finlandia), per trasferirlo tre
modernity. In 2001 Anssi Lassila and Teemu Hirvilammi
anni dopo a Seinäjoki, piccola città ricca di opere pubbliche di Alvar Aalto (chiesa Lakeuden Risti, biblioteca e municipio). I due progettisti – rispettivamente classe 1973 e 1974, il secondo non ancora
opened a studio in Oulu (Finland) and three years
laureato – fanno propria l’umiltà con cui l’architettura scandinava dell’ultimo secolo incorpora le tec-
later transferred it to Seinäjoki, a small city filled with public works by Alvar Aalto (the Lakeuden
niche tradizionali in un design d’avanguardia. Il progetto in esame è basato sulla netta indipendenza tra forma esterna e spazio interno. Quest’ultimo
Risti church, library and town hall). The two designers (b1973 and 1974 respectively, the second
è diviso in due parti, una delle quali ospita il presbiterio. Il carattere cultuale di questa parte è segnato dalla sobria pala d’altare di Pasi Karjula, consistente in una serie di tondi lignei di dimensioni differen-
had not yet gotten a University degree) make their
ti. Assai semplici sul piano formale, i tondi si stagliano nettamente dalla parete liscia alla quale sono
own the humility with which Scandinavian architecture over the past century incorporates traditional
applicati grazie all’effetto di chiaroscuro creato dalla luce radente che piove da un’apertura zenitale sulla loro superficie appena sbozzata. L’effetto è ulteriormente enfatizzato dai simboli religiosi raffigu-
techniques into an avant-garde design ethic. The project for Kokkuala church is based upon the
rati in maniera primitivistica sulla pala in contrasto con il carattere di astrazione del resto della sala. Il guscio interno della chiesa presenta una sezione parabolica che si apre fino alla sua massima
clear independence between external form and interior space. The latter is split into two portions, one of which hosts the chancel with Pasi Karjula’s
estensione in corrispondenza del presbiterio. Il guscio è raddoppiato da un telaio a vista in legno con funzione al tempo stesso strutturale, acustica e di controllo formale. Dal punto di vista costruttivo essa mostra la familiarità dei progettisti con le tecnologie del legno, «umilmente apprese da maestri
sober altarpiece, consisting of a series of wooden tondi. The grazing light raining down from a roof window emphasizes the chiaroscuro effect of their barely rough-hewn surface and makes them stand out from the smooth wooden wall on which they are hung. Such an effect is also enhanced by the contrast between the primitivistic figuration of the religious symbols that are painted on the tondi and the overall abstract character of the interior design. The inner layer of the church has a parabolic cross-section that opens to its maximum extension in correspondence with the chancel. It is doubled by a framework in exposed wood, whose functions are structural, as well as acoustic and, last but not least, formal. From a construction viewpoint, it
artigiani». Come in altri casi, tuttavia, tale familiarità è messa al servizio di un approccio «construction fiendly» e «in continua cooperazione con i più abili progettisti strutturali». L’involucro esterno di Kokkuala church è un semplice tetto a falde. Le linee di gronda e di colmo, così come gli appiombi del campanile subiscono però ‘tagli’ che li portano leggermente fuori bolla e fuori piombo. Tali minime manipolazioni risultano estremamente enfatizzate dal neutro manto di abbaini lapidei che riveste le superfici esterne senza soluzione di continuità. Piuttosto che ricorrere alle logore categorie di tradizione e modernità, Lassila e Hirvilammi dichiarano di voler «combinare innovazione ed esperienza». Quale significato attribuiscono ai due termini? Cerco di rispondere con ulteriori domande: 1. sia l’involucro interno che quello esterno richiamano figure archetipiche: rispettivamente l’intreccio e la capanna: cosa direbbero Gottfried Semper o Kenneth Frampton a riguardo? 2. Attraverso l’uso esperto e innovativo di materiali locali – la pietra e il legno – Lassila e Hirvilammi sottopongono tali figure alla loro ennesima attualizzazione. Pensate sia azzardato paragonare il loro lavoro, da tale punto di vista, ad alcune opere di Herzog & de Meuron (casa a Tavole, casa Rudin) o di Peter Zumthor (terme di Vals)? Se sì, allora mai fidarsi dell’understatement scandinavo.
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planimetria generale/site plan
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nome progetto/project name Kuokkala Church progetto/design Lassila Hirvilammi Architects – Anssi Lassila (capoprogetto/chief architect) progetto degli interni/interior design Lassila Hirvilammi Architects – Teemu Hirvilammi architetto locale/on the site architect Luonti Architects – Jani Jansson assistenti/assistants Virve Väisänen (Luonti Architects); Juha Pakkala, Janne Kähkönen, Matias Topi, Yoshimasa Yamada (Lassila Hirvilammi Architects) ingegneria, costruzione/engineering, construction Ramboll – Juha Elomaa e/and Antti Oikari costruzione, pietra naturale/construction, natural stone Stonecon – Pekka Mesimäki e/and Uolevi Pesonen impianti/HPAC LVI-Lindroos – Jari Manninen
progetto elettrico/electrical design Leinonen-Mantsinen – Juhani Närhi progetto acustico/acoustic design Helimäki acoustics – Heikki Helimäki costruttore/builder Rakennusliike Porrassalmi Oy pala d’altare/altar piece Pasi Karjula tessuti/ecclesiastic textiles Silja van der Meer committente/client parrocchia di Jyväskylä/parish of Jyväskylä luogo/place Jyväskylä, Finlandia data progetto/design date 2006-2009 fine lavori/completion 2008-2010 superficie/area 1.311 mq/sqm volume/volume 7.460 mc/cm www.lh-ark.fi
sezione aa/section aa
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pagina precedente: vista del prospetto ovest e campanile/previous page: view of the west façade and of the bell tower apertura: chiesa e pala d’altare opening page: church hall and the altar piece
prospetto nord/north elevation
sezione bb/section bb
demonstrates the designers’ familiarity with wood technology «humbly learnt from the masters of craftsmanship». As in many of their projects, such familiarity and the «constant cooperation with the most skilled structural designers» yields a «construction friendly approach to architecture». Kokkuala church has a simple gable roof. The lines of the eaves and rooftop, as well as the edges of the bell tower are cut in order to draw them out of level and plumb. Although minimal, these manipulations are extremely emphasized by the continuous slate cladding of the outer layer. Without resorting to hackneyed categories, such as ‘tradition’ and ‘modernity’, Lassila and Hirvilammi stated that they wanted to «combine innovation and experience». Which definition do they intend for these two terms? I will try to answer by further questions: 1. both interior and exterior layer of Kokkuala church recall archetypical figures: respectively the weave and the hut: what would Gottfried Semper or Kenneth Frampton have to say about this? 2. Through the expert and innovative use of local material – stone and wood – Lassila and Hirvilammi propose an umpteenth revival of such figures. Do you think it is a bit rash to compare that aspect of their work to those by Herzog & de Meuron (the house in Tavole, Italy, the Rudin House in Leymen, France) or those by Peter Zumthor (Vals Baths, Switzerland)? If you’re answer is yes, then do not trust Scandinavian understatement.
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pianta primo piano/first floor plan a
pianta secondo piano/second floor plan
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5m
vista della sala riunioni parrocchiali al primo piano/view of the parish meeting hall on the first floor
scala dal primo al secondo piano the staircase from the first to the second floor sotto: vista di uno spazio per riunioni al primo piano/below: view of a meeting room on the first floor
106 107
Racconto norvegese Steven Holl, Knut Hamsun Center
«C’era una torre davanti a me… una torre nera, ottagonale». «There was a tower standing in front of me... a black, octagonal tower». Knut Hamsun, Mysteries, 1892
testo di/text by
Pierpaolo Rapanà
Norwegian tale As far back as the Bridge of Houses
Fin dal progetto Bridge of Houses (New York, 1979) e dai primi studi tipologici dove i singoli edifici
project (New York, 1979) and the first typological studies in which single buildings were designed
erano disegnati sul carattere specifico di abitanti immaginari – gli alloggi dell’Hybrid Building sono progettati per ospitare personaggi dal carattere malinconico o tipi estroversi, per un poeta o un musi-
upon the specific feature of imaginary residents – the lodgings of Hybrid Building have been de-
cista – Holl si distingue per un approccio narrativo al progetto e per l’attenzione alle qualità essenziali dei materiali e della luce. La carica espressiva delle sue architetture sembra risiedere nella libertà
signed to host melancholic or extroverted people,
compositiva con cui egli ri-combina vocaboli d’estrazione modernista ed elementi archetipici (fessura,
for a poet or musician – Holl stands out for his narrative approach to a project as well as for his atten-
porta, bucatura, ecc.) e soprattutto nel modo in cui tali originali aggregazioni di proto-elementi sono tenute insieme e trovano la propria giusta collocazione – spaziale e concettuale – pur fluttuando in
tion to the essential qualities of light and material. The expressive charge of his architecture seems
spazi deformati, in sezioni spugnose e oblique, ora grazie alle qualità percettive che ne scaturiscono, ai tagli di luce, alle ombre, ora per un rigido tracciato regolatore che misura e accentua deformazioni e
to reside in the compositional freedom with which
slittamenti, o ancora per la trama narrativa in cui s’inseriscono con rimandi ad un concetto preordinato
he rearranges words of modernist extraction and archetypical elements (crack, door, perforation,
tratto dalla letteratura o dalla scienza. A Hamarøy (Norvegia, Circolo Polare Artico), nel museo dedicato alla memoria del più prestigioso
etc.) and, above all, the way in which such original combinations of proto-elements are kept together
scrittore norvegese del ventesimo secolo, Knut Hamsun, una citazione letteraria è ancora una volta alla base del progetto. L’idea della ‘torre’, presente in molti racconti di Hamsun in forma di dispositivo
and can find their proper spatial and conceptual placement notwithstanding the fact that they are floating in deformed spaces, in spongy and slant-
metaforico, diventa per Holl trasposizione architettonica del viaggio di Nagel, protagonista del racconto Mysteries, e traduzione letterale della torre nera con cui una piccola comunità Norvegese si presenta al giovane visitatore. Il concetto fondante di edificio come corpo o campo di battaglia di forze invisibili
ing sections due to the perceptive concepts that arise at times, the slices of light, shadows or due to the rigid regulating lines which measure and accentuate deformation and sliding at others. There is also a narrative pattern into which they are inserted, bringing a preordained concept to mind that originates in literature or science. A literary quote is once again at the base of a project of the museum dedicated to the memory of Knut Hamsun, Norway’s most prestigious 20th century
[«building as a body, battleground of invisible forces»] emerge sin dai primi schizzi e si manifesta nelle deformazioni inflitte al corpo verticale, come percorso da forze invisibili che premono sulle pareti scure. Forze geologiche, le stesse che hanno generato il meraviglioso paesaggio artico circostante. Anche la pianta si piega alle stesse pressioni esterne. Ciascun elemento s’incastra a suo modo nel reticolo concettuale: la sezione – denominata da Holl nei suoi schizzi section of trapped shadows – è scavata dai raggi del sole che penetrano dall’alto e si fanno strada tra i vuoti dei solai attraverso l’intera sezione rimbalzando sulle pareti lievemente inclinate. Le scritte riportate sugli schizzi in corrispondenza degli affacci, delle terrazze (Big brown dog, Girl w/sleeves rolled up polishing panes, Balc of the empty violin, Balc of the two blue feathers, ecc.) rimandano ad altri racconti di Hamsun (Hunger, Pan, Growth of the soil). Il legno nero delle pareti esterne è lo stesso delle grandi chiese norvegesi, mentre il trattamento del tetto con il fitto canneto di bambù reinventa le zolle d’erba che ricoprono i tetti delle costruzioni vernacolari della regione. Ogni progetto di Steven Holl ci parla, più che di parallasse, della profonda compromissione tra forma e concetto, esperienza e memoria, spazio e tempo.
writer, Knut Hamsun, located in Hamarøy (Norway, Polar Arctic Circle). The idea of the ‘tower’ present in many of his tales used as a metaphorical device, becomes the architectural transposition for Holl of
schizzi e vista d’insieme sketches and general view
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primi schizzi di progetto first project sketches pagina seguente: vista nord ovest following page: north west view
b
a
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1 ingresso/entry 2 atrio/lobby 3 reception 4 caffetteria/cafĂŠ 5 cucina/kitchen 6 auditorium 7 sala espositiva/exhibition 8 terrazza/balcony
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pianta piano terra ground floor plan
pianta primo piano/first floor plan
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pianta secondo piano/second floor plan
pianta quarto piano/fourth floor plan
pianta quinto piano/fifth floor plan
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1 ingresso/entry 2 atrio/lobby 3 reception 4 caffetteria/cafĂŠ 5 cucina/kitchen 6 auditorium 7 sala espositiva/exhibition 8 terrazza/balcony 9 uffici/offices
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sezione aa/section aa
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5m
sezione bb/section bb
4 9
modello/model pagina precedente: prospetto sud dal basso previous page: south elevation from below
prospetto est/east elevatin
prospetto sud/south elevatin
the journey taken by Nagel, protagonist of the short story Mysteries and a literal translation of the black tower with which a small Norwegian community is presented to the young visitor. The founding concept – Building as a body; battleground of invisible forces – emerges right from the earliest sketches and is manifested in the deformations inflicted on the vertical body like a course undertaken by invisible forces that press up against the dark walls. Geological forces, the same that generated the marvelous surrounding Arctic landscape. Even the design bends to the same external pressures. Each element wedges its way into the conceptual grid: the section – which Holl calls section of trapped shadows in his sketches – is hollowed by the sun’s rays that penetrate from above and make their way among the open areas of the ceilings through the entire section, bouncing on the slightly slanted walls; The writing on the sketches of openings and terraces (Big brown dog, Girl w/sleeves rolled up polishing panes, Balc of the empty violin, Balc of the two blue feathers, etc.) also call other stories by Hamsun to mind (Hunger, Pan, Growth of the soil); The black wood of the external walls is the same used in Norway’s large churches while the roof is treated with a dense bed of bamboo, reinventing the sods covering the roofs of the usual buildings seen in the region. Every project by Steven Holl speaks more to us of the deep compromise between form and concept, experience and memory, space and time than he does of parallaxes.
nome progetto/project name Knut Hamsun Center progetto/design Steven Holl Architects progettista/design architect Steven Holl associato/associate in charge Noah Yaffe (esecutivi/costruction documents) responsabile di progetto/project architect Erik Fenstad Langdalen (sviluppo del progetto design development) gruppo di progetto/project team Francesco Bartolozzi, Ebbie Wisecarver (esecutivi/costruction documents); Gabriela Barman-Kraemer, Yoh Hanaoka, Justin Korhammer, Anna Müller, Audra Tuskes (sviluppo del progetto/design development) architetti associati/associate architects LY Arkitekter (esecutivi/costruction documents) ingegneria strutturale/structural engineering Guy Nordenson and Associates (sviluppo del progetto/design development) ingegnere strutturale/structural engineer Rambøll Norge (esecutivi/costruction documents) ingegneria meccanica/mechanical engineer Ove Arup (sviluppo del progetto/design development) ingegneria meccanica/mechanical engineer Rambøll Norge (esecutivi/costruction documents) ingegenria elettrica/electrical engineer Rambøll Norge (esecutivi/costruction documents) consulenza illuminotecnica/lighting consultant L’Observatoire International (sviluppo del progetto design development) consulenza illuminotecnica/lighting consultant Vesa Honkonen Architects (esecutivi/costruction documents) architettura del paesaggio/landscape Landskapsfabikken (esecutivi/costruction documents) committente/client Nordland Fylkeskommune luogo/place Hamarøy, Norvegia data progetto/design date 1994 fine lavori/completion 2009 superficie/area 492 mq/sqm www.stevenholl.com
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prospetto ovest/west elevatin
prospetto nord/north elevatin
primi schizzi di progetto preliminary sketches of the project sotto: vista verso il mare below: view towards the sea pagina seguente: vista del tetto con il canneto di bamb첫/following page: view of the roof with the field of bamboo
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WWDH Pieta-Linda Auttila, Wisa Wooden Design Hotel
testo di/text by
Azzurra Macrì
WWDH An archipelago in front of the port of Hel-
Arcipelago di fronte al porto di Helsinki, camera con vista, legno di pino e abete rosso finlandese,
sinki, room with a view, pine or red Finnish fir, 24 hours to conceive the project, a month and a half to
24 ore per concepire il progetto, un mese e mezzo per realizzarlo: sono gli ingredienti principali del WISA Wooden Design Hotel, situato sull’isola di Valkosaari. Un’architettura affascinante, innovativa,
build it: these are the main ingredients of the WISA Wooden Design Hotel on the island of Valkosaari.
leggera, aperta che porta la firma di Pieta-Linda Auttila, studentessa presso l’Università di Arte e Design di Helsinki, vincitrice del concorso Wooden Design Workshop bandito da UPM Timber, azienda
Fascinating architecture: innovative, light and open
produttrice di legname per le costruzioni. Il piccolo hotel – una microarchitettura – possiede la dote
that was designed by Pieta-Linda Auttila, a student at the Helsinki University of Art and Design, win-
della mobilità: nel tempo viaggerà di isola in isola, di mare in mare, di porto in porto per donarsi ogni volta a visitatori diversi come luogo privilegiato per l’osservazione del paesaggio. Non è un caso che
ner of the Wooden Design Workshop competition sponsored by UBM Timber, a company that manu-
la giovane progettista si sia ispirata alle barche dei pescatori locali, restituendo l’ispirazione in uno spazio sperimentale e comunque legato al suo luogo di nascita, al suo molo di partenza. «Il mare e la
factures wood for construction. The small hotel, a micro-architecture, features the quality of mobil-
mia passione per le imbarcazioni di legno dei pescatori mi hanno orientata ad applicare in architettura le tecniche di costruzione delle barche, oltre ad avermi suggerito la sagoma curva della parte centrale
ity: in time it will travel from one island to another,
del progetto», spiega la giovane progettista.
from one sea to another, from one port to another to offer itself over and over again as a privileged
L’obiettivo del concorso, felicemente interpretato dalla studentessa finlandese, era quello di dimostrare come il legno, materiale della tradizione, sia in grado di declinare forme e linguaggi contemporanei,
place from which to observe the landscape. It is no coincidence that this young architect was inspired by the boats belonging to local fishermen, bringing
dialoghi fra passato e presente, nuove possibilità espressive. Con questa architettura il legno si riscatta dalla stereotipata associazione ai paesaggi vernacolari e rivendica la sua capacità di andare oltre il tempo, di potersi esprimere in maniera originale, fresca, sempre inedita.
this inspiration into an experimental area that remains tied to its birthplace, it’s dock of departure. «The sea and my passion for fishermen’s wooden boats directed me to apply the technique of boatbuilding to architecture along with suggesting the curved outline of the central portion of the project» the young designer explains. The goal of the competition, successfully interpreted by the Finnish student, was that of demonstrating how wood, a material of tradition, is capable of being expressed in contemporary shapes and idioms, dialogues between the past and present, new possibilities of communication. With this architecture, wood is finally redeemed of its stereotypical association with vernacular landscapes and can claim its ability to go beyond time, to express itself in an original, fresh manner that is waiting to be discovered. Perched upon a rocky cloak, this sculpture is compared at times to stone, a stable material, and at others to the sea and wind, mobile materials. Over time, the saltiness had covered the wood externally – that had already been painted grey – bringing it closer to the mood and tone of stone, while the wind seems to have given form to the undulated walls of the central portion. On its model, the hotel (approximately 30 square metres) has a sinuous form, similar to an arm that is delicately bent to contain the most intimate and evocative area: the entrance hall. Protected by bundles of wooden boards that
Poggiata su manto roccioso, questa scultura si confronta ora con la pietra, materiale stabile, ora con il mare e il vento, materiali mobili. Nel tempo la salsedine ricopre esternamente il legno – già trattato con una finitura di grigio –, avvicinandolo agli umori e ai toni della pietra, mentre il vento sembra dare forma alle pareti flesse della parte centrale. In pianta l’hotel – di circa 30 metri quadrati – ha una forma sinuosa, simile a un braccio morbidamente piegato a contenere l’angolo più intimo e suggestivo: l’atrio. Protetto da fasci di tavole di legno piegati a descrivere curve sempre diverse (ogni tavola è costituita da tre strati fino a raggiungere uno spessore complessivo di 8 millimetri), si lascia penetrare dalla luce, dall’aria, dal panorama. Diventa teatro di movimentati giochi di ombre prodotti dalle varie inclinazioni del sole durante l’arco della giornata. Un cuore pulsante, uno spazio ‘umorale’, nel quale gli elementi della natura permettono di volta in volta un’esperienza diversa. Grandi cuscini di paglia baciano la roccia, consentendo momenti di relax, di quiete e meditazione davanti al paesaggio. È una struttura dalla forma organica, che sembra respirare insieme al mare e fare eco alla personalità biologica del legno. Quest’ultimo è adoperato con audacia, originalità, volontà di metterlo alla prova per individuare nuove formule espressive. Ai due estremi dell’atrio si trovano l’essenziale camera da letto e uno spazio giorno riparato: posti su livelli differenti, entrambi i volumi che li contengono adottano la forma del cannocchiale, con una parete interamente a vetri che genera un rapporto osmotico fra esterno ed interno. Il fascino del WISA Wooden Design Hotel risiede nella potenza della suggestione che riesce a esprimere, la stessa che ha guidato la giovane Pieta-Linda Auttila fin dal primo momento: «All’inizio il mare era in tempesta. Il potere e la forza delle onde hanno sollevato dal fondo un blocco di legno, già annerito dall’acqua del mare, e lo hanno scaraventato contro la roccia. L’urto ha squarciato il blocco di legno nel suo cuore».
Valkosaari
planimetria generale/site plan 0
100 m
Valkosaarensalmi
Luoto
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a
nome progetto/project name WISA Wooden Design Hotel progetto/design Pieta-Linda Auttila ingegneria strutturale e consulenza/structural engineering and assistance Tero Sundberg, Hannu Hirsi costruzione/construction elementi spaziali/spatial elements MPH-rakennus Heikki Maksniemi rivestimenti/casings Pekka Blomster, Timo Blomster, Teemu Forsman, Jari Karppinen legname/timber UPM Timber compensato/plywood UPM Plywood finestre/windows Fenestra finiture/finish Osmo-color/Sardon Woodwise and Teknos Woodex costruttore/builder UPM Kymmene/Antti Ratia committente/client UPM (promotore del concorso competition promoter) luogo/place Valkosaari, Helsinki, Finlandia fine lavori/completion 2009 superficie/area 82 mq/sqm www.wisa24.com
a
piantalplan 0
sezione aalsection aa
2m
0
2m
prospetto verso il porto elevation towards the harbour
prospetto verso l’isola elevation towards the isle
prospetto verso la parte sud della città/elevation towards downtown
are bent to describe curves that are very different from one another (every board is made up of three layers to reach a width of 8 millimetres), it is penetrated by the light, air and the scenery. It becomes a stage for lively shadow games made by the various inclinations of the sun throughout the day. A throbbing heart, a ‘mood’ area, in which the elements of nature allow for a different experience time after time. Large straw pillows kiss the rock, allowing for moments of relaxation, tranquility and meditation while enjoying the view. The structure has an organic shape that seems to breathe along with the sea and echoes the biological personality of the wood which is used boldly and with originality. The desire to put it to the test in order to perceive new expressive formulas. The essential bedroom and a sheltered living area are located at the two extremes of the entrance hall: positioned on two different levels. Both areas containing them adopt a binocular formula with a wall that is entirely made of glass that generates an osmotic relationship between interior and exterior. The allure of the WISA Wooden Design Hotel is in the power of suggestion that it is able to express, the same that led the young Pieta-Linda Auttila from the very first moment: «At first, the sea was stormy. The power and strength of the waves brought up a block of wood from the seabed that was already blackened by the water and hurled it against the rocks. The crash ripped open the heart of this block of wood».
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dettaglio dell’interno/detail of the interior sotto: lo spazio giorno in uno dei due estremi dell’edificio/below: the living area in one of the two sides of the building pagina seguente: vista del nucleo centrale following page: view of the central area
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© Jens Lindhe
nome progetto/project name Residenza studentesca Tietgen/Tietgen Dormitory progetto/design Lundgaard & Tranberg Arkitekter capiprogetto (soci)/principal architects (partners) Peter Thorsen, Erik Frandse capoprogetto/project architect Nicolai Richter-Friis (socio/partner) gruppo di progetto/project team Thomas Rahbæk, Robert Janson, Mian Tarp Lund, Sofie Peschart, Gitte Lorenzen, Birgitte de Neergaard, Henrik Christensen ingegneria/engineering COWI acustica/acoustics Bo Mortensen Akustik
architettura del paesaggio/landscape Marianne Levinsen in collaborazione con/in cooperation with Henrik Jørgensen arte e grafica/artwork and graphic design Aggebo & Henriksen committente/client Fonden Tietgenkollegiet luogo/place Copenhagen, Danimarca data progetto/design date 2002 fine lavori/completion 2006 superficie/area 22.200 mq/sqm oltre a/plus 6.460 mq/sqm seminterrato/basement numero di unità/number of flats 360 www.ltarkitekter.dk
Individualità collettiva Lundgaard & Tranberg Arkitekter, Tietgen Dormitory
testo di/text by
Paolo Di Nardo
Ørestad è un’area in grande espansione suddivisa in quattro quartieri, a sud di Copenhagen, dove attualmente vivono circa 5.000 persone e ve ne lavorano circa 10.000. Le previsioni parlano, entro 15-20 anni, di 20.000 abitanti, 80.000 lavoratori e ben 20.000 studenti. Il quartiere nord è quello che, allo stato attuale, ha quasi concluso il suo sviluppo. Qui si trovano le sedi di due università e il Tietgen Dormitory, una residenza per studenti, realizzata dallo studio Lundgaard & Tranberg Arkitekter di Copenhagen. La caratteristica e la forza di Ørestad risiede nella sua intrinseca diversità e molteplicità, data da uno sviluppo urbano e sociale che è stato in grado di integrare le strutture direzionali con quelle residenziali e di servizio. Si trovano così edifici per uffici realizzati a fianco di residenze in grado di offrire una varietà di soluzioni abitative, sia per caratteristiche dimensionali che sociali (dalla piena proprietà, alle cooperative, alle residenze sociali). E accanto a questi sono stati realizzati servizi residenziali condivisi (secondo la tradizione tipicamente nordica), spazi di ritrovo e residenze per studenti. Questo mix funzionale fa sì che questa porzione di città (città essa stessa) sia vitale e vissuta 24 ore su 24, 7 giorni su 7, senza quei fenomeni di ‘desertificazione’ tipici degli sviluppi mono- oppure oligofunzionali di molte altre aree di espansione urbana che le rendono quartieri dormitorio o quartieri deserti e abbandonati a se stessi fuori dall’orario di ufficio. In questo senso il Tietgen Dormitory rappresenta una dichiarazione programmatica molto precisa sullo sviluppo di quest’area. L’anello circolare rappresenta senza dubbio l’affermazione architettonica di un obiettivo: l’incontro fra collettività e individualità, ma in questo caso riflette anche un’idea di sviluppo urbano e sociale molto chiaro. La forma sembra rifarsi alle antiche abitazioni collettive della Cina meridoniale, i Tulou, dove gli spazi si aprivano, per ragioni difensive, soprattutto verso il cortile interno. Nel caso di questo intervento invece la forma circolare, simbolo di uguaglianza e condivisione, è contrastata dalle singole unità residenziali, i cui volumi si proiettano verso l’esterno con profondità diverse, a sottolinearne la singola individualità. Il volume cilindrico è solcato da 5 tagli a tutta altezza che servono da accesso al cortile centrale e ai 6 piani superiori; i 5 settori in cui è suddiviso l’edificio accolgono, ciascuno, 12 unità abitative organizzate attorno ad un’area comune e alla cucina. In tal modo le 360 unità abitative si affacciano verso la città, con grandi finestre, protette da grigliati scorrevoli in listelli di legno di quercia che permettono di modulare la luce naturale che penetra nelle stanze. Verso il cortile, vero luogo di incontro e di socializzazione, si protendono, in maniera ancora più decisa, i volumi dei servizi comuni ai diversi piani, caratterizzati anch’essi da grandi vetrate e da terrazze sulle diverse coperture, così da rendere in pratica un tutt’uno lo spazio esterno con quello interno. Le singole unità, ognuna dotata dei propri servizi igienici, sono rese ancora più accoglienti grazie ad uso attento del legno come rivestimento e materiale di arredo. Al piano terra invece sono concetrati tutti i servizi comuni all’intero complesso (lavanderia, sale riunioni, sale per workshop, ecc). All’esterno, due dei numerosi canali che caratterizzano questa zona di Ørestad definiscono la localizzazione del dormitorio, che si colloca sul vertice dell’ansa di uno e a ridosso dell’altro, offrendo un ampio spazio pubblico. Ciò che poteva configurarsi, in questo luogo così dinamico, come un intervento monumentale, immobile, autoreferenziale, si rivela invece, grazie ai volumi che ‘rompono’ la superficie del cilindro murario, simbolo concreto di una comunità, una società, che prima di essere tale è costituita da individui diversi che ne rappresentano la vera ricchezza.
vista dell’esterno dal parco view of the exterior from the park (landscape canal)
planimetria generale/site plan 0
200 m
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pagina seguente: vista dell’esterno da est following page: east view of the exterior
pianta piano terra/ground floor plan
20 m
0
Collective Individuality Ørestad is an area south of Copenhagen that is expanding rapidly, subdivided into four districts, with an approximate population of 5,000. About 10,000 people work in this area as well. It is forecasted that within 15-20 years there will be a population of 20,000 with 80,000 people working there and 20,000 students. The northern part is the one that has almost concluded its development at the moment. There are two universities here and the Tietgen Dormitory (student housing) created by the Lundgaard & Tranberg Arkitekter studio of Copenhagen. Its main characteristic and the strength of Ørestad is to be found in its intrinsic diversity and multiplicity, due to an urban and social development that was capable of integrating administrative facilities with those for residential and service purposes. In this way, office buildings stand next to residential buildings that can offer a variety of living solutions: by dimension as well as by social characteristics (full ownership, coop or social residences). Next to these stand buildings that were created for shared residential services (according to typical Nordic tradition), meeting places and residences for students. This combination of functions guarantee that this portion of the city (a city in itself) is vital and experienced 24 hours a day, 7 days a week without the phenomenon of ‘desertification’ so typical of those
sezione section
pianta piano tipo/standard floor plan
0 sezione tipo/standard section
5m
© Jens Lindhe
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mono- or few-functional developments of many areas undergoing urban expansion that make them dormitory districts or deserted areas abandoned unto themselves after office hours. In this sense, Tietgen Dormitory is a very precise, programmatic declaration of this area’s development. The ring is without a doubt an architectural affirmation of a single goal: the meeting point between collectiveness and individuality, but in this case it also reflects a concept of urban-social development that is very clear. The shape seems to recall ancient collective homes of Southern China – the Tilou – where the spaces opened up for defensive purposes, mostly onto the inner courtyard. In this case, the circular form (symbol of equality and mutual sharing) is contrasted by single residential units projected outward but with different depths to indicate single individuality. The cylindrical volume is grooved by 5 cuts that run the entire heigth of the building, serving the purpose of ground floor access onto the central courtyard and to the 6 upper floors; the 5 portions into which the building is subdivided each hold 12 residential units arranged around a common area and a kitchen. This way 360 residential units all overlook the city, with large windows protected by sliding grilles in oak wood planks that enable the modulation of natural light to penetrate the rooms. The volume
schema delle fasi costruttive constructive steps scheme
Š Jens Lindhe
Š Lundgaard & Tranberg
© Lundgaard & Tranberg
128
of common service areas (the true meeting places and socialising areas) on the various floors stretch towards the courtyard in a more decisive manner, also characterized by large glass windows and terraces with different coverings in such a way that the outer space is a single entity with the inner one. The single units, each of which features its own toilet area, is made even more comfortable thanks to the careful use of wood for both covering and furniture. All service areas of common use for the entire complex are concentrated on the ground floor (laundry room, meeting hall, workshop halls etc). Outdoors, two of the many canals that typify the district of Ørestad demarcate the dormitory located above the curve of one and behind the other, offering extensive public space. That which could have been a monumental, immobile, self-referential building is actually a very dynamic place thanks to the volumes ‘breaking’ the surface of the cylindrical outer wall, a concrete symbol of a community, a society. Before being this, however, it is made up of different individuals, its true wealth. in questa pagina: vista di un’unità abitativa e di una delle cucine comuni/in this page: view of a flat and of one of the common kitchens pagine precedenti: il grande cortile interno previous pages: the big internal courtyard
© Lundgaard & Tranberg
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perfugas
Natura e artificio Giovanni Maciocco, Intervento al parco dell’Anglona
testo di/text by
Alessandra Lai
Nature and artifice The Anglona paleobotanical
Il parco paleobotanico dell’Anglona, nella Sardegna centro-settentrionale, interessa un’area di circa
park in northern-central Sardinia covers an area of approximately 100 square kilometres, covered
100 kmq, ricoperta da depositi silicei lacustri e legni fossili, tracce di un’epoca in cui laghi, foreste e vulcani occupavano un territorio che oggi rappresenta una delle risorse paleobotaniche e geologiche
with deposits of lagoon silica and wood fossils, traces of an era during which lakes, forests and
più significative della Sardegna. Il progetto del parco coglie l’aspirazione dei comuni di Bulzi, Laerru, Martis e Perfugas di darsi una
volcanoes occupied a territory that is now one of
prospettiva di urbanità comune, attraverso un intervento che supera i confini amministrativi per ricom-
Sardinia’s most important paloebotanical and geological resources.
porre, in una percezione unitaria, il sistema di relazioni territoriali costruito nel tempo. Orientare l’attenzione sugli elementi evocativi dei processi che hanno generato la struttura insediativa
The park’s project combines the aspiration of the townships of Bulzi, Laerru, Martis and Perfugas to
e il paesaggio-ambiente della regione storica dell’Anglona è il tema del progetto. La difficoltà di rintracciare le testimonianze fossili, dovuta alla casualità e frammentarietà dei ritrova-
create a perspective of common civility through a project that goes beyond administrative confines,
menti, accentua la delusione di chi si lascia sedurre dalla suggestiva segnaletica che invita a visitare la ‘foresta pietrificata’. Non c’è una foresta che possa rispondere alle aspettative dell’immaginario che
to recompose the system of territorial relations built
si prefigura una realtà metafisica, fatta di organismi lignei, spenti e ripiegati su sé stessi, infitti su un
over time into a unitary perception. The project’s theme focuses attention upon evoca-
terreno arido, cinerino. Le attese non trovano soddisfazione nel rilassante paesaggio collinare segnato da vulcani recenti, altopiani e terrazzi a differenti altezze.
tive elements of processes that generated the settlement structure as well as the landscape-environment of the historic region of Anglona.
L’immagine fantastica che si forma nella mente alimenta aspettative che i tronchi fossili e le concrezioni cave distribuite su un territorio così vasto e assolato non possono saziare. Se ne perdono quasi le tracce rispetto alla dimensione territoriale che li contiene. La ricerca diventa affannosa e deludente. Il
The difficulty of recovering fossils, due to the casual and fragmental way in which the finds were discovered, accentuates the disappointment of those who are taken in by the suggestive indications inviting them to visit the ‘petrified forest’. There is no such thing as a forest that can correspond to the expectations of an imagination that envisages a metaphysical reality made up of extinct wooden organisms that have retreated into themselves, driven into an arid, grey terrain. Expectations cannot be satisfied by the relaxing hilly landscape marked by recent volcanoes, plateaus
progetto delle gallerie-ombrario dà forma all’immaginario. Sono astronavi mentali, macchine territoriali che, sfumando sul paesaggio urbanizzato, ricompongono le testimonianze del territorio preistorico. Le inquadrature generate dalla segmentazione dei corridoi a cielo aperto consentono di traguardare e catturare oggetti distanti tra loro e dall’osservatore, senza perdere di vista la spazialità dell’insieme. Nel loro piegarsi, frammentarsi e ricomporsi, accompagnano e guidano il visitatore alla ricerca dei reperti dando forma a un ricco registro di variazioni architettoniche sul tema progettuale principale. Le pareti disegnate con ricorsi lignei orizzontali riproducono l’imprevedibilità dell’attraversamento della foresta: alte e incombenti, come fitte sequenze alberate, lasciano filtrare la luce ed intuire appena lo spazio circostante sul quale si aprono improvvisamente incorniciando i resti fossili, spesso a breve distanza, e gli elementi caratterizzanti del sistema paesaggio – ambiente che potrebbero sfuggire alla peregrinazione senza riferimenti. Il legno media tra natura e artificio: il processo di ossidazione ne spegne lentamente il colore fino a far diventare fossili gli ombrari stessi.
apertura: la galleria-ombrario Perfugas opening page: Perfugas shading gallery a destra: vista prospettica di Perfugas on the right: a perspective view of Perfugas
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bulzi
bulzi
laerru
martis
perfugas
and terraces that stand on different levels. The fantastic image formed in the mind feeds expectations that fossil trunks and the concretions distributed on such a vast and bright territory cannot satisfy. Traces of these things are almost lost when compared to the dimension of the territory hosting them. The search becomes exhausting and disappointing. The project of the tunnels-gardens give shape to the imagination. They are mental spaceships, territorial machines that, fading away from an urbanized landscape, recompose evidence of a prehistoric territory. The framings generated by the open-air corridors make it possible to see and capture objects that are distant from one another and from the observer without losing sight of the vacancy of the entire landscape. The fact that the pieces bend, fragment and recompose accompany and guide the visitor along his or her search for evidence, giving form to a plentiful register of architectural variations on a main (project) theme. The walls designed like horizontal wooden sequences reproduce the unpredictability of crossing the forest: tall and impending, like thick tree-lined sequences that allow the light to filter through and barely perceive the surrounding space upon which it opens suddenly, framing the fossils, often within a short distance, and the characterizing elements of the landscape-environmental system that could elude a peregrination without reference points. The wood mediates between nature and artifice: the oxidation process slowly extinguishes colour until the fossils become the garden itself.
nome progetto/project name Intervento al parco paleobotanico dell’Anglona/Project at the Anglona Palaeobotanic Park progetto/design Giovanni Maciocco con/with Domenico Bianco e/and Salvatore Altana collaboratori/collaborators Alberto Luciano, Stefano Noce, Valentino Muscas consulenti/consultants Antonella Huber (museografia/museography) Giacomo Oggiano e/and Luciano Trebbiani (geologia/geology) Rossella Filigheddu (botanica/botany) Alberto Paba (comunicazione/communication) Gianluigi Pillola (paleobotanica/palaeobotany) Giancarlo Pes (archeologia/archaeology) committente/client Comuni di Martis, Bulzi, Laerru, Perfugas luogo/place Bulzi, Laerru, Martis, Perfugas (SS) data progetto/design date 2004 fine lavori/completion 2008 costo/cost 950.000 euro
vista prospettica della galleria-ombrario Bulzi a perspective view of Bulzi shading gallery pagina precedente: un’immagine di Bulzi previous page: an image of Bulzi
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laerru 1 ombrario-galleria espositiva all’aperto Martis/Martis outdoor shading-exhibition gallery 2 centro servizi Martis/Martis service centre 3 percorsi di visita in progetto/under design visit routs 4 percorsi di visita esistenti/existing visit routs 5 sistema di aree umide sul Rio wetland system on Rio 6 tronchi pietrificati/petrified trunks 7 aree con tronchi pietrificati/areas with petrified trunks
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Verso l’alto Andreas Wenning, Case sugli alberi
«Le cose di ogni giorno raccontano segreti a chi le sa guardare e ascoltare». «Everyday items tell secrets to those who know how to see and listen to them». Gianni Rodari
testo di/text by Fabio Rosseti foto di/photos by Alasdair Jardine
Looking up We’re talking about wood. In the words
Parliamo di legno, sì, ma come diceva Gianni Rodari in una vecchia filastrocca per bambini, «per fare
of Gianni Rodari’s old nursery rhyme: «per fare il legno ci vuole l’albero» [to make wood, you need
il legno ci vuole l’albero». Parliamo di alberi, quindi. E di architettura. E di case sugli alberi. Parlando di architettura si parla di ambiente costruito, di spazi per gli esseri umani; parlando di al-
a tree] so let’s talk about trees. And architecture. And tree-houses. When one speaks of architec-
beri si parla di ambiente naturale, di ‘polmone’ per la vita degli stessi esseri umani: si costruisce (in origine) nell’ambiente naturale e le persone vivono grazie all’ossigeno che gli alberi producono con
ture, one speaks of a constructed environment,
la fotosintesi. Un esempio da manuale di simbiosi mutualistica, se non fosse che spesso il prodotto
of a space for human beings. When one speaks of trees, one speaks of a natural environment, of
dell’architettura, l’ambiente costruito, si sviluppa a scapito degli alberi stessi. Uno dei maggiori disastri ambientali, perennemente in corso, è quello della deforestazione selvaggia, che avvenga in Amaz-
‘lungs’ for the human life: we build (in origin) in a natural environment and people live there thanks
zonia, in Africa o fra le terre di qualche progredita nazione occidentale, per fini ‘progressisti’: nuove vie di comunicazione, sfruttamento delle risorse, inurbamento.
to the oxygen produced by trees through the process of photosynthesis. A textbook example of
Di cosa vogliamo parlare allora? Parliamo di istinto, di fantasia, di gioco, di rispetto. Di case ‘sopra’ gli alberi appunto!
mutual symbiosis if it weren’t for the fact that of-
Fin dai tempi più remoti, arrampicarsi sugli alberi, viverci, poteva significare la salvezza: proteggersi
ten the product of architecture (the ‘constructed’ environment) is developed to the detriment of the
dalle belve che si aggiravano nelle foreste, ad esempio; orientarsi, guardando dall’alto lo spazio attorno; nutrirsi. Solo per rimanere nei decenni più recenti la letteratura e il cinema hanno spesso utilizzato
trees. One of the major environmental disasters, perennially in progress, is that of the savage deforestation taking place in the Amazon, in Africa
l’immagine degli alberi e della vita su di essi, per la loro immediata carica simbolica, per il ‘messaggio’ positivo che questa immagine poteva trasmettere. Chi da bambino non ha sognato o, caso fortunato, avuto una casa sull’albero, rifugio, fortino protettivo e generatore di fantasie ludiche e avventurose?
or on the land of some more advanced western countries for ‘progressive’ purposes: new routes of communication, exploiting resources and urbanization. So, what do we want to discuss here? We’re talking about instinct, imagination, play and respect. About houses up ‘in’ trees! Even in the most distant past, climbing trees or living in them could have meant salvation: protection from the wild beasts lurking in the forests for example: getting one’s bearings, observing things from above; nourishment. In more recent times, literature and cinema have often made use of the image of trees and life up in them for their immediate symbolic implication, for the positive ‘message’ that such an image can convey. Who hasn’t dreamt as a child of having a tree-house (some are even lucky enough to have had one) as a refuge or fort. In any case this structure is protective and a source of recreational and adventurous fantasies. In short, talking about ‘houses’ and about ‘trees’ seems to generate an ethical short circuit, talk-
Insomma, se parlare di ‘case’ e di ‘alberi’ sembra creare un corto circuito etico, parlare di ‘case sugli alberi’ apre, invece, orizzonti diversi. Gli aspetti tecnologici, funzionali e innovativi insiti in questi manufatti sono immediati quanto quelli evocativi. Andreas Wenning, con il suo studio Baumraum, dà vita a strutture tecnologicamente avanzate, in grado di garantire la solidità e il comfort necessario senza tuttavia ‘pesare’, realmente o metaforicamente, sulla natura circostante. Le cabine che formano i nuclei abitativi sembrano delle piccole astronavi e sono realizzate preferibilmente con una struttura lignea tamponata con pannelli di larice, che, grazie alle sue caratteristiche, offre la maggiore resistenza all’ambiente esterno. Opportuni sistemi di isolamento naturale, come i pannelli di lana o i materassini di fibre di cocco, rendono ottimale il comfort all’interno delle cabine. Ma ciò che ancora di più stupisce è la possibilità che ciò che si presenta come una sorta di gioco possa invece essere, pur nelle dimensioni ridotte, una struttura abitativa a tutti gli effetti: le cabine possono infatti essere dotate di impianti, arredate, dotate di servizi igienici. La cabina, le cui dimensioni dipendono ovviamente anche dalla robustezza e dall’altezza degli alberi utilizzati, viene prefabbricata e assemblata in officina, con tutti gli elementi richiesti: in genere le dimensioni della singola unità sono quelle di una piccola roulotte, ma più cabine possono essere unite ed interconnesse per creare strutture abitative più complesse. Il capitolo più delicato è rappresentato dalla tecnica di sospensione sull’albero. L’obiettivo è naturalmente quello di incidere il meno possibile sull’ambiente circostante e in particolare sull’albero stesso. Ecco quindi che le case sugli alberi non sono ancorate con chiodi o viti fissati alle piante, ma attraverso sistemi di cinghie tessili, tiranti e cavi d’acciaio; e se l’albero non è sufficientemente robusto i pesi sono distribuiti fra più tronchi, e se ancora non fosse abbastanza si utilizzeranno dei sostegni, dei pali, in legno o acciaio. Perché alla fine ciò che è importante non è tanto il fatto di come questo sogno stia in piedi ma il fatto che sia possibile!
Froschkönig, Monaco, Germania, 2009 committente una coppia architetto baumraum – Andreas Wenning opening page: Froschkönig, Monaco, Germany, 2009 client a couple architect baumraum – Andreas Wenning
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Froschkönig, Monaco, Germania, 2009 interno/interior
ing about ‘houses up in trees’, on the other hand, opens up different horizons. The technological, functional and innovative aspects inherent in these works are immediate as are the evocative aspects. Andreas Wenning brings technologically advanced structures to life in his Baumraum studio that are capable of guaranteeing the necessary sturdiness and comfort without ‘weighing upon’ (figuratively and literally) their surrounding nature. The cabins forming the living quarters look like little spaceships and are preferably made of wood plugged with larch panels which, thanks to the characteristics of this wood, offers more resistance against the outside environment. Appropriate natural insulation systems such as wool (panel-boards) or coconut fiber (mattress-boards) insulation optimize comfort inside the cabin. What is even more astounding is the fact that what could be presented as a kind of game can actually become a bona fide, albeit small, dwelling: the cabins can feature
wiring, furniture and toilet blocks. The dimensions of the cabins (obviously) depend upon the sturdiness and height of the trees used. They are prefabricated and assembled in the workshop, with all requested elements: generally, the dimensions of a single unit are those of a small trailer, but several cabins can be united and interconnected to form more complex dwellings. The most delicate chapter is that involving the suspension technique of the tree-house. Naturally, the goal is that of weighing upon the surrounding environment and on the tree itself (in particular) as little as possible. Therefore, tree-houses are not nailed or screwed into the plants. As an alternative, systems of textile straps, ropes and steel cables are used and if the tree is not robust enough, the weights are distributed between several trunks. If it is still not robust enough, wood or steel supports (or poles) are adopted. After all, it doesn’t really matter how this dream gets on its feet. What really matters is the fact that it is made possible.
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in questa pagina: Tra una magnolia e un pino, Osnabrück, Germania, 2007 committente una famiglia con bambini adulti e nipoti architetto baumraum – Andreas Wenning in this page: Between magnolia and pine, Osnabrück, Germany, 2007 client a family with adult children and grandchildren architect baumraum – Andreas Wenning pagine seguenti: Casa sull’albero Djuren, Groß Ippener, Germania, 2008 committente una famiglia con bambini architetto baumraum – Andreas Wenning following pages: Treehouse Djuren, Groß Ippener, Germany, 2008 client a family with children architect baumraum – Andreas Wenning
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Il legno in un’altra forma Giorgio Volpe, Residenze a basso consumo energetico
testo di/text by
Pierpaolo Rapanà
e/and Silvia Scarponi foto di/photos by Luca Cioci
Wood in another form A project of construction
Un progetto di trasformazione edilizia nel cuore di Bologna, a due passi da Porta San Felice, in un
transformation in the heart of Bologna, a stone’s
contesto abitativo denso e con una forte tradizione costruttiva in muratura, dà vita ad un complesso residenziale a basso consumo energetico costruito con la tecnologia del legno. Il costruire in legno non è qui
throw from Porta San Felice in a dense residential context with a strong tradition of brick, that is bringing a residential complex into being that fea-
da intendere come imperativo estetico, ma piuttosto come tentativo di definire un prototipo alternativo al costruire in muratura, applicabile anche in un contesto di ristrutturazione edilizia in pieno centro.
tures low energy consumption built with the tech-
Un magazzino delle poste, nato come stabilimento Ford nel 1963, è stato così trasformato in un
nology of wood. Building in wood in this case, is
edificio di 24 appartamenti che si articolano attorno a due nuove corti aperte verso sud. Frutto della progettazione dell’architetto bolognese Giorgio Volpe e dell’ampia equipe di professionisti che ne han-
not to be intended as an aesthetic imperative but rather as an attempt to define an alternative prototype to brick and stonework construction that can also be applied in a context of re-construction in the heart of the city. A postal service warehouse, originally a Ford plant built in 1963 has been transformed into a 24-flat building split around two new courtyards open towards the south, the result of a design by Bologna native architect Giorgio Volpe and a large squad of professionals who integrated skill and professionalism with an enlightened entrepreneur. The complex is made completely out of wood with the exception of the flooring on the ground floor and the basement in reinforced concrete, used as garage space. The elevated structure as well as its roof is made out of pre-fabricated supporting panels that are composed of a wooden beam framework in sections 16x8 cm at a 62.5 cm distance. Flooring was made with X-LAM wooden panels. Wood and pre-fabrication together produced a box-shaped play of juxtaposed and intersecting volumes. Measured overhangs and recesses to create a line of shade over the courtyard access or to wedge a winding staircase along the façade. The roof traces the sheds of the former plant, taking full advantage of the southward facing inclination to integrate solar panels in the same way in which the broad arches hollowed into the outer walls maintain the historic memory of the original design on via Podgora. The project is unusually bold in its chromatic and material contrasts, for the use of white lime plaster on the volumes applied on the original outer walls covered with dark brown Klinker tiles.
dettaglio della scala a chiocciola in facciata su via Podgora/detail of the winding staircase along the façade on via Podgora
no integrato competenze e professionalità grazie a un imprenditore illuminato. Fatta eccezione per il solaio al piano terra e il piano interrato in cemento armato, adibito ad autorimessa, il complesso è interamente realizzato in legno. La struttura in elevazione, così come la copertura, è in pannelli portanti prefabbricati, composti da un sistema a telaio in travetti di legno di sezione 16x8 cm con passo di 62,5 cm. I solai sono realizzati con pannelli di legno X-LAM. Legno e prefabbricazione, insieme, hanno prodotto un gioco scatolare di volumi giustapposti e intersecanti. Aggetti e rientranze di misura, per creare una linea d’ombra sull’accesso al cortile o per incassare una scala a chiocciola in facciata. Così. come le ampie arcate scavate nella muratura perimetrale permangono a memoria storica del prospetto originario su via Podgora. anche la copertura ricalca gli shed della vecchia fabbrica, sfruttando l’inclinazione rivolta a sud per integrare i pannelli solari. Il progetto è insolitamente audace nei contrasti cromatici e materici, per l’uso dell’intonaco a calce bianca sui volumi addossati all’originaria muratura perimetrale rivestita in mattonelle di klinker marrone scuro. L’articolazione razionale del percorso promenade attraverso l’edificio permette di raggiungere le diverse tipologie edilizie disposte attorno alle corti interne. Al piano terra, monolocali e bilocali, al piano primo, tipologie edilizie con doppi volumi e scale aperte nelle zone giorno, dove la luce proviene dall’alto illuminando le pareti; le camere da letto al piano superiore sono prismi sagomati in modo originale, combinazione della silhouette preesistente e delle nuove partizioni. La soluzione compositiva del fabbricato è legata allo studio della luce per un comfort, non solo climatico, di ogni singola abitazione. Ampie vetrate sui cortili interni, come sugli angoli dei volumi in aggetto, sono pensate per vedute trasversali e per guadagnare fughe prospettiche allungate evitando un pericoloso senso di chiusura. L’utilizzo consapevole del legno, materia prima dall’ecobilancio favorevole, è valso all’edificio la classe A nella scala Casaclima per l’efficienza dell’involucro (24,7 kwh/mqA). L’integrazione con un sistema di impianti che sfruttano energia rinnovabile permette di raggiungere un fabbisogno annuo di energia primaria per la climatizzazione invernale di 14 kwh/mqA (esclusa la produzione di acqua calda sanitaria) che con l’impianto a regime rilascia in atmosfera emissioni zero di CO2. L’efficienza dell’impianto geotermico (15 sonde da 100 metri) e dei pannelli solari termici che soddisfano il 66% del fabbisogno di acqua sanitaria, contribuisce ad abbassare l’esigenza di energia primaria portando così il consumo complessivo dei 24 appartamenti pari a quello di 5 unità di edilizia tradizionale. Un progetto di liberazione che, indifferente al carattere popolare degli edifici circostanti e ai condizionamenti ambientali dei nostri centri storici, sviluppa una stereometria indipendente, disegna grandi aperture e incastri volumetrici insoliti, rinuncia ai dogmi del mattone e della serialità, contribuendo a riaprire i nostri centri storici al nuovo – tipologico, tecnologico, estetico, energetico.
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nome progetto/project name Residenze a basso consumo energetico/Low-energy housing progetto/design Giorgio Volpe con/with Mauro Rossaro, Massimiliano Vanella, Holtz & Co (progetto esecutivo/excecutive project) strutture/structure Mauro Croce, Massimo Talloni impianti/systems Andreas Fischer, Norbert Klammsteiner opere in legno/wood works Klammsteiner Holz & Co s.r.l, Novaponente committente/client Palatesta S.r.l, Alberto Barberini luogo/place Bologna, Italia data progetto/design date 2008 fine lavori/completion 2010
The rational division of the promenade through the building acts as access to the various construction typologies surrounding the inner courts. On the ground floor there are one-room and two-room flats. On the first floor there are double volumes and open stairs in the day area where the light arrives from above, illuminating the walls; bedrooms on the upper level are prisms that have been out-
lined in an original manner, a combination of the pre-existing frame and the new partitions. The composite solution of the building is tied to the study of light for a comfort that is not only climatic for every single flat. Wide sheets of glass in the inner courts and the corners of those overhanging volumes were created for transversal views and to earn elongated visual space in order to avoid a dangerous sense of being closed-in. The skilful use of wood, the primary material of a favourable eco-balance earned the building a Class A in the Casaclima chart for the efficiency of its covering (24.7 kwh/mqA), the integration with a wiring system that takes full advantade of renewable energy enables an annual requirement of primary energy for winter heating equivalent to 14 kwh/mqA (excluding the production of sanitary hot water) that when the system of fully operative it leaves zero CO2 emissions into the environment. The efficiency of the geothermal system (15 100-metre drills) and thermal solar panels that satisfy 66% of sanitary water needs contribute to lowering the demand for primary energy bringing the overall consumption of the 24 flats equivalent to that of 5 traditional residential units. A project of liberation which, aside from the popular character of the surrounding buildings and environmental conditions of our old town centres, develops its own stereometry, designing openings and unusual volumetric wedges, forsaking the dogma of brick, of buildings made in series and contributes to re-opening our old town centres to what is new: typology, technology, aesthetics and energy.
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pianta piano terra/ground floor plan
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sotto: dettaglio della copertura below: detail of the roofing pagina precedente: vista di una delle corti con gli shed/previous page: view of one of the courts with the sheds
sezione aa/section aa
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ECOCENTRICO forma e linguaggio nell’era ecologica/form and language in the ecological era a cura di/edited by Pierpaolo Rapanà
NP = non profit organization FP = for profit organization J.P.A. = John Peterson Architects
Silvia Scarponi
intervista/interviews John Peterson a cura di/edited by Pierpaolo Rapanà
Silvia Scarponi Lei è il fondatore di Public Architecture, un’organizzazione no-profit che mette a disposizione del bene comune le risorse proprie dell’architettura. Rispetto ad uno studio privato, quali sono le difficoltà e i vantaggi dell’essere un’organizzazione di questo tipo, in particolare in un periodo di recessione economica come quello che stiamo vivendo? John Peterson Credo che la recessione sia stata di aiuto sotto diversi aspetti per Public Architecture (PA) e per il tipo di lavoro che stiamo facendo. è sicuramente più difficile trovare fondi, ma in molti casi è stata una cosa positiva. Come organizzazione no-profit, PA non ha un proprietario specifico, come, ad esempio, il mio studio professionale, ma è controllata da un consiglio di amministrazione. Inoltre le organizzazioni NP devono realizzare uno specifico obiettivo e comportarsi secondo le normative federali. Ogni componente dello staff deve rispondere al consiglio di amministrazione. La differenza sostanziale è nel modo in cui il resto del mondo ti percepisce. Comunemente, la gente pensa ad una organizzazione NP come non autoreferenziale; questo permette di costruire relazioni di supporto e partnership che non sarebbero possibili per uno studio professionale. Naturalmente la differenza più significativa sta nel fatto che una NP può offrire la deducibilità fiscale per chi dona contributi economici. Noi raccogliamo circa il 60-70% dei nostri fondi attraverso delle donazioni benefiche, mentre il resto si guadagna offrendo servizi di architettura ad altre organizzazioni no-profit. SS La vostra idea è di fornire servizi di progettazione ai più alti livelli a favore del bene pubblico. Chi sono i vostri committenti?
JP Il ‘cliente’ è la comunità. Noi cerchiamo di creare quartieri migliori e rafforzare le popolazioni. E quindi, in un certo senso, il nostro cliente è un gruppo abbastanza ampio di persone che non incontriamo quasi mai. In altri casi, come per il Day Labor Station, i clienti sono identificabili, ma non sono clienti ‘tipici’ perché non hanno la disponibilità economica per rivolgersi ai progettisti. In molti casi simili il cliente non immagina nemmeno di poter usufruire dei servizi di un progettista: non hanno i mezzi economici e quindi non hanno l’interesse a rivolgersi a degli architetti. Noi mostriamo soluzioni a problemi che altri non avevano individuato prima, e questo per noi significa, in molti casi, generare il nostro lavoro: il lavoro non esiste fino a quando noi non lo identifichiamo. In questo modo, non solo risolviamo problemi che non verrebbero considerati ma creiamo anche un’economia prima inesistente. SS Quale è la visione di Public Architecture? JP Il nostro obiettivo viene costantemente aggiornato e messo a punto. Semplificando, stiamo indirizzando la professione del progettista verso nuovi modelli, utili alle popolazioni bisognose. L’attività pro bono è uno di questi modelli. Un altro modello è lo sviluppo di progetti da parte dei professionisti per apportare cambiamenti, soprattutto nelle comunità sottosviluppate. SS Qual è la differenza fra PA e altre organizzazioni no-profit e cosa è che vi contraddistingue? JP Ciò che ci contraddistingue è che noi riusciamo a lavorare con e all’interno degli standard di attività degli studi professionali. Il lavoro di molte altre organizzazioni rappresenta un’alternativa alla consueta attività degli studi professionali. Noi invece lavoriamo all’interno di questa attività, perché quello che facciamo è cercare di muovere qualcosa più grande di noi. Ci interessa la dimensione dell’impatto della nostra attività: se facessimo solo ciò che possiamo fare da soli, progettare, costruire o negoziare, l’impatto sarebbe limitato alla quantità di persone che possiamo usare. Ma se tentiamo di muovere l’intera professione verso un meccanismo che rende possibile lavorare per comunità sottosviluppate, otteniamo un maggiore impatto. Questo è unico! Credo che nessun altro stia veramente tentando di fare ciò che facciamo noi. SS Come definisce la ‘sostenibilità’ nell’architettura? JP Efficienza energetica e piena consapevolezza delle problematiche ambientali sono importanti e rappresentano la gran parte della sostenibilità. Tuttavia se non riusciamo a far sì che pannelli solari, trasporti pubblici, alta efficienza degli edifici, facciano parte della nostra cultura e delle nostre aspettative, tutti gli sforzi saranno vani. Dobbiamo soddisfare questi come gli altri bisogni, come la giustizia sociale, la crescita personale o il desiderio di vivere una vita prospera. Se non riusciamo a capire che dobbiamo fare in modo che il rispetto dell’ambiente vada di pari passo con tutti gli altri aspetti importanti della vita, non riusciremo sopravvivere. Per questo, mentre ogni progetto che realizziamo è sostenibile da un punto di vista ambientale, il focus del nostro lavoro è principalmente sulla parte sociale del concetto di sostenibilità. Siamo interessati alla condizione umana, alla sfida dei cambiamenti culturali, all’immigrazione clandestina o al riuso di ciò che gettiamo via. Ci interessa bilanciare la sostenibilità ambientale con quella sociale. SS ScrapHouse è stata un esempio di progettazione del riuso, una casa realizzata con materiali di recupero. è stata solo una sfida oppure ritiene che il riuso, invece del riciclo, sia uno scopo che un architetto deve perseguire? JP Non si è trattato di architettura ma di teatro. Non intendevamo tanto realizzare un edificio, quanto un’architettura in grado di trasmettere un messaggio. Abbiamo dato forma di edificio ad una idea, cambiare la scala di valori di ciò che gettiamo via. Era una semplice proposta, tanto che l’idea del progetto era di un filmmaker ed a noi fu chiesto di trasformare questo concetto. L’idea originale del regista era quella di realizzare una casa che sembrasse il più pos-
Concorsi non sostenibili
sibile una ‘casa’ non realizzata con materiali di risulta. Tuttavia non volevamo fare qualcosa che fosse
materiale e mano d’opera, di meno di 1.000 dollari. La sola costruzione richiese 2 settimane, una per le lavorazioni fuori opera ed una per quelle in opera. Fu realizzata solo per 4 giorni, durante i quali la visitarono 10.000 persone. A causa dei tempi molto ristretti, in molti casi abbiamo dovuto progettare con materiali che non sapevamo se avremmo potuto trovare in tempo. In altri casi trovavamo materiali che dovevamo scoprire come usare. Non potevamo contare sul consueto processo sequenziale dall’idea al progetto all’esecutivo. Se considerassimo l’architettura come musica classica, potremmo dire che noi componiamo un’opera che chiediamo ad altri di eseguire. L’appaltatore interpreta la ‘melodia’ che noi abbiamo creato, ma il processo che ha portato alla creazione di ScrapHouse, specie per i numerosi progettisti coinvolti nell’opera, è più simile al free jazz, fatto di improvvisazione. Noi prendevamo decisioni sulla base di ciò che vedevamo, via via che l’edificio veniva costruito. Tutto era in tempo reale, un processo creativo molto interessante.
Unsostainable competitions
già stato fatto. Il nostro obiettivo era quello di fare qualcosa di più provocatorio che utilizzare il legno del rivestimento! L’intero progetto fu realizzato in 6 settimane, con 150 volontari ed un costo, per
SS Lei sta lavorando ad un libro su i materiali di recupero. Ci può parlare di questa nuova esperienza? JP Probabilmente non sarà un libro tradizionale. Sarà un testo che aiuterà i progettisti e gli appaltatori ad includere più facilmente materiali di recupero nei loro lavori. Ci sono diverse difficoltà che devono essere affrontate, quando si fa un’operazione di questo tipo, come, ad esempio, gli elementi potenzialmente tossici che si possono trovare, oppure lo stoccaggio del materiale prima di iniziare la costruzione. Ci sono poi diverse situazioni che cerchiamo di affrontare. La produzione di rifiuti durante la costruzione è un problema rilevante: il 40% di tutte le risorse della Terra è impiegato nelle costruzioni; l’America conferisce in discariche più di 40 milioni di tonnellate di rifiuti e detriti derivanti dall’edilizia, ogni anno, e circa l’80% di questo materiale potrebbe essere riutilizzato ma non viene fatto. Quindi, anche se abbiamo un modesto impatto sulla percentuale di materiale di recupero che i progettisti americani utilizzano, l’impatto sulla quantità di rifiuti prodotti e mandati in discarica è molto maggiore.
SS What do you think about competitions? JP The returned on investment is terrible. it really sets a low standard for the value of a designer’s time. The message that competitions send is that in order to get one good idea you need 500 architects , I don’t think that’s true, If you just look at the math associated with competitions; in the USA a competition can get as much as 1,000 entries. We can assume that each entry is the equivalent of three people working fulltime for one. So if we say: 1 month x 40 hours/week = 160 hours 148 a person 160 h x 3 people = 480 hours 480 h x 1,000 entries = 480,000 hours a typical working year is 2,000 hours149 so 480,000 hours / 200 hours = 240 years working full time for one competitions if someone in their career works 50 years, that’s almost 5 people working all their life full time for one competition solution. It’s crazy. I can think of a lot of better uses for 5 careers than a single winning competition entry that may never be built. I recently heard Frank Duffy, one of the founders of DEGW, say, «architects are like puppies just waiting for someone to rub their bellies, while still maintaining a sense arrogance».
centro impiego employment center
SS Che cosa avrebbe fatto se non fosse diventato architetto? JP C’è una quantità infinita di cose interessanti da fare, ma penso che avrei fatto il regista.
© Rendering by Francesco Fanfani for Public Architecture
Day Labor Station, Los Angeles, vista dal giardino della comunità/Day Labor Station, Los Angeles, view from Community Garden schizzo e sezione longitudinale del progetto Urban Forest per la New World Plaza di Beijing, Cina (2008)/sketch and section of the Urban Forest project for the New World plaza in Beijing, China (2008)
spazio per riunioni meeting space
spazio lezioni classroom
© ISOCHROM.com, Vienna
Day Labor Station, schema degli elementi Day Labor Station, component diagram
SS Che cosa pensa dei concorsi? JP Il ritorno dell’investimento è terribile, perché è una delle cose che dà un valore molto basso al tempo di un progettista. Il messaggio che un concorso comunica è che per ottenere una buona idea hai bisogno di 500 architetti. Non penso che sia vero, soprattutto se si pensa alle statistiche che possiamo associare ai concorsi. In America un concorso può avere fino a 1.000 partecipanti; se consideriamo che ogni progetto partecipante è l’equivalente del lavoro di 3 persone a tempo pieno per un mese, il risultato è il seguente: 1 mese x 40ore/settimana = 160 ore/persona 160 h x 3 persone = 480 ore 480 h x 1000 partecipanti = 480.000 ore Un tipico anno lavorativo è composto da 2.000 ore, quindi: 480.000 h / 2.000 h = 240 anni di lavoro a tempo pieno per un concorso. Se un progettista lavora, nella sua carriera, per 50 anni, ciò significa quasi 5 persone che lavorano per tutta la loro vita lavorativa, a tempo pieno, per la soluzione di un concorso. è folle! Penso che si possano utilizzare molto meglio le carriere di 5 progettisti, che non per una singola opera che forse non sarà mai realizzata! Recentemente ho sentito Frank Duffy, uno dei fondatori di DEGW (ndr società di consulenza strategica), dire: «gli architetti sono come cuccioli in attesa di qualcuno che li coccoli, che mantengono, però, una certa arroganza».
Dalian International 1% program Conference Center
SS Che cosa è il ‘Programma 1%’? Per questo pensammo di occuparci di questo JP E’ iniziato dopo che creammo PA. L’idea problema, con una semplice idea: ogni originale dietro a PA era quella di mettere in progettista, nel paese, poteva ‘donare’ almeno I sistemi tecnici del Centro conferenze grado gli architetti di lavorare nelle comunità in l’1% del proprio tempo per attività pro bono, internazionale a Dalian, Cina, rispondono alle maniera non convenzionale, in modo da porsi e avremmo usato questo come un mezzo per esigenze di spazio dell’edificio on modo automatico, non solo come risolutori di problemi ma anche spingere le società a pensare in modo diverso, invisibile e silenzioso, funzionando come una città come individuatori dei problemi. Questo perché spingendole a svolgere questo tipo di attività in ibrida in un solo edificio/The technical systems pensavamo che la nostra professione, nel suo maniera continuativa e sistematica. Ogni anno of The Dalian International Conference Centre complesso, non stesse facendo un buon lavoro chiediamo a diverse società di prendere parte in Dalian, China, fulfil the tasks required for the in questa direzione. Se i progettisti aspettano al programma ed in 5 anni siamo arrivati a spatial use semplicemente che qualcuno li chiami al coinvolgerne 700. of the building automatically, invisibly and silently, telefono per porre loro i problemi da risolvere, working like a hybrid city within a building molti di questi problemi rimarranno irrisolti. SS What’s the 1% program? Questa fu l’idea originale dietro alla nostra JPIt started after we created PA. The original organizzazione. Una volta che iniziammo idea behind PA was to put architects in this a fare questo tipo di lavoro ed iniziammo a role of working in communities in a non coinvolgere altre società, ci rendemmo conto conventional way so we’re acting not only as che c’è, in generale, un sostegno quasi irrisorio a problem solver but as a problem identifier per le società che svolgono attività pro bono which we thought the profession as a whole o prestano servizi pubblici non convenzionali. was not doing a very good job of.
If designers are simply waiting for phone to ring in order for somebody to give them a problem to solve, many problems in our communities will continue to go unaddressed. That was the original thought behind the organization. Once we started doing that work, and we started engaging other firms to do that kind of work, we realized there’s a very little support for firms to do pro bono work or unconventional public service work. And so we thought maybe we could address this problem. So we came up from a very simple idea that every designer in the country can give a minimum of 1% of their time toward pro bono service and we would use that as a vehicle to start firms thinking in a different way. and to start firms routinely and systematically doing pro bono work. Every single year we ask firms to be part of the program and it is grown over the last 5 years up to 700 firms.
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Silvia Scarponi You are the founder of Public Architecture, a non-profit organization that puts resources of architecture in the service of public good. Compared to a private practice, what are the challenges and the advantages of being a non-profit organization, particularly in an economic downturn like the one we are facing? John Peterson I think for PA and the kind of work we are doing, the recession has helped us in many ways, it is much more difficult to raise money which is a big deal, but in many other ways it has been positive. The NP also is not owned by anyone like my FP practice is; a board of directors controls it. I can take my FP practice in any direction I want to, while the NP is required to fulfill a mission and behave according to Federal regulations. Everyone on staff is required to meet the expectation of the board of directors. The difference is in the way you are perceived by the rest of the world. Generally speaking, people perceive a NP as not being self-motivated. This allows the NP to build relationships with supports and partners that may not otherwise be possible for a FP. Of course the most significant difference is that a NP has the ability to offer tax deductions for financial gifts. We raise about 60 or 70% of our funding though charitable gifts and the remainder is earned by providing architectural services to other NP organizations. SS Your idea is to provide the highest levels of design excellence in service of the public good. Who is your client? JP The client is the larger community. We are trying to create better neighborhoods and stronger populations. So our client, in one aspect, is a very broad group of people, many of whom we may never meet. In other cases, like the Day Labor Station, those clients are identifiable, but they don’t meet the typical client profile because they don’t have the kind of financial resources to hire designers. In many of these cases, the client hasn’t even conceived the possibility that they could benefit from the services of a designer. So they don’t have the means and they don’t have even the interest in hiring architects. We show solutions to problems that others had not seen before so we try in many cases to generate our own work: the work doesn’t exist until we identify it. Not only are we resolving problems, which are going unaddressed, but also we are creating an economy where it doesn’t exist. SS What’s Public Architecture’s vision? JP Our mission is continually being very carefully and delicately modified as we grow. The simple way to look at this is we’re moving the design professions towards new models for serving populations that are in need that have not historically had the financial resources to hire designers. So pro bono is one of those models. The other model is developing projects that are generated by design professionals them selfs and so we are using the design profession as a tool to create change particularly in those underserved communities, that’s really what we do every day. SS What’s the difference between PA and other NP organization and what’s unique about you? JP One thing that differentiates us is work with and within the standard practice of the profession. The work of many other organizations is an alternative to the conventional practice. We work inside conventional practice and the reason why we choose that, is because everything that we do is trying to move something much bigger than us. We are interested in the scale of impact, so if we only did what we alone can do, what we can design, what we can build, what we can negotiate, the impact is limited to the capacity of the number of people we can hire. But if we can move the entire profession towards a kind of mechanism that facilitates work for undeserved communities, we can have a much bigger impact. That’s unique; I don’t think anybody else is really trying to do this in our profession. SS How do you define sustainability in the architectural field? JP Energy efficiency, and environmentally conscious decision making is great and is very much a part of sustainability; however, if as a culture we don’t find ways to make solar panels, public transportation, and efficient building systems fit within our cultural expectations – happiness and beauty and delight and intellectual satisfaction – these efforts will all fail. We have to satisfy all this as well as the other needs we have, like social justice and personal growth and the desire to live a prosperous life. If we can’t figure out the way to make environmental sensitive decisions work with all the other important aspects of the life, they will not survive. So while every project we do is environmentally sustainable, the focus of our work is primarily on the socially sustainable aspect of sustainability. We are interested in the human condition; how to deal with the challenges of our culture, whether it happens to be illegal immigrants or how we get delight and satisfaction out of the reuse of things that we throw away. We are interested in the balance of both social and environmental sustainability. SS ScrapHouse was a reuse design initiative, a house made out of salvaged material. Was it just a challenge or do you think that reuse instead of recycle is something other architects should follow? JP Instead of architecture, it was a piece of theatre It wasn’t meant to be a building really. It was architecture to be used to deliver a message or as a piece of communication, we were acting out an idea in the form of building and the idea was to change the way we value what we throw away. It was that simple proposal and as you probably know the project was actually the idea of a filmmaker and we were approached to bring that concept into reality. The original conception of the filmmaker was to make a house that looked very much like a house that was not made out of salvaged material. However, we didn’t want to use anything as it had been used before.
pompe antincendio rivestono una parete interna/salvaged fire hose as interior wall covering
© TBD
© TBD
© TBD segnali stradali e lastre di zinco come rivestimento esterno/road signs and zinc sheet metal scraps as exterior cladding
vecchi elenchi telefonici usati come parete interna assicurano isolamento e abbattimento acustico/old phonebooks as interior wall provide insulation and sound dampening
Our job was to do something more provocative than take wood siding from one house and use it in the same way on our house. As you also know that entire project was done in 6 weeks, the project had 150 volunteers working on the project and the material and labor costs were less than $1,000. The actual construction was a two-week process, one week for off site and one week onsite. It was only up for 4 days and there were 10 thousand visitors. Because of Scrap House’s extremely short schedule, in many cases we had to design with materials that we didn’t know we could find in time. In other cases we were finding materials that we had to discover a use for. We couldn’t rely on the normal process of going from conceptual design to construction documents so we had to be much more improvisational. You might say that architecture is like classical music, we write a musical score and than we ask somebody else to perform it, the contractor interprets the music we created, but the process for Scrap House, particularly because there were several designers involved in creating it, was much more like free jazz, much more improvisational. We were making decisions based on what we were seeing as the building was being constructed. Everything was in real time. It’s an interesting way to create. SS You are working on a book about salvage materials. Can you talk about this new work? JP It likely will not be a traditional book. It will be a document to help designers and contractors more easily incorporate salvaged materials in their work. There are some very difficult problems that professions face when trying to use salvaged material includes things like the potential toxic elements in salvaged material. Where do you store the salvaged material after you identify it, before your construction begins? So there are a lot of challenges we are trying to address. Construction waste is a significant problem: the 40% of all the earth’s resources goes into the construction of buildings, the USA puts 40.000.000 tons of construction waste into landfills every year and something like 80% of that material can be reused but is not. So, even if we can have a small impact on the percentage of salvage material that US designer’s use, that would be a huge impact on the amount of waste that go into the world’s landfills.
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© TBD
SS What would you do if you weren’t an architect? JP There is an endless number of interesting things to do, but I think filmmaking could be fulfilling.
[sul comodino]
[sul comodino]
[sul comodino]
Donald Richie Sull’estetica giapponese
Barbara Isenberg Conversazioni con Frank Gehry
Riccardo Dalisi Decrescita. Architettura
Nikos A. Salingaros No alle archistar.
Lindau, Torino, 2009 Sejima alla Biennale di Venezia riporta l’attenzione sull’influenza dell’estetica giapponese nella produzione mondiale. Ma
Mondadori, Milano, 2010 è il progettista dell’opera moderna più conosciuta al mondo, ma è anche tra i meno studiati, la frase «Gehry può fare qualsiasi cosa»
della nuova innocenza Corraini, Mantova, 2009 Con le crisi le teorie alternative tendono, se non ad una maggiore incisività, almeno a una certa
Il manifesto contro le avanguardie Libreria Ed. Fiorentina, Firenze, 2009 è l’ultimo testo di Salingaros, avversario dell’architettura iconica. Alcune sue obiezioni
la distanza tra la sensibilità occidentale e orientale è ancora notevole, e questo libro (breve,
liquida ogni approfondimento sul suo metodo. Al di là dell’utilizzo del mitico Catia e dell’ossessione
notorietà. Sulla scia delle ricerche di Latouche sulla decrescita, di Panikkar sulla nuova innocenza
sono convincenti, non invece le soluzioni. Per avere un’idea della sua distanza dalle archistar basta
denso, puntuale) è utile per capirla. Chiarisce come in Giappone le categorie logiche occidentali per la bellezza siano inutilizzabili, si deve abbandonarle
per il pesce, è solo tramite l’utilizzo massiccio di plastici che concepisce la tensione dei suoi spazi. Gli ingredienti della sua ricetta progettuale sono
e di Godbout sullo spirito del dono, Dalisi supera l’approccio ecologico-sostenibile per produrre una critica radicale: una nuova poetica nata dall’attenzione alla
contrapporre il suo progetto per la piazza a Doha con quello di Gehry per Abu Dhabi: analoga ispirazione (l’architettura araba) diversa soluzione. Poiché
per una comprensione intuitivopercettiva, guidati dalla sensibilità. Grazia, incertezza, semplicità,
semplici: l’edificio come villaggio, gli ambienti ad un solo vano, l’attenzione alla luce e ai materiali.
natura e alla vita comunitaria per uscire dall’ottica dell’efficienza. Seguendo l’esempio di
Salingaros lamenta l’ostracismo verso il suo pensiero è preferibile leggerlo: potrete trovare un nuovo
irregolarità, caducità sono gli elementi che ci creano questo fascinoso spaesamento sensoriale la cui distanza è intuibile
E per chi volesse sostituirsi al cuoco è utile un ultimo monito: l’architettura è il gioco fra gli spazi.
Hundertwaser, mitico precursore, propone un nuovo indirizzo progettuale per una svolta sociale radicale attraverso l’innocente
guru o sapere come contraddirlo; in ogni caso non lo si deve trasformare in ciò che non è, un genio incompreso messo
sensibilità del bambino.
a tacere dalla casta dei critici.
ma non colmabile.
[on the nightsand] [optional lectures] Donald Richie Sull’estetica giapponese Lindau, Turin, 2009 Sejima is bringing the focus back upon the influence of Japanese aesthetics on world production at the Biennial in Venice. The distance between Western and Eastern sensitivity is still considerable, and this book (brief, dense, prompt) is useful in understanding this distance. It clarifies how Western logical categories of beauty are useless in Japan, how they must be abandoned in order to attain an intuitive-perceptive understanding, guided by sensitivity. Grace, uncertainty, simplicity, irregularity and ephemerality are the elements that create this fascinating sensorial disorientation whose distance can be perceived but not bridged.
Barbara Isenberg Conversazioni con Frank Gehry Mondadori, Milan, 2010 He is the protagonist of the world’s best known modern work, but also one of the least studied. The phrase «Gehry can do anything» liquidates any further investigation of his method. Aside from the use of the legendary Catia and his obsession for fish, the only way to perceive the tension of his spaces is through the massive use of plastics. The ingredients of his project recipe are simple: the building as a village, a single room dwelling, attention to light and materials. For those who would like to be chef, this final warning may come in handy: architecture is a game between spaces.
© Riccardo Dalisi. Courtesy Corraini Ed.
[letture facoltative]
[on the nightstand] Riccardo Dalisi Decrescita. Architettura della nuova innocenza Corraini, Mantova, 2009 In times of crisis, alternative theories tend towards certain notoriety, if not major incisiveness. Dalisi surpasses the ecosustainable approach to produce a radical critique, along the same lines as Latouche’s research concerning decline or Panikkar’s new innocence and Godbout’s spirit of giving: new poetics resulting from attention to nature and community life to exit from optical efficiency. Following the example set by Hundertwaser, legendary precursor, he proposes a new project destination for a radical social turnaround through the innocent sensitivity of a child.
[on the nighstand] Nikos A. Salingaros No alle archistar. Il manifesto contro le avanguardie Libreria Ed. Fiorentina, Florence, 2009 This is Salingaros’ latest text, the adversary of iconic architecture. Some of his objections are convincing, but not his solutions. To get an idea of his distance from archistars, all one has to do is compare his design for the square in Doha with that by Gehry for Abu Dhabi: same inspiration (Arab architecture), different solution. Since Salingaros complains about ostracism towards his philosophy, it would be preferable to read it: you could find a new guru or learn how to contradict him; in any case, he cannot be transformed into something he is not, a misunderstood genius who has been silenced by the caste of critics.
Random [05]
a cura di/edited by Diego Barbarelli
[sul comodino]
[ricreazione]
[cose nostre]
Ascension Hernandez Martinez La clonazione architettonica
Alfredo Accanito Il dizionario degli eventi
Orazio La Monaca – Opere e progetti Edilstampa, Roma, 2010
Jaca Book, Milano, 2010 La copia è un concetto tipico del design e antitetico all’architettura, ma se l’ultima tendenza delle edizioni limitate mette in crisi
Cooper, Roma, 2009 L’evento è la parola chiave del mondo culturale contemporaneo e la professione di organizzatore di eventi è la
Sensibilità per la materia e attenzione ai colori contraddistinguono l’opera di La Monaca alla ricerca di un’originale sintesi tra la scuola
questa equivalenza non sorprende come la ricerca della Martinez evidenzi che negli ultimi decenni
nuova figura imprescindibile. Una guida per comprenderne modalità e linguaggio.
iberica e la lezione di Culotta per una mediterraneità di stampo siciliano.
[recreation]
[around here]
Alfredo Accanito Il dizionario degli eventi
Orazio La Monaca – Opere e progetti Edilstampa, Rome, 2010
Cooper, Rome, 2009 ‘Event’ is the key word in the contemporary cultural world and the profession of event organiser is the inevitable new figure.
Sensitivity for material and attention to colour distinguishes the work of La Monaca in his pursuit of an original synthesis between the Iberian school and
A guide to understanding modality and expressive language.
Culotta’s lesson for a sense of the Mediterranean with a Sicilian flair.
[letture facoltative]
[sul comodino]
Massimo Carboni (a cura di) Divenire di Gillo Dorfles Castelvecchi, Roma, 2010 Un omaggio all’opera di Dorfles
Rem Koolhaas Singapore Songlines – Ritratto di una metropoli Potemkin… o trent’anni di tabula rasa
ne testimonia la vastità, l’acume e l’importanza. Ma non si ferma qui il merito dell’editore Castelvecchi: dopo aver pubblicato l’ultima raccolta di saggi Horror
Quodlibet, Macerata, 2010 Per la prima volta viene pubblicato, come volume autonomo, il testo tratto da S,M,L,XL. A 15 anni di distanza e nella sua nuova
pleni sta riproponendo alcune sue precedenti opere oramai introvabili. Da qui emerge la freschezza,
collocazione è l’occasione per Koolhaas per rianalizzare la ricerca individuandone le previsione errate
l’attualità e la lungimiranza del pensiero di Dorfles.
e proponendo una nuova chiave di lettura che chiama direttamente in causa il mondo occidentale: Singapore come quintessenza della progettualità umana.
il fenomeno della clonazione architettonica sia non trascurabile. Concentrandosi più sulle motivazioni che sugli esempi, tra ricostruzioni postbelliche e copie di edifici culto, si analizza una deriva della postmodernità: l’edificio come feticcio. Uno spunto di riflessione in attesa che a L’Aquila, tra com’era e dov’era e demolizionericostruzione, inizino i cantieri.
[on the nightstand] Ascension Hernandez Martinez La clonazione architettonica Jaca Book, Milan, 2010 The copy is a typical concept found in Design and antithetical to Architecture, but if the latest trend of limited editions distresses this equivalence it comes as no surprise that Martinez’ research emphasizes the fact that the phenomenon of architectural cloning in the past few decades cannot be neglected. By focusing more upon the motivation rather than upon examples, between postwar reconstruction and copies of cult buildings, a derivative of postmodernity is analysed: the building as fetish. Something to consider and reflect upon while anticipating the opening of construction sites in L’Aquila (between the way it was, where it was and demolitionreconstruction).
[optional lectures] Massimo Carboni (edited by) Divenire di Gillo Dorfles Castelvecchi, Rome, 2010 A tribute to Dorfles’ work testifies its broadness, acumen and importance. The merit of the Castelvecchi publisher does not stop here: after having published the latest collection of Horror pleni essays, the publisher is reintroducing some of his previous work that has become impossible to come across. It is from here that the freshness, timeliness and farsightedness of Dorfles’ philosophy emerge.
[on the nightstand] Rem Koolhaas Singapore Songlines – Ritratto di una metropoli Potemkin… o trent’anni di tabula rasa Quodlibet, Macerata, 2010 For the first time the text taken from S,M,L,XL has been published as a book itself. After 15 years and in its new format, it seems to be the chance for Koolhaas to re-analyse his research pointing out the wrong conjectures and proposing a new interpretation referring directly to the Western world: Singapore as a quintessence of the humans’ planning quality.
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Arpa Industriale via Piumati, 91 12042 Bra (CN) tel. +39 0172 436111 fax +39 0172 431151 www.arpaindustriale.com
[Naturalia] Naturalia, prodotto da Arpa, azienda leader nella produzione di laminati decorativi HPL, è un’innovativa superficie lignea eco-sostenibile, realizzata con elementi provenienti da foreste europee certificate PEFC. Si compone di strati di fibre di legno impastate con resine termoindurenti pressate ad alte temperature. Ne deriva un pannello omogeneo il cui decoro ottico e tattile semplicemente derivante dalla consistenza e dalla disposizione casuale delle fibre è sottolineato dalle morbide cromie dei pigmenti organici presenti nelle resine. Omogeneo, compatto, idrorepellente, dotato di elevata densità e resistenza al carico, facilmente lavorabile, Naturalia è utilizzabile in svariati ambiti quali mobili, piani cucina, rivestimento pareti, divisori ecc.
[Naturalia] Naturalia, made by Arpa, leader in the production of HPL decorative laminates, is an innovative eco-sustainable wood surface made with elements from PEFC certified European forests. It is made up of layers of wood fibres blended with thermosetting resin pressed at high temperatures. A smooth panel is the result in which the tactile and optical décor (simply derived from the
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consistency and random disposition of these fibres) is highlighted by the soft colours of organic pigments present in the resins. Homogenous, compact and waterproof, featuring high density and resistance to weight and easily pliable, Naturalia can be used in several spheres such as: furniture, kitchen counters, wall panels, partitions, etc.
[prodottiproducts] a cura di/edited by Santino Limonta
[Pietra splendente] Pietra Splendente è la nuova collezione di Ceramiche Coem che ripropone la forza e bellezza del marmo naturale lucidato nella versione tecnologica e contemporanea più resistente resa possibile dal grès porcellanato. L’ispirazione per il nome proviene da marmaros (termine greco da cui deriva ‘marmo’), ovvero ‘pietra splendente’, che nell’antichità veniva riferito a qualsiasi pietra la cui superficie poteva essere fatta diventare lucida con il processo di levigatura. La particolare luminosità di Pietra Splendente è data da un basso indice di rifrazione dei materiali che la compongono. Nell’immagine una ambientazione con Pietra Splendente Bardiglio con venature e striature dal particolare effetto specchiato a quattro facce, levigato e rettificato.
[Pietra Splendente]
stone’ that in ancient times was used
Pietra Splendente [shining stone] is the new Coem Ceramic collection
to refer to any stone with a surface that could be polished through the honing process. Pietra Splendente’s particular luminosity is due to a low index of refraction of the materials of which it is made. The photo illustrates
that reintroduces the strength and beauty of polished natural marble in the most resistant technological and contemporary version made possible by porcelain grès. the inspiration for its name comes from marmaros (a Greek term from which the word ‘marble’ is derived), or ‘shining
Ceramiche Coem via Cameazzo, 25 41042 Fiorano Modenese (MO) tel. +39 0536 993511 fax +39 0536 993588 www.coem.it
a setting featuring Pietra Splendente Bardiglio with veining and streaks and a special 4-faceted mirror effect, making it well-ground and smooth.
Durst Phototechnik S.p.A. via Vittorio Veneto, 59 39042 Bressanone (BZ) tel. +39 0472 810211 fax +39 0472 810189 www.durst.it
[Gamma] Un nuovo strumento è a disposizione dell’architetto, sempre più coinvolto in progetti tagliati sulle esigenze del cliente: un rivoluzionario sistema di stampa digitale ceramico industriale che rende possibile l’estrema personalizzazione di pavimenti e pareti. Durst, azienda leader nella produzione di sistemi di stampa, ha messo a punto la famiglia di stampanti Gamma che utilizza inchiostri pigmentati specifici per la decorazione di piastrelle in ceramica per pavimento, rivestimento e terzo fuoco. Possibile la riproduzione sulle piastrelle di qualsiasi tipo di immagine naturale o artistica, loghi, sfumature, ombre o colori particolari. La tecnologia consente la massima flessibilità produttiva, dalle tirature di decine di migliaia di mq alla piastrella singola.
[Gamma] A new tool is available to the architect who is always more involved in projects tailored to the needs of the client: a revolutionary ceramic-industrial digital printing system that makes an extreme personalisation of flooring and walls possible. Durst, leading company in the production of printing systems, has launched the family of Gamma printers which use specifically pigmented inks
to decorate ceramic tiles for floors, coverings and third fire refractory. Any type of reproduction of any kind of image onto tiles is possible: natural, artistic, logos, nuances, shadows or special colours. Technology enables maximum productive flexibility, from tens of thousands of square metres to the single tile.
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[TI-LED 2.0] TI-LED 2.0 è il rivoluzionario sistema di illuminazione di Ceramiche Keope, realizzato con l’inserimento di Led luminosi in piastrelle di grès porcellanato. Studiato per decorare con la luce pavimenti e rivestimenti in interni ed esterni, è ideale per terrazze, giardini, sentieri pedonabili e ovunque si voglia evidenziare una situazione. Il sistema è applicabile a tutta la gamma Keope, compresi pezzi speciali come battiscopa, scalini e alzate di scale. La posa, eseguibile con collanti tradizionali, non richiede interventi preventivi sul fondo. Le lenti dei Led sono disponibili in otto varianti di colore: bianco, trasparente, nero, fluorescente, marrone, rosso, blu, viola. Agevole e veloce la manutenzione: solo pochi secondi per svitare la lente e sostituire il Led.
[TI-LED 2.0] TI-LED 2.0 is the revolutionary lighting system by Ceramiche Keope, created with the insertion of bright Leds in porcelain grès tiles. Created to decorate interior and exterior coverings and floorings with lights, it is ideal for terraces, gardens, pedestrian paths and anywhere in which a particular setting requires lighting. The system is applicable to all Keope products
Ceramiche Keope via Statale 467, 21 42013 Casalgrande (RE) tel. +39 0522 997511 fax +39 0522 997544 www.keope.com
including special pieces such as baseboards, step treads and risers. It can be applied with traditional glues and does not require any additional preparations. Led lens are available in eight colour variations: white, transparent, black, fluorescent, brown, red, blue and purple. Maintenance is quick and easy: it takes only a few seconds to unscrew the lens and substitute the Led.
Decormarmi srl via Duca d’Aosta, 17/e 36072 Chiampo (VI) tel. +39 0444 688311 fax +39 0444 688380 www.decormarmi.com
[Pavé] Decormarmi, storica azienda veneta specializzata in lavorazioni di pietre e marmi pregiati, ha lanciato sul mercato il suo nuovo brand Kreoo (dal greco kreion, colui che crea) dedicato alla produzione di oggetti di design in marmo. La collezione Pavé, disegnata da Enzo Berti, è una delle prime accattivanti proposte. Il programma del nuovo sistema di sedute si basa sulla ingegnosa sovrapposizione di due piani naturali. Nove le diverse versioni previste. Importanza fondamentale nel progetto riveste lo studiato accostamento di pietre pregiate ogni volta differenti per la base e di un materiale semplice ed essenziale come il larice sbiancato per la seduta. Un felice incontro fra due materiali naturali per eccellenza come pietra e legno.
[Pavé] Decormarmi, the time-honoured Veneta-based company specialised in manufacturing quality stone and marbles, has launched its new brand, Kreoo (from the Greek kreion, «he who creates») on the market. Kreoo is dedicated to the production of design objects in marble. The Pavé collection, by Enzo Berti, is one of the first captivating proposals. The programme of the new seating
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system is based upon the ingenious superimposition of two natural surfaces. There are nine versions forecasted. The studied matching of two different kinds of quality stone (that feature a different base every time) is of fundamental importance to the project as well as the simple yet essential material such as bleached larch for the seat. A fortunate encounter between two natural materials par excellence like stone and wood.
[prodottiproducts] a cura di/edited by Santino Limonta
[Luce di Carrara] «L’unicità del marmo in comode piastrelle» è il claim con cui Technotiles riassume il concetto alla base della creazione del nuovo brand Luce di Carrara: dare alla commercializzazione di autentici marmi naturali le stesse garanzie (conformità ai campioni di riferimento, riassortimento nella stessa tonalità ecc.) offerte dalle piastrelle ceramiche. Disponibili una grande varietà di marmi e di formati, tutti a spessore 12 mm, forniti in scatole di cartone perfettamente asciutti e pronti per essere posati. Il codice a barre sulla scatola identifica tipologia, formato e tono della fornitura eseguita e permette il riordino di marmi con le stesse esatte caratteristiche. Nell’immagine Materialuce, collezione di travertini dai toni caldi evocativi dell’oriente.
[Luce di Carrara]
of marbles and shapes are available
«The uniqueness of marble in convenient tiles» is the claim with
(all of which measure 12 mm in width and are supplied in cardboard boxes) completely dried and ready to be applied. The bar-code on the box identifies the type, shape and colour of the supply and enables the client
which Technotiles summarises the concept at the base of the creation of the new Luce di Carrara brand: offering the commercialization of authentic natural marbles the same guarantees (conformity with reference samples, reassortment in the same colour etc) that ceramic tiles offer. A broad range
Luce di Carrara Technotiles Spa Oiano di Vezzano II, Frazione Pali 19020 Vezzano Ligure (SP) tel. +39 0187 523996 fax +39 0187 523993 www.lucedicarrara.com
to re-order the marble with the exact same characteristics. In the Materialuce photo, a collection of Travertine marble in a warm colour that evokes the Orient.
Wood Beton Spa via Roma, 1 25049 ISEO (BS) tel. +39 030 9869211 fax +39 030 9869222 www.woodbeton.it
[Aria] Aria™ è un nuovo sistema costruttivo brevettato da Wood Beton per la realizzazione di interi edifici, sopralzi e ampliamenti con pannelli prefabbricati in legno-calcestruzzo. La caratteristica principale è la presenza, nelle pareti esterne e nelle copertura, di una camera d’aria continua che avvolge e protegge dagli sbalzi climatici gli spazi interni in unione ad un notevole spessore di isolante. Ne deriva elevato comfort ambientale e risparmio energetico. Innovativa è la soluzione ideata per la struttura che prevede pareti verticali con telaio in legno lamellare, incastrate alla base (in fondazione), con caldana esterna di calcestruzzo collaborante, e solai orizzontali a struttura mista legno-calcestruzzo rigidi nel proprio piano.
[Aria] AriaTM is a new patented construction system by Wood Beton to be used for the construction of entire buildings, upper furnishings and expansions with pre-fabricated panels in wood-concrete. The main characteristic is the presence of a continuous inner tube in the outer walls and coverings that surrounds the interior and protects it from climatic changes together with remarkably thick
insulation. The results are elevated environmental comfort and energy savings. The solution created for the framework is also innovative: vertical walls with glued laminated timber frames fitted into the foundation with outer concrete topping and horizontal wood-concrete rigid floors.
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[SOLIGNO®] La continua ricerca progettuale ha consentito a Rubner l’immissione sul mercato della parete SOLIGNO®, rivoluzionario sistema costruttivo a incastro, interamente costituito da legno lamellare, che consente la costruzione di case in legno senza uso di colle e chiodi. Il processo produttivo sfrutta le doti elastiche del legno che dopo una perdita di volume per essicazione indotta viene riportato in normali condizioni di umidità unendo saldamente più blocchi multistrato autoportanti, ciascuno composto da tavole rettangolari in legno massiccio giuntate tra loro a pettine. Ogni strato è raccordato al successivo mediante tasselli. Tre gli elementi disponibili: per pareti portanti (spessore di 12, 18, 24 cm), per solai (in spessori variabili) e per tetti.
[SOLIGNO®] Constant project research enables Rubner to launch the SOLIGNO® wall onto the market. This revolutionary system of fitted construction, entirely of laminated timber allows for the construction of houses without the use of glue and nails. The productive process takes full advantage of the elastic features of wood which is restored to its normal moist conditions
Rubner Haus Spa Zona Artigianale, 4 39030 Chienes (BZ) tel. +39 0474 563333 fax +39 0474 563300 www.haus.rubner.com
after having lost some of its volume due to an induced dehydration by tightly uniting several multi-layered, self-supporting blocks, each of which is made up of solid wood, rectangular and joint glued boards. Each layer is joined to the next one with rawlplugs. Available elements: for supporting walls (12, 18 and 24 cm thick), for floors (of various thickness) and roofs.
COMICS
Hanno collaborato a questo numero / Contributions to this issue
Alfonso Acocella
architetto/architect
Calitri (AV), 1954. Professore ordinario di Tecnologia presso la Facoltà di Architettura di Ferrara in cui presiede la Commissione Relazioni esterne e comunicazione. è presidente del Comitato scientifico del Museo del laterizio di Marsciano, responsabile del settore Architettura della rivista Costruire in laterizio. Ha pubblicato saggi e articoli su numerose riviste e molti volumi tra cui L’architettura di pietra. Nel 2005 ha fondato il primo blog tematico d’architettura www.architetturadipietra.it/Calitri (AV), 1954. Full professor of Technology for the Architecture Department at the University of Ferrara, where he presides the Commission of Public Relations and Communication. Chairman of the Scientific Commission at Marsciano’s Museo del Laterizio and head of the Architecture section of Costruire in laterizio magazine, he has published essays and articles for many magazines and volumes including l’Architettura di pietra [Stone Architecture]. In 2005 he founded the first blog regarding architecturewww.architetturadipietra.it
Diego Barbarelli Perugia, 1975. Redattore di PresS/Tletter e PresS/Tmagazine, collaboratore di Compasses/Perugia, 1975. Editor of PresS/Tletter and PresS/Tmagazine, contributor to Compasses
Alfredo Cisternino
architetto/architect
Genova, 1973. Si occupa delle mutazioni del ruolo dell’architetto nelle culture architettoniche francese e italiana in età contemporanea. Insegna Storia dell’Architettura nelle Università di Firenze e Genova e tiene seminari all’Università di Pisa e alla Domus Academy (Milano). Ha svolto ricerca presso il Politecnico di Milano e il Centre Pompidou (Parigi)/Genoa, 1973. He studies the changing role of the architect in modern-day French and Italian architectural cultures. He teaches History of Architecture at the Universities of Florence and Genoa and holds seminars at the University of Pisa and Milan’s Domus Academy. He has also done research at the Politecnico di Milano and the Centre Pompidou in Paris
Paolo Di Nardo
architetto/architect
Firenze, 1958. Fondatore e direttore editoriale della rivista And, nel 2002 fonda lo studio ARX che si occupa di progettazione e ricerca architettonica; lavora con Coophimmelb(l)au, Diener & Diener, Obermayer Planen + Beraten con cui partecipa a concorsi e progetti internazionali. è professore a contratto di progettazione presso la Facoltà di Architettura di Firenze e autore di numerosi articoli e saggi sull’architettura contemporanea/Florence, 1958. Founder and editor of And magazine. In 2002 Di Nardo founded studio ARX, which is concerned with architectural research and design; he also works with Coophimmelb(l)au, Diener & Diener, Obermayer Planen + Beraten partecipating to competitions and international projects. He is a temporary professor of design with the Faculty of Architecture in Florence and has authored numerous articles and essays on contemporary architecture
Giorgio Fratini
architetto/architect
Prato, 1976. è architetto, illustratore e autore di fumetti. Vive e lavora a Firenze. è stato pubblicato in Italia e Portogallo il suo primo romanzo grafico Sonno elefante – I muri hanno orecchie, Edizioni BeccoGiallo (It) e Campo das Letras (Pt)/Prato, 1976. He is an architect, illustrator and comic-book writer. He lives and works in Florence. His first graphic novel, Sonno elefante – I muri hanno orecchie (Edizioni BeccoGiallo (It) and Campo das Letras (Pt)) was published in both Italy and Portugal
Alessandra Lai
ingegnere/engineer
Cagliari, 1972. Dopo la laurea in Ingegneria Civile presso l’Università degli Studi di Cagliari, consegue nel 2005 il titolo di Dottore di Ricerca in Architettura e Costruzione presso l’Università di Roma Tor Vergata. Collabora attualmente con la Facoltà di Architettura dell’Università di Sassari e si occupa, tanto nell’attività di ricerca quanto in quella professionale, di pianificazione d’area vasta, pianificazione strategica e progettazione di campus universitari/Cagliari, 1972. After receiving her degree in Civil Engineering at the University of Cagliari, she earned her Doctorate in Architectural Research at the University of Rome Tor Vergata. She is currently collaborating at the Architecture Department at the University of Sassari and is active as both researcher and professional, planning large areas, strategic planning and university campus design
Santino Limonta
giornalista/journalist
Monza, 1940. Dopo una ventennale attività in una grande azienda editoriale si rivolge al mondo dell’editoria di nicchia contribuendo al lancio di nuove testate. Segue l’evoluzione del design, dei materiali e dell’architettura da un osservatorio privilegiato viaggiando intensamente nei mercati tradizionali e in quelli emergenti/Monza, 1940. After two decades of collaboration with a large publishing company, he now turns to the world of exclusive publishing and contributes to launching new periodicals. Limonta follows the evolution of design, materials and architecture from a privileged observation point by traveling with intensity though traditional and well as emerging markets
Azzurra Macrì
giornalista/journalist
Finlandia, 1975. Dopo avere studiato in Italia per diventare architetto, ha deciso di essere giornalista. Osserva e scrive di architettura per profonda passione. Interessata alle forme di comunicazione dell’architettura nei paesi non ancora sedotti dalle suggestioni mediatiche, pubblica su diverse riviste di settore in Italia e all’estero/ Finland, 1975. After having studied architecture in Italy, she decided to become a journalist. She observes architecture and writes about it with a deep passion. Particularly interested in the forms of communication of architecture in countries that have not been seduced by the influence of media, she publishes in various magazines dedicated to the field in Italy and abroad
Lapo Muratore
architetto/architect
Bagno a Ripoli (FI), 1964. Dopo la laurea svolge numerosi programmi di ricerca in prestigiose università straniere. Da sempre interessato alla pubblicistica, scrive abitualmente per le riviste di settore, sia italiane che straniere. Vive e lavora a Siena/After earning his degree he participated in many research programmes at prestigious universities abroad. He has always been interested in activities of the publicist and often writes for national and international magazines of the sector. He lives and works in Siena
Pierpaolo Rapanà
architetto/architect
Lecce, 1978. Svolge attività professionale in collaborazione con lo studio ARX di Firenze e attività di ricerca come Cultore della Materia nel corso Laboratorio di Architettura II presso la Facoltà di Architettura di Firenze. Fa parte della redazione di And/Lecce, 1978. Works in partnership with studio ARX of Florence and conducts research as a scholar with the Architectural Workshop of the Faculty of Architecture in Florence. A member of the And editorial staff
Erminio Redaelli
architetto/architect
Galbiate (LC), 1946. Laureato presso il Politecnico di Milano, scopre e conosce la Bioarchitettura® nel 1995 grazie a Ugo Sasso. Nei suoi progetti ricorre a criteri ecologici. è presidente dell’Istituto Nazionale Bioarchitettura®. Ha tenuto interventi e docenze in varie scuole e università italiane. Suoi articoli sono apparsi riviste del settore. Tra i testi più importanti Architettura sostenibile e Strumenti di indirizzo per l’introduzione dello sviluppo sostenibile nei programmi di governo locale dell’edilizia e del territorio. Relatore a numerosi convegni nazionali e internazionali/Galbiate (LC), 1946. Freelancer, becomes familiar with Bioarchitettura® in 1995 thanks to Ugo Sasso. He often uses ecological criteria in his designs. Chairman of the Istituto Nazionale Bioarchitettura®, he has taught in Italian schools and universities. Among his most significant written works: Architettura sostenibile and Strumenti di indirizzo per l’introduzione dello sviluppo sostenibile nei programmi di governo locale dell’edilizia e del territorio. He is often called to host national and international conventions
Daria Ricchi
architetto/architect
Novafeltria (RN), 1978. Architetto e giornalista. Scrive per riviste specializzate di settore in Italia e all’estero, tra cui a10, Il Giornale dell’Architettura, Area e Casamica. Ha scritto una monografia su Mecanoo e appena curato una monografia su Diller Scofidio + Renfro, edito da Skira. Sta attualmente svolgendo un Phd presso la Princeton University/Novafeltria (RN), 1978. Architect and journalist. She writes for architectural and art magazines in Italy and abroad, among which are a10, Il Giornale dell’Architettura, Area and Casamica. She wrote a monograph book on Mecanoo and has recently edited a monograph on Diller Scofidio + Renfro, published by Skira. She is currently a Phd student at Princeton University
Fabio Rosseti
architetto/architect
Viareggio (LU), 1961. Vive e lavora a Firenze, rivolgendo la sua attenzione al rapporto fra architettura e tecnologie dell’informazione. è coordinatore della redazione di And con cui ha collaborato fin dal primo numero. Ha scritto vari articoli per And e per altre testate/ Viareggio (LU), 1960. Lives and works in Florence, focusing on the relationship between architecture and information technologies. Editorial staff coordinator of And, he has worked with the magazine since its very first issue, writing various articles for And and for other publications
Silvia Scarponi architetto/architect S. Benedetto T. (AP), 1978. Laureata a Firenze dal 2006 collabora con Ipostudio. Nel 2009, insieme a Francesco Fanfani, ha collaborato a San Francisco con Public Architecture e Streetsblog per la riqualificazione di spazi urbani. è cofondatrice del gruppo interdisciplinare Kindi lab/S. Benedetto T. (AP), 1978. She graduated in Florence and she starts collaborating with Ipostudio in 2006. In 2009, with Francesco Fanfani, collaborated with Public Architecture and Streetsblog for the requalification of urban spaces. She is co-founder of the interdisciplinary group Kindi lab
Eugenia Valacchi
architetto/architect
Firenze, 1975. Si laurea a Firenze nel 2003. Dottore di Ricerca presso il Dipartimento di Storia dell’Architettura dell’Università di Firenze. Lavora attualmente nel team dello studio di architettura ARX e collabora fin dai primi numeri con la rivista And. Dal 2010 è nel gruppo del laboratorio di ricerca Material Design della Facoltà di Architettura di Ferrara/Florence, 1975. She graduated in Florence in 2003. PhD graduate at the Department of History of Architecture at the University of Florence. She works as part of the ARX architectural studio team and has collaborated with And magazine since the early issues. Since 2010 she is part of the Material Design Research Laboratory at the Faculty of Architecture of Ferrara