Andrea Zanfi
Basilicata in vigna
EDI TORI A DI F F USA
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Diario di viaggio in Basilicata
In copertina: Asfalto e terra, Francesco Bruni ©
Si ringraziano
Testi Andrea Zanfi Fotografie Claudio Brufola Gaetano Plasmati Andrea Zanfi Tutte le foto delle aziende – ad esclusione di Colli Cerentino – sono state scattate da Claudio Brufola ©. Gli altri scatti sono di Gaetano Plasmati © Le foto alle pp. 10, 134-135 e 148-149 sono di Antonio Sicuro © Segreteria di redazione Giulia Fantozzi Claudia Gasparri Supporto di redazione ed editing David La Mantia Progetto grafico Claudia Aversa Illustrazioni Dominga Tammone Traduzione Christian Angoli
L'artista Francesco Bruni per la concessione dell'opera in copertina intitolata Asfalto e terra
Andrea Zanfi Editore s.r.l. Corso Carducci, 26 58100 Grosseto andrea.zanfi@andreazanfieditore.com www.andreazanfieditore.com Copyright © 2017 Andrea Zanfi Editore s.r.l., Grosseto Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro, senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’Editore. L’Editore ha fatto quanto nelle sue possibilità per individuare e rintracciare tutti i detentori dei diritti fotografici e documentari. Nell’eventualità che immagini o testi di competenza altrui siano riprodotti in questo volume, l’Editore è a disposizione degli aventi diritto.
ISBN italiano: 978-88-99929-03-9 ISBN inglese: 978-88-99929-06-0
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Sommario 11
Presidente della Regione Basilicata
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Presidente Enoteca Regionale Lucana
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Parto da qui
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Il profumo del pane
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Pillole di storia
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Sapori antichi
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L'Enotria nasce in Basilicata
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La storia in un bicchiere
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Un'altra via possibile
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Le aziende
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I luoghi
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Una bellezza stravolgente e inedita; la laboriosità di un popolo e paesaggi incantati. È la Basilicata descritta con ammirevole poeticità nel racconto di Andrea Zanfi che miscela con fascino la parola alle immagini, accompagnando coloro che sfogliano le pagine di questo libro e disegnando un territorio dalla “luce unica ed irripetibile”. È la Basilicata capace di rapire l’attenzione del visitatore e della scena internazionale grazie a Matera Capitale Europea della Cultura per il 2019; grazie ai suoi prodotti di eccellenza come il vino, qui raccontato nella sua formula magica che miscela passione, storia e capacità imprenditoriali; e grazie all'accoglienza e alla capacità di resilienza dei lucani, persone nient'affatto rassegnate, ma pronte a guardare al futuro pur mantenendo intatte radici e valori tradizionali. In questa direzione va il lavoro della Regione Basilicata che mi onoro di governare. Mettere a valore e a sistema le risorse naturali e umane per credere, assieme alla mia comunità, in questo territorio che può crescere con il suo bagaglio di saperi e sapori è il nostro obiettivo. Un grazie va dunque all’autore di Basilicata in vigna, che rappresenta per noi un contributo importante per far conoscere l’anima della nostra straordinaria terra.
Marcello Pittella Presidente Regione Basilicata
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Ho la convinzione di vivere in una terra fantastica, unica e inimitabile. Ma quando la racconto, spesso, la descrivo in modo esiguo, forse anche con parole un po’ troppo scarne, che comunque non le rendono omaggio come vorrei. Per questo desideravo avere uno strumento che fosse in grado di trasmettere questo mio pensiero. Per realizzarlo ho voluto al mio fianco chi, in modo autorevole, sapesse descrivere la mia terra trovando i vocaboli giusti e dando voce a quel comparto vitivinicolo che l’Enoteca Regionale oggi rappresenta. È stato un lavoro lungo e meticoloso quello svolto dallo scrittore Andrea Zanfi, al quale devo riconoscere il merito di essere riuscito ad amalgamare, intorno alla sua opera, i nostri produttori vitivinicoli associati che si sono identificati nel progetto editoriale e nell’idea comune di sentirsi artefici di una comunicazione di alto profilo culturale e fotografico. Un libro importante, che sicuramente rimarrà nel tempo come esempio della nostra capacità di fare sistema nella promozione del territorio e delle sue eccellenze enoiche. Sfogliandolo si evince l’immagine e la caratteristica orografica e geologica di queste terre, distanti dall’idea comune che in molti hanno del Mezzogiorno, identificabile con il caldo, il ricco, il Barocco, il tanto e il troppo... Al suo interno vi troverete una Basilicata descritta come uno smeraldo incastonato nella penisola italica, atipico rispetto a tutto ciò che lo circonda, essendo il sunto stesso dell’Italia tutta intera. Una “Basilicata in vigna” che travalicherà le pagine stesse di quest’opera, andando oltre anche il lavoro e il ruolo svolto dall’Enoteca in questa situazione, trasferendo a chi non conosce questa terra quanto essa sia magica. Paolo Montrone Presidente Enoteca Regionale Lucana
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La storia siamo noi nessuno si senta offeso siamo noi questo prato di aghi sotto il cielo la storia siamo noi, attenzione nessuno si senta escluso La storia siamo noi siamo noi queste onde nel mare questo rumore che rompe il silenzio questo silenzio così duro da masticare E poi ti dicono: “Tutti sono uguali tutti rubano nella stessa maniera” ma è solo un modo per convincerti a restare chiuso in casa quando viene la sera Però la storia non si ferma davvero davanti ad un portone la storia entra dentro le stanze e le brucia la storia dà torto o dà ragione la storia siamo noi
siamo noi che scriviamo le lettere siamo noi che abbiamo tutto da vincere e tutto da perdere E poi la gente perché è la gente che fa la storia quando si tratta di scegliere e di andare te la ritrovi tutta con gli occhi aperti che sanno benissimo cosa fare Quelli che hanno letto un milione di libri E quelli che non sanno nemmeno parlare ed è per questo che la storia dà i brividi perché nessuno la può fermare La storia siamo noi siamo noi padri e figli siamo noi, Bella Ciao che partiamo la storia non ha nascondigli la storia non passa la mano la storia siamo noi siamo noi questo piatto di grano La storia siamo noi
Francesco De Gregori
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Parto da qui, tralasciando per un momento i castelli, le cattedrali, i Sassi, i monumenti e gli scavi archeologici, provando a distogliere lo sguardo dalla bellezza antica per concentrarlo su un contadino lucano, l 'archè del mio viaggio in questa terra leggendaria.
Strade di campagna sconosciute mi costringono a chiedere aiuto a chi, sollevato lo sguardo dalla vigna, mi si avvicina sorridendo, facendomi segno di non aver udito cosa gli ho chiesto. Lo seguono due cani festosi. Lo osservo bene mentre mi appare come un eroe omerico o un guerriero normanno, per mole e lineamenti, l’unico rimasto in questo deserto umano. Sul volto e sulle mani ha i segni delle battaglie valorosamente combattute contro tutto e tutti, anche contro la fatica e il sudore, resistendo alla voglia d’abbandonare la sua terra.
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Questa è la storia di una pietra Che spaccò la testa in un giorno di festa al potente del paese E alla sua pretesa di non voler cambiare il mondo La lanciò un idealista che si sentiva comunista. Ma poi scelse il mare e si isolò Quel sasso lo raccolse una cantante Che non era distante Lo portò a casa e pulì le macchie di sangue Poi gli dipinse la bocca e lo mise sul davanzale Perché potesse raccontare la sua storia Le pietre sanno raccontare E non mentono mai se le sai guardare Come certe facce che hanno conosciuto il dolore Come questa strada tra il gelo e il calore La pietra rimase a lungo sulla finestra Finché un vagabondo Ebbe un pensiero profondo e la rubò E la usò per schiacciare le noci E spaventare i cani E tutte quelle cose che un sasso sa fare Come lasciarsi accarezzare Per ricordarti una donna Le pietre sanno raccontare E contenere un amore Dal quale vuoi scappare Quando può solo farti male Il vagabondo barattò il sasso con un panino
Di un bambino che non aveva fame E niente con cui giocare Quel bambino ero io E quella pietra ce l’ho ancora Nella mia mano di uomo Seduto ad aspettare Che arrivi la forza per poterla lanciare. Come questa strada tra il gelo e il calore La pietra rimase a lungo sulla finestra Finché un vagabondo Ebbe un pensiero profondo e la rubò E la usò per schiacciare le noci E spaventare i cani E tutte quelle cose che un sasso sa fare Come lasciarsi accarezzare Per ricordarti una donna Le pietre sanno raccontare E contenere un amore Dal quale vuoi scappare Quando può solo farti male Il vagabondo barattò il sasso con un panino Di un bambino che non aveva fame E niente con cui giocare Quel bambino ero io E quella pietra ce l’ho ancora Nella mia mano di uomo Seduto ad aspettare Che arrivi la forza per poterla lanciare. Rocco Papaleo
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Matera
Fat e silenzio, popolo di t uristi scellerati . Siet e al cospetto di un monumento unico al mondo; la sua dolente bellezza dovrebbe colpirvi e indurvi a una monacale quiete interiore tanto profonda da farvi tacere per sempre .
Lasciate perdere i telefonini, gli auricolari, le macchine fotografiche usa e getta e i souvenir. I Sassi meritano rispetto. Pensate solo per un attimo alla loro composizione, al disegno arcaico che si è venuto a costituire nel tempo, all’idea originale di un’architettura voluta e locata al confine tra l’ultimo baluardo dell’altopiano delle Murge ad est e della fossa Bradanica ad ovest, da chi desiderava eludere lo sguardo altrui. Tacete, dunque, turisti sgangherati scesi da qualche nave o arrivati qui tramite qualche pellegrinaggio a bramare la storia come famelici spasimanti, solo per soddisfare un recondito bisogno di bellezza che non avete mai educato, soddisfacendo invece chi mercifica anche il paesaggio. Ascoltate i Sassi perché hanno molte cose da raccontarvi. Quelle pietre chiedono rispetto, dateglielo. Non sono solo antichi aggregati di case poste a ridosso della Gravina, scavate nella calcarenite da chi non aveva i soldi per costruir mattoni; non sono solo un nome del menù dell’Unesco come altro elemento del Patrimonio mondiale dell'umanità, sono Sassi che conservano storie di vite dimenticate e stratificate per millenni sulla loro sostanza; storie non udibili a chi becera e non ha orecchie per sentirle. Cercate di comprenderne il senso. Fatelo per il vostro animo, per non tornare a casa a mani vuote con solo una foto da mostrare agli amici, ma con almeno il ricordo di qualcosa di mistico che avete vissuto in silenzio.
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Pillole di
storia
Viaggio in una terra unica, sentendomi parte della sua anima. Incurante dei secoli contraddistinti da mille monumenti mi guardo intorno e capisco che questi luoghi sono stati chiamati “casa” da numerosi popoli. Questa è la terra degli Enotri, dei Greci e dei Sanniti, dei Romani e dei Bizantini, dei Normanni e Saraceni, degli Aragonesi e dei Borboni. Genti che hanno costruito monumenti, templi, chiese e castelli; strutture architettoniche che marchiano con segni indelebili il territorio, cadenzando il tempo trascorso come i giorni su un calendario, annoverando centri come l’antichissima Matera o come Metaponto, Policoro, Nova Siri, che appartengono all’epoca della Magna Grecia, città d’epoca romana come Venosa e Grumentum, o medioevali come Melfi, Miglionico, Tricarico e Valsinni. Tutti luoghi straordinari, in cui si integrano altre memorie più recenti di chiese e manufatti, come il Duomo di Matera, l’Abbazia di Venosa, il Duomo di Acerenza e i castelli federiciani di Melfi e Lagopesole. La Lucania, quindi, non è solo un nome. È il sunto dell’italica storia, un nome che, dopo questo viaggio, non dimenticherò più perché è lo stesso con il quale la gente, qui, chiama abitudinariamente queste terre, anche se non è ben chiaro quale ne sia l’origine. Intorno a quel termine vi sono varie ipotesi, fra cui quella che lo farebbe risalire alla radice -luc, che nel linguaggio indoeuropeo indicava la luce del sole al suo nascere, indicando dunque la regione come “Terra della Luce”; devo dire che trovo estremamente vera questa affermazione. Altre ipotesi lo farebbero risalire al vocabolo romano “lucus”, “bosco”, di cui tutta questa area è estremamente ricca, anche se forse potrebbe essere riferito all’antichissimo popolo originario dell’Anatolia, i Liky, o Lici, che arrivarono su queste terre fra il II e il I millennio a.C. Invece, dall’altro lato, il toponimo Basilicata, più politico, potrebbe risalire o a “basilikos”, nome con cui venivano chiamati i governanti bizantini della regione, o, più probabilmente, al fatto che l’intero territorio sia stato amministrato per lungo tempo dal vescovato della “Basilica” di Acerenza. Storia come fonte di vita e memoria antropologica, come lettura del presente in grado di spiegare più di ogni altra la verità di oggi, tanto da spingermi a viaggiare a ritroso nel tempo, tornando all’Età del Bronzo, quando tutto il territorio era già un importante centro di collegamento tra le popolazioni del Mare Ionio e del Mediterraneo. Un contatto, comunque, che dette vita a migrazioni e a scambi commerciali, compresi quelli con i famosi mercanti Fenici. Migrazioni e ancora migrazioni, di cui furono protagonisti anche il popolo guidato da Enotro, detto appunto degli Enotri, che contribuì a classificare la Basilicata, nel periodo del Bronzo Recente, come parte di quell’ampio territorio definito Enotria, terra della vite, i cui confini andavano dal Vesuvio al Cilento, fino appunto a qui, comprendendo anche tutto ciò che gravitava intorno al Massiccio del Pollino. A partire dal VIII secolo a.C. giunsero altri coloni greci, che dettero vita a ciò che venne chiamata Magna Grecia di cui, ancora oggi, si gode la “bellezza”. L’arrivo dei Romani decretò la fine di quell’era. Un popolo pragmatico, che badava a consolidare il potere, dando vita a strade e città come Venosa, fondata nel 291 a.C., e chiamata così per la presenza di un tempio dedicato alla dea dell’amore, Venere (“Venus” in latino). Posta a controllo della Valle dell’Ofanto e della Via Appia ed elevata a “Municipium” nell’89 a.C., pochi anni dopo, nel 65 a.C., dette i natali a Orazio, il poeta che è conosciuto per la sua quanto mai moderna filosofia del “Carpe Diem” e per le sue opere. Un centro di massima importanza, che non cessò la sua attività neanche durante il dominio di Longobardi e Normanni, come confermato dal fatto che ancora oggi conserva, nella chiesa della SS. Trinità, una delle più grandi abbazie del Sud Italia dell’epoca, le spoglie dei tre figli di Tancredi d’Altavilla, Guglielmo, Drogone e Umfredo, oltre a quelle di Roberto il Guiscardo e di sua moglie, Aberada. Inserita nel Parco Archeologico cittadino insieme alle terme, le domus e l’anfiteatro romano, la città contempla inoltre il Palazzo Abbaziale, antecedente all’anno
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bicchiere
La storia in un
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Le origini della viticoltura in Basilicata sono antichissime e devono essere ricercate nel millennio antecedente alla colonizzazione dei Greci, testimoniando come la vite sia da sempre un elemento della coltura agricola lucana caratterizzandone il paesaggio, i lavori nelle campagne e le attività in cantina. Un periodo arcaico in cui popolazioni agro-pastorali, che in assenza di un nome tramandato sono riunite in un’afferenza alla “cultura delle Tombe a Fossa”, abitavano il territorio e sembra conoscessero rudimentali tecniche di addomesticazione, di allevamento e di vinificazione dei frutti della Vitis vinifera. Una storia antica quindi che ci riporta al X-IX secolo a.C., in cui si praticava una viticoltura evoluta tanto da essere riconosciuta dai Greci e da far classificare, oggi, la Basilicata parte di un ampio territorio indicabile come il Centro terziario di Domesticazione della vite, allargando l’orizzonte a quell’Enotria, terra della vite per antonomasia, i cui confini comprendevano i monti della Campania, dal Vesuvio al Cilento, la Basilicata con il Vulture, identificato come punto di unione e snodo con l’Irpinia, la Daunia e la Lucania, e la Calabria; un vasto areale vitivinicolo posto a cerchio attorno al grande massiccio del Pollino. In questo contesto, in un processo databile fra l’Età del Bronzo Recente (XIII secolo a.C.) e l’Età Ellenistica (III secolo a.C.), le popolazioni dell’entroterra, intrecciando scambi commerciali con i mercanti micenei, villanoviani e fenici e mischiandosi successivamente con le ulteriori ondate di coloni greci, dettero vita a un flusso continuo di scambi di piante e di tutte quelle informazioni agronomiche tramandate oralmente fra loro e la “nuova gente”, apprendendo, accrescendo e affinando le capacità di allevare la vite e fare vino. Un humus che ha dato vita al presente. Ritrovamenti di alcuni vinaccioli risalenti al periodo del Bronzo Recente venuti alla luce nell’abitato di Broglio di Trebisacce (dati archeobotanici presi dall’istituto per la Storia e l’Archeologia della Magna Grecia – pp. 578, 581, 582) testimoniano come in questi territori vi sia stato un grande fermento intorno alla vite. A raccontarcelo intervengono le parole dello storico greco Dionigi di Alicarnasso, nella sua opera Le antichità romane, nella quale avanza l’ipotesi che tutte le popolazioni che abitavano la Penisola, compresi quindi i Romani, discendessero dagli Enotri, gli abitanti di quel territorio descritto sopra cui dettero il nome, certamente i più antichi colonizzatori della Penisola, ricondotti dal mito all’Arcadia. Giunti in Italia in un periodo che si collocherebbe poco prima l’inizio dell’Età del Ferro, si sarebbero distinti in tre rami: Itali, Morgeti e Siculi. Sempre Dionigi di Alicarnasso ci racconta come “Gli Arcadi [Enotri, n.d.r.] primi tra gli Elleni, attraversato l’Adriatico si stanziano in Italia, condotti da Enotro, figlio di Licaone, nato 17 generazioni prima della guerra di Troia […] giunse all’altro mare, quello che bagna le regioni occidentali d’Italia. Questo si chiama Ausonia dagli Ausoni che abitavano le sue rive; […] e fondò sulle alture piccoli centri abitati vicini gli uni agli altri, secondo la forma di insediamento consueta degli antichi. E la regione occupata, che era vasta, fu chiamata Enotria ed Enotrie tutte le genti su cui regna”. Il nome di Enotri, dato dai primi viaggiatori greci (IX-VII secolo a.C.) deriva dalla particolare forma di allevamento della vite adottata da queste popolazioni, caratterizzata da avere un sostegno (dal greco “oinotron”, “palo da vite”), molto simile, ma più efficace del “kàmax” diffuso in Grecia, accanto alla consuetudine di allevare le piante lasciandole espandere direttamente al suolo (Forni 1996). Con gli “oinòtra” la vite è riuscita a colonizzare anche le impervie aree montane battute dai venti di tutto il meridione d’Italia, lasciando il litorale alle più redditizie colture cerealicole. A partire dal VII secolo. a.C con l’arrivo dei Greci vi fu un nuovo impulso che aprì un’era fra le più interessanti e floride dell’Italia meridionale, periodo che fu definito, nel II sec. a.C. dallo storico greco Polibio, la Magna Grecia. Il suo splendore era visibile in città come Heraclea, nota per le Tavole di Heraclea, e Metapontum, della cui floridezza è ancora oggi testimonianza il tempio dedicato a Hera. Splendore che coinvolse ogni settore artistico, commerciale e produttivo. Compreso quello vitivinicolo avendo portato nuove varietà di vite e tecniche enologiche più evolute, tanto da alimentare un florido commercio di vino verso altre parti della Penisola, come testimoniano i ritrovamenti di anfore e vasellame legato al trasporto e al consumo della bevanda. Le tecniche colturali si modificarono e si integrarono in base all’adattamento delle varietà introdotte sui vari territori.
Un’altra
via possibile
Ho descritto negli altri capitoli di questo libro quanto sia stata importante la vite per la Basilicata. Archeologia, storia e mitologia attestano la fondatezza di questa affermazione, soprattutto oggi che è stato reso pubblico lo studio Basivin Sud, avviato nel 2008, che ha riportato alla luce ben 48 vitigni a bacca bianca e rossa sconosciuti in Basilicata. Dieci anni di lavori durante i quali sono state censite, raccolte, studiate e conservate varietà che sembravano scomparse e altre completamente nuove nell’ambito di un progetto sulla biodiversità del comparto vitivinicolo lucano, attivato dalla collaborazione di ALSIA (Agenzia Lucana di Sviluppo e Innovazione in Agricoltura) e CREA-UTV (Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’Analisi dell’Economia Agraria– Unità di ricerca di Turi, Bari) con la Regione Basilicata e il comune di Viggiano (PZ), al quale ha collaborato l’archeologo Stefano Del Lungo del CNR-IBAM (Consiglio Nazionale delle Ricerche – Istituto per i Beni Archeologici e Monumentali). Uno studio multidisciplinare che si è concentrato sulle zone campione del Vulture, del Materano, dell’Alta Val d’Agri e sul Massiccio del Pollino, il quale, congiungendo genetica e archeologia, ha delineato la storia del vino lucano creando nuove prospettive produttive. Per guardare al futuro è necessario conoscere il passato che coincide con la storia enologica dell’antica Enotria, “terra della vite coltivata con il sostegno di un palo”, che comprendeva un’area che oggi possiamo identificare con parte della Campania, della Basilicata e della Calabria, dalla valle del Sele alla Sibaritide e ancor più giù verso la punta dello stivale italico, includendo il Massiccio del Pollino e fino al Vulture: area indicata dagli studiosi come Centro Terziario di Domesticazione della vite, dove si attestarono le pratiche colturali arrivate dalle regioni mesopotamiche ed anatolico-siriache dal tardo Neolitico, dove ebbe origine la viticoltura. Già a partire dalla seconda metà del II millennio a.C. in Italia meridionale – come nella Grecia continentale – si registrò una continuità operativa di pratiche legate alla produzione di vino e alla coltura della vite con relativa selezione, pratiche che si diffusero tra la fine del X e il IX secolo a.C. nei territori abitati dalla cultura delle “tombe a fossa”. Nello studio, di cui riporto solo brevi stralci, i ricercatori hanno dato corpo anche alla ricostruzione genetica delle parentele esistenti tra i vitigni Dureza, Mondeuse e Syrah, figlio dei primi due, nonché dell’Aglianico, parente stretto ed antecedente al Syrah, gli stessi vitigni che nell’ampelografia di Robinson, Harding e Vouillamoz hanno come progenitore il Pinot. Incroci e trasformazioni genetiche che con tutta probalità avvennero proprio nell’Enotria, dove si ipotizza che fosse già in uso dalla prima età arcaica il Pinot, il quale raggiunse il Rodano successivamente grazie ai Focei che, fondata Elea nella metà del VI secolo a.C., avviarono un intenso traffico marittimo con Massilia (Marsiglia) trasportando vino, uve e tralci di vite. Pinot che da lì raggiunse l’interno della Francia e quella terra d’elezione che è la Borgogna. Tra la fine del VI e l’inizio del V secolo a.C. si può supporre che avvenne la prima selezione composita fra Pinot, Dureza, Mondeuse e Syrah che potrebbe aver dato vita a un insieme di varietà riconoscibili come Siriche, provenienti cioè dalla Siritide, dove il suffisso -ikos identifica l’appartenenza di un elemento a un gruppo omogeneo, indicante l’area della Lucania corrispondente alla parte meridionale del Metapontino dove si trovava la città di Siris. L’assonanza con “siriaco” (dalla Siria) spiega la confusione nata nelle fonti latine e l’erronea idea di voler far corrispondere il nome Syrah alla città persiana di Shiraz o persino all’antica Siracusa. La presenza di queste varietà, dette appunto Siriche, si incrementò ancora di più agli inizi del V secolo a.C. nelle vallate fluviali interne all’Appennino lucano dove si stanziarono i Sibariti dopo la distruzione della loro colonia. Di conseguenza la presenza di quelle varietà, venutesi a maritare con altre già presenti, vide nascere in quell’areale le Amineae: termine con il quale veniva indicato un gruppo di vitigni eccezionali per resa produttiva e durata del vino, al punto da diventare, in età imperiale, un marchio di garanzia tanto valido da essere riportato sulle anfore vinarie.
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Nel frattempo nell’Enotria vengono indicate con il termine “Lucanum” (“vinum”) altre tipologie di viti, ancora scarsamente diffuse, ma accuratamente selezionate da famiglie di imprenditori agricoli locali, come le gentes Apicia, Pompeia e Caedicia; varietà che vedono la presenza dell’Aglianico che, pur essendo presente da molto tempo, iniziò ad essere acquisito, denominato e diffuso dalla gens Allia solo a partire dal I secolo a.C., quando furono costretti a trasferirsi in Irpinia, nel Vulture e da lì in Puglia e nell’Alta Val d’Agri dopo l’eruzione del Vesuvio, come testimoniano le epigrafi in unione a diversi toponimi lucani, dal fiume Alli all’abitato di Aliano. Areali climaticamente diversi da quelli costieri, dove c’era la necessità di colture più resistenti. Sebbene i collegamenti con l’esterno fossero difficoltosi a causa della conformazione fisica della Val d’Agri, l’area divenne uno dei centri produttivi vitivinicoli più importanti della Lucania durante la prima età imperiale. A testimonianza di ciò vi è il fatto che, nel I secolo a.C., Marcus Valerius Messalla Potitus dette vita nella zona a un’azienda agricola dove coltivò, oltre a quelli presenti, altri vigneti provenienti dall’antica fortezza ionica di Lagaria, producendo il Lagarinum, vino dalle riconosciute proprietà terapeutiche. In questa opulenza storica ecco che trova ancora più valore lo studio sulla biodiversità varietale e genetica della Lucania messa in luce dagli studi storico-archeologici del CNR-IBAM. L’intera ricerca ha recuperato da vecchi vigneti ben 431 accessioni, riconducibili a 103 profili molecolari distinti di cui 51 erano riferibili a varietà già note, mentre altre erano totalmente ignote e uniche, fra cui anche 4 uve da tavola. Tra i vitigni già iscritti al Registro Nazionale delle Varietà di Vite, sono stati posti in osservazione varietà come: Castiglione, Grillo, Malvasia delle Lipari, Moscato Giallo, Uva di Troia e Guarnaccino alle quali potrebbero essere aggiunte anche la Malvasia di Candia Bianca Lunga, il Tempranillo, la Plavina croata e la Mencia spagnola, sinonimo della francese Monique. Fra i 48 autoctoni sconosciuti o indicati con nomi in vernacolo, e condivisi con altre zone del Sud Italia, vi sono quattro vitigni a bacca bianca: il prezioso Aglianico Bianco, la Giosana, la Guarnaccia Bianca, la Lusana (o Guisana) la Malvasia Bianca ad acino piccolo, la Passolara, e la Santa Sofia, mentre fra le varietà a bacca nera lo studio ha evidenziato il ritrovamento dell’originaria Malvasia Nera di Lucania, l’Aglianico delle Fosse, il Brindisino, il Cassano, il Colatammurro, il Guarnaccino Nero, la Pergola Nera, la Perlina d’Inverno, il Pizzutiddu e l’Uva Nera Antica di Viggiano. Ora la sfida per la regione e i viticoltori è interpretare questo studio per valorizzare il territorio.
LE AZIENDE
Azienda Agricola Donato D'Angelo 85028 Rionero in Vulture (PZ) Tel. e fax 0972 724602 www.agrida.it
Cantina di Venosa Via Appia, 86, Contrada Vignali - 85029 Venosa (PZ) Tel. e fax 0972 36702 www.cantinadivenosa.it
Azienda Agricola Elena Fucci Contrada Solagna del Titolo - 85022 Barile (PZ) 320 4879945 www.elenafuccivini.com
Cantine Cifarelli Azienda Agricola San Vito Via Molinello snc - 75024 Montescaglioso (MT) Tel. e fax 0835 208436 www.cantinecifarelli.it
Azienda Agricola Ofanto Tenuta I Gelsi Monticchio Bagni - 85028 Rionero in Vulture (PZ) Tel. 0972 080289 Fax 0972 080288 www.tenutaigelsi.com
Cantine del Notaio Via Roma, 159 - 85028 Rionero in Vulture (PZ) Tel. 0972 723689 Fax 0972 725435 www.cantinedelnotaio.com
Azienda Vinicola Paternoster Contrada Valle del Titolo - 85022 Barile (PZ) Tel. 0972 770224 Fax 0972 770658 www.paternostervini.it
Cantine Graziano Contrada S. Iorio S.P. 7 km 72 - 85036 Roccanova (PZ) Tel. 0973 1985444 Fax 0973 1980107 www.cantinegraziano.it
Azienda Vitivinicola Michele Laluce Via Roma, 19 - 85020 Ginestra (PZ) Tel. e fax 0972 646145 www.vinilaluce.com
Cantine Madonna delle Grazie Via Appia, 78 - 85029 Venosa (PZ) Tel. e fax 0972 35704 www.cantinemadonnadellegrazie.it
Bisceglia - Vulcano & Vini s.r.l. Contrada Finocchiaro - 85024 Lavello (PZ) Tel. 0972 877033 Fax 0972 81281 www.vinibisceglia.it
Casa Maschito Via F.S. Nitti, snc - 85020 Maschito (PZ) Tel. 0972 33101 Fax 0972 475023 www.casamaschito.it
Cantina Chiaradia Via Vico I G. Marconi, 41 - 85036 Roccanova (PZ) Tel. e fax 0973 833386 www.cantinechiaradia.it
Casa Vinicola Armando Martino Via Luigi Lavista 2/A - 85028 Rionero in Vulture (PZ) Tel. 0972 721422 Fax 0972 720005 www.martinovini.com
Cantina dei Siriti Contrada San Nicola - 75020 Nova Siri (MT) Tel. 0835 1821001 Fax 0835 1820198 www.cantinadeisiriti.it
Casa Vinicola D'Angelo Via Padre Pio, 8 - 85028 Rionero in Vulture (PZ) Tel. 0972 721517 Fax 0972 723495 www.dangelowine.com
Colli Cerentino Via Giacomo Matteotti, 10 - 85028 Rionero in Vulture (PZ) 329 3256624 www.collicerentino.it Consorzio Viticoltori Associati del Vulture S.S. 93 - 85022 Barile (PZ) Tel. e fax 0972 770386 www.coviv.com Masseria Battifarano Cantine Cerrolongo Contrada Cerrolongo, 1 - 75020 Nova Siri Marina (MT) Tel. e fax 0835 536174 www.cerrolongo.it Masseria Cardillo S.S. 407 Basentano km 96 - 75012 Bernalda Tel. 0835 748992 Fax 0835 748994 www.masseriacardillo.it Masseria Lanzolla 75023 Montalbano Jonico (MT) Tel. e fax 0835 691197 www.masserialanzolla.it Re Manfredi Cantina Terre degli Svevi Località Pian di Camera - 85029 Venosa (PZ) Tel. 0972 31263 Fax 0972 35253 www.cantineremanfredi.com Società Agricola F.lli Dragone Contrada Pietrapenta - 75100 Matera (MT) Tel. e fax 0835 385149 www.dragonevini.it Società Agricola Taverna Località Taverna - 75020 Nova Siri (MT) Tel. e fax 0835 877313 www.aataverna.com
Tenuta Marino Azienda Agricola Piano alle Rose Contrada Piano delle Rose 75027 San Giorgio Lucano (MT) Tel. e fax 0835 815978 www.tenutamarino.it Tenute Iacovazzo Via Saragat, 42 - 75100 Matera (MT) 328 6696466 www.tenuteiacovazzo.it Terra dei Re Via Monticchio S.S. 167 km 2,7 - 85028 Rionero in Vulture (PZ) Tel. 0972 725116 Fax 0972 721160 www.terradeire.com Torre Rosano Via Vittorio Emanuele, 28 - 85036 Roccanova (PZ) Tel. e fax 0973 833427 www.torrerosano.it Vigneti del Vulture Farnese Group Contrada Pipoli - 85011 Acerenza (PZ) Tel. e fax 0971 749363 www.vignetidelvulture.it VINICERVINO Azienda Agricola Piazza Belvedere, 3 - 85036 Roccanova (PZ) Tel. e fax 0973 1980203 www.cervinovini.it
t orno a casa
Finito di stampare nel mese di febbraio 2017
E 50,00