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gennaio aprile
LUCE > DESIGN
> UNA NUOVA ESPRESSIVITÀ PER L’ARREDO URBANO
RIVISTA DI ARCHITETTURE, CITTà E ARCHITETTI
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LUCE > DESIGN
Artwork by Carta e Matita
STREET ART.
e d i t r i c e
tetrarc bernard tschumi architects baumschlager eberle a2rc architects henning larsen architects mader-stublic-wiermann antonio cardillo atelier oslo/awp michele de lucchi enzo catellani paul coksedge philippe martinaud mario nanni
AND Rivista quadrimestrale di architetture, città e architetti n°20 gennaio/aprile, 2011 direttore responsabile Francesca Calonaci direttore editoriale Paolo Di Nardo comitato scientifico Giandomenico Amendola, Gabriele Basilico, Miranda Ferrara, Maurizio Nannucci, David Palterer, Sergio Risaliti, Giorgio Van Straten coordinamento comitato scientifico Alessandro Melis redazione Tommaso Bertini, Filippo Maria Conti, Samuele Martelli, Elisa Poli, Pierpaolo Rapanà, Daria Ricchi, Eugenia Valacchi coordinamento editoriale Giulia Pellegrini coordinamento redazionale Fabio Rosseti corrispondenti dalla Francia: Federico Masotto dalla Germania: Andreas Gerlsbeck dagli Stati Uniti: Daria Ricchi traduzioni italiano-inglese, inglese-italiano Team Translation crediti fotografici le foto sono attribuite ai rispettivi autori come indicato sulle foto stesse. L’editore rimane a disposizione per eventuali diritti non assolti progetto grafico Davide Ciaroni impaginazione elettronica Giulia Pellegrini, Davide Ciaroni, Federica Capoduri direzione e amministrazione via XX settembre, 100 - 50129 Firenze www.and-architettura.it redazione via XX settembre, 100 - 50129 Firenze redazione@and-architettura.it editore DNA Editrice via XX settembre, 100 - 50129 Firenze tel. +39 055 582401 info@dnaeditrice.it
agente per la Lombardia, Liguria, Piemonte, Emilia Romagna, Veneto R.D.E. Ricerche Design Editrice via Roma 21 - 20094 Corsico (MI) tel. +39 02 4491149 - fax +39 02 4405544 info@rdesrl.net distribuzione per l’Italia JOO Distribuzione via F. Argelati, 35 - 20143 Milano joodistribuzione@joodistribuzione.it distribuzione per l’estero S.I.E.S. Srl via Bettola, 18 - 20092 Cinisello Balsamo(MI) tel. +39 02 66030400 - fax +39 02 66030269 sies@siesnet.it www.siesnet.it stampa Vanzi Industria Grafica, Colle Val d’Elsa (SI) ufficio stampa Complemento Oggetto www.complementoggetto.it abbonamenti abbonamenti@dnaeditrice.it arretrati joodistribuzione@joodistribuzione.it quadrimestrale una copia € 12,00 numero con speciale € 15,00 numeri arretrati € 24,00 abbonamento annuale (3 numeri) Italia € 36,00; Europa € 45,00; resto del mondo € 60,00 (posta prioritaria) Registrazione del Tribunale di Firenze n. 5300 del 27.09.2003 ISSN 1723-9990 R.O.C. n. 16127 del 11/01/2006 © AND - Rivista di architetture, città e architetti (salvo diversa indicazione) © dei progetti di proprietà dei rispettivi autori AND - Rivista di architetture, città e architetti è una testata di proprietà di DNA Associazione Culturale via XX settembre, 100 - 50129 Firenze è vietata la riproduzione totale o parziale del contenuto della rivista senza l’autorizzazione dell’editore e dell’Associazione Culturale DNA. La rivista non è responsabile per il materiale inviato non richiesto espressamente dalla redazione. Il materiale inviato, salvo diverso accordo, non verrà restituito.
comunicazione Niccolò Natali niccolonatali@and-architettura.it pubblicità DNA Editrice via XX settembre, 100 - 50129 Firenze tel. +39 055 582401 niccolonatali@and-architettura.it
AND rispetta l’ambiente stampando su carta FSC
in copertina/cover Lampada PK LED Parete, Catellani & Smith
20 sommario/summary Luce > Design
Luce e ombra, Paolo Di Nardo
MEdiateca bdiv, Azzurra Macrì
Per un nuovo classicismo, Eugenia Valacchi
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Richiamo visivo, Marco Borsotti
Retorica Trasparente, Alfredo Cisternino
naturalmente energia, Luca Sgrilli
aurora boreale, Lapo Muratore
reale virtuale, Fabio Rosseti
Storie di luce, Fabio Rosseti
ForestA luminosa, Mara Corradi
strumento di riCErca, Intervista a Giovanna Griffo
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l’architettura e la luce, Intervista a G. Cauteruccio
LUCE FRATTO TEMPO, Pierpaolo Rapanà
Luce e utopia, Federica Capoduri
Illustri sconosciuti, Paolo Di Nardo
intervista a michele de lucchi
intervista a enzo catellani
intervista a Paul cocksedge
intervista a philippe martinaud
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EDITORIALE, Paolo Di Nardo
EDITORIALE
young intervista a mario nanni
nuovi alfabeti, Mara Corradi
AND young, Francesco Ursitti
AND COMICS, Giorgio Fratini
Le definizioni presenti all’interno di questo numero 20, sotto forma di titoli o di sintesi dei temi trattati, danno una chiara visione di quanti e infiniti possano essere i concetti, le metafore, le definizioni, le analogie, le opposizioni che si possono legare al concetto di luce. Questo, non a caso, sta a significare il valore profondo della fonte di sensazioni e di significati legati alla creazione di un concetto artistico. In questo senso la luce è, in primis, fonte di ispirazione ad ogni scala di intervento, da quella architettonica al disegno di oggetti vettori o contenitori di luce. Per Le Corbusier la luce è uno schizzo su un taccuino, quindi già progetto, idea creatrice di uno spazio proprio perché la conoscenza della
EDITORIALE
spazialità della luce permette di avere già le preveggenze di uno spazio progettato. In quanto forza creatrice, la luce non può che coesistere con il suo opposto e proprio dal binomio di queste due sensazioni nasce l’idea e la relazione fra gli opposti. Una canzone di Franco Battiato già nel titolo L’ombra della luce sintetizza questo dualismo e la poesia degli spazi fisici e mentali. Comunica in pochi versi concetti intensamente poetici: «Perché le gioie del più profondo affetto o dei più lievi anditi del cuore sono solo l’ombra della luce [...] Perché la pace che ho sentito in certi monasteri, o la vibrante intesa di tutti i sensi in festa, sono solo l’ombra della luce». Un poeta come Giuseppe Ungaretti usa la luce come metafora della memoria attivando in questo binomio un distacco dalla dimensione terrena o temporale: «La luce dell’amnesia ritrovata è già epifania, attimo di morte e rinascita in cui il tempo si abolisce». E anche nel grande poeta gli opposti divengono percorsi e interrogativi esistenziali. Mario Petrucciani in Il condizionale di Didone, studi su Ungaretti chiarisce poi la presenza della luce
PAOLO DI NARDO
e dell’ombra come strutturazione poetica dell’ultimo Ungaretti: la memoria (luce) in Ungaretti è l’unico «segno vivo e vivificante, nel tempo eterno della morte» e sottolinea come sia forte il simbolismo degli opposti: notte come consunzione risulta antitetica alla memoria-luce. Perché? «[...] il mio cuore disperso/[...] vuole tremare piano alla luce [...]/il mio cuore vuole illuminarsi [...]. Mattina «M’illumino/d’immenso» Godimento «Mi sento/di questa febbre/piena di luce [...]» Perché? «Ho bisogno di qualche ristoro/il mio buio cuore disperso/negli incastri fangosi dei sassi [...]» La notte bella «sono stato/uno stagno di buio [...]» La luce e l’ombra si intendono quindi come momento e strumento espressivo dell’anima, dello spazio, con usi e accezioni diverse nel tempo, adeguandosi alla contemporaneità e temporaneità del momento storico spesso con atteggiamenti e risultati anche opposti. Nel primo Rinascimento la luce era il mezzo meccanico per modellare un volume per evocare con chiarezza una concezione del mondo fatta di certezze inconfutabili per cui gli oggetti sono per se stessi luminosi e le ombre vengono applicate solo per conferire loro la rotondità. Leonardo da Vinci ribalta per primo questo modo statico di gestire la luce e nella sua Ultima cena fa cadere la luce come una forza attiva con una propria direzione all’interno di una stanza oscura. La concentrazione della luce sugli oggetti stabilisce quel ‘contrasto simultaneo’ che dà forza alla comunicazione pittorica del dipinto. Michele De Lucchi, intervistato su questo numero, sottolinea il ribaltamento del concetto di illuminazione degli spazi fra gli anni ‘80 e ‘90 e i tempi più recenti passando da una illuminazione diffusa e proiettata verso l’alto, di stile ‘basilicale’ a quelle recenti proiettate verso il basso conferendo maggiore luminosità: dal soffitto al pavimento. Mi piace in conclusione avere un'immagine fragile e incognita della luce come quella teorizzata nel 1600 dal fisico olandese Christiaan Huygens per cui la luce veniva considerata come un insieme di onde dovute alla vibrazione di un mezzo non precisato, l’etere che riempiva l’universo e alle sue differenze di frequenza erano associati i diversi colori. La luce che trema evoca un’immagine di spazio poetico, molto contemporaneo e legato all’incertezza, come nel titolo e nelle parole di una canzone dei Litfiba Luce che trema: .
The definitions contained within this number 20,
Mattina [morning] «I flood myself/with light of the
in the form of titles or summary of the topics dealt with, provide a clear vision of how many and in-
immense» Godimento [enjoyment] «I feel/of this fever/ full of
finite are the concepts, metaphors, definitions, analogies and contradictions that can be tied with
light [...]» Perché? [why?] «I need some relief/my dark miss-
the concept of light.
ing heart/ in the muddy joints of the stones [...]»
This, not surprisingly, highlights the deep value of the source of feelings and meanings related to the
La notte bella [the beautiful night]: «I was/a pool of darkness [...]»
creation of an artistic concept. In this sense, light is, first of all, a source of inspi-
Light and shadow are therefore intended as expressive moment and means of the soul, of the
ration to all scales of intervention, from the architectural one to the design of objects acting as light
space, with different uses and meanings over time, adapting to the simultaneousness and tem-
carriers or containers.
porariness of the historical moment often with
Le Corbusier thinks that light is a sketch on a notebook, then already a project, the idea creating its
even opposite attitudes and results. In the early Renaissance, light was the mechani-
own space because the knowledge of light spatiality allows foreseeing a designed space.
cal mean to create a volume clearly evoking a conception of the world made of irrefutable cer-
Just because it is a creative force Light cannot co-
tainties according to objects have light in them-
exist with its opposite, and just the combination of these two sensations generates the idea and the
selves and shadows are applied only to give them roundness.
relationship between opposites. A song by Franco Battiato already in its title,
Leonardo da Vinci was the first to overturn this static way of managing light and in his Ultima cena
L’ombra della luce [the shadow of light], sums up this duality and the poetry of physical and men-
he let the light drop as an active force with its own direction inside a dark room. The concentration of
tal spaces. In a few lines the author transmits intensely poetic concepts: «Because the joys of the deepest affection or lighter passages of the heart are only a shadow of light For peace I felt in some monasteries, or the vibrant understanding of all the senses in celebration, are only a shadow of light». A poet like Giuseppe Ungaretti uses light as a metaphor of memory creating with this combination a detachment from earthly or temporal dimension: «the light of regained amnesia is already epiphany, moment of death and rebirth in which time is abolished». And even in the works of the great poet the opposites become routes and existential questions. Mario Petrucciani in Il condizionale di Didone, studi su Ungaretti explains the presence of light and shadow intended as poetic structure of the last Ungaretti. Memory (light) in Ungaretti is the only «living and life-giving sign, in the eternal time of death» and underlines the strong symbolism of opposites: night as consumption results antithetical with respect to the memory-light. Perché? [why?] «[...] my lost heart/[...] wants to gently tremble at light [...] /my heart wants to light up» [...]
light on objects states that ‘simultaneous contrast’ that gives strength to the pictorial communication of the painting. Michele De Lucchi, interviewed in this issue, highlights the reversal of the lighting concept in the spaces between the ‘80s and ‘90s, and even more recently; concept that moving from a lighting diffused and projected upward, of ‘basilica style’, arrives to the recent one projected downward and giving more luminosity: from the ceiling to the floor. In conclusion, I like to have a fragile and unknown image of light like the one theorized in 1600 by C. Huygens, A Dutch physicist, according to light was considered as a group of waves due to the vibration of an undefined mean and the ether filling the universe, while its frequency differences created the different colours. Light that trembles evokes an image of poetic space, very contemporary and tied to uncertainty, as in the title and words of a song by Litfiba: Luce che trema [trembling light] «Three minutes again and then three seconds again and then trembles trembles, light now trembles, trembles bite bite, my tongue turns, spins trembles, trembles».
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Š Ergonomik Michael
Luce e ombra Un metodo di contrasto come vettore di sostenibilità
di/by
Paolo Di Nardo
Light and shadow. A contrast method as a vector of sustainability In Toward an Architecture Le Corbusier wrote: «the eyes are made to see the forms
In ‘Verso una Architettura’ Le Corbusier scriveva: «Gli occhi sono fatti per vedere le forme nella luce». Il ruolo della luce quindi sia nella percezione delle forme, che dell’essenza delle stesse, occupa un ruolo di straordinaria efficacia nella composizione architettonica e non solo.
in the light». Light plays a very important role, not only existing alone, but also affecting other architectural shapes and forms. Rudolf Arnheim in the sixth chapter of its Art and visual perception, dedicated to ‘Light’, clearly places the role of light in the world of two-dimensional and three-dimensional perception: «If we had wanted to start from the root causes of visual perception, light analysis should precede all others, because without light eyes cannot see form, colour, space or movement». And he adds: «light is more than just the physical cause of what we see: it also forms the psychological point of view that stays with man as a powerful and fundamental experience». Le Corbusier's sketches at Villa Adriana in Tivoli clearly show this interest in space defined by light as the instrument, the means used to threedimensionally model a ‘strong idea’. Those same sketches of the knowledge of light expressive value are applied as ‘tracing plots’ in the definition of Rochamp Chapel space. Knowing therefore the value, not only physical, but also expressive, of this space component is a basic exercise in architectural composition. Louis Kahn ties the concept of ‘light’ to that of ‘silence’ as a composition tool for its architecture, basing it on this combination, the very concept of art, beauty. ‘Silence’ is expression, ‘light’ is ten-
Rudolf Arnheim in ‘Arte e percezione visiva’ nel capitolo sesto dedicato alla ‘Luce’ colloca in modo chiaro il ruolo della luce nel mondo della percezione bidimensionale e tridimensionale: «Se avessimo voluto partire dalle cause prime della percezione visiva, l’analisi della luce avrebbe dovuto precedere tutte le altre, perché senza luce gli occhi non possono vedere forma, colore, spazio o movimento». E aggiunge: «La luce è qualcosa di più della causa fisica di quanto vediamo: anche dal punto di vista psicologico resta per l’uomo una delle esperienze fondamentali e più potenti». Gli schizzi di Le Corbusier della Villa Adriana a Tivoli mostrano con chiarezza l’interesse per lo spazio definito dalla luce che diventa lo strumento, il mezzo per modellare tridimensionalmente una ‘idea forte’. Quegli stessi schizzi di conoscenza del valore espressivo della luce li ritroviamo applicati come ‘trame a ricalco’ nella definizione dello spazio della Cappella di Rochamp. Conoscere quindi il valore, non solo fisico ma anche espressivo, di questa componente spaziale è un esercizio fondamentale nella composizione architettonica. Louis Kahn lega il concetto di ‘luce’ a quello di ‘silenzio’ come strumento di composizione per le sue architetture fondando su questo binomio lo stesso concetto di arte, di bellezza. Il ‘silenzio’ è espressione, la ‘luce’ è tensione: «Tutta la materia è luce... È la luce che, quando termina di essere luce, diventa materia. Nel silenzio c’è tensione verso l’espressione, nella luce tensione verso l’opera. I due aspetti dello spirito, uno non luminoso, l’altro luminoso. Il luminoso volge verso la luce e questa verso la fiamma e la fiamma si deteriora in materia e la materia diviene mezzo, risorsa, evidenza». Ma Kahn va oltre e poeticamente vede in questi due ‘fratelli’ il segreto dell’arte che diventa realtà. «L’eternità ha due fratelli: l’uno spinge all’espressione, l’altro alla realizzazione, l’uno luce attenuata, l’altro luce viva». Luce quindi come espressione e realizzazione, come effetto e come architettura , o meglio arte. Il valore però della luce si arricchisce attraverso il dualismo luce/ombra. Goethe nel ‘Trattato sui colori’ scrive che la luce e l’ombra sono intrecciate: «Tutto ciò che è visibile al mondo lo è solamente grazie a una luce fatta di ombre e a un’ombra fatta di luce». L’oscurità quindi «non appare come la semplice assenza di luce ma come un principio attivo ad essa contrapposto». (Arnheim, p. 263) Luce/Ombra uniti indissolubilmente per valorizzare se stessi attraverso l’unione dei due effetti ed il contrasto come mezzo per evocarne le differenze.
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Š Seier + Seier
© Simone Mastrelli
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sion: «All matter is light... It is the light that, when it stops being light, it becomes matter. In silence there is tension to the expression, in light tension to the work. The two aspects of the spirit, one luminous, the other not. The luminous turns to the light and the latter to flame and the flame deteriorates into matter and matter becomes a means, a resource, an evidence». But Kahn goes over and poetically sees in these two ‘brothers’ the secret of art becoming reality. «Eternity has two brothers: one leads to the expression, the other to the realization, on is subdued light, the other bright light». Therefore light as an expression and a realization, an effect and an architecture, or rather an art. The value of light is enhanced through the dualism of light/shadow.
sopra/above: Jantar Mantar, Jaipur, Rajasthan pagina precedente/previous page Lundgaard & Tranberg Arkitekter, CBS Copenhagen Business School, Copenhagen, 2005 apertura/opening page Le Corbusier, Chapelle du Notre-Dame du Haut, Ronchamp, 1955
La contemporaneità non si sottrae a questo binomio percettivo, quando si parla di architettura anziché di edilizia. La loro gestione diventa il ‘metodo’ che condensa in sé una moltitudine di saperi da quelli legati alla cultura del progetto a quelli tecnici e scientifici di risposta ai bisogni di benessere. Le tecniche computerizzate hanno permesso di simulare la capacità della luce nel definire gli effetti dello spazio attraverso il dialogo/contrasto con l’ombra. Non è solo possibile progettare la ‘sostenibilità’ di un edificio sulla base degli effetti della luce e dell’ombra sull’edificio. Si deve continuare in questa ricerca anche attraverso l’uso dei contrasti per la definizione degli interni, sia per fini percettivi, simbolici, che per fini legati al benessere interno di un edificio. La luce e l’ombra quindi come vettore di un metodo di progettazione antico ma estremamente contemporaneo permettono di dare valore alle superfici, alle rientranze, agli aggetti di un edificio dando riposte concrete alla necessità di costruire edifici energeticamente sostenibili. Il tema della Luce/Ombra può quindi essere un momento di riflessione compositiva sulla sostenibilità energetica e percettiva, perché come insegnano gli antichi, come Le Corbusier, viviamo con ‘le forme nella luce’. Tali riflessioni potrebbero essere la chiave di lettura di alcuni progetti realizzati e non, in cui la luce, come l’ombra, costituiscono un metodo progettuale finalizzato alla sostenibilità e al racconto architettonico.
© Joevare
Steven Holl Architects, Nelson-Atkins Museum of Art, Kansas City, 2007 pagina seguente/following page Carlo Scarpa, Padiglione del Venezuela ai Giardini della Biennale, Venezia, 1952
Goethe in Treatise on colours writes that light and shadow are intertwined: «All that is visible in the world can be seen only thanks to a light made of shadows and a shadow made of light». In the early Renaissance light was the mechanical mean used to model a volume evoking the clearness of a cultural moment of a world conception based on the irrefutable certainties according to the objects themselves are luminous and shadows are applied to them just to make them whole. Darkness «is not therefore the mere absence of light, but an active principle opposed to it». (Arnheim, p. 263) Light/Shadow indissolubly united to enhance themselves through the union of the two effects and contrast intended as a means to evoke their differences. The contemporary world is no exception to this perceptive combination, when it comes to architecture instead of building. Their management becomes the ‘method’ concentrating a multitude of knowledge, from that linked to the design culture to the technical and scientific one responding to wellbeing requirements.
Computer techniques have allowed the simulation of light defining the space effects through dialogue/ contrast with shadow. It is not only possible to design the ‘sustainability’ of a building on the basis of the effects exerted on it by light and shadow. This research must also be continued through contrasts used to define the interior, both for perceptual and symbolic purposes, and for internal ones related to the internal wellbeing of a building. Therefore light and shadow intended as a vector for an ancient, but extremely contemporary, design method, allow it to give value to the surfaces, the recesses, the projections of a building by concretely answering to the energetically sustainable construction requirements. The theme of Light/Shadow can be a compositional time for reflection on energetic and perceptive sustainability, because, as our for brothers, like Corbusier, taught us, we live with ‘the shapes in light’. These reflections could be the key to understanding some projects, realized and not, in which light, as shadow, constitutes a design method aimed at creating the sustainability and architectural narration.
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Mediateca BDIV TETRARC, Biblioteca di quartiere a Fougères
di/by Azzurra Macrì foto di/photos by Stéphane Chalmeau BDIV Media Library Fougères, a Breton town of medieval origin, opens to contemporary architecture: a history of fortifications, towers, castles
Fougères, cittadina bretone di origine medievale, si apre all’architettura contemporanea: una storia di fortificazioni, torri, castelli e campanili merlati accoglie e si arricchisce oggi di una pagina nuova, la Mediateca BDIV – Biblioteca Dipartimentale di Ille et Vilaine. Realizzata da TETRARC, studio di
and embattled bell towers houses now, and is enhanced by, a new page, the BDIV Media Library – Departmental Library of Ille et Vilaine. Created by TETRARC, an architectural firm based in Nantes, the building becomes a new benchmark for the city: for it, to attract and seduce it, it develops, with light and environment, a trick of interactions, of constant changes and variations in light able to narrate architecture intended as a living and continuously changing body. A process, this, that can be recognized in both the interiors and in the relationship with the external scenario. To make this possible, the two spaces of the media library – clean, geometric, minimalist – alternate closed and introverted areas to others open and ready for being penetrated by the sun and the city. It is unique the almost dichotomous aspect of this alternation: openings and closures, glass and concrete do not mix, apparently did not even interact, rather they present themselves in an almost mutually exclusive way. A choice that gives character and strong personality to the architecture, which is addressed to the city with its clear and sculpted image. «The project aims to become an architectural response of strong identity, claiming and asserting its public building status as part of an urban culture intended to evolve», the designers explain.
architettura con sede a Nantes, l’edificio diventa nuovo punto di riferimento per la città: per essa, per richiamarla e sedurla, intrattiene con la luce e con l’esterno un gioco di interazioni, di costanti mutamenti, di variazioni luminose capaci di narrare l’architettura come un corpo vivente, in continua trasformazione. Un processo, questo, che si propone sia alla scala degli ambienti interni sia nel rapporto con lo scenario esterno. Perché ciò sia possibile, i due volumi della mediateca – asciutti, geometrici, minimalisti – alternano superfici chiuse e introverse ad altre aperte e disponibili a farsi penetrare dal sole e dalla città. Singolare l’aspetto quasi dicotomico di questa alternanza: aperture e chiusure, vetro e cemento non si mescolano, apparentemente non interagiscono, si propongono piuttosto in maniera quasi mutuamente esclusiva. Una scelta che dona carattere, personalità forte all’architettura, la quale si rivolge alla città con un’immagine netta e scolpita. «Il progetto intende proporsi come una risposta architettonica di forte identità, che rivendica e afferma il suo status di edificio pubblico nell’ambito di una cultura urbana destinata ad evolversi», spiegano i progettisti. È la luce che interviene ad ammorbidire i toni della rappresentatività, che sollecita l’architettura a respirare e a vivere come un cuore pulsante all’interno della città. L’elemento più originale che fa da tramite nel rapporto fra architettura e luce è il rivestimento metallico che a tratti si inserisce nei due volumi: una vera e propria griglia di lettere che si susseguono e che richiamano la vocazione culturale del luogo, un reticolo capace di creare negli spazi interni della mediateca un ricamo di ombre costantemente variabili. L’interno si anima, vibra, partecipa delle declinazioni solari quotidiane, acquisisce toni caldi e si fa dinamico. Una teoria di superfici vetrate, poi, contribuisce a rendere la mediateca ulteriormente permeabile alla luce e all’ambiente urbano. Si viene così a creare un rapporto osmotico fra interno ed esterno: l’architettura racconta se stessa alla città, invita alla sua frequentazione, alla sua esplorazione, e la città ricambia offrendole gli umori della luce naturale. L’interno, distribuito su due piani, regala un’esperienza dinamica, mossa, articolata. Scale a vista uniscono i due livelli, aperti l’uno sull’altro. Il colore fa il suo ingresso e tinge la mediateca di toni squillanti attraverso arredi moderni e sinuosi, i quali introducono alla dimensione ludica della mediateca, che raggiunge il suo picco nel ‘nido’ di acciaio e legno, una sala di lettura per grandi e piccoli popolata da grossi cuscini colorati.
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nome progetto/project name Mediateca BDIV – Biblioteca di quartiere di Ille et Vilaine/BDIV Media Library – Departmental Library of Ille et Vilaine progetto/design Tétrarc Architects fine lavori/completion 2010 luogo/place Fougères, Francia www.tetrarc.fr
pianta piano terra/ground floor plan 20 m 0
It is the light that acts to soften the tone of representativeness, calling for the architecture to breathe and live like a beating heart inside the city. The most original element which acts as an intermediary in the relationship between architecture and light is the metallic coating that sometimes fits in the two spaces: a real grid of letters following one another recalling the cultural vocation of the place, a network capable of creating a constantly changing shadow embroidery in the interior spaces of the media library. The interior space comes alive, vibrates and is part of the solar daily variations, it captures the warm tones and becomes dynamic. A succession of glass surfaces, then, helps to make the media library more permeable to light and urban environment. It is thus created an osmotic relationship between internal and external spaces: the architecture tells itself to the city, calls for being visited, explored, and the city reciprocates by offering the moods of natural light. The interior, on two floors, offers a dynamic, lively, articulate experience. The exposed stairs combine the two levels, open on one another. The colour enters and paints the media library with the bright tones of modern and sinuous furniture, which leads to the playful dimension of the place and reaches its peak in the ‘nest’ of steel and wood, a reading room for young and old brightened by large coloured cushions.
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section aa/section aa
section bb/section bb
section cc/section cc
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5m
interno, spazio giochi per bambini interiour space, view of play-area sotto/below interno, vista del doppio volume interiour space, view of two floors
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Per un nuovo classicismo Bernard Tschumi Architects, Nuovo Museo dell’Acropoli, Atene
di/by Eugenia Valacchi foto di/photos by Peter Mauss/ESTO For a new classicism Almost a theme of the double, if it were not so dangerous to compare any object with the Parthenon, seems to underlie the
Quasi un tema del doppio, se non fosse così pericoloso confrontare qualunque oggetto con il Partenone, sembra alla base della scelta di Tschumi per il Nuovo Museo dell’Acropoli. O perlomeno di un dialogo speculare, in cui all’altura dell’Acropoli, su cui troneggia il tempio di Atena, fa da contraltare l’espressivo
choice of Tschumi for the New Acropolis Museum. Or at least a specular dialogue, in which the altitude of the Acropolis, on which the temple of Athena stands, is counterbalanced by the expressive and almost ‘classicistic’ complex of the Swiss architect. How to call into question classicism, in a context that would outshine any emulation comparison, any attempt to establish eye and conceptual concept, any parallel. Well then, classicism – stated by the compositional elements of the ‘architectural order’ characterising the buildings of the Acropolis – is rendered in the new Museum with the same esprit de géométrie, the same sensitivity to proportions and ‘golden’ rules of construction. But not only the culture of the project makes Bernard Tschumi work a classical one, the mastery of expressive artifices, such as large panels on the west front, tilted about 30 degrees off the façade, makes illusory the exhibition monolithic block at the first floor, giving it the appearance of a diaphragm permeable to light and shadow, in a play of chromatic contrasts sensitive to day lighting and viewpoint of the observer. And yet, on the same floor, Tschumi endorses what we might call the ‘à la Laugier’ interpretation of classical language: through the dryness of glass and exposed concrete, the reduction to a minimum of any ornament that disregards the very essence of architecture in its primary elements – beams,
e quasi ‘classicistico’ complesso dell'architetto svizzero. In che modo chiamare in causa la classicità, in un contesto che farebbe impallidire ogni confronto di emulazione, ogni tentativo di stabilire un contatto visivo e concettuale, ogni parallelo. Ebbene, la classicità – declinata negli elementi compositivi dell’‘ordine architettonico’ negli edifici dell'Acropoli – è tradotta nel nuovo Museo con lo stesso esprit de geométrie, la stessa sensibilità per le proporzioni e le regole ‘auree’ del costruire, e si avverte nel rispetto per il luogo, per le preesistenze. Ma non solo è la cultura del progetto che fa dell'opera di Tschumi un'opera classica; la padronanza degli artifici espressivi come le grandi pannellature sul fronte ovest, inclinate di circa 30 gradi rispetto al piano di facciata, rende illusoria la monoliticità del blocco espositivo del piano primo, per conferirgli l’aspetto di un diaframma permeabile alla luce e all’ombra, in un gioco di contrasti cromatici sensibili all’illuminazione diurna e al punto di osservazione del visitatore. E ancora, allo stesso piano, Tschumi fa propria quella che potremmo definire l’interpretazione ‘à la Laugier’ del linguaggio classico: attraverso l’asciuttezza del vetro e del cemento a vista, la riduzione ai minimi termini di qualsiasi ornato che prescinda dall’essenza stessa dell'architettura nei suoi elementi primari – travi, colonne, tamponamenti esterni – il museo riesce finalmente a configurarsi come un contenitore che non ruba la scena al contenuto: è il caso ad esempio della sala delle sculture, gremita di statue su piedistalli, che sembrano quasi aggirarsi come ombre silenziose in un clima surreale nella foresta architettonica di colonne lisce, e in cui la luce lattiginosa, non contraffatta da alcun artificio cromatico, crea un profondo senso di disorientamento, scandito purtuttavia dalle rigide forme architettoniche. Una sensibile rotazione allinea il terzo piano del museo con il Partenone: un accorgimento che, assieme al mantenimento delle dimensioni del tempio classico, rende i due edifici specularmente dialoganti; la ‘piastra’ rotata rispetto alla sua base richiama inoltre quell’armonia costruttiva che nella classicità si rifletteva percettivamente in complessi anche non del tutto simmetrici; basti pensare alla posizione del Partenone stesso rispetto alla collina dell’Acropoli e ai Propilei: lungi dall'essere collocato in asse con questi ultimi, ma parallelo ad essi, il tempio fu innalzato per essere visto di tre quarti, in modo da permettere una visione dinamica e prospettica dell’insieme, che altrimenti risulterebbe invece statica e monodirezionale. Nella prima fase delle lavorazioni sono venuti alla luce i resti di un insediamento urbano alle pendici dell’Acropoli e il progetto ha dovuto adattarsi alle nuove contingenze, ma questo non ha compromesso l'unitarietà dell'intervento: al contrario, la possibilità di integrare questi resti archeologici con la struttura del nuovo edificio ha permesso di ottenere un complesso intrinsecamente legato al luogo e capace di assorbirne le preesistenze.
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nome progetto/project name Nuovo Museo dell’Acropoli/New Acropolis Museum progetto/design Bernard Tschumi Architects, New York and Paris gruppo di progetto/project team Michael Photiadis ARSY, Athens luogo/place Makryianni, Atene superficie totale/total area 21.000 mq/sqm superficie spazio espositivo/showground 8.000 mq/sqm www.tschumi.com
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80 m
planimetria generale/general site plan
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20 m
pianta livello +1/evel +1 plan
pianta livello +3/evel +3 plan
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columns, external walls – the museum is finally able to configure as a container that does not steal the limelight form content: as in the case of the
in complex also not entirely symmetrical; just think about the position of the Parthenon itself with respect to the Acropolis and Propylaea hill. Far from
hall of sculptures, filled with statues on pedestals, which appear almost as silent shadows wandering in a surreal atmosphere in the architectural forest of smooth columns, and in which the milky light, unmodified by any chromatic artifice, creates a strong sense of disorientation, but marked by rigid architectural forms. A sensible rotation aligns the third floor of the museum with the Parthenon: a device that, together with maintaining the size of the classical temple, makes the two mirrored buildings dialoguing, the ‘plate’, rotated with respect to its base, also recalls that constructive harmony that in classical world was perceptually reflected
being placed in line with the latter, but parallel to them, the temple was erected to be seen in three quarters, so that allowing a dynamic and perspective vision of the whole, which would otherwise be rather static and unidirectional. In the first phase of the work came to light the remains of a settlement at the foot of the Acropolis and the project has had to adapt to new contingencies, but this did not compromise the unity of the intervention: on the contrary, the possibility of integrating these ruins with the structure of the new building has resulted in a complex intrinsically linked to the place and able to absorb the existing structures.
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20 m
sezione trasversale trasversal section
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schemi dei materiali utilizzati nei prospetti schemes of the materials used on the faรงades
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Richiamo visivo Baumschlager Eberle, Nordwesthaus, Fussach, Austria
di/by Marco Borsotti foto di/photos by Eduard Hueber, Ines Leong Eye catching A perfect prism, lying on the waters of the Port of Rohner harbour, stands as an overwhelming presence with its absolute and peremp-
Un prisma perfetto, adagiato sulle acque della darsena del Porto di Rohner, svetta come una presenza netta, dalla geometria assoluta e perentoria, scandita da otto fasce orizzontali composte da lastre di vetro reso opalescente da una trama esterna irregolare che le fa somigliare a superfici appena ghiacciatesi.
tory geometry, marked by eight horizontal bands consisting of glass plates, made opalescent by an irregular outer structure, making them look like surfaces just get frosted over. It is the Nordwesthaus, a new Club House of the port, designed by Carlo Baumschlager and Dietmar Eberle in the context of an extensive remodelling operation of the entire area of this portion of Lake Constance, near Fussach, in the Austrian state of Vorarlberg, where a former gravel pit has been converted in a sparkling harbour. It is a tall, slender building that at the reservoir evel provides space for storage and maintenance of boats while the upper floor is used as place for meetings and events. In line with the conceptual approach of the two Austrian designers, always dealing with compact buildings, formerly dominated by rational composition linearity, but often searching for integration with limited plastic signs, also Nordwesthaus presents a lively juxtaposition of architectural codes. In the separation between structure and enclosure, a recurring theme for Baumschlager and Eberle, in fact, a sudden and fluid gestural character interposes between the almost minimalist façade and interior and an unexpected concrete wall emptied by large irregular openings creating a kind of petrified forest. «The irregular structure of the concrete elements compensates the regularity
È la Nordwesthaus, nuova Club House del porto, progettata da Carlo Baumschlager e Dietmar Eberle nell’ambito di una vasta operazione di rimodellamento dell’intera area di questa porzione del lago di Costanza, presso Fussach, nella regione austriaca del Vorarlberg, trasformata da cava per la ghiaia a porto turistico. È un edificio alto e snello che al livello del bacino idrico offre spazio per il rimessaggio e la manutenzione delle imbarcazioni ed al piano superiore serve come luogo per incontri e manifestazioni. In linea con l’approccio concettuale dei due progettisti austriaci, che si misurano sempre con edifici compatti, dove prevale una linearità compositiva di matrice razionale, che però ricerca spesso l’integrazione con limitati segni plastici, anche la Nordwesthaus presenta una vitale sovrapposizione di codici architettonici. Nella separazione tra struttura ed involucro, un tema ricorrente per Baumschlager ed Eberle, si insinua, infatti, una improvvisa gestualità fluida che interpone all’essenzialità quasi minimalista della facciata e degli interni, una inaspettata parete di cemento svuotata da ampie bucature irregolari, che ne erodono la pienezza fin quasi a far prevalere il vuoto, trasformandola in una sorta di foresta pietrificata. «La struttura irregolare degli elementi in cemento si pone a compensazione della regolarità dei rettangoli delle lastre di vetro, mentre la casualità della decorazione di queste evita che si acuisca eccessivamente un contrasto tra il nucleo e l’involucro». Una porosità fisica e visiva che esplode in tutta la sua vivacità quando s’inserisce nella lettura dell’edificio un’ulteriore codice: la luce. Questa, libera di penetrare attraverso i grandi vuoti lasciati dalla struttura e modulata dall’opacità delle lastre esterne, rende la club house un grande prisma traslucido disegnato in controluce dai contrasti d’ombra. Il progetto della luce in mano a Baumschlager ed Eberle diventa soprattutto invenzione cromatica ed in collaborazione con Zumtobel Ledon, trasforma l’edificio in una scatola mutevole e vibrante sottoposta ad un caleidoscopico carosello di colori. Infatti con l’installazione di un coronamento perimetrale di 125 faretti led e 12 RGB led capaci di una gamma cromatica di oltre 16 milioni di colori, l’architettura che si specchia sul lago diventa una macchina scenografica capace di generare qualsiasi tonalità e sfumatura, grazie anche al sistema di controllo DMX, riempiendo di colore ogni cavità e spessore, grazie all’adozione di apparecchi compatti dotati di ottica asimmetrica che assicurano anche una diffusione uniforme della luce all’interno dello spazio. Così alla semplicità formale ed all’esuberanza strutturale si affianca l’invenzione sensoriale e comunicativa, che trasforma la Nordwesthaus in un richiamo visivo paesaggistico irresistibile.
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nome progetto/project name Nordwesthaus progetto/design Baumschlager Eberle capoprogetto/project architect Christoph von Oefele project management/project management Baumschlager Eberle impianti/ building technology GMI – Peter Messner strutture/structural engineer Mader + Flatz sovrastruttura/superstructure Oberhauser – Schedler Bau facciata/façade Glas Marte illuminazione/illumination Ledon Lighting committente/client Hafen Rohner GmbH und CoKG luogo/place Fussach, Austria data progetto/design date 2004 inizio lavori/start 2007 fine lavori/completion 2008 superficie lotto/lot area 15.000 mq/sqm area edificio/building area 117 mq/sqm foto/photos Eduard Hueber, Ines Leong www.baumschlager-eberle.com
of the rectangular glass plates, while the randomness of their decoration prevents the contrast between core and enclosure from over-sharpeningÂť. A physical and visual porosity that explodes in all its vividness when a new code intervenes in the understanding of the building: light. This, free to enter through the large openings left by the structure and modulated by the opacity of the external plates, makes the club house a large translucent prism drawn against the contrasts of shadow. The light design, handled by Baumschlager and Eberle, becomes especially chromatic invention and in collaboration with Zumtobel Ledon, transforms the building into a vibrant and changing box subjected to a kaleidoscopic carousel of colours. In fact, with the installation of 125 LEDs spotlights and 12 RGB LEDs, crowning the perimeter and offering an immense spectrum of more than 16 million colours, and thanks also to the DMX control system, the structure reflecting on the lake becomes a machine capable of generating any hue and shade, filling with colour each cavity and thickness, thanks to the adoption of compact devices equipped with asymmetric optics ensuring a uniform light diffusion into the space., So formal simplicity and structural exuberance are combined with sensory and communicative invention, to transform Nordwesthaus in an irresistible eye-catching landscape.
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pianta piano terra/ground floor plan
0
pianta primo piano/first floor plan
5m sezione aa/section aa
Retorica trasparente A2RC Architects, Centro Congressi SQUARE, Bruxelles
di/by
Alfredo Cisternino
Transparent rhetoric Monts des Arts, the public heart of the twentieth century Bruxelles, bears the marks of late-colonial monumentality (Congress
Il Monts des Arts, cuore pubblico della Bruxelles novecentesca, porta i segni della monumentalità tardo-coloniale (Palazzo dei Congressi) e della politica postbellica di ricostruzione di aree centrali con esiti speculativi, nota come ‘bruxellizzazione’. Da tali caratteri A2RC Architects traggono il concept per
Palace) and postwar policy for reconstruction of the central areas with speculative outcomes, known as bruxellization. From these characters A2RC Architects derive the concept for an intervention winner of a competition held in 2000, an intervention upgrading the public space of the garden renovated by René Pechère and of the Esplanade des Arts, creating new congress and exhibition spaces. The two objectives of the project are assigned to two parts formally distinct: a volume and a series of underground spaces. The first consists of a transparent cube-shaped shell and contains an exhibition area and a system of ramps and walkways that link the level of the garden with the Esplanade des Arts. The underground spaces are divided into 27 auditorium halls of very different sizes (from 40 to 1200 seats) for a total capacity of 3583 seats. The most important part of the complex, in terms of dimensions, therefore does not fulfil neither public function nor public visibility, features, those, that rather denote the transparent volume. So A2RC entrusts the project concept to the latter: to main-
un intervento vincitore di un concorso tenutosi nel 2000, che riqualifica lo spazio pubblico del giardino rinnovato da René Pechère e dell’Esplanade des Arts e crea nuovi spazi espositivi e congressuali. I due obiettivi del progetto sono affidati a due parti formalmente distinte: un volume e una serie di spazi interrati. Il primo consiste in un involucro trasparente di forma cubica e contiene uno spazio espositivo e un sistema di rampe e passarelle che raccordano il livello del giardino con l’Esplanade des Arts. Gli spazi interrati si suddividono in 27 aule auditorium di dimensioni molto diverse (da 40 a 1200 posti) per una capacità totale di 3583 posti. La parte dimensionalmente più rilevante del complesso non ha dunque nè funzione ne visibilità pubblica, caratteri che denotano invece il volume trasparente. É dunque a quest’ultimo che i A2RC affidano il concept del progetto: mantenere ‘le radici storiche’, ‘proiettare nel futuro il Mont des Arts’ e ‘dialogare con l’immagine del giardino’. Alla funzione pubblica del luogo corrisponde il vigore e la chiarezza costruttiva del padiglione di vetro coperto da una piastra metallica. Il suo riferimento tipologico potrebbe essere l’opera di Mies van der Rohe, se l’edificio non fosse decorato da barre metalliche che ricreano la figura di rami d’albero (‘l’immagine del giardino’), attraverso un pattern astratto e frammentato secondo la moda decostruttivista. La decorazione, bandita dalla modernità di primo Novecento, connota qui una monumentalità ‘di terza generazione’, che i progettisti sovrappongono a quelle tardo-coloniale e bruxellizzante. Il padiglione di vetro di Mies incarnava i sogni di Glasarchitektur di Paul Scheerbaart e Bruno Taut e la socialdemocrazia di Weimar. In uno dei principali spazi pubblici della capitale europea (‘nel cuore dell’Europa’ si legge nel sito web di SB), l’intervento di A2RC risuona della retorica della trasparenza delle sedi delle istituzioni create dopo la Caduta del Muro: Glasnost, trasparenza del potere, necessario vuoto ideologiaco, rifiuto programmatico di ogni utopia sociale. Monumentalità ‘mite e poetica’, assorbita nella mitopoietica dell’Europa di Maastricht.
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nome progetto/project name Centro Congressi SQUARE/SQUARE Meeting Centre progetto/design A2RC Architects promotore/developer Palazzo dei Congressi/ Congress Palace ingegneria strutturale/structural engineering Van Wetter – Abidt impianti/MEP engineer DTS – Marcq & Roba ingegneria acustica/acoustics engineer Kahle – Mathys Acoustical project manager/project manager Widnell Europe appaltatore generale/general contractor Jacques Delens – BESIX-CFE artisti/artists René Magritte, Paul Delvaux, Louis Van Lint, Arne Quinze superficie/area 52.000 mq/sqm (incluso 16.000 mq di parcheggio including 16.000 sqm of parking spaces) costo/cost 60.000.000 euro luogo/place Bruxelles, Belgio www.a2rc.be
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Long section A A
AA
AA
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Long section B B
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Meeting r ov
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0 sezione aa/section aa
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Car Park (696 cars)
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Two former garage le transformed into a o double-height exhibitio (Exhibition Hall 2, 823 people / 2.084 m
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Open - air Auditorium (300 seats)
Car Park (700 cars)
Two former garage levels transformed into a one double-height exhibition ha (Exhibition Hall 1, 775 people / 1.720 m²)
Ground floo
pianta piano terra/ground floor plan 0
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tain ‘the historic roots’, ‘to project Mont des Arts in the future’ and ‘to talk with the image of the garden’. To the public function of the place corresponds the constructional strength and clarity of the glass pavilion covered by a metal plate. Its typological reference could be the work of Mies van der Rohe, but it is not, as the building is decorated with metal bars recreating the shape of tree branches (‘the image of the garden’), through an abstract and fragmented pattern according to the deconstructionist way. The decoration, put aside by the modernity of the early twentieth century, here connotes a ‘third generation’ monumentality that the designers overlap to the late-colonial and bruxellizzant ones. The glass pavilion created by Mies embodied the Glasarchitektur dreams of Scheerbaart Paul and Bruno Taut and Weimar social democracy. In one of the main public spaces of the European capital (‘the heart of Europe’ as stated in SB’s website), the intervention of A2RC carries echoes of the rhetoric of transparency of the institutional buildings created after the Fall of the Wall: Glasnost, transparency of power, necessary ideological vacuum, programmatic rejection of any social utopia. ‘Mild and poetic’ monumentality, absorbed into the mythopoeia of Maastricht Europe.
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immagini dell’interno inside spaces’ pictures
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Virginia Tech Lumenhaus, Solar House vista esterna/esterior
Naturalmente energia Virginia Tech College of Architecture and Urban Studies, lumenHAUS
di/by Luca Sgrilli foto di/photos by Jim Storp Lumenhaus è la terza casa solare progettata e realizzata dal Virginia Tech College of Architecture and Urban Studies secondo un programma iniziato nel 2002 e che nel giugno 2010 ha vinto il concorso internazionale Solar Decathlon, che si è tenuto a Madrid. Ispirata alla Farnsworth House di Mies van der Rohe, ne ripercorre in un certo senso il cammino, facendo proprie alcune caratteristiche, come la trasparenza, la forma, l’essenzialità della struttura, il rapporto con il paesaggio circostante. Lumenhaus riesce a bilanciare la qualità del progetto architettonico con la salvaguardia delle risorse e l'efficienza energetica rendendo interessante ed appetibile l'architettura sostenibile anche per gli aspetti formali ed estetici oltre che per quelli etici, economici e ambientali. Obiettivo del progetto è quello di massimizzare, durante le ore diurne, l’esposizione alla luce naturale, con il doppio vantaggio di ottenere benefici fisiologici per gli abitanti della casa (è provato che l'esposizione alla luce solare migliora le condizioni fisiche e psicologiche degli individui) e di accumulare e produrre energia che viene utilizzata, sia di giorno che di notte, per far funzionare le apparecchiature e gli impianti della casa (tanto che l'eventuale surplus di energia viene ceduta, dietro compenso, alla rete elettrica cittadina). Quello che colpisce in questo progetto è proprio la trasparenza, le grandi aperture, che sembrano essere in netto contrasto con qualsiasi considerazione di ‘buon senso’ per il risparmio energetico. Invece gli strumenti di captazione e isolamento, sia passivi che attivi, rendono questa casa assolutamente confortevole da abitare e autosufficiente dal punto di vista energetico. Le pareti nord e sud sono composte da più strati che possono scorrere permettendo così di creare diverse combinazioni per ottimizzare l'illuminazione e l'isolamento termico in ogni condizione di luce e condizione meteorologica. Il cuore di questo sistema, i due strati più esterni, è chiamato Eclipsis System. Uno schermo di chiusura ed ombreggiatura, realizzato intagliando parzialmente con il laser dei cerchi su una lastra inox e piegando, secondo angoli adatti alla localizzazione specifica della casa, le lamelle che ne risultano. In questo modo, quando il pannello è chiuso, la luce (e la visibilità) viene filtrata ed un gioco di luci e ombre viene proiettato all'interno. Il secondo strato è un pannello isolante, realizzato in policarbonato traslucido riempito con Nanogel, un aerogel, anch’esso traslucido, altamente isolante. La semitrasparenza permette alla luce naturale di illuminare l’interno anche in condizioni di protezione termica. Inoltre all’interno del pannello sono contenuti dei led di minima potenza che, emettendo luce dopo il tramonto, restituiscono simbolicamente l'energia assorbita durante il giorno. La casa infine è progettata per essere modulare e flessibile, permettendo, con più moduli di creare unità abitative autosufficienti che rispondano alle necessità di diversi nuclei familiari.
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Naturally energy Lumenhaus is the third solar house designed and built by Virginia Tech College of Architecture and Urban Studies according to a
contrast to any ‘common sense’ consideration for energy saving. The tools for containment and insulation, both
program begun in 2002 and that in June 2010 won the international Solar Decathlon competition, which was held in Madrid. Inspired by the Farnsworth House by Mies van der Rohe, in a sense it retraces its path, by incorporating some features, such as transparency, form, the essentiality of the structure, the relationship with the surrounding landscape. Lumenhaus manages to balance the quality of the architectural design with the safeguard conservation of resources and the energy efficiency, making sustainable architecture interesting and attractive for formal and aesthetic aspects as well as for ethical, economic and environmental ones. The project objective is to maximize, during daylight hours, the exposure to natural light, achieving the double advantage of obtaining physiological benefits for the inhabitants of the house (there is evidence that exposure to sunlight improves the physical and psychological conditions of individuals) and accumulating and producing energy that is used, day and night, to activate the equipment and systems of the house (possible energy surplus is given, for a fee, to the city electricity network). What is striking in this project are its transparency and large openings, which appear to be in sharp
passive and active, make this house very comfortable for living and self-sufficient in energy. The north and south walls are composed of several layers that can slide allowing creation of different combinations to optimize the lighting and thermal insulation in all light and weather conditions. The heart of this system, the two outermost layers, is called Eclipsis System. A locking and shading screen, created by partially laser engraving circles on a steel plate and bending, according to corners suitable for the location of the house, the resulting strip. In this way, when the panel is closed, the light (and visibility) is filtered and a play of light and shadow is projected on the inside. The second layer is an insulation panel, made of translucent polycarbonate filled with Nanogel, an aerogel, also translucent and highly insulating. The translucency allows natural light to illuminate the interior also in thermal protection conditions. In addition, the panel contains minimum power LEDs that emit light after sunset, symbolically returning the energy absorbed during the day. The house is then designed to be modular and flexible, allowing, with multiple modules, the creation of self-sufficient housing units that meet the needs of different families.
Virginia Tech Lumenhaus, Solar House interni/interior pagina precedente: vista notturna e Eclipsis System/previous page: night view and Eclipsis System
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nome progetto/project name Harpa Concert & Conference Centre progetto/design Henning Larsen Architects luogo/place Reykjavik, Iceland committente/client Austurnhofn TR – East Harbour Project Ltd. area/area 29,000 mq/smq date progetto/design date 2007-2011 premi/Type of assignment First prize in international PPP-competition, 2005 foto/photos Osbjÿrn Jacobsen www.henninglarsen.com
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Aurora boreale Henning Larsen Architects, Harpa Centre, Reykjavik
di/by
Lapo Muratore
In Islanda, quella che forse è la nazione dove il rapporto fra luce e oscurità raggiunge le dinamiche più estreme data la vicinanza con il Circolo Polare Artico, sta per essere completato nella capitale, Reykjavik, un nuovo centro per concerti e conferenze, progettato dallo studio danese Henning Larsen Architects, che trae ispirazione proprio dalle luci del nord e dal paesaggio islandese. Il nucleo massiccio interno, accoglie le diverse funzioni di un centro culturale di questo tipo: quattro sale, la più grande da 1.800 posti, flessibili nella loro gestione; spazi per ospitare camerini, sale meeting, uffici, servizi e tutta la logistica necessaria. La tecnologia è all’avanguardia, in particolare per ciò che riguarda l’acustica dei luoghi, con soluzioni in grado di bloccare efficacemente i rumori provenienti dall’esterno, così come di cambiare le frequenze di risonanza della sala per adattarla alle diverse dimensioni richieste dalle specifiche necessità. L’intervento è parte di un programma di rivitalizzazione della parte ad est del porto di Reykjavik che vede nel Centro il medium in grado di riconnettere questa zona al centro della città e al tempo stesso di dialogare con il paesaggio circostante. Al di là degli aspetti funzionali o formali quello che colpisce in quest’opera è la pelle esterna, studiata con l’aiuto dall’artista di origini islandesi Olafur Eliasson, che si adagia sulla massa solida del centro come una sorta di aurora boreale. La facciata sud del complesso (le altre sono una variante bidimensionale di questa) è creata in realtà da poco meno di mille ‘cristalli’ tridimensionali, modulari e autoportanti (che Eliasson chiama ‘quasi brick’, ‘quasi mattoni’), con 12 facce di vetro dicroiche che riflettono e rifrangono, a seconda dell’incidenza della luce, tonalità di verde, giallo e arancio e i loro colori complementari. Durante la notte, che a queste latitudini, in inverno, può essere molto lunga, lo stesso effetto viene dato da file di LED rossi, verdi e blu, integrati nei cristalli e che si accendono con colori e intensità che possono essere controllate singolarmente, permettendo così di riprodurre tutto lo spettro cromatico, come fosse una vera aurora boreale. Il richiamo all’ambiente naturale islandese, nonostante il livello tecnologico del progetto, è continuo e prova ne è che l'ispirazione per la forma dei cristalli (o ‘quasi brick’) viene dalle formazioni cristalline basaltiche che si trovano comunemente in Islanda. D’altronde Eliasson assume la nozione di ‘cristallino’ come metafora del Centro Harpa, un luogo dove le idee si cristallizzano in forme, i suoni in sensazioni, le sensazioni in azioni e le azioni in vita. Ormai mancano poche settimane all’inaugurazione del Centro (il 4 maggio 2011): Harpa diverrà il nuovo landmark della capitale islandese, un punto di riferimento non solo culturale; diverrà simbolo di uno sviluppo urbano che coinvolgerà la città intera e la vita dei suoi abitanti.
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pianta livello 2/level 2 plan 40 m 0
pianta livello 1/level 1 plan
0
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pianta livello 5/level 5 plan 0
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Aurora borealis In Iceland, what is perhaps the nation where the relationship between light and dark reaches the most extreme dynamics given its proximity to the Arctic Circle, is about to be completed in the capital, Reykjavik, a new centre for concerts and conferences, designed by the Danish Henning Larsen Architects office, which draws its inspiration from the northern lights and the Icelandic landscape. The solid inner core welcomes the various functions of a cultural centre like this: four halls, the largest accommodating up to 1800 seated guests, flexible in their management; spaces for dressing rooms, meeting rooms, offices, services, and all the necessary logistics. The cutting edge technology, in particular with regard to acoustics, offers solutions able to effectively block noise coming from outside, so as to change the resonant frequencies of the room to fit the different sizes required by specific needs. The project is part of a program aimed at revitalizing the eastern area of Reykjavik port that considers the Centre a way to reconnect this area to the city centre and at the same time to dialogue with the surrounding landscape. Beyond the formal or functional aspects what is striking in this work is the outer skin, designed with the help of the Icelandic artist Olafur Eliasson, which lies on the solid mass of the centre as a kind of aurora borealis. The south facade of the complex (the others are a two-dimensional vari-
sezione longitudinale/longitudinal section 0
sezione trasversale/cross section
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immagini della realizzazione images of the realization
immagini delle fasi di realizzazione images of the realization process tutte le immagini/all images © Ensamble Studio
ant of this) is actually created from just under a thousand of three-dimensional ‘crystals’, modular and self-supporting (defined by Eliasson as ‘quasi brick’), with 12 faces of dichroic glass reflecting and refracting, depending on the incidence of light, shades of green, yellow and orange and their complementary colours. During the night, which at these latitudes in winter can be very long, the same effect is given by rows of red, green and blue LEDs, embedded in the crystals, which light up with colours and intensities that can be individually controlled, thus allowing the full colour spectrum reproduction, as if it were a real aurora borealis. The reference to the natural Icelandic environment, despite the technological level of the project, is continuous and the proof is that the inspiration for the shape of the crystals (or ‘quasi brick’) comes from the crystalline basalt formations that are commonly found in Iceland. Moreover Eliasson takes the concept of ‘crystalline’ as a metaphor of Harpa Centre, a place where ideas crystallize into forms, sounds into feelings, feelings into actions and actions into life. The inauguration of the Centre is now just a few weeks away (May 4, 2011): Harpa will become the new landmark of the Icelandic capital, a landmark not only cultural; it will become the symbol of an urban development that will involve the whole city and the lives of its inhabitants.
prospetto sud/south elevation 20 m 0
sezione longitudinale/longitudinal section
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Reale virtuale Mader-Stublic-Wiermann, Progetti per installazioni a LED
di/by
Fabio Rosseti
Real virtual The artists Holger Mader and Alexander Stublic, with the architect Heike Wiermann, are part of that Berlin reality often cited as cradle of
Gli artisti Holger Mader e Alexander Stublic, con l’architetto Heike Wiermann, fanno parte di quella realtà berlinese che spesso viene additata come culla di una creatività contemporanea in grado di fare propri gli strumenti più attuali della multimedialità e della comunicazione. Il tema centrale
a contemporary creativity using current multimedia and communication tools. The central theme of their actions is always the investigation of the mechanism of perception in public spaces and therefore their relationship with architecture, in the broadest sense, is very strong, so that it becomes part of their projects. Whether they work on public buildings, skyscrapers, power plants, roads, what they put in place are not just light installations, but true multimedia choreographies that moves constantly along the thin boundary (within media) between reality and simulation. From the interaction they established between architecture and media, such as light, sound and video comes a story, often ironic, that on one hand makes perception mechanism of urban spaces clear and tangible, and on the other enriches architecture with new information layers, new dimensions. In ‘Twist and Turns’, a 2006 project, a mesh made of 160.000 LEDs covers all sides of the Unique Tower in Vienna. When the system activates the lights emphasize the rigorous architecture of the building, of the several floors, of the structural backgrounds... but it takes very little to apparently twist the whole: the rigid vertical lines bend and curve creating new shapes and spaces that change the urban landscape. Another 2006 project, known as ‘Reprojected’, in front of the OSRAM headquarters,
delle loro azioni è sempre lo studio dei meccanismi di percezione negli spazi pubblici e quindi il loro rapporto con l’architettura, in senso lato, è fortissimo, tanto che è essa stessa parte dei loro progetti. Che siano edifici pubblici, grattacieli, centrali elettriche, strade, ciò che loro mettono in atto non sono semplici installazioni luminose ma vere e proprie coreografie multimediali che si muovono costantemente sul labile confine (nel campo dei media) fra realtà e simulazione. Dall’interazione che stabiliscono fra l’architettura e i media come luce, video e suono scaturisce una narrazione, spesso ironica, che da un lato rende più evidenti e tangibili i meccanismi di percezione degli spazi urbani, dall’altra aggiunge nuovi layer di informazione all’architettura, nuove dimensioni. In ‘Twist and Turns’, progetto del 2006, una maglia di 160.000 LED ricopre tutte le facciate della Unique Tower a Vienna. Quando il sistema si attiva le luci sottolineano la rigorosa architettura dell’edificio, i diversi piani, le campiture strutturali... ma basta poco perché tutto questo venga apparentemente stravolto: le rigide linee verticali si piegano e si curvano creando nuove forme, nuovi spazi che modificano il panorama urbano. In un altro progetto del 2006, ‘Reprojected’, di fronte alla sede della Osram a Monaco, una serie di sette steli alte 6 metri e rivestite di led sembrano fare da schermo ad un gioco di luci e ombre, di silhouette, creato da persone che passano di fronte ad una lampada, che di fatto non esiste, se non in una simulazione 3D dello scenario dove personaggi virtuali passeggiano di fronte a luci virtuali. La proiezione sincronizzata sulle steli crea uno spazio visivo continuo che evoca il gioco fra realtà e simulazione. In altri lavori, più recenti, questo gioco si affina. In occasione della Conferenze internazionale sul Clima del 2009 a Copenhagen, l’architettura di una centrale elettrica diviene parte di una installazione video, dove le immagini degli spazi generati al computer e proiettati sulle torri di raffreddamento sono influenzate dall’energia del vento. In ‘Reflection’, del 2010, a Mülheim, le tre vetrine di un negozio, ricoperte da una pellicola da retroproiezione semitrasparente, divengono il confine fra la realtà, che si riflette su di esse, e la finzione dei video che vi vengono proiettati. Infine il progetto di Duisburg, ‘4d House’, che vede gli edifici del Jewish Community Centre fare da sfondo a proiezioni sincronizzate e tagliate in modo da adattarsi esattamente alle forme architettoniche. La coreografia di astratte strutture digitali crea delle linee di tensione energetiche fra i giochi di luce ed ombra virtuali e la intrinseca energia dell’architettura.
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nome progetto/project name 4d House progetto/design Mader Stublic Wiermann, Jewish Community Center committenti/clients City of Duisburg, Twilight Zone luogo/place Duisburg foto/photos Mader Stublic Wiermann, Werner Hannappel sotto/below nome progetto/project name Expanded Space, video-installation progetto/design Mader Stublic committenti/clients Copenhagen International Theather, Dong Energy, Hvidovre Kommune luogo/place Avedøre Holme, Copenhagen, Danimarca in apertura/opening page nome progetto/project name Twists and Turns, installazione permanente/permanent installation progetto/design Mader Stublic Wiermann committente/client Uniqa luogo/place Uniqa Headquarters, Vienna foto/photos HervÊ Massard
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in queste pagine/in these pages nome progetto/project name Reprojected installazione permanente/permanent installation progetto/design Mader Stublic Wiermann committente/client Osram luogo/place Osram Headquarters, Monaco foto/photos Mader Stublic Wiermann www.webblick.de
consists of seven double-sided 6 meters highLED steles acting as a screen for a play of light and shadow, of silhouettes, created by people walking by and posing in front of spotlights that do not really exist, as the installation is based on a full-scale 3-d-simulation of the entire scenario. The synchronized projection on the steles creates a continuous visual space that evokes the play between reality and simulation. In other more recent works this play refines. On the occasion of the International Climate Conference in Copenhagen in 2009, the architecture of a power plant becomes part of a video installation, where computer-generated images of space projected on the cooling towers are influenced by wind-energy of wind. In 'Reflection', 2010, Mülheim, the three display windows of a shop, covered with a semi transparent rear projection screen film, becomes the border between reality, reflected on them, and fiction of the videos projected. Finally the project in Duisburg, ‘4d House’, in which the building of the Jewish Community Centre acts as a background for synchronized projections shaped to exactly adapt to the architectural forms. The choreography of abstract digital structures creates energy tension lines between the virtual light and shadow plays and the intrinsic energy of the architecture.
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Storie di luce Antonino Cardillo, House of Convexity, Barcellona, Spagna
di/by
Fabio Rosseti
Stories of light Light and architecture, nothing is more obvious, nothing more surprising. The recognition of the close relationship between light,
Luce e architettura, niente di più ovvio, niente di più sorprendente. Il riconoscimento dello stretto rapporto che intercorre fra la luce, qualunque sia la sua natura, e l’architettura, nella sua accezione più ampia di organizzazione dello spazio, credo si possa considerare una delle azioni più intuitive e
whatever its nature, and architecture, in its broadest sense of space organization, I think can be considered one of the more intuitive and spontaneous actions of the individual. Anyone, at almost unconscious level, is able to perceive as light, and therefore shadows, allow the reading of volumes and spaces (as already stated by Le Corbusier and Giedion), perceiving depths, distances and materiality of surfaces. Light, affecting architecture, can however enhance its metaphorical meaning, the aesthetic quality, the language, as well as the purely physical and dimensional aspects. We could then say that there are two levels of interpretation of this relationship: one is more rational, perhaps ‘colder’, made of reflection and refraction physical laws and reflection angles like the incidence ones, determining what the eye, objectively, can see; the other is more emotional, where the same physical laws cause deeper reactions, more intimate, defining what the eye wants or can see. One of the best examples of this dualism is no doubt ‘House of Convexity’, a house designed by Antonino Cardillo, a young Italian architect from Sicily, and built in 2008 near Barcelona, Spain. The author's research on the theme of light is present in all his work, but in this convex space the dynamism given to every
spontanee proprie dell’individuo. Chiunque, a livello quasi inconscio, è in grado di percepire come la luce, e quindi le ombre, permettano di leggere i volumi e gli spazi (come già affermavano Le Corbusier e Giedion), di percepire le profondità, le distanze, la matericità delle superfici. La luce che incide su un’architettura è tuttavia in grado di esaltarne anche il significato metaforico, la qualità estetica, il linguaggio, oltre che gli aspetti puramente fisici e dimensionali. Potremmo dire che esistono quindi due piani di lettura di questo rapporto: uno più razionale, forse più ‘freddo’, fatto di leggi fisiche di riflessione e rifrazione, di angoli di riflessione uguali a quelli incidenza, che determinano ciò che l’occhio, oggettivamente, vede; l’altro più emotivo, dove le stesse leggi della fisica provocano reazioni più profonde, più intime, determinando ciò che l’occhio vuole o può vedere. Uno degli esempi più calzanti di questo dualismo è senza dubbio House of Convexity, Casa della convessità, un’abitazione progettata da Antonino Cardillo, giovane architetto italiano di origine siciliana, e realizzata nel 2008 vicino a Barcellona, in Spagna. La ricerca dell’autore sul tema della luce è presente in ogni suo lavoro, ma in questo spazio convesso la dinamicità impressa ad ogni elemento architettonico è sottolineata dalla luce che attraversa o colpisce ognuno di essi. Volumi convessi si intersecano, si scompongono, si sommano in una sorta di danza flamenca, come Cardillo stesso la definisce, una danza (ed un canto) popolare ma ricca di passione. L’architettura per Cardillo (come il flamenco) è una narrazione, complessa nella sua esposizione ed articolazione ma che nasce da elementi semplici, discreti. In questo racconto i singoli volumi e le singole superfici, geometricamente riconoscibili, si fondono con le lame di luce incidente, che penetrano attraverso la vetrata schermata del soggiorno o la vetrata libera della zona pranzo, e con la luce indiretta che viene riflessa e scomposta dalle superfici curve delle pareti e del soffitto. La razionalità delle leggi fisiche mi dice che la luce riempie questo spazio grazie a superfici convesse e ad angoli di incidenza che divengono angoli di riflessione in un gioco di sponde ininterrotto; il cuore e l’occhio più profondo mi dicono invece che la luce è parte di questa architettura, che lo spazio in cui mi muovo non è vuoto ma è ricco delle storie che la luce racconta, che quei volumi e quelle superfici sono pagine su cui la luce scrive un ipertesto che attraverso il rimando a significati e informazioni diverse narra la storia della vita che si svolge nella casa.
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nome progetto/project name House of Convexities progetto/design Antonino Cardillo luogo/place Barcellona, Spagna fine lavori/completion 2008 superficie/area 230 + 130 mq/sqm (su due livelli/on two levels) www.antoninocardillo.com
pianta piano terra/ground floor plan
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6m
pianta primo piano/first floor plan
architectural element is underlined by light passing through or striking each of them. Convex volumes intersect, split, add up in a sort of flamenco dance, as Cardillo himself calls it, a popular dance (and a song), but rich in passion. The architecture, according to Cardillo (such as flamenco), is a narration, complex in its exposition and articulation, but that comes from simple, discrete elements. In this narration the individual volumes and surfaces, geometrically recognizable, blend with the blades of incident light, which passes through the window screen of the living-room or the clear window of the dining area, and with the indirect light reflected and split by the curve surfaces of walls and ceiling. The rationality of physical laws tells me that light fills this space thanks to convex surfaces and incident angles becoming reflection angles in a game of uninterrupted edges; the heart and the deeper eye tell me, instead, that light is part of this architecture, that the space in which I move is not empty, but is rich of stories told by light, that those volumes and surfaces are pages on which light writes a hypertext that, referring to meanings and different information, tells the story of the life taking place in the house.
interno/interior sotto: spaccato assonometrico below: axonometric view
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Š Thomas Liu
Foresta luminosa In order to get the most functional space, the project
In order to get the most functional space, the project
In order to get the most functional space, the project
The structure is positioned to create visibility.
The positions of columns create a sequence of overlapping spaces.
A continuous floor creates a flexible space.
Columns create benches, and are tilted to give lateral stability.
The project has a transparent structure in order to give natural light under the shelter.
The structure is positioned to create visibility.
The positions of columns create a sequence of overlapping spaces.
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A continuous floor creates a flexible space.
Columns create benches, and are tilted to give lateral
The project has a transparent structure in order to give
stability.
natural light under the shelter.
The positions of columns create a sequence of overlapping
The structure has height so that it catches sunlight and
The translucent glass pattern and the structure creates a
spaces.
creates visibility.
lantern effect at night.
covers the largest possible area allowed.
Atelier Oslo/AWP, Lanterna, Langgata, Norvegia The structure is positioned to create visibility.
A continuous floor creates a flexible space.
covers the largest possible area allowed.
covers the largest possible area allowed.
In order to get the most functional space, the project
A continuous floor creates a flexible space.
covers the largest possible area allowed.
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Concept In order to create a pleasant meeting place for the people of Sandnes there are certain ambitions that has formed the project.
The structure is positioned to create visibility. 10
The positions of columns create a sequence of overlapping
The structure has height so that it catches sunlight and
The translucent glass pattern and the structure creates a
spaces.
creates visibility.
lantern effect at night.
di/by
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Mara Corradi
Concept
In order to create a pleasant meeting place for the people of
Sandnes there are certain ambitions that has formed the project.
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The forest of light Honoured with the title of European Capital of Culture in 2008, the city of Stavanger in Norway organized “Open Port”, a program of initia-
Onorata del titolo di capitale europea della cultura nel 2008, la città di Stavanger in Norvegia organizzò ‘Open Port’, un programma di eventi che spaziava dall’architettura alla letteratura, alla musica, alle arti visive, stimolando l’iniziativa di tutti i suoi comuni. La municipalità di Sandnes partecipò con una serie
tives in fields ranging from architecture to literature, music, visual arts, stimulating the initiative of all its metropolitan area. The municipality of Sandnes participated with a number of activities, including the “Norwegian Wood” competition promoting sustainable wooden constructions. One of the competition categories dealt with the theme of urban space as a place to stop and share, and involved setting up a plaza at the crossroads between Flintergaten e Laggaten, two pedestrian streets near the harbour. The competition winner, a group including Atelier Oslo of Norway and the French studio AWP, imagined a roof for the little plaza, a roof sheltering cultural and social activities such as markets, events and informal concerts, organised by the town and offering citizens a plaza to gather in. Designed with two-gabled roof, of which there are many examples on the street, it is inspired by the archetypal home and is supported by four sets of oak columns set in from the perimeter of the roof, with steel joints, and each one different from the other, the structure looks like a tree house. The roof is not solid, but is made up of a grid of laminated pine elements, primary and secondary, measuring 9x9 cm in cross section with steel reinforcements, on which a layer of glass rests to form the roof itself. Assembled so that they partially overlap, as in a traditional slate roof, the square units making up the roof are anchored to one another to
di attività, tra le quali il concorso ‘Norwegian Wood’, per promuovere la costruzione in legno locale per i suoi valori di sostenibilità. Una delle gare del concorso trattava il tema dello spazio urbano come luogo di sosta e condivisione, e chiedeva di allestire una piazzetta all’incrocio tra Flintergaten e Laggaten, due vie pedonali in prossimità dell’area portuale. Vincitore della gara, il gruppo composto dai norvegesi Aterlier Oslo e dallo studio francese AWP, immaginò una copertura per la piccola piazza, che fungesse da tetto alle attività culturali, mercati, manifestazioni e concerti informali, organizzate dal comune, oltre che al libero incontro dei cittadini. Disegnata con tetto a due falde, come molti edifici nella stessa via, è ispirata all’archetipo dell’abitazione e, sorretta da quattro colonne in rovere massiccio con giunti d’acciaio, ognuna diversa dall’altra e rientranti rispetto al perimetro della copertura, la struttura sorride al contesto, rimandando all’immagine della casa sull’albero. Il tetto non è pieno, ma è composto da una griglia di elementi di pino lamellare, primari e secondari, di 9x9 cm in sezione, e rinforzi in acciaio, sulla quale si appoggia un manto di vetro che costituisce la copertura vera e propria. Montati parzialmente sovrapposti, come in un tetto di ardesia, i moduli quadrati che costituiscono la copertura sono fissati reciprocamente in modo da essere solidali e poi ancorati direttamente agli elementi in legno, evitando l’inserimento di uno scheletro metallico che avrebbero gravato sull’immagine generale. Lungo il perimetro della struttura, una serie di fari puntano verso la sua sommità interna trasformando l’architettura in una lanterna a scala urbana. Di notte, l’illuminazione ne esalta la leggerezza che di giorno è valorizzata dalla luce naturale per mezzo della copertura in vetro. Passanti e astanti possono spalancare lo sguardo al cielo in un luogo circoscritto e definito che pur non appare chiuso e limitato, ma in dialogo continuo con il contesto urbano. Con rispettoso omaggio alla natura, le quattro colonne si biforcano sia verso l’alto per sostenere in più punti la copertura, sia verso il basso per ancorarsi più saldamente al suolo, assumendo l’aspetto di alberi con rami e radici. La loro distribuzione non segue una maglia e non ripartisce uniformemente lo spazio coperto, ma è pensata in modo da offrire diversi momenti di fruizione, piccoli o grandi, perimetrali o centrali, anche aggregabili tra loro. Sfuggente alle definizioni tipologiche, la Lanterna è una piazza che non rinuncia ad essere luogo di transito, dove arrestarsi un momento, sedendosi sulle panche ‘scolpite’ nelle colonne, e prendere parte alle temporanee esibizioni organizzate dalla città. è un belvedere cittadino, ricco di scorci che non si fa mancare quello verso il cielo; è un landmark che usa l’iconografia della casa tradizionale per emergere come monumento, punto di orientamento nella città e nella notte. Oggetto luminoso fuori scala, la Lanterna è soprattutto installazione urbana al confine tra le arti.
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nome progetto/project name La Lanterna The Lantern progetto/design : Atelier Oslo – Thomas Liu, Nils Ole ‘solo’ Brandtzæg, Marius Mowe, Jonas Norsted, Bosheng Gan e/and AWP – Matthias Armengaud, Marc Armengaud, Alessandra Cianchetta, Arnaud Hirschauer strutture/structures Kristoffer Apeland acustica/acoustics Sweco consulente illuminotecnico/lighting consultant COWI committente/client Sandnes Municipality luogo/place Sandnes, Ragna Stakland, Norvegia superficie costruita/built area 140 mq/sqm superficie lotto/lot area 500 mq/sqm volume/volume 900 mc/cm progetto/design date 2007 inizio lavori/start 2008 fine lavori/completion novembre/November 2008 costo totale/total cost 1.212.784 euro foto/photos Thomas Liu, Haakon Eikesdal, Marius Mowe, Jonas Adolfse www.atelieroslo.no
xxx xxx xxx Cross section through whole structure
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© Jonas Adolfse
form a solid structure and anchored directly onto the wooden structure, so it was unnecessary to create a metal skeleton to hold them together resting on the general image. Along the perimeter of the structure, there is a set of spotlights on the inside point outward to underline the architecture, making it into an urban lantern. By night, lighting heightens the lightness that by day is enhanced by natural light through the glass cover. Passers-by and onlookers can lift up their eyes unto heaven in a defined, but not limited and enclosed place, a place engaged in a continuous dialogue with the urban context. With respectful homage to nature, the four columns are forked at the top to support the roofing at multiple points and at the bottom to anchor solidly onto the ground so that they look like trees with rots and branches. Their distribution is not geometric and uniform, but organised so as to offer a variety of different spaces, large and small, around the outside or in the middle, which may also be combined together. Eluding typological definition, the Lantern remains a place of transit, under which to stop for a moment and sit down on a bench formed out of a column to take part in one of the temporary exhibitions organised by the city. It is a visual landmark for the community, offering various views including the one towards the sky; a landmark that uses the traditional house iconography to emerge as a monument, an orientation point in the city and into the night. Bright object out of scale, the Lantern is primarily an urban installation situated on the border between the arts.
a
Next page Situation plan
pagina precedente: sezione trasversale dell’intera struttura/previous page: cross section of the structure 36 sotto: vista notturna da cui emerge la componente illuminotecnica determinante/below: night view. Determinant lighting component
planimetria/general site plan
Next page Rooftop section
disegno della pavimentazione in cemento e sezione in corrispondenza del tetto/flooring drawing and plan section below the roofing
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pianta/plan 37
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scatti nelle fasi di progettazione con modelli di studio e di realizzazione della copertura ad elementi prefabbricati in pino lamellare/ images of the design phase with study models and realization models of the roofing with laminated and prefabricated pine elements
Elements
rivestimento di vetro glass cladding
struttura del tetto roof structure
pilastri coloumns
base di cemento concrete base
Glass cladding
Roof structure
Columns
esploso delle componenti e identificazione degli elementi/aonometric view of the
Concrete base components and elements’ identification
© Thomas Liu
sezione longitudinale aa aa longitudinal section
il tetto a due falde della Lanterna si integra con quelli degli edifici preesistenti, mostrando l’appartenenza dell’architettura al luogo/the Lantern’s double pitch roof is perfectly integrated with the ones of the preexistent buildings. That kind of roof shows the strong relation with the existing architecture
xxx xxx xxx Longitudinal section
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© Marius Mowe
dettaglio della copertura con vetri quadrati solidali l’uno all’altro e poi fissati direttamente alla struttura in legno/detail of the roofing with squared integral glasses. The glasses are fixed to the wooden structure directly
Strumento di ricerca Giulia Pellegrini intervista/interviews Giovanna Griffo foto di/photos by Giovanna Griffo Research instrument I Giulia Pellegrini One of the biggest questions regarding this topic is whether photography is to be taken as objective documen-
Giulia Pellegrini Uno dei più grandi quesiti sul tema è se la fotografia debba intendersi come documentazione oggettiva o farsi opera d’arte essa stessa. Che ne pensa? Giovanna Griffo è indubbio che la fotografia sia un hobby popolare, un mestiere, un’attività commerciale
tation or a work of art itself. What do you think? Giovanna Griffo There is no doubt that photography is a popular hobby, a profession, a business for many, a profession for some, a tool for science for others and, perhaps, a science itself. Once it was discussed as if it were an art, but I feel this debate has now closed. The use of the camera does not prevent the photographer from being recognized as an artist, as the use of the typewriter does not devalue the poet or the writer. However, the camera, or the typewriter for that matter, does not make the artist: they are only tools. Concerning the alleged objectivity of photography, as Neil Leifer said: «The photograph does not show reality, but our idea of it». Remember photography is only a snapshot of what we are observing, a two-dimensional rectangle where the ideas, the sensitivity, culture and vision of the photographer all come together. At the very instant the photographer puts an eye to the viewfinder, choices are made: what is or is not included, what is emphasized and what is hidden, a process that continues even afterwards, all along the creative process of developing and printing the image. It is impossible therefore that photography could be an objective documentation. There is nothing more concise and full of messages than a picture, that arrives like a bolt of lightning to immerse the senses of the viewer. But, to be able to do this, a
per molti, una professione per alcuni, uno strumento per la scienza e, forse, una scienza essa stessa. Una volta si discuteva se fosse anche un’arte, ma credo che oggi il dibattito sia chiuso. L’uso dell’apparecchio fotografico non impedisce al fotografo di essere considerato un artista, proprio come l’uso della macchina per scrivere non squalifica il poeta o lo scrittore. Tuttavia la macchina fotografica, o la macchina da scrivere, non fanno l’artista: sono soltanto strumenti. Riguardo poi la presunta oggettività della fotografia, vorrei citare Neil Leifer: «La fotografia non mostra la realtà, mostra l’idea che se ne ha». Non dimentichiamo che la fotografia è solo una parcellizzazione di ciò che stiamo osservando, un rettangolo bidimensionale all’interno del quale confluiscono le idee, la sensibilità, la cultura e la visione del fotografo. Nel momento stesso in cui il fotografo mette l’occhio nel mirino si compiono delle scelte: cosa viene incluso nel fotogramma e cosa no, cosa viene enfatizzato e cosa nascosto, e questo processo continua anche dopo, lungo il processo creativo di sviluppo e stampa dell’immagine. è quindi impossibile che la fotografia possa essere una documentazione oggettiva. Niente come l’immagine è più sintetica e densa di messaggi che arrivano dritti come un fulmine, attraverso l’occhio di chi guarda, nella testa e nel cuore. Però, per riuscire a far questo, è necessaria una dote, rara, quanto preziosa: saper allineare occhio, cuore e mente, come diceva Henri Cartier Bresson. Da questo allineamento allora fluisce tutto, tutto ciò che è in noi stessi e verso noi stessi, il mondo entra dentro di noi e ne fuoriesce ancora più ricco, più completo, più vero anche. Ecco che non c’è più distinzione fra vedere e sentire, il mondo parla attraverso te e tu parli attraverso il mondo. E si può anche fare arte con la fotografia, perché l’artista è colui che è in grado di scorgere l’ordine nel caos, la bellezza nella banalità, mostrando il mondo in un modo in cui non era mai stato visto prima. GP Un tema dibattuto è se esista o meno la ‘fotografia d’architettura’. Che posizione ha in merito? GG Dire che non esista la fotografia di architettura equivarrebbe a dire che non esiste la fotografia di ritratto. Fotografare architettura non vuol dire forse esaltare e enfatizzare i tratti più profondi e significativi di un’opera architettonica, svelare la trama segreta della sua materia, il suo rapporto spaziale con l’ambiente circostante, cogliere la sua essenza significativa, proprio come si fa quando cerchiamo di ritrarre una persona? GP Le fotografie, mezzo di comunicazione, dovrebbero ritrarre la materia o rappresentare l’architettura e le intenzioni dell’architetto? In questo secondo caso pensa che l’occhio del fotografo risulterebbe messo in secondo piano rispetto all’idea dell’architetto?
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sopra: vista notturna del Museo Guggenheim, Bilbao (Spagna) above: night view of the Guggenheim Museum, Bilbao (Spain) in apertura: interno del Gran Domein Silken Hotel, Bilbao (Spagna) opening page: interior of the Gran Domein Silken Hotel, Bilbao (Spain)
precious gift is required: the ability to align eye, heart and soul, as Henri Cartier Bresson once said. From this alignment, everything flows, everything that is in ourselves and to ourselves, the world enters into us and comes out more vivid, more complete, and also more real. So there is no distinction between seeing and feeling, the world speaks through you and you speak through the world. And with photography it is also possible to make art, as the artist is one who can see order in chaos, beauty in the banal, showing the world in a way that had never been seen before. GP A much debated issue is whether or not there is ‘architectural photography’. What is your position regarding this? GG To say that architectural photography does not exist would be like saying that portrait photography does not exist. Does not photographing architecture allow us to enhance and emphasize the most profound and significant traits of an architectural work? To unveil its secret history, its spatial relationship with the environment, and to grasp its significant essence, just as we do when trying to portray a person? GP Should photographs intended as media, portray the subject matter or represent the architecture and the intentions of the architect? In the second case do you think that the eye of the photographer would be sidelined with respect to the idea of the architect?
GG I think that today architectural photography should free itself of the function of merely representing the subject matter. Today there are very sophisticated systems able to reproduce the interaction between surface materials and light, incorporating very advanced visual simulation processes. That’s why I think that photography can somehow be ‘freed’ from the obligation to provide that documentary information it was first appointed for. Finally, now that there is the possibility of having full freedom of expression and interpretation, even at the cost of creating distortions in vision, suggesting rather than showing, making surreal what first had at all cost to correspond as much as possible to the ‘real’. I do not think that this process of creative interpretation may overshadow the idea of the architect, but rather, I think it can extrapolate many more expressions with respect to the original idea, giving the work a communicative potential exponentially infinite. GP Many famous photographers, for example Gabriele Basilico and Guido Guidi, have a background in architecture. Your training however is of a scientific-computing kind, but you grew up in an environment steeped in art. How do you live this duality and how do you transmit it through your work? GG I consider myself very lucky to have this dual cultural background, it allows me to exploit both
particolare di struttura nel quartiere Oriente di Lisbona (Portogallo)/detail of a building in the Orient district in Lisbon (Portugal)
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the technical, methodical, rational, logical approach resulting from my scientific training, with the irrational, creative, impulsive one of my arts education. Being born amongst canvases and paint brushes I keep a strong bond with this form of artistic expression. Even with photography I can paint, first by carefully choosing the light, and then, under the development phase, by creating my very special and unique photographic vision, being able to shape and emphasize the light and colours, just as an infinite variety of brushes are available. GP Your photographs of the town are often detailed images that play with the geometry of the architecture and create similarities with the everyday. How can you interpret that abstraction you implement? GG My research in architectural photography is expressed through the strong desire to find the beautiful and the unusual, exploring seemingly insignificant and sterile spaces, impersonal, banal and devoid of any immediate attraction. My aim was to unhinge the cold, haunting space delimited and, at the same time, increased by the buildings. I try to find an order, a new meaning, a metaphor, something that can remove that veil of indifference and banality from the ordinary and turn it into a new fabulous everyday. The confusion that arises is only temporary. After careful observation, there is a feeling of regaining possession of a space that had been unfairly taken away.
GG Penso che oggi la fotografia di architettura possa anche affrancarsi dal compito di mera rappresentazione della materia. Ci sono oggi sistemi sofisticatissimi di riproduzione delle reazioni dei materiali di superficie alla luce, con percorsi di simulazione visiva molto avanzati. Ecco perché penso che la fotografia si possa in qualche modo ‘liberare’ dall’obbligo di fornire quelle informazioni documentative a cui prima era demandata. Finalmente ora c’è la possibilità di avere la piena libertà espressiva ed interpretativa, anche a costo di creare distorsioni nella visione, di suggerire piuttosto che mostrare, di rendere surreale quello che prima doveva far ad ogni costo corrispondere il più possibile al ‘reale’. Non credo che questo processo di interpretazione creativa possa mettere in secondo piano l’idea dell’architetto, ma anzi, credo possa estrapolare ancora più molteplici espressioni rispetto all’idea originale di partenza, conferendo all’opera una potenzialità comunicativa esponenzialmente infinita. GP Molti noti fotografi, pensiamo solo per fare due esempi a Gabriele Basilico e Guido Guidi, hanno alle loro spalle una formazione da architetti. La sua formazione invece è di tipo scientifico-informatico, ma è cresciuta in un ambiente intriso d’arte. Come vive questa duplicità e come la trasmette alle sue opere? GG Mi ritengo molto fortunata ad avere questo duplice background culturale, mi permette di sfruttare al meglio sia l’approccio tecnico, metodico, razionale e logico derivante dalla mia formazione scientifica, che quello irrazionale, creativo, impulsivo della mia educazione artistica. Essendo nata in mezzo a tele e pennelli mantengo un legame molto forte con questo mezzo di espressività artistica. Anche con la fotografia si dipinge, prima scegliendo con cura la luce e poi in fase di sviluppo creando la mia particolarissima ed unica visione fotografica, riuscendo a plasmare ed enfatizzare la luce e i colori, proprio come si disponesse di infinite varietà di pennelli. GP Le sue foto della città sono spesso immagini di dettaglio che giocano con le geometrie dell’architettura e creano assonanze con il quotidiano. Come si può interpretare questa astrazione che attua? GG La mia ricerca nella fotografia di architettura si esprime attraverso il desiderio forte di trovare il bello e l’inusuale, esplorando spazi apparentemente insignificanti e asettici, impersonali, banali e privi di qualsiasi attrattiva immediata. Il mio scopo è stato quello di scardinare lo spazio freddo, ossessivo, delimitato e allo stesso tempo moltiplicato, dagli edifici. Cerco di trovare un ordine, un nuovo significato, una metafora, qualcosa che possa togliere quel velo di indifferenza e banalità dell’ordinario per trasformarlo in nuovo quotidiano straordinario. Il disorientamento che ne scaturisce è solo momentaneo. Dopo un’attenta osservazione si ha la sensazione di essersi riappropriati di uno spazio che ci era stato ingiustamente sottratto.
sopra: vista verso l’Oceanario di Lisbona (Portogallo)/above: view towards the Lisbon Oceanårio (Portugal) pagina seguente: particolare della stazione metropolitana Oriente di Lisbona (Portogallo)/following page: detail of the Orient metro station in Lisbon (Portugal)
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Intervista a Giancarlo Cauteruccio
L’architettura e la luce
Interview with Giancarlo Cauteruccio
Architecture and light
a cura di/edited by
Pietro Gaglianò
Giancarlo Cauteruccio, da quando nel 1977 fonda il gruppo ‘il Marchingegno’, basa la propria ricerca su un’idea di architettura sensoriale come approccio conoscitivo della città, realizzando azioni e installazioni di attraversamento linguistico tra la luce e il suono, lo spazio e il corpo, che vengono ospitate tra l’altro al Museo d’Arte Moderna di Roma, al Forte Belvedere a Firenze, al Palazzo delle Esposizioni di Roma, al Castello dell’Imperatore a Prato, al Castello Sant’Elmo di Napoli. Nel 1982 Cauteruccio dà vita al gruppo Krypton, dove viene messa a fuoco l’applicazione delle tecnologie multimediali ai linguaggi artistici, muovendosi in modo realmente pionieristico su un campo di sperimentazione all’epoca largamente inesplorato. Al centro della sua opera, e delle sue ricerche teatrali e architettoniche, l’elemento cardine è la luce, spazio dell’azione e vettore di una visione spettacolare e poetica dello spazio architettonico, ambientale e teatrale. In questo contesto la luce non viene esperita solo come fenomeno fisico, o come espediente tecnico, ma indagata in termini linguistici, poetici e filosofici: riflessioni da cui scaturiscono progetti che traggono riferimenti nella tradizione biblica e nelle altre cosmogonie dell’area mediterranea, dove la luce è il primo elemento sensibile che presiede alla creazione del mondo e poi genera i corpi e le forme, rivelandoli. Tra i molti progetti su scala urbana di Cauteruccio si ricordano ‘Intervallo’, 1984, realizzato a Firenze sull’Arno, tra Ponte Vecchio e Ponte alle Grazie, e ‘Metamorfosi’ che lo consacra sulla scena internazionale venendo presentato nella Hauptplatz di Linz, Austria, e in seguito riadattato per Piazza Santissima Annunziata a Firenze, per l’anno Europeo della Cultura. In oltre trent’anni di attività il Teatro Architettura di Cauteruccio scardina e reimpagina gli assetti formali delle più importanti piazze delle città italiane ed europee, da Kassel a Oslo, da Mosca a Zagabria, fino alle romane Piazza Venezia e Piazza del Popolo dove nel 2009 viene realizzato il suo progetto ‘Laboratorio per l’addestramento della Luce – Nuove Iridescenze’, nell’ambito delle celebrazioni del Centenario Futurista. Pietro Gaglianò Il tuo lavoro sulla luce si profila come un’indagine che attraversa la storia stessa del rapporto tra l’uomo e il teatro, nella decifrazione dei pieni e dei vuoti, dei volumi, delle ombre. Lo spazio architettonico diventa il luogo di un’azione che reca gli strumenti e la sensibilità di un’operazione di taglio teatrale.
Giancarlo Cauteruccio Da quando mi sono misurato con il teatro ho sempre immaginato lo spazio della scena come città virtuale, e questo mi ha portato a considerare la città come luogo dinamico non solo per l’espressione, ma anche per l’elaborazione dell’azione sociale e comportamentale dell’individuo. Il rapporto tra uomo e organismo urbano è sempre al centro del mio lavoro; e non a caso uso il termine ‘organismo’ pensando alla città, anzi è proprio questa metafora a fornire la chiave di interpretazione della mia ricerca. Il corpo, infatti, è l’elemento fondamentale di ogni espressione teatrale, composto da arterie, sistemi, organi, mentre la città ha una conformazione simile, come se del corpo fosse una specie di proiezione, un’espansione: un organismo all’interno del quale pulsano il ritmo, la velocità, il pieno e il vuoto, l’ombra e la luce. La città ha un tessuto sensoriale, e quando ero un giovanissimo studente di architettura immaginavo che la funzione dell’architetto fosse quella di sollecitatore di sensorialità. PG Sulla città intervieni con la luce. GC La luce è uno strumento di scrittura, un dispositivo attraverso il quale disegnare, reinterpretare, raccontare e sollecitare le energie che l’architettura contiene in sé, ma che vengono celate da una malintesa idea di staticità. Ho sempre pensato che gli stili dell’architettura contenessero un’energia espressiva, dinamica, e per questo per me la città è il cantiere in cui viene messo in opera tale azione. PG Dalle tue parole sembra che l’arte abbia il potere di modificare la realtà. GC L’arte modifica la realtà e in qualche modo la qualifica, la restituisce ai sensi e alla sua stessa natura, che è dinamica. L’arte è veicolo di approfondimento, è strumento attraverso il quale si passa dai luoghi di superficie a quelli dell’interiorità, dal sentimento del piacere alla comprensione del dolore, generato da ogni processo di conoscenza. L’arte è continua denuncia dei fatti, e deve farci i conti. Uno dei miei primi lavori si intitolava ‘Alla luce dei fatti – fatti di luce’. PG Il tuo lavoro con la luce sulle architetture si esplicita in moltissime chiavi formali che, attraverso una gamma vastissima, spesso approdano all’uso della parola proiettata. Una parola di luce, che diventa una parola di pietra. GC La città è come un libro, quindi deve raccontare. Narra le sue potenze morfologiche, e i suoi potenziali semantici, con l’uso della scrittura che trasforma ogni muro in una superficie dinamica. La facciata architettonica assume così una
Giancarlo Cauteruccio, since in 1977 founded the group ‘il Marchingegno’ [the Gimmick], bases its research on an idea of sensory architecture intended as cognitive approach to the city, creating installations and actions as language crossing between light and sound, space and body, that are hosted, among others, in the Museum of Modern Art in Rome, in the Forte Belvedere in Florence, Palazzo delle Esposizioni in Rome, Castello dell’Imperatore in Prato, Castel Sant’Elmo in Naples. In 1982 Cauteruccio founded the Krypton group, which focuses the application of multimedia technologies in language arts, moving in a truly pioneering way within a testing area at the time largely unexplored. At the heart of his work, and all his theatrical and architectural researches, the key element is the light, intended as space of action and vector of a spectacular and poetic vision of architectural, environmental, theatrical space. In this context, light is not only experienced as a physical phenomenon, or as a technical device, but is investigated in language, poetic and philosophical terms: reflections from which projects arise that draw references in the biblical tradition and in the other cosmogonies of the Mediterranean area, where the light is the first sensing element which governs the creation of the world and then generates the bodies and forms, revealing them. Among the many Cauteruccio’s urban scale projects are mentioned ‘Intervallo’, 1984, made in Florence on the Arno, between Ponte Vecchio and Ponte alle Grazie, and ‘Metamorfosi’ which established him on the international scene being presented in the Hauptplatz of Linz, Austria, and then readapted for Piazza Santissima Annunziata in Florence, for the European Year of Culture. In over thirty years Canteruccio’s Architecture Theatre undermines and redefines the formal structures of the main Italian and European cities squares, from Kassel to Oslo, from Moscow to Zagreb, to the Roman Piazza Venezia and Piazza del Popolo when in 2009 he realized the ‘Laboratorio per l’addestramento della Luce – Nuove Iridescenze’ project [laboratory for the training of light – new iridescences], during celebration of the Futurism centenary. Pietro Galglianò Your work on light appears, then, as an investigation crossing the history itself of the relationship between man and theatre, in the deciphering
Laboratorio per l’addestramento della Luce, Roma, 2009 pagina precedente/previous page: Metamorfosi#2, Piazza Santissima Annunziata, Firenze, 1986
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Parole di Pietra, opera di luce realizzata in una cava di marmo a 2.000 metri di altezza, XI Biennale della Scultura di Carrara, 2002 Parole di Pietra, light work realized in a marble quarry 2.000 m high, XI Carrara Sculpture Biennial, 2002 chiusura: Metamorfosi#1, Hauptplatz, Linz (Austria), evento di apertura del Festival Ars Electronica, 1986/closing page: Metamorfosi#1, Hauptplatz, Linz (Austria), opening event of the Ars Electronica Festival, 1986
reale organicità in una danza delle sue forme, ma anche dei suoi contenuti. PG Il punto di vista artistico dovrebbe completare, o in qualche modo riscrivere il lavoro dell’architetto? GC Io stesso, anche in quanto quasi architetto, ho immaginato di progettare la città come archetipo di una condizione contemporanea. A partire dalle avanguardie, con l’avvento della macchina, della tecnologia, e in tempi più recenti della cultura digitale, ogni visione architettonica deve comprendere, al di là delle necessarie funzioni, nuove caratteristiche come la trasparenza, la rifrazione. Qualità che non vanno intese solo come soluzioni estetiche ispirate alla modernità, ma come nuovo linguaggio dei luoghi da abitare e da usare, in una parola: da vivere. Si tratta di considerazioni fondate sulla piena osservazione della realtà: l’architettura è sempre condizionata dalle variazioni cromatiche determinate durante il giorno dalla contingenza atmosferica. Il primo strumento di illuminazione dei luoghi è la natura stessa, basti pensare al mistero della trasformazione percettiva che avviene tra l’aurora e il tramonto, uno spazio sensoriale in cui dialogano il paesaggio naturale e quello costruito. In questo senso la notte può diventare una pagina sulla quale disegnare una nuova percezione dei luoghi, e l’apporto delle tecnologie ci dà la possibilità di confrontarci con l’insegnamento della natura. Di notte abbiamo strumenti linguistici che di giorno rimangono in possesso di una condizione trascendente. Con la luce artificiale si può dare un senso a quella che desideriamo sia la percezione della città nell’era contemporanea. Si potrebbe dire che se alla luce del sole prevale la trascendenza, di notte possiamo usare i valori dell’immanenza. PG Allora hai scelto il teatro perché permette una perpetua notte artificiale? GC Sì, proprio da qui nasce la necessità di trasferire certe intuizioni. Il teatro diventa il luogo-macchina del quale l’uomo si è munito per trattare la realtà senza l’interferenza della potenza della natura. D’altra parte, guardando alla storia, dal teatro greco ai grandi allestimenti del Rinascimento, si legge la cronaca di un rapporto in cui l’uomo ha sempre avvertito la necessità di inserire i linguaggi dell’arte nei luoghi della natura. Io, personalmente, in opposizione a un’azione di colonizzazione dello spazio, ho sempre lavorato sull’idea che il luogo debba essere non solo il protagonista ma essere l’elemento propulsore
of solids and voids, volumes, shadows. And in this research the architectural space becomes the space of action bringing the tools and the sensitivity of a theatrical approach. Giancarlo Cauteruccio Since I faced the theatre, I always imagined the space of the scene as a virtual city, and this led me to consider the city as a dynamic place not only for the expression, but also for the development of social action and individual behaviour. The relationship between man and urban organism is at the centre of my work, and not by chance I use the term ‘organism’ thinking of the city, indeed it is this metaphor that provides the interpretation key of my research. The body, in fact, is the cornerstone of every theatrical expression, consisting of arteries, systems, organs, while the city has a similar shape, as a kind of its projection, an expansion: a body in which rhythm, speed, full and empty, shadow and light pulse. The city has a sensory tissue, and when I was a young architecture student I imagined that the function of the architect was to urge the senses. PG You act on the city with light. GC Light is a writing tool, a device through which to draw, reinterpret, tell and ask for the energies that architecture has in itself, but which are obscured by a mistaken idea of static. I always thought that the architecture styles contain an expressive, dynamic energy, and so means to me the city, a site where the work is put into action. PG From your words it seems that art has the power to change reality. GC Art not only alters reality, but somehow defines it, returns it to the senses and its very nature, which is dynamic. Art is a vehicle for further study, is the instrument through which we pass from surface places to interior ones, from the feeling of pleasure to the understanding of pain, generated by each process of knowledge. Art continuously reports facts, and has to deal with this. One of my first work was titled ‘Alla luce dei fatti – fatti di luce’ [in light of the facts – facts of light]. PG Your work with the light on the architecture is expressed in many formal keys which, through a wide range, often lead to the use of the projected word. A word of light, which becomes a word of stone. GC The city is like a book, so it has to tell. It tells its morphological powers and
its semantic potentials, using writing in such a way that any wall is transformed in a dynamic surface. The architectural facade thus assumes a real organicity, in a dance of its forms, but also of its contents. PG Should the artistic point of view complement, or in some way rewrite, the work of an architect? GC I myself, even as almost an architect, I thought of designing the city as the archetype of a contemporary condition. Starting from the avant-garde, with the advent of machine, technology, and more recently of digital culture, every architectural vision must include, beyond the necessary functions, new features such as transparency and refraction. Qualities that should not be merely seen as aesthetic solutions inspired by modernity, but as a new language of places to reside in and to be used, in a word: places to live. These are considerations based on the plain observation of reality: architecture is always conditioned by the chromatic changes caused during the day by the atmospheric contingency. The first lighting tool of places is nature itself, just think of the mystery of perceptual transformation that takes place between sunrise and sunset, a sensory space in which the natural and built landscapes dialogue. In this sense, the night can become a page on which to draw a new perception of places, and the contribution of technology gives us the ability to deal with the teaching of nature. At night we have the linguistic tools that during the day remains in possession of a transcendent condition. With artificial light a sense can be given to what we think is the perception of the city in the contemporary era. It could be said that if the sunlight prevails on transcendence, at night we can use the values of immanence. PG Then did you come to theatre because it allows a perpetual artificial night? GC Yes, right from here comes the need to transfer some insights. The theatre becomes a place-machine where man is equipped to deal with reality without the interference of the power of nature. On the other hand, looking at history, from Greek theatre to major Renaissance productions, chronicle tells of a relationship in which man has always felt the need to incorporate the various art languages in the places of nature. Personally, as opposed to an action of space colonization, I have always worked on the idea that the place should be not only the protagonist, but the driving force behind the project, not a container, a passive
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del progetto, non un contenitore, un fondale passivo, ma un elemento attivo, un’emittente di energia, un interlocutore. In tutti i miei progetti è il luogo che determina la drammaturgia dell’opera. Per esempio, a Firenze, nel 1984, l’Arno è stato agito come intervallo al cui interno sviluppare un rapporto visionario con la città, mentre in piazza Santissima Annunziata, nel 1988, il fattore ‘simmetria’ di matrice brunelleschiana viene esaltato e rivelato attraverso l’intervento artistico. Le grandi piazze sono sempre luoghi attivi. Qui risiede la differenza tra il rapporto che la città storica intreccia con un apparato tecnologico e una città come Las Vegas, che proprio perché priva di storia si compone solo della superficie determinata dalla luce. A me interessa il rapporto tra l’esteriorità e il suo contenuto, che dovrebbe essere disvelato. È come arrivare in una città e guardare un palazzo, e far sì che le sue finestre si aprano all’improvviso e vomitino energie, racconti, contenuti. PG Come si può sintetizzare questo tuo viaggio nell’estetica della luce? GC C’è un progetto sul quale medito da anni; si intitola ‘Rinascimenti nella Luce’, prenderà forma nel 2011, e vorrei che diventasse un festival internazionale delle architetture di luce. Utilizzando i meravigliosi scenari rinascimentali di Firenze, vorrei coinvolgere artisti, architetti, scenografi, chiamati a misurarsi con il rapporto luce e architettura, per creare anno dopo anno una festa degli scenari che restituisca alla città il suo cuore pulsante. PG La città contemporanea rimarrebbe esclusa dal progetto? GC No, tutt’altro. Già nel prologo progettuale del 2010, oltre ad avere lavorato sulla Loggia dei Lanzi, in Piazza Signoria e su Palazzo Medici Riccardi, siamo intervenuti su una delle opere architettoniche più discusse della Firenze contemporanea come il Palazzo di Giustizia progettato da Leonardo Ricci negli anni ‘70, e collocato in una delle aree a quel tempo realmente periferiche rispetto al centro storico. PG Dove si possono trovare materiali sul tuo lavoro? GC Sono state pubblicate alcune tesi di laurea sul mio lavoro, discusse in diversi atenei italiani, mentre è già in distribuzione il libro ‘Teatri di Luce’, edito da Titivillus, ed è in via di pubblicazione un secondo volume, ‘Architetture di luce’, in uscita nei prossimi mesi.
backdrop, but an active element, an energy emitter, an interlocutor. In all my projects is the place that defines the dramaturgy of the work. For example, in Florence in 1984, the Arno has acted as a range within which to develop a visionary relationship with the city, while in Piazza Santissima Annunziata, in 1988, the ‘symmetry’ factor of Brunelleschi origin is enhanced and revealed by the artistic intervention. The large squares are always active places. Therein lays the difference between the relationship that intertwines the historical city with a technological system and a city like Las Vegas, which not having a history consists only of the area determined by the light. I am interested in the relationship between the exterior and its contents, which should be unveiled. It’s like arriving in a city and watch a building, and ensure that its windows suddenly open and vomit energy, stories, content. PG How can you sum up this trip in the aesthetics of light? GC There is a project on which I meditate for years; it is called ‘Rinascimenti nella Luce’ [renaissance in light], it will take shape in 2011, and I would like it to become an international festival of the architecture of light. Using the beautiful renaissance sceneries of Florence, I would like to involve artists, architects, stage designers, called to confront with the relationship between light and architecture, to create, after a year, a celebration of sceneries returning the pulsating heart of the city. PG Would the contemporary city remain excluded from the project? GC No, far from it. Already in the design prologue of 2010, as well as having worked on the Loggia dei Lanzi in Piazza Signoria and Palazzo Medici Riccardi, we have acted on one of the most talked about architectural works of contemporary Florence as the Palazzo di Giustizia designed by Leonardo Ricci in the 70s and placed in one of the areas at that time really peripheral with respect to the historic centre. PG Where can I find materials on your work? GC A few dissertations on my work have been published and discussed in several Italian universities, while the book ‘Teatri di Luce’ [theatre of light], published by Titivillus, is already in distribution, and a second volume ‘Architetture di luce’ [architectures of light] is to be distributed in the coming months.
Luce fratto tempo
Light over time
di/by Pierpaolo RapanĂ foto di/photos by Valentina Zanobelli
Giorgia Brusemini and Marta Nadeo for Ora Elettrica
Giorgia Brusemini e Marta Naddeo per Ora Elettrica
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«Nulla, Lucilio, ci appartiene; solamente il tempo è nostro; la natura ci ha posto in possesso di questa sola cosa» «Nothing, Lucilius, belongs to us, except time. We are entrusted by nature with the ownership of this only thing» Seneca
Tempo, luce, città. L’installazione nata dalla partnership tra la designer Giorgia Brusemini, l’architetto Marta Naddeo e l’azienda Ora Elettrica Spa in occasione di LED 2009 (prima edizione del festival internazionale della luce patrocinato dal comune di Milano) è un esempio di design riflessivo
Così i tradizionali orologi pubblici che punteggiano il paesaggio urbano di Milano, prodotti e gestiti storicamente dall’ azienda Ora Elettrica Spa, reinterpretati giocando con le emozioni trasmesse dai colori e con la velocità differenziata delle lancette, diventano paradigma universale dei differenti
in cui forma, luce e immagine diventano ‘veicolo di senso’, gettano uno sguardo intimo ed emotivo sulla città e pongono interrogativi importanti per l’organizzazione della vita metropolitana.
vissuti temporali degli utenti delle nostre città. Il lavoro delle progettiste ha inoltre il merito di restituire alla vita sociale e all’attenzione dei passanti, un artefatto storico risignificato e valorizzato nella sua semplicità formale.
In un momento storico in cui oltre metà della popolazione mondiale vive in città, e la densità urbana assume per la prima volta dall’industrializzazione una connotazione positiva, la frenesia relazionale che ne consegue ha reso necessaria una riflessione sulla qualità delle nostre vite e delle nostre metropoli in termini temporali oltre che spaziali e sociologici.
Frenetico, Eterno, Istantaneo, Attivo, Razionale, Calmo, Iperattivo, Riflessivo. Otto ‘Tic Tac’ di altezza differente collocati al centro dello spazio verde di Piazza Cadorna – uno degli snodi principali della città, punto di passaggio giornaliero per molte persone, che si ritrovano a camminare sotto l’imponente scultura di Claes Oldenburg e Coosje van Bruggen, simbolo dell’industriosità dei milanesi – sono un invito a riflettere e ad invertire la priorità tra il tempo soggettivo e il tempo collettivo dettato dalle dinamiche metropolitane, a riorganizzare le nostre città e il nostro vissuto anteponendo, per dirla con Bergson, il ‘tempo della vita’ al ‘tempo della scienza’.
Come sottolineano le progettiste: «se da un lato è vero che molte persone traggono beneficio, senso di vitalità e forza da un ritmo di vita dinamico come quello imperante nella città, è anche vero che molte altre possono provare disagio, sentendo violato costantemente il proprio tempo interiore a causa di uno stile di vita imposto dall’esterno. I sentimenti d’amore e odio verso la città sono principalmente legati a queste dinamiche». L’orologio di Milano fa tic tac!!! Qual è il tuo tempo? – questo il titolo scelto per l’installazione milanese – fa sintesi di caratteri specifici e universali, di quotidiano e iconico. Un registro che connota anche le precedenti esperienze progettuali di Giorgia Brusemini, dagli oggetti d’uso all’arredo urbano, ai numerosi corpi illuminanti e vetri artistici ideati negli ultimi anni per Barovier&Toso.
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Time, light, city. The installation created by the partnership between the designer Giorgia Brusemini, the architect Marta Naddeo and Ora Elettrica Spa presented at LED (the first edition of the International Festival of Light sponsored by the City of Milan) is an example of thoughtful design in which form, light and image become ‘vehicle of meaning’, cast an intimate and emotional glance at the city and pose important questions about the organization of metropolitan life.
So the traditional public clocks that dot the urban landscape of Milan, historically produced and managed by Ora Elettrica Spa, are reinterpreted by playing with the emotions conveyed by their colours and the different speed of the hands, and become universal paradigm of different users temporal experiences in our cities. The work of the designers has also the merit of giving back to society, and to the attention of passers-by, a historical artefact redefined and enhanced in its formal simplicity.
In a historical moment in which more than half the world population lives in cities, and urban density for the first time since industrialization has a positive connotation, the resulting relational frenzy necessitated a reflection on the quality of our lives and our cities, in terms of time and space, taking into account also the sociological aspects.
Frenzied, Timeless, Immediate, Rational, Calm, Hyperactive, Thoughtful. Eight ‘Tic Tac’ of different heights placed at the centre of the green space in Piazza Cadorna – one of the main junction of the city, point of daily passage for many people walking together under the impressive sculpture by Claes Oldenburg and Coosje van Bruggen, symbol of the industriousness of the Milanese – are an invitation to reflect and reverse the priorities between subjective and collective time told by metropolitan dynamics, to reorganize our cities and our experiences by placing the ‘time of life’ before ‘time of science’, as Begson says.
As the designers point out: «while it is true that many people derive benefit, a sense of vitality and strength from a dynamic rhythm of life such as the one prevailing in the city, it is also true that many more may experience discomfort, feeling that their internal time is constantly violated by a way of life imposed by outside factors. The feelings of love and hatred towards city are mainly related to those dynamics». L’orologio di Milano fa tic-tac!!! Qual è il tuo tempo? [the clock ticks in Milan!!! What is your time – this is the title chosen for the installation in Milan] is a synthesis of universal and specific, as well as daily and iconic characters. A factor that characterizes also the earlier project experiences of Giorgia Brusemini, from objects of use and street furniture, to the numerous lighting fixtures and art glasses created in recent years for Barovier&Toso.
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Luce e utopia
The light projects of Francesco Sani
Light and utopia
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Federica Capoduri
I progetti luminosi di Francesco Sani
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lampada Tam Tam, 2009 Tam Tam lamp, 2009 in apertura: lampada Wave, 2004 opening page: Wave lamp, 2004
Quello che immediatamente colpisce di Francesco Sani – giovane designer/ architetto di Fucecchio, paese nella provincia fiorentina dove vive e lavora –, è la voglia d’integrare i suoi progetti, di contestualizzarli nello spazio. Risulta essere quasi un visionario del progetto che figura le sue lampade (genere di prodotto che occupa la maggior parte del suo book creativo), prima che nelle destinazioni canoniche, in un immaginario universo parallelo. Capita quindi di trovare alcuni dei progetti rappresentati su una spiaggia, in un campo di fiori o in uno da golf e addirittura dentro un allestimento musicale da rock-band, diventando alieni ma allo stesso tempo evidenti protagonisti. Come se, una volta superato l’impatto con il mondo naturale e fantastico, da cui si ispira molto, il progetto possa accedere integrandosi con più disinvoltura nell’ambiente reale predestinato. Tra i suoi progetti più conosciuti ricordiamo la romantica lampada-fiore ‘mamanonmama’ – collezione prodotta interamente in acciaio con i petali in metacrilato trasparente e disponibile in varie colorazioni –, l’armoniosa ‘Wave’ – applique, lampada da terra, da tavolo e da soffitto prodotta sempre in acciaio e realizzata in diverse finiture –, e le ultime due collezioni da esterno: la prorompente ‘Tam Tam’ e l’elegante ‘Matcha’. Enzo Mari, nel suo trattato Progetto e passione, identifica nel progetto due componenti fondamentali che, per farlo funzionare bene, devono saper interagire e confrontarsi: la figura della madre – l’artista, il cantore dell’utopia – e del padre – l’imprenditore, la tigre del mondo reale. Se l’imprenditore accetta almeno il venti per cento di utopia e partecipa con qualche passione allo sviluppo, l’idea funzionerà, altrimenti risulterà carente in qualche fattore. In questo caso si può dire di assistere ad un bel fenomeno di collaborazione tra le parti – da valutare poi se sia più o meno di rara presenza, in questo settore –, perchè tutte queste idee e molte altre ancora sono infatti prodotte dai vari brand di un’unica azienda (l’empolese Menichetti & C.), dando frutto ad una continuità di produzione che dura ormai da molti anni. Appurato quindi che la visione può solo arricchire la realtà, Francesco Sani è fondatore anche di un’agenzia di comunicazione – Key Image+Marketing – e ha da poco dato il via ad un nuovo progetto, un’altra bottega dell’immaginazione: Touch; scuola-laboratorio che si occupa di fotografia, design, web e cinema.
What immediately strikes about Francesco Sani – young designer/architect from Fucecchio, a village near Florence where he lives and works –, is the desire to integrate its projects, to contextualize them in space. He appears to be nearly a visionary of the project who represents its lamps (a type of product that occupies most of his creative book), not first in their legitimate locations, but in an imaginary parallel universe. Therefore it happens to find some of the projects represented on a beach, in a field of flowers or a golf course and even in a rock-band musical setting, being like isolated from the context, but at the same time strikingly players in it. As if, once passed the impact of natural and imaginary world, by which it is greatly inspired, the project can more easily blend with the real environment it is intended for. Among his best known projects there is the romantic flower-lamp called ‘mamanonmama’ – a collection entirely made of steel with the flower in transparent methacrylate and available in several different colours –, the harmonious ‘Wave’ – wall lamp, floor lamp, table and ceiling lamps also made of steel and having different finishing-, and the two last outdoor collections: the breath-taking ‘Tam Tam’ and the elegant ‘Matcha’. Enzo Mari, in his work Project and passion, identifies two key components that, to make it works well, must know how to interact and face each other: the mother figure – the artist, the singer of utopia – and the father – the entrepreneur, the real world tiger. If the entrepreneur accepts at least twenty per cent of utopia and participates with some passion to the development, the idea will work, otherwise it will be deficient in some factor. In this case it can be said that we are witnessing a beautiful phenomenon of cooperation between the parties – it is unclear whether it is a more or less rare occurrence in this field – because all these ideas and many more are in fact produced by the various brand of a single company (Menichetti & C. in Empoli), originating a production continuity that has lasted for many years. Established therefore that the vision can only enrich the reality, Francesco Sani is also the founder of a communication office – Key Image+Marketing – and has recently given way to another laboratory of imagination – Touch –; a laboratory-school dealing with photography, design, web and cinema.
in questa pagina: lampada Matcha, 2009 in this page: Matcha lamp, 2009 nella pagina seguente: lampada mamanonmama, 2007/following page: mamanonmama lamp, 2007
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The mythical Porsche stars in the countryside
A renowned unknown Illustri sconosciuti di/by
Paolo Di Nardo
Il mito Porsche protagonista nelle campagne
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in apertura e nella pagina successiva: il modello Porsche P 312/opening and following page: the model Porsche P 312 sopra: dettaglio e targhetta indentificativa above: detail and identification card
Si deve all’ingegno e soprattutto alla passione di Giuseppe Beconcini la possibilità di riuscire a vedere in un luogo incantato come la sua dimora, un palazzo mediceo nella campagna toscana, una sfilata di linee sinuose e colorate pronte con un solo accenno di chiavetta a trasformare un suono sordo in una melodia di strumenti. Quelle linee sinuose sono trattori, macchine da lavoro, strumenti dell’industria per l’agricoltura, anzi per lo sviluppo di ogni tipo di coltivazione anche la più complessa e delicata come quella del caffè brasiliano. Non sono solo trattori, sono Porsche, e per chi ama la musica dei motori questo nome rientra a pieno diritto in un capitolo del racconto della propria vita, come per Giuseppe Beconcini: «Tutto cominciò una mattina di ottobre nel giardino della Facoltà di Chimica di Firenze. Io stavo lì, aspettando di entrare in aula per la lezione, quando lei arrivò. Sola, con l’abito color verde salvia, con le forme snelle, ma rotonde nei punti giusti, tutti ci girammo a guardarla. Per me fu un colpo di fulmine: doveva essere mia e da quel momento il mio chiodo fisso fu riuscire a conquistarla». Si trattava di una Porsche 911, duemila di cilindrata. Non si può parlare di solo design quando il prodotto ha un marchio così pieno di significati e di intelligenze ingegneristiche ed estetiche. Il prodotto stimola la fantasia e la necessità di appartenenza come a segnare un pezzo della propria vita. Forse il senso del design inteso come creazione di uno strumento per la vita dell’uomo risiede proprio nella capacità di lasciare sensazioni di benessere e di piacere, di far sorridere chi la possiede per cui la preparazione al possesso è tanto forte e stimolante quanto il possesso stesso. Sembra di parlare di design come se appartenesse alla categoria Amore, ma tale è il vettore che fa sì che un oggetto possa dare piacere quanto un amore, un incontro. Ancora più speciale è questa sensazione se l’incontro avviene con un illustre sconosciuto: il trattore. Molti non sono a conoscenza che la Porsche negli anni ’50-’60 si dedicò allo studio e alla produzione di trattori: «... un decennio di intenso lavoro che portò alla realizzazione di ben cinquanta modelli». Il progetto trattore nel 1938 per Porsche era la combinazione di più necessità: «... un disegno eccellente, ma essere allo stesso tempo forti e robusti e avere un prezzo basso (1.000 marchi), così che qualsiasi contadino potesse acquistarlo». Da questo momento nasce una filiera importantissima, poco nota nel campo automobilistico, che forse più di ogni altro settore sapeva esprimere la
Thanks to the ingenuity and above all Giuseppe Beconcini’s passion, it is now possible to admire against the beautiful backdrop of his Medici villa in the Tuscan countryside, a cavalcade of sinuous coloured lines, ready to turn the serenity found there into a symphony of sound at just the turn of a key. These sinuous lines are tractors, working machines, tools for agriculture, better still, to develop every type of cultivation, even the most complex ones like that of Brazilian coffee. But these are not just any tractors, these are Porsche and for those who love the music of engines, this brand is rightfully included in a chapter of their life history, as recounted by Giuseppe Beconcini: «It all began one October morning in the garden of the Faculty of Chemistry in Florence. I stood there, waiting to enter the classroom, when it arrived. Alone, with its sage green bodywork, slender but well proportioned lines, everybody turned. For me it was love at first sight: it had to be mine and from that day on my obsession was to have it». It, in fact, was a sinuous Porsche 911, 2000cc. We must not concentrate only about design when considering a brand full of meaning, engineering and aesthetic intelligence. A product that stimulates the imagination, the desire of ownership, and to be a part of life. Maybe this sense of design meant to create a tool for human life can actually be found in its ability to give a feeling of wellbeing and pleasure, making its owner smile, creating a condition in which the preparation for possession is as strong and exciting as the possession itself. It seems to put Design in the same category as love, but this is only the vector that makes an object capable, regardless of its size or use, to give pleasure to human life as a love, as an encounter. Even more special is that feeling when the encounter takes place with a renowned unknown: the tractor. Many are not aware that Porsche, in the 50s and 60s, devoted itself to the design and production of tractors: «…a decade of intense work that led to the production of a good fifty models». The tractor project, in 1938, for Porsche was a combination of the most important requirements: «...an excellent strong and robust design, all at a competitive price (1.000 marks) so any farmer could afford it». From this started the extremely important sector, that of the tractor, little known in the automotive field, which perhaps more than any other was able to express the synthesis of a process that involved technological efficiency with the
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raduno/meeting pagina seguente: raduno al palazzo d’Appiano following page: meeting at palazzo d’Appiano
sintesi di un processo che vedeva coinvolta l’efficienza tecnologica con l’estetica del prodotto. Ma ciò che affascina è l’aspetto sociale vista l’epoca in cui si è sviluppato e la finalità strategica di poter snellire, per la prima volta nella storia dell’agricoltura, il lavoro del contadino. E questa sintesi non poteva che appartenere ad una casa automobilistica che nella ricerca e nel connubio forma/ funzione aveva già investito tutta la sua produzione. Questa rara collezione di trattori va oltre il collezionismo. La conservazione e la custodia di un pezzo di storia del design industriale ci permette di riflettere ancora oggi sul valore di questa sintesi forma/funzione verso uno scopo ultimo, ma di importanza rivoluzionaria: il sociale. Vederli tutti insieme e perfettamente conservati sullo sfondo di un laghetto dominato da un’importante palazzo mediceo fa dimenticare la fatica umana e trascina verso l’effimero, come se si trattassero di bellissimi capi di alta moda in un museo dello stile. Sono proprio queste sensazioni contrastanti che rendono unica questa collezione. Forse uno su tutti affascina e ci conduce verso questa miriade di riflessioni e viaggi personali attorno al valore del Design con la D maiuscola: il trattore Porsche P 312 del 1954. Il design accattivante deriva da necessità produttive come la raccolta del caffè brasiliano le cui piante presentano rami molto sporgenti e delicati. Il trattore doveva quindi essere come un animale leggero che si insinua fra le piante con la forza tecnologica e la delicatezza di una libellula. La carta di identità di questo piccolo strumento già indica la delicatezza del mezzo (AP17S) dove ‘S’ sta ad indicare la larghezza ridotta fra le ruote come distintivo di una particolarità funzionale. Oltre a questo la sinuosità delle forme lo rendono morbido nonostante la sua forza di motore quattro tempi benzina. Il vero pericolo quando ci si addentra in settori specifici come questo è la facile generalizzazione per cui si pensa ad un unico modello o concetto di trattore globalizzato. Il mondo Porsche ribalta questo concetto conducendoci magicamente in un mondo complesso nella sua semplicità espressiva da diventare un viaggio della mente. Non possiamo che ringraziare chi come Beconcini si accolla la missione di far riflettere l’uomo sulla sua condizione e sulle sue potenzialità creative attraverso un collezionismo che va al di là dell’accumulo di pezzi ma che diventa portatore di cultura, capace di trasformare le idee in realtà tangibili. Il design è soprattutto questo.
aesthetics of the product. But the most fascinating aspect was the social aspect, an industrial product, developed and given the specific aim of making, for the first time agricultural history, the work of a farmer anywhere in the world, easier. This synthesis, from the outset, could only belong to a car manufacturer that had already invested in the research of form/function. In this sense, this rare collection of tractors has a significance that goes beyond simply a collection of tractors. The restoration and care of a piece of industrial design history allows us to reflect, even today, about the value of this form/function synthesis towards an ultimate goal, of revolutionary importance: the property that goes beyond ownership. Seeing them all together, perfectly restored in a natural setting against the backdrop of a little lake overlooked by a major Medici villa, makes people forget the human effort and draws them towards the ephemeral, as if it were a beautiful high fashion garment in a museum of style. It is these conflicting feelings that make this collection unique. Maybe one out of all tractors leads us to a multitude of considerations and personal trips around the value of ‘Design’ with a capital D: the Porsche tractor P 312, dated 1954. This winning design comes from the difficult production requirements needed, for example, by the harvest of Brazilian coffee, whose plants are characterized by protruding and delicate branches. So the tractor had to be like a agile animal, having technological strength coupled with the delicacy of a dragonfly. The identity card of this little marvel shows the delicacy of the vehicle (AP17S) where ‘S’ stands for the reduced width between the wheels as a distinguishing feature of functional detail. In addition, its sinuous form makes it smooth and delicate despite the power of its four-stroke petrol engine. The real danger, when discussing specifically identified areas such as this is to make the generalization that this is a single concept mass produced tractor. The Porsche world reverses this concept leading us into a magical world, complex in its expressive simplicity to the point of becoming a journey of the mind. For this we can only thank people like Beconcini who shoulders the mission of making man reflect upon his condition and his creative potential through a collection that goes beyond the accumulation of pieces, but becomes a carrier of culture, the real one, capable of transforming ideas into tangible realities. The design is above all this.
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Design Michele De Lucchi. Il disincanto della luce Disenchantment of light Scegliere di dedicare al Design la seconda parte di questo numero di AND che affronta il tema della ‘luce’, è stato naturale. Il nostro direttore editoriale, Paolo Di Nardo, ha curato insieme a Mara Corradi, stretta collaboratrice di Michele De Lucchi, e firma già presente su queste pagine, i contenuti di questa sezione della rivista. Le numerose interviste realizzate ad alcuni dei più interessanti esponenti della progettazione illuminotecnica, espressa come lampada, scenografia luminosa o oggetto al confine con l’arte, si chiudono con una riflessione sui giovani designer della scena internazionale, fornendo il nostro punto di vista sul dibattito che, in virtù delle nuove tecnologie e delle nuove sensibilità ambientali, è in atto sul progetto della luce.
Paolo Di Nardo intervista/interviews Michele De Lucchi foto/photos Maddalena Molteni
Paolo Di Nardo What is the role of technology evo-
Paolo Di Nardo Che ruolo sta avendo l’evoluzione della tecnologia nel progetto di design e, in parti-
lution in design project and, in particular, with regard to the lamps?
colare, per quanto riguarda le lampade? Michele De Lucchi La tecnologia ha un ruolo fondamentale e chiunque dica che non è vero sbaglia.
Michele De Lucchi Technology plays a key role and anyone who says differently is wrong. It is sure-
Inevitabilmente è importante, sia per le possibilità di progresso che offre, sia per l’innovazione degli strumenti per la produzione. La produzione è uno degli aspetti più sensibili da valutare nel progetto.
ly important, for both the possibility of progress
In particolare, nelle lampade la tecnologia oggi sta vivendo un momento di grandissima evoluzione,
it offers and the innovation of production tools. Production is one of the most sensitive aspects to
sia perché stanno cambiando le sorgenti luminose (e questa evoluzione ancora non è arrivata alla fine) sia perché stanno cambiando, ad esempio, i sistemi di soffiaggio dei vetri, di stampaggio delle
consider in the project. In particular, the technology of lamps today is experiencing a time of great
materie plastiche, le tecniche di lavorazione di materiali tradizionali come il legno, il marmo, la porcellana e la ceramica, che permettono di realizzare cose che prima non erano possibili. Inoltre è
changes, because light sources are changing (and
cambiato il modo di interpretare la luce all’interno di un ambiente: in particolare è questa la grande
this evolution has not yet come to an end) as well as the systems to blow glass, to mould plastic ma-
novità. Ho sempre pensato, e questo lo dico spesso durante le conferenze, al motivo per cui mi piace così tanto disegnare le lampade, e alla fine, da qualche anno, ho una risposta: mi piace disegnare
terials and the techniques to process traditional materials such as wood, marble, porcelain and ce-
le lampade perché sono di per sé oggetti tecnologici, macchine tecnologiche nella loro più semplice forma. Inoltre la lampada è l’oggetto che meglio testimonia l’evoluzione dello stile di vita. La luce,
ramic allowing works that were impossible before. Also the way to interpret the light within a room is changed: in particular, this is the great novelty. I
così come il colore, sono quegli elementi in grado di stimolare la sensibilità ma ai quali normalmente non si presta attenzione; in realtà hanno una grandissima influenza nel ritmare l’evoluzione dei tempi. La lampada è l’oggetto che meglio coniuga lo stile di vita e la tecnologia e in questo senso è
always thought, and I say this often during conferences, about the reason I like designing lamps so much, and finally, a few years ago I found an answer: I like designing lamps because they are technological objects, technological machines in their simplest form. In addition, the lamp is the object that best demonstrates the evolution of lifestyle. Light, as well as colour, is one of those elements that can stimulate sensations, but to which normally no attention is paid, because they have always been there and are always the same; as a matter of fact they exert a great influence in marking the rhythm of times evolution. The lamp is the design object that best combines lifestyle and technology and in this sense it is a wonderful object, a design object, very rich, very elegant, much more significant in the evolution of environments than many other ones, of different kind, that seem to evolve continuously, but that instead remain always the same, like chairs or tables. PDN Lighting is also a mean to tell objects, images, paths. The approaches in this direction are very different when referred to natural or artificial lighting. Can you talk about your method? MDL Lamp is a functional object and to make a reflection on the distinction between functional use lamps and lamps used to create ambient light is needed. Of course, one thing does not exclude or affect the other. The functional use lamps tend more and more to the integration in the specific
un oggetto meraviglioso, è un oggetto di design, molto ricco, molto raffinato, molto più significativo nell’evoluzione degli ambienti di molte altre tipologie che sembrano evolversi con continuità ma che invece rimangono sempre uguali, come le sedie o i tavoli. PDN L’illuminazione è anche un mezzo per comunicare gli oggetti, le immagini, i percorsi. Gli approcci in questo senso sono molto diversi se si parla d’illuminazione artificiale o di quella naturale. Ci può parlare del suo metodo? MDL La lampada è un oggetto funzionale e una riflessione sulla distinzione tra lampade a utilizzo funzionale e lampade per creare luce d’ambiente è necessaria. Naturalmente una cosa non esclude o influenza l’altra. Le lampade a utilizzo funzionale tendono sempre di più a integrarsi nell’oggetto specifico. Questo è molto chiaro, ad esempio, nelle lampade di sicurezza o nelle lampade d’indicazione di percorsi, dove con l’utilizzo dei led oggi è possibile realizzare una segnaletica molto efficiente, visibile, indipendente, ma che non determina la luce dell’ambiente stesso. In generale, negli ultimi anni, è cambiata moltissimo la tecnica d’illuminazione degli ambienti. Negli anni ‘80 e ‘90 si tendeva moltissimo a illuminare l’ambiente con una illuminazione diffusa e proiettata verso l’alto, di stile ‘basilicale’; con lampade che illuminavano i soffitti e la luce si diffondeva da questi verso il pavimento. Da qualche anno invece (fenomeno che personalmente attribuisco alla crescita della sensibilità ecologica), la luce viene il più possibile utilizzata senza sprechi. Per questo le ultime tendenze in fatto di illuminazione sono quelle che dirigono la luce direttamente verso il basso, sul pavimento, dandogli così maggiore luminosità. Oggi è più importante illuminare i pavimenti che non i soffitti. Questa è una considerazione banale della quale in realtà pochi si accorgono. Anche nelle chiese, ad esempio, la luce non viene più usata per illuminare il monumento ma per illuminare il pavimento, valorizzando maggiormente la luce. PDN Progettare una lampada significa dare una bella forma a un oggetto che contiene luce o dare forma alla luce? MDL È l’uno e l’altro. Ho sempre dato non tanto forma alla luce, quanto alla lampada; infatti comincio a disegnare partendo dalla lampadina (sta disegnando delle lampadine e dice: sono bravo a disegnare le lampadine perché ne ho disegnate sempre tantissime, ndr). In relazione a come è disegnata la posizione della lampadina tu disegni la lampada: se disegni delle lampade da pavimento gli disegni lo zoccolo attorno, il paraluce, il diffusore e tutto il resto; se è un’applique, allora la luce viene riflessa; se è una lampada a sospensione la luce cambia ancora... Questo è sempre stato il
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durante l’intervista Michele De Lucchi ha disegnato lampadine e lampade, come fa nei momenti liberi sui suoi quadernini, usando matite colorate e china
Choose to devote to design the second part of this number of AND, dealing with the theme of ‘light’, was natural. Our Editorial Director, Paolo Di Nardo, edited the contents of this section of the journal with Mara Corradi, who is a close collaborator of Michele De Lucchi already giving her contribution to our pages. All interviews realized with some of the major lighting design exponents, expressing their art with lamps, light scenography or objects on the border with art, end with a reflection about young designers on the international scene, providing our point of view on the current debate on lighting design by virtue of new technologies and environmental sensitivity.
object. This is very clear, for example, in safety lamps or lamps indicating routes, where with the use of LEDs it is possible to realize very efficient,
metro più semplice e, per me, più creativo per disegnare delle lampade. Costruendo la forma attorno alla lampadina costruivo la lampada. Chiaramente così facendo davo forma anche alla luce, per cui i due temi, anche se possono sembrare molto diversi, in origine si considerano insieme: disegnando
visible, independent signalling, but that does not define the light of the environment. In general, in recent years, environment lighting technique has changed a lot. In the ‘80s and ‘90s the common trend was to illuminate the environment with a diffused and upwards projected lighting, ‘basilica’ style, with lamps illuminating the ceilings and light spreading from there to the floor. For several years instead (I personally attribute the phenomenon to the growth of environmental awareness), light is used as much as possible without waste. This is why the latest lighting trends are those directing light straight downward, on the floor, giving it more luminosity. Today it is more important to illuminate floors than ceilings. This is a mere consideration which few people actually realize. Even in churches, for example, light is no longer used to illuminate the monument, but to illuminate the floor, exploiting light at a higher level. PDN Does designing a lamp mean to give a nice shape to an object containing light or shape light itself? MDL It means both. I have always shaped not so much light, but rather the lamp; actually I start designing from the light bulb (he is designing light bulbs and says: I am good in designing light bulbs because I designed lots of them, Ed.). The lamp is designed according to the way the position of the light bulb is in turn designed: in the case of floor
la forma della lampada disegni la diffusione della luce, ne determini i raggi che hanno una portata diretta, e quelli che invece battono sul diffusore e si diffondono, altri invece che vengono schermati dal paraluce. PDN Il design si adegua alla complessità degli scenari di bisogni e consumi che si affacciano al nuovo millennio. Qual è stato il suo percorso? MDL È vero e, paradossalmente, falso. È vero che il design si riferisce agli usi e costumi della società, però è più vero, drammaticamente più vero, che il design si adegua al mercato. Chi fa veramente la domanda non sono gli utilizzatori finali, ma è il mercato. E tutte le aziende, soprattutto le aziende di design, si muovono alla ricerca di prodotti di successo sul mercato, non alla ricerca di prodotti che facciano bene all’uomo. Le sedie di plastica funzionano bene e tutti le realizzano, se ne vendono tante perché costano poco ma poi se è brutta da toccare, invecchia presto e quando si rompe si scheggia, e ti può anche far male, a questo nessuno ci pensa. Non voglio dire che il design non abbia un aspetto importante di relazione con gli utilizzatori finali e che sia importante per la vita di tutti i giorni, anzi sono convinto che il vero ruolo del design sia aiutare le persone a crescere, a migliorare il proprio ambiente e se stessi, come parte di esso. Però voglio anche dire che è falso illudersi che non ci sia il mercato, tra il design e l’uomo. Ed è questo che ne determina l'evoluzione, determina tutto. Il mercato purtroppo è l’aspetto della nostra esistenza, della nostra civiltà, più manipolabile e più distorcibile, più maledettamente distorcibile. PDN Esterno, interno. Come cambia l’approccio? MDL Totalmente diverso. Nell’interno si illumina un ambiente, nell’esterno si illumina il pavimento e si progetta una scenografia che valorizzi il paesaggio. Negli interni si cerca soprattutto di creare un’atmosfera che in relazione ai casi potrà essere più domestica, o stimolare efficienza, relax, convivialità, clamore (nei negozi), spettacolarità (nei musei, nelle gallerie e così via). Si tratta anche di due mercati completamente diversi; quello dei prodotti per interni è fondamentalmente legato ai negozi che vendono poi all’utilizzatore finale, mentre il mercato per le lampade da esterni è fatto all’80-90% da acquisizioni di organizzazioni e amministrazioni pubbliche, le quali comprano con criteri diversi. Per cui non viene scelta solo la cosa che è più economica, ma anche quella più vicina al comune gusto del luogo nel quale si pensa di utilizzarlo. Il fatto che il mercato delle lampade da esterni sia in mano all’amministrazione pubblica determina moltissimo anche l’evoluzione del setto-
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schizzi per la lampada Led Ned, progettata da Michele De Lucchi con Alberto Nason, Artemide, 2010
lamps the wainscot around is to be designed, as well as the lampshade, the diffuser and everything else, in the case of an applique then light is reflec-
its true role is helping people to grow, improving their environment and themselves, as part of it. But I mean that it is false to pretend that there
ted; in the case of a pendant lamp the light is even different... This has always been the easier, and for me more creative, criterion to design lamps. While constructing the form around the light bulb, I built the lamp. Clearly, doing so I shaped also light, so the two issues, although they may look very different, in origin are considered together: by designing the shape of the lamp the diffusion of light is designed, the direct rays are determined, as well as those spread by the diffuser, and the others screened by the lampshade. PDN Design adapts to the complexity of needs and consumption scenarios entering the new millennium. What was your path? MDL It is true and, paradoxically, false. It is true that design relates to the habits and customs of society, but it is truer, dramatically truer, that design conforms to the market. Who is really posing the request is not the end-user, but the market. And all companies, especially design ones, move in search of successful products on the market, not on search of products that make men feel good. Plastic chairs are working well and all produce them, a lot are sold because they are cheap, but then if they are unpleasant to the touch, grow old soon and when break tend to splinter nobody cares. I do not mean that design has not an important relationship with end users and that it is not important for everyday life, I am convinced that
is no market, between design and man. And this is what determines its evolution, determines everything. Market unfortunately is the most manipulable, most distortable, damn distortable, aspect of our existence, of our civilization. PDN Exterior, interior. How does the approach change? MDL Totally different. At the interior a room is lit up, at the exterior a floor is lit up and a scenery enhancing the landscape is designed. For the interior the objective is to create an atmosphere that as appropriate can be more domestic, or encourage efficiency, relaxation, conviviality, clamour (in stores), spectacularity (in museums, galleries, etc.). It is also two totally different markets that of interior products is fundamentally linked to stores selling to the end user, while the 80 to 90% of market for exterior lamps is constituted by organizations and public authorities’ acquisitions buying with different criteria. So the thing chosen is not only the cheaper one, but also the one closest to the common taste of the place where it is intended to be used. The fact that the market for external lamps is in the hands of public authorities greatly affect also the evolution of the field. This means that often the technical-management aspects are preferred rather than the purely aesthetic ones that may be more appealing to a private consumer.
schizzo disegnato durante l’intervista da Michele De Lucchi per spiegare la differenza tra l’effetto della luce puntiforme dei led e quello della luce diffusa generato dalle vecchie lampadine. «Mentre nelle lampadine tradizionali si illuminava anche dietro la lampada, con i led il buio è totale, quindi la nuova lampada led parte da una serie di considerazioni illuminotecniche completamente diverse»
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in questa pagina e nella successiva: Michele De Lucchi, con Mario Rossi Scola, Lampade della serie Lighting Field, prototipi realizzati nel corso di un workshop per Artemide nel 1994. Lampade basate sulle forme della lampadine. Schizzi di Michele De Lucchi, matita e acquerelli su carta, disegni conservati al Centre Georges Pompidou, Parigi
PDN Both artists and designers often use light as a compositional element within installations at various scales. Do you think that light can be
ceiling, actually created large waves of light. Today LEDs, in the same environment, project light without creating its diffusion, so more lighting
interpreted and enhanced by an instrument such as installation? MDL Yes, absolutely. This is the big change taking place today; light is no longer designed for individual objects or a group of individual objects as it was once where light was made by an applique on the wall, a ceiling light fixture, a table or a floor lamp, all independent elements and located more or less disorderly, but without a precise criterion. Now the more we go on (and the purchase occasions increase), the more light acquires importance in the common mentality: an environment is nice if there is a nice light and the various elements are coordinated together, in a single installation. Light is not relevant for what surrounding the object, but for the general effect that it creates within the environment. This kind of installation, of use of light, has caused great changes: for example, talking about lamps the individual object is no longer considered, but the ‘families’ are. The latest lamps I designed had great success precisely because they are ‘lamps families’, constituting an install system: there are the pendant, the floor and the applique versions, all produced in small, medium, large models... This concept of the installation is extremely deepfelt today thanks to LEDs. Old lamps were creating a diffuse light and a surrounding luminosity that, even though light was directed toward the
elements, more light sources are required. This means that the positioning of the LEDs, and therefore positioning of light, is now the major issue of lighting design. Basically completely new lamps are to be designed (like my last ones, which are a proof of that) because the light source has no longer a body, it projects a precise, direct and efficient ray, consumes very little power and lasts a lifetime... but it is only a ray of light. While in the traditional light bulbs also their back was lit, with LEDs is total darkness, so the new LED lamp is based on a series of completely different lighting considerations. A total disenchantment about the meaning of the lamp because it is a design object containing in itself all the features to function that only needs to be integrated in the environment.
re. Questo significa che sono spesso privilegiati gli aspetti tecnico-gestionali piuttosto che gli aspetti più puramente estetici che potrebbero invece attrarre molto di più un consumatore privato. PDN Sia artisti che designer spesso utilizzano la luce come elemento compositivo all’interno di installazioni a varie scale. Ritiene che la luce possa essere interpretata e valorizzata attraverso uno strumento come l’installazione? MDL Si, assolutamente. Questo è il grande cambiamento in corso oggi; la luce non viene più progettata per singoli oggetti e per sommatorie di singoli oggetti, come si faceva una volta, quando la luce era fatta di elementi indipendenti – un’applique sul muro, una plafoniera sul soffitto, una lampada sul tavolo e una sul pavimento –, collocati più o meno disordinatamente ma mediamente senza un criterio preciso. Adesso più si va avanti (e aumentano le possibilità d’acquisto), più la luce ha acquisito importanza nella mentalità comune: un ambiente è bello se c’è una bella luce e se i diversi elementi vengono coordinati insieme, in un’unica installazione. La luce non vale più per quello che c’è attorno all’oggetto ma per l’effetto generale che crea nell’ambiente. Questo tipo d’installazione, di uso della luce, ha provocato grandissimi cambiamenti: ad esempio nelle lampade non valgono più gli oggetti singoli ma valgono le ‘famiglie’. Le ultime lampade che ho disegnato hanno avuto grandissimo successo proprio perché sono delle ‘famiglie di lampade’, componenti di un sistema installativo: c’è la versione a sospensione, la versione a pavimento, la versione ad applique e tutte sono prodotte in versione piccola, media, grande… Questo concetto dell’installazione è quantomai vivo oggi proprio in funzione dei led. Le vecchie lampade creavano una luce diffusa e creavano una luminosità circostante per cui, anche se la luce era diretta verso il soffitto, in realtà creava grandi onde di luce. Oggi i led, nello stesso ambiente, proiettano luce senza creare luminosità diffusa e mancando la luce diffusa ci vogliono molti più elementi illuminanti, più sorgenti luminose. Questo fa sì che il posizionamento dei led, e di conseguenza capire come posizionare la luce, sia oggi il grande tema di design della luce. Praticamente bisogna disegnare delle lampade completamente nuove (come le mie ultime, ne sono una testimonianza) perché la sorgente luminosa non ha più corpo, lancia un raggio preciso, diretto ed efficiente, consuma poco e dura una vita intera… però è solo un raggio di luce. Mentre nelle lampadine tradizionali si illuminava anche dietro la lampadina, con i led è buio totale, quindi la nuova lampada a led parte da una serie di considerazioni illuminotecniche completamente diverse. Un disincanto totale sul senso della lampada perché la lampada è un oggetto di design che già di per sé contiene tutte le prestazioni per funzionare, si tratta solamente di integrarla nell’ambiente.
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Enzo Catellani Dalla luce alla lampada From light to lamp
Paolo Di Nardo Your lamps seem to communicate
Paolo Di Nardo Le sue lampade sembrano comunicare una genesi ‘atipica’ nel mondo produttivo dei
an ‘atypical’ genesis in the production world of lighting fixtures, a world more akin to that of the
corpi illuminanti, più affine al mondo dell'artigiano che a quello industriale. Come nascono le sue creazioni?
artisan than to the industrial one. How do your creations originate from?
Enzo Catellani Le mie lampade nascono dalla continua attrazione verso la luce e dalla voglia di plasmare e giocare con materiali, che la curiosità di trovare sempre cose nuove mi spinge a cercare.
Enzo Catellani My lamps are born from the contin-
Ho iniziato artigianalmente, impronta che ho sempre mantenuto, nonostante il mio lavoro si sia poi
ued attraction toward light and the desire to shape and play with materials that the curiosity for finding
evoluto al punto tale da essere considerato quasi come un’industria. PDN Nasce prima il tipo di luce che vuole ottenere o la lampada come oggetto? Quale è il rapporto fra
something new always inspires me. I started as a craftsman, a mark that I have al-
i materiali, i più diversi, con cui realizza le lampade e la luce che vuole ottenere? EC Dal tipo di luce nasce la lampada come oggetto. La dimostrazione è che gli ultimi quattro anni di
ways maintained, even though my work has then evolved to the point that it can be considered al-
lavoro sono stati dedicati al LED e quindi ho potuto reinterpretare l’oggetto lampada con un concetto diverso.
most as an industry.
PDN Rispetto ad esempio a Mario Nanni, anche lui intervistato su questo numero, designer produttore
PDN What does it come first? The light you want to obtain or the lamp as an object? What is the
ma che ha realizzato anche numerosi progetti illuminotecnici per grandi architetture, lei sembra più legato agli spazi interni, forse più intimi, dell’architettura. Quale è il suo rapporto con l'architettura?
relationship between materials, the most different, with which you make the lamps and the light you wants?
EC Come per gli artigiani dell’800, il mio lavoro diventa un apporto all’architettura e potrebbe essere paragonato ad un accessorio della moda. Non è un lavoro da imprenditore al servizio dell’architettura, ma una creatività pura, alla ricerca dell’emozione. Poi lascio all’architettura la decisione di come
EC The lamp intended as object originates from the type of light. The proof is that the last four years of work were dedicated to the LED and so I could reinterpret the lamp object with a different concept. PDN With respect for example to Mario Nanni, a producer and designer who also created several lighting designs for large buildings and also interviewed on this issue, you seem more interested in internal spaces, perhaps more intimate, of architecture. What is your relationship with architecture? EC As for the 19th-century craftsmen, my work becomes a contribution to architecture and could be compared to a fashion accessory. It is not the work of an entrepreneur in the service of architecture, but a pure creativity in search of emotion.Then I leave to architecture the decision on how to use it.
usarla. PDN Pur creando lampade e lavorando sulla luce, guardando alcune sue creazioni sembra che lei sia quasi più attratto dall’ombra che la luce crea (penso alla serie Postkrisi del 2004). Quale è il valore dell’ombra nel progetto di un corpo illuminante? EC Non esiste ombra senza luce. PDN La luce delle sue creazioni sembra acquisire una fisicità e solidità, inusuale per corpi illuminanti d'arredo. Le chiedo se per lei la luce che vuole ottenere prevale sull'oggetto ‘lampada’. EC La lampada è un supporto o un mezzo, vettore di luce. PDN La collezione Eco-Logic Lamp è basata sull'uso del LED come fonte luminosa che lei, ha dichiarato, considera «un nuovo materiale da plasmare». Ce ne può parlare? EC Il LED è inevitabilmente la luce del futuro ed essendo una nuova fonte di luce, la sua prerogativa (micro chip elettronico) ha stimolato in me una fonte creativa, libera dalle dimensioni ingombranti delle vecchie lampadine e portalampade. è automatico il fatto che, di conseguenza, l’interpretazione lampada viene stravolta, e l’apporto più grande che mi ha dato è la possibilità di reinventare e ricreare nuovi oggetti. Essendo il mio lavoro basato sulla creatività e invenzione, il LED quindi è una nuova ed inesauribile miniera.
pagina precedente: Lampada Wa Wa, Catellani & Smith, 2009. Acciaio, ferro, cristallo/previous page: Wa Wa lamp, Catellani & Smith, 2009. Steel, iron, glass
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a sinistra, dall’alto: Lampada Giulietta, Catellani & Smith. Metallo nichelato, rame nichelato, metallo lucido specchiato. Lampada Jackie O, Catellani & Smith. Metallo nichelato, poliestere blu navy, rame nichelato, lente in vetro
on the left, from above: Giulietta Lamp, Catellani & Smith. Nickel-plated metal, nickel-plated copper, polished mirror metal. Jackie O Lamp, Catellani & Smith. Nickeled metal, blue navy polyester, nickeled copper, glass lens pagina seguente: PostKrisi, Galleria Vittorio Emanuele, Milano, Natale 2010 following page: PostKrisi, Vittorio Emanuele Gallery, Milan, Christmas 2010
PDN Even if you create lamps and work on light, looking at some of your creations it seems that you are almost more attracted by the shadow created by light (I think of PostKrisi series, 2004). What is the value of shadow in the design of a lighting fixture? EC There is no shadow without light. PDN The light of your creations seems to acquire physicality and solidity, unusual for decorative lighting fixtures. I ask you if the light you want to obtain overshadows the ‘lamp’ object. EC The lamp is a support or a mean, a carrier of light. PDN The Eco-Logic Lamp collection is based on the use of LED as a light source intended, you claim, as a ‘new material to be moulded’. Can you talk about this? EC LED is inevitably the light of the future and being a new source of light, its prerogative (electronic microchip) has stimulated in me a creative source, free from the bulky size of the old light bulbs and lamp holders. It is automatic that, consequently, the interpretation of lamp is distorted, and the large contribution given to me is the opportunity to reinvent and recreate new objects. As my work is based on creativity and invention, LED is a new and inexhaustible mine.
sotto: Lampada Atman, Catellani & Smith. Metallo nichelato, cristallo below: Atman Lamp, Catellani & Smith. Nickeled metal, crystal pagina precedente: Lampada 001, Catellani & Smith. Metallo nickelato, acciaio inox, diffusori in fiberglass dipinto a mano o naturale/previous page: 001 Lamp, Catellani & Smith. Nickeled metal, inoxidizable steel, hand painted or natural fiberglass diffusors
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Paul Cocksedge Nuove interazioni New interactions
Mara Corradi e Pierpaolo Rapanà Hi Paul, the rea-
Mara Corradi e Pierpaolo Rapanà Le ragioni di questa intervista risiedono nel fatto che il suo lavoro
son of this interview lies in the fact that your work seems to experiment with light in a different way.
sembra sperimentare la luce in un rapporto che coinvolge più profondamente l’utente e lo spazio. La maggior parte dei designer sembra si stia spostando da prodotti funzionali a quelli concepiti come un
In a way that deeply involves the user and space. We can notice that more and more designers are
evento, una esperienza, il cui significato risiede nella performance più che nel prodotto in sé. Si può dire che questo profondo coinvolgimento dell’individuo sia il punto di incontro fra design e arte?
passing from the functional product to the one con-
Paul Cocksedge Queste definizioni creano confusione. Io faccio solo ciò che voglio fare, creo oggetti e
ceived as an event, understood as an experience. The purpose and the meaning of these works lies
non voglio catalogarli. Per quanto riguarda l’interazione, noi interagiamo sempre con qualsiasi oggetto o creazione. Ieri ero ad una mostra del mobile ed anche in quella situazione l’interazione è notevole: il
in the performance instead of in the product itself. Is this deep involvement of the person the meeting
modo in cui guardi un oggetto, lo decodifichi, pensi a come è realizzato... e questi oggetti sono molto funzionali. Se parliamo invece di una installazione o, meglio, di un show che coinvolge lo spazio, come
point between art and design?
le cose che ho realizzato in passato, il discorso può essere diverso.
Paul Cocksedge These definitions are confusing. I am just doing what I like to do, I am creating
MC e PR L’allestimento che lei ha fatto per le vetrine di Hermes, sembra, per così dire, coinvolgere ad un livello maggiore il pubblico. E questo sembra nascere dal modo in cui le immagini sono mostrate,
things… I don’t want to put them in boxes. And with regards to interaction: well we always in-
attraverso una semplice idea che sembra soggettivizzare gli oggetti ed oggettivizzare le persone... PC In questo momento, ad esempio, sto guardando una lampada sul tavolo del mio studio. Non l'ho
teract with any object or creation! I was in an exhibition yesterday and it was a furniture show. Even in that situation there is a huge
disegnata io, è un oggetto che ho da diverso tempo ed io interagisco con esso anche se non ho niente a che farci se non guardarlo. Mi piace creare oggetti e quindi presentarli in modo che le persone debbano interagire con essi. Questo tuttavia non significa che il design abbia minore importanza, anzi,
amount of interaction: in the way you look at an object, the way that you… decode it, think about how it was made... and these object are very functional. If we are talking about an installation or a much more kind of spatial show like the things I’ve done before, it might be slightly different. Do you know the kind of things I’ve done? MC and PR Yes, like the window dressing you’ve done for Hermes, it is very, let’s say, very different, there seems to be a higher level of involvement from the public. It’s in the way images show, in a simple idea that seems to subjectivise objects and objectify people, do you know what i mean? PC You know, I am looking at a lamp in my studio, on the table. It’s not one of my designs, it’s some-
personalmente credo che questa scelta contribuisca ad una maggiore attenzione al design stesso. In questo periodo stiamo lanciando un nuovo prodotto per Flos attraverso una installazione dove le persone devono interagire con l'oggetto. È affascinante vedere le persone che interagiscono con il design, vedere persone che toccano, baciano, spostano, guardano, si meravigliano di fronte all’oggetto. Questo è molto entusiasmante per me perché gran parte del mio lavoro riguarda cose che mi sorprendono e quello che io voglio fare con il design è trasferire questa sorpresa agli oggetti, così che quando le persone li vedono abbiano una reazione simile alla mia. MC e PR Quindi, se posso dare una interpretazione della sua risposta, la questione è che meraviglia, stupore e sorpresa stanno conquistando sempre più spazio nel design odierno, rispetto al passato. PC Suppongo di sì. Abbiamo avuto un design bellissimo nel passato e adesso? Dobbiamo cercare di trovare nuovi modi di realizzare le cose, avendo così tante possibilità in più, più tecnologia, più materiali, più spazi. C’è più di una singola possibilità, non abbiamo bisogno di affrontare gli oggetti come si faceva nel passato, possiamo pensare diversamente. A Milano quest’anno ci saranno spazi dove i designer potranno creare ciò che vogliono creare, in piena libertà! E questo è fantastico! E se le cose vanno per il verso giusto, con le persone che interagiscono con lo spazio e con il design, dando vita a quei momenti di sorpresa di cui parlavamo, gli oggetti si arricchiranno di ulteriori layer comunicativi e di significato. Questo comunque non significa che il design sia meno considerato perché l’oggetto deve ancora funzionare, da un punto di vista funzionale, anche senza lo show, senza l’interazione. Se guardi un oggetto, questo deve essere comunque bello, per la sua forma e la sua funzione. Quindi, è fantastico che ci sia lo show, la sorpresa... che sia un evento. Ma per me è importante che i pezzi di design continuino ad essere belli anche senza lo show! MC e PR Sono perfettamente d’accordo! Venendo al passaggio dalla lampadina tradizionale al Led, pensa che questo abbia cambiato il modo di concepire le installazioni luminose? PC Sicuramente. Senza alcun dubbio ci sono maggiori opportunità, diversi modi di vedere e capire la luce. Soprattutto i led ci danno una precisione prima impensabile: i colori sono precisi, le intensità anche, possiamo lavorare anche in piccoli spazi. I led sono interessanti. Io li ho usati, ad esempio, in una lampada che ho disegnato per Flos, sottile come una pelle. È spessa solo 2 mm e con le lampadine tradizionali questo progetto non esisterebbe. Ci vengono date opportunità prima impensabili, e questo è l'aspetto positivo. Quello negativo è che è una tecnologia in continuo e veloce cambiamento, poco standardizzata, così che a livello industriale esiste qualche confusione. Con le lampadine a bulbo
NeON, 2003. Oggetti di vetro realizzati a mano, sospesi e riempiti di gas naturale, grazie al passaggio della corrente elettrica producono al buio un sorprendente effetto luminoso/NeON, 2003. Glass handmade objects, suspended and filled with natural gas, that thanks to the passage of the electric current produce in the dark a striking light effect
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in questa pagina: Window Display, Hermès, 2009-2010.Le vetrine di Hermès in New Bond Street a Londra mostrano scatole regalo in diverse forme e dimensioni che paiono vuote a prima vista. All’avvicinarsi della gente che passa per strada, le scatole regalo rivelano il loro contenuto, scherzando con la naturale curiosità umana che viene così soddisfatta. La luce è usata come attrazione e messa in scena/Window Display, Hermès, 2009-2010. Hermès windows in New Bond Street, London, show gift boxes in many different shapes and sizes that seem empty at first sight. When people passing down the street approach them, the gift boxes reveal their content, arousing natural human. Light is used to stage the products and attract passers-by
Crystallize, 2005, per Swarovski Crystal Palace Collection. è un lampadario fatto dalla luce, che scompare quando la luce non c’è. Al centro del lampadario c’è un singolo cristallo, che brilla quando cattura la luce. Utilizzando laser e cristalli in perfetto allineamento, il lampadario prende la forma iconica di un cristallo Swarovski/Crystallize, 2005, for Swarovski Crystal Palace Collection. It is a chandelier made from light. When there is no light the chandelier disappears. At the heart of the chandelier is a single crystal which sparkles as it catches the light. Using lasers and crystals in perfect alignment, the iconic shape of a Swarovski crystal is drawn in mid air
thing that I’ve had for a while, and I do interact with it. I don’t have to do anything apart from look at it but I’m still interacting with it.
noi sapevamo che una era da 50 watt, una da 75, un'altra da 100 watt, lo capivamo ma con i Led la tecnologia è predominante, riguarda più la luce, in sé, che non l’oggetto. L’oggetto, il led, non è molto ‘umano’. La lampadina ha qualcosa di umano: una bellissima forma, attraverso la quale puoi vedere i
I like to create objects and then present them in a way that people have to interact with them, but that doesn’t mean that the design is less considered, actually for me it puts a lot more of pressure on the design itself. Now we are launching a new product for Flos and it is presented in an installation where people get to interact with the object. It is fascinating to see people interact with design. It is really wonderful when you see people touch or kiss or move, look, wonder, that for me is very very exciting because a lot of my work is about things surprising me and what I try to do in the design is to package that element of surprise into an object so that when people see it, they have a similar reaction of surprise. MC and PR So if I may give an interpretation to your answer, the point is that wonder, astonishment, surprise are gaining more space in design today than before. PC I suppose so, yes. We have so much wonderful design in history and what do people do now? We have to try to figure out new ways of doing things, and we have got so many more possibilities now, more technologies, materials, spaces. There is more on offer, we don’t need to approach things like people have done in the past, we can think differently. In Milan this year there are going to be spaces given to designers to create whatever they want to create, this is fantastic, we are quite free. And if
singoli elementi e comprenderli. Con i led mi interessa la luce e la miniaturizzazione, non la sua forma, dato che quasi non la ha. Castiglioni, ad esempio, realizzo per Flos una lampada che era una castello di lampadine e lo poté fare perché sono oggetti molto belli anche da guardare, così perfetti. Quando usi i led sai che oggi puoi ottenere qualsiasi temperatura di luce, anche molto calda ma devi pensare alla possibilità di fusione e ammorbidimento dei materiali. Ma è possibile e penso che per i designer ed i progettisti sia una fantastica opportunità. MC e PR Nella sua vita professionale ha incontrato e lavorato con molti designer, come Ron Arad e Ingo Maurer, e nei suoi lavori possiamo ritrovare delle connessioni con il loro lavoro. Sono ancora punti di riferimento per lei o ce ne sono altri nel panorama del design contemporaneo? PC Sono sicuramente dei punti di riferimento. Ho visto Ron Arad lo scorso mese, voleva che pensassi a qualcosa per uno show che sta preparando. Sono andato al suo studio, è un posto incredibile. Ho ancora un legame con lui, è una fonte di ispirazione. Ma è strano, quando le persone pensano ai designer, pensano che sia tutto glamour e feste. Beh, queste sono parte, ma attualmente se vieni nel mio studio mi vedrai disegnare, progettare... è la mia vita, il mio lavoro e io lo amo. E quando vado allo studio di Ron Arad, lui è lì che disegna. Questo è ciò che è veramente magnifico: è qualcosa che riguarda il tuo istinto creativo. In questo noi troviamo il nostro mondo, ciò che ci rende felici, ed è quello che ognuno di noi cerca in un lavoro! Ho un sacco di amici che odiano il lunedì mattina... io invece amo il lunedì mattina! MC e PR Il suo lavoro è vario e sfaccettato e, come abbiamo detto, spesso coinvolge situazioni più spaziali. È interessato a realizzare lavori più propriamente di architettura, come edifici o interni? Vedremo mai un Paul Cocksedge architetto? PC (ride) È interessante perché il progetto che stiamo realizzando quest’anno a Milano per Flos riguarda lo spazio e molte altre cose che ho fatto hanno questo legame con le pareti ed i soffitti. Sono molto interessato a cimentarmi in questo mondo ed ho già qualche idea. Una mia ambizione sarebbe quella di spingere lo studio verso questa trasversalità. Quello che spero al momento è che le idee facciano progredire lo studio e dato che le mie idee sono così diverse queste talvolta possono tramutarsi in lampade o spazi o relazioni o altro. Spero che lo studio possa continuare ad andare avanti in questo modo e, per rispondere alla tua domanda, sarebbe un onore lavorare ad altri progetti di architettura. Alcuni designer dicono ‘sono un gioielliere’, ‘sono un ceramista’... io rispetto questo approccio ma personalmente non riesco a pensare alla creatività in questo modo. Io credo che tutto debba essere più libero, perché è quando sei un outsider che sei in grado di vedere ciò che gli altri non possono vedere.
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Pole, Established & Sons , 2008. Lampada in acrilico, led e cemento. La fonte luminosa alla base della lampada emette un fascio di luce che devia all’interno del tubo di acrilico trasparente, dimostrando che la luce non viaggia in linea retta Pole, Established & Sons, 2008. Acrylic, LED and cement. The light source at the base of the lamp emits a beam of light that deviates into the transparent acrylic tube, showing that light does not travel in a straight line. pagina seguente: Kiss, installazione a Milano, 2009-2010. In occasione del Light Exhibition Design (LED), la galleria Vittorio Emanuele II ha ospitato una piattaforma per baci sotto il vischio, facendo dell’antica tradizione natalizia un evento pubblico a scopo benefico: ogni volta che una coppia si dà un bacio, l’installazione led creata da Paul Cocksedge si illumina e un euro viene donato per combattere la fame nel nord dell’Uganda/following page: Kiss, installation in Milan, 2009-2010. On the occasion of Light Exhibition Design (LED), the Galleria Vittorio Emanuele II hosted a platform to kiss under the mistletoe, making the ancient Christmas tradition a public event for charity: every time a couple kisses, the LED installation created by Paul Cocksedge lights up and a Euro is donated to fight hunger in northern Uganda
you get it right and people get to interact with the space and design, and that wonderful moments of surprise arise well that gives the object more lay-
I mean it is more about the light itself than the object. The object, the Led itself, is not very ‘human’. The light bulb has something human and you can
Arad’s space he’s designing. And this is what is really wonderful about it: it is about this instinct to create.
ers and meaning. But this doesn’t mean that the design is less considered, it still has to work as a functional object without the show, without the interaction. If you look at the object it still has to be beautiful for its own shape and function. So you can have the show, and the surprise, this is fantastic, it’s an event. But for me it is important that pieces of design can still be beautiful without the show. MC and PR I understand and agree, I think it is a great answer, thank you! So now, let’s consider the transition from light bulb to LED. Did it change the way you conceive lighting installations? PC Yes, for sure. Definitely you are given many more opportunities, different ways of looking with light, understanding light. And most of all it has given us precision. We can work with precise colours, precise intensities, we can work in small spaces. Leds are interesting. Like in a skin lamp I’ve designed for Flos. It is 2 mm thick. With a light bulb this design would not exist. We are given opportunities which were impossible before. That is the plus side. The negative side is that they are always changing, very quickly, so it is quite a confusing industry in that sense, there is little standardization so far. With the light bulb we knew: this is 50 watt, 75 watt 100 watt, we understood it, but with the Led it is more technological,
connect with it: a beautiful shape in which you can see the elements and understand it. So with Led I’m interested in the light and miniaturization, not really in the shape since it almost doesn’t have one. You know Castiglioni did the lamp for Flos which was a castle of light bulbs and you could do this since they are so beautiful just to look at, so perfect. When you use LED you know you can match any colour temperature now, you can get very warm light but you have to think about the fusion and softening. But it is possible, I think for the designers is a fantastic gift. MC and PR In your professional life you have met and worked with many designers like Ron Arad and Ingo Maurer and in your work we can clearly spot some connections to their work. Are they still points of reference or are there any points of reference for you in the design panorama today? PC They are definitely points of reference. I saw Ron Arad last month, he wants me to think about something for a show he is doing, I went to his studio, it is an amazing space, I still have a connection, he is an inspiration you know. But it’s strange, when people think of designers they think it’s all glamour and parties. Well that is part of it but actually if you come to my studio, you will just see me designing, it is my life, it is my job, and I love doing it. And when I go to Ron
We have found our place, what makes us happy, and that’s what everyone looks for in their job. I’ve got lots of friends who hate Monday mornings, well I love Monday mornings! MC and PR Your work is varied and multifaceted and, as we said, often turns into more spatial situations. Are you interested in doing more architectural works: actual buildings or interiors? Will we ever see a Paul Cocksedge Architect? PC (laughter) It’s interesting because the piece we are doing for Flos this year in Milan is spatial, and many of the other things that I’ve done have this connection with the walls and the ceilings. So I’m very interested in stepping into that area and I have ideas for that. That is actually an ambition of mine to move the studio in these trans-directions. What I’m really hoping is that ideas push the studio forward and since my ideas are so varied they sometimes turn into lamps or spaces or relations or pieces outdoors. I hope I can keep that in the studio so, to answer your question it would be an honour to do more architectural pieces. Some designers say «I am a jeweler», «I am a ceramicist», I respect that approach but, for me, I can’t think of creativity in that sense. I think it all must be much freer than that, because it is when you are an outsider that you see what others cannot see.
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Š Ivane Goliadze
Philippe Martinaud I respiri dell’architettura Architecture breath
Mara Corradi The realization of an urban instal-
Mara Corradi Realizzare un’installazione urbana coinvolge una collettività. Come incide la responsabi-
lation involves a community. What is the impact of resulting social responsibility in the conception
lità sociale che ne deriva nella concezione dell’idea? Philippe Martinaud Per il mio modo di lavorare e di vedere le cose, un ambiente urbano è come una
of the idea? Philippe Martinaud According to my way of work-
pittura, un quadro, dove tutto ha un’armonia ed è integrato e in equilibrio con ciò che lo circonda e dove tracce di luce vanno a sublimare ciò che è più mirabile e rilevante!
ing and seeing things, an urban environment is
Cerco sempre di trovare il legame e l'interazione con la città circostante. Qualsiasi intervento di luce
like a painting, a picture, where everything has a harmony and is integrated and in balance with its
in una città deve dimostrare di integrarsi. Non si potrebbe assolutamente immaginare lo stesso progetto illuminotecnico a Las Vegas o a Parigi.
surroundings and where traces of light exalt what is most admirable and relevant!
MC La luce deve aiutare a leggere l’architettura oppure merita attenzione come messaggio indipendente? PM L’illuminazione, concepita come parte di un’opera architettonica, dovrebbe servire in primo luogo
I always try to find the link and interaction with the surrounding city. Any light intervention in a city
il lavoro dell'architetto. Ma il progetto di una scenografia luminosa apporta a sua volta il suo messaggio e la sua creatività. Nel
must demonstrate its integration.
mio lavoro adotto spesso l’illuminazione dinamica per creare delle onde, che alternano luce ed ombra
It was absolutely impossible to imagine the same lighting project in Las Vegas or Paris.
come se l’architettura stesse respirando. Quando si interpreta così, allora il progetto può avere più letture. L'architetto e il light designer sono lì per mettere in discussione, stupire, toccare la sensibilità
MC Should light help reading architecture or does it deserve attention as independent message? PM The lighting, designed as part of an architec-
e la poesia di chi guarda. L'interpretazione finale resta soggettiva e intima. MC Progettando lei sceglie di evidenziare certi aspetti di un’architettura, mettendone in ombra altri. Come funziona il processo di valorizzazione/esclusione?
tural work, should serve primarily the work of the architect. But the project of light scenery brings in turn its message and creativity. In my work I often adopt the dynamic lighting to create waves, alternating light and shadow as if the architecture was breathing. When interpreted in this way, then the project may have multiple readings.The architect and the light designer are there to question, surprise, touch the sensitivity and poetry of the beholder. The final interpretation remains subjective and intimate. MC By designing you chose to highlight certain aspects of architecture, overshadowing others. How does the exploitation/exclusion process work? PM Entertainment and theatre influence my work: I use architecture as a theatrical background and then I stage it with light. Architecture is a backdrop, a background of which some parts are revealed in full light and others remain in shadows, only suggested. In the design of light, shadows and lights become architectural volumes. MC Tell us about your relationship with Georgia. Many projects recently completed have been lighted by your office. Architectures have a high symbolic value for this country. What was your approach in this regard? PM When I arrived in Georgia about 5 years ago to create a light project requested by the President Mikheil Saakashvili, I met a country determined
PM Spettacolo e teatro influenzano il mio lavoro: io utilizzo l’architettura come uno sfondo teatrale e poi lo metto in scena con la luce. Un’architettura è uno scenario, uno sfondo, di cui alcune parti in piena luce sono svelate e altre restano in penombra, solo suggerite. Nella progettazione della luce, ombre e luci diventano volumi architettonici. MC Ci parli del suo rapporto con la Georgia. Molti progetti di recente realizzazione sono stati illuminati dal suo studio. Le architetture hanno un alto valore simbolico per questo paese. Qual è stato il suo approccio in tal senso? PM Quando sono arrivato in Georgia circa 5 anni fa per realizzare un progetto di illuminazione richiesto dal Presidente Mikheil Saakashvili, ho incontrato un paese determinato a incamminarsi verso la modernità e il futuro. Oggi posso dire che la Georgia è anche un paese di mentalità aperta, che lascia ampio spazio alla fermentazione delle idee e alla sperimentazione del nuovo. Da allora ho avuto la possibilità di porre la mia impronta su alcuni importanti progetti, di cui tre sono visibili dal centro di Tbilisi: la torre della TV, che domina sulle alture e da quella posizione si impone sulla capitale, il Palazzo Presidenziale che come su un trono fronteggia la città vecchia e il Ponte della Pace, legame tra le due rive del fiume e le due parti della città. In questo trittico architettonico si trova l'identità del mio lavoro di light designer: sono orgoglioso di aver segnato con una scia luminosa la capitale georgiana. Ed ora, grazie alla fiducia del comune di Tbilisi, continuo il mio lavoro sul progetto di illuminazione urbana di Tbilisi che vuole iscrivere la città in un'atmosfera luminosa di coerenza e armonia. Un progetto a lungo termine!
progetto illuminotecnico della Torre della TV, Governo della Georgia, Tbilisi, 2007/lighting desing for the TV Tower, Government of Georgia,Tblisi, 2007
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Š Gia Chkhatarashvili
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© Philippe Martinaud
progetto di scenografia luminosa per la Cattedrale Notre-Dame de Chartres, per il concerto Lumière sacrée in occasione degli 800 anni della sua costruzione, 2008scenography design for the Notre-Dame de Chartres Cathedral. Lumière sacrée concert for the 800 years of its construction, 2008
pagina successiva: Ministero degli Affari Interni della Georgia e Quartier Generale della Polizia, Governo della Georgia, Tbilisi, 2009. sotto: linee di posa dei led lungo la superficie vetrata, in prospetto e nella vista dall’alto following page: Ministry of Internal Affairs and Patrol Police, Government of Georgia, Tbilisi, 2009. Below: situation and level of the led lines along the glass façade. Elevation and plan pagine precedenti: vista notturna della riva destra del fiume Mtkvari a Tbilisi, dove il Ponte della Pace (2010) e il Palazzo presidenziale (2009), illuminati da Philippe Martinaud, si rapportano all’antica chiesa di Tsminda Sameba/previous pages: night view of the Mtkvari River right bank in Tblisi. The Bridge of the Peace (2010) and the Presidential Palace (2009), lightened by Philippe Martinaud, relate to the Tsmida old Church
to move towards modernity and future. Today I can say that Georgia is a country with an open mind, which leaves ample room for the ferment of the new ideas and experimentation. Since then I have had the opportunity to put my mark on some important projects, three of which are visible from the centre of Tbilisi: the TV tower, which dominates the hills and from that position overlooks the capital, the Presidential Palace that as on a throne faces the old town, and the Peace Bridge, linking the two banks of the river and the two parts of the city. In this architectural triptych is the identity of my work as light designer: I am proud to have marked with a luminous trail the Georgian capital. And now, thanks to the confidence of the town of Tbilisi, I continue my work on the urban lighting project of the city that wants to be included in a
light atmosphere of consistency and harmony. A long-term project! MC You also lighted many cathedrals. What is important in lighting design of a religious building with respect to a secular one? The lighting installation for the Cathedral of Evry was quite daring: how do public and client react? PM Many of these interventions on religious architectures have been carried out for shows or special events. These situations allow some freedom. When I conceive a lighting design my theatrical experience is always there. At the time of their construction, the religious buildings were painted in bright colours. I intend light as a link between the human and the sacred. A contemporary cathedral leaves more creative opportunities than would seem at first sight and creative freedom is often welcome.
© Ivane Goliadze
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The role of the designer of the light scenery is to create a special atmosphere. Which place is better suited than a religious one? MC You are also involved in designing sceneries for fashion. What are the main differences between staging a fashion show and ‘staging’ an architecture from your point of view? PM Whatever the context in which I work, there’s a link between my projects. Everything is connected, stage design, event, fashion and architecture. Each area affects the other, spreading ideas. For a designer there is his signature, his world and even his identity of light. In the case of a building the architect's work is to be exalted and made appreciable in all its aspects. In architecture as in fashion, light will act as a translation, as the revelation of the subject. All is jointed and combined for the most complete expression possible!
MC Ha illuminato anche molte cattedrali. Cosa è importante nel progetto illuminotecnico di un edificio religioso rispetto a quello di un edificio laico? L’installazione luminosa per la Cattedrale di Evry fu piuttosto audace: quali furono le reazioni del pubblico e della committenza? PM Molti di questi interventi su architetture di culto sono state fatte per spettacoli o eventi speciali. Queste situazioni permettono qualche libertà. Quando concepisco un progetto illuminotecnico è sempre presente la mia esperienza teatrale. Al momento della loro costruzione, gli edifici religiosi erano dipinti con colori vivaci. Per me la luce è il legame tra l'umano e il sacro. Una cattedrale contemporanea lascia maggiori opportunità creative di quanto sembrerebbe a prima vista, e la libertà creativa è spesso benvenuta. Il ruolo del progettista della scenografia luminosa è quello di creare un'atmosfera speciale. Quale luogo si presta meglio di un luogo di culto? MC Lei si occupa anche di scenografie per la moda. Quali sono le differenze principali tra mettere in scena una sfilata e ‘mettere in scena’ un’architettura? PM Qualunque sia l’ambito in cui lavoro, c'è sempre un legame tra i miei progetti. Tutto è collegato, la scenografia teatrale, l’evento, la moda e l’architettura. Ogni territorio influenza l'altro, irradiando idee. Per uno stilista c’è la sua firma, il suo mondo e anche la sua identità luminosa. In un edificio si tratta di sublimare l'opera dell’architetto e farla apprezzare in tutti i suoi aspetti. In architettura come nella moda, la luce agirà come traduzione, come rivelazione del soggetto. Tutto si unisce e si combina per l’espressione più completa possibile!
© Ivane Goliadze
a sinistra: allestimento illuminotecnico per la sfilata di Stella Mc Cartney, Parigi, Palais de la Bourse, Collezione primavera-estate 2005/on the left: lighting setting for Stella Mc Cartney fashion show, Paris, Palais de la Bourse Collection printemps-été 2005
© Philippe Martinaud
sopra: scenografia luminosa variabile sulla passerella e sulla copertura del Ponte della Pace, Old City Rehabilitation and Development Fund, Tbilisi, 2010/above: changeable lighting scenography on the foot-bridge and roofing of the Bridge of Peace, Old City Rehabilitation and Development Fund, Tbilisi, 2010
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schizzo dell’allestimento illuminotecnico per la sfilata di Azzedine Alaia, show a Parigi Atelier show room, Collection Alta Moda estateautunno 2003/sketch for lighting and stage design for Azzedine Alaia show in Paris Atelier show room, Collection Haute couture été automne, 2003
Mario Nanni Emozione e concentrazione Emotion and concentration
Mara Corradi Mario Nanni is a manufacturer of
Mara Corradi Mario Nanni è un produttore di apparecchi luminosi. Eppure spesso le sue installazioni
lighting fixtures. Yet his installations often hide these light sources, leaving only the effect. What
nascondono le fonti luminose, lasciandone solo l’effetto. Quale riflessione sta dietro a tale scelta? Sembra presupporre che il miglior design sia quello che scompare…
consideration is behind this choice? It seems to assume that the best design is the one that disap-
Mario Nanni Io non sono un produttore, sono un progettista. Non faccio installazioni, ma lavori, sperimentazione e ricerca: solo affrontando il progetto ogni volta con entusiasmo e convinzione si ottiene
pears...
un lavoro compiuto, duraturo, importante. Un lavoro che sappia parlare di sé anche in silenzio, che
Mario Nanni I’m not a manufacturer, I am a designer. I do not realize installations, but works, ex-
si noti per il suo effetto, non solo per gli elementi che lo generano. Sono anni che progetto seguendo delle mie regole, le otto regole della luce, nate dall'osservazione della luce naturale. Una di queste
perimentations and research: only by dealing with the project every time with enthusiasm and con-
recita: presenza e assenza. Presenza di luce, assenza di corpo illuminante; ma non sono necessariamente la scomparsa e il negarsi che fanno il buon design: sono il pensiero progettuale e l'effetto
viction it is possible to obtain a complete, durable and important work. A work that can speak of itself
finale a fare la differenza. La presenza e l'assenza, appunto. È stato a metà degli anni ‘80 che mi sono cimentato per la prima volta nel progettare un corpo illuminante che scomparisse totalmente;
remaining silent, which stands out for its effect,
quando tutti mi prendevano per matto e nella mia ideazione della scomparsa totale leggevano solo
not only for the elements it is generated by. For years I design following my rules, the eight rules
le difficoltà tecniche di montaggio e installazione, io invece pensavo alla luce inventando l'annullamento del prodotto.
of light, born from the observation of natural light. One of them tells about presence and absence. Presence of light, absence of a lighting fixture; but
MC Ha realizzato progetti illuminotecnici sia per far fruire degli spazi architettonici, come alla Triennale di Milano, che per fruire degli spazi architettonici come scenari, per esempio l’installazione sulla facciata del Teatro alla Scala. La luce può servire a leggere meglio l’architettura oppure a sua volta
disappearance and denial are not necessarily the advocated of a design: difference is made by the design concept and the final effect. Presence and absence, in fact. It was in the mid-‘80s that for the first time I measured myself against the design of a totally disappearing lighting fixture; when everybody thought I was raving and in my total disappearance conception they only saw the technical mounting and installation difficulties, while I was thinking about light inventing the cancellation of the product. MC You created lighting designs for both making the architectural spaces usable, as the Triennale in Milan, and benefit from architectural spaces as scenarios, for example, the installation on the facade of the Teatro alla Scala. Light can be used to better
può essere messaggio indipendente. Lei come decide di volta in volta quale approccio tenere? MN Ogni progetto è un progetto a sé, una sfida e una scelta nuova. La luce è uno strumento, una materia che aiuta l'architettura a manifestarsi e a vivere. Di volta in volta decido se usare la luce come strumento narrativo, emozionale, costruttivo, in ogni caso sempre a servizio dell'architettura. Quando mi confronto con uno spazio architettonico, una facciata, un dettaglio costruttivo, a qualsiasi scala ci troviamo, percorro sempre un'unica strada: la ricerca della luce giusta. Quella narrativa, spettacolare ed emozionale sul Teatro alla Scala di Milano; quella tecnica e a servizio della fruizione degli spazi espositivi alla Triennale di Milano a fianco di Michele De Lucchi; quella in movimento e scenografica per l'opera ‘CCC’ con Kengo Kuma; la luce del silenzio con Peter Zumthor a Vals; quella narrativa per la Biennale di Venezia; quella spettacolare per gli spazi Adnoc ad Abu Dhabi. Sono sempre e comunque teso alla ricerca della luce giusta che impari ad ascoltare il luogo. MC Libro d’ombra di Junichiro Tanizaki confronta la razionale predilezione verso l’illuminazione elettrica della società occidentale con la più intuitiva e irrazionale propensione dell’architettura giapponese tradizionale per l’ombra. A quale dei due approcci alla rappresentazione dello spazio si sente più vicino? Quale pensa che sia più attuale oggi? MN Per me è un libro di riferimento, leggendo il quale ho maturato molte riflessioni. L'invenzione della
apertura: illuminazione del particolare, studiata per esaltare le pieghe dell’abito di Capucci, esposto nella prima edizione del Triennale Design Museum, Milano, 2007-2009/opening page: detail lighting, studied to intensify the pleats of the Capucci dress, from the first edition of Triennale Desing Museum, Milan, 2007-2009 a destra: Libro d’ombra, di Junichiro Tanizaki, Tascabili Bompiani/on the right: Libro d’ombra, by Junichiro Tanizaki, Tascabili Bompiani
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a sinistra e pagina seguente: la poesia di luce Arco di luce per l'Arco di Augusto a Rimini, 2008. Installazione luminosa nella città on the left and following page: the poem of light Arco di luce for the Arco di Augusto in Rimini. Lighting installation in the city
Blocco,Viabizzuno, 2003, 5.000 fogli di carta incollati sul lato corto e fustellati al centro ad impronta di lampadina. La luce di una lampadina dicroica GU5,3 50W a fascio stretto passa attraverso il foro centrale proiettando a soffitto il disegno della lampadina. Man mano che si tolgono i fogli dalla risma la distanza focale tra la lampadina e il foro diminuisce, così modificando il disegno proiettato. I fogli si possono usare per disegnare, colorare, scrivere e poi staccare/Blocco, Viabizzuno, 2003, 5.000 sheets of paper pasted on the short side and die-cut in the centre to form the shape of a light bulb. The light of a GU5, 3 50W narrow-beam bulb passes through the central hole projecting on the ceiling the image of the bulb. As the sheets are removed from the ream the focal distance between the bulb and the hole decreases, thus changing the design shown. The sheets can be used to draw, paint or write, and then removed
understand the architecture or can be intended as an independent message. How do you decide from time to time the approach to be taken?
of the end: in our Western culture with the birth of the incandescent bulb light design stopped, we became lazy. No more design, but only placement
MN Each project is a unique project, a challenge and a new choice. Light is a tool, a substance that helps the architecture to emerge and live. From time to time I decide whether to use light as a narrative, emotional, constructive device and in any case always in service of architecture. When I face an architectural space, a facade, a construction detail, at any scale we are, I always follow a single way: the search for the right light. The narrative, dramatic and emotional one at Teatro alla Scala in Milan; the technical one in service of the enjoyment of exhibition spaces at the Triennale in Milan in collaboration with Michele De Lucchi; the moving and dramatic one for the work CCC with Kengo Kuma; the light of silence with Peter Zumthor in Vals; the narrative one for the Biennale in Venice; the spectacular one for Adnoc spaces in Abu Dhabi. I always aim at the research of the right light that learns to listen to the place. MC Paper shadow by Junichiro Tanizaki compares the rational preference for the electric lighting of Western society with the most intuitive and irrational propensity of Japanese traditional architecture for shadow. Which of the two approaches to the representation of space do you feel closest to? What do you think is more relevant today? MN For me it is a reference book, reading it I pondered a lot of reflections. The invention of the light bulb, as I have always claimed, was the beginning
of light points in sequence. Eastern culture, on the contrary, has managed to remain more pure and whole, more faithful to the respect and the proper use of natural light. Shadow is an integral part of light, neither exists without the other and their right balance becomes the true way of designing. The ideal thing is the ability to use the latest technology with respect and love for the culture associated with the use of natural light. MC In your work, is there the risk of transforming the architectural or urban project on which the intervention is intended for in something other than the original? Have you ever moved to the border realizing that you were overriding the work? MN To transform into something different from the original means to be deceptive, but the right light just does not deceive, it shows. Maybe it shows in his own way: by surprising, hiding, thrilling, enchanting, but not deceiving. I always approach the project by putting myself in service of the work and architecture, never trying to override the object that lights up, but rather exalting it. In my projects the way I work, my hand, my choices can be recognized, but only a careful look can notice it, it is not the overriding action to make it noteworthy. If the designer overrides the work he kills it; on the contrary I work to illuminate it. But talking about my ‘light poems’ the planning approach is different: a poetic component going
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padiglione ‘Via...ggiando’, struttura mobile progettata da Mario Nanni. Nella foto: ‘Via...ggiando’ a Bologna, in occasione di Artefiera 2011, raccolta di lampadine tradizionali in disuso/‘Via...ggiando’ pavillion, mobile installation designed by Mario Nanni. In the photo: ‘Via...ggiando’ in Bologna, during Artefiera 2001, collection of dismissed traditional light bulbs pagina precedente: il progetto di luce per Piazza dei Martiri del 7 luglio a Reggio Emilia, 2008/previous page: the lighting design for the Piazza dei Martiri del 7 luglio in Reggio Emilia, 2008
beyond design comes into play. It is a way to express oneself with light, to tell stories and dreams, to use light as a tool and source of emotional ex-
lampadina, l’ho sempre sostenuto, è stato l'inizio della fine: nella nostra cultura occidentale con la nascita della lampadina a incandescenza si è smesso di progettare con la luce, ci si è impigriti. Non più progettazione, ma solo posizionamento in sequenza di punti luce. La cultura orientale, invece, è
pression. In these cases I do not feel in service of architecture, but I feel that the architecture can be in my service: it becomes the blank page on which I can express myself, the space that stimulates reflections and experimentation, the area told by my works. MC I have read about your battle against the disappearance of the incandescent light bulb. How is it going? MN Unfortunately bad, but I do not give up. It is going bad because indifference, the lack of awareness about the seriousness of things, the lack of social awareness and misleading campaigns make everybody believe that the death of the light bulb will help the planet live better. A paradox. Often, by replacing the old light bulbs in our house with new low-power ones, we believe we are making a significant gesture to improve the fortunes of the world; this is what they make us believe. What they do not tell us, what no one explains, is the production cost of a low-energy light bulb or of a traditional E27. We cannot know, but this is what great multinational corporations of the sector want: make us feel with a clear conscience, make us feel ecologist when we support their market initiatives, make us think that the old technologies are enemies and that the future, good and clean, can only be found in new frontiers... only those in which they are earning. I do not stop, the old light
riuscita a rimanere più pura e integra, più fedele al rispetto e al corretto uso della luce naturale. L’ ombra è parte integrante della luce, nessuna delle due esiste senza l'altra e il loro giusto equilibrio diventa il vero modo di progettare. L’ideale è saper usare la tecnologia contemporanea nel rispetto e con l'amore per la cultura legata all'uso della luce naturale. MC Nel suo lavoro, c’è il rischio di trasformare il progetto architettonico o urbanistico su cui si interviene in qualcosa di diverso dall’originale? Le è mai capitato di muoversi al confine e di accorgersi che stava prevaricando l’opera? MN Trasformare in qualcosa di diverso dall’originale vuol dire ingannare, ma la luce giusta non inganna, fa vedere. Magari fa vedere a modo suo: stupendo, nascondendo, emozionando, incantando, ma non ingannando. Io mi approccio al progetto mettendomi sempre a servizio dell'opera e dell'architettura, cercando di non prevaricare mai l'oggetto che si illumina, ma anzi esaltandolo. Nei miei progetti si può riconoscere il mio modo di lavorare, la mia mano, le mie scelte, ma è lo sguardo attento a notarlo, non l'azione di prevaricazione a farlo notare. Se il progettista prevarica l'opera la spegne; io invece lavoro per illuminarla. Diverso è l'approccio progettuale quando si tratta delle mie ‘poesie di luce’: entra in gioco una componente poetica che va oltre la progettazione. È un modo di esprimersi con la luce, di narrare storie e sogni, di usare la luce come strumento e fonte di espressione emozionale. In questi casi non mi sento solo a servizio dell’architettura, ma sento che anche l'architettura può essere a mio servizio: diventa la pagina bianca sulla quale mi posso esprimere, lo spazio che stimola riflessioni e sperimentazioni, la superficie che si fa raccontare dalle mie opere. MC Ho letto della sua battaglia contro la scomparsa della lampadina a incandescenza. Come sta andando? MN Purtroppo male, ma non cedo. Sta andando male perché l’indifferenza, la poca consapevolezza della gravità delle cose, la mancanza di coscienza sociale e le campagne ingannevoli fanno credere a tutti che la morte della lampadina aiuterà il pianeta a vivere meglio. Un paradosso. Spesso, sostituendo le vecchie lampadine di casa nostra con nuove a basso consumo, crediamo di compiere un gesto rilevante per il miglioramento delle sorti del mondo; questo è quello che ci fanno credere. Quello che non ci dicono, ciò che nessuno spiega è quanto costa produrre una lampadina a basso consumo e quanto una tradizionale E27. Non ci è dato di sapere, ma questo è quello che vogliono le grandi multinazionali del settore: farci sentire la coscienza a posto, farci credere che siamo ecologisti quando
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la poesia di luce La luce della musica per il Teatro alla Scala di Milano, dicembre 2009-gennaio 2010. Lavoro che utilizza
bulbs are not just icons for me, they are a way for the creation of new lighting fixtures, to educate the younger generation, to sensitize all of us about real energy-saving; they are a work I collected during Artefiera 2011, inviting all visitors to bring me one of their old light bulbs, even burnt out. I have hundreds of them, which I keep in glass jars: I will give them a new life. MC Many important light entrepreneurs, as you are, are also designers. Is this transversality a desire for total control or a desire to detail your own mark and personality to the project? MN It is a way of being. I do not like to call myself an entrepreneur, I am a designer: I founded a company structured as a workshop, a place of research and experimentation. I argue that design is love, because design is above all the selfconstruction. This transversality is not given by the desire to design anything, but by the need to solve the problems of everyday life. I think people who appreciate my work see the research behind it, the technological solutions, not the useless formalism. MC ‘Blocco’ is a lamp, a table, a chair, a game, maybe it is not really definable. Looking at the young designers today they seem to follow this inspiration, breaking the typological boundaries to design common, expressive objects without a true
definition. Is it a spirit of rebellion for its own sake, a challenge waiting for new definitions, or a new specific design direction? MN In my case this is not a spirit of rebellion: it is my notepad, the space to find oneself. A time to think and draw, write and communicate, plan and focus. It is the container of my thoughts, when I find myself in front of a blank sheet: the blank page has always been a source of great inspiration for me, an incentive making me think on natural light, an untouched area becoming a light source, the symbol of the challenge that urges me to face each time a new way with a renewed enthusiasm. My inspiration was this. First of all objects must serve some purpose, must be intended for use, function, they must be clearly defined elements, capable of triggering multiple actions and feelings, but with rigor. Emotions and concentration, like the one felt the first day of school, when we set new goals and ask lots of questions: even the questions are a source of growth, a real design phase. So the pad becomes an object, a lamp, but also the beginning of a path where exactly note down all the questions that make us grow. The first I remember? «By day the sunlight, at night the moonlight... what is the right light? My grandfather said the light of the sun and of the moon... and of the light bulb».
la poesia di luce La luce del vento, illuminazione per l'opera CCC di Kengo Kuma per Casalgrande Padana, Reggio Emilia, 2010/the poem of light Luce nel vento for the CCC project by Kengo Kuma for Casalgrande Padana, Reggio Emilia, 2010
appoggiamo le loro iniziative di mercato, farci pensare che le vecchie tecnologie sono nemiche e che il futuro, buono e pulito, stia solo nelle nuove frontiere... quelle nelle quali loro stanno guadagnando. Io non mi fermo, le vecchie lampadine non sono solo delle icone per me, sono uno strumento per la creazione di nuovi corpi illuminanti, per educare le nuove generazioni, per sensibilizzare tutti noi sul reale risparmio energetico; sono un’opera che ad Artefiera 2011 ho raccolto, invitando tutti i visitatori della manifestazione a portarmi una loro vecchia lampadina, anche fulminata. Ne ho centinaia che conservo in vasi di vetro: darò loro una nuova vita. MC Tanti importanti imprenditori della luce come lei sono anche progettisti. Questa trasversalità è una volontà di controllo totale o un desiderio di dettagliare la propria impronta e personalità al progetto? MN È un modo di essere. Non amo definirmi imprenditore, perché sono un progettista: ho fondato un'azienda strutturandola come un laboratorio, un'officina, un luogo di ricerca e sperimentazione. Io sostengo che progettare sia voce del verbo amare, perché la progettazione è soprattutto la costruzione di se stessi. Questa trasversalità non è data dalla voglia di progettare qualsiasi cosa, ma dal bisogno di risolvere le problematiche della vita quotidiana. Penso che chi apprezza il mio lavoro ne veda la ricerca, le soluzioni tecnologiche, la passione, non il formalismo inutile. MC Blocco è una lampada, un tavolo, una seduta, un gioco, forse non è definibile cosa sia. Guardando i giovani progettisti oggi sembrano seguire questa ispirazione, abbattendo i confini tipologici per progettare oggetti comunicativi, espressivi, privi di una vera definizione. è uno spirito di ribellione fine a se stesso, una provocazione in attesa di nuove definizioni, o un preciso nuovo indirizzo progettuale? MN Nel mio caso non si tratta di spirito di ribellione: è il blocco dei miei appunti, lo spazio per ritrovarsi con se stessi. Un momento per pensare e disegnare, comunicare e scrivere, progettare e concentrarsi. È il contenitore dei miei pensieri, il momento in cui mi ritrovo di fronte al foglio bianco: la pagina bianca per me è sempre stata fonte di grande ispirazione, uno stimolo che mi ha fatto riflettere sulla luce naturale, una superficie intonsa che per me è diventata sorgente luminosa, il simbolo della sfida che mi spinge ad affrontare ogni volta con rinnovato entusiasmo un nuovo percorso. La mia ispirazione è stata questa. Gli oggetti devono innanzitutto servire a qualcosa, avere un uso, una funzione, devono essere elementi ben definiti, capaci di scatenare molteplici azioni e sensazioni, ma con rigore. Emozione e concentrazione, come quella del primo giorno di scuola, quando ci si pone nuovi obiettivi e molte domande: anche i quesiti sono fonte di crescita, una vera e propria fase progettuale. Così il blocco diventa un oggetto, una lampada, ma anche l'inizio di un percorso dove appuntare tutte le domande che ci faranno crescere. La prima che ricordo? «Di giorno la luce del sole, di notte la luce della luna... qual è la luce giusta? Mio nonno rispose quella del sole e della luna... e della lampadina».
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Nuovi alfabeti Illuminare il nostro belvedere domestico
di/by
Mara Corradi
New alphabets. Illuminating our domestic viewpoint
Esiste una buona affinità tra la cultura italiana e i giovani designer, non necessariamente nazionali,
There is an affinity between Italian culture and
che praticano la commistione delle arti, che maneggiano le nuove tecnologie con creatività, giungendo a soluzioni personali, scoordinate rispetto allo standard dell’industria, e che lungi dal risolvere sempli-
young designers, not necessarily domestic, who practice mingling the arts, managing new technology with creativity, creating individual solutions, different from industry standards, far from simply solving a need or requirement, but bringing a new inquisitiveness, an invention that changes the perspective of the object. Not infrequently these experiments take place within the sphere of in-house manufacture. One reason for this affinity is explained by Andrea Branzi who, speaking about the general characteristics of Italian design from the beginning until now, using the experience of his teachers, refers to ours as «‘a country without a house’, where types of furniture never existed, where domestic objects do not have an established tradition and where the residential scenario must always be reinvented».1 This experimentation, which starts from scratch every time, shows an attitude of inventive exception that today accompanies the attitude of so many young people coming from far-off schools and nationalities. The driving force behind the project may be the emergence of a new technology as, in the case of lighting, the transition from bulb to LED. The loss of an archetypal component is the stimulus to search for the new: the original design, having taken the design of the diffuser as an extension of the bulb itself, is now outdated and the new generation has begun to investigate the nature and implications of the light-emitting diode (LED) which, as asserted by Michele De Lucchi, is nothing but a dot that needs to be at least placed near others to exist. Looking for a new archetypal table lamp, the IsNotes 1 A. Branzi, Ritratti e autoritratti di design, Marsilio, 2010, p. 88. 2 M. Praz, La Filosofia dell’arredamento, in ‘Bellezza e bizzarria. Saggi scelti’, Mondadori Editore, 2002.
in alto a destra: fotogramma dalla serie cinematografica Wallace & Gromit, personaggi creati con la plastilina da Nick Park della Aardman Animation/above on the right: a frame from the cinema series Wallace & Gromit. Plasticine characters created by Nick Park from Aardman Animation
cemente un bisogno o un problema portano invece la costante di una nuova curiosità, un’invenzione che cambia il punto di vista sull’oggetto. Non di rado questi esperimenti avvengono nella sfera dell’autoproduzione. Una ragione di tale affinità si scopre in Andrea Branzi che, raccontando le peculiarità generali del design italiano dagli albori ad oggi attraverso quelle individuali dei suoi maestri, parla del nostro come di un «‘paese senza casa’, dove le tipologie di arredamento non sono mai esistite, dove gli oggetti domestici non hanno una tradizione consolidata e dove lo scenario abitativo deve essere sempre reinventato».1 Questa sperimentazione che riparte ogni volta da zero, testimonia un’attitudine all’eccezione inventiva che accompagna oggi il modo di fare di tanti giovani provenienti da scuole e nazionalità distanti. Il motore del progetto può essere la nascita di una nuova tecnologia come, nel caso dell’illuminazione, il passaggio dal bulbo al led. La perdita di un archetipo fa da stimolo alla ricerca di nuovi: così superato il modello ‘originario’ del diffusore quale derivazione formale della lampadina, le nuove generazioni hanno cominciato a studiare la natura e le implicazioni del diodo luminoso che, come sostiene Michele De Lucchi, non è che un puntino e necessita di essere per lo meno accostato ad altri per avere una ragione d’essere. Alla ricerca di un nuovo archetipo di lampada da tavolo, il progettista israeliano Omri Barzeev sostituisce la singola fonte con un piano luminoso flessibile, trasformando la lampada in un oggetto ‘fluido’: il prototipo autoprodotto della lampada Starlight accoppia due superfici di polipropilene, all’interno delle quali sono inseriti 126 diodi luminosi; gli angoli di piegatura prestampati consentono di direzionare la luce e la lampada muta la propria configurazione in funzione di ciò che decidiamo che sia, come un oggetto ubbidiente che segue il nostro imprinting. L’idea di intendere l’illuminazione come una costellazione di fonti che meglio rispondano all’attuale visione dello spazio abitato è insita anche nella ricerca di Daniel Becker. La lampada Emily è caratterizzata da diffusori metallici realizzati per forgiatura manuale e da una struttura in legno grezzo per la loro sospensione e adattamento nello spazio; la lampada Sparks ha invece uno sviluppo tridimensionale, grazie ai moduli conici in acrilico traslucido con led, arrangiabili nello spazio con una struttura che si ancora a più pareti. Autoprodotte dal giovane tedesco nel 2010, sono indagini formali dall’esito di installazioni, per ambienti dall’uso indefinito e promiscuo. Quello che si stabilisce tra soggetto utente e oggetto è sempre meno un rapporto di riconoscimento della funzione e della destinazione, parafrasando Bruno Munari, e sempre più un rapporto di scoperta: non ritroviamo un archetipo di lampada o un uso a noi familiare, ma ne inventiamo di nuovi e nostri, quelli del nostro nuovo belvedere domestico, parafrasando invece Mario Praz.2 Gli archetipi che stanno emerNote 1 A. Branzi, Ritratti e autoritratti di design, Marsilio, 2010, p. 88. 2 M. Praz, La Filosofia dell’arredamento, in ‘Bellezza e bizzarria. Saggi scelti’, Mondadori Editore, 2002.
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in questa pagina e in apertura: Daphna Isaacs e Laurens Manders, collezione Tafelstukken, autoproduzione, 2010. Rovere, porcellana colorata con pigmenti d’argilla non smaltata Daphna Isaacs and Laurens Manders, Tafelstukken collection, in-house production, 2010. Oak, coloured porcelain with unglazed clay pigment
raeli designer Omri Barzeev replaces the single light source with a flexible light surface, turning the lamp into a ‘fluid’ object: the prototype Starlight lamp couples two polypropylene surfaces, inside which 126 light-emitting diodes are embedded; the pre-set bend angles permit direct light alterations by changing the configurations as if it were an obedient object following our every desire. The idea to grasp lighting as a constellation source to better meet the current vision of the living area is also inherent in the design work of Daniel Becker. The lamp known as Emily is characterized by manually forged metal diffusers suspended within a simple wooden frame; while Sparks has been three-dimensionally designed, thanks to the translucent acrylic conical modules coupled to LEDs that can be arranged in space by a structure attached to the walls. Designed by the young German in 2010, they are formal probes into the results of an installation, for environments characterized by indefinite and promiscuous use. What is established between user and object is now an unclear relationship between form and function, as described by Bruno Munari, it is increasingly a relationship of discovery: we do not find an archetypal lamp or a use familiar to us, but we invent our own, those from our new domestic viewpoint, while Mario Praz states.2 The archetypal designs that are emerging from the study of new lighting technologies transcend the typological boundaries and will always be of less interest in defining an office, home, study, bedroom, child,
adult lamp, and so on. The lamp will follow us pursuing our personality. This is the theme of Ionna Vautrin, a young French designer whose Binic lamp project, manufactured by Foscarini, borrows the archetypal design from another field, the shape of the windsock, and deck accessories found on ships. Using this as a simple image, the designer develops a tiny form generating a short light beam that delimits a private area, and that, placed in any environment, continues in this way. By introducing the fruits of her past (the name Binic is taken from a lighthouse in her native Britain) Vautrin establishes a relationship of intimacy between herself and the user, which is made concrete in the ‘private place’ illuminated by the lamp. This kind of empathy is not often achieved, especially in an industrial mass produced item like the Binic, where the design and dimensions of the base and rounded top of the upper part resemble those of a hand- made product. In this sense very similar to the approach taken by Daphna Isaacs and Laurens Manders with a collection that define of lamps, centrepieces, small tables or containers is not correct. Tafelstukken are the result of designs that combine strongly archetypal elements (the desk lamp, the centrepiece, the on-off switch), arriving instead at an unusual result defining any typological definition. Made inhouse by the two Dutch designers, these 5 natural wood and porcelain accessories, obtain an outer perfection and a level of care so high that create
Omri Barzeev, Starlight, autoproduzione, 2010. Prototipo in polipropilene con luci led e modelli in legno per la ricerca degli angoli di cerniera nel polimero stampato Omri Barzeev, Starlight, in-house production, 2010. Prototype of polypropylene with LED lights and wooden models for detecting edges of hinge in printed polymer
gendo dallo studio delle nuove tecnologie luminose travalicano così i confini tipologici e sempre minor interesse ci sarà per esempio nel definire una lampada da ufficio, da casa, da studio, da camera, da bambino, da adulto, e così via. La lampada seguirà noi, nell’espletamento della nostra personalità. Questo il tema di Ionna Vautrin, giovane designer francese che nel progetto della lampada Binic, prodotta da Foscarini, prende in prestito l’archetipo da un altro settore, la forma delle maniche a vento, accessorio di coperta delle navi. Usando questa come immagine pura, la designer sviluppa una forma minuta che generi un fascio luminoso breve, a circoscrivere uno spazio del privato, e che collocata in qualsiasi ambiente continui a testimoniare questo significato. Mettendo a frutto la propria storia personale (il nome Binic è preso da quello di un faro in Bretagna, sua terra di origine) la Vautrin stabilisce una relazione di intimità tra se stessa e l’utente, che si sostanzia nel ‘luogo privato’ illuminato dalla lampada. Questo genere di empatia è molto raro da raggiungere, specialmente in un prodotto industriale di grande serie come Binic, dove il disegno delle proporzioni reciproche della base e del volume superiore tondeggiante e la cura nella definizione di finiture e colori denotano un approccio più vicino a quello dell’artigianato. In tal senso molto prossimo a quello seguito da Daphna Isaacs e Laurens Manders con una collezione che definire di lampade non è esatto, come nemmeno chiamare centrotavola o tavolini o contenitori. I Tafelstukken sono una ricerca che combina elementi fortemente archetipici (la lampada da scrivania, il centrotavola, l’interruttore on-off), ottenendo invece un esito formale inedito che sfugge a definizioni di tipologia. Autoprodotti dai due designer olandesi, questi 5 complementi in legno naturale e porcellana, raggiungono una perfezione esteriore e un livello di cura così alti da mettere in concorrenza l’industria con l’artigianato: dettagli come i dadi a farfalla o gli snodi dei bracci, su cui il progetto pone l’accento con autocompiacimento descrittivo, ricordano i cortometraggi alla plastilina inglesi di Wallace & Gromit, dove la casa era uno scenario in relazione simbiotica con l’io dei protagonisti, oggettivazione stessa della loro personalità. Se non esiste più una definizione e un’idea primigenia di lampada, allora qualunque cosa può essere una lampada secondo la ricerca di Sungho Lee. Inserendo la fonte led in un supporto a molletta (altro archetipo preso da un settore limitrofo) la giovane designer coreana ha realizzato il prototipo di un gadget luminoso che sfrutta i vantaggi di miniaturizzazione della nuova tecnologia per dichiarare la perdita di significato, oltre che di consistenza materica, della lampada come categoria di oggetto. Mentre infatti il lume a pinza è una tipologia di prodotto ampiamente studiata nella storia (dalla Ventosa di Achille e Pier Giacomo Castiglioni per Flos del 1962 fino ai morsetti di Ikea), che nonostante la sua
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© M. Bleeker
Studio Job & Pieke Bergmans, Collezione Wanderlamp, autoproduzione per Dilmos Milano, 2010. Prototipi e edizione limitata, bronzo lucidato, vetro soffiato artigianalmente, Led/Studio Job & Pieke Bergmans, Wanderlamp Collection, in-house production for Dilmos Milan, 2010. Prototypes and limited edition, polished bronze, handcrafted blown glass, Led
Andrea Branzi, WP 03, lampada portatile in metallo e carta di riso, della collezione Wireless per Design Gallery Milano, 1996 Andrea Branzi, WP 03, Portable lamp. Metal and rice paper. Wireless Collection for Design Gallery, Milan, 1996
a competition between industry and handicrafts: details such as the wing nuts or the joints of the arms, on which the project focuses on a descrip-
its familiar scenario, made up of not repeated gestures, continuous learning, ‘liquid’ behaviours, is the tendency to design the lighting not as a service,
tive self-complacency, remind us the ‘Wallace & Gromit’ English plasticine short-films, where the house was a scenario in the symbiotic relationship with the stars’ ego. If there is no longer a definition and an original concept of the lamp, then anything can be a lamp according to the research carried out by Sungho Lee. By putting the LED source in a spring support (another archetypal design taken from a bordering sector) the young Korean designer has created a prototype of a light gadget that exploits the miniaturization advantages of the new technology, in order to illustrate this loss of meaning, as well as delimiting it as a generic product type. Indeed, while the clamp light is a product with a different history (from the Ventosa of Achille and Pier Giacomo Castiglioni for Flos in 1962 up to the products of Ikea), which despite its nature as a ‘parasitical’ object needed detailed research consistent with its integration with other objects, in the Lighting pin the lamp disappears, and only the light source remains. Therefore a big break with the past emerges: the user is no longer simply the one that turns on a switch activating a pre-defined and pre-arranged lighting element in the house or in any other living area, but it acts in a scenario to be fit, as an active player in the spectacle of light. The evidence of the growing importance of the subject as designer of
but as an experience. While we were once taught that the good design of a lamp was to permit the lamp to disappear once lit, elevating itself in the ergonomics of its light, today's designers teach us that the project continues with the human participation in the illuminated scene. That is why the lamps are increasingly conceived as light installations and, without a specific intended use (office, home, work, reading...), they are looking for human attention and interaction, approaching the idea of a luminous work of art expressed by Olafur Eliasson, in which man is not a spectator forgetting the light, but is in turn a player and part of the installation. Very close to this new awareness is the research of the young British designer Paul Cocksedge who, with his Life 01 of Flos, stages the drama of light that goes off when life turns off: the stem of a flower acts as the electricity conductor and activates a LED source at the bottom of the pot with water, so that, when the flower wilts, the light slowly goes off, and who put the flower is made an integral part of the scene while observing it and finally changing the wilted flower with a fresh one. If, therefore, art is participate in art (and design is interaction with design), living areas can become ideal museums, where the archetypal designs of the house are replaced by new others, with new cultural references and mental connections. In this ‘charming’ scenery, where we recognize nothing
Daniel Becker, Sparks, autoproduzione, 2010. Acrilico traslucido, tubi di alluminio, led. Ciascun modulo può ruotare di 360° e assumere tutte le configurazioni per adattarsi all’ambiente/Daniel Becker, Sparks, in-house production, 2010. Translucent acrylic, aluminium tubes, LEDs Each module can rotate 360 degrees and assume the required configurations to adapt to any environment
sotto: Daniel Becker, Emily, autoproduzione, 2010. Metallo verniciato, rovere naturale, plexiglass/below: Daniel Becker, Emily, in-house production, 2010. Painted metal, natural oak, Plexiglas
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Ionna Vautrin, Binic, Foscarini, 2010. Volume superiore tondeggiante con finitura lucida e base con finitura satinata, entrambi in ABS stampato a iniezione, schermo diffusore in policarbonato, lampada a fluorescenza/Ionna Vautrin, Binic, Foscarini, 2010. Rounded top cavity with polished finished or satin finished base, both injection-moulded ABS, polycarbonate diffuser, fluorescent lamp
Sungho Lee, Lighting pin, autoproduzione, 2010. La molletta incorpora una fonte led che funziona con 2 batterie al litio 2032 ed è azionata da un interruttore circolare della grandezza di 4 mm posto su uno dei due lati/Sungho Lee, Lighting pin, in-house production, 2010. The clip incorporates a LED source that works with 2 2032 lithium batteries and is operated by a 4 mm circular switch placed at one side
as known, nothing can be used with spontaneity, but everything has to be taken in hand for the first time, even a lamp is no longer a light element, but
natura di oggetto ‘parassitario’ necessitava di una ricerca formale coerente alla sua integrazione con altri, nella Lighting pin la lampada scompare, e resta solo la fonte luminosa. Emerge allora una grande frattura con il passato: l’utente non è più semplicemente colui che accende
an object with no name, whose identity is the one given to it by us. In Studio Job and Pieke Bergmans Wanderlamp Collection for Dilmos Milan, light comes out from all the objects of our daily lives, from pipes to lanterns, from torches to buckets, from pots to neon, with a result similar to the Wireless series of lamps designed years ago by Andrea Branzi for Design Gallery. Today the best translation for that title would not be ‘wireless’, but having no connections with past memories. Design is inventing a new alphabet for the relationship between man and object, a new ergonomic and a new domestic viewpoint.
un interruttore azionando un elemento luminoso predefinito e predisposto, nella casa o in ogni altro spazio da abitare, ma è attore in uno scenario da montare, cioè soggetto attivo nello spettacolo della luce. A testimonianza della crescente importanza del soggetto come progettista del proprio scenario familiare, fatto di gesti non reiterati, di apprendimento continuo, di comportamenti ‘liquidi’, è la tendenza a progettare l’illuminazione non più come un servizio ma come un’esperienza. Mentre ci avevano insegnato un tempo che buon progetto di una lampada era quello che una volta accesa la faceva sparire, sublimandosi nell’ergonomia della propria luce, oggi i designer ci insegnano che il progetto continua con la partecipazione umana alla scena illuminata. Ecco perché le lampade sono sempre più concepite come installazioni luminose e, prive di una destinazione d’uso specifica (ufficio, casa, lavoro, lettura…), ricercano l’attenzione e l’interazione dell’uomo, avvicinandosi all’idea di opera d’arte luminosa di Olafur Eliasson, in cui l’uomo non è uno spettatore dimentico della luce, ma a sua volta attore e parte dell’installazione. Molto vicina a questa nuova sensibilità è la ricerca del giovane designer inglese Paul Cocksedge, che per esempio con Life 01 di Flos, mette in scena il dramma della luce che si spegne quando si spegne la vita: lo stelo di un fiore fa da conduttore di energia elettrica e attiva una sorgente led sul fondo del vaso con l’acqua, cosicché, quando il fiore appassisce, la luce piano piano si spegne, e noi uomini che abbiamo messo il fiore siamo parte della scena mentre la osserviamo e alla fine quando cambiamo il fiore appassito con uno fresco. Se dunque l’arte è partecipazione all’arte (e il design è interazione con il design), i luoghi dell’abitare possono diventare musei ideali, dove agli archetipi della casa se ne sostituiscono di nuovi, con nuovi riferimenti culturali e connessioni mentali. In questo panorama ‘incantevole’, dove niente riconosciamo che sia noto, niente si può usare con spontaneità ma tutto è da prendere in mano per la prima volta, anche una lampada non è più una macchina luminosa, ma un oggetto privo di nome, cioè di identità, cui proprio il nostro apporto la conferisce. Nella Collezione Wanderlamp di Studio Job e Pieke Bergmans per Dilmos Milano la luce esce da tutti gli oggetti del nostro quotidiano, dalle lanterne alle pipe, dalle torce e dai secchi, dalle pentole ai neon, con un esito affine alla serie di lampade Wireless disegnate anni fa da Andrea Branzi per Design Gallery. Oggi la traduzione migliore per quel titolo non sarebbe ‘senza fili’, ma piuttosto senza connessioni con le memorie passate. Il design sta inventando un nuovo alfabeto per la relazione tra l’uomo e l’oggetto, una nuova ergonomia e un nuovo belvedere domestico.
in alto: Paul Cocksedge, Life01, Flos, 2009. Vaso in cristallo e led/above: Paul Cocksedge, Life01, Flos, 2009. Cristal vase and led
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ECOCENTRICO forma e linguaggio nell’era ecologica/form and language in the ecological era a cura di/edited by Pierpaolo Rapanà
Economia e ecologia Economy and ecology
Vincenzo Di Nardo
La necessità di attuare un risparmio energetico e al contempo trovare valide alternative all'uso dei combustibili fossili per la produzione di energia hanno portato, negli ultimi anni, a scelte e innovazioni tecnologiche che coinvolgono non solo i processi di produzione di energia ma anche le tecnologie utilizzate dall'utente finale. E proprio in questa direzione va la Direttiva europea 2010/31 in materia di efficienza energetica in edilizia. La direttiva promuove il miglioramento della prestazione energetica degli edifici ed obbliga i nuovi edifici ad avere elevate prestazioni energetiche a partire dal 31 dicembre 2020, con un anticipo di due anni per gli edifici pubblici. L’obiettivo è quello di edifici ad 'energia quasi zero', ovvero edifici ad altissima prestazione energetica, determinata tenendo conto dei consumi legati al riscaldamento, rinfrescamento, ventilazione, illuminazione. Il fabbisogno energetico molto basso o quasi nullo dovrebbe essere coperto in misura significativa da energia da fonti rinnovabili prodotta in loco o nelle vicinanze. L’indirizzo 'ecologico' che ormai ci viene indicato dagli interlocutori istituzionali di tutto il mondo e verso cui, ormai, buona parte dei consumatori si dirige, si traduce in un cambiamento anche nell’approccio imprenditoriale. Lo scenario che si sta delineando è quello di una vera e propria rivoluzione nel modo di vivere, che va ben oltre le raccomandazioni contenute in una Direttiva, ma che coinvolge imprese e consumatori. Dal lato dell’offerta le imprese, soprattutto quelle di costruzioni, devono sforzarsi di offrire prodotti in cui la qualità del costruito, l’efficienza energetica, la sostenibilità ambientale e la bellezza architettonica siano sempre messi al centro del progetto. Meno quantità, quindi, ma più qualità, questo il sentiero da
percorrere. L’edilizia sostenibile, lo ricorda la Commissione Europea con l’iniziativa 'mercati di punta' (LMI), è una straordinaria occasione per riqualificare la filiera produttiva del settore delle costruzioni, per rimettere l’impresa al centro della ricerca e dell’innovazione del processo e del prodotto edilizio. Investire nelle energie rinnovabili non solo può essere un’opportunità per le imprese, ma può essere l’attuazione di un nuovo rapporto tra economia e società che coniuga insieme la cultura dell’ambiente e la cultura dei rapporti con il territorio. In questo senso, l’affinità tra le parole economia ed ecologia non è solo fonetica ma semantica. Non solo il tessuto imprenditoriale ma anche l’utente finale ha un ruolo di primissimo piano nella sfida della sostenibilità, intesa come riduzione del consumo di risorse e minore assorbimento di energia. La domanda si sta sempre più orientando verso un prodotto qualitativamente elevato, con prestazioni energetiche che garantiscano il minor spreco di energia possibile. Risparmio energetico, utilizzo di materiali ecocompatibili, innovazione, comfort e sicurezza nella fruibilità degli spazi sono le caratteristiche che guidano la scelta di dove vivere e come vivere. Questo è particolarmente evidente, per esempio, nel settore illuminotecnico dove si è assistito al passaggio dalla lampadina tradizionale a quella fluorescente a basso consumo, ai LED. Il semplice gesto di sostituire una lampadina può avere delle ripercussioni, in termini energetici, non trascurabili. Una lampadina a risparmio energetico, infatti, consuma cinque volte meno elettricità di una lampadina normale. La sostituzione delle lampadine tradizionali può facilmente tradursi in un risparmio di 100 euro all’anno per una famiglia media (dati Commissione Europea). Se da una parte opinione pubblica, imprese e cittadini hanno ormai una consapevolezza forte dell’importanza del risparmio energetico, dall’altra, manca nel nostro Paese un quadro normativo sicuro che possa dare impulso al settore. Il sistema degli incentivi, per esempio, è stato modificato molte volte, ed ora si parla addirittura di un quarto conto energia. Se è vero che l’Italia è uno dei Paesi UE in cui il livello di incentivi è maggiore, è ancor più vero che per intraprendere investimenti è necessaria certezza nel livello di incentivi e nella loro durata.
The need to implement energy savings and at the same time to find viable alternatives to fossil fuels for energy production have led, in recent years, to technological innovations and choices that involve not only the energy production processes, but also the technologies used by the end user. And in this direction is the European Directive 2010/31 on energy efficiency in buildings. It promotes the improvement of energy performance of buildings and requires new buildings to offer high energy performance from December 31, 2020, with an advance of two years for public buildings. The objective is the realization of ‘nearly zero energy’ buildings or very high energy performance buildings, determined taking into account the consumptions related to heating, cooling, ventilation and lighting. The very low or nearly zero energy requirements should be covered to a very significant extent by energy from renewable sources produced on-site or nearby. The ‘green’ direction that is now being shown by institutional partners around the world and toward which, at this point, a large proportion of consumers are addressed to, results in a change in cultural approach too. The emerging scenario is that of a real revolution in way of life, that goes well beyond the recommendations contained in a Directive, but that involves businesses and consumers. On the supply side businesses, particularly the construction ones must strive to offer products in which the quality of the built, energy efficiency, environmental sustainability and architectural beauty are always placed at the centre of the project. Less quantity, then, but more quality, this is the path to cover. Sustainable building, like said by the European Commission with the ‘lead markets initiative’ (LMI), is an extraordinary opportunity to upgrade the production process of the construction field, to put the business at the centre of the research, of the innovation process and of the building product. Investing in renewable energy not only can be an opportunity for businesses, but may be the implementation of a new relationship between the economy and society which combines together the culture of the environment and the culture of relations with the territory. In this sense, the similarity between the words economy and ecology is not only phonetic, but semantic. Not only entrepreneurial fabric, but also the end user plays an important role in the challenge of sustainability, understood as a reduction in resource consumption and less power consumption. The demand is increasingly moving towards a high quality product, with energy performance able to ensure the least possible waste of energy. Energy saving, the use of eco-friendly materials, innovation, comfort and safety in the use of space are the features influencing the choices of where to live and how to live. This is particularly evident, for example, in the lighting sector where we witnessed the shift from traditional light bulb to fluorescent low-energy one and to LEDs. The simple act of changing a bulb may lead to consequences not negligible, in terms of energy. An energy saving bulb, in fact, consumes five times less electricity than a normal light bulb. The replacement of traditional light bulbs can easily result in saving € 100 per year for an average family (European Commission data). While public opinion, businesses and citizens now have a strong awareness of the importance of energy saving, our country needs a secure legal framework that can boost the sector. The system of incentives, for example, has been amended many times, and now there is even talk of a fourth energy bill. If it is true that Italy is one of the EU countries where the level of incentives is greater, is even more true that to undertake investments certainty is required in the level on incentives and their duration.
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ECOCENTRICO forma e linguaggio nell’era ecologica/form and language in the ecological era a cura di/edited by Pierpaolo Rapanà
Feng Shui Design Feng Shui Design
Francesco Ciulli
Come farà Zaha Hadid a scegliere gli apparecchi illuminanti? Dove sono le plafoniere con forme arrotondate e ondeggianti che potrebbero accordarsi con le linee dei suoi edifici? Specialmente negli ambienti industriali e commerciali di grandi dimensioni l’offerta è vasta ma gli apparecchi sono tutti rettangolari o quadrati. A tutti i designers e produttori chiedo una linea di oggetti pensati per Zaha Hadid e per chiunque voglia eliminare gli spigoli e la ‘durezza’ delle forme squadrate. L’aiuto del Feng Shui potrebbe essere ancora più stimolante per un attento designer di apparecchi illuminanti. Le indicazioni sui materiali da usare e sulle loro combinazioni sono molto interessanti e abbastanza precise, esiste una successione di materie naturali che, se rispettata, crea un’armonia positiva e piacevole. Questo è il ciclo produttivo: acqua, legno, fuoco, terra, metallo. Usando nella successione opposta gli elementi si ottiene il ciclo distruttivo, una soluzione sgradevole e negativa. La luce artificiale è fuoco, elemento dal quale non possiamo prescindere. Ogni apparecchio illuminante acceso introduce nei nostri ambienti energia yang, forza attiva di mascolinità e estroversione. La scelta della sorgente luminosa può determinare una maggiore o minore forza energetica yang. La sorgente luminosa stessa si accosta bene al legno e poi alla pietra; si mitiga e si compensa con il metallo e con l’acqua. Anche la forma può essere studiata secondo il Feng Shui, ad ogni elemento si associa una forma. Ad esempio le forme triangolari con la punta rivolta verso l’alto, si associano al fuoco, elemento già presente nell’apparecchio, usandole si accentua definitivamente questa presenza che diventa dominante. Se si vuole, invece, contrastare il fuoco si possono progettare forme ondeggianti (waving) realizzandole con vetro, metallo, plastica, ma anche legno e pietra.
Il colore è un versante tutto da esplorare, sul quale la disciplina cinese ha molto da insegnare, ad ogni colore si abbinano materie ed energie e quindi sensazioni da far scaturire. L’uso di un particolare colore in un ambiente stimola certi stati d’animo e favorisce alcune funzioni/fruizioni più di altre. Pre ferirei lasciare il colore all’esterno degli apparecchi illuminanti, alle pareti, alle tappezzerie, ai mobili, che riflettendo la luce artificiale possono favorire effetti più o meno confortevoli. Preferirei non usare il colore all’interno degli apparecchi illuminanti per due motivi. Il primo è che l’uso di un pigmento nel ‘sistema ottico’ di una lampada (diffusore, riflettore, filtro) ne abbatte notevolmente l’efficienza luminosa. Il secondo che con il colore l’apparecchio diventa un prodotto per effetti scenografici poco adatto all’uso domestico o giornaliero. Esistono apparecchi con un sistema interno che consente cambiamenti di colore, che sprigionano luce colorata. Si avvicinano alla nostra esperienza, ma sono più ispirati alla ‘Cromoterapia’. Costituiscono un interessante filone di ricerca progettuale. Il vero colore che deve essere studiato in un apparecchio illuminante è quello del colore della luce ‘bianca’ sprigionata dall’apparecchio stesso. Fredda o dorata, rosata o giallastra, riflettendo sulle superfici da noi volute, la luce potrà dare effetti e sensazioni stupefacenti. Negli ambienti con più di una tipologia di apparecchi sarà importante progettare la ‘fusione’ di luci con diversi toni di bianco, ma anche con diverse ‘consistenze’ es. alogena e fluorescente. Il processo di realizzazione di un apparecchio illuminante è, di per se, complesso. Per la mia esperienza, si articola in dieci passaggi, tutti necessari per ottenere un oggetto finito che risponda ai criteri del moderno Industrial Design. Più precisamente 1) idea progettuale, 2) scelta dei materiali, 3) scelta della sorgente luminosa, 4) alloggiamento del cablaggio e delle componenti per l’accensione, 5) realizzazione del prototipo, 6) studio del processo di lavorazione industriale, 7) analisi dei costi, 8) tests e verifiche, 9) certificazioni nazionali e internazionali, 10) analisi di marketing. Ci sono stati alcuni tentativi, anche in anni recenti, di spacciare per oggetti illuminanti Feng Shui alcune ‘cineserie’. Definisco così oggetti che ripropongono forma e stile orientale, con la luce dentro, che non risolvono alcun bisogno di illuminazione e non affrontano processi di realizzazione industriale. Inoltre ad inserirli nei nostri ambienti, ma anche in quelli orientali evoluti, si rischia di ottenere effetti di cattivo gusto. Altri tentativi sono stati compiuti con l’uso di materiali considerati genericamente ‘bio’ come la carta, perlopiù impiegata come diffusore. Esclusa una collezione di lampade in carta di Isamu Noguchi. Che rimane una vera collezione di opere d’arte, si tratta di tentativi destinati alla decorazione, per di più di breve durata. La carta, infatti si annerisce facilmente vicino al calore sprigionato dalle sorgenti luminose. Studiando il design degli apparecchi illuminanti prodotti nella seconda metà del XX secolo, il periodo sfolgorante della creatività italiana, mi sono interrogato spesso sull’analisi di quei capolavori, vendutissimi tutt’oggi, con i nuovi criteri che può fornire il Feng Shui. Allora Bilia di Giò Ponti diventa un qualcosa di sorprendentemente adatto a riequilibrare gli ambienti dove dominano l’elemento legno e l’elemento terra, posta qui avrà un effetto correttivo. Bilia rappresenta una costante tensione tra due elementi contrastanti, fuoco e metallo, mitigati costantemente dall’elemento acqua. Una situazione di equilibrio perfetto. Una composizione di forme pure, cono e sfera, di forze titaniche in statica perfezione. Celebra il difficile raggiungimento di accordi ,accoglie bene gli ospiti importanti, durante le trattative o dovunque si scambino opinioni. Chimera è una delle più famose lampade di Vico Magistretti, è realizzata in plastica e contiene lampadine incandescenti di forma allungata. Gli elementi che la compongono sono il fuoco e l’acqua. Quest’ultima è dominante rafforzata dall’andamento ondulato del diffusore. Con la Chimera si può arredare un ingresso di una casa, di un ufficio, di un’azienda. Favorisce l’ingresso degli ospiti e l’accoglienza, rende gradevole la permanenza in questi spazi in caso di attesa. La produzione attuale è fortemente condizionata da alcuni fattori contingenti. Il primo è la crisi economica internazionale che ha, tra gli altri, l’effetto di ridurre gli investimenti in ricerca e innovazione formale. Il secondo è la ricerca di aree più produttive, i produttori di lampade, non tutti, hanno pensato che ‘i sistemi’ assicurassero maggiori e più stabili vendite. Si sono spostati in un ambito produttivo nuovo, che li ha spesso trovati impreparati. Il risultato è stato che la produzione di nuovi apparecchi è stata minore nell’ultimo decennio e che molte aziende, specializzate nel settore ‘decorativo’ hanno presentato cose ‘già viste’ nel settore tecnico, dovendo tornare presto sui propri passi.
Chimera, Vico Magistretti, Artemide, 1969
Lampade in carta, Isamu Noguchi
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La Light Art è ormai un consolidato e riconosciuto settore di espressione artistica, i cultori dell’illuminazione ne devono assolutamente tenere conto. è interessante lasciarsi ‘contaminare’ – dal punto di vista architettonico – il posizionamento originale e il talvolta bizzarro utilizzo degli apparecchi illuminanti nelle installazioni artistiche, ma anche dalla ricerca priva di vincoli commerciali degli artisti, dove le loro creazioni ci possono suggerire nuove frontiere progettuali: un caso per tutti la lampada Starbrick di Olafur Eliasson per Zumtobel. Per finire, un esempio di un oggetto molto semplice ma ben fatto: Kelly, un’applique in metallo che usa i LED come sorgente luminosa, appena prodotta da O Luce e disegnato da Studio 63. Linee essenziali: due tagli per ottenere illuminazione diretta e indiretta. Due curve su una base rettangolare. Fuoco e metallo ben assortiti con due onde per conferire maggiore leggerezza. Con la nuova tecnologia l’apparecchio non sporge che di quattro centimetri. è adatto ai passaggi, corridoi e ingressi. Sarà visibile al Salone Euroluce 2011.
Kelly, Studio 63, O Luce, 2011
Starbrick, Olafur Eliasson, Zumtobel, 2009
How will Zaha Hadid choose the light fixtures? Where are the ceiling lamp fixtures with rounded and waving forms that may match the lines of her buildings? Especially in industrial environments and large commercial ones the offer is great, but the appliances are all rectangular or squared. All designers and producers I ask for a line of objects designed for Zaha Hadid and for anyone who wants to eliminate sharp edges and the ‘hardness’ of squared shapes. The help of Feng Shui might be even more challenging for a careful light fixtures designer. The indications on materials to be used and their combinations are very interesting and quite accurate, there is a sequence of natural materials which, if adhered to, creates positive and pleasant harmony. This is the production cycle: water, wood, fire, earth, metal. Using the elements in the opposite sequence a destructive cycle is obtained, a negative and unpleasant solution. Artificial light is fire, evidence that we cannot ignore. Each light fixture when lit introduces in our environment yang energy, an active force of masculinity and extraversion. The choice of the light source can lead to a greater or lesser yang energy force. The light source itself well matches wood and then stone; it relents and creates a balance between metal and water. Also the shape can be designed according to Feng Shui, each element is associated with a form. For example, the triangular forms, with the tips pointing up, are associated with fire, an element already present on the device, and using them this presence is definitively accentuated becoming dominant. If, instead, it is required to oppose the fire it is possible to design waving forms (waving) made of glass, metal, plastic, but also wood and stone. The colour is a side to be explored, on which Chinese discipline has much to teach, each colour is matched with materials and energy and therefore sensations to which give rise. The use of a particular colour in an environment stimulates certain moods and favours several functions/fruitions more than others. I'd rather prefer to leave the colour at the outside of light fixtures, to walls, upholstery and furniture that reflecting the effects of artificial light can favour more or less comfortable effects. I'd rather prefer not use the colour inside of light fixtures for two reasons. The first is that the use of a pigment in the “optical system” of a lamp (diffuser, reflector, filter) greatly reduces the luminous efficiency. The second is that with the colour the device becomes a product for scenic effects unsuitable for domestic or daily use. There are devices equipped with an internal system that allows colour changes emitting coloured light. They come close to our experience, but are more inspired by ‘Chromotherapy’. They constitute an interesting current of design research. The true colour that must be studied in a light fixture is that of the ‘white’ light emitted by the device itself. Cold or golden, pink or yellowish, by reflecting on the surfaces we want, light will give amazing effects and sensations. In environments with more than one type of equipment it will be important to design the ‘fusion’ of lights with different shades of white, but also with different ‘consistencies’ e.g. halogen or fluorescent. The process of creating a light fixture is, in itself, complex. In my experience, it is divided into ten steps, all necessary to achieve a finished object meeting the criteria of modern Industrial Design. More precisely: 1) design concept, 2) choice of materials, 3) choice of light source, 4) housing of wiring and components for switching on, 5) completion of the prototype, 6) study of the industrial process, 7) cost analyses, 8) tests and checks, 9) national and international certifications, 10) marketing analysis. There have been some attempts, in recent years, to pass some ‘chinoiserie’ off as Feng Shui lighting objects. I mean objects reproducing the oriental form and style, with light inside, that do not solve any lighting need and do not face processes of industrial production. Then, by including them in our environments, but also in the oriental advanced ones, the risk is to get bad taste effects. Other attempts have been made with the use of materials generally considered to be ‘organic’ like paper, mostly used as a diffuser. Excluding a collection of paper lamps by Isamu Noguchi, that remains a true collection of works of art, they are attempts intended for decoration, and besides short duration. Paper, in fact, easily blacken near the heat generated by light sources.
Studying the design of light fixtures produced in the second half of the twentieth century, the brilliant period of Italian creativity, I often pause to reflect on the analysis of those masterpieces, still best-selling today, applying new criteria that Feng Shui can provide. Then Bilia by Giò Ponti becomes something surprisingly suited to balance the environment dominated by wood and earth elements, placed here it will have a corrective effect. Bilia means a constant tension between two opposing elements, fire and metal, constantly mitigated by water element. A condition of perfect balance. A composition of pure forms, cone and sphere, of titanic forces in static perfection. It celebrates the difficult achievement of agreements, it welcomes well the important guests, during negotiations or anywhere views are exchanged. Chimera is one of the most popular lamps by Vico Magistretti, it is made of plastic and contains elongated incandescent light bulbs. The elements that compose it are fire and water. The latter is dominant and strengthened by the wavy pattern of the diffuser. With Chimera it is possible to furnish the entrance of a house, an office, a company. It facilitates the entry and reception of guests, and makes pleasant the stay in these areas in case of waiting. The current production is strongly influenced by contingent factors burdens. The first is the international economic crisis that has, among others, the effect of reducing investment in research and formal innovation. The second is the search for most productive areas; lamp manufacturers, not all, have thought that ‘systems’ ensure greater and more stable sales. So they moved into a new production field, which often found them unprepared. The result was that the production of new devices has been reduced over the last decade and that many companies, specialized in ‘decorative’ field, have presented things ‘already seen’ in the technical field being forced to retrace their steps back soon. Light Art is now an established and recognized field of artistic expression, lighting experts must absolutely consider it. It is interesting to be ‘contaminated’ by the architectural point of view: the original position and sometimes the odd use of light fixtures in art installations. But also by the research of the artists without commercial constraints as their creations can suggest us new design frontiers, just one example is the Starbrick lamp by Olafur Eliasson for Zumtobel. Finally, an example of a very simple product, but well done. Kelly, just produced by O Luce and designed by Studio 63. An applique made of metal using LEDs as lighting source. Essential lines: two cuts to get direct and indirect lighting. Two curves on a rectangular base. Fire and metal well matched with two waves in order to give greater lightness. With the new technology the device does not protrude for more than four inches. It is suitable for passages, corridors and entrances. It will be shown at the Salone Euroluce 2011.
Bilia, Giò Ponti, Fontana Arte, 1931
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Nabito Architects Nabito Architects Ramon Turrò, 11 tercer 08005 Bercellona Spagna via Luigi Tosti, 27 00179 Roma Italia via dei Monti Lepini, 112 03100 Frosinone Italia tel. +34 932257674; +39 0775 200740 www.nabit.it
a cura di/edited by Francesco Ursitti
young
info@nabit.it
Nabito è uno studio fondato nel 2006, a Barcellona da Alessandra Faticanti e Roberto Ferlito. Il loro linguaggio spazia dal restauro, alle installazioni temporanee, agli edifici pubblici, complessi residenziali, fino ai masterplan territoriali. Il loro approccio è basato su un confronto fra le diverse dicotomie che si presentano all'interno di un progetto. Come ad esempio nel Sensational Park, realizzato a Frosinone, dove lo spazio sociale del parco nasce dai diversi spazi personali concretizzati nelle esperienze sensoriali che ogni visitatore può vivere nel parco. In Stairscraper, un progetto per Dubai sul tema dell'housing lo studio Nabito indaga la relazione fra quantità e qualità, proponendo una qualità abitativa attenta ai bisogni individuali all'interno della scala intensiva propria di un grattacielo. Infine, nella Rainbow Tower di Ljubljana, progetto vincitore di Europan 9, un nuovo concetto di torre si arricchisce di elementi strutturali che divengono allo stesso tempo attrattori e distributori di energia.
Nabito is an office founded in 2006 in Barcelona by Alessandra Faticanti and Roberto Ferlito. Their language ranges from restoration and temporary facilities, to public buildings, residential complexes, up to spatial masterplans. Their approach is based on a comparison between the various dichotomies arising within a project. Such as the Sensational Park, created in Frosinone, where the social space of the park was created by the different personal spaces materialized in sensory experiences that every visitor can enjoy in the park. In Stairscraper, a project for Dubai on housing issue, Nabito investigates the relationship between quantity and quality, offering a living quality caring about individual needs within the intensive scale characteristic of a skyscraper. Finally, in the Rainbow Tower of Ljubljana, Europan 9 winning project, a new concept of the tower is enriched by structural elements becoming at the same time energy attractors and distributors.
Sensational Park
The Stairscraper
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The Rainbow Tower
[sul comodino]
[sul comodino]
[letture facoltative]
[letture facoltative]
Maria Letizia Gagliardi, La misura dello spazio – Fotografia
Chiara Casarin, Davide Fornari (a cura di), Estetiche del camouflage,
Antonio Caronia, Virtuale, Mimesis, Milano-Udine, 2010
Antonino Saggio, Architettura e modernità – Dal Bauhaus
e architettura: conversazioni con i protagonisti, Contrasto, Roma, 2010 L’architettura non può prescindere dalla fotografia divenuta oggi il mezzo di comunicazione principale
et al., Milano, 2010 Dalla natura all’arte passando per il mondo militare declinandosi in travestimento, mimetismo, sparizione il camouflage è oramai
I recenti successi dei film in 3D hanno riportato l’attenzione agli sviluppi della realtà virtuale e delle tecniche immersive. Già avanguardia negli anni ’90 sono
alla rivoluzione informatica, Carocci, Roma, 2010 L’informatica ha profondamente trasformato i metodi di pensare, di comunicare, di ideare e di
con cui si racconta un progetto. Avviene che la comunicazione di un’arte passa attraverso un’altra,
tecnica ricorrente intimamente connessa con gli sviluppi della società contemporanea:
poi cadute rapidamente nel dimenticatoio a causa di uno sviluppo tecnologico faticoso
progettare l’architettura. è sulla base di un approccio concettuale mutuato dalle teorie di Kuhn,
con linguaggi e metodi propri, grazie al filtro interpretativo del fotografo, chiamato a documentare e rivelare le potenzialità del progetto. Vi è un legame così
virtuale, indefinita, mutevole. Se l’origine è rintracciabile nel mondo animale ora la pratica del camouflage ricorre costantemente nell’arte, nei temi del corpo e
e per l’avvento di internet, ma la voglia di partecipazione, il bisogno di relazionarsi e il desiderio di sensazioni coinvolgenti sembra possa rispostare l’interesse
che la distanza inequivocabile tra l’oggi e la realtà del Movimento Moderno viene interpretata come una rivoluzione segnata da un completo cambio di paradigma:
forte che spesso la conoscenza di un’opera risulta connessa proprio al ricordo delle immagini
dell’identità, ma anche nel design e nell’architettura, nelle ricerche sulla evanescenza e la pelle
dalla interattività alla immersività, riproponendo un campo di indagine che potrebbe, in tempi
non più oggettività, collettività e meccanizzazione ma soggettività, personalizzazione
fotografiche che la ritraevano e che la pratica comune dei progettisti di commissionare direttamente il servizio fotografico
degli edifici. Dove l’architettura si avvicina all’arte si ritrova l’originario obiettivo: la sparizione nelle dinamiche della natura.
brevi, coinvolgere i metodi di progettazione aprendo potenzialità comunicative e ideative non prevedibili.
e informazione. Una rilettura, vista dal nuovo paradigma, che evidenzia i nuclei problematici affrontati lungo gli ultimi 90 anni e sfociati
non farà che aumentare.
in questo cambio di visuale.
[on the nightsand] Maria Letizia Gagliardi, La misura dello spazio – Fotografia e architettura: conversazioni con i protagonisti, Contrasto, Rome, 2010 The architecture cannot be separated from photography become today the main means of communication with which a project can be told. It happens that the communication of one art passes through another, with languages and methods, thanks to the interpretative filter of the photographer, called to document and reveal the potential of the project. There is a bond so strong that often the knowledge of a work appears to be connected to the memory of the photographic images that portrayed it and that the common practice of designers to commission directly the photoreport will only increase.
[on the nightsand] Chiara Casarin, Davide Fornari (a cura di), Estetiche del camouflage, et al., Milan, 2010 From nature to art through the military world passing by disguise, camouflage, disappearance. Camouflage is now a recurrent technique intimately linked with the developments in contemporary society: virtual, indefinite, and changeable. If the source can be found in the animal world now the camouflage practice is constantly used in the art, in the themes of body and identity, but also in design and architecture, in the researches on evanescence and the skin of buildings. Where the architecture comes close to the art we find the original goal: the disappearance in the dynamics of nature.
[optional lectures]
[optional lectures]
Antonio Caronia, Virtuale, Mimesis, Milan-Udine, 2010 The recent success of 3D pictures
Antonino Saggio, Architettura e modernità – Dal Bauhaus alla rivoluzione informatica,
drew attention to the development of virtual reality and immersive techniques. They were already
Carocci, Rome, 2010 Information technology has profoundly transformed
in the forefront in the 90s, then they fell quickly into oblivion due to a difficult technological development and the advent of the Internet, but the desire to
the methods of thinking, communicating, conceiving and designing architecture. It is on the basis of a conceptual approach borrowed from the theories of
participate, the need to relate and the desire for involving feelings appear able to move again the
Kuhn, that the unequivocal distance between today and reality of the Modern Movement is
interest from interactivity to immersive activities, reintroducing a field of investigation that could, quickly, involve the design methods offering unpredictable
interpreted as a revolution marked by a complete change of paradigm: no longer objectiveness, collective nature and mechanizations, but subjectivity, personalization and
communicative and ideational potentials.
information. A second reading, considered with the new paradigm, which highlights the core problems faced along the last 90 years and resulted in this change of view.
Random [07]
a cura di/edited by Diego Barbarelli
[andar per]
[sul comodino]
[letture facoltative]
Claudio Piersanti (a cura di) Architetture Faenza – Itinerari
Davide Turrini, Alberto Campo Baeza. Pietra, Luce, Tempo,
Sabina De Gregori, Bansky. Il terrorista dell’arte,
contemporanei 2011, Edit Faenza, Faenza, 2010 La vitalità e la qualità dell’architettura in provincia è tema attuale nel panorama
Libria, Melfi, 2010 All’attenzione per l’architettura iberica e per le tecniche di costruzione fa riferimento il testo di Turrini che analizza l’utilizzo
Castelvecchi, Roma, 2010 La prima monografia italiana sul famoso writer capace di catturare l’attenzione sia del mondo dell’arte che della gente
architettonico italiano, lontana da mode ma non per questo sconnessa dall’attualità, si
della pietra e del marmo in Campo Baeza, visti come elementi fondanti e imprescindibili nella
comune. Anonimato, critica sociale, qualità delle opere e performance provocatorie
caratterizza per un approccio che ricerca un connubio tra pragmatismo e innovazione, sintesi perfetta delle tendenze attuali. Quando il talento dei progettisti
ricerca dell’architetto spagnolo.
l’hanno trasformato in una star.
[on the nightstand]
[optional lectures]
Davide Turrini, Alberto Campo Baeza. Pietra, Luce, Tempo, Libria, Melfi, 2010
Sabina De Gregori, Bansky. Il terrorista dell’arte, Castelvecchi, Rome, 2010
The book of Turrini refers to the attention for Iberian architecture and construction techniques
The first Italian monograph on the famous writer able to capture the attention of both the art world and
analyzing the use of stone and marble in Campo Baeza, seen as fundamental and indispensable elements in the research of the
the common people. Anonymity, social critique, quality of works and provocative performance has turned him into a star.
si fonde con committenze e amministrazioni attente e con un ambiente culturale fertile si ottengono, se non capolavori, ottimi esempi di architettura di qualità. La guida di Faenza ne documenta svariati esempi, tra nuove costruzioni e riscoperta di architetture dimenticate.
Spanish architect.
[letture facoltative] [ricreazione] Alessandro Baronciani, Le ragazze nello studio di Munari, Blackvelvet, Firenze, 2010 La storia di un libraio e collezionista di libri usati e antichi: il lavoro, le ragazze
[on the road] Claudio Piersanti (edited by) Architetture Faenza – Itinerari contemporanei 2011, Edit Faenza, Faenza, 2010
e la vita, il tutto modulato attraverso la sua passione per Munari. Un omaggio totale al designer milanese trasformato nella chiave di lettura di ogni esperienza vissuta dal protagonista.
The vitality and quality of architecture in the province is the current theme in Italian architectural landscape, far from fashions, but not disconnected
[recreation]
from up-to-dateness, it is characterized by an approach that seeks a combination between
collector of used and old books: work, girls and life, all modulated by his passion for Munari. A total tribute to the Milanese designer turned in the interpretation key of
pragmatism and innovation, a perfect synthesis of current trends. When the designers' talent is combined with commissions and careful management and with a fertile cultural environment it is possible to obtain, if not masterpieces, good examples of quality architecture. The guide of Faenza documents several examples, between new constructions and rediscovery of forgotten architecture.
Alessandro Baronciani, Le ragazze nello studio di Munari, Blackvelvet, Florence, 2010 The story of a bookseller and
each experience lived by the main character.
Christine Buci-Glucksmann Filosofia dell’ornamento, Sellerio, Palermo, 2010 Eliminato dal moderno, castigato dal minimalismo, nell’ultimo decennio l’ornamento è ritornato attuale soprattutto nel rivestimento delle facciate. Buci-Glucksmann sostiene la necessità della sua riscoperta per eliminare alcune rimozioni della cultura occidentale.
[optional lectures] Christine Buci-Glucksmann Filosofia dell’ornamento, Sellerio, Palermo, 2010 Deleted by modern things, chastened by minimalism, in the last decade the ornament came back into fashion, mainly in façade covering. Buci-Glucksmann argues the need for its rediscovery to eliminate some removal of Western culture.
160 161
Arma via Monelli, 4 41042 Fiorano Modenese (MO) tel. +39 0536 911489 fax +39 0536 911490 www.armaitalia.it info@armaitalia.it
[Sentousai] Sentousai è un rivestimento pareti per interni ed esterni che alterna spessori diversi grazie ad una speciale ceramica composta interamente da bacchette in rilievo. Fa parte della linea ‘Trame e ombre’, collezione di ceramiche di Arma Architectural Materials ispirata a canoni estetici legati alle tradizioni giapponesi e prodotta anche con l’apporto di materie prime di origine vulcanica. Sentousai raggiunge il massimo della forza espressiva in composizioni realizzate disponendo le bacchette in modo irregolare sia verticalmente che orizzontalmente. Disponibile nelle dimensioni 235x13,5 mm con una faccia a spacco, con spessori variabili da 12 a 20 mm e nei colori sale grezzo e sale nero.
[Sentousai] Sentousai is a coating for interior and exterior walls that alternates different thicknesses with a special ceramic entirely composed by rods in relief. It is part of ‘Trame e ombre’ line, a collection of ceramics from Arma Architectural Materials inspired by aesthetic canons
reaches maximum expressive power in compositions created by placing the rods irregularly both vertically and horizontally. It is available in 235x13,5 mm with a split face, with thicknesses varying from 12 to 20 mm and crude and black salt colour.
associated with Japanese traditions and produced also with the contribution of raw materials of volcanic origin. Sentousai
Monitor
[prodottiproducts] a cura di/edited by Santino Limonta
[D.R.Y] Vincent Van Duysen per la piastrella in grès porcellanato smaltato Dry si è ispirato fino in fondo al disegno irregolare delle crepe che si formano nelle pitture antiche, nel gesso o nella terra secca, cercando anche di evitare la ripetitività del decoro. Prodotta da Brix, Dry si presenta con forma inconsueta creata da tre esagoni che si fondono insieme. In fase di posa devono essere stuccate non solo le tradizionali fughe ma anche le incisioni ricavate sulla superficie della piastrella per ottenere quell’effetto di casuale irregolarità voluto dal progettista. Adatto per pavimenti e rivestimenti, Dry è disponibile nei due colori bianco (Plaster) e fango (Mud).
[D.R.Y] Vincent Van Duysen for the tile made of glazed Dry porcelain takes inspiration from the irregular pattern of cracks formed in ancient paintings, in plaster or dry earth, also seeking to avoid the repetition of the pattern. Produced by Brix, Dry shows an unusual form created by three hexagons merging together. During installation not only traditional gaps are to be filled, but also
Brix Srl via Circonvallazione N/E, 116 41049 Sassuolo (MO) tel. +39 0536 812426 fax +39 0536 812680 www.brixweb.com info@brixweb.com
the engravings made on the surface of the tile to get that effect of random irregularities desired by the architect. Suitable for floors and walls, Dry is available in two colours: white (Plaster) and mud (Mud).
Buzzi & Buzzi via Milano, 17 20060 Pozzo d’Adda (MI) tel. +39 02 094942-4 fax +39 02 9094006 www.buzzi-buzzi.it buzzi@buzzi-buzzi.it
[Polaris] Apparecchio illuminante a luce indiretta per lampade fluorescenti, della linea Technical di Buzzi & Buzzi. La cupola superiore è in materiale composito alleggerito ed è decorabile. Polaris è progettato per essere installato a soffitto, anche in cartongesso, con la tecnica dell’incasso a scomparsa totale. Può essere stuccato e finito con le stesse modalità della superficie che lo accoglie diventandone parte integrante. Estremamente versatile, si presta ad essere utilizzato in tutti gli ambienti in cui è richiesta una luce costante e uniforme, in ambito sia residenziale che contract. Diametro del foro uscita fascio luminoso quattrocento millimetri. Peso dell’apparecchio dieci chilogrammi.
[Polaris] Indirect lighting fixture for fluorescent lamps, of Technical Buzzi & Buzzi line. The upper dome is made of lightened composite material and can be decorated. Polaris is designed to be installed on the ceiling, also in plasterboard, with the hidden built-
that require a constant and uniform light for both the residential and contract field. The diameter of the luminous beam output is four hundred millimetres. Its weight is ten kilograms.
in system. It can be filled and finished in the same methods followed for the surface becoming an integral part of it. Extremely versatile, it can be used in all environments
162 163
[Poly Gregg, Outdoor Gregg] Disegnata da Ludovica + Roberto Palomba, la collezione Gregg, le cui forme ricordano un grande ciottolo levigato dall’acqua, si arricchisce di due nuovi apparecchi illuminanti da appoggio: Poly Gregg per interni e Outdoor Gregg per esterni. Entrambi sono disponibili nelle dimensioni media (cm 31x27h) e grande (cm 47x40h), posizionabili su tavolo o a terra, oltre che nella nuova dimensione ‘Extra Large’ (cm 59x51h), ideale come luce da terra per caratterizzare grandi spazi outdoor o indoor, residenziali o collettivi. Realizzati da Foscarini in materiale plastico (polietilene) a prova d’urto e resistente agli agenti atmosferici. Montano lampade a fluorescenza 1x12W (media) e 1x25W (X-large e grande).
[Poly Gregg, Outdoor Gregg]
the new size ‘Extra Large’ (cm 59x51h),
Designed by Ludovica + Roberto Palomba, the Gregg collection, whose shapes
ideal as floor light to characterize large outdoor or indoors spaces, residential or collective. Made by Foscarini in plastic material (polyethylene) shock-proof and weather resistant. They mount 1x12W fluorescent lamps (medium) and 1x25W
resemble a large pebble smoothed by water, is enriched by two new countertop light fixtures: Poly Gregg for interior and Outdoor Gregg for outdoor use. Both are available in medium (cm 31x27h) and large (cm 47x40h) size, they can be positioned on a table or on the ground, as well as
Foscarini Srl via delle Industrie, 27 30020 Marcon (VE) tel. +39 041 5953811 fax +39 041 5953820 www.foscarini.com foscarini@foscarini.com
(X-large and large).
Gregoris Srl via Fiumicino, 1 33082 Azzano Decimo (PN) www.gpesrl.com gpeleg@gpesrl.com
[Crosspoint] Crosspoint è una lampada a sorgente led ottenuta dalla lavorazione con macchine a controllo numerico di estrusi di alluminio e costituita dall’incontro (da qui il nome) di quattro grandi bracci rettangolari. In ciascun braccio sono collocati diciotto led bianchi. Finitura superficiale sabbiata ed ossidatura grigia naturale. Il supporto per alimentatori è in lamiera verniciata. Crosspoint è dotata di centralina di controllo integrata del colore e della luce bianca, con connessione DMX per il controllo centralizzato. Disegnata da Tobia Scarpa, è prodotta da Gregoris, nuovo marchio di apparecchiature Led per il residenziale e per il contract.
[Crosspoint] Crosspoint is a LED lamp source obtained by working aluminium extrusions with CNC machines made by the crossing (hence the name) of four large rectangular arms. In each arm are located eighteen white LEDs. Surface finish is sandblasted
Crosspoint is equipped with an integrated control unit for colour and white light, with DMX connection for centralized control. Designed by Tobia Scarpa, it is produced by Gregoris, a brand new LED equipment for residential and contract market.
and oxidation is natural gray. The support for power supplies is in painted plate.
Monitor
[prodottiproducts] a cura di/edited by Santino Limonta
[Exterior 400 Range™] Compattezza, alta efficienza energetica con bassi consumi, equilibratura colorimetrica per una resa uniforme e alloggiamento resistente con grado di protezione IP65 caratterizzano Exterior 400 Range™ di Martin Professional, famiglia di apparecchi a LED per la progettazione della luce negli ambienti esterni. Gittate lunghe o corte, luce bianca fredda o calda, colori statici o dinamici, trovano soluzione in uno degli apparecchi della serie. Per illuminare la Freedom Tower di Miami (foto) sono stati utilizzati Exterior 400™, ideale per ottenere effetti ‘color wash’ uniformi a grandi distanze, e Exterior 410™, adatto per distanze brevi con miscelazione del colore già all’uscita del corpo illuminante.
[Exterior 400 Range™]
colours find a solution in one of the fixture
Compactness, high efficiency with low power consumption, colorimetric
of the series. To illuminate the Freedom Tower in Miami (picture above) were used Exterior 400™, ideal to obtain uniform and long distance ‘colour wash’ effects, and Exterior 410™, suitable for short distances with colour mixing at the outlet
balancing for a uniform performance and resistant housing with IP65 protection degree characterize Exterior 400 Range™ of Martin Professional, a family of LED fixtures for light design in outdoor environments. Long or short range, cool white or warm light, static or dynamic
Martin Professional Italy Srl via Delle Canovine, 46 24126 Bergamo (BG) tel. +39 035 3690911 fax + 39 035 362093 www.martin.it info@martin.it
of the light body.
Chouette Maison www.chouette-maison.com info@chouette-maison.com
[Chouette] Disegnata da Damiano Alberti e Elisabeth Bohr per Chouette Maison, la lampada Chouette, raffigurante una civetta stilizzata, diffonde nell’ambiente una luce morbida e calda. È disponibile nella versione da tavolo in altezza 45 centimetri e nella versione da terra in tre altezze: 120, 140 e 160 centimetri. La struttura è in acciaio colore nero o metallizzato, il diffusore in ABS colore nero o opalino è predisposto per ricevere una lampadina a risparmio energetico E/14 5W 40 mA 220-240 V. Per tutti i modelli la base è realizzata in ABS colore nero o metallizzato con diametro 13 centimetri. Chouette, nel concept di progetto, vuole simboleggiare il desiderio umano di vedere nella notte.
[Chouette] Designed by Damiano Alberti and Elisabeth Bohr for Maison Chouette, the Chouette lamp, depicting a stylized owl, spreads
speaker in ABS black or opal, and preset to be equipped with an E/14 5W 40 mA 220-240 V energy saving bulb. All models bases are made in black or metal painted
a soft and warm light throughout the space. It is available in table version, 45 cm in height, and in floor version in three
ABS with 13 cm diameter. Chouette, with its concept, symbolizes the human desire to see in the dark of night.
heights: 120, 140 and 160 cm. The metal frame is black or metallic painted, the
164 165
[LedBell] ‘LedBell’ identifica una famiglia di nuovissime lampade a sospensione a luce diretta disegnate da Burkhard Panteleit. Prodotte da Rotaliana, sono state presentate per la prima volta al Salone del Mobile 2011 di Milano nelle due versioni a emissione luminosa singola ed emissione luminosa doppia. Realizzate interamente con corpo in materiale plastico stampato ad iniezione e verniciato nei colori bianco o nero, montano lenti di diffusione in policarbonato. Il rosone è in acciaio cromato, il cavo in PVC/FEP rivestito con calza in tessuto rosso o nero. Queste lampade, che utilizzano sorgenti LED ad alta efficienza e a basso consumo, si adattano a tutti gli spazi, sia pubblici che residenziali.
[LedBell]
diffusion lenses made of polycarbonate
‘LedBell’ identifies a family of brand new hanging direct light lamps designed
material. The canopy is made of chromed steel and the PVC/FEP cable is covered by a red or black fabric braiding. These lamps, which use high efficiency and low power consumption LED light sources, adapt to all spaces, both commercial and
by Burkhard Panteleit. Produced by Rotaliana they were presented for the first time at the Salone del Mobile 2011 in Milan in two versions: single light-emitting and double light-emitting. Entirely made in plastic material, injection moulded and white or black painted, they mount
Rotaliana Srl via Della Rupe, 35 38017 Mezzolombardo (TN) tel. +39 0461 602376 fax +39 0461 602539 www.rotaliana.it info@rotaliana.it
residential.
COMICS
Hanno collaborato a questo numero / Contributions to this issue
Diego Barbarelli
Vincenzo Di Nardo
Perugia, 1975. Redattore di PresS/Tletter e PresS/Tmagazine, collaboratore di Compasses/Perugia, 1975. Editor of PresS/Tletter and PresS/Tmagazine, contributor to Compasses
Firenze, 1951. Ha operato da sempre nel mondo dell’edilizia coniugando il punto di vista imprenditoriale, come membro dei consigli di amministrazione di numerose imprese e consorzi edili, con quello istituzionale ricoprendo importanti cariche associative quali Vice Presidente Confindustria Firenze, Vice Presidente ANCE Toscana, Vice Presidente ANCE Nazionale. è docente a contratto per numerosi corsi universitari e master post laurea ed è Presidente del Consorzio G.S.T. Global Service Toscana che si occupa di finanza di progetto, della gestione globale dei patrimoni immobiliari, di servizi pubblici e privati/Florence, 1951. He has always been concerned with the building field, both from the imprenditorial point of view – as a member of the board of directors of many building contractors and building consortium – and from the institutional one – as Confindustria Firenze Vice-President, ANCE Toscana Vice-President, ANCE National Vice-President. He is temporary professor at many courses at university and post-degree masters and he is the President of the GST Global Service Toscana consortium, dealing with project financing, global management of real estates, public and private services
Marco Borsotti
architetto/architect
Milano, 1965. Dottore di ricerca in Arredamento e Architettura degli Interni, è Ricercatore presso il Politecnico di Milano, Dipartimento di Progettazione dell’Architettura (DPA). I suoi principali campi di ricerca sono l’architettura di interni ed il progetto di allestimento per la valorizzazione dei beni culturali. Articoli, saggi e progetti sono stati pubblicati su riviste specializzate/Milan, 1965. PhD in Furniture and Interior Architecture, is researcher at the Politecnico in Milan, Department in Architectural Design (DPA). His main research fields are the interior design and the design for the enhancement of cultural heritage. His articles, essays and projects have been published in specialized journals
Federica Capoduri
designer/designer
Castelfiorentino (FI), 1983. Diplomata all’Istituto d’Arte di Siena, nel 2006 si laurea in Disegno Industriale presso la Facoltà di Architettura di Firenze. Contemporaneamente agli studi universitari s’interessa al mondo editoriale e giornalistico frequentando corsi specifici e avviando numerose collaborazioni con testate e riviste incentrate su design e architettura. Fa parte della redazione di And/She takes a diploma at the Art Institute in Siena, in 2006, and then graduates in Industrial Design at the Faculty of Architecture in Florence. Along with university studies she is interested in journalism and publishing world, attends specific courses and gives many contributions to newspapers and magazines focused on design and architecture. She is on the editorial staff of And
Alfredo Cisternino
architetto/architect
Genova, 1973. Si occupa delle mutazioni del ruolo dell’architetto nelle culture architettoniche francese e italiana in età contemporanea. Insegna Storia dell’Architettura nelle Università di Firenze e Genova e tiene seminari all’Università di Pisa e alla Domus Academy (Milano). Ha svolto ricerca presso il Politecnico di Milano e il Centre Pompidou (Parigi)/Genoa, 1973. He studies the changing role of the architect in modern-day French and Italian architectural cultures. He teaches History of Architecture at the Universities of Florence and Genoa and holds seminars at the University of Pisa and Milan’s Domus Academy. He has also done research at the Politecnico di Milano and the Centre Pompidou in Paris
Francesco Ciulli
light consultant/light consultant
Ponsacco (PI), 1952. Collabora con architetti e produttori di apparecchi illuminanti. Ha pubblicato La Luce Armonica, Alinea 2006. Scrive per numerose testate di architettura. Insegna Illuminotecnica in istituti italiani e internazionali. Socio ADI/Ponsacco (PI), 1952. He collaborates with architects and lighting companies. He published the volume La Luce Armonica [the armonic light], Alinea 2006. He writes for many architectural magazines and teaches Illuminating Engineering in many Italian and international schools. He is an ADI member
Mara Corradi
Giorgio Fratini
ingegnere/engineer
architetto/architect
Prato, 1976. è architetto, illustratore e autore di fumetti. Vive e lavora a Firenze. è stato pubblicato in Italia e Portogallo il suo primo romanzo grafico Sonno elefante – I muri hanno orecchie, Edizioni BeccoGiallo (It) e Campo das Letras (Pt)/Prato, 1976. He is an architect, illustrator and comic-book writer. He lives and works in Florence. His first graphic novel, Sonno elefante – I muri hanno orecchie (Edizioni BeccoGiallo (It) and Campo das Letras (Pt)) was published in both Italy and Portugal
Pietro Gaglianò
architetto/architect
Vibo Valentia, 1975. Critico d’arte e studioso dei linguaggi dell'arte, laureato in architettura ha approfondito la conoscenza e l’analisi della cultura visiva contemporanea. I suoi principali campi di indagine riguardano i rapporti tra le pratiche dell’arte visiva e i sistemi teorici della performing art; la relazione tra arte e sfera pubblica e spazio urbano; l’applicazione delle arti alle questioni dell’emergenza geopolitica/Vibo Valentia, 1975. Art critic and scholar of the art languages, graduated in Architecture and studied in depth the knowledge and analysis of contemporary visual culture. His main research fields cover the relations between the practices of visual art and the theoretical systems of performing art; the relationship between art, public sphere and urban space; the application of the arts to the emergency geopolitical issues
Santino Limonta
giornalista/journalist
Monza, 1940. Dopo una ventennale attività in una grande azienda editoriale si rivolge al mondo dell’editoria di nicchia contribuendo al lancio di nuove testate. Segue l’evoluzione del design, dei materiali e dell’architettura da un osservatorio privilegiato viaggiando intensamente nei mercati tradizionali e in quelli emergenti/Monza, 1940. After two decades of collaboration with a large publishing company, he now turns to the world of exclusive publishing and contributes to launching new periodicals. Limonta follows the evolution of design, materials and architecture from a privileged observation point by traveling with intensity though traditional and well as emerging markets
critica/critic
San Secondo (PR), 1977. Laureata in Disegno industriale, dal 2003 è assistente di Storia del Design presso il Politecnico di Milano. Nel 2002 lavora al fondo Disegni del MuseoKartell. Dal 2003 si occupa di ricerca storica e cura saggi sull’evoluzione del progetto. Dal 2004 gestisce l’Archivio di Michele De Lucchi, occupandosi di divulgare un patrimonio di disegni, fotografie, video, maquettes che ne testimoniano l’attività. Scrive per testate di architettura e design/San Secondo (PR), 1977. Corradi has a degree in Industrial Design and has been an assistant at Politecnico di Milano in History of Design since 2003. In 2002 she worked at MuseoKartell’s fondo Disegni. She has been active in historical research since 2003, editing essays on the project’s development. Corradi has been managing Michele De Lucchi’s Archives since 2004, promoting his wealth of drawings, photographs, videos and maquettes that certify his activity. She also writes for architecture and design magazines
Paolo Di Nardo
architetto/architect
Firenze, 1958. Fondatore e direttore editoriale della rivista And, nel 2002 fonda lo studio ARX che si occupa di progettazione e ricerca architettonica; lavora con Coophimmelb(l)au, Diener & Diener, Obermayer Planen + Beraten con cui partecipa a concorsi e progetti internazionali. è professore a contratto di progettazione presso la Facoltà di Architettura di Firenze e autore di numerosi articoli e saggi sull’architettura contemporanea/Florence, 1958. Founder and editor of And magazine. In 2002 Di Nardo founded studio ARX, which is concerned with architectural research and design; he works with Coophimmelb(l)au, Diener & Diener, Obermayer Planen + Beraten partecipating to competitions and international projects. He is a temporary professor of Design at the Faculty of Architecture in Florence and has written many articles and essays on contemporary architecture
Azzurra Macrì
giornalista/journalist
Finlandia, 1975. Dopo avere studiato in Italia per diventare architetto, ha deciso di essere giornalista. Osserva e scrive di architettura per profonda passione. Interessata alle forme di comunicazione dell’architettura nei paesi non ancora sedotti dalle suggestioni mediatiche, pubblica su diverse riviste di settore in Italia e all’estero/ Finland, 1975. After having studied architecture in Italy, she decided to become a journalist. She observes architecture and writes about it with a deep passion. Particularly interested in the forms of communication of architecture in countries that have not been seduced by the influence of media, she publishes in various magazines dedicated to the field in Italy and abroad
Lapo Muratore
architetto/architect
Bagno a Ripoli (FI), 1964. Dopo la laurea svolge numerosi programmi di ricerca in prestigiose università straniere. Da sempre interessato alla pubblicistica, scrive abitualmente per le riviste di settore, sia italiane che straniere. Vive e lavora a Siena/After earning his degree he participated in many research programmes at prestigious universities abroad. He has always been interested in activities of the publicist and often writes for national and international magazines of the sector. He lives and works in Siena
Giulia Pellegrini
architetto/architect
Pisa, 1977. Si laurea in architettura nel 2003 presso l’Università degli Studi di Firenze. Da subito si dedica al settore della pubblicistica e dell’editoria collaborando con testate internazionali. Dal 2006 lavora con AND per la quale ricopre il ruolo di coordinatrice editoriale. Dal 2010 si dedica inoltre alla libera professione fondando un proprio studio. Vive e lavora a Firenze/Pisa, 1977. She graduated in architecture in 2003 from Università degli Studi in Florence. She dedicated herself to the writings and publishing sector and has collaborated with international publications. Since 2006 she has worked with AND in the role of editorial supervisor. Since 2010 she works as a freelance architect and she founds her own studio. She lives and works in Florence
Pierpaolo Rapanà
architetto/architect
Lecce, 1978. Svolge attività professionale in collaborazione con lo studio ARX di Firenze e attività di ricerca come Cultore della Materia nel corso Laboratorio di Architettura II presso la Facoltà di Architettura di Firenze. Fa parte della redazione di And/Lecce, 1978. Works in partnership with studio ARX of Florence and conducts research as a scholar with the Architectural Workshop of the Faculty of Architecture in Florence. A member of the And editorial staff
Fabio Rosseti
architetto/architect
Viareggio (LU), 1961. Vive e lavora a Firenze, rivolgendo la sua attenzione al rapporto fra architettura e tecnologie dell’informazione. è coordinatore della redazione di And con cui ha collaborato fin dal primo numero. Ha scritto vari articoli per And e per altre testate/ Viareggio (LU), 1960. Lives and works in Florence, focusing on the relationship between architecture and information technologies. Editorial staff coordinator of And, he has worked with the magazine since its very first issue, writing various articles for And and for other publications
Luca Sgrilli
architetto/architect
Firenze, 1980. Si laurea in Architettura a Firenze nel 2006 e successivamente consegue un Master Internazionale presso l’Università degli Studi Roma Tre e la Waterloo University in Canada nel 2008. Svolge attività professionale in collaborazione con lo Studio ARX e attività di ricerca come Cultore della Materia nel corso Laboratorio di Progettazione II presso la Facoltà di Architettura di Firenze, Dipartimento di Progettazione. Dottorando presso la Seconda Università degli studi di Napoli nel dottorato di ricerca Storia e Tecnologia dell’Architettura e dell’Ambiente/Florence, 1980. Graduated in Architecture in Florence in 2006 and obtains in 2008 an International Master Degree from the University Roma Tre together with the Waterloo University in Canada. Works in partnership with ARX Studio and conducts research as Honorary Fellow of the Faculty of Architecture in Florence, Department of Urban and Building Design. PhD student under the Second University of Naples in the PhD programme History and Technology of Architecture and Environment
Francesco Ursitti
architetto/architect
Bollate (MI), 1976. Nel 2006 fonda FuGa_officina dell’architettura, uno studio-laboratorio di ricerca e sperimentazione compositiva. Lo studio si occupa di sistemi che trascendono dalla macro struttura urbana al micro elemento del prodotto d’arredo e design. Partecipa ed è invitato a concorsi di progettazione nazionali ed internazionali, workshop e seminari ottenendo segnalazioni e premi/Bollate (MI), 1976. In 2006 he founded FuGa_officina dell’architettura (architecture workshop), a research and experimental composition study-laboratory. The study deals with systems that transcend from macro urban structure and micro element of the furniture and design product. He attends and is invited to national and international design competitions, workshops and seminars obtaining mentions and awards
Eugenia Valacchi
architetto/architect
Firenze, 1975. Si laurea a Firenze nel 2003. Dottore di Ricerca presso il Dipartimento di Storia dell’Architettura dell’Università di Firenze. Lavora attualmente nel team dello studio di architettura ARX e collabora fin dai primi numeri con la rivista And. Dal 2010 è nel gruppo del laboratorio di ricerca Material Design della Facoltà di Architettura di Ferrara/Florence, 1975. She graduated in Florence in 2003. PhD graduate at the Department of History of Architecture at the University of Florence. She works as part of the ARX architectural studio team and has collaborated with And magazine since the early issues. Since 2010 she is part of the Material Design Research Laboratory at the Faculty of Architecture of Ferrara