Friuli. Terre, uomini, vino

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Friuli terre uomini vino Andrea Zanfi

C arlo Cambi Editore



di Andrea Zanfi foto di Giò Martorana

Carlo Cambi Editore




Friuli. Terre, uomini, vino di Andrea Zanfi Fotografie di Giò Martorana Coordinamento editoriale e di redazione: Marco Biotti In redazione: Valentina Sardelli Direzione tecnico-grafica: Roberto Francini Progetto grafico: Elisa Marzoli Traduzioni: An.se sas Still-life: Lorenzo Borgianni / Carlo Gianni Si ringraziano per il gentile contributo il Prof. Roberto Zironi del Dipartimento di Scienze degli alimenti dell’Università degli studi di Udine e il Dott. Claudio Fabbro, agronomo e giornalista. L’utilizzo delle carte geografiche a colori è stato gentilmente concesso dalla Federazione dei Consorzi Tutela Vini del Friuli Venezia Giulia. Il volume è stampato su carta Satimat gr. 150 by ARJOW IGGINS Fotolito e stampa: Tap Grafiche S.p.A. Copyright © 2004 Carlo Cambi Editore Carlo Cambi Editore Via San Gimignano 53036 Poggibonsi (Siena) Tel. 0577 936580 Fax 0577 974147 Sito internet: www.carlocambieditore.it E-mail: info@carlocambieditore.it Proprietà letteraria riservata - Printed in Italy Prima edizione: dicembre 2004 ISBN 88-88482-26-1 I diritti di riproduzione, di traduzione, di memorizzazione elettronica e di adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo (compresi microfilm e copie fotostatiche) sono riservati per tutti i paesi.


Le prospettive del vigneto Friuli Friuli è vino. Il binomio è automatico nella mente dell’estimatore, ma qual è il motivo di questo spontaneo collegamento? Quattro passi nella storia ci permettono di osservare che, con la fondazione di Aquileia nel 181 a.C., inizia per questi territori la documentazione di una produzione enologica di elevata qualità. Da allora e fino ai giorni nostri, è una successione ininterrotta di periodi di splendore produttivo e di epoche buie, spesso legate a motivi indipendenti dalla volontà dei friulani. Ad ogni decadenza segue subito un risorgimento produttivo, a testimonianza di una tenacia secolare a perseguire, nonostante tutto, l’obiettivo di una produzione enologica di eccellenza. L’ultimo periodo grigio è terminato negli anni ‘60, quando un gruppo di valenti produttori ha traghettato la produzione enologica friulana verso un nuovo rinascimento, dopo che nel dopoguerra una buona parte delle uve della regione erano ancora ottenute da ibridi produttori diretti. Un punto importante da considerare è la variegata base ampelografica regionale, che riflette i ventidue secoli di storia enologica già ricordati. Il succedersi di diverse epoche produttive ha, infatti, distillato quanto di meglio era presente nel territorio e ha determinato l’affermazione di vitigni provenienti da zone anche molto lontane, che hanno trovato in Friuli una nuova patria. Ne risulta un’articolata miscela di vitigni autoctoni e di vitigni internazionali che permette di produrre, in condizioni ambientali anche molto diverse tra loro, vini sempre di elevato livello qualitativo. Il Pinot grigio è il vitigno che da oltre venti anni premia chi lo produce e lo vende in bottiglia fuori regione e all’estero, ma è stato poco amato dai consumatori friulani in generale. Soltanto negli ultimi anni, per effetto di un deciso aumento della qualità media e della ricerca di una maggiore espressione territoriale, rivaleggia in Regione con l’amatissimo Tocai che, probabilmente a causa della cassa di risonanza dei media, a seguito del contenzioso con l’Ungheria, comincia per contro ad essere richiesto e apprezzato anche oltre i confini regionali. Un’attenzione particolare merita il Sauvignon blanc, che in questi territori raggiunge livelli mondiali di eccellenza. I diversi ambienti regionali e l’uso sapiente di selezioni clonali locali e francesi determinano una varietà di espressioni qualitative che ne fanno palestra di ardimento e motivo di forte competizione tra i produttori. Lo Chardonnay è una garanzia di sicuro successo,

come spumante, vinificato in acciaio o affinato in legno, mentre alcuni vitigni storici, quali il Traminer, il Müller-Thurgau, il Moscato ed il Riesling sono oggi purtroppo relegati a ruolo di comprimari. È ancora da definire il destino della Malvasia istriana che sicuramente soffrirà, nel breve periodo, di una spietata concorrenza straniera. Il fascino degli storici bianchi autoctoni friulani sta oggi rinverdendo. La Ribolla, già ricordata nel De Naturali Vinorum Historia di Andrea Bacci, dopo sapienti affinamenti in botti di legno, sta dimostrando la sua straordinaria eleganza e incontrando sempre più il gusto del consumatore. Dal Picolit, che nel ‘700, secondo il Conte Asquini, il Re dei Re, il Papa, preferiva a qualsiasi altro vino, con adeguata vendemmia tardiva e breve appassimento in fruttaio, così come raccomandava il già citato nobile di Fagagna, si distilla un nettare sublime che rende merito all’aura di leggenda che ancora lo avvolge. Il Verduzzo, definito un rosso vestito di bianco, tanta è la concentrazione in nobili e salutari polifenoli delle sue uve, ci mostra, dalla collina di Ramandolo, nelle giornate nebbiose di ottobre e novembre, che cosa vuol dire non mollare mai e ci dona, dopo sapiente vinificazione e affinamento, un’ambrosia che ha meritato il

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riconoscimento ufficiale di Qualità Garantita. Il Vigneto Friuli è questo, uno sguardo al passato con le conoscenze del presente: così potremo definire la rivoluzione che, negli ultimi anni, sta interessando la produzione dei grandi vini bianchi regionali; produzione che con impegno cerca di legare sempre di più il vino al territorio, privilegiando l’immagine del terroir piuttosto che quella del vitigno. L’uvaggio è l’obiettivo dichiarato di un numero sempre maggiore di produttori che, pur desiderosi di affermare l’individualità e l’eccellenza aziendale, non disdegnano di esaltare in sinergia i pregi dei vari componenti che interagiscono con la loro attività di vignaioli, ora modulando le percentuali di presenza di un vitigno rispetto a un altro, ora smussando le variazioni che si determinano nelle varie annate, con la maturazione delle diverse uve. Quale migliore possibilità di riportare i vini bianchi friulani alla loro naturale predisposizione, ad una positiva ed esaltante evoluzione nel tempo, in contrapposizione ad un assurdo mercato italiano che li vorrebbe esclusivamente freschi d’annata? E i vini rossi? I viticoltori friulani hanno intelligentemente evitato, per rincorrere la moda e il mercato degli ultimi anni, la “cabernetizzazione” del territo-


rio. Hanno anzi messo in discussione un primato produttivo che, negli anni ‘90, attribuiva alla regione più di un terzo della produzione italiana di Cabernet a denominazione di origine controllata. A farne le spese il Cabernet franc o meglio il più diffuso Carmènere, che paga al mercato la sua caratteristica “erbacea” tanto cara ai consumatori locali, ma poco apprezzata al di fuori dei confini regionali. Questa nuova tendenza è servita a ridare dignità al Merlot, il più grande rosso friulano e, al contempo, dal dopoguerra ad oggi, il più maltrattato. Sicuramente un buon presente e un grande futuro per i vini rossi autoctoni. Come non ricordare il Refosco dal peduncolo rosso che sta conquistando sempre maggiore attenzione sui mercati internazionali, o il Pignolo e lo Schioppettino, che alcuni tenaci viticoltori hanno strappato all’estinzione e che oggi dimostrano tutta la loro stoffa di vini rossi da invecchiamento. Un punto di forza della produzione friulana si sta rivelando quanto fino a ieri era considerato dagli analisti un punto di debolezza. Nella regione si producono poco più di un milione di ettolitri di vino, ma si contano ottomila aziende agricole che producono uva e milleottocento registri di imbottigliamento. In un mercato globale dove si scontrano sul prezzo titani in grado di movimentare milioni di bottiglie di vino, frammentazione può essere ricchezza, diversità è pregio, individualità e personalità sono virtù da perseguire.

Come non ricordare le stupende opportunità enogastronomiche fornite dal territorio. Provate a fare come il sottoscritto che, giovane professore in Enologia portato per motivi accademici dalla natìa Emilia in queste terre, in venti anni si è fatto spesso invitare, dalle frasche appese agli incroci, a percorrere le strade poderali, per trovarsi in antiche case coloniche dove, in compagnia di una cucina semplice, si è fatto sedurre da vini di straordinaria eleganza, intavolando discussioni tecniche con i conduttori di queste piccole cantine che ha poi scoperto essere spesso forniti di diplomi tecnici specifici e sollecitando ricordi negli anziani della famiglia che hanno portato testimonianze di generazioni di produttori di vino. Ho chiesto di fare sperimentazioni e ho sempre trovato ospitalità nelle campagne e nelle cantine. Ho talvolta sollevato obiezioni di tipo tecnico e sono stato sempre ascoltato da produttori confortati da successi qualitativi ultradecennali. Per concludere posso sicuramente dire di essermi, in questi venti anni, divertito a frequentare queste vigne, queste cantine, questi produttori, come sicuramente si è divertito l’autore di questo splendido libro che racconta di famiglie, di vini, di sensazioni del Vigneto chiamato Friuli.

Roberto Zironi Università degli Studi di Udine


Alle radici del vigneto Friuli Chi non ha storia alle spalle difficilmente la può inventare e, come tale, proporla senza arrossire. Il binomio vincente “vino e cultura” fortunatamente non ha risparmiato il Friuli. Se un tempo i giovani viticoltori mostravano segni d’insofferenza quando, davanti al fogolar i nonni si dilungavano in nostalgici amarcord sui bei tempi andati, si avverte ora un’inversione di tendenza. Rispetto al passato la voglia di conoscere più da vicino le nostre radici è prorompente, sotto ogni bandiera e latitudine. Ecco allora che il vignaiolo, quando è chiamato a raccontare di sé, della propria azienda e del territorio in cui opera, dedica sempre più tempo alla biblioteca togliendone un po’ al laboratorio. Oppure indugia negli archivi di famiglia per cogliere qualche “chicca” che - non si sa mai - potrebbe un domani diventare il nome vincente di un vino, una ragione sociale o un logo particolare. Pur nella consapevolezza che con Pinot Grigio e Sauvignon si fa fatturato, è ben vero che con Ribolla, Picolit, Ramandolo, Schioppettino, Terrano, Refosco e Pignolo, il viticoltore di casa nostra si riappropria del diritto, prezioso, di dichiarare, carte alla mano, che da queste parti il vino si faceva molto prima che arrivasse Napoleone, l’Impero austro-ungarico, i moderni “guru” o i vari consulenti “mordi e fuggi”. Come vignaioli i friulani non sono secondi a nessuno e non lo sono mai stati, visto che si iniziò a parlare seriamente di vite e di vino subito dopo la fondazione di Aquileia (181 a.C.), grazie soprattutto ai Romani guerrieri, contadini e vignaioli al contempo - che piantarono su queste terre le prime vigne e crearono una fiorente attività agricola. Già Tito Livio e Strabone testimoniarono come Aquileia fosse uno dei massimi poli commerciali viticoli del nord dell’Impero, tanti erano i compratori e tanti erano i traffici intorno al mondo del vino che si svolgevano in questa città. Prova ne sono le migliaia di anfore, molte delle quali ancora con gli acini dentro, che sono venute alla luce durante gli scavi per il recupero delle vestigia della città. In quel periodo la produzione del vino si allargò notevolmente alimentando quegli scambi che per secoli contraddistinsero le attività commerciali della regione con i paesi limitrofi come la Croazia, la Slovenia, l’Austria, l’Ungheria e la Baviera. Non è però possibile sapere con certezza quali fossero le varietà coltivate a quel tempo. Leggendo qua e là nella storia si percepiscono alcuni

segnali ben precisi come quelli indicati da Plinio il Vecchio (Historia naturalis, I secolo d.C.) il quale affermava che l’imperatrice Livia, non bevendone altro, metteva sul conto del vino Pucino il raggiungimento della sua veneranda età di 86 anni. “[...] Nasce nel golfo del mare Adriatico, non lungi dalla sorgente del Timavo, su un colle sassoso, dove alla brezza marina matura per poche anfore, né si crede ve ne sia di migliore per i medicamenti”. Nonostante queste segnalazioni, l’identificazione di questo nobile e salutare vino, oltre che della sua zona di origine, è ancora aperta; infatti molti azzardano accostarlo al TerranoRefosco, mentre altri - leggasi in primis il prof. Dalmasso - al “chiaretto Prosecco” o addirittura al “dorato Vipacco”, soprattutto per quel nigerrima, sottolineata da Plinio in un altro passo dell’Historia. Anche Discoride (o Dioscuride) Pedanio, medico della Cilicia e contemporaneo di Plinio nel suo Sulla storia medica, parlando della forza che caratterizza questo vino, chiamato dai greci Pictano e Paretipiano, ne esalta le virtù curative. Oltre alle proprietà curative riconosciute almeno ad un vino friulano c’è da segnalare l’utilizzo in zona della botte, invenzione celtica, la cui diffusione indusse più tardi qualche studioso ad attribuire erroneamente la sua nascita al genio dei vignaioli friulani. All’inizio di quel primo millennio la popolazione contadina si concentrava in grandissime aziende e latifondi e aveva moltissime specializzazioni fra cui erano annoverate le professioni del bifolco, dell’aratore, dell’asinaio, dell’erpicatore, del mietitore, del fattore, del torcitore, del vignaiolo, dello zappatore e molte altre ancora, e nonostante gli aspetti negativi e il duro lavoro a cui erano costretti schiavi, popolo e soggetti poveri, il lavorare in campagna era un’occupazione ambìta che garantiva almeno un pasto al giorno. Scriveva Varrone nel suo De Agricoltura che gli strumenti con cui si lavora la terra sono di tre categorie: strumenti parlanti, strumenti semiparlanti e strumenti muti. Gli schiavi erano gli strumenti parlanti. I secoli che seguirono videro fiorire l’agricoltura e la viticoltura di pari passo con il fiorire e il diffondersi del cristianesimo. Il fenomeno si protrarrà in tutta la regione per molti secoli ancora intorno ad abbazie e conventi. Alcuni documenti attestano una forte vitalità intorno alla viticoltura; è infatti nel 1170 che si registra una compravendita di terreni vitati (Rebula) in San Floriano del Collio fra la Badessa Irmilint d’Aquileia e alcuni agricoltori locali e ancora in un

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contratto di Robiola del 1299. Negli atti di un certo notaio Ermanno da Gemona (Notariorum Joppi), si legge la compravendita di terreni vitati, mentre nel 1340 in un documento in Barbana del Collio, registrato in Gorizia il 13 novembre dello stesso anno, accanto alla Ribolla si fa menzione di Malvasia, Terrano e Pignolo, vitigni dai quali già si ricavavano dei vini, presenti sempre e comunque, in cene, incontri, doni ed eventi anche nei periodi successivi. È bello “frugare” fra i documenti storici del nostro passato: in essi si scoprono i fatti e le disfatte di questa terra di confine. Curiosando tra le carte si scopre che nel 1632 fu Aurora Formentini, antenata degli


attuali Conti di S. Floriano del Collio, a portare in dote con patto relativo alle nozze del 2 febbraio 1632 avvenuto con il nobile ungherese Adam Batthyany “[...] vitti di Toccai… nel numero di 300”. Il patto è custodito gelosamente dai conti Michele e Filippo Formentini al Castello di S. Floriano e oltre ad essere toccato con mano da chi scrive è stato visionato e letto con attenzione a livello di Avvocatura della Regione dall’avvocato Enzo Bevilacqua, coraggioso paladino del bianco più amato dai friulani che al T.A.R. del Lazio ed ora anche alla Corte di giustizia dell’Unione europea in Lussemburgo cerca di difendere non solo il nome, ma il valore storico di un simile vitigno. Innumerevoli sono le citazioni e le fonti storiche a cui potrei far riferimento per illustrare la complessità della viticoltura friulana in questi secoli; certamente non posso dimenticare che risalgono al 1755 le prime citazioni del Picolit, che il conte Fabio Asquini di Fagagna, su insistenza epistolare dell’agronomo veneziano Antonio Zanon, diffuse commercialmente dieci anni dopo nelle mense più prestigiose d’Europa (famoso il racconto delle 100.000 bottiglie da un quarto di litro...) spiazzando lo stesso Tokaji ungherese che aveva raggiunto anch’esso una considerevole notorietà; annoto anche che nel 1869, grazie al conte Theodore de La Tour, arrivarono in Friuli, in dote per le nozze con la nobile Elvine Ritter de Zahoni, proprietaria di Villa Russiz in Capriva del Friuli, le prime viti di Pinot Grigio, Bianco, Nero e Sauvignon, nonché quel Merlot che il Pecile e il di Brazzà diffusero in tutto il Friuli dopo il 1880. Il resto è storia recente, fatta di continue distruzioni e ricostruzioni, a partire dall’arrivo di Peronospora e Oidio (1850-1860) e poi della Fillossera che dal 1888, dal Carso, iniziò la sua lenta e inesorabile distruzione dell’intero patrimonio vivaistico friulano. Fu lotta ardua quella contro la Fillossera, svolta soprattutto tramite gli sforzi di tanti vivaisti e ricercatori, che si concluse solo nel 1942. E la guerra 1915-1918 dove la mettiamo? Dopo le tristemente note 12 battaglie dell’Isonzo, dopo che la terra del Carso era divenuta rossa di sangue, dopo le battaglie nelle marne del Collio e nelle ghiaie dell’ Isontino, c’erano più bombe inesplose che lombrichi sotto terra. E anche il secondo conflitto strappò alle aziende validi contadini e vignaioli per mandarli “alpini”, chi in Grecia ed Albania, chi in Russia e chi

nei lager. Ma alla fine di ogni cosa veniva sempre ricostruito tutto quello che era stato distrutto. L’enologo Orfeo Salvador, dall’alto delle sue 54 vendemmie, mi ricorda che alla sua prima esperienza nella cooperazione vinicola friulana, appena tornato dalla guerra, si ritrovò in cantina a lavorare oltre l’80% di uve rosse, gran parte delle quali provenienti da ibridi produttori diretti. A cavallo degli anni ‘50 e ‘60 imperversavano i vini pugliesi e poi quelli siciliani, che soccorrevano un patrimonio viticolo locale tutto da ricostruire, mentre il tayut o il tay furlan era la conseguenza dei tagli che osti più o meno seri operavano dietro le quinte. Poi il primo vero “rinascimento enologico”, avvenuto a cavallo fra gli anni ’70 e ‘80 per mano di pionieri, che io definisco “con gli attributi”, tipo Vittorio Puiatti, Marcello Pillon, Italo Gottardo, Giuseppe (Franco) Ceschin, Orfeo Salvador, Mario Schiopetto, Livio e Marco Felluga, Gigi Valle, Girolamo Dorigo, Piero Pittaro, Gaspare Buscemi, Gianni Bignucolo e grazie alla volontà di un’amministrazione regionale che ritenne necessario e utile rilanciare la viticoltura soprattutto nelle zone collinari, riuscendo a frenare l’esodo dalle campagne all’industria (la legge 29 del 30/12/1967, fortemente voluta dall’allora Assessore all’Agricoltura Antonio Comelli, fu strumento importante e determinante). Fu il conte Douglas Attems a intuire, prima di altri, che il decreto 930/63 sulle DOC poteva dare una svolta al mondo del vino e fu grazie alla sua intuizione che nel 1964, primo in Friuli Venezia Giulia, nacque il Consorzio di Tutela del Collio, a cui seguì nel 1968 il primo disciplinare di produzione. Così, nel giro di qualche decennio siamo arrivati alla costituzione di altri otto Consorzi di tutela per altrettanti disciplinari di produzione che sono le DOC Grave, Colli Orientali del Friuli, Isonzo, Aquileia, Latisana, Annia e Carso per finire al Ramandolo, prima e unica DOCG del Friuli. Sono ancora molti i problemi esistenti e dalla prima esperienza maturata nelle colline goriziane ci sono voluti altri 40 anni per riunire i Consorzi in una casa comune: la Federdoc. L’Assoenologi regionale compie 30 anni: se negli anni ’50 i tecnici si contavano sulle dita di una mano, ora, grazie al buon lavoro della Sezione guidata da Stefano Trinco, sono quasi 250 e ognuno di essi si fa media-

mente carico della crescente qualità di oltre 5000 ettolitri di buon vino. Nel dopoguerra, nel pordenonese più che nelle altre province, le Cantine Sociali compensarono difficoltà, più di mercato che di coltivazione, di centinaia di piccoli contadini, che nella cooperazione ritrovarono dignità e benessere. Con Noè Bertolin alla presidenza ed Alvano Moreale alla direzione, la Cantina Casarsa & La Delizia è ambasciatrice di rilevanza mondiale. Numeri e qualità insieme, per farla breve. Ma non è da meno la Cantina Produttori di Cormòns, diretta dall’altoatesino Luigi Soini, paladino del Tocai friulano e del vino sposato all’arte, alla cultura, all’amicizia (il riferimento alla Vigna del Mondo e al Vino della Pace è atto dovuto...). La Friulvini, cantina sociale di 2° grado, soccorre commercialmente i più deboli. Poi, dopo guerre, calamità, invasioni, arrivò anche il terremoto del 6 maggio 1976... Dalle ceneri di tante cantine lesionate, soprattutto nell’alta area delle Grave e dei Colli orientali, emerse una nuova classe dirigente tra cui tanti giovani manager (o wine makers) del buon vino. Fu il Premio Nonino Risit d’Aur, nel 1976, che ricordò al mondo intero che il Friuli era terra di grandi distillati, ma ancor prima di grandi vitigni autoctoni, che furono legalizzati e rientrarono nelle vigne, di fatto e di diritto. Si deve, infatti, principalmente alla famiglia Nonino di Percoto se tutta una serie di grandi vitigni “storicamente friulani”, rottamati anzitempo, vennero uno dopo l’altro recuperati, valorizzati e “autorizzati e/o raccomandati” dalle varie amministrazioni pubbliche e quindi inseriti a pieno titolo nelle denominazioni di origine controllata. L’apripista del nuovo corso fu lo Schioppettino, che grazie alla famiglia Rapuzzi e all’azione prorompente dei Nonino - con mamma Giannola nei panni di Giovanna d’Arco, sempre sulle barricate a menar fendenti contro i veleni della burocrazia - passò quasi per incanto dalla clandestinità alla DOC Colli Orientali del Friuli, per divenire qualche anno dopo addirittura l’asse portante della prima “sottozona” (ovvero “cru”) riconosciuta per legge e cioè “Cialla”, comune di Prepotto, nella zona DOC medesima. Dalle stalle alle stelle!


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Nello stesso anno l’enologo Beppe Lipari, compendio di creatività siciliana e laboriosità veneta, pensò, prima di altri, di collocare una linea d’imbottigliamento su un camion ed iniziò un “porta a porta” destinato a cambiare radicalmente la vita a decine di piccoli e medi produttori. Nomi allora sconosciuti ai più ed ora, grazie ad una tecnologia ultramoderna, veri protagonisti del rinascimento del “post-terremoto”. Quei magnifici anni ’70! L’infaticabile Isi Benini, giornalista carismatico e passionale, fondatore della rivista Il Vino, contribuì non poco a far conoscere la bontà del vino friulano, che tanti produttori, più inclini al lavoro che all’esternazione, non erano in grado, singolarmente, di proporre e presentare. Benini si tuffò senza riserve in un mondo nuovo ed affascinante, cogliendo professionalità e serietà in una miriade di vignaioli sconosciuti che portò alla ribalta internazionale. Ma al contempo non trascurava di affibbiare qualche sana fustigata a quelli che lui definiva “i falsi osti”. La rivista Il Vino ospitò - fra le tante - memorabili note frizzanti e graffianti di Walter Filiputti, dottore in economia con tesi sui sommeliers e grande comunicatore. Anche Piero Pittaro non si negò a trasferire ne Il Vino le sue alte conoscenze di tecnica enologica, usando un linguaggio semplice ed apprezzato. Tre nomi che oltre al dire e al fare hanno oggi un grande e riconosciuto merito: quello di aver anche messo per iscritto proprio quelle cose che tanti altri pensavano e che però non avevano mai trasferito sulla carta stampata! E, d’un balzo, arriviamo ai tempi nostri. Con il cuore rivolto alle suggestioni del passato e alle “chicche” di archivio e di biblioteca ed il ragionamento indirizzato alle meno simpatiche leggi di mercato con le quali i viticoltori friulani, singoli o associati, si apprestano ad affrontare le sfide del terzo millennio. L’opera di Andrea Zanfi contribuisce non poco a far conoscere meglio taluni aspetti della vitivinicoltura friulana meno noti al grande pubblico e dà voce ai produttori già emersi o emergenti che hanno voglia di raccontare e fare qualcosa di nuovo, confermando scelte tradizionali, ma più spesso dedicandosi a qualcosa di innovativo ed originale.

Claudio Fabbro Agronomo e giornalista



Una perla chiamata Friuli

Vi assicuro che per me è sempre più entusiasmante continuare a trattare dell’Italia del vino e descrivere quella nutrita schiera di vignaioli che si raccontano, più o meno bene, dietro ad una bottiglia. Da cantastorie del terzo millennio, narro ancora una volta in prima persona di uomini e donne che ritengono il vino la “cosa più bella del mondo” e il modo migliore per comunicare a tutti la propria genialità e il proprio saper fare. È per questo che continuo a muovermi fra vigne e casolari, fra aziende vecchie e nuove, fra spiriti liberi e anarchici, fra imprenditori e contadini, alla ricerca della migliore produzione enologica nazionale cercando di rilevare le concause che hanno determinato e determinano il successo di quei “signori del tempo” che io chiamo tutti “vignaioli”, nella speranza di riuscire a carpire i loro segreti e le loro motivazioni, arrivando quasi sempre a scoprire che ci sono altre cose da scrivere che vanno ben oltre quel bicchiere di vino. Eccomi qui a raccontarvi di un altro viaggio e di un’altra regione, un’appassionante, difficile, complessa e travagliata avventura che in più di tre mesi mi ha condotto alla scoperta non solo di gran parte del comparto vitivinicolo del Friuli Venezia Giulia e delle stupende diversità enologiche che lo caratterizzano, ma mi ha consentito anche di visionare e constatare con mano quale sia lo spirito che anima questi vignaioli di confine e quale sia il segreto di un terroir che in modo così netto tende a qualificare e a rendere unici i vini di queste zone. Mi entusiasmava l’idea di confrontarmi con un’altra realtà vitivinicola e per chi, come me, è cresciuto con l’odore del mosto del Sangiovese nel naso, passare dai “prepotenti” profumi toscani alle delicate e sensuali fragranze dei vini bianchi friulani era una sfida piacevole e allettante alla quale non avrei mai voluto rinunciare. Mi incuriosivano quel “mandi”, quel “tajut” o quel “comandi” che avevo sentito ripetere un po’ in giro nelle mie sporadiche visite in quella regione. Sapevo che per un toscano non sarebbe stato facile avvicinarsi a quella cultura e sicuramente non avrei trovato, come in passato, i Bagli siciliani, né i Principi o i Baroni ad attendermi all’ingresso delle loro grandi aziende, né avrei visitato le storiche cantine che nei meandri dei castelli e delle rocche, sparse un po’ ovunque sulle colline Toscane, custodiscono le memorie storiche di annate irripetibili di vini, del

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tipo Brunello o Chianti, che hanno fatto la storia dell’enologia italiana. Dal mio peregrinare è scaturito questo libro che rappresenta un ulteriore capitolo della collana “I grandi vini d’Italia”. In ogni regione ho scovato una perla e nel Friuli la perla era contenuta in un’ostrica che ho pescato con molta difficoltà, essendo posta in un mare non molto profondo, che però è risultato pieno d’insidie, ostacoli, scetticismo e diffidenza. Un mare chiuso fra passato e futuro, poco navigabile e avverso alla novità che io potevo rappresentare; un mare che sembrava presentasse, in ogni momento, delle difficoltà da superare che all’inizio mi sono sembrate anche più grandi di quanto poi, in effetti, si sono dimostrate nel corso del viaggio. È in quel mare di vigneti, perfettamente allineati sugli argini delle strade quasi a delimitarne il percorso, che ho cercato di aprire il guscio duro di quell’ostrica con cui mi raffiguravo il “Vigneto Friuli”. Un vigneto estremamente interessante e stimolante che, in modo schivo e riservato, si poneva al cospetto di un curioso come me quasi in modo provocatorio. Intuivo la possibilità di arrivare subito alla sua anima e alla perla che esso conteneva, ma invece, ogni volta che tentavo di espugnarlo si chiudeva respingendomi, arroccandosi orgogliosamente a protezione e a tutela della sua storia che a me era ancora sconosciuta. Un giorno mi sembrava che tutto andasse bene, avendo avuto la sensazione di essere riuscito finalmente a comprendere il pensiero e l’anima di quei vignaioli friulani e ad intuire fra quei filari quale fosse il loro futuro. Il giorno successivo invece le mie domande rimbalzavano e non trovavano risposte. Sentivo che nel dialogare le porte rimanevano socchiuse e anche gli animi mi sembravano troppo chiusi, e tutto contribuiva perciò a fornirmi una chiave di lettura distorta di quel mondo vitivinicolo che invece intuivo avesse altre cose da raccontarmi oltre a quelle secche e veloci risposte orientate a dare spiegazioni solo sul lavoro e su tutto ciò che riguardava il quotidiano e il concreto. Quelle difficoltà iniziali mi demoralizzavano e rammento che di questo ne parlavo con il mio compagno di viaggio, Giò Martorana, il mio amico fotografo, al quale confidavo, nonostante fossi un tipo risoluto e testardo, le mie perplessità sul prosieguo di questo viaggio che ogni giorno di più si dimostrava un banco di prova per una crescita professionale senza precedenti. Indubbiamente mi sfuggiva qualcosa di quelle terre e di quei vignaioli. Nonostante i miei sforzi non riusci-


vo a capire quale fosse il meccanismo che avrei dovuto escogitare per instaurare un rapporto costruttivo con quella Regione. Il mio cruccio stava proprio nella percezione netta e precisa che la colpa era da ricercare nel mio approccio “prepotente” o sbagliato verso quell’ambiente. Spesso mi domandavo quale potesse essere il passepartout che mi avrebbe consentito di coniugare la gentilezza e la sobrietà di quei vini con un territorio che mi sembrava così ermetico e duro. Con quale lente avrei potuto leggere l’anima di quei vignaioli che all’apparenza mi risultavano così diversi dai loro vini? Tutto era molto più semplice di quanto pensassi, ma all’inizio non avevo molti strumenti o informazioni che mi aiutassero a comprendere. Nella valigia, quando sono partito, avevo con me gli appunti sugli oltre 300 vini che avevo degustato nel corso dei mesi pre-

cedenti e l’elenco dei vitigni presenti sul territorio, oltre alla mappatura delle numerose DOC che avrei incrociato nei miei spostamenti. Ricordo che insieme ad una cartina topografica e ad alcune indicazioni fornitemi da un amico che conosceva quelle terre, avevo sempre con me la curiosità che mi contraddistingue e la voglia di conoscere e scoprire tutto e tutti. A farmi compagnia, oltre ad un grande spirito di adattabilità, c’era il piacevole ricordo di quei quattro o cinque volti di produttori friulani incontrati in giro per l’Italia e le percezioni avvertite nella loro stretta di mano quando, salutandoli, ci eravamo lasciati con un cordiale e generico “ci vediamo presto in Friuli!”. Prima di partire mi ero documentato e avevo approfondito la storia di queste terre che nei secoli avevano visto passare un’infinità di uomini e di soldati e, molto più spesso di quanto si possa pensare, avevano avuto continue modifiche dei confini. Eventi, imperi e signorie che avevano reso i friulani “sudditi” di tutti, dalla Serenissima all’Impero Austriaco, dai Francesi agli Italiani e dagli Jugoslavi nuovamente agli Italiani: vestiti con una divisa, dopo la guerra capitava che tornassero a casa addirittura sotto un altro esercito. Sapevo che quella gente ne aveva conosciuti di momenti difficili e che sulla loro pelle erano state scritte le pagine più tristi delle ultime due guerre mondiali. Sapevo che quelle erano state per tanti anni terre di confine, di contrapposizione, terre poste al margine, lontane dallo scacchiere dove si giocavano partite politiche più importanti; terre di un muro contro muro, di silenzi e di verità mai dette, oltre che terre di emigranti che, armati della pazienza dei forti, ogni volta che tornavano a casa avevano la volontà e l’orgoglio di ricostruire ciò che era stato distrutto. Ignoravo quale fosse il valore politico di tutto questo e non avrei potuto comprendere il peso sociale che aveva acquisito nel tempo ogni singolo evento senza una disamina accurata effettuata sul posto. Certamente tutto poteva aver contribuito a modificare le usanze e le tradizioni dei friulani, costruendo nuove abitudini e nuovi bisogni; tutto poteva aver inciso nella cultura di questa gente, ma il “quanto” lo ignoravo completamente. Del resto dovevo parlare di vino, e lassù ero sicuro che si parlasse di grandi vini. Mentre facevo questa “grossolana” disamina quasi dimenticavo che ogni cosa intorno al mondo vitivinicolo dipende da quegli uomini che io da sempre mi riprometto di raccontare in questi miei libri.

Certamente avrei dovuto tenere un po’ più di conto di quelle mie riflessioni fatte prima di partire, intuendo che in un giornaliero confronto fra me e quei vignaioli friulani sarebbe scaturita, anche in maniera violenta, una netta diversità di linguaggio, dettata dalle diverse esperienze, storie e tradizioni che creano meravigliose differenze fra gli uomini. Oggi che ho temporaneamente smesso di contemplare la perla del “Vigneto Friuli” rimango piacevolmente perplesso davanti all’infinità di emozioni che quel territorio mi ha trasmesso. L’avventura friulana è stata per me una grande e felice esperienza formativa che sono contento di aver portato a termine. Mi gratifica aver avuto l’occasione di conoscere profondamente questa terra con le sue montagne, le valli e il mare di cui si percepisce il profumo in ogni dove, così come sono entusiasta di aver potuto ascoltare tanti dialetti e stringere amicizie con persone appartenenti a diverse etnìe. Sicuramente un mondo vitivinicolo unico, diverso da quello nel quale mi ero mosso fino a poco tempo fa e poco raffrontabile con il resto d’Italia. Un Friuli che ho imparato lentamente a conoscere e che ha saputo ripagare la mia curiosità, facendomi comprendere come tutto qui sia impastato con il lavoro, il sacrificio, il valore della famiglia e le semplici e genuine amicizie, cementate davanti ad un bicchiere di vino. Giorno dopo giorno è stato come assistere in diretta all’apertura di uno scrigno che si è rivelato ricco di gemme e pietre preziose. Del resto non credo sia rilevante il fatto che io abbia identificato queste terre con il solo e più generico nome di “Friuli”, e di questo non me ne vogliano i Goriziani o gli Istriani, poiché la cosa non è da inquadrarsi come una scelta di “campanile”, ma più semplicemente è da riferirsi a quelle reminescenze scolastiche che mi hanno fatto identificare, da sempre, in quella sola parola questi luoghi di confine. Ma cosa ho trovato sul Collio, sul Carso e nelle altre terre friulane? Cosa posso aver mai dedotto attraversando questi territori? E quali sono le mie personali deduzioni sulle future prospettive del “Vigneto Friuli”? Sicuramente in questo viaggio ho trovato le risposte alle mie domande, ma è solo leggendo ad uno ad uno i racconti che personalmente ho fatto di questi vignaioli friulani che anche voi le potrete percepire. Mentre, se vorrete approfondire la conoscenza enologica di questa regione, vi consiglio di iniziare dalla selezione delle etichette che troverete nel volume, in


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modo che anche voi possiate confermare il valore di questi grandi vini italiani. Vini “belli”, equilibrati, alcuni dei quali realizzati con vitigni “autoctoni” straordinari e in possesso di caratteristiche peculiari uniche che li rendono non omologabili, come ad esempio il Refosco, lo Schioppettino, il Pignolo, il Tocai Friulano, la Ribolla Gialla e il Picolit; a questi vini, ricchi di una forte tipicità e di una grande personalità, caratteristiche divenute ormai rare nel panorama nazionale e internazionale, se ne aggiungono altri realizzati con i vitigni “universali” che su queste terre riescono a dare grandi risultati. Nel mio girovagare di questi mesi ho notato la grande trasformazione che è in atto nell’intero comparto enologico nazionale, anche se devo dire che qui in Friuli, più che da altre parti, il fenomeno ha assunto il valore di una vera e propria metamorfosi epocale che, per quello che mi è stato possibile intravedere, ha coinvolto ogni anello della filiera produttiva e del tessuto sociale. Un vero e proprio “rinascimento” che via via ha modificato il rapporto dei friulani con l’elemento vino, dirottandoli dalla damigiana alla bottiglia e dalla “Frasca” alle enoteche. In tutto questo indubbiamente ha influito il cambio generazionale avvenuto alla guida di molte piccole e grandi aziende che ho visitato. Aziende vitivinicole dinamiche, vive, ricche di una grande energia e di una forte linfa operativa che sono state in grado di qualificare il territorio attraverso la qualità intrinseca del prodotto stesso. Aziende interessanti che, a prescindere dal numero delle bottiglie prodotte, ho ritenuto utile inserire in questo libro, non per fare tanti caballeros, ma perché credo che siano la fotografia del movimento enologico dell’intera regione, nella speranza che questo mio lavoro possa in qualche modo contribuire a far conoscere meglio queste realtà enologiche, anche se molte di queste aziende sono già capaci di imporsi con i loro vini all’attenzione dei mercati nazionali ed esteri. Ora che tutto è finito e che ogni cosa è stata esaminata e scritta non vorrei che qualcuno pensasse che l’impegno di selezionare i vini sia stato semplice. Vi posso assicurare che non è stato così, ma non tanto per quelle difficoltà a cui facevo riferimento nella prima parte di questa mia introduzione, ma soprattutto per via della grandissima offerta produttiva che è in grado di proporre una regione come il Friuli Venezia Giulia.

Con un’area vitivinicola complessivamente poco più grande del Chianti, il Friuli ha un’offerta variegata di vini che solo in parte sono inseriti all’interno della DOCG e delle nove DOC presenti sul territorio regionale. All’interno di queste denominazioni si trovano circa una ventina di tipologie di vitigni diversi, i quali danno origine ad altrettanti vini, a cui vanno aggiunti gli IGT, i novelli, i vini da tavola e i vini frizzanti, gli spumanti, i vini giovani, quelli invecchiati, barricati o anforati. Un’offerta nella quale ho dovuto frugare accuratamente per non cadere nel banale e riuscire contemporaneamente ad avere un quadro chiaro dell’intera gamma produttiva. Durante questo lavoro mi chiedevo quale fosse l’identità del vino friulano. In un mercato globale dove si giocano le posizioni e le identità dei vini attraverso un più ampio “sistema nazione”, quale ruolo possono avere le macro e le micro identità produttive territoriali? Queste mie personali riflessioni e considerazioni non devono far pensare a un monito verso questa grande effervescenza produttiva che personalmente mi entusiasma, ma devono servire semplicemente da stimolo per indurre ad un’attenta riflessione chi è chiamato a prendere decisioni importanti sul futuro del “Vigneto Friuli”, al fine di delineare le strategie più idonee ai tempi che cambiano. Pertanto ritengo inopportuno criticare i contenuti di quelle scelte che hanno indotto a stilare, in un passato recente, una così lunga lista di Denominazioni di Origine Controllata che hanno avuto il merito di saper valorizzare molti vitigni e stimolare molte aree vitivinicole della Regione. Non ho fatto critiche, ma in questo viaggio, come del resto in quelli precedenti, mi sono avvalso del diritto di tralasciare tutto quello che non poteva essere identificato con la qualità enologica di un territorio, ammettendo, con mio rammarico, di non aver avuto modo di conoscere tutte le realtà produttive, ma avendo pensato bene, con mia gioia, di non menzionare i mediocri, i maleducati e quelli troppo furbi verso i quali ho sempre meno tolleranza. Sono contento del risultato ottenuto, che è solo il sunto di un lavoro serio e scrupoloso da me iniziato quasi un anno fa e che mi ha condotto sul territorio friulano facendomi di fatto apprezzare oltre ai 118 vini selezionati, anche le 66 aziende produttrici scelte fra ciò che il “Vigneto Friuli” offre di meglio oggi.

Andrea Zanfi





LA PAROLA AGLI ENOLOGI Il futuro del vigneto Friuli. Opportunità e incertezze C’è sempre del pessimismo nei contadini, che producano uva o angurie. Se poi è agosto e si è prossimi alla raccolta, ancor di più. Bastano quelle nubi che intravedo dalla finestra per pensare: “speriamo che stanotte non grandini”. Ma non è fatalismo, è piuttosto coscienza delle difficoltà e della forza della natura che mai però impedisce a chi fa questo mestiere di operare con scrupolo cercando di ottenere il massimo nel produrre le uve e nel trasformarle. Conosco i miei colleghi corregionali, conosco la passione con cui operano nelle loro aziende e so che si accorgono come me delle difficoltà che ci sono all’orizzonte e sanno che affronteremo probabilmente periodi difficili. Il vino nell’ultimo decennio è diventato un grosso business. Sono stati piantati vigneti in tutte le regioni italiane e in molte aree del mondo e la concorrenza diventerà sempre più agguerrita. La viticoltura e l’enologia friulana però non nascono dal niente, hanno una storia e sono fortemente radicate nella cultura di questo territorio e questo valore, comune a tutti i viticoltori, è sicuramente spendibile. Siamo tutti convinti che se la vite ci dà l’uva, solo il territorio può rendere unico il vino che se ne trae. Tutte ovvietà! La parte difficile viene adesso, nel saper creare le sinergie tra produttori, amministratori e istituzioni che sappiano valorizzare questo territorio rendendolo in qualche modo più “simpatico” di quanto non sia adesso. I produttori, oltre a sforzarsi nella ricerca della qualità, dovrebbero sicuramente rinunciare a quello storico individualismo che li ha sempre contraddistinti e oltre a “sostenere” la loro azienda dovrebbero cercare di promuovere di più il territorio; al tempo stesso gli amministratori e le istituzioni dovrebbero sforzarsi (e sarebbe già tanto) di non distruggere questo territorio e imparare a promuoverlo molto di più. Facile, no?

Giorgio Badin

Il futuro del “Vigneto Friuli” lo vedo incerto, finché prevarranno scelte e logiche non legate ad una programmazione seria e coordinata che sappia tener conto della tradizione e della vocazione del territorio. In giro c’è una sorta di anarchia produttiva; domina l’individualismo “spinto” degli addetti ai lavori, condizionati più dalle mode e dalle esigenze del mercato che non dalle potenzialità e specificità produttive che questa Regione può dare. Non è possibile continuare a portare avanti una miriade di denominazioni (9 Doc, 1 Docg, 2 Sottozone, 3 Igt) per una miriade di vitigni e per una “babele” di tipologie che rendono problematica la stessa identità del vino friulano. Opportunità: consolidare ed esaltare la tipologia dei vini bianchi, per i quali siamo famosi, sotto il Marchio unico “Friuli” senza ricorrere a tutte le distinzioni attualmente adoperate. Unica e doverosa distinzione potrebbe essere quella tra Pianura e Collina. Incertezze: oltre alle già famose questioni del Tocai (da definire entro il 2007) e a quella del Collio (da tutelare nei confronti della Slovenia) ci sono i dubbi di un mercato globale dove i vitigni, dei quali con i Vivai di Rauscedo siamo i massimi produttori mondiali, possono essere coltivati ovunque.

Giovanni Bignucolo

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Opportunità… Oggi la sete del mercato internazionale per vini “dal gusto omologato” sembra abbia raggiunto il punto di saturazione. In questa atmosfera di esplorazione e di apertura mentale, il Friuli ha la grande opportunità di presentarsi sul mercato con forti elementi di novità e qualità grazie ai vitigni autoctoni che presentano aromi e fragranze specifici. I produttori friulani devono costruire e forse stanno costruendo il loro futuro su una grande e antica eredità. Dobbiamo valorizzare i vitigni propri della tradizione che rappresentano il patrimonio della cultura locale. Si possono fare grandi vini partendo dai vini di casa propria, quelli che a buon diritto la storia ampelografica ha fatto entrare nella tradizione. Ad esempio il Refosco dal Peduncolo Rosso può dare prodotti paragonabili ad altri grandi rossi nazionali. È un vitigno selvatico, difficile da gestire in campagna, ma che dà un vino versatile in quanto ottimo da bere giovane, ma anche adatto ad affinamenti lunghi con evoluzioni di grande interesse. Non dobbiamo tuttavia scordare che accanto agli autoctoni vi sono anche i vitigni internazionali che fanno parte della nostra tradizione. L’importante è conoscere i limiti del terreno e saper trasmettere come ciascun terreno può imprimere le sue caratteristiche al vino. Le sensazioni che si possono avver-


tire degustando uno Chardonnay friulano sono sicuramente diverse da quelle di uno Chardonnay californiano piuttosto che australiano. Il successo nel futuro di noi produttori friulani dipenderà dalla nostra abilità nel rendere i nostri vini sinonimi di unicità e tipicità. In aggiunta a ciò, sarà determinante la capacità nell’identificare l’immagine dei vini con i valori culturali locali. Legare la propria immagine alle “tradizioni culturali friulane” determinerà un vantaggio competitivo sul mercato per le aziende friulane che operano in un contesto globale. Credo che nulla sia più interessante ed appropriato che concepire il vino in forma di piacere, cogliendo il suo significato nell’ambito della cultura del suo territorio. C’è sempre un legame tra prodotto, ambiente e vicende umane. La natura è dalla nostra parte… a noi la sfida… Incertezze… L’importante è saper vincere il particolarismo che spesso ha contraddistinto la nostra regione, magari attraverso la riunione in una unica Doc Friuli, che rappresenta sicuramente una delle opportunità su cui lavorare ed investire. Ad oggi purtroppo manca un’azione seria e condotta sotto l’insegna dell’unione, in grado di trasmettere, in modo efficace, la ricchezza del nostro patrimonio enoico e culturale. La nostra regione, seppur ricca di diverse tipologie di terreni e microclimi, è molto piccola e a volte sconosciuta nel mondo. Presentarsi con un unico cappello ci darebbe più forza per far conoscere i nostri vini e la nostra cultura.

Antonio Brisotto

Il pensiero che da diversi anni coltivo e che assume sempre maggior forza è quello di un “vigneto Friuli” concentrato su poche varietà che lo identifichino e diano la possibilità di competere sul mercato mondiale per immagine e peculiarità del prodotto. Vitigni autoctoni, unici, inimitabili, di territorio, coltivati rispettando le zone e le esposizioni vocate, senza tentare di internazionalizzarli, ma tenendo in considerazione l’evoluzione del gusto del consumatore; vini moderni che appartengono alla tradizione. Devono parlare Friulano.

Amo questo territorio e credo tantissimo nella sua grande peculiarità dal punto di vista viticolo ed enologico. Qui storia, cultura e tradizione si fondono con il microclima e con le diverse tipologie della terra. Ma c’è un aspetto che lo rende ancora più interessante: la grande sensibilità e l’amore dei molti produttori che lo vivono quotidianamente rispettandolo e cercando di interpretarlo al meglio. Questo importante patrimonio donatoci dalla natura e sostenuto da una grande passione è l’elemento base che ci ha consentito di farci conoscere ed apprezzare per la qualità e l’unicità dei nostri vini. Molto è stato fatto negli ultimi trent’anni nel rinnovo dei nostri vigneti, nell’adeguamento delle nostre cantine, nella ricerca e nella sperimentazione scientifica. Se non pensiamo però al vino solo come ad una bevanda, dove fattori come la tecnologia di produzione e la varietà dei vitigni da cui prende origine ne determinano indubbiamente il livello di qualità, ci rendiamo conto di dover riconoscere che l’unico elemento che lo può rendere diverso e originale è il territorio. Questo per me è la base della nostra forza ed è stata e sarà sicuramente la nostra grande opportunità. C’è un aspetto però che in questo particolare momento storico, caratterizzato da un mondo che corre molto veloce, dalla globalizzazione delle economie e dei modi di vivere, mette a nudo una nostra forma di fragilità: non riusciamo ad essere uniti nei progetti o nelle strategie importanti, non riusciamo a fare sistema. La nostra è una terra di tanti piccoli produttori, ognuno con le proprie idee e le proprie convinzioni. E se da un lato questo è sicuramente un grande patrimonio e una risorsa da gestire, dall’altro crea non pochi problemi nelle scelte dei programmi e delle vie da seguire per il miglior futuro della nostra regione. Come spesso accade, l’uomo si rivela essere l’elemento chiave per raggiungere gli obbiettivi più importanti. Ecco allora la speranza nel rinnovo generazionale, dove la visione più aperta allo scambio di idee e una mentalità più disponibile al confronto dei nuovi giovani produttori possa prevalere e cambiare il modo di pensare, un po’ troppo individuale e spesso campanilista che in questo momento purtroppo prevale e che rischia di farci perdere il treno per la competizione più importante che si terrà nei prossimi anni con il resto del mondo del vino.

La mia esperienza del Vigneto Friuli in questi anni deriva dal lavoro svolto in Volpe Pasini, ed è proprio pensando allo sviluppo di questa azienda che ritengo che le opportunità maggiori del Friuli vadano ricercate nel potenziamento dei grandi autoctoni (per esempio Tocai e Refosco), senza dimenticare, comunque, quegli incredibili “figli adottivi”, quali Merlot e Pinot Grigio che in questo territorio sono da sempre il vino dei friulani e da loro considerati non alloctoni. Sicuramente questa è una terra di grandi bianchi, ma anche terra di rossi potenti, raffinati ed eleganti. Le incertezze, invece, che sicuramente i produttori friulani sapranno superare, le trovo nella comunicazione incisiva e unitaria che questa piccola grande Regione dovrà saper dare per una sua definitiva identificazione.

Fabio Coser

Franco Dalla Rosa

Riccardo Cotarella

La regione del Friuli Venezia Giulia è considerata da un punto di vista qualitativo una delle migliori zone in Italia per quanto riguarda la produzione di vino. Questa considerazione fa ben sperare sul futuro, nel senso che terreno, clima, vitigni, microzone, ecc., ci sono e danno garanzia di buona continuità. La vicinanza ai mercati europei, la risolutezza e la caparbietà dei vignaioli friulani fanno guardare al futuro con ottimismo. Però, molti altri paesi europei e non si sono attivati nel settore vitivinicolo con ottimi risultati sia tecnologici, sia qualitativi, con costi di produzione nettamente inferiori. Il vigneto Friuli dovrà, quindi, trovare una risposta adeguata a questa concorrenza mondiale puntando sulla qualità “globale” intesa sia come qualità del prodotto vino (identità, origine, piacevolezza, durata, salubrità, ecc.), sia come espressione di bellezza del territorio, dei luoghi, delle tradizioni, della storia, della qualità, della vita. Fondamentale sarà anche il contributo della ricerca e della sperimentazione per il costante aggiornamento tecnico-produttivo. Ci dovrà essere un’azione continua e costante di promozione dei vini e del territorio contemporaneamente ad un’azione politica di “gestione” ambientale sia sotto un profilo produttivo che urbanistico.

Giulio Ceschin


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Sicuramente per il futuro ci aspetta una grande sfida: mantenere la nostra identità di territorio nel contesto mondiale di globalizzazione.

Mauro Drius

Opportunità 1. Il Friuli offre un terroir autenticamente vocato alla produzione di uve da vino a bacca bianca: probabilmente il migliore d’Italia. 2. Ciò non impedisce che anche alcuni vitigni a bacca rossa, primo fra tutti il Refosco dal peduncolo rosso, abbiano trovato nel territorio friulano la loro zona di elezione, quella in cui si esprimono al meglio. 3. Poiché tuttavia il destino del vigneto Friuli è legato al vino bianco, è positivo che si avvertano i sintomi di un ritorno d’interesse dei consumatori verso di esso. Ma attenzione: è un interesse più selettivo che in passato, rivolto a vini di buon livello qualitativo. 4. Con l’impianto di nuovi vigneti ispirati a criteri qualitativi, con una migliore gestione della parete fogliare e con tecniche colturali più avanzate, si ottengono oggi uve sane e ben mature. E con questa materia prima i vini diventano sempre più spesso equilibrati ed armonici, perdono quel carattere vegetale che li segnava troppo spesso in passato ed esprimono un carattere fresco e fruttato estremamente piacevole che dura nel tempo. Sono vini moderni, degni di un consumatore di alto e medio profilo. Incertezze 1. I costi richiesti dalla conduzione manuale dei vigneti, imposta dalle dimensioni aziendali, quasi sempre limitate, sono molto elevati. 2. Hanno un’incidenza maggiore che altrove le annate con sfavorevole andamento climatico. 3. La notevole riduzione delle rese per ettaro, imposta dalla svolta qualitativa, ha fatto lievitare i costi.

Franco Giacosa


Il Futuro del Vigneto Friuli, Piemonte, Toscana, Veneto, Sicilia… è legato al Futuro della Terra! Non esisteranno opportunità “reali” fino a quando l’uomo non prenderà coscienza delle continue violenze, che ogni giorno sono perpetrate alla Terra…

Josko Gravner contadino

La volpe e l’uva Scrivere del proprio lavoro, mandare i propri pensieri in giro liberi e poi chiamarli a raccolta per tentare di avere idee non affannate sul futuro è difficile; anche il solo pensiero di farlo mette un po’ d’ansia, ma non vedo nessuna ragione per rimandare o per glissare, facendo spallucce o rintanandomi nel comodo grembo della quotidianità. In questi ultimi anni, se il Vigneto Friuli ha dimostrato di saper crescere, tanto e anche bene, lo si deve alla capacità, “imparata”, di proiettare nel futuro il proprio lavoro. E i risultati si sono visti. Molto però è stato frutto della necessità, praticamente un obbligo, altrimenti si veniva tagliati fuori. La scena che si sta presentando ora è diversa, molto diversa; per molti si è creata una situazione che induce alla pigrizia, all’ozio molle e soddisfatto, e non mancano i motivi, ma si sa fin troppo bene che quando le cose vanno discretamente o anche bene, o anche ottimamente, è senz’altro il momento di pensare che forse domani potrebbe di nuovo cambiare tutto, e non necessariamente in meglio. Fino ad ora abbiamo “copiato”. Non è affatto un male se lo si fa bene, anzi...; abbiamo rubacchiato conoscenze altrove, applicandole con astuzia al nostro sapere fare, e spesso con ottimi risultati. Secondo me però la pacchia sta per finire e dobbiamo, o meglio, siamo obbligati di nuovo a spingere sull’acceleratore della crescita puntando su argomenti che fino a questo momento la nostra categoria ha trascurato, forse per eccesso di autostima. Oggi le nostre aziende agricole non sono più neanche imparentate con quelle che erano 10 o 15 anni fa. Ed è inutile stare a fare qui l’elenco dei cambiamenti avvenuti. Conviene piuttosto cercare di mettere giù la lista dei cambiamenti, quelli necessari, quelli possibili e quelli auspicabili che inevitabilmente prenderanno corpo a partire da domani stesso. Quelli necessari è presto detto: aumentare decisa-

mente la qualità e la diffusione di una moderna cultura aziendale, con tutte le conseguenze immaginabili, dai registri contabili alle relazioni commerciali. Quelli probabili sono molti, ma un cambiamento su tutti deve essere al centro della nostra attenzione, e in modo diretto e trasparente: il miglioramento delle relazioni infra-aziendali e con il mondo esterno, perché cambierà molto in questo settore e se non stiamo attenti saranno cambiamenti imposti. Quelli auspicabili riguardano la sfera intima, quella del cuore dell’azienda che produce vino di qualità. Il vino si sta sempre più diffondendo come prodotto culturale, che trascina altri consumi di questa natura; in questo settore dobbiamo umilmente tornare a scuola e non aver paura ad aprire il portafoglio: si tratta di fare un salto di qualità culturale in senso assoluto, dobbiamo guardare al mondo della cultura e dell’arte e diventarne interlocutori, anche privilegiati, se occorre; non bastano rapporti superficiali o sponsorizzazioni. Serve un progetto di rapporto organico, di ampio respiro. Dobbiamo pensare “grande”, non “alla grande”. Altrimenti poi faremo come la volpe della favola, dovremmo cioè inventarci una scusa “furba” per nascondere il fatto che non siamo stati capaci di cogliere quell’uva lassù in alto.

Jacùss

Non voglio pronunciarmi sul vigneto Friuli. Posso azzardare qualche osservazione intorno al Collio che conosco per averci lavorato. Ragionamenti che possono essere traslati alla contigua zona della provincia di Udine, i Colli Orientali del Friuli. Non certo al Carso, una realtà, che come ci insegnano i libri di scuola, è geologicamente unica, né alla pianura, un altro mondo. Dalle tante migliaia di analisi, appunti di degustazione, osservazioni e impressioni da me annotate in modo organico e sistematico negli ultimi 15 anni a margine delle uve e dei vini ottenuti dai tre poderi che coltivo, me la sento di affermare che la nozione di terroir qui è forte, potenzialmente molto forte, anche se all’esterno forse non appare. I vitigni che coltivo subiscono una forte influenza dall’ambiente ove vengono collocati. Il primo imperativo per ogni vignaiolo è di fare vino buono. Il secondo, particolarmente importante in questo mondo globalizzato, di farlo unico e riconoscibile per la vigna da cui proviene. Credo che qui ci siamo, anche se per ora ciò che appare è solo la punta dell’iceberg. E la strada da fare è grande per chi volesse percorrerla. Inoltre dal Collio si possono ottenere i vini bianchi più adatti al “mangiare” mediterraneo, ricco di pasta, pesce e aromi freschi. I bravi cuochi italiani hanno saputo portare quella cucina in tutto il mondo dandole grande dignità, a fianco di quella



francese e giapponese. Con il vantaggio che la nostra ha più probabilità di migrare dai ristoranti alle case per la sua semplicità di realizzazione. E il cibo, si sa, ha bisogno di vino. Se le opportunità sono certamente locali, le incertezze sono piuttosto nazionali. Terroir è quella bella parola francese che definisce il frutto del rapporto fra vite, ambiente e uomo che si ritrova nel vino. Chi afferma che il vino è naturale dice di certo una bugia. Naturale è forse l’uva, tuttavia non quella che noi utilizziamo per fare vino buono, altra, diversa, quella non selezionata nei millenni dall’uomo. Certamente non è naturale il trasformare l’uva in vino: in natura l’uva marcisce e basta. Piuttosto il vino è una meravigliosa sintesi fra uomo e natura: lo sforzo millenario dell’uomo di assecondare quest’ultima senza violentarla. Ecco dove sta l’incertezza, è nel terzo elemento del terroir. Il nostro Paese ha smarrito il metodo buono per produrre uomini giusti per la causa. La fabbrica, quella antica, quella dei mestieri, è stata chiusa. Per chi volesse capire perché quella nuova non produce granché, meglio chiederlo a chi è esperto di scuola e non di vigna. Per chi proprio nutrisse l’insolita curiosità raccomando la lettura de La scuola raccontata al mio cane di Paola Mastrocola. Fra tutte le incertezze, che sono tante per chi fa vino in Italia, questa è forse la madre di tutte.

Nicola Manferrari

Il futuro non è una pagina già scritta, ma una pagina bianca che aspetta semplicemente di essere riempita. Sarà nostra cura riempirla di entusiasmo, creatività, ottimismo e un po’ di magia.

Mauro Mauri

Una delle cose che è capitata in questi anni in Friuli è sicuramente la presa di coscienza di chi siamo e delle potenzialità attuali e future di questa nostra grande terra. Con i piedi per terra e con la caparbietà che credo ci contraddistingue, pensiamo di essere sulla strada giusta; persone e vini che si evolvono in simbiosi e si propongono con un profondo marchio territoriale ad un mercato sempre più internazionale. Abbiamo una grande fortuna che è appunto il nostro

territorio, dove il vino riesce a trovare un equilibrio straordinario tra olfatto e gusto, dove le sensazioni di freschezza si coniugano con quelle di grande struttura. È tutto qui! Se saremo capaci di continuare così potremo solo migliorare la nostra immagine che, se in Italia ha trovato una giusta leadership, nel mondo richiede ancora parecchia comunicazione. Però io ci credo!

Spero di aver regalato delle emozioni attraverso il mio vino, le mie lacrime di commozione, i miei rari sorrisi, ma soprattutto di averci messo il mio cuore. Penso che nel prossimo futuro ci sarà poco spazio per i sentimenti e la poesia, perché anche in questo mondo i colori stanno sbiadendo e stanno prendendo il sopravvento le logiche del mercato e dell’immagine.

Romeo Rossi

Gianni Menotti

Parlare di Friuli non mi sembra che sia molto diverso che parlare di Italia; la peculiarità del nostro paese è la grande diversificazione di territori e di varietà ed in questo il vigneto Friulano ne è sicuramente un esempio. La situazione attuale di mercato mi pare che abbia dimostrato che lavorare sul tanto decantato “gusto internazionale” stia segnando il passo a favore di produzioni di grande personalità e riconoscibilità. Le opportunità le vedo sullo sviluppo di prodotti molto centrati sui vitigni che più di altri danno la possibilità di fare vini di carattere, con caratteristiche non facilmente riproducibili in altri territori e penso al Tocai, al Pinot Grigio ed alla Ribolla, per i bianchi, che senza dubbio in queste terre danno prodotti di grande interesse e riconoscibilità. Per i rossi mi piacciono molto le produzioni ancora troppo poco sviluppate di Pignolo e Refosco che uniscono grande concentrazione con uno straordinario legame con il territorio. Per fare tutto questo la strada che dovrebbe percorrere questa regione è quella della ricerca seria e profonda sulle caratteristiche dei vari microclimi, sulla selezione clonale delle varietà tipiche e sulle varie tecniche di vinificazione ed affinamento che vengono usate. Purtroppo qui, come del resto in Italia in generale, la ricerca non è al primo posto nei programmi delle istituzioni e dei produttori, ma dovremo tutti renderci conto che senza di essa la nostra conoscenza sarà sempre poco approfondita e si avvarrà sempre di esperienze fatte in altre aree del mondo che non sempre sono importabili. Per finire spero che questa ricerca di personalità e riconoscibilità non si spinga eccessivamente verso l’empirismo; io sono convinto che un vino per prima cosa debba essere pulito, integro e privo di difetti evidenti.

Attilio Pagli

Il Friuli da sempre vede il suo nome legato alla produzione del vino. Già prima della conquista romana qui si producevano e si esportavano vini verso l'Europa centro-settentrionale. In particolare le sue zone collinari (Colli Orientali e Collio) presentano una situazione pedologica e climatica uniche in Europa: qui troviamo marne eoceniche in un punto di contatto tra il clima centro-europeo e quello più tipicamente mediterraneo. Sulla stretta fascia di colline che guardano il mare Adriatico i microclimi sono particolarmente miti al punto tale da favorire una cenosi vegetale con elementi spiccatamente mediterranei. La vite in questo contesto permette di ottenere dei vini che esprimono le caratteristiche del territorio in cui cresce unendo in modo straordinario freschezza ed eleganza tipici del Nord e struttura e opulenza caratteristici del Sud. Il Friuli, come tutte le più importanti zone viticole del mondo (vedi la Borgogna) è una zona estrema. Necessità è stata quella di sviluppare una viticoltura molto rigorosa, la più attenta d’Italia, al fine di ottenere perfette maturazioni. Si sta assistendo da alcuni anni ad un cambiamento del clima verso situazioni più calde con un netto vantaggio per il vigneto Friuli che parte già avvantaggiato grazie alla cura ed al rigore agronomico che lo ha contraddistinto da sempre. Le varietà autoctone sono giunte in questa terra attraverso due vie principali: una latina a sèguito della conquista romana attorno al I secolo a.C. e quindi risalendo la Penisola Italica e la seconda (che riguarda i due terzi del patrimonio autoctono) attraverso la Penisola Balcanica in epoca più antica della precedente ed operata dalle popolazioni celtiche. L'ingresso delle varietà straniere (principalmente francesi e tedesche) è avvenuta dopo la catastrofe fillosserica a cavallo tra XIX e XX secolo e purtroppo ha causato l’estinzione di parte delle varietà native di queste zone.


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La produzione di vini di qualità è diventata negli ultimi anni una necessità. Il mercato è rivolto sempre più verso prodotti di pregio. Quello che il Friuli può portare come valore aggiunto alla qualità più in generale, è il “carattere”. Infatti, abbinando l’espressione di un territorio attraverso l’impiego di varietà autoctone, questo ci permette di ottenere vini unici e di portare sul mercato quel “di più” che ci consente di distinguerci da prodotti cosiddetti internazionali. Dimostrazione di ciò la troviamo nel vitigno Schioppettino che, autoctono tra gli autoctoni, si esalta non nel Friuli, ma soprattutto nelle sue due zone di origine: i territori di Cialla e di Albana di Prepotto. Di conseguenza, è priorità assoluta che il Friuli proponga sempre di più la sua immagine legata a prodotti che sono espressione del suo variegato territorio, distinguendosi in tal modo dal mercato globale fatto di vini internazionali sempre troppo uguali.

Pierpaolo Rapuzzi e Roberto Cipresso

Molte devono essere le considerazioni che oggi tutto il sistema vino deve fare circa il futuro del vino italiano e del Friuli in particolare. Oggi la situazione in generale vive un momento di stagnazione e comunque di forte concorrenza, in particolare da parte dei Paesi del Nuovo Mondo. Tuttavia quest’analisi non deve essere affrontata in maniera pessimistica. In realtà credo di poter dire che dovremmo porre maggiore attenzione alle opportunità che la situazione del mercato offre. La produzione friulana ha raggiunto livelli di qualità molto elevati che rispetto al passato hanno consentito una crescita di immagine rispetto al mercato italiano, a fronte di un mercato internazionale dove resta invece molto da fare e in cui purtroppo il Friuli non ha saputo occupare un ruolo importante. Per questo credo che il vigneto Friuli debba da un lato proseguire sulla strada intrapresa da alcuni pionieri che con lungimiranza puntarono alla fine degli anni ‘60 sulla qualità, condividendo in maniera più comune elementi come la ricerca e lo sviluppo indispensabili per proseguire nella crescita qualitativa dei nostri prodotti mantenendo le peculiari caratteristiche produttive individuali che sono ben identificate con il territorio. In altre parole credo che lo sforzo maggiore che oggi il mondo vitivinicolo friulano deve riuscire a fare sia quello di promuovere e comunicare in maniera chia-

ra ai consumatori l’immagine di un territorio con la sua forte tradizione e la sua vocazione per i vini bianchi fermi. Ovviamente non sarebbe per nulla male riuscire a creare una forte identificazione con un prodotto tipico e largamente diffuso nella regione come ad esempio il Tocai Friulano. È oggi che bisogna necessariamente condividere degli obiettivi comuni e produrre uno sforzo maggiore per migliorare la produzione.

Carlo Schiopetto

Il Friuli è una regione di modeste dimensioni nella quale convivono numerosi comprensori d.o.c. ognuno dei quali composto da una miriade di realtà locali di piccole, medie e grandi dimensioni che fanno della varietà e della diversità della proposta enologica la vera ricchezza della regione. Dire quale sarà l’evoluzione negli anni a venire da questa situazione di partenza non è cosa semplice. Il Friuli ha sicuramente molte opportunità per sperare in un futuro ricco di soddisfazioni, ma ha anche alcuni punti di debolezza e di incertezza solamente risolti i quali potrà raggiungere e meritare un posto di primo piano nel panorama enologico mondiale. I motivi di incertezza sono essenzialmente: L’eccessiva frammentazione e gli elevati costi di produzione: le aziende friulane sono in media molto piccole e con costi di produzione notevolmente più elevati di quelli di altre zone viticole altrettanto vocate. Purtroppo ciò comporta un costo finale del vino friulano non sempre in linea con l’offerta concorrente disponibile al consumatore. A fronte di una qualità che, nella maggioranza dei prodotti friulani, è veramente elevata e tale da giustificarne il prezzo, non può sfuggire alle aziende vitivinicole che è fondamentale non perdere il contatto da ciò che il consumatore è disposto o in grado di spendere per una bottiglia di vino. In futuro è probabile che molte aziende o sapranno razionalizzare la gestione ed occupare al meglio la propria fascia di mercato o non sopravvivranno. Il futuro incerto del Tocai Friulano: confidiamo in un ravvedimento degli organismi comunitari, ma, ferma restando la situazione attuale, nel marzo del 2007 il Tocai Friulano, vino simbolo dell’enologia

friulana, dovrà cambiare nome. Così è stabilito nella sentenza che ha favorevolmente accolto le richieste di tutela della regione ungherese del Tokay. Il colpo è duro per un vino che in tempi recenti si è faticosamente creato un proprio spazio di apprezzamento presso il consumatore di vini di qualità. Il Tocai è oggi uno dei più bei vini del Friuli, merito dell’opera di molti vitivinicoltori che hanno deciso di investire lavoro e risorse nel rilancio di questo vino a lungo sottovalutato. Non è a tutt’oggi prevedibile come la vicenda legata al nome andrà a finire. La scarsa padronanza degli strumenti di comunicazione e di marketing: non esiste prodotto che non abbia bisogno di comunicazione e in un’epoca di grande attenzione attorno al vino, quello friulano fatica a conquistarsi lo spazio che meriterebbe al pari di quanto fatto da altre regioni che hanno inve-


ra per quell’obiettivo. Fintanto che ogni produttore e ogni comprensorio d.o.c. continueranno a ragionare in termini egoistici anziché unitari sarà ben difficile che il nome del Friuli possa essere identificativo per il vino bianco come ad esempio altre regioni lo sono per il vino rosso. Le opportunità da cogliere a mio avviso sono molte e quindi la ricetta del successo sarà personale in base alle capacità e alla strada che ciascuna azienda saprà intraprendere. Continua ricerca: anche in ambito aziendale o di comprensorio. Ricercare per migliorare la gestione aziendale, contenere i costi e valorizzare al meglio il proprio prodotto. Valorizzazione del patrimonio locale: rincorrere le mode espone le piccole zone viticole ad una concorrenza enorme, mentre è nella ricchezza e varietà di produzioni tipiche, risultato di centenarie interazioni fra uomo e ambiente, il patrimonio ineguagliabile da cui possiamo attingere. Il punto di forza del Friuli sarà sempre il prodotto che esprime il territorio. Va adeguato ai tempi e ai mutevoli gusti del consumatore, migliorato alla luce delle nuove tecniche e conoscenze scientifiche, ma deve sempre mantenere una forte personalità che lo ricolleghi senza possibilità di errore alla terra di origine. Avere prodotti esclusivi della zona non è semplice, occorre individuarli e valorizzarli, innescare cioè quel meccanismo anche commerciale per cui un prodotto diviene conosciuto e desiderabile. Coniugare terroir, qualità elevata ed aspettative del consumatore sarà la vera scommessa per gli anni a venire, ma anche il solo segreto del successo per le aziende friulane. ce stabilmente legato il proprio nome a quello di determinati vini. Dobbiamo fare nostre alcune delle leve di competitività (strategie commerciali di ampio respiro e grande attenzione al rapporto qualità/prezzo) che sono state introdotte dai produttori del Nuovo Mondo (Australia, Cile, ecc.) sfruttando il plus tutto italiano di tradizione e di stile che il mondo ci riconosce. L’eccessivo individualismo: dobbiamo imparare a lavorare e a muoverci in modo più unitario. Certi risultati d’immagine e di eccellenza si raggiungono soltanto se una pluralità di produttori investe e lavo-

Il Friuli è terra di grandi vini bianchi: sorretti da una posizione geografica ideale e da un terroir ad hoc i vini bianchi friulani sono stati e saranno la bandiera del Friuli e il mezzo per conquistare stabilmente uno spazio ben preciso nel mercato del vino. Ciò non vuole assolutamente sminuire ciò che di buono il Friuli sa esprimere anche nel campo dei vini rossi, ove molto ad esempio ci si aspetta dagli autoctoni da invecchiamento quali Refosco dal peduncolo rosso, Pignolo e Tazzelenghe. Maggiore qualità: questo deve essere l’obiettivo pri-

mario di ogni azienda. Qualità non solamente come mezzo per giustificare prezzi più remunerativi, ma soprattutto come strumento per occupare al meglio e sempre più stabilmente la propria fascia di mercato. La situazione attuale è complessa anche per motivi esterni al mondo del vino che contribuiscono a rendere incerto il futuro dell’enologia friulana e non solo. Qualsiasi cosa riservi l’avvenire, ciò che non dovrà mai venir meno è la passione, unica vera forza propulsiva per quanti lavorano tutti i giorni per la buona riuscita di un vino.

Francesco Spitaleri

Questa zona è stata sempre sinonimo di vini speciali, particolarmente nelle zone ora Doc Collio, Colli Orientali del Friuli, Isonzo; anche in certe aree Doc Grave, particolarmente vicino Cormòns, Maniago e San Daniele del Friuli. Tutte zone ottime perché confinanti a nord con le Alpi Carniche e Giulie e a sud con il mare. Fin dai tempi di Roma, da queste zone partivano ottimi vini bianchi e molti vitigni autoctoni venivano curati. Negli ultimi 20 anni, con l’aumento delle temperature e il conseguente anticipo delle maturazioni, la zona è divenuta buona anche per grandi vini rossi. Per il Vigneto Friuli io vedo un grande futuro nei vini bianchi; infatti l’80% della gente trova difficoltà nella digeribilità dei grandi vini rossi. In passato i vini rossi erano prerogativa di consumo dei lavoratori e quindi di persone che nel vino cercavano quell’alimento e quelle calorie che il lavoro consumava. Con la nuova attenzione che viene propagandata e consigliata riguardo alla cura estetica, ecco che il grande vino rosso può trovare difficoltà. I vini bianchi, con la loro digeribilità, anche se ricchi di struttura, hanno minori calorie e legano ottimamente sia con le carni che con il pesce, pur avendo gradazioni di 12-14%. Oltre a questo, i vini bianchi hanno profumi estivi, di fiori, di fieno, di frutta, quindi esaltanti caratteristiche di piacevolezza che ognuno cerca in un bicchiere di buon vino, particolarmente in questi momenti di vita stressante dovuta a incertezza del futuro. Certamente i vini rossi sono ottimi, ma le loro caratteristiche di profumi autunnali, di bosco e sottobosco, quindi di pesantezza, secondo la mia opinione,


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favoriranno una limitatezza al loro consumo. Per quanto riguarda l’opportunità del vigneto Friuli, i nostri vini, se paragonati a californiani, cileni, australiani, hanno una marcia in più per stare sul mercato, perché, a parte il clima (il Friuli è la zona più piovosa d’Italia), non c’è necessità di irrigazione sussidiaria, che dilava i sali minerali del terreno; e quindi viene favorita in cantina la creazione di vini con basi più naturali di acidità e gradazione, contrariamente ad altri, che necessitano di costruzioni artificiali in cantina. Per il futuro del Vigneto Friuli purtroppo dobbiamo registrare che l’attuale stato dell’economia non aiuta certamente gli agricoltori ad investire in vigneti, specialmente nelle zone più favorevoli, quelle collinari, visti gli altissimi costi per le lavorazioni quasi esclusivamente manuali. A completamento delle difficoltà dobbiamo aggiungere anche certi balzelli, come i costi per i diritti di reimpianto. Tutte cose che non aiutano certo a vedere molto chiaro per il futuro. Per chiudere ritengo che, viste le considerazioni nelle quali deve barcamenarsi oggi il vignaiolo, nel tempo solo grandi aziende, con strutture organizzate, potranno affrontare il grande mercato: purtroppo vedo molto nero per le piccole aziende.

Rinaldo Stocco





Sommario 7

Le prospettive del vigneto Friuli Roberto Zironi

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Alle radici del vigneto Friuli Claudio Fabbro

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Una perla chiamata Friuli Andrea Zanfi

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La parola agli enologi

Ritratti di vignaioli friulani 34 38 44 50 56 60 66 72 78 82 88 94 98 104 110 116 120 130 138 142 146 152 160 164 168 174 180 186 192 198 202 206 212 218

Ascevi Luwa Borgo Conventi Borgo del Tiglio Borgo San Daniele Bortolusso Bosco Rosa Branko Ca’ Ronesca Casa Zuliani Castello di Spessa Castelvecchio Colle Duga Conte d'Attimis-Maniago Dorigo Girolamo Dri Giovanni - Il Roncat Drius Felluga Livio Felluga Marco Feresin Fiegl Gigante Gravner Grillo Iole Humar Jacùss Jermann Kante Keber La Castellada La Rajade La Roncaia La Viarte Le Due Terre Le Vigne di Zamò

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226 232 238 242 248 252 256 262 268 272 276 280 286 292 300 306 312 318 324 330 336 342 346 352 358 364 370 376 380 388 396 400

Lis Neris Livon Meroi Miani Pecorari Pierpaolo Petrussa Picech Polencic Aldo Polencic Isidoro Princic Doro Raccaro Rocca Bernarda Rodaro Ronchi di Cialla Ronchi di Manzano Ronco dei Tassi Ronco del Gelso Ronco del Gnemiz Ronco delle Betulle San Simone Schiopetto Scubla Tenuta Ca’ Bolani Terpin Toros Venica & Venica Vie di Romans Vigna Petrussa Villa Russiz Volpe Pasini Vosca Zidarich

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Di che uve parliamo?



ritratti di vignaioli friulani


Spesso vedo nelle cose che mi circondano dei segnali che mi incuriosiscono e cerco di interpretarli per carpire ciò che sta dietro quell’apparenza, segnali che si potrebbero trasformare in opportunità da seguire per dare una sferzata o una svolta alla vita. Ricordo che il mercato richiedeva, sempre più, vini aromatici ed eleganti e mio padre Antonio, che oggi ha 90 anni, non si curava minimamente del nuovo vento che stava tirando e che muoveva molti interessi: lui continuava a ragionare secondo quello che gli avevano insegnato, fedele a quella vecchia mentalità del grande sfruttamento produttivo della vite, disinteressandosi delle indicazioni che giungevano dall’esterno, continuando a vinificare i suoi vini in quantità industriale rispetto ai pochi ettari in suo possesso, con tecniche enologiche obsolete e arcaiche. Non ero d’accordo con quelle sue scelte e non condividevo quel suo modo miope di ragionare che frenava lo sviluppo dell’azienda di famiglia; non capivo come non potesse comprendere il cambiamento che stava sopraggiungendo in quegli anni. Quel suo mondo chiuso, ottuso, costruito su un raffronto quotidiano con gli usi e i costumi della tradizione vitivinicola di questa terra di confine, posta a cavallo fra la Slovenia e l’Italia, mi soffocava e mi dava fastidio il suo assoluto rifiuto nei confronti del nuovo e il suo relegarmi sempre in un angolo dal quale non mi era possibile uscire e avviare con lui un confronto costruttivo. A suffragare il mio desiderio di fuggire vi era anche la rassegnazione nel constatare la sua incapacità di costruire un futuro per un figlio che desiderava solo poter vivere una vita diversa da quella che aveva vissuto suo padre. Quella sua rigidità e quel

A

ASCEVI LUWA

Mariano Pintar con la moglie Loredana e la figlia Luana

suo modo di imporsi sempre come un “padre padrone” non mi piaceva e ogni giorno che passava mi rimaneva difficile immaginare il mio domani accanto a lui, anche se nel tempo, devo dire, ho provato a giustificarlo e ad avvicinarmi. Sapevo che la vita non gli aveva regalato niente e che l’esperienza di aver vissuto due guerre lo aveva profondamente segnato. La sua esistenza era stata difficile, dura, piena di preoccupazioni, fame e miseria e non gli aveva risparmiato niente, contribuendo a chiuderlo e a indurirlo. Tutto questo creò presto dei contrasti insanabili che mi spinsero a lasciare il tetto paterno e a cercare fortuna altrove. Non aveva importanza se vicino o lontano da casa: l’importante per me era poter lavorare con le mie idee sulla mia terra e costruire, con esse, la mia fortuna o la mia disgrazia. Le cose cambiarono quando conobbi mia moglie Loredana. Fu lei che mi dette lo stimolo e il coraggio di inseguire i miei sogni. Aveva diciassette anni, ma aveva ben chiare quali fossero le reali potenzialità che avevamo stando insieme. Già da allora Loredana intuiva quale fosse il nostro futuro e quali importanti risultati avremmo potuto realizzare amandoci e stando vicini come abbiamo fatto per tutti questi anni. Da allora non ha smesso un solo giorno di stimolarmi e di aiutarmi ad andare avanti. Sono trentacinque anni che, pur criticandomi e non risparmiandomi nulla, è al mio fianco e continua a stringermi la mano sia nei momenti tristi, sia in quelli belli, accompagnandomi in questo percorso e assecondando il mio desiderio di progredire e arricchire le mie competenze di vignaiolo friulano.



Abbiamo faticato molto per riuscire a realizzare ciò che abbiamo costruito seguendo il nostro sogno iniziale, continuando per anni a impiantare viti e a estendere le nostre proprietà, sulle quali realizzare altri vigneti, via via passati dai quei due ettari iniziali ai trenta ettari odierni. Insieme ne abbiamo fatta di strada e anche se è bello constatare come le cose siano piacevolmente cambiate e come l’azienda oggi possa contare anche sull’aiuto, a tempo pieno, dei miei due figli Luana e Walter, io non mi sento ancora appagato: dentro di me ho ancora una grande energia e un grande desiderio di accrescere la professionalità e le mie conoscenze umane. Stimoli che, ogni giorno che passa, mi danno l’entusiasmo per continuare a migliorarmi. Spesso Loredana mi critica perché passo molte ore in campagna, dimenticandomi di tutto e di tutti, immerso in una natura che cerco di interpretare e farmi amica, con la quale vivo un forte contatto epidermico e alla quale non saprei rinunciare. Ho provato qualche volta a spiegarle che è in quel contatto naturale che sono diventato adulto ed è l’unico che io so utilizzare per rapportarmi con la terra e con le persone a cui voglio bene, cercando di far comprendere loro, attraverso il lavoro, il sacrificio dei gesti semplici, le mie emozioni e i miei sentimenti. Forse è per questo che sono così tanto attaccato a questo lavoro, perché con esso riesco a comunicare, perché mi consente di essere libero di raccontare i miei sogni. È un lavoro che mi permette di vivere ogni anno esperienze diverse e di avere, ad ogni vendemmia, nuove emozioni, ma non credo sia solo l’affascinante e alchemico meccanismo che regola la produzione del vino a farmi amare ciò che faccio, credo invece sia la possibilità che lo stesso mi dà di poter comunicare agli altri ciò che faccio e quindi chi sono. Fare il vignaiolo mi dà serenità; è fra quei filari che assaporo una grande quiete interiore, lì mi sento vivo; del resto nel fare vino appago il mio orgoglio e il desiderio di emergere, non sentendomi mai pago di ciò che ho fatto, né mai soddisfatto di ciò che ho raggiunto. Ambizione? Può darsi, ma non so spiegare cosa ti spinge dentro a dare tutto te stesso a questo lavoro, non so quale sia la molla che ti spinge a curiosare, a costruire e a migliorare quello che hai appena fatto, oppure cosa ti stimola a osservare quale sia il vento che sta tirando e quale sarà quello che soffierà domani...

ALTRI VINI I Bianchi: Collio Sauvignon Doc (Sauvignon 100%) Collio Ribolla Gialla Doc (Ribolla Gialla 100%) Collio Pinot Grigio Doc (Pinot Grigio 100%) Friuli Isonzo Tocai Friuliano Doc (Tocai Friulano 100%) Vigna Verdana Igt Venezia Giulia (Sauvignon 40%, Chardonnay 30%, Ribolla Gialla 30%) Col Martin Igt Venezia Giulia (Sauvignon 40%, Chardonnay 30%, Tocai Friulano 30%)


Sauvignon Ronco dei Sassi Ascevi

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Collio Sauvignon Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Sauvignon provenienti dal vigneto omonimo di proprietà dell’azienda, posto nel comune di San Floriano del Collio, che ha un’età media di circa 20 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: Il vigneto si trova su terreni marnoso-argillosi ad un’altitudine compresa tra i 150 e i 180 metri s.l.m. con esposizione a nord-ovest. UVE

IMPIEGATE:

Sauvignon 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Cappuccina DENSITÀ

DI IMPIANTO:

7000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito nell’ultima decade di settembre, si procede alla diraspatura delle uve e il mosto è lasciato macerare a contatto con le bucce per 36-48 ore ad una temperatura di 5-10°C; si procede quindi alla pressatura della massa e ad una sua successiva decantazione in vasca d’acciaio alla temperatura controllata di 18°C per circa 24 ore. Una volta chiarificato il mosto, si aggiungono i lieviti selezionati per l’avvio della fermentazione alcolica che si protrae per 30-35 giorni alla temperatura controllata di 18-20°C in vasche di acciaio inox; qui il vino rimane per 5 mesi per la maturazione. Nel mese di aprile dell’anno successivo alla vendemmia il vino viene messo in bottiglia per un ulteriore affinamento che dura altri 2 mesi prima della commercializzazione. QUANTITÀ

PRODOTTA:

7000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Bel colore giallo paglierino con riflessi verde-dorati; all’esame olfattivo offre sentori di pesca bianca, peperone, salvia e biancospino. All’esame gustativo risulta gradevole, elegante, fine, persistente ed equilibrato. PRIMA LE

ANNATA:

2000

MIGLIORI ANNATE:

2000 - 2001

NOTE: Ascevi è il toponimo dove è situato il vigneto più esteso, Luwa è l’unione delle due lettere iniziali di Luana e Walter, figli di Mariano Pintar, Ronco dei Sassi per via della naturale presenza di sassi, di natura ciottolosa, nel vigneto da cui proviene. Il vino raggiunge la maturità dopo 2 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 2 e i 4 anni. L’AZIENDA: L’azienda agricola, di proprietà di Mariano Pintar dal 1972, si estende su una superficie complessiva di 30 Ha tutti vitati. Svolge le funzioni di agronomo ed enologo lo stesso Mariano Pintar.


Siamo venuti qui perché questa è una terra che ha delle grandi potenzialità. Dopo il consolidamento delle nostre aziende in Toscana, specializzate principalmente nella produzione di grandi vini rossi, eravamo alla ricerca di un territorio che fosse vocato ai vini bianchi e che, nello stesso tempo, avesse una propria storia e una forte tradizione e per questa sua caratterizzazione produttiva fosse già stato identificato sul mercato vitivinicolo internazionale. In questa nostra indagine abbiamo osservato un po’ tutte le regioni che potevano avere le caratteristiche che cercavamo, assaggiando accuratamente i vini che le migliori aziende di quel territorio producevano. La ricerca, alla fine, ci portò a riflettere su due regioni, il Friuli e il Trentino Alto Adige. Quello che ci condusse alla scelta definitiva del Friuli fu il fatto che da una parte avevamo il Trentino Alto Adige, che, pur essendo una terra anch’essa dalle enormi potenzialità enologiche, presentava, a nostro avviso, due limiti insuperabili: l’impossibilità di accorpare in un’unica azienda un minimo di 50 ettari di vigneti e le note organolettiche dei vini bianchi che lì si producono, che si differenziavano da quelli friulani soprattutto per la morbidezza, avendo alla base terreni ed escursioni termiche molto diverse da quelle che vi sono qui a Borgo Conventi. Fu così che scegliemmo il Friuli e, in particolare proprio questa zona del Collio e dell’Isonzo, perché era quella che rispondeva ai nostri obiettivi e rispecchiava il connubio perfetto fra esigenze e opportunità.

B

BORGO CONVENTI

Luigi e Adolfo Folonari

Eravamo rimasti affascinati dalle armonie che riuscivano a esprimere i vini di questa zona: bianchi unici, freschi, eleganti come da poche altre parti è possibile produrre. Delle loro qualità ci eravamo accorti confrontandoli con quei vini bianchi che produciamo in Toscana. I risultati erano stati eclatanti: vini diametralmente opposti, due tipologie diverse, sia come concezione, sia come spessore e caratteristiche organolettiche. Da vent’anni, nell’azienda vitivinicola la Solatìa stiamo arricchendo la nostra esperienza nella produzione dei “bianchi” che sono andati, a ogni vendemmia, sempre più affinandosi. Lì, in Toscana, con gli anni siamo riusciti a raggiungere ottimi livelli qualitativi, che ci hanno dato gratificazioni importanti per la tipologia dei prodotti che siamo riusciti a tirar fuori da quel terroir, commercializzando vini che hanno la necessità, per esprimersi al meglio, di strutturarsi nel legno. Qui è diverso. Qui ci sono vini bianchi nei quali si trova una freschezza, una florealità naturale, immediata, come in nessun altro vino bianco italiano è riscontrabile, ma quello che colpisce maggiormente è la loro naturale morbidezza che li rende estremamente gradevoli e in linea con le aspettative del consumatore finale, sempre più attento alla “spontaneità” del prodotto che degusta. È il territorio, abbinato al microclima, che rende estremamente interessante la viticoltura friulana e conferisce una marcia in più ai “bianchi” di questa terra. Non è difficile comprenderne il motivo: basta osservare i colli che, dolcemente, disegnano vallate splendide, i terreni che risultano fertilissimi, il mare che mitiga il clima e le Alpi che, con un mezzo cerchio, delimitano il territorio e lo proteggono dai venti



freddi del Nord, aprendosi quanto basta per consentire un’ottima circolazione d’aria, estremamente salutare per la vite. Siamo venuti qui perché volevamo investire in un futuro diverso da quello che avevamo e il Friuli rappresentava non solo una nuova sfida imprenditoriale per una storica azienda italiana, ma anche “il nuovo” sul quale puntare e nel quale poter crescere più rapidamente. Ci sentivamo stimolati dal grande fervore e dalla grande voglia di fare che animava tutto il comparto vitivinicolo di questa terra e così decidemmo di investire in Friuli, perché comprendemmo che qui si stava giocando una splendida sfida per il futuro dell’enologia nazionale e volevamo che la sfida dei produttori friulani fosse anche la nostra. Sono solo pochi anni che operiamo su questi nostri vigneti di Borgo Conventi e forse, per noi, è ancora presto per trarre delle conclusioni. Siamo tuttavia sicuri di aver fatto la scelta giusta, perché abbiamo trovato un’incalcolabile ed enorme ricchezza, composta dalle infinite opportunità che l’interpretazione in chiave moderna di antichi vitigni può innescare sul futuro enologico di questa regione. È questa la sfida vincente per l’enologia friulana ed è questa sfida che anche noi vogliamo vincere, arrivando, piano piano, a una forte caratterizzazione della produzione rispetto a quella che abbiamo oggi, cercando di collegarla, il più possibile, a questo territorio, alla sua storia e alla sua cultura. È una grande e affascinante occasione che non vogliamo perdere: sfruttare l’enorme patrimonio genetico dei vitigni autoctoni che qui è stato conservato.

ALTRI VINI I Bianchi: Collio Ribolla Gialla Doc (Ribolla Gialla 100%) Collio Sauvignon Doc (Sauvignon 100%) Collio Tocai Friulano Doc (Tocai Friulano 100%) Collio Pinot Grigio Doc (Pinot Grigio 100%)

I Rossi: Collio Schioppettino Doc (Schioppettino 100%) Collio Merlot Doc (Merlot 100%)


Braida Nuova

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Igt Rosso Venezia Giulia ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è un blend delle migliori uve Merlot, Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nel comune di Farra d’Isonzo, che hanno un’età media compresa tra i 3 e i 14 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni argillosi di medio impasto ricchi di scheletro derivanti da depositi alluvionali, ad un’altitudine di 45 metri s.l.m. con esposizione a nord-ovest. UVE

IMPIEGATE:

Merlot 45%, Cabernet Sauvignon 45%, Cabernet Franc 10%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot semplice per il Merlot, bilaterale per Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc DENSITÀ

DI IMPIANTO:

3000-6000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito dal 2 al 20 ottobre, si procede alla pressatura soffice delle uve e si avviano i singoli mosti alla fermentazione alcolica che si protrae per 10-13 giorni, a seconda dei vitigni, ad una temperatura compresa tra i 26 e i 30°C in recipienti di acciaio inox termocondizionati con frequenti délestage e follature; contemporaneamente si procede anche alla macerazione sulle bucce che dura altri 15 giorni. Terminata questa fase il vino viene posto in barrique di rovere francese, in gran parte nuove, dove svolge la fermentazione malolattica e dove vi rimane per 24 mesi per la maturazione. Dopo circa 2 anni si procede all’assemblaggio delle partite e, dopo un breve periodo di stabilizzazione, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento di altri 12 mesi prima di essere messo in commercio. QUANTITÀ

PRODOTTA:

20000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Colore rosso rubino intenso tendente al granato; ampio all’olfatto, offre profumi di piccoli frutti di sottobosco, amarena sotto spirito ed essenze speziate come noce moscata, vaniglia e pepe, a cui seguono note balsamiche ed eteree. In bocca è pieno e strutturato, armonico, caldo e suadente con un’eccellente persistenza retrolfattiva. PRIMA LE

ANNATA:

1984

MIGLIORI ANNATE:

1990 - 1995 - 1996 - 1999 - 2000

NOTE: Il vino, che prende il nome da un toponimo aziendale, raggiunge la maturità dopo 5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 12 anni. L’AZIENDA: Di proprietà della Ruffino S.p.A. dal 2001, l’azienda si estende su una superficie complessiva di 55 Ha, di cui 42 vitati. Collaborano in azienda l’agronomo Maurizio Bogoni e gli enologi Carmelo Simoncelli e Paolo Corso.




Mi sono laureato in Farmacia per fare un grande favore alla famiglia e a 23 anni già lavoravo dietro il bancone della farmacia di mia madre Thea, la quale, quando si irritava con me, mi licenziava. Con me non aveva un occhio di riguardo o speciali trattamenti, lei aveva le sue idee sulla conduzione di quell’attività a Gorizia, ed erano quelle che dovevano essere eseguite, senza se o ma che contassero. Ricordo che in due anni mi licenziò almeno cinque volte e, sempre dopo avermi fatto una grande “filippica” sulle responsabilità che dovevo incominciare ad assumermi e sui doveri dai quali oramai non potevo fuggire, mi riassumeva. Fu qualche mese dopo la morte di mio padre Giuseppe - Beppino per gli amici e “l’Italiano” per i compaesani, dato che era emiliano - che mia madre mi mandò presso la piccola azienda di papà, che contava circa cinque ettari e neanche tre di vigneto, per organizzare l’imminente vendemmia, ignorando sicuramente che a vendemmiare e a vinificare mi sarei divertito di più che a vendere medicine ingabbiato dentro un camice bianco. Finita la vendemmia, decisi di prendermi un po’ di riposo e di andare in vacanza con la mia fidanzata Fulvia, la mia attuale moglie, e ritenendo doveroso comunicare la cosa a mia madre, la chiamai per avvertirla di questa mia decisione, ma mi ritrovai davanti alla sua perentoria imposizione di ritornare immediatamente in farmacia per l’inventario. Mi ritrovai quindi di nuovo licenziato, ma la cosa non mi toccò, né cambiò i miei piani e me ne andai in montagna dove, fra quelle vette, maturai l’irrevocabile decisione di lasciare la farmacia e inserirmi nell’attività vitivinicola. Mia madre non prese la cosa molto sul serio, visto come era abituata a reintegrarmi nell’organico dopo poche ore di mobilità.

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BORGO DEL TIGLIO

Nicola Manferrari

Fu qualche settimana dopo che iniziò a preoccuparsi e fu allora che si rivolse al suo avvocato di fiducia per vedere di scardinare con qualche cavillo legale la mia ferrea posizione. Fu in quel momento che mi resi conto dell’importanza e della fortuna di avere dalla mia parte quel legale di mia madre, il Conte Formentini di San Floriano, anche lui agricoltore e vignaiolo. Ricordo che il Conte maturò simpatia per il mio progetto e si schierò apertamente dalla mia parte, così quando mia madre andò a chiedergli lumi, riuscì a portarla a più miti consigli e a ottenere di lasciarmi libero di proseguire sulla mia strada condividendo la scelta praticata e ammirandomi per la risolutezza dimostrata. Nel varcare la soglia di quello studio legale mia madre ignorava che sarebbe uscita con la bozza di un contratto d’affitto stilato a mio aperto favore che regolarizzava de iure la mia nuova posizione. Con il senno di poi, credo proprio che non fossi tagliato per fare il farmacista, avendo sempre avuto bisogno di sognare e costruire e allo stesso tempo di avere il mio futuro tracciato da una progettualità di cose concrete, nuove e sempre più interessanti con le quali crescere e misurarmi. Ho scovato una frase di Antoine de Saint-Exupéry, il famoso scrittore aviatore, che meglio non potrebbe esprimere questa mia cosa: “la terra ci fornisce, sul nostro conto, più insegnamenti di tutti i libri. Perché ci oppone resistenza. Misurandosi con l’ostacolo l’uomo scopre se stesso [...]. Il contadino, nell’arare, strappa a poco a poco alcuni segreti alla natura, e la verità ch’egli estrae è universale”. Così è stato per me. Il mio percorso formativo, quello che mi ha condotto a prendere negli anni decisioni importanti che sono arrivate ad influenzare molto la fisio-



nomia dei miei vini, è stato, dunque, un po’ anomalo rispetto agli altri viticoltori che fanno vino di qualità. Non essendo né enologo, né agronomo, pur avendo studiato la chimica e la biologia, i fondamenti dell’enologia e della viticoltura, sono andato avanti senza che nessuno mi fornisse la ricetta pronta del vino buono e per poter crescere mi sono dovuto spesso inventare le cose. Di frequente, in quei primi tempi, “inventavo l’acqua calda”. Come quando nel 1982, per migliorare il mio Merlot inventai il salasso, la tecnica di togliere un po’ del mosto dal tino per aumentare il rapporto fra buccia e vino e ottenere più colore e più sapore. Allora mi parve una brillante intuizione chimico-geometrica. Ma si trattava di un’invenzione in realtà già inventata, risalente magari ai tempi di Plinio il Vecchio... O come quando effettivamente inventai il primo guyot bilaterale del Collio. Mi sembrava che non l’avesse fatto nessuno prima, salvo poi trovarne lande sterminate qualche anno dopo nella Valle della Loira... Maturai, dunque, la considerazione che sarebbe stato più utile studiare il francese, in modo da poter accedere ai libri scritti in quella lingua per essere sollevato da simili esercizi d’ingegno. Cosa che feci un Natale, seguendo un corso audiovisivo di cassette preso in prestito dal vicino di casa; all’Epifania mi mancava solo l’ultimo volume. I primi tre volumi tuttavia furono sufficienti per farmi provare la grande emozione di gustarmi il volume Phisiologie de la Vigne di F. Champagnol. Credo che la lettura di quel libro mi regalò una delle più grandi emozioni intellettuali della mia vita. Man mano che mi impossessavo degli asciutti periodi del testo, i fotogrammi accumulati dalla mia mente in modo casuale ed episodico durante i miei precedenti anni di viticoltore si univano in una storia coerente, qualche mia intuizione trovava conferma, tanti dubbi trovavano spiegazione ed anche qualche mia modesta “invenzione” guadagnava dignità scientifica. Tornando alle invenzioni, qualcuna, forse minore, mi viene riconosciuta. Infatti c’è chi dice che ho inventato il “tocai da ristorazione”, intendendo con questo un vino elegante e degno di abbinamenti raffinati. In effetti quando iniziai, il tocai, se non era insipido, era spesso pesante e grossolano. Ed io facevo quasi solo tocai! Non perché preso da furore ideologico, oggi tanto di moda, per il vitigno autoctono, ma per necessità, perché quella era la vigna. Forte delle mie reminescenze di botanica farmaceutica, secondo cui le piante vecchie avrebbero prodotto “roba più tosta” dal punto di vista aromatico, mi risolsi semplicemente a non spiantarle. A quei tempi in Friuli gli enologi erano di scuola tedesca, studiavano il De Rosa, andavano alle conferenze di Müller-Spath e compravano macchine Seitz. Ancora oggi i tedeschi inorridiscono a sentir parlare di vini con basse acidità, ed il tocai l’acidità ce l’ha proprio bassa. Così gli enologi per migliorarlo ne anticipavano la vendemmia. Il vino che ne risultava era piatto e pesante; io, per dargli acidità e sapore, rubando di fatto le tecniche dallo champagne, pensai di vinificare con mano molto soffice dell’uva molto matura. Ne uscì un vino insieme forte e gentile, il primo Ronco della Chiesa. In effetti, credo che questo mio percorso abbia segnato la fisionomia dei miei vini, che possiedono a detta di molti un loro marchio di fabbrica, una loro riconoscibilità specifica. In questi vent’anni ho trasformato, studiato e abbattuto alcuni luoghi comuni e ho anche superato, concedendo massimo spazio al potere dissacrante dell’osservazione empirica, alcuni miei stessi tabù. Ho stimolato la mia mente, osservato e adattato nuove tecniche e nuove procedure alle mie vigne e ai miei vini, combattendo ipocrisie e pregiudizi. Spesso, tuttavia, facendo questo mi sono trovato, senza cercarlo, a riannodare il filo con percorsi del passato interrotti da una modernità che aveva smarrito la ragione. Probabilmente è stato il mio insolito approccio al mondo del vino che ha orientato le mie scelte. Intendendo con questo anche la mia casuale esperienza formativa: ero insieme figlio degli insegnamenti della scienza e orfano di quelli della tecnologia. Questo mi ha costretto a non dare per scontato proprio nulla, mentre l’insegnamento di Galileo, per me sempre presente, mi ha insegnato l’esercizio dell’umiltà di fronte alle cose e della dignità di fronte alle persone.

ALTRI VINI I Bianchi: Collio Tocai Friulano Doc Ronco della Chiesa (Tocai Friulano 100%) Collio Chardonnay Doc (Chardonnay 100%)

I Rossi: Collio Doc Rosso della Centa (Merlot 100%)


Studio di Bianco

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Collio Bianco Doc ZONA DI PRODUZIONE: Lo Studio di Bianco è un blend delle migliori uve Tocai Friulano, Sauvignon e Riesling Renano provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nel comune di Dolegna del Collio, che hanno un’età media di 35 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni costituiti da marne e arenarie di origine eocenica ad un’altitudine di 80 metri s.l.m. con esposizione a sud-ovest. UVE

IMPIEGATE:

Tocai Friulano 50%, Sauvignon 30%, Riesling Renano 20%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot bilaterale e doppio capovolto DENSITÀ

DI IMPIANTO:

4000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito nella seconda e nella terza settimana di settembre, si procede a una soffice pigiatura con contatto pellicolare del mosto con le bucce per un tempo variabile a temperatura ambiente. Terminata questa fase si procede alla pressatura, dopo di che il vino è messo in barrique di rovere francese, per un 50% nuove, dove effettua la fermentazione alcolica che si protrae dai 20 ai 30 giorni in ambienti termocondizionati ad una temperatura compresa fra i 16 e i 24°C e dove è lasciato maturare per 8-10 mesi durante i quali, periodicamente, si procede a dei bâtonnage al fine di movimentare le fecce nobili. Al termine di questo periodo si procede all’assemblaggio delle partite e, dopo un periodo di stabilizzazione e un leggero filtraggio, il vino è messo in bottiglia per un ulteriore affinamento di 6-12 mesi prima della commercializzazione. QUANTITÀ

PRODOTTA:

1260 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Colore giallo intenso con riflessi quasi verdognoli; all’esame olfattivo si presenta complesso, intrigante con un rapporto omogeneo ed equilibrato che aprendosi sprigiona un bouquet che abbraccia sentori aromatici, floreali, di mandorle, balsamici di resina di pino, spezie e tostatura; in bocca risulta immediatamente pieno, grasso, caldo, di grandissima struttura, intenso e persistente con un finale quasi cremoso. PRIMA

ANNATA:

1990

LE MIGLIORI ANNATE: 1990 - 1994 - 1996 - 1999 - 2000 - 2001 NOTE: “Studio di Bianco” è un progetto di Nicola Manferrari. La parola “Studio” rimanda alle arti figurative (qualcosa d’imperfetto che guida l’artista nel costruire l’opera) e alla musica (una palestra in cui l’interprete affina la propria tecnica). Mentre il “Bianco” rimanda semplicemente al colore del vino. Il vino raggiunge la maturità dopo 4 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 4 e i 6 anni.


Malvasia Selezione Collio Malvasia Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Malvasia Istriana provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nel comune di Cormòns, che hanno un’età media di 35 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni costituiti da marne e arenarie di origine eocenica ad un’altitudine di 80 metri s.l.m. con esposizione a sud-ovest.

tazione alcolica che si protrae dai 20 ai 30 giorni in ambienti termocondizionati ad una temperatura compresa tra i 16 e i 24°C; qui vi rimane 10 mesi per una lunga maturazione e periodicamente, si procede a dei bâtonnage al fine di movimentare le fecce nobili. In seguito si procede all’assemblaggio delle partite e, dopo un periodo di stabilizzazione e un leggero filtraggio, il vino è messo in bottiglia per un ulteriore affinamento di 6-18 mesi prima della commercializzazione. QUANTITÀ

PRODOTTA:

1200 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Colore giallo intenso luminoso; all’esame olfattivo esprime profumi gentili di frutta esotica matura, vaniglia, pepe bianco, spezie dolci e fiori gialli; al palato è armonico ed intenso, estremamente morbido, fine ed equilibrato e ripercorre le sensazioni olfattive con un retrogusto lungo e persistente. PRIMA LE

ANNATA:

1996

MIGLIORI ANNATE:

1996 - 1999 - 2000 - 2002

NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 3-4 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 4 e gli 8 anni. L’AZIENDA: L’azienda agricola, di proprietà di Nicola Manferrari dal 1981, si estende su una superficie complessiva di circa 18 Ha, di cui 8,5 vitati. Svolge la funzione di agronomo ed enologo lo stesso Nicola Manferrari.

UVE

IMPIEGATE:

Malvasia Istriana 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot bilaterale DENSITÀ

DI IMPIANTO:

4000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito nella prima decade di settembre, si procede a una prima soffice pigiatura con contatto pellicolare del mosto con le bucce per un tempo variabile a temperatura ambiente. Poi avviene la pressatura, quindi il vino è messo in barrique di rovere francese di secondo passaggio, dove svolge la fermen-

Cormòns



Antonio era una persona speciale, uno di quei nonni piacevolmente ingombranti, che ti seguono con amore nella crescita e, forse per questo, senti forte il fascino della loro presenza. Lui era uno di quei vecchi saggi dalla personalità avvolgente e le storie incredibili che sapeva raccontare, fatte di terra, guerra, difficoltà e povertà, erano affascinanti e rimanevo ore ad ascoltarlo, lasciandomi trasportare da quelle fantasie che quei racconti scatenavano in me. Era un bel contadino friulano, schietto e vero, che trasmetteva una grande tranquillità interiore, amava la campagna e quello che faceva. Non appena poteva ci prendeva per mano e ci accompagnava nei campi, spiegandoci la grandiosità della natura, le sue metamorfosi, il significato dei suoi gesti, il come e il perché le cose accadessero. Nostro padre, osservandoci, lui che aveva abbandonato la campagna per seguire altre strade, forse con l’intento di soddisfare il proprio senso di libertà, provava un po’ d’invidia verso quel nostro crescente interesse per la terra, per la campagna e per i ritmi delle stagioni; un interesse che, con il tempo, si è trasformato in un vero e proprio amore per la vite che, ancora oggi, non ci ha abbandonato. Ne è passato di tempo da quella metà degli anni ‘70! Siamo cresciuti e abbiamo fatto scelte professionali che non si sono discostate da quella passione giovanile; infatti uno dei due è divenuto enologo, l’altra perito agrario. Poi le prime applicazioni, sulla terra del nonno, delle nuove conoscenze tecniche imparate a scuola, le prime sperimentazioni e con esse le prime vendemmie e le prime vinificazioni, il tutto svolto in compagnia del ricordo di quel

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BORGO SAN DANIELE

Mauro e Alessandra Mauri

vecchio che ci aveva insegnato a legare e a potare la vigna e ci aveva consigliato quando dover vendemmiare o avere la pazienza di attendere e quando travasare il vino tenendo d’occhio la luna. Oggi facciamo con soddisfazione i vignaioli concentrandoci completamente sulla viticoltura e avendo abbandonato quell’agricoltura promiscua che caratterizzava l’azienda del nonno, fatta da piccoli appezzamenti di terreni coltivati un po’ a cereali e un po’ a vigneto. Da allora quella piccola proprietà è cresciuta e con essa è cresciuta la nostra passione per la vite e per questo meraviglioso mondo del vino nel quale riponiamo ogni giorno dei piccoli sogni e delle grandi ambizioni. Sicuramente il nostro percorso di crescita è stato caratterizzato dall’applicazione di elementi che si basavano sull’innovazione tecnologica e sulle memorie della tradizione orale che ci era stata insegnata: un mix che ha contribuito a costruire questa nostra piccola azienda. Come sempre, da una parte il passato e dall’altra il futuro, il dilemma amletico che ha sempre condizionato un po’ noi friulani, vogliosi di guardare al futuro avendo ben strette fra le mani le sicurezze di un passato che non ha importanza quali risultati abbia portato ed è forse per questo che in Friuli le cose stentano sempre molto a cambiare ed è per questo che questa quotidianità non ci sembra del resto poi così diversa da quella che viveva Antonio. In questi anni quello che non ci è mai venuto meno è stato l’entusiasmo di voler tracciare per questa azienda un percorso ben preciso sul quale ergere delle solide fondamenta. In questi anni non ci siamo mai sentiti appagati dei piccoli successi ottenuti, ma



ci siamo impegnati nel migliorare anche solo quello che avevamo fatto il giorno precedente e, per trovare la forza di farlo, ci siamo armati di una grande umiltà, cercando di crescere, misurandoci continuamente con altre culture, con altre esperienze, con altre realtà vitivinicole, al fine di non fossilizzarci in quelle certezze che purtroppo ancora oggi accompagnano e sorreggono gran parte dell’economia agricola di questa regione. Sono stati il sacrificio e il lavoro le due bandiere che abbiamo seguìto in questi anni e ancora oggi abbiamo impresso nella memoria lo sguardo benevolo di nostro padre che, ormai divenuto vecchio e vedendoci raggiungere importanti obiettivi, lui che non aveva mai voluto accostarsi alla campagna, rifiutandola, cedette volentieri alla seduzione dell’affascinante mondo del vino e, per quello che poté, ci accompagnò nell’ultimo periodo della sua vita nel nostro viaggio enologico. Per noi fu bello prendere coscienza di come la nostra bottiglia di vino fosse divenuta improvvisamente l’ambasciatrice della nostra azienda e del nostro territorio. Era splendido e soddisfacente constatare come il nostro vino sapesse parlare un’infinità di lingue e sapesse raccontarci al mondo intero. Per quel vino non aveva importanza se avevamo la tuta o le scarpe sporche di terra, lui trovava sempre le parole esatte per giustificarci e dare di noi l’immagine giusta. È proprio di fronte a queste splendide emozioni e all’interesse generale che oggi i vini friulani suscitano sul mercato internazionale che riteniamo sia giunto il momento di effettuare un salto qualitativo imprenditoriale importante. Siamo certi che i punti di forza che hanno da sempre contraddistinto i friulani, come l’attaccamento alla famiglia e alle tradizioni, l’orgoglio e il duro lavoro e la stoica abnegazione al sacrificio, sommati alla sola qualità dei vini prodotti non siano più sufficienti a darci quella maggiore visibilità che contribuirebbe a innescare meccanismi commerciali più interessanti e una maggiore promozione al territorio. Siamo certi che è l’insieme che dà forza e crea maggiori opportunità; se invece ognuno di noi attinge, come è stato fatto fino ad oggi, solo alle proprie risorse, possiamo riuscire, al massimo, a mantenere le posizioni commerciali fin qui acquisite, nella speranza che il mercato continui a trascinare, come ha fatto fino ad oggi, tutto il mondo del vino. Esseri “piccoli” alla lunga può risultare un boomerang; ecco perché crediamo che la priorità assoluta del Friuli sia quella di riuscire a fare “sistema”, cercando, noi per primi, di andare oltre il nostro piccolo successo, impegnandoci nel raggiungimento di questo grande obiettivo utile per tutto il territorio friulano, prima di ritrovarci ripiegati sui fragili successi fin qui ottenuti prima ancora di essere riusciti a consolidarli. Sicuramente non succederà nulla e tutto rimarrà immutabile, come sempre del resto qui in Friuli. Prima c’era solo il duro lavoro nei campi, l’attaccamento morboso a quella metodologia arcaica del sacrificio estremo e dell’abnegazione al lavoro che conduceva all’appagamento personale e poi forse ai risultati; prima c’erano i piccoli vigneti, quei fazzoletti di terra dove si producevano dalle dieci alle dodici qualità di vino; prima c’era il mercato delle osterie e delle botteghe e tutto era finalizzato al soddisfacimento del proprio bisogno, lavorando e puntando quasi sempre sul passa parola; oggi… non è cambiato molto e invece ci sarebbe molto da fare per riuscire a diventare nel mondo un punto di riferimento importante per i vini bianchi.

ALTRI VINI I Bianchi: Friuli Isonzo Pinot Grigio Doc (Pinot Grigio 100%)

I Rossi: Igt Rosso Venezia Giulia Arbis Rôs (Pignolo 60%, Cabernet Sauvignon 30%, Cabernet Franc 10%)


Arbis Blanc

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Friuli Isonzo Bianco Doc ZONA DI PRODUZIONE: L’Arbis Blanc è un blend delle migliori uve Sauvignon, Pinot Bianco, Chardonnay e Tocai Friulano provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nel comune di Cormòns, che hanno un’età media di 14 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni a medio impasto in parte tendenzialmente ciottoloso, in parte argilloso a un’altitudine compresa tra i 50 e i 60 metri s.l.m. con esposizione a nord-sud / est-ovest. UVE

IMPIEGATE:

Sauvignon 40%, Pinot Bianco 20%, Chardonnay 20%, Tocai Friulano 20%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

5000-6000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito nella terza settimana di settembre, quando le uve che compongono il blend hanno raggiunto un equilibrato stato di maturazione generale, si procede alla pigiatura complessiva delle uve e dopo la decantazione naturale del mosto per 24 ore alla temperatura controllata di 15°C, si dà avvio alla fermentazione alcolica che si protrae dai 10-15 giorni ad una temperatura compresa fra i 22 e i 26°C, in botti di rovere di Slavonia da 20 hl. Dopo questa fase il vino viene lasciato nel legno per 7 mesi dove, periodicamente, si procede a dei bâtonnage al fine di movimentare le fecce nobili che sono utilizzate per guidare tecnicamente lo svolgimento della fermentazione malolattica. Nel mese di aprile dell’anno successivo alla vendemmia viene effettuato l’assemblaggio delle partite e, dopo un breve periodo di riposo, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento di altri 4 mesi prima di essere commercializzato. QUANTITÀ

PRODOTTA:

12000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un colore giallo paglierino con riflessi dorati; al naso è piacevole e complesso con vari e intensi profumi fruttati e floreali, con note di erbe aromatiche. Al gusto risulta pieno, equilibrato, morbido, con un retrogusto lungo e persistente in cui affiorano note minerali e di burro fuso. PRIMA

ANNATA:

1994

LE MIGLIORI ANNATE: 1994 - 1997 - 1999 - 2001 - 2002 - 2003 NOTE: Da quando l’azienda ha avuto i primi vigneti, si sono applicate tecniche di coltivazione biologica. Da qui l’inerbimento della superficie vitata e il nome del vino (Arbis in friulano significa erbe). Il vino raggiunge la maturità dopo 3 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 3 e i 6 anni.


Tocai Friulano Friuli Isonzo Tocai Friulano Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Tocai Friulano provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nel comune di Cormòns, che hanno un’età media di 14 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni a medio impasto tendenzialmente ciottoloso ad un’altitudine compresa tra i 50 e i 60 metri s.l.m. con esposizione a nord-sud / est-ovest.

acciaio e parte in botti di rovere di Slavonia da 20 hl. Periodicamente vengono effettuati dei bâtonnage al fine di movimentare le fecce nobili che sono utilizzate per guidare tecnicamente la fermentazione malolattica che è fatta svolgere completamente. Di solito nel mese di aprile dell’anno successivo alla vendemmia viene effettuato l’assemblaggio e, dopo un breve periodo di riposo, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento di altri 4-5 mesi prima di essere commercializzato. QUANTITÀ

PRODOTTA:

15000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un colore giallo paglierino carico, con profumi di mandorla, fiori di campo e agrumi. In bocca è elegante ed equilibrato; di struttura, al retrogusto risulta lungo e persistente esaltando le percezioni avvertite all’olfatto. PRIMA

ANNATA:

1990

LE MIGLIORI ANNATE: 1990 - 1994 - 1997 - 1999 - 2001 - 2002 - 2003 NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 2-3 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 3 e i 6 anni. L’AZIENDA: Di proprietà di Alessandra e Mauro Mauri dal 1990, l’azienda agricola si estende su una superficie complessiva di 20 Ha, di cui 16 vitati. Svolge le funzioni di agronomo e di enologo lo stesso Mauro Mauri.

UVE

IMPIEGATE:

Tocai Friulano 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

5000-6000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito nelle ultime due settimane di settembre, si procede alla pigiatura delle uve e dopo la decantazione naturale del mosto per 24 ore alla temperatura controllata di 15°C, si dà avvio alla fermentazione alcolica che si protrae per 10-15 giorni ad una temperatura compresa fra i 20 e i 24°C, parte in

Cormòns



Siamo gente di laguna, gente diversa, semplice e complessa allo stesso tempo, la cui originalità è data dalla capacità di saper vivere in egual misura la ruvidezza di una terra strappata con forza e ingegno al mare e le difficoltà che derivano dal giornaliero contatto con questo ambiente composto da poche zolle, sabbia e tanta acqua. È fra queste vasche, fra questi canali e acquitrini, fra questi lembi di terra appena innalzati sopra il livello del mare che abbiamo incominciato a capire fin da bambini l’importanza del tempo e le problematiche nel doverlo rispettare. Crescendo fra questi fossi e questi specchi d’acqua abbiamo compreso la sottile differenza che esiste qui fra tempo cronologico e atmosferico: quest’ultimo è il solo capace di determinare e regolamentare le azioni e i gesti delle persone che, come noi, hanno deciso di vivere la laguna. Con il tempo ci siamo sforzati sempre più di assomigliare a quei giunchi di palude che, pur dando l’impressione di essere gracili e lì pronti a doversi spezzare ad ogni colpo di vento, sono sempre capaci di rialzarsi dopo le avversità che li hanno colpiti. Qui in laguna niente è lasciato al caso o alla fatalità: ogni cosa viene svolta a tempo debito e ogni gesto ha un suo preciso significato, dettato molte volte da un controllo attento del tempo e dallo scorrere delle stagioni o dal semplice flusso delle maree, quando sembra che il mare si voglia riappropriare dei suoi antichi spazi. Qui si contano ancora le lune, che danno avvio alla pesca delle anguille o alle altre tecniche di pesca che si attivano per le altre tipologie di pesci o molluschi, a seconda di come i cicli lunari influenzano il decorrere delle acque in laguna;

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BORTOLUSSO

Clara e Sergio Bortolusso

questo è un luogo dove si vendemmia con gli occhi rivolti sempre al cielo, poiché certe volte è così minaccioso e così vicino che si può toccare con un dito, con le nuvole tanto basse che quasi danno l’impressione di volersi tuffare in laguna. Chi non vive o non conosce profondamente questi meandri di acque e terra non sa che questo è uno di quei posti dove si benedice il vento freddo della Bora che sa asciugare e spazzare via ogni cosa e sembra pulire tutto, dove ci si trova bagnati senza che sia piovuto e dove certe volte la pioggia è così forte che con il suo assordante rumore arriva a confonderci a tal punto che non comprendiamo da dove sono partiti - se dal cielo o dal mare - i lampi del temporale che luminosi squarciano il cielo e illuminano gli stagni. Qui ogni stagione è importante: ognuna si riconosce per i suoi colori forti e decisi o per i rituali e i mestieri che gli uomini attivano anno dopo anno sempre uguali. Le nostre sono stagioni bellissime che ispirano artisti che con mano svelta sanno dipingere sulle loro tele ora il verde delle stoppie sferzate dai venti freddi, ora bellissimi tramonti, cieli cupi o il giallo delle margherite che colorano gli argini, arrivando a utilizzare sempre colori forti e prepotenti che incantano e fanno innamorare. Questa che abita qui è gente forte, dura, testarda, che non molla mai, che non si arrende davanti a niente, che ha spalle robuste per sopportare l’umidità, le giornate piovose, il freddo delle mattinate passate in attesa della caccia alle anatre, la forza del mare, la fatica della pesca o le zanzare e il caldo che sempre le accompagna, sapendo che ogni gesto compiuto ha una sua logica precisa dettata dall’esperienza e dalla conoscenza di questa natura che interagisce fortemente con chi la vive.



Io e Clara siamo cresciuti in questo ambiente fatto di tanta acqua e poca terra e non ci è stato facile continuare sulla strada tracciata da nostro padre Emiro che ci vede oggi fra i pochi vignaioli di laguna presenti in questa zona cercando ad ogni vendemmia di soverchiare con i risultati la “tradizione” che non aveva previsto su questi argini la presenza della vite. È stato mio padre che ha voluto cocciutamente tutto questo e da buon uomo di laguna, non arrendendosi mai, ha insistito su questo sogno fino all’ultimo suo giorno di vita. Fu dopo il suo rientro in Italia, a seguito di un decennio trascorso da emigrante in Inghilterra, che decise di produrre vino e decise di produrlo dove non si era mai pensato di farlo, convertendo quella poca terra, che al massimo era servita da contenimento e da argine alle acque, a terra per viti. Il vino arrivava da altre zone della regione e nessuno aveva pensato che si potesse fare del buon vino anche qui. La situazione agli inizi degli anni ‘50 non è che fosse così florida per l’economia di questa terra e furono in molti che decisero di emigrare, chi in Australia, chi in Canada o in Inghilterra; nostro padre ci raccontava che aveva trovato impiego in una famiglia inglese molto importante e influente svolgendo per più di dieci anni le mansioni di maggiordomo, mentre mia madre Maria Luigia cucinava per la lady. Ogni centesimo risparmiato veniva spedito a casa e contribuiva ad aumentare il gruzzolo destinato all’acquisto delle terre che il nonno paterno Romano sceglieva accuratamente e intestava a nostro padre. Fu dopo la nascita di mia sorella Clara che i miei genitori presero la decisione di tornare a casa e di accorpare le proprietà comprate con quei risparmi, dando vita all’azienda di famiglia. In questi anni, difficili e duri, standogli accanto ho potuto constatare quanto le sue idee fossero “avanti” rispetto a quelle di tanti altri contadini della zona e quanto quell’esperienza inglese gli avesse consentito di costruirsi nuovi orizzonti e nuove opportunità imprenditoriali senza mai rinunciare al suo grande sogno di riuscire a produrre qui un buon vino. Noi, fin da adolescenti, abbiamo vissuto insieme a lui tutti i momenti difficili che hanno caratterizzato quegli anni duri, nei quali niente è riuscito a dissuaderlo mai dal suo obiettivo primario di fare vino, neanche il vedere quanto fossero scarsi o lenti i risultati rispetto agli investimenti effettuati. Fu così che ci vedemmo costretti a darci da fare tutti, aprendo ora un ristorante qui vicino, ora lavorando la terra o mandando avanti l’itticoltura. Ci sono voluti decenni, ma devo dire che la sua cocciutaggine lo ha ripagato e lo ha portato, dopo aver definito gli obiettivi qualitativi dei vini della sua azienda, a ottenere il riconoscimento della Doc Friuli Annia, che purtroppo annovera ancora pochissimi produttori. Oggi siamo io e mia sorella a continuare sulla strada che lui ha tracciato, cercando di seguire i suoi insegnamenti nella convinzione che quest’aria di laguna non “guasta” poi così tanto il vino che produciamo!

ALTRI VINI I Bianchi: Friuli Annia Tocai Friulano Doc (Tocai Friulano 100%) Friuli Annia Pinot Grigio Doc (Pinot Grigio 100%) Friuli Annia Malvasia Doc (Malvasia 100%)

I Rossi: Friuli Annia Refosco Doc (Refosco dal Peduncolo Rosso 100%) Friuli Annia Merlot Doc (Merlot 100%) Friuli Annia Franconia Doc (Franconia 100%)


Pinot Bianco

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Friuli Annia Pinot Bianco Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Pinot Bianco provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nei comuni di San Gervasio e di Carlino, che hanno un’età media di circa 12 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti che si trovano su terreni misti, composti da terra rossa, sabbia e argilla, si trovano al livello del mare ed hanno un’esposizione nord-sud. UVE

IMPIEGATE:

Pinot Bianco 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

3800 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito nella seconda decade di settembre, le uve sono pressate e sono lasciate macerare per poche ore alla temperatura di 12°C, quindi si procede alla pigiatura e alla decantazione statica del mosto per 12-18 ore, sempre alla temperatura di 12°C. Al termine dell’operazione, e dopo un primo travaso, si inseriscono i lieviti selezionati e si dà avvio alla fermentazione alcolica che si protrae per 8-10 giorni alla temperatura di 18°C in tini di acciaio inox. Quindi si procede all’abbattimento della temperatura fino a 10°C e si svolgono quotidiani sur lies per un intero mese, così da non far svolgere al vino la fermentazione malolattica. Al termine si lasciano risalire le temperature e si lascia maturare il vino fino al mese di aprile dell’anno successivo alla vendemmia quando, dopo un breve periodo di stabilizzazione, è messo in bottiglia per un ulteriore affinamento che si protrae per altri 2 mesi prima della sua commercializzazione. QUANTITÀ

PRODOTTA:

3300 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un colore giallo paglierino tenue, ma brillante, al naso offre lievi profumi di frutta matura e gradevoli sentori floreali, mentre al palato risulta equilibrato, elegante, di buona persistenza; si lascia bere con grande piacevolezza. PRIMA LE

ANNATA:

1998

MIGLIORI ANNATE:

2000 - 2003

NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 1 anno dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra 1 e 3 anni. L’AZIENDA: L’azienda agricola, di proprietà della famiglia Bortolusso dal 1960, si estende su una superficie complessiva di 38 Ha, tutti vitati. Collaborano in azienda l’agronomo Carlo Petrussi e l’enologo Luigino Di Giuseppe.


Sai Rosa, in questo viaggio mi sono chiesto più volte cosa significhi essere donna in Friuli, ma pur cercando di darmi una risposta che si avvicinasse alla verità, credo di non esserci riuscito. Girando per la regione ho creduto di capire che essere donna in Friuli potesse significare essere focolare, legna, fuoco e cenere nel solito tempo; volesse dire essere tutto e niente, pietra e sabbia, “mula” e agnello sacrificale, uva e non vite, farina e non grano, madre e non sempre moglie, sempre dietro, sempre dopo, senza porsi troppe domande, sempre servizievole, accondiscendente e paziente. Ah, ecco, è la pazienza la cosa più importante che ho notato nei loro occhi... Puoi confortarmi con la tua saggezza, cosicché io non possa sbagliare? Credo di aver compreso che su queste terre di confine la pazienza è fonte d’insegnamento, è culto, forse è il collante che tiene unita questa dura società contadina per far sì che in essa tutto rimanga immutato; questa pazienza viene donata alle donne come dote ed esse fin da piccole la accantonano, come un corredo che cresce negli anni, nell’attesa del momento in cui ne avranno bisogno e, sicuramente, ce ne saranno di quei momenti. Ho visto che portavano la pazienza come un peso. Lo si capisce dai gesti, dalle scelte, dagli atteggiamenti con i quali altri si prodigano per far comprendere loro il valore e la sua importanza, arrivando persino a confondere loro le idee e far credere che la pazienza sia sinonimo di saggezza. Poi, quando sono diventate donne, madri, mogli, mi sono accorto che la pazienza è per loro un invisibile fardello, che pesa come una soma che portano appresso, in silenzio, sfoggiandola con dignità come fosse un forte e personale dispiacere di cui è preferibile tacere i contenuti, intorno a cui si percepisce un alone di omertà dif-

B

BOSCO ROSA

Rosa Bosco

ficile da scalfire per uno “straniero” come me. In alcune mi è sembrato addirittura di capire che considerassero quella pazienza quasi come una disgrazia che la fatalità della vita aveva voluto regalare loro e, impotenti davanti alla casualità, forse per non pensare, avessero provato a rifugiarsi nel lavoro, in quello duro che ha segnato prima le mani e poi il viso, quel lavoro stoico che le fa alzare per prime, al mattino, e che le fa andare a letto per ultime, la notte; quel lavoro che non conosce né feste, né ferie, che non consente di creare un distinguo fra i giorni e gli anni, sempre tutti uguali, e non consente di fermarsi a riflettere cosa vi sia in definitiva dentro a tutta quella pazienza. Non so se ho sbagliato in questa mia affrettata disamina sulle donne friulane, anzi quasi sicuramente avrò commesso un grossolano errore, perché guardandoti comprendo che tu sei diversa. È così? No, non del tutto caro Andrea, perché sai, anche per me la pazienza è stata una costante della mia vita, ma nonostante tutto non l’ho mai vissuta come un fardello, forse perché sono stata, e lo sono tuttora, un “caleidoscopio” che ha avuto la fortuna di vivere diverse situazioni - e tutte quante importanti - e di raffrontarmi con loro con spirito libero e poi di avere sia un grande padre, che è stato un maestro perfetto, capace di seguirmi e comprendermi in ogni momento, sia una madre adorabile che mi è stata sempre vicina fornendomi un aiuto fondamentale per allevare i miei figli. Ho passato anch’io dei brutti momenti, come tutti del resto, ma posso dire che ho sempre affrontato la vita con il sorriso, ballando, cantando, facendo attività politica, scrivendo per alcuni giornali, viaggiando per mezzo mondo, misurandomi con



gli altri con la serenità di chi sta bene con se stessa. Ancora oggi, sai, mi alzo al mattino con una grande voglia di fare e, in compagnia dei miei ricordi e dei sogni che ancora numerosi affollano i miei pensieri, mi butto a capofitto in una giornata che sicuramente sarà splendida. Sono felice nello scoprirmi più forte di tutte le avversità che la vita mi ha riservato e questo mi fa sentire leggera e con passo spedito continuo ad andare avanti, trovando la forza e la voglia di fare vino come ho fatto sempre da oltre trentacinque anni. Ecco, è il fare vino quello che forse mi differenzia dalle altre donne friulane. È attraverso il vino che ho trovato una mia personale crescita e una maggiore consapevolezza di essere donna. In questo percorso mi sono costruita i miei punti di riferimento, e li trovo in molte cose che mi circondano, ora in una pianta da far crescere o nei dolci che prepara mia figlia, li trovo nell’intraprendenza di mio figlio o in un fiore che sboccia, in un libro da leggere o nel vino che devo ancora fare. Abbraccio la mia libertà come se fosse una nuova amica appena conosciuta e insieme a lei scelgo cosa fare, cosa mangiare, cosa vedere, leggere, ascoltare o chi vedere: è una libertà che mi dà conforto, sostegno e mi consente di vivere momenti interiori unici, piacevoli, nei quali riesco a pensare alle mie cose, momenti nei quali mi sembra di posizionarmi meglio nei confronti del mondo che mi circonda, predisponendomi al dialogo e concedendomi una maggiore disponibilità verso gli altri. Non so se tutto questo è vicino o lontano dall’idea che tu ti sei fatto guardando negli occhi le altre donne friulane, ma io ti posso assicurare che ho avuto la fortuna di vivere in un modo migliore la mia “pazienza”, anche più di quanto io, “vignaiola” friulana, sia riuscita a raccontarti.


Sauvignon Blanc

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Colli Orientali del Friuli Sauvignon Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Sauvignon provenienti da vigneti posti nei comuni di Buttrio, Manzano e Premariacco, che hanno un’età media di 30 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni composti di solito da marna eocenica ad un’altitudine compresa fra gli 80 e i 150 metri s.l.m. con esposizione sud-est / sud-ovest. UVE

IMPIEGATE:

Sauvignon 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

6000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito nella seconda decade di settembre, le uve vengono adagiate nella pressa pneumatica e lasciate a contatto pellicolare con il mosto per circa 6-8 ore alla temperatura di 8-10°C prima della pigiatura. Il mosto ottenuto viene collocato in barrique nuove dove, una volta inseriti i lieviti selezionati, si dà avvio alla fermentazione alcolica che si protrae per 10 giorni in ambienti termocondizionati a 17°C. Dopo questa fase, il vino viene lasciato a maturare nel legno dove rimane per 6 mesi. Nei primi mesi vengono effettuati bâtonnage due volte a settimana, al fine di movimentare le fecce nobili che sono utilizzate per guidare tecnicamente lo svolgimento della fermentazione malolattica che è fatta svolgere completamente. Di solito nel mese di aprile viene effettuato l’assemblaggio delle partite e, dopo un breve periodo di stabilizzazione in tini di acciaio inox, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento di altri 4 mesi prima di essere commercializzato. QUANTITÀ

PRODOTTA:

8200 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Colore giallo paglierino carico con riflessi dorati; i profumi sono intensi e persistenti di mela e agrumi a cui si aggiungono note erbacee e floreali. Al gusto risulta equilibrato, vellutato, di grande struttura ed eleganza, con un finale di vaniglia molto lungo e persistente. PRIMA LE

ANNATA:

1998

MIGLIORI ANNATE:

1998 - 2001 - 2002

NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 3 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 3 e i 7 anni.


Boscorosso Colli Orientali del Friuli Rosso Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il Boscorosso è una selezione delle migliori uve Merlot provenienti da vigneti posti nei comuni di Buttrio, Manzano e Premariacco, che hanno un’età media di 40 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni composti da marna eocenica ad un’altitudine di 150 metri s.l.m. con esposizione sud-est / sud-ovest.

sa fra i 26 e i 28°C in tini di acciaio, mentre, contemporaneamente si procede anche alla macerazione sulle bucce che si protrae, sempre a temperatura controllata, per altri 4-6 giorni. Terminata questa fase, il vino è posto in barrique di rovere francese, per un 50% nuove e il restante di secondo passaggio, dove effettua la fermentazione malolattica e dove rimane per 24 mesi. Durante questo periodo, se necessario, si effettuano periodicamente dei bâtonnage al fine di ammorbidire i tannini. Al termine dalla maturazione si effettua l’assemblaggio delle partite e dopo un breve periodo di stabilizzazione il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento di altri 4 mesi prima della sua commercializzazione. QUANTITÀ

PRODOTTA:

3000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Colore rosso rubino intenso con riflessi violacei, profumi fruttati di lampone, mirtillo, mora e prugna, a cui si aggiungono nuances di liquirizia e pepe nero. Note erbacee e speziate ritornano anche in bocca dove si evidenziano tannini morbidi e molto eleganti; caldo, equilibrato e strutturato, è lunghissimo e persistente al retrogusto. PRIMA LE

ANNATA:

1999

MIGLIORI ANNATE:

1999 - 2001

NOTE: Boscorosso è un nome di fantasia. Il vino raggiunge la maturità dopo 5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 10 anni.

UVE

IMPIEGATE:

Merlot 100%

L’AZIENDA: L’azienda che porta il nome Rosa Bosco vinifica solo uve provenienti da vigneti e ceppi presi in affitto, con contratti pluriennali, posti sul territorio dei comuni di Prepotto, Manzano e Premariacco. Collabora in azienda svolgendo le funzioni di agronomo e di enologo Donato Lanati.

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

6600 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito a partire dagli ultimi giorni di settembre, e una soffice pressatura, il mosto, dopo aver subìto un salasso del 25% dell’intera massa, viene avviato alla fermentazione alcolica, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, che si protrae per 10-12 giorni ad una temperatura compre-

Rosazzo di Manzano



Ricordo ancora mio padre quando, accorgendosi che sulle sue viti avevo effettuato una vendemmia verde con una massiccia opera di sfoltimento dei grappoli in eccesso, mi rincorse per la vigna con la roncola in mano, minacciandomi di morte. In quell’acceso diverbio si concretizzavano non solo due modi ben distinti di interpretare la viticoltura, ma anche un diverso modo di condurre l’impresa agricola di famiglia. Quello fu un vero e proprio scontro generazionale dove, da una parte c’era Branko, mio padre, che con forza, avvalendosi dall’esperienza che gli aveva consentito il mantenimento del piccolo patrimonio di famiglia e la sopravvivenza della stessa, rifiutava il nuovo, dall’altra parte c’ero io che, volendomi mettere in gioco e avendo acquisito esperienze lavorative in altre aziende vitivinicole come enologo, avevo voglia di trasferire sulla mia terra ciò che avevo imparato altrove, convinto di poter allargare gli orizzonti professionali nella mia azienda. Quello che mi dava una forte carica era il desiderio di misurarmi con il futuro che stava bussando alla porta, così da potermi cimentare seriamente, con le mie idee, nel mondo del vino. Io e mio padre: due generazioni che hanno rischiato seriamente di non capirsi, ma che alla fine si sono unite in un unico obiettivo, quello di riuscire a condurre, con semplicità, l’azienda di famiglia al massimo risultato possibile. Quello che abbiamo fatto, mio padre ed io, è stata una grande impresa. Insieme abbiamo compiuto un duro lavoro di adattabilità reciproca dei nostri due modi d’essere; l’uno e l’altro, fianco a fianco, abbiamo messo in quel processo di

B BRANKO

Branko e Igor Erzetic

crescita l’orgoglio e un quotidiano impegno fatto di sacrifici e rinunce. Con il tempo mi sono accorto di assomigliare molto a quel vecchio che si alza ancora presto al mattino e, con i suoi settantotto anni, lavora in vigna fino a sera con la grinta di chi è convinto di essere immortale. È splendido guardare con quale cura minuziosa si dedichi a ogni sua vite e come stia attento a ogni minimo particolare che possa interagire con il suo lavoro. Più passa il tempo e più mi rendo conto di sentirmi anch’io come lui: un grande appassionato della terra, un amante della campagna e della vite con la quale comprendo di avere un rapporto quasi morboso. Fra questi filari che seguo, con passione maniacale, da vendemmia a vendemmia, scopro delle emozioni uniche e delle note ancestrali, contrastanti, che risultano alcune volte dolci, altre volte amare e sono sicuro che sono le stesse che ha provato e prova tuttora anche mio padre Branko, che però, con il suo carattere chiuso e poco incline alla confidenza, non riuscirebbe mai a spiegare. È fra queste vigne che percepisco e mi godo il miracolo della vendemmia che, ad ogni settembre, si ripete con note magiche sempre diverse a seconda della stagionalità che l’ha preceduta. È qui che mi soffermo per determinare i pro e i contro dei risultati ottenuti; è fra queste vigne che mi sento libero d’immergermi nella natura che mi conduce a silenziosi pensieri, semplici ma profondi, che rimarranno chiusi e muti nel mio cuore. Ormai non mi fermo più a soppesare quanto mi costi tutto questo: se lo facessi fuggirei via. Noi sloveni ci portiamo dentro in modo latente un profondo senso di appartenenza al territorio e a ciò io unisco l’orgoglio di sentirmi vignaiolo. Sono state que-



ste cose che mi hanno trattenuto qui, in questa terra, nonostante il mio desiderio di partire per scoprire nuove cose. Ho imparato che per me è necessario alla fine di ogni vinificazione resettare velocemente dalla mia memoria l’estate appena trascorsa, con quel suo caldo torrido, con la fatica, con le sudate fatte per preparare l’azienda al rito della vendemmia, ora attraverso un controllo quotidiano e minuzioso dello stato di maturazione delle vigne e dell’uva nella speranza che ti possa dare un risultato migliore dall’anno precedente, ora nella sistemazione delle attrezzature che ti agevoleranno nei lavori in cantina. Mesi belli, ma anche duri, caldi, gravosi, vissuti nella preoccupazione che un qualsiasi evento catastrofico possa distruggere il lavoro svolto durante l’anno. È questa trepidazione che mi fa alzare gli occhi al cielo e mi fa sentire vivo. Sdraiato su un prato, fra i filari delle mie vigne, mi fermo a osservare il tempo che farà e in questa riflessione mi perdo nei miei pensieri e in quell’immensità che mi sovrasta che contribuisce a farmi sentire piccolo e impotente davanti alla sua mutevolezza. È in quelle occasioni che scambio due parole con Dio ed è a lui che confido le mie speranze per il risultato finale. Adrenalina, emozioni, misticismo: c’è un po’ di tutto in questo lavoro che ho scelto di vivere e pur sapendo quante siano le variabili che interagiscono con esso e quanto ognuna di esse contribuisca a modificare l’altra, cerco di fare in modo che ognuna contribuisca positivamente al risultato finale e al successo della mia vendemmia, ma a fornire suspense a tutto c’è una stagionalità che so benissimo di non poter controllare e che può modificare o addirittura cancellare tutto il mio lavoro. Piano piano ho imparato a convivere con le nuvole, con il sole, la pioggia, la grandine, il vento, il caldo e il freddo e ho compreso che oltre ad essere elementi che interagiscono con me nelle vigne, incidono profondamente anche sul mio umore. Succede, infatti, che con il sole e il caldo, che contribuiscono alla maturazione delle mie uve, io mi sento allegro con una gran voglia di vivere e di fare l’amore, mentre mi accorgo che la pioggia non è solo un toccasana per la mia terra, ma lo è anche per me, poiché mi consente di rilassarmi, di pensare e di sognare. Il freddo dell’inverno che ferma l’attività operativa e manda in letargo le mie viti e matura in cantina il mio vino, mi fa sentire invece sempre più sereno e meno arrogante con la vita stessa; infatti è davanti a un ciocco di legno che brucia nel camino, con un bicchiere di vino in mano bevuto in compagnia di qualche amico che scopro il mio raggiunto equilibrio.

ALTRI VINI I Bianchi: Collio Chardonnay Doc (Chardonnay 100%) Collio Tocai Friulano Doc (Tocai Friulano 100%) Collio Sauvignon Doc (Sauvignon 100%)

I Rossi: Igt Venezia Giulia Red Branko (Merlot 90%, Cabernet Sauvignon 10%)


Pinot Grigio

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Collio Pinot Grigio Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Pinot Grigio provenienti dai vigneti dell’azienda, posti in località Zegla nel comune di Cormòns, che hanno un’età media di 10 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni profondi tendenzialmente argillosi ad un’altitudine di 100 metri s.l.m. con esposizione a ovest. UVE

IMPIEGATE:

Pinot Grigio 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

5500 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito alla metà di settembre, si procede a una pulizia statica del mosto, con relativa decantazione, alla temperatura controllata di 18°C per circa 12-18 ore. Terminata questa fase di chiarificazione, si inseriscono i lieviti selezionati e si dà avvio alla fermentazione alcolica che si protrae per 7-9 giorni ad una temperatura di 18°C, in recipienti di acciaio inox termocondizionati. Dopo questa fase, parte del vino viene lasciato nei contenitori di acciaio, mentre il 20% è messo in botti di rovere francese da 400 lt. di primo passaggio dove rimane per 4 mesi. Periodicamente vengono effettuati sia dei bâtonnage, per il vino posto nel legno, sia dei sur lies con sistemi meccanici per il vino posto nei tini di acciaio, al fine di movimentare le fecce nobili che sono utilizzate per guidare tecnicamente lo svolgimento della fermentazione malolattica che è fatta svolgere completamente. Di solito nel mese di marzo viene effettuato l’assemblaggio delle partite e, dopo un breve periodo di stabilizzazione e un leggero filtraggio, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento di altri 3 mesi prima di essere commercializzato. QUANTITÀ

PRODOTTA:

13500 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un colore giallo paglierino chiaro; all’esame olfattivo emergono puliti e netti sentori di pera, banana, mallo di noce, essenze floreali e fieno secco con leggere note di tostatura. In bocca è morbido, caldo, di acidità molto discreta; pieno, elegante ed equilibrato, di ottima persistenza. PRIMA LE

ANNATA:

1998

MIGLIORI ANNATE:

1999 - 2000 - 2001 - 2002 - 2003

NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 2 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 2 e i 5 anni. L’AZIENDA: Di proprietà di Igor Erzetic dal 1998, l’azienda agricola si estende su una superficie complessiva di 5 Ha, di cui 4 vitati. Svolge le funzioni di agronomo e di enologo lo stesso Igor Erzetic.




Sono nato nel 1918, ho ottantasei anni compiuti e non mi sento vecchio. Del resto non è forse vero che gli uomini hanno gli anni che si sentono e le donne quelli che dimostrano? Io non penso mai agli anni che ho, perché dentro mi sento ancora una grande energia che cerco di incanalare verso le moltissime cose che mi restano ancora da fare e che mi danno vivacità e una gran voglia di non mollare mai, proseguendo a navigare, speditamente, in questo splendido oceano di lacrime che è la vita. Iniziai a lavorare come garzone settantadue anni fa e ricordo che quella fu l’unica mia esperienza da dipendente, un lavoro che forse avrei dovuto difendere maggiormente, viste le insignificanti opportunità che offriva l’Italia di quei primi anni Trenta, ma devo assicurare che quella dipendenza non mi piaceva. Avrei voluto essere libero di poter scegliere la rotta sulla quale navigare senza dover chiedere il permesso a nessuno. Fu così che lasciai quel lavoro e, dando retta al mio istinto, incominciai a fare l’ambulante. Avevo appena sedici anni, ma, nonostante la mia giovane età, non c’era un solo mercato della regione che non mi vedesse presente almeno una volta al mese e tutte le fiere erano mie. Mi alzavo prestissimo, quando era ancora buio e l’alba lontana da venire e, dopo aver sistemato le confezioni dei berretti di lana nella cassettina posta sul portapacchi della bicicletta, controllavo accuratamente il mio mezzo di locomozione, quindi partivo, pedalando tenacemente per la mia destinazione che, qualche volta, era talmente distante che impiegavo molte ore prima di raggiungerla. Provenivo da una famiglia di sarti, ma in quegli anni Caerano di San Marco a Treviso, dove sono nato

C

CA’ RONESCA

Sergio Comunello

e dove vivevamo, non offriva molto lavoro e fu così che decidemmo di commercializzare manufatti da noi prodotti che fossero in grado di incrementare il reddito di casa. Pedalavo ogni giorno e ogni giorno mi sobbarcavo decine e decine di chilometri andando in giro con i miei berretti di lana. Mi ricordo che, sempre più spesso, mi sentivo stanco di quel mio continuo girovagare per piazze e mercati. Provai quindi a giocare la carta dell’ingrosso, cercando di piazzare i miei berretti nei negozi, in modo da aumentare le vendite di quel prodotto che piaceva alla gente. Fu a Bassano del Grappa che entrai per la prima volta in un negozio con in mano il mio campionario. Ricordo che ero tesissimo e, per paura di sbagliare, mi ero scritto il prezzo che avrei dovuto chiedere, in caso d’ordine, sul frontino dei berretti. Sartori, si chiamava così quel primo cliente, dopo aver esaminato accuratamente la merce, mi ordinò ben 86 berretti. Quella commessa significava per me la più importante vendita fino a quel momento realizzata che, devo dire, ebbe un effetto dirompente sulla mia vita e sulle fortune della mia famiglia, contribuendo a modificare sostanzialmente il mio approccio al lavoro e al mercato. Con i miei fratelli Brino e Renzo e con le mie sorelle Camilla ed Eleonora realizzammo un’attività importante per Caerano di San Marco, nella quale venne coinvolta tutta la forza lavoro del nostro paese. Pochi anni dopo, mentre i berretti andavano benissimo, incominciarono ad arrivare alla nostra sartoria anche le prime commesse per il confezionamento di molti vestiti e pantaloni per i coloni italiani in Africa. Quegli importanti ordinativi ci fecero abbandonare il “gioco dei cappelli” e così ci concentrammo nella costituzione di un’importante industria manifatturiera che,



nei primi anni Cinquanta, contava diversi stabilimenti e che, di lì a poco, si trasformò nella Sanremo confezioni S.p.A. che arrivò a contare quasi 6000 dipendenti. Sono passati molti anni e, ormai, non sono più un capitano d’industria, ma tengo ancora ben saldo in mano il timone di quelle aziende che ho creato e ritenuto opportuno tenere sotto il mio comando. Aziende che sono in grado ancora oggi di divertirmi, nelle quali continuo a provare emozioni e con le quali costruisco progetti importanti per il futuro. Una di questa è sicuramente Ca’ Ronesca, dove cerco, provo e voglio fare “il vino”, quello buono, di qualità, un obiettivo che desidero raggiungere con la grinta e l’entusiasmo che mi hanno sempre caratterizzato e che mi hanno consentito di rincorrere con soddisfazione, per settantadue anni, il miglior risultato possibile. Non so quale sia stata la molla che mi ha avvicinato al mondo del vino o a questa terra del Collio. Credo in ogni modo che una delle cause debba essere ricercata nel fatto che il vino è come un tessuto, un elemento vivo che si muove e ha una propria anima; è un prodotto che, come una stoffa di sartoria, bisogna saper modellare e gestire, di cui bisogna capire il verso, la rigidità o la morbidezza, per realizzare un’opera che si adatti perfettamente a chi saprà apprezzarne tutte le qualità. Quindi, sarto per nascita e vignaiolo per adozione: due modi di interpretare la creatività e la vita, giocando e divertendomi seriamente nel fare quello che desidero, nel rispetto di quanti mi sono stati vicini e hanno capito il valore di questo capitano al quale, pur sbagliando, non si può rimproverare il coraggio di aver provato a fare le cose. ALTRI VINI I Bianchi: Collio Bianco Doc Sermar (Pinot Bianco 50%, Tocai Friulano 25%, Ribolla Gialla 25%) Colli Orientali del Friuli Sauvignon Doc Podere di Ipplis (Sauvignon 100%)

I Rossi: Collio Cabernet Franc Doc Podere San Giacomo (Cabernet Franc 100%) Colli Orientali del Friuli Rosso Doc Sariz (Pinot Nero 30%, Refosco dal Peduncolo Rosso 30%, Cabernet Sauvignon 15%, Cabernet Franc 15%, Merlot 10%)

Colli Orientali del Friuli Picolit Doc (Picolit 100%) Bianco Dolce Vdt Saramago (Riesling Renano 60%, Verduzzo Friulano 20%, Picolit 20%)


Marnà

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Collio Bianco Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il Marnà è un blend delle migliori uve Pinot Bianco, Malvasia Istriana e Chardonnay provenienti dai vigneti di Lonzano, di proprietà dell’azienda, posti nel comune di Dolegna del Collio, che hanno un’età media di 30 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni marnosi con tendenza argillosa ad un’altitudine di 120 s.l.m. con esposizione a est-ovest. UVE

IMPIEGATE:

Pinot Bianco 80%, Malvasia Istriana 15%, Chardonnay 5%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

4500 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito nella seconda e nella terza decade di settembre, e dopo una lieve pigiatura, si avvia la criomacerazione pellicolare del mosto che si protrae per 5 ore alla temperatura di 8°C, al termine della quale si procede alla pressatura. I mosti ottenuti, separatamente per ogni varietà, sono lasciati decantare ad una temperatura controllata di 8-10°C per circa 12 ore. Terminata questa fase, si inseriscono i lieviti selezionati e i vini svolgono in barrique di rovere francese di secondo passaggio la fermentazione alcolica, che dura 15 giorni ad una temperatura di 16-18°C. Durante i 15 mesi di maturazione in legno, vengono effettuati periodicamente dei bâtonnage per movimentare le fecce nobili che sono utilizzate per guidare tecnicamente lo svolgimento della fermentazione malolattica che è fatta svolgere completamente. Al termine di questo lungo periodo viene effettuato l’assemblaggio delle partite e, dopo un breve periodo di stabilizzazione in tini di acciaio, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento che si protrae per altri 4 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

4000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Colore giallo paglierino carico con sfumature verdi; i profumi, intensi e avvolgenti, spaziano tra fiori bianchi, frutta esotica e miele. Molto complesso e raffinato in bocca, dove conferma le sensazioni avvertite al naso a cui si aggiungono sentori di pera, vaniglia, nocciola e mandorle dolci. Sapido, morbido, elegante, strutturato e di lunga persistenza. PRIMA LE

ANNATA:

1993

MIGLIORI ANNATE:

1995 - 1999 - 2000 - 2001

NOTE: Il vino, che ha un nome legato alla terra da cui trae origine, raggiunge la maturità dopo 3-4 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 4 e i 6 anni.


Il vino senza qualità Collio Chardonnay Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino senza qualità è una selezione delle migliori uve Chardonnay provenienti dai vigneti di proprietà dell’azienda, posti in località Lonzano nel comune di Dolegna del Collio, che hanno un’età media di 20 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni marnosi con tendenza argillosa ad un’altitudine di 120 s.l.m. con esposizione a sud / sud-est.

si dà avvio alla fermentazione alcolica che è svolta parte in vasche di cemento e parte (quello raccolto sulla marna) in barrique di rovere francese di secondo passaggio per un periodo di 18 giorni ad una temperatura di 18°C. Durante gli 8 mesi di maturazione, periodicamente vengono effettuati dei bâtonnage per il vino che è in legno, e dei sur lies con sistemi meccanici, per il vino che è in cemento, al fine di movimentare le fecce nobili che sono utilizzate per guidare tecnicamente la fermentazione malolattica che è fatta svolgere completamente. Di solito nel mese di maggio dell’anno successivo alla vendemmia viene effettuato l’assemblaggio delle partite e, dopo un breve periodo di stabilizzazione in tini di acciaio, il vino è messo in bottiglia per un ulteriore affinamento che si protrae per altri 3 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

4000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino, che si presenta di un colore giallo paglierino carico con riflessi verdi, evidenzia al naso intensi e complessi sentori di frutta esotica, pesca a pasta bianca, vaniglia e spezie. All’esame gustativo è ampio, morbido, caldo ed equilibrato, lasciando in bocca un piacevole retrogusto di burro e vaniglia. PRIMA LE

ANNATA:

2002

MIGLIORI ANNATE:

2002 - 2003

NOTE: Il nome del vino è un omaggio al romanzo di Robert Musil L’uomo senza qualità, oltre che un’ironica provocazione all’abuso del termine “qualità”. Raggiunge la maturità dopo 2-3 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 3 e i 5 anni.

UVE

IMPIEGATE:

Chardonnay 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

L’AZIENDA: Di proprietà di Sergio Comunello dal 1972, l’azienda agricola si estende su una superficie complessiva di 100 Ha, di cui 52 vitati e il resto occupati da boschi. Collaborano in azienda l’agronomo Marco Simonit e il suo team. L’enologo è Franco Dalla Rosa.

4200 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito in due parti nella terza settimana di settembre, a seconda dello strato più o meno roccioso del terreno, le uve vengono pressate e il mosto ottenuto viene lasciato decantare a una temperatura controllata di 10°C per circa 12 ore. Terminata questa fase, sono inseriti i lieviti selezionati e

Dolegna del Collio



Caro Federico, mi sorprendo sempre nel ricordare la quantità di cose che ho fatto nella mia vita, ma mi sorprende ancora di più constatare la voglia che ancora ho di pensare al futuro, come se a ottantatre anni avessi davanti a me moltissimo tempo e un’ infinità d’occasioni. Memorie che, come sai, non mi gravano, anzi accompagnano piacevolmente le mie giornate e contribuiscono a mantenermi uno spirito giovane che mi consente di continuare a progettare e costruire un domani per questa azienda, alla quale tengo molto, viaggiando se necessario e spostandomi in modo autonomo, come farò presto per venirti a trovare a Genova, la nostra città, magari utilizzando la tua Porsche, se me lo concedi. Sono sempre stata incline a rimuovere dalla mente i brutti ricordi costruendo, invece, intorno alle esperienze positive del passato, un bel ponte per tutto quello che avrò il piacere di fare nel futuro, quindi non mi dilungherò a raccontarti i fatti negativi che ho provato sulla mia pelle; so che potresti anche non capirli e, per farlo, dovresti averli vissuti sulla tua pelle, ma questo non è possibile: sei ancora giovane, caro nipote. Ti ricordi quando mi chiedevi quali fossero le fasi più importanti e gli eventi che avevano contraddistinto la mia vita? Colgo l’occasione di questa lettera per dirti che è nell’azienda di mia madre che ho i ricordi più importanti, quelli legati alla mia adolescenza, quando con lei, Anna, e mio padre, Zuliano, si viveva questa ruralità a contatto con i mezzadri che mandavano avanti la campagna. Là si sviluppava un’agricoltura promiscua con la pre-

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CASA ZULIANI

Federico Frumento e Bruna Zuliani

senza di colture come il fieno, il grano, i cereali, le verdure e la vite, ma anche con l’allevamento di mucche e cavalli, oltre alla coltura del gelso, utile per l’allevamento del baco da seta. La bachicoltura, devi sapere, fu praticata assiduamente in azienda fino alla metà degli anni Cinquanta, quando il vecchio filatoio qui vicino, di cui noi conserviamo il portone, fu chiuso. Spettatori silenziosi di questi miei ricordi sono il secolare cedro e la vecchissima magnolia, due splendidi ed enormi alberi che riempiono, con la loro imponente presenza, il giardino di casa Zuliani, qui a Farra, e ai quali non voglio siano mai tagliati i rami, a qualsiasi altezza crescano. È in questo giardino, dove è trascorsa gran parte della mia vita, che si sono vissuti attimi importanti della storia del Friuli, come la firma il 29 Aprile 1945 dello scioglimento del Litorale Adriatico alla presenza del generale inglese Clark. Grandi chiome sotto le quali si sono svolti piccoli drammi e passioni e che, silenziose, hanno assistito alle mie lacrime e ai miei sorrisi, al via vai dei vinti e dei vincitori di quella stupida guerra che ho avuto la disgrazia di vivere: dall’arrivo alla fuga dei tedeschi, al transito dei partigiani, alla lunga permanenza degli inglesi che caratterizzarono le serate nella nostra casa, con le loro stranezze, le loro manie di portarsi sempre dietro vecchi mobili, non che con le loro follie come quando, durante un bombardamento, mi chiesero se avessimo una “spiritiera” da poter utilizzare per fare delle crêpes suzette. Quella loro frivola richiesta stemperò la tensione del bombardamento e rammento che, da quella sera, incominciammo a giocare a Pinnacolo, stringendo con quegli ufficiali un rapporto di grande rispetto. Il generale inglese continuò addirittura a scrivermi anche dopo il conflitto, per molti anni ancora, come se fossimo stati vecchi compagni di scuola.



Finita la guerra, le mie visite in azienda divennero sempre più rare. Dopo il matrimonio con il nonno Silvio Mazzola mi trasferii definitivamente a Genova; lui difficilmente poteva lasciare la sua industria di trasformazione del tonno, ma io appena potevo non perdevo occasione per ritornare in queste terre. Ricevevamo a casa i rendiconti periodici dell’azienda da parte di Romedio, un vecchio e saggio contadino, capo spirituale delle famiglie di contadini che lavoravano per noi; Romedio ci teneva informati con delle lunghe e commoventi lettere, stracolme di “orrori” di ortografia, sull’esito della trebbiatura o della vendemmia. Era un gran lavoratore, aveva un grande rispetto degli altri e delle cose degli altri, era educato ma non sottomesso, e aveva in sé i due grandi pregi del popolo friulano: l’onestà e l’abnegazione al lavoro. Ricordo che, a quei tempi, la vita nella campagna del Friuli era difficile e anche la conduzione della nostra azienda risentiva di quel momento negativo. Quello splendido personaggio fu sostituito, per molti anni, da un’altra persona che contribuì a mandare avanti l’azienda: non avevo un buon rapporto con lui, quello che mi dava fastidio di quell’uomo non era il fatto che potesse approfittare della sua posizione per danneggiarmi, quanto la viscida capacità che aveva di farmi sentire ospite in casa mia. Decisi così di interrompere quel rapporto. Ma cosa fare dell’azienda? Dubbi e perplessità mi attanagliarono per un paio di anni. Non è che avessi bisogno di vivere con il suo reddito che era appena sufficiente ad auto-finanziarsi, e allora? Nel 1989 decisi insieme al nonno di trasformarla e a 68 anni incominciai a piantare vigne e comprare terreni; rifeci la cantina e mi misi a fare vino sul serio, come se lo avessi sempre fatto, come se l’indomani avessi dovuto vincere il premio come miglior produttrice del Friuli. La cosa mi galvanizzò, mi entusiasmavo davanti a quelle continue novità su cui giornalmente dovevo discutere e decidere. Mi piaceva quello che facevo e mi piaceva anche il vino che incominciava ad essere prodotto dalle mani esperte di un enologo, che seguiva la parte tecnica. Era importante poter costruire un futuro per questa azienda, così da potermi divertire negli ultimi anni della mia vita con qualche cosa che mi appassionava molto come il mondo del vino. Una volta rimasta sola, dopo la morte del nonno nel 1998, come ti avrà raccontato tua madre, decisi di lasciare Genova per tornare a vivere nella casa materna. Sono passati alcuni anni ed oggi ho deciso di scriverti, perché vorrei che tu venissi a lavorare a Casa Zuliani, che tu mi affiancassi, che tu lasciassi quella Genova un po’ sorniona e decidessi di diventare grande accanto a tua nonna. Anche se non lo ammetto, sto diventando vecchia e credo che qui ci sia bisogno di te. Sono sicura che, se mi risponderai affermativamente, t’impegnerai al mio fianco per proseguire sulla strada che ho tracciato, al fine di vedere fra vent’anni dove saremo arrivati insieme. Tua nonna Bruna ALTRI VINI I Bianchi: Collio Tocai Friulano Doc (Tocai Friulano 100%) Collio Pinot Bianco Doc (Pinot Bianco 100%) Collio Sauvignon Doc (Sauvignon 100%)

I Rossi: Collio Merlot Doc (Merlot 100%)


Winter

81

Collio Rosso Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il Winter è un blend delle migliori uve Merlot, Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nel comune di Farra d’Isonzo, che hanno un’età media di 15 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni marnoso-argillosi ad un’altitudine di 60 metri s.l.m. con esposizione a sud / sud-est. UVE

IMPIEGATE:

Merlot 50%, Cabernet Sauvignon 25%, Cabernet Franc 25%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

4500 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito dal 25 settembre al 15 ottobre, si procede alla pressatura soffice delle uve e si avvia il mosto alla fermentazione alcolica che si protrae per 7 giorni ad una temperatura compresa fra i 18 e i 20°C in recipienti di acciaio inox, mentre contemporaneamente si procede anche alla macerazione sulle bucce che dura altri 10-12 giorni con frequenti rimontaggi e délestage. Terminata questa fase, il vino viene posto per 14 mesi in barrique di rovere francese, nuove per il Merlot e per il Cabernet Sauvignon, di secondo passaggio per il Cabernet Franc, dove effettua la fermentazione malolattica. Trascorso questo periodo, viene effettuato l’assemblaggio delle partite e dopo 6 mesi di stabilizzazione in tini di acciaio, il vino è imbottigliato, senza filtraggio, per un ulteriore affinamento di altri 2 mesi prima di essere messo in commercio. QUANTITÀ

PRODOTTA:

4300 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Bel colore rosso rubino; all’esame olfattivo presenta profumi intensi e persistenti di frutti rossi maturi, pepe nero e tabacco. In bocca è elegante e di struttura; lungo e decisamente persistente al retrogusto. PRIMA LE

ANNATA:

2000

MIGLIORI ANNATE:

2001

NOTE: Il vino, il cui nome è un omaggio alla vecchia proprietà, la famiglia Winter di Vienna, raggiunge la maturità dopo 4 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 4 e i 10 anni. L’AZIENDA: L’azienda agricola, di proprietà della famiglia Zuliani dal 1923, si estende su una superficie complessiva di 23 Ha, di cui 19 vitati e i restanti occupati da prato. Collaborano in azienda l’agronomo Marco Simonit e l’enologo Gianni Menotti.


Ci sono tre modelli di forma mentis che regolano i comportamenti e gli obiettivi di chi opera nel mondo del vino. Tre modi di pensare e di ragionare, molto contrastanti fra loro, con i quali una variegata schiera “d’imprenditori agricoli” agisce e promuove il proprio vino. Atteggiamenti diversi rispetto a quelli del mondo imprenditoriale dove sono cresciuto e con il quale sono abituato a misurarmi, come quello che riguarda l’impresa di famiglia delle sedie, trasformatasi in industria mobiliera e nella quale io oggi opero. In quell’imprenditoria le cose sono molto più dirette, precise, lineari e si basano su uno schietto e duro confronto fra la domanda e l’offerta. Entrando nel mondo del vino ho notato che al suo interno intervengono invece altri fattori che vedono coinvolti sia l’area tecnica vitivinicola, sia la cultura degli uomini che la praticano. In quest’universo c’è la forma mentis del contadino-vignaiolo che, basandosi sulla tradizione orale trasmessagli dalle generazioni che lo hanno preceduto e sull’esperienza delle vendemmie alle quali ha partecipato, si è saputo conquistare, con sacrifici e abnegazione, uno spazio d’ascolto nel mercato del vino. Sicuramente il suo è un grande risultato, importante, il suo punto d’arrivo. Per lui è stata una battaglia vinta sul campo, attraverso il sudore, non monetizzabile, della propria fronte che gli ha consentito di fare investimenti e costruirsi credibilità e rispetto. L’altra forma mentis è quella del commerciante di vini, forse proprio quello che più di altri ha contribuito a costruire, negli ultimi quarant’anni, il mercato del

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CASTELLO DI SPESSA

Loretto Pali

vino. Con ogni mezzo si è mosso per valorizzare il vino prodotto da altri, impegno che piano piano si è modificato non appena si è accorto delle enormi potenzialità che lo stesso mercato offriva. È così che la forma mentis del commerciante di vini si è orientata verso scelte imprenditoriali molto complesse che oggi lo vedono impegnato nella gestione dell’intera filiera produttiva. La sua è una mentalità commerciale che sa riconoscere le sfumature della domanda e ad essa sa contrapporre un’adeguata offerta. La sua è una mentalità che si basa sul gap esistente fra il numero di bottiglie prodotte e quelle vendute e sa benissimo, a differenza di altri, quanto sia importante anche per una azienda agricola che “due più due faccia quattro”. Questo splendido ragioniere del vino sa sempre come muoversi ed è sempre un passo avanti agli altri e con grande intelligenza, dopo aver creato un valore aggiunto al vino commercializzato, si trova ora a valorizzare anche la sua attività agricola. C’è poi la terza forma mentis, quella che appartiene all’imprenditore che ha costruito la propria “fortuna” lontano dalle vigne e che si è accostato al vino per divertimento, per passione, per il gusto di sperimentarsi intorno a un prodotto che non è catalogabile come gli altri con i quali è abituato a ragionare e proprio per il fatto che non è schematizzabile, lo appassiona enormemente. Sa bene che il vino non può essere inserito dentro rigide formule e non risponde sempre ai bisogni o ai desideri. Con il passare degli anni comprende che il vino riesce a interpretare bene solo la stagionalità che varia con lui di anno in



anno, come sa bene che il vino non riesce a rispettare né complicate strategie, né obiettivi precostituiti. Si accorge, piano piano, che il suo vino lo ha stregato e confuso, fino al punto di fargli dimenticare sovente di doverlo rendicontare, godere del piacere di fare vino e di offrirlo, accontentandosi invece del pareggio economico per la sua azienda agricola. Tre modi di ragionare e tutti e tre validi, ognuno con una propria logica e con una strategia e determinazione nel raggiungimento degli obiettivi. Tre modi di interpretare la viticoltura e di accostarsi al vino e di rispondere alla sollecitazione che il mercato globale oggi esercita, come quella di saper costruire un “sistema” comune in grado di offrire opportunità al territorio e a tutti quelli che su di esso operano. Ma in questo Friuli, dove tutti si sentono “prima voce” di un coro che altri dovrebbero pensare a organizzare, nessuno si adopererà mai per valorizzare questo lembo d’Italia che ha riacquisito, ormai, la sua centralità rispetto all’Europa, sempre più allargata a Est. Io sono nato in campagna in un piccolo centro, San Giovanni al Natisone, e con il passare degli anni ho scoperto di avere la terra nel sangue. Quando riesco a trascorrere diversi giorni a suo contatto sento che acquisisco più serenità e scopro in me una piacevole sensazione d’equilibrio. Sicuramente è come membro della terza forma mentis che mi sono accostato alla viticoltura e col passare del tempo ho scoperto sempre più, di avere dentro di me una forte predisposizione che si è trasformata, via via, in autentica passione per la campagna. È per questo che mi adopero con tutte le forze per tutelare l’ambiente nel quale prima o poi verrò a vivere. Diventa sempre più importante per me stare a contatto con la natura e non ha importanza se intorno al Castello di Spessa c’è la vite o l’olivo, potrebbe esserci qualsiasi altro tipo di coltura, non cambierebbe nulla. Per me è importante l’ambiente, la ruralità che esso sa sprigionare, che m’infonde un profondo senso di libertà e mi appaga come nessuna altra cosa riesce a fare. È fra queste basse colline del Collio che io ritrovo me stesso e la gioia di certe piccole emozioni che pensavo di aver perduto, è qui che mi riapproprio dei ricordi della mia infanzia e, con essa, di quella miriade di ricordi che sarebbe lungo elencarvi. Con il passare degli anni ho capito che la terra è una brava psicologa, aiuta nei rapporti fra le persone e mette tutti a proprio agio; è tramite essa, infatti, che riesco a instaurare con i miei ospiti rapporti più amichevoli che migliorano ulteriormente una volta approfonditi davanti a un buon bicchiere di vino, vincendo sovente anche la mia innata riservatezza friulana.

ALTRI VINI I Bianchi: Collio Pinot Bianco Doc (Pinot Bianco 100%) Collio Pinot Grigio Doc (Pinot Grigio 100%) Collio Ribolla Gialla Doc (Ribolla Gialla 100%)

I Rossi: Collio Rosso Doc Conte di Spessa (Merlot 75%, Cabernet Sauvignon 20%, Cabernet Franc 5%) Collio Merlot Doc Torriani (Merlot 100%)


Tocai Friulano

85

Collio Tocai Friulano Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Tocai Friulano provenienti dai vigneti dell’azienda, situati nel comune di Capriva del Friuli, che hanno un’età media di 15 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni composti da marne e arenarie ad un’altitudine di circa 60 metri s.l.m. con esposizione a sud-est. UVE

IMPIEGATE:

Tocai Friulano 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

5500 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene nell’ultima decade di settembre, segue una soffice pressatura e quindi il raffreddamento del mosto con decantazione statica ad una temperatura controllata di 16°C per circa 24 ore in vasche di acciaio inox. Terminata questa fase si inoculano i lieviti selezionati e si procede alla fermentazione alcolica, che si protrae per circa 20 giorni alla temperatura controllata di 18°C, sempre in tini di acciaio, dove il vino rimane per 7 mesi durante i quali vengono effettuati dei sur lies al fine di movimentare le fecce nobili che sono utilizzate per favorire la fermentazione malolattica, che è fatta svolgere totalmente. Nel mese di maggio dell’anno successivo alla vendemmia viene effettuato l’assemblaggio delle partite e, dopo un breve periodo di stabilizzazione in tini di acciaio, il vino è messo in bottiglia per un ulteriore affinamento che si protrae per altri 2 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

3000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Colore giallo paglierino, al profumo presenta un bouquet particolarmente articolato: è armonico, fresco, ha sentori di mandorla amara con un sottofondo di glicine, rosa e burro; in bocca è grasso, morbido, complesso e profondo. PRIMA

ANNATA:

1990

LE MIGLIORI ANNATE: 1999 - 2000 - 2001 - 2002 - 2003 NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 2 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 2 e i 4 anni.


Segrè Collio Sauvignon Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il Segrè è una selezione delle migliori uve Sauvignon provenienti dai vigneti dell’azienda, situati nel comune di Capriva del Friuli, che hanno un’età media di 15 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni composti da marne e arenarie ad un’altitudine di 60 metri s.l.m. con esposizione a sud-est.

Terminata questa fase si inoculano i lieviti selezionati e si dà avvio alla fermentazione alcolica, che si protrae per circa 20 giorni alla temperatura controllata di 18°C, sempre in tini di acciaio, dove il vino rimane per 7 mesi durante i quali vengono effettuati dei sur lies al fine di movimentare le fecce nobili che sono utilizzate per favorire la fermentazione malolattica, che è fatta svolgere totalmente. Nel mese di maggio dell’anno successivo alla vendemmia viene effettuato l’assemblaggio delle partite e, dopo un breve periodo di stabilizzazione in tini di acciaio, il vino è messo in bottiglia per un ulteriore affinamento che si protrae per altri 2 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

4000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino, di colore giallo paglierino, si presenta al naso con una varietà di profumazioni che ne esaltano la freschezza e il bouquet spazia dai sentori vegetali di sambuco, salvia e foglia di pomodoro, a quelli bellissimi di anice e glicine in fiore. Al palato le sensazioni gustative si armonizzano perfettamente con ciò che è stato avvertito al naso e ne esaltano l’eleganza, l’equilibrio e la raffinatezza. PRIMA LE

ANNATA:

1999

MIGLIORI ANNATE:

2000 - 2001 - 2002 - 2003

NOTE: Il vino, che prende il nome da un vecchio proprietario del castello, raggiunge la maturità dopo 2 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 2 e i 4 anni.

UVE

IMPIEGATE:

Sauvignon 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot e cordone speronato DENSITÀ

DI IMPIANTO:

5500 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene in due tempi alla metà e alla fine di settembre, si procede a una criomacerazione pellicolare del mosto che si protrae per 12 ore a una temperatura di 5°C alla quale fa sèguito una soffice pressatura e quindi una decantazione statica del vino che si protrae per 30 ore alla temperatura controllata di 18°C.

Capriva del Friuli


Casanova

87

Collio Pinot Nero Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il Casanova è una selezione delle migliori uve Pinot Nero provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nel comune di Capriva del Friuli, che hanno un’età media di 12 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni composti da marne e arenarie ad un’altitudine di 70 metri circa s.l.m. con esposizione a sud.

altri 15 giorni durante la quale si procede all’innalzamento graduale delle temperature che vengono fatte salire fino a 28°C. Terminata questa fase, al vino viene fatta svolgere la fermentazione malolattica e successivamente è posto in barrique di rovere francese di Nevers, Allier e Tronçais dove rimane 24 mesi per la maturazione. Trascorso questo tempo, viene effettuato l’assemblaggio delle partite in vasche di acciaio inox, poi, senza alcun filtraggio, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento che si protrae per altri 10 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

4000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un colore rosso rubino scuro con profumi di frutti di bosco neri ancora acerbi; via via si apre a piacevoli sentori di spezie come cannella e pepe. Al palato risulta caldo, avvolgente, vellutato, equilibrato e di corpo; di grande struttura, lunghezza e persistenza. PRIMA LE

ANNATA:

1998

MIGLIORI ANNATE:

1999 - 2001

NOTE: Il vino, il cui nome è una dedica a Giacomo Casanova, l’avventuriero veneziano che fu ospite al Castello di Spessa nel 1773, raggiunge la maturità dopo 5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 10 anni.

UVE

IMPIEGATE:

Pinot Nero 100%

L’AZIENDA: Il proprietario del Castello di Spessa è, dal 1990, Loretto Pali. La superficie complessiva dell’azienda è di 54 Ha, suddivisi in 28 Ha vitati, 20 occupati da un rigoglioso parco e 6 da bosco e seminativi. Collaborano in azienda l’agronomo Marco Simonit e l’enologo Domenico Lovat.

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

5500 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito nella prima decade di settembre, si avvia la fermentazione alcolica che si protrae per circa 10 giorni ad una temperatura di 16°C in recipienti di acciaio inox, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, mentre contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce che prosegue per

Capriva del Friuli


Sono sempre stato un curioso e attento osservatore di tutto ciò che mi circonda. Quando la famiglia Terraneo mi propose di entrare a far parte della sociètà che avrebbe gestito questa azienda vitivinicola, quasi 120 ettari con 40 ettari di vigneto sulle colline del Carso Goriziano che dominano il mare, Aquileia, Grado e Lignano, il fatto mi incuriosì, poiché erano in molti a ritenere il Carso una zona molto difficile per la viticoltura. Come enologo, quella proposta suonò come una sfida e come una buona occasione per dimostrare il contrario e fu così che volli osservare attentamente le reali potenzialità che quella tenuta poteva avere, nel presente e nel futuro. A convincermi non ci volle molto e, a prescindere dalla economicità dell’azienda, che mi risultò subito evidente in proiezione futura, fu l’ambiente a stregarmi. Tutto mi sembrava fuori del tempo, etereo: da una parte una villa del ‘600, dimora di Re e Imperatori, dall’altra un ambiente incontaminato con speroni di roccia che affioravano e si scagliavano verso il cielo, querce secolari, cipressi e un panorama mozzafiato che abbracciava tutto il golfo di Trieste, fino a Venezia, alla Slovenia e all’Istria. A spronarmi ad accettare la proposta ci pensò Mirella, moglie di Leopoldo Terraneo, la quale, innamorata delle bellezze di Castelvecchio, contribuì a trasmettermi il suo entusiasmo e la sua energia che scacciarono immediatamente quei pochi dubbi che avevo. Passato l’entusiasmo iniziale, la realtà nella quale mi stavo calando si dimostrò subito molto diversa e più complicata del previsto. Presto mi trovai a lavorare in un’azienda che si trovava in un generale stato d’abbandono. Molte cose, negli

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CASTELVECCHIO

Giovanni Bignucolo con Mirella Terraneo e le figlie Isabella e Benedetta

anni, erano state lasciate andare in malora e richiedevano non solo restauri strutturali, ma anche altri tipi d’intervento, più complessi, d’impostazione, essendo l’intera filiera produttiva ancorata a concetti vecchi e ormai obsoleti. Era strano, infatti, che, pur producendo in maggioranza vini rossi, in cantina non vi fosse l’ombra di una barrique o di una botte, così come era strano che gli stessi impianti vitati, oltre a non corrispondere ai canoni di una viticoltura di qualità già da tempo in auge un po’ ovunque, presentassero un allevamento a spalliera alto, adatto a zone molto umide, ma non certamente a questa. Ma il lavoro che mi attendeva non mi spaventava. Avevo davanti, infatti, tutto il tempo che desideravo per fare le cose necessarie a migliorare l’esistente. Quello che mi entusiasmava, più di ogni altra cosa, era l’idea di accrescere la mia esperienza di enologo lavorando in una viticoltura difficile come è quella che si vive qui nel Carso, dove tutto è complicato, dove impiantare un ettaro di vigna richiede tempi e costi enormi, il triplo di quelli necessari in altre zone. Qui è tutto diverso. Non è come dalle altre parti dove si fa lo scasso e si piantano le viti e, tutt’al più, si accudiscono per un po’, fino a quando le radici non sono diventate forti. Qui bisogna scavare una fossa nella roccia, profonda quasi un metro, larga altrettanto, a mo’ di trincea, e per farla bisogna lavorare con il martello pneumatico, con i bulldozer e la dinamite; lo scasso poi, tolte le pietre, deve essere riempito con la stessa terra rossa prelevata dalle doline, scambiata con la roccia frantumata e sistemata per la messa a dimora delle viti, avendo la certezza che non vi sarà nessuna infiltrazione, umidità o un solo filo d’acqua dal sottosuolo che potrà in qualche modo facilitare la sua crescita vegetativa.



Mi piaceva la sfida e già mi immaginavo come una sorta di scultore, mago o alchimista che riusciva a trasformare la pietra in vino. Roccia, terra rossa e vento di bora che asciuga e rende salubre la viticoltura erano solo alcuni degli elementi naturali che avrebbero contribuito a caratterizzare i vini di Castelvecchio: dovevo solo cercare di metterli a regime, comprenderne le sfumature per correlarle all’esperienza da me accumulata nelle precedenti 23 vendemmie condotte come direttore e responsabile tecnico dell’azienda di Marco Felluga, così da incidere fortemente nella caratterizzazione del terroir di questa azienda. Speravo che, oltre al mix di componenti naturali sopra indicati, vi fossero altri elementi che potessero giocare a nostro favore, e uno di questi sicuramente era da ricercare nelle specifiche caratteristiche della nostra produzione la quale, per un 70%, era già stata orientata verso vitigni a bacca rossa. Fra questi spiccavano il Terrano e il Refosco, vitigni autoctoni che avrebbero incontrato un forte interessamento da parte del mercato nazionale e internazionale sempre più orientato verso l’acquisto di vini rossi di alta qualità. Le cose sono andate come avevamo stabilito, anzi oltre le più rosee previsioni, ma l’ottenimento di importanti traguardi non è stata la sola cosa gratificante: lo sono stati anche gli stimoli e l’entusiasmo che in questi anni ho trovato nel fare l’enologo e l’imprenditore in questa azienda. È stata la presa di coscienza delle grandi potenzialità di questo habitat che ha anche contribuito alla mia crescita personale, stimolandomi ad applicare continua ricerca e sperimentazione in tutto ciò che faccio. Ho intrapreso strade per me nuove come la ricerca biodinamica, la sperimentazione di tecniche botaniche antiche come l’uomo, oppure mi sono cimentato nell’applicazione filosofica delle componenti che determinano l’equilibrio delle cose in natura, fino ad arrivare alla sub-irrigazione intesa non solo come semplice aiuto alla sussistenza alle piante, ma come vero e proprio strumento di “alimentazione” per le stesse. Con il passare del tempo mi ritrovo sempre più spesso un attento ricercatore della qualità e la mia ricerca si concentra principalmente sulle cose che io faccio. Non so se è la mia maturità o l’imbuto in cui si trasforma con il tempo la vita, la quale ha iniziato ad assottigliarsi e a creare una separazione fra le cose futili e quelle importanti in modo che io possa orientarmi verso il bello e la qualità delle cose che mi circondano. Qualità che ricerco nel vino e nelle cose che so costruire intorno a lui, negli affetti e nella quotidianità che cerco di godermi profondamente. È una serenità interiore che è cresciuta piano piano, quasi in contemporanea alla vincita di quella scommessa che ho fatto tanti anni fa con questo Carso.

ALTRI VINI I Bianchi: Carso Pinot Grigio Doc (Pinot Grigio 100%) Carso Sauvignon Doc (Sauvignon 100%) Carso Traminer Doc (Traminer 100%) Igt Venezia Giulia Sagrado Bianco (Malvasia Istriana 60%, Sauvignon 30%, Traminer 10%)

I Rossi: Carso Cabernet Franc Doc (Cabernet Franc 100%) Carso Cabernet Sauvignon Doc (Cabernet Sauvignon 100%)


Terrano

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Igt Rosso Venezia Giulia ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Terrano provenienti dai vigneti di proprietà dell’azienda, posti nel comune di Sagrado, che hanno viti con un’età media di 15 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su un terreno carsico arido e roccioso con poco strato di terra rossa ricca di ferro e calcare ad un’altitudine di circa 150 s.l.m. con esposizione a est-ovest. UVE

IMPIEGATE:

Terrano 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

4000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito nel mese di ottobre, si avvia la fermentazione alcolica che si protrae per 8-10 giorni ad una temperatura compresa fra i 28 e i 32°C in recipienti di acciaio inox; la fermentazione è coadiuvata da tecniche di follatura. Terminata questa fase, si procede alla svinatura e alla pulizia, poi il vino viene messo in tini di acciaio dove vi rimane fino alla primavera successiva alla vendemmia, quando è assemblato e imbottigliato per un breve periodo di affinamento di 3 mesi prima della sua commercializzazione. QUANTITÀ

PRODOTTA:

15000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino, da godersi nella sua giovinezza e freschezza, si presenta di un colore rosso rubino intenso con orli violacei; al naso offre profumi intriganti di lampone e mora a cui si aggiungono via via note vegetali. Al gusto evidenzia un limitato contenuto tannico e gradazione moderata, pur con acidità sostenuta; è caldo, piuttosto strutturato, lungo e di buona persistenza. PRIMA LE

ANNATA:

1988

MIGLIORI ANNATE:

2003

NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 1 anno dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra 1 e 4 anni.


Refosco dal Peduncolo Rosso Carso Refosco Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Refosco dal Peduncolo Rosso provenienti dai vigneti di proprietà dell’azienda, posti nel comune di Sagrado, che presentano viti con un’età media di 15-20 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su un terreno carsico arido e roccioso con poco stra-

fra i 28 e i 32°C in recipienti di acciaio inox da 100 hl; la fermentazione è coadiuvata da tecniche di follatura, mentre contemporaneamente si procede anche alla macerazione sulle bucce che dura altri 10-15 giorni sempre a temperatura controllata. Terminata questa fase, il vino viene svinato e posto in recipienti di acciaio termocondizionati per favorire la fermentazione malolattica, dove rimane per 3-4 mesi, prima di passare in legno: i primi 18 mesi in barrique e tonneau di rovere francese, successivamente altri 12 mesi in botti da 15 e 25 hl di rovere di Slavonia. Dopo più di 2 anni viene fatto l’assemblaggio delle partite e dopo un breve periodo di stabilizzazione in tini di acciaio, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento che dura altri 6 mesi prima della sua commercializzazione. QUANTITÀ

PRODOTTA:

15000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un colore rosso rubino carico; all’esame olfattivo risulta etereo, vinoso, con sentori di piccoli frutti di bosco neri con sentori speziati. In bocca è asciutto, pieno, corposo, vagamente amarognolo; caldo, abbastanza morbido, con note erbacee che emergono nel lungo finale. PRIMA LE

ANNATA:

1988

MIGLIORI ANNATE:

1997 - 2000

NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 15 anni.

to di terra rossa ricca di ferro e calcare ad un’altitudine di circa 150 s.l.m. con esposizione a est / sud-ovest. UVE

IMPIEGATE:

L’AZIENDA: Di proprietà della Castelvecchio S.r.l. dal 1978, l’azienda agricola si estende ora su una superficie complessiva di 120 Ha, di cui 40 vitati e il resto occupato da boschi. Svolge le funzioni di agronomo e di enologo Giovanni Bignucolo, che ne è anche il Presidente.

Refosco dal Peduncolo Rosso 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

5000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito dal 20 settembre al 20 ottobre, si avvia la fermentazione alcolica che si protrae per circa 10 giorni ad una temperatura compresa

Sagrado



C’è una strada piccola piccola che, tortuosa e ripida, sale verso la mia casa. Sono solo poche centinaia di metri, ma ti fanno sentire un po’ staccato dal mondo. Certe volte vorrei che quella riga d’asfalto, che conduce solo alle vigne di qualche altro amico produttore e termina la sua corsa nel cortile di casa mia, fosse ancora più piccola, più tortuosa e ripida, così da scoraggiare quei curiosi che vi si avventurano e che, una volta giunti nel mio cortile, non sanno più dove andare. Certe volte, mi rendo conto di essere un po’ orso, soprattutto con chi non conosco, forse perché gli “estranei”, sebbene non ne abbiano assolutamente colpa, mi riportano alla consapevolezza di una mia innata timidezza e riservatezza che ho ancora difficoltà a vincere. È per questo che mi piace isolarmi e fermarmi a guardare la splendida valle delle “Tre contrade” di Zegla, Novali e Plessiva che riesco a dominare quasi per intero da casa mia. Quando guardo tutte quelle vigne sottostanti, mi piace pensare che l’estremo confine nord di questo territorio, il punto preciso dal quale identificarlo o circoscriverlo, sia proprio casa mia. Uno splendido paesaggio contraddistinto da un susseguirsi di vigneti, interrotti da qualche bosco di pioppi che lo movimentano. Alle mie spalle, a nord, le colline che conducono in Slovenia, il cui confine, proprio pochi metri dietro casa, è contraddistinto da picchetti dipinti di rosso messi lì subito dopo la guerra a definire una linea di demarcazione fra due blocchi politici, quello occidentale e quel-

C

COLLE DUGA

Monica e Damian Princic

lo orientale, che hanno diviso per cinquant’anni, non solo due stati, ma anche gli italiani dagli slavi e gli slavi da altri slavi. Per chi arriva la prima volta e non conosce il territorio, sicuramente gli rimarrà difficile capire dove scorra quella linea, così poco visibile, contraddistinta solo da quei pali rossi che, con cadenza ritmica, ogni 100-150 metri, senza interruzione di sorta e anche senza nessuna logica hanno diviso, vigne, boschi e famiglie. In alto, a nord, Medana e verso nord-ovest, a pochi centinaia di metri da casa mia, sono visibili le sbarre del confine di secondo livello di Plessiva che ora, dopo più di mezzo secolo sembrano avere “le ore contate”. Infatti dicono che, con l’ingresso della Slovenia nella Comunità Europea, quelle sbarre, aperte solo per il transito dei residenti, si alzeranno e si abbasseranno ancora per poco tempo, forse per un altro paio d’anni, prima che tutto il passaggio delle persone e delle merci fra l’Italia e la Slovenia venga completamente liberalizzato e, di sicuro, dopo, scompariranno anche quelle bruttissime garitte militari che ancora oggi ricordano un passato difficile. Quello era un confine che chiudeva a est un’Europa e a ovest un’altra Europa. In mezzo c’eravamo noi Sloveni, che in quella linea vedevamo una limitazione alla nostra libertà di comunicare liberamente con la nostra gente. In tutto quello che è successo da quel lontano 1946 a oggi, credo che abbia avuto un ruolo determinante il Tempo, che si è davvero dimostrato un galantuomo, nonché un amico sincero per tutte le etnie che vivono su questo territorio. Con il trascorrere degli anni, le cose si sono messe a posto e il Tempo ha curato, in ugual misura, le ferite di tutti gli uomini senza guardare che lingua parlassero o



che religione professassero; ha saputo assopire i rancori, debellare gli odi ed è stato un fedele alleato, un perfetto politico e un grande stratega, riuscendo a convincere tutti dell’inutilità di così tante divisioni. Comunque la cosa più grande che è riuscito a fare è stata quella di convincere gli Stati a non confrontarsi più nella sterile “politica del meno”, quella del chiudere, del togliere, del sottrarre, del limitare o del cancellare le diversità, ma li ha condotti per mano a cercare di costruire una “politica del più”, quella cha sa sommare forze ad altre forze, quella che trova energia nell’aggiungere risorse ad altre risorse e che cerca di far convivere, in una grande Europa, le diverse culture. Mi piace pensare, anche un po’ scioccamente e di questo non me ne vogliate, che forse a tutto questo abbiamo contribuito anche noi semplici vignaioli di queste terre di confine, continuando a fare il nostro mestiere di contadini, lavorando sodo, come sappiamo fare noi, a testa bassa, per decenni, costruendo un’economia e conservando un territorio. Lo abbiamo fatto difendendo la nostra campagna, le nostre radici, dando e ricevendo rispetto dagli altri, dimostrando che qui era possibile la convivenza e che il lavorare la terra avvicina e non divide. Forse il nostro ruolo è stato infinitesimale, piccolissimo, ma l’abbiamo svolto con il cuore, serenamente, tutti insieme, di qua e di là dal confine, e questo penso che sia servito come esempio e come stimolo per chi, sapendo quali pedine muovere, è riuscito a far cadere le barriere, con tutto quello che ciò ha già comportato e comporterà anche per il futuro. Mentre faccio queste riflessioni sono seduto sulla veranda di casa e tengo per mano mia moglie Monica e guardo i nostri figli Karin e Patrik che stanno giocando. I pensieri corrono lontani e mi vedo già, quando sarò vecchio, accanto a loro, ma quell’immagine del futuro non è ancora nitida e precisa. Mi sforzo, ma per quanto provi a ricercare quel futuro, non riesco a costruirlo nelle mie fantasie e mi sento trasportare un po’ lontano dal presente, dall’imminente vendemmia e dalla splendida immagine della mia valle e da quella della mia famiglia. All’improvviso sento stringermi forte la mano: è Monica che mi riporta alla realtà, mi perdo nei suoi bellissimi occhi e penso positivo.

ALTRI VINI I Bianchi: Collio Tocai Friulano Doc (Tocai Friulano 100%) Collio Bianco Doc (Chardonnay 30%, Sauvignon 30%, Tocai Friulano 30%, Malvasia Istriana 10%)

I Rossi: Collio Merlot Doc (Merlot 100%)


Pinot Grigio

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Collio Pinot Grigio Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Pinot Grigio provenienti dai vigneti dell’azienda, posti in località Zegla nel comune di Cormòns, che hanno un’età media di 20 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni marnoso-argillosi ad un’altitudine compresa tra i 90 e i 100 metri s.l.m. con esposizione a nord-sud / est-ovest. UVE

IMPIEGATE:

Pinot Grigio 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot e capovolto DENSITÀ

DI IMPIANTO:

4500 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito i primi di settembre, si procede a una decantazione statica del mosto alla temperatura controllata di 12°C per circa 24 ore. Terminata questa fase di prima chiarificazione, si inseriscono i lieviti selezionati e il 25% del vino è posto in barrique di Allier di media tostatura, nuove e di secondo passaggio, dove svolge la fermentazione alcolica, mentre il restante è posto in recipienti di acciaio inox termocondizionati dove svolge anch’esso la fermentazione alcolica che si protrae per 7-10 giorni ad una temperatura di 18°C. Periodicamente vengono effettuati sia dei bâtonnage, per il vino posto nel legno, sia dei sur lies con sistemi meccanici per il vino posto nei tini di acciaio, al fine di movimentare le fecce nobili che sono utilizzate per guidare tecnicamente lo svolgimento della fermentazione malolattica che è fatta svolgere completamente. Di solito nel mese di aprile viene effettuato l’assemblaggio delle partite e, dopo un breve periodo di stabilizzazione e un leggero filtraggio, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento di altri 2 mesi prima di essere commercializzato. QUANTITÀ

PRODOTTA:

5000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Bel colore giallo paglierino, offre all’esame gustativo profumi di mela golden, banana e fiori di tiglio. In bocca è piacevole, vellutato, fresco e sapido, di buona persistenza e ottima struttura. PRIMA LE

ANNATA:

2000

MIGLIORI ANNATE:

2003

NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 2 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 2 e i 4 anni. L’AZIENDA: Di proprietà di Damian Princic dal 1991, l’azienda agricola si estende su una superficie complessiva di 8 Ha, di cui 6 vitati. Collaborano in azienda l’agronomo Alessandro Zanutta e l’enologo Giorgio Bertossi.


Condivido l’idea di chi sostiene che vivere in una famiglia con antichissime tradizioni possa non essere facile. Sai che quel titolo nobiliare, in nome e per conto del quale sono state effettuate in passato anche scelte dolorose, potrebbe essere per te un gravoso impegno e richiederti un quotidiano raffronto con ciò che è stato e con chi ti ha preceduto, trovandoti erede e guardiano di una storia che sai di dover vivere senza che nessuno te lo abbia chiesto. Cresci e con te crescono i tuoi sogni, in modo particolare quello di riuscire, un giorno, a indossare una divisa militare simile a quella di tuo padre. Fantastichi su quel giorno e, per raggiungerlo, studi, ti sacrifichi e ti addestri per diventare un buon ufficiale di Marina, sapendo che il sacrificio non ti spaventa. Sei avvezzo alla rigidità e a quella dedizione che non è molto diversa da quella vissuta in casa accanto a tuo padre che si è preoccupato di insegnarti la disciplina e il dovere. Princìpi importanti sui quali sei pronto a scommettere per riuscire a realizzare il tuo sogno di attraversare i mari e gli oceani e vestirti d’onore. Un giorno, invece, scopri che la famiglia ha altri progetti per te, che tu non sei destinato al mare, ma alla campagna, quella di famiglia, che deve essere tutelata, difesa e trasferita ai posteri come da centinaia di anni altri Conti d’Attimis-Maniago hanno fatto prima di te. Vorresti fuggire, scappare da quella imposizione che non ritieni giusta, ma ti senti ingabbiato dal senso del dovere che ti appartiene ed è radicato in te più di quanto tu possa pensare e in silenzio rispondi: “obbedisco”. Dopo un po’ di tempo scopri, invece, che quell’ambiente rurale, con il quale ti stai confrontando, è molto più piacevole di quanto tu pensassi e ti accorgi che ti appartiene. Ti sembra addirittura di essere sempre stato fra quelle vigne e, all’im-

CONTE D’ATTIMIS-MANIAGO

C Alberto d’Attimis-Maniago Marchiò con la moglie Paola e i figli Fabio e Guido

provviso, le incombenze, le rinunce e i sacrifici, gravosi fino ad ieri, diventano impegni piacevoli che non pesano più e riempiono la giornata. Non ha più importanza se, nel futuro, non riuscirai a riempire con le tua gesta eroiche le pagine del registro di bordo di una nave militare, perché, con il passare del tempo, dai valore al tuo atto di coraggio di rinunciare a ciò a cui tenevi di più per difendere il tuo onore in quella campagna che ora incominci a vivere. Ci sono decine di cose che, giornalmente, sono da seguire qui a Sottomonte di Buttrio: dagli immobili alle proprietà di famiglia, dalla vendemmia alla cantina, dai nuovi investimenti necessari per stare al passo con i tempi alla commercializzazione del vino, tutti atti importanti che ti aiuteranno a riempire di nuove pagine quel libro che narra la storia della famiglia, un libro fatto di molte pagine importanti, ma anche di avvenimenti più comuni che parlano della semplicità del quotidiano. Quando mi guardo intorno mi rendo conto di quanto sia stato grande l’impegno che ha consentito a questa azienda di esistere e di diventare orgoglio di famiglia. Nel tempo sono state fatte scelte importanti che hanno portato a rinunce, a continui investimenti, senza avere mai il minimo tentennamento davanti a facili guadagni che sarebbero potuti giungere, magari, da uno smantellamento di ciò che è, da sempre, in nostro possesso. Credo che questa radicata e forte convinzione d’appartenenza dipenda dal profondo legame che lega la mia famiglia a questa terra friulana; è il piacere di sentirsi parte integrante della stessa che ci ha spinto a difenderla, a non cederla mai, a non abbandonarla e a continuare a costruire un futuro su ciò che è rimasto.



Quando mi aggiro per queste cantine e fra le mura della vecchia casa sento una forte energia sprigionarsi da quelle pareti e immagino quel luogo come un vecchio saggio che, scrupolosamente, annota la nostra storia osservando il nostro scorrere sulla pellicola della vita, dove si imprimono le passioni e le angosce, le paure e gli amori. Forse era già stato scritto che io dovessi rimanere qui per provare a fare il vignaiolo, così da difendere, attraverso un forte processo di trasformazione che ha coinvolto tutta la filiera produttiva, quello che mi appartiene per titolo. Sicuramente era destino che io dovessi fare il custode del patrimonio di famiglia, preoccupandomi di salvaguardarlo e di insegnare questo difficile compito a chi mi seguirà. Alle origini di questo mio impegno credo vi sia un grande rispetto, sia per chi mi ha preceduto, il quale ha voluto, in tutti i modi, che anche io godessi di ciò che a lui era stato concesso, usufruendo delle opportunità e dei vantaggi che “l’avere” comporta, sia per le generazioni future, per i miei figli Fabio e Guido. Un rispetto che mi spinge a difendere questa terra che non appartiene solo alla storia della mia famiglia, ma anche a quella di questo territorio. È per questo che ho imparato a seguire le vendemmie, a capire e interpretare le stagioni; è per questo che ho imparato a fare il vignaiolo e l’imprenditore lasciandomi affascinare dal mondo del vino, cercando di integrarmi in quel sistema produttivo. Rotte diverse da quelle che mi ero prefigurato e che mi conducono su altri mari, verdi, fatti di migliaia di filari di vigne, mari che potrebbero dimostrarsi molto più tempestosi di quelli veri, ma che non mi fanno paura, perché al Conte Alberto d’Attimis-Maniago non manca certo il coraggio.

ALTRI VINI I Bianchi: Colli Orientali del Friuli Tocai Friulano Doc (Tocai Friulano 100%) Colli Orientali del Friuli Sauvignon Doc (Sauvignon 100%)

I Rossi: Colli Orientali del Friuli Merlot Doc (Merlot 100%) Colli Orientali del Friuli Tazzelenghe Doc (Tazzelenghe 100%) Colli Orientali del Friuli Rosso Doc Vignaricco (Merlot 45%, Cabernet Sauvignon 40%, Schioppettino 15%)


Malvasia

101

Colli Orientali del Friuli Malvasia Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Malvasia Istriana provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nel comune di Buttrio, che hanno un’età media di 30 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni costituiti da marna di origine eocenica ad un’altitudine di 150 metri s.l.m. con esposizione a sud / sud-ovest. UVE

IMPIEGATE:

Malvasia Istriana 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Cappuccina e guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

4500 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene manualmente di solito nella terza settimana di settembre, si procede a una soffice pigiatura e a una breve macerazione pellicolare del mosto a contatto con le bucce per 9-10 ore a circa 8-10°C, dopo di che si procede alla pressatura e il mosto è avviato a una decantazione statica alla temperatura controllata di 12°C per circa 24 ore. Terminata questa prima fase di pulizia, si dà avvio alla fermentazione alcolica che si protrae per 20 giorni ad una temperatura compresa tra i 17 e i 20°C, in recipienti di acciaio inox termocondizionati. Dopo questa prima fase di vinificazione, il vino viene lasciato in acciaio per 8 mesi durante i quali si mantiene sur lies procedendo periodicamente alla movimentazione delle fecce nobili che sono utili anche nel favorire l’avvio e lo svolgimento spontaneo della fermentazione malolattica. Di solito nel mese di maggio dell’anno successivo alla vendemmia viene effettuato l’assemblaggio finale e, dopo un breve periodo di stabilizzazione e un leggero filtraggio, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento di altri 6 mesi prima di essere commercializzato. QUANTITÀ

PRODOTTA:

9000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un colore giallo paglierino con leggere sfumature verdoline, mentre al naso esprime ampi profumi di frutta matura, gelsomino e cannella; al palato è armonico ed intenso, leggermente aromatico, fine e asciutto e ripercorre le sensazioni olfattive con una lunga persistenza ed un piacevole retrogusto. PRIMA

ANNATA:

1974

LE MIGLIORI ANNATE: 1992 - 1993 - 1995 - 1999 - 2001 - 2003 NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 2 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 2 e i 5 anni.


Ronco Broilo Colli Orientali del Friuli Bianco Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il Ronco Broilo è un blend delle migliori uve Pinot Bianco e Chardonnay provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nel comune di Buttrio, che hanno un’età media di 20 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni costituiti da marna di origine eocenica ad un’altitudine di 150 metri s.l.m. con esposizione a sud-ovest.

10°C. Terminata questa fase si procede a una pigiatura e il mosto è avviato a una decantazione statica alla temperatura controllata di 12°C per circa 24 ore. Dopo di che si avvia la fermentazione alcolica che si protrae per 15 giorni, cercando di mantenere la temperatura di 20°C, in barrique di rovere francese di Allier, dove il vino viene lasciato per 18 mesi; periodicamente si procede a dei bâtonnage al fine di conferirgli maggiore fragranza e favorire l’avvio e lo svolgimento spontaneo della fermentazione malolattica. Dopo una lunga maturazione in legno viene effettuato l’assemblaggio finale e, dopo un periodo di stabilizzazione e un leggero filtraggio, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento di altri 12 mesi prima di essere commercializzato. QUANTITÀ

PRODOTTA:

2700 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Colore giallo paglierino con riflessi dorati, all’esame olfattivo si presenta con un bouquet complesso che abbraccia sentori fruttati, floreali e ricorda la nocciola, i datteri e la frutta candita; in bocca risulta caldo, vellutato, di grande struttura, con un’ottima intensità e persistenza e un finale leggermente vanigliato. PRIMA LE

ANNATA:

1997

MIGLIORI ANNATE:

1997 - 1999 - 2001

NOTE: La riserva Vignaricco Bianco dalla vendemmia 1999 ha cambiato nome in Ronco Broilo, una dicitura trovata nell’archivio di famiglia all’interno di un documento del 1596. Il vino raggiunge la maturità dopo 4 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 4 e i 10 anni.

UVE IMPIEGATE: Pinot Bianco 60%, Chardonnay 40% SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

L’AZIENDA: Le aziende agricole della famiglia d’Attimis-Maniago si estendono su una superficie complessiva di 270 Ha. In particolare l’azienda di Buttrio appartiene alla famiglia dal 15 febbraio 1585 ed ha una superficie vitata di 84 Ha. Svolge la funzione di agronomo ed enologo Francesco Spitaleri.

4500 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene manualmente di solito nella terza decade di settembre, a seconda delle annate si procede ad un leggero appassimento delle uve per 10-20 giorni, poi si procede a una soffice pigiatura con contatto pellicolare del mosto con le bucce per 6-12 ore alla temperatura di 8-

Buttrio



Io ho due famiglie: quella nella quale sono nato e quella che mi sono creato. Due punti di riferimento importanti che delimitano il mio mondo. Una famiglia come punto di partenza, l’altra come punto d’arrivo e, in mezzo, le memorie, i ricordi, le delusioni e le speranze vissute a rincorrere tutti quei sogni che sarebbero stati capaci di farmi crescere in fretta. Da una parte una famiglia che mi ha accompagnato nella vita standomi accanto quando c’era bisogno, dall’altra una famiglia, gioia e passione, con la quale sto costruendo un altro importante sogno. Devo dire che la mia è stata una bella infanzia trascorsa giocando fra le damigiane e i tini del vino e scandita dall’arrivo della vendemmia e dalla riapertura della scuola. In casa si parlava di vino, ma io ero troppo giovane per capirne l’importanza, e di quel prodotto in definitiva non me ne importava niente, forse perché lo ritenevo piacevole al palato, ma complesso nella sua realizzazione, troppo importante, e quello che si beveva in casa era un vino che aveva il sapore di regole troppo dure, scandite sempre da impegni e da tempi precisi che si incastravano nel mosaico delle stagioni con un costante impegno, giorno dopo giorno, nelle potature, nelle vendemmie e nelle svinature. Prima il liceo, poi l’Università di Agraria, lasciata poco dopo per quella di Informatica, abbandonata anch’essa quasi immediatamente e poi via via, una dietro l’altra, altre esperienze lavorative che mi hanno formato e costruito il carattere e che, in qualche modo, mi hanno tenuto lontano dal mondo del vino che non amavo. Tempi di una giovinezza irrequieta, come quella di tanti altri giovani del resto, durante la quale ho cercato di fare di tutto per apprendere il più pos-

D

DORIGO GIROLAMO

Girolamo, Alessandra e Alessio Dorigo

sibile e imparare a vivere in armonia con ciò che mi circondava, passando dall’assistente analista in un laboratorio chimico di una grande azienda vitivinicola al raccoglitore di scommesse per una sala ippica, dallo stagionale agricolo, occupato nella vendemmia o nella raccolta della frutta, all’impiegato in aziende di sedie della zona. Mi andava bene tutto pur di non sentirmi addosso l’odore del vino. Ma arriva un giorno nel quale ti rendi conto che tutto questo non ha senso e quel tuo voler rincorrere per forza la vita o personali rivincite contro un nemico inesistente è inutile. Scopri quanto sia stata fugace la giovinezza che, nella sua voluttuosa rincorsa alla vita, ha rischiato di allontanarti da valori importanti come la famiglia, la campagna, la terra e tutti quegli elementi che improvvisamente senti profondamente tuoi. Finito il tempo dei giochi e delle avventure ti accorgi di essere diventato grande. Tornando a casa, quel cortile, quelle botti e quei tini ti sembrano diversi e improvvisamente li senti molto più vicini di quanto potessero esserlo solo qualche anno prima. In quegli oggetti cominci a percepire un progetto, riesci a cogliere il significato reale di come quei manufatti potessero essere la proiezione di quell’importante “idea guida” che aveva accompagnato per decenni tuo padre e tua madre alla scoperta del mondo del vino. Con il tempo capisci che insieme a loro potresti costruire un percorso formativo estremamente interessante e scopri che dentro quell’azienda-famiglia, c’è spazio



per tutti e che c’è sempre stato, ad attenderti, uno spazio pronto per te. Ed è così che senti crescere in te una grande energia, senti aprirti le porte di una vita diversa, senti il desiderio di fare, di agire, di muoverti e di progettare, accorgendoti che i tuoi sogni all’improvviso si intrecciano con i sogni che avevano spinto, anni addietro, tuo padre e tua madre a diventare vignaioli. Ogni giorno che passa ti scopri attento, meno impulsivo e più riflessivo, forse anche un po’ più critico verso te stesso e un po’ meno verso gli altri, un elemento, questo, che ti consente di vedere le cose sotto un’altra ottica, con una visione più propositiva e costruttiva. Tutto ti sembra diverso: dal ricordo di quei giochi fatti in mezzo alle botti a quella terra che senti sempre più vicina e a quelle viti che incominci a studiare e a comprendere sempre meglio. Ricordo che quando tornai a lavorare in azienda mio padre non disse nulla. Per lui era come se fossi uscito di casa cinque minuti prima. Non è passato molto tempo da allora, ma quelle mie spensierate fughe mi sembrano lontane anni luce dalla quotidiana serenità che vivo oggi, una serenità data dalla consapevolezza che il vignaiolo è il mestiere più bello del mondo. È in questo lavoro che giorno dopo giorno mi rinnovo, sperimentando ora nuove tecniche d’impianto nelle vigne, ora nuovi sistemi di vinificazione, acquisendo insegnamento dal vino attraverso il quale ho imparato ad avere pazienza e a saper raccogliere i frutti quando questi sono maturi e di questo se ne accorge chi beve i miei vini.

ALTRI VINI I Bianchi: Colli Orientali del Friuli Ribolla Gialla Doc (Ribolla Gialla 100%)

I Rossi: Colli Orientali del Friuli Refosco Doc (Refosco dal Peduncolo Rosso 100%) Colli Orientali del Friuli Tazzelenghe Doc (Tazzelenghe 100%)


Montsclapade

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Colli Orientali del Friuli Rosso Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il Montsclapade è un blend delle migliori uve Cabernet Sauvignon, Merlot e Cabernet Franc provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nel comune di Premariacco, che hanno un’età media intorno ai 15 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni composti da marne di origine eocenica ad un’altitudine di 230 metri s.l.m. con esposizione a sud-est. UVE

IMPIEGATE:

Cabernet Sauvignon 40%, Merlot 40%, Cabernet Franc 20%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot e cordone speronato DENSITÀ

DI IMPIANTO:

6000-10000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito dopo la metà di settembre con una surmaturazione delle uve, si avvia la fermentazione alcolica che si protrae per 10 giorni alla temperatura di 25°C in tini di legno troncoconici aperti attraverso l’utilizzo di tecniche di délestage, mentre contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce che dura 10 giorni sempre a temperatura controllata. Terminata questa fase, il vino effettua la fermentazione malolattica in barrique di rovere francese, per 1/3 nuove, 1/3 di secondo passaggio e 1/3 di terzo passaggio, dove vi rimane per 30 mesi. Al termine del periodo di maturazione si procede all’assemblaggio delle partite e dopo un breve periodo di stabilizzazione il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento che si protrae per altri 6 mesi prima della sua commercializzazione. QUANTITÀ

PRODOTTA:

15000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un colore rosso rubino intenso; al naso offre profumi complessi di frutti neri, note speziate e di cuoio. Al gusto evidenzia tannini morbidi ed eleganti; è caldo, avvolgente ed equilibrato, di grande struttura, lungo e persistente. PRIMA LE

ANNATA:

1972

MIGLIORI ANNATE:

1988 - 1990 - 1995 - 1999 - 2000 - 2001

NOTE: Montsclapade è un toponimo geografico friulano traducibile con “Monte spaccato” che indica il vigneto da dove provengono le uve. Il vino raggiunge la maturità dopo 5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 15 anni.


Chardonnay

Ronc di Juri

Colli Orientali del Friuli Chardonnay Doc ZONA DI PRODUZIONE: Lo Chardonnay Ronc di Juri è una selezione delle migliori uve Chardonnay provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nel comune di Buttrio, che hanno un’età media di circa 15 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni composti da marne di origine eocenica ad un’altitudine di 230 metri s.l.m. con esposizione a sud-est.

ore. Terminata questa fase di prima chiarificazione, si inseriscono i lieviti selezionati e si dà avvio alla fermentazione alcolica che si protrae per circa 14 giorni alla temperatura controllata di 20°C in barrique nuove e di secondo passaggio per il 95% di rovere francese e per il 5% di legno americano. Nei 10 mesi di maturazione in legno il vino svolge la fermentazione malolattica e periodicamente vengono effettuati 2-3 bâtonnage alla settimana. Terminata questa fase si procede all’assemblaggio delle partite e dopo un breve periodo di stabilizzazione e un leggero filtraggio il vino viene imbottigliato per un ulteriore affinamento di altri 12 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

9000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Dal colore giallo dorato brillante, al naso risultano intense percezioni di pesca a pasta bianca, frutta esotica, vaniglia e spezie. In bocca è ampio, morbido e caldo, lasciando un piacevole retrogusto di vaniglia. Lunghissima la persistenza. PRIMA LE

ANNATA:

1985

MIGLIORI ANNATE:

1997 - 1998 - 1999 - 2000 - 2003

NOTE: Il vino, che prende il nome dall’omonimo vigneto, raggiunge la maturità dopo 3 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra 3 e i 6 anni.

UVE

IMPIEGATE:

Chardonnay 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

9600 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito dopo il 15 settembre, e una soffice pigiatura delle uve, si procede a una breve macerazione sulle bucce del mosto che prosegue per circa 6-8 ore alla temperatura di 6°C, al termine della quale si passa alla pressatura e alla decantazione statica del mosto ad una temperatura controllata di 6°C per circa 18

Buttrio


Pignolo

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Colli Orientali del Friuli Pignolo Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Pignolo provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nel comune di Buttrio, che hanno un’età media di circa 25 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni composti da marne di origine eocenica ad un’altitudine di 230 metri s.l.m. con esposizione a sud-est.

10 giorni, sempre a temperatura controllata. Terminata questa fase, il vino effettua la fermentazione malolattica in barrique nuove di rovere francese di Tronçais dove vi rimane da 20 a 30 mesi, trascorsi i quali è imbottigliato per un ulteriore affinamento di altri 6 mesi prima della sua commercializzazione. QUANTITÀ

PRODOTTA:

2000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un bel colore rosso rubino molto intenso; al naso sprigiona un ventaglio complesso di profumi che spaziano dai frutti neri di bosco maturi, al cuoio, al caffè e a note speziate, mentre in bocca è estremamente concentrato, caldo, pieno, di grande struttura e potenza; molto lungo e persistente al palato. PRIMA LE

ANNATA:

1984

MIGLIORI ANNATE:

1988 - 1990 - 1996 - 1999 - 2001

NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 20 anni. L’AZIENDA: L’azienda agricola, di proprietà della famiglia Dorigo dal 1966, si estende su una superficie complessiva di 35 Ha, di cui 32 vitati. Collaborano in azienda gli agronomi Marco Simonit e Pierpaolo Sirch. L’enologo è lo stesso Alessio Dorigo.

UVE

IMPIEGATE:

Pignolo 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

8000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito in ottobre, si avvia la fermentazione alcolica che si protrae per 810 giorni ad una temperatura compresa fra i 25 e i 28°C in tini di legno troncoconici aperti in cui si effettuano tecniche di délestage, mentre contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce che dura per altri

Buttrio


Mi alzavo alle quattro del mattino e, dopo aver caricato su un camioncino il vino, mi avviavo verso Venezia. A quei tempi non c’erano autostrade e arrivare nella città lagunare non era un viaggio, bensì un’avventura, e poi, una volta arrivato lì, non era finita: dovevo prima scaricare il vino e dopo ricaricarlo su una barca per riuscire a consegnare ai negozianti quello che mi era stato richiesto. All’inizio trovai delle difficoltà nella commercializzazione del mio vino, anche se mi aiutava il conoscere bene molti veneziani con i quali nel tempo avevo stretto piacevoli amicizie, visto che lavoravo come impiegato nella loro città. Mi muovevo bene fra quei canali, ma in pochi conoscevano il mio Refosco e il mio Ramandolo. Era interessante però constatare che, quando portavo dei campioni, loro rimanevano favorevolmente impressionati dalla qualità dei vini che producevo e, pur considerandoli cari, li ordinavano. Quel vino mi veniva pagato intorno alle 500-600 lire a bottiglia ed era un buon prezzo, visto che in quegli anni, e sto parlando del 1969-70, il vino era venduto a cifre molto inferiori. Era inconfutabile che quei vini avessero, già allora, un carattere e una personalità spiccata, caratteristiche che soddisfacevano il gusto della gente e di quei “vinattieri” veneziani che, pur conoscendo il mercato del vino, rinunciavano mal volentieri all’unicità di quel mio Ramandolo e lo compravano lo stesso nonostante il suo prezzo elevato. Ricordo che ci furono anche alcune di queste figure, come Mauro Colonna, un oste di origine pugliese, ma più veneziano dei veneziani, con il quale divenni molto amico, che mi aiutarono molto ad allargare la mia clientela, segnalando i miei prodotti ad altri commercianti, sia a Venezia, sia a Mestre, fino a Padova, Vicenza e oltre.

DRI GIOVANNI IL RONCAT

D Giovanni e Stefania Dri

Ma il definitivo ingresso della mia produzione enologica nel panorama nazionale avvenne in occasione di un congresso di sommeliers organizzato da Isi Benini, famoso giornalista friulano, a Villa Manin a Udine, dove fui gentilmente invitato per far degustare il mio vino. A quei tempi erano poche le aziende che imbottigliavano in Friuli. C’era Schiopetto, Ronchi di Cialla, c’erano i Felluga e pochi altri, una ventina di produttori in tutto; ricordo che quell’occasione contribuì a creare degli interessanti contatti con il mercato nazionale, poiché quei sommeliers avevano in mano, per la maggior parte, enoteche e ristoranti. Da quel giorno le cose cambiarono, non era più necessario che io andassi in giro a proporre i miei vini; dopo un po’ incominciò a squillare il telefono e il resto è storia contemporanea, di ordinaria amministrazione. Mio padre Lino aveva voluto che io studiassi e non seguissi il suo esempio. Secondo lui io dovevo avere un futuro diverso, lontano da quella campagna e da quella stalla che lo vedevano impegnato ogni giorno dell’anno; dovevo cercarmi un posto sicuro, dove non cadesse la grandine e dove non fossi alla mercé di quei commercianti poco affidabili. Certamente non aveva fatto i calcoli né con il suo destino, né con la mia testardaggine. Fu così che quando lui morì, improvvisamente mi ritrovai sulle spalle la terra che lui mi aveva lasciato e dovetti fare settimanalmente la spola fra Venezia e Ramandolo per seguire l’azienda. Succedeva che, sempre più volentieri, mi rifugiavo su queste colline, fra le viti ai



piedi del monte Bernadia, cercando di mettere in pratica gli insegnamenti che Lino mi aveva voluto tramandare, in modo da non lasciar andare in malora quella campagna che sempre più sentivo appartenermi. Continuai per molti anni quel moto perpetuo fra la terra e l’ufficio, allargando, piano piano, l’azienda agricola e consolidando le mie posizioni sul mercato, cercando di coniugare il lavoro di vignaiolo con quello d’impiegato statale. In quegli anni, non facili, ho avuto la fortuna di aver accanto Renata, mia moglie, una donna eccezionale e una spalla importante su cui potermi appoggiare quando avevo bisogno; lei, pur non conoscendo nulla della campagna, essendo nata sull’acqua a Venezia, ha compreso il motivo del mio attaccamento a questa terra e mi ha spronato a proseguire e a insistere su quello che stavo facendo. Un’altra fortuna è stata quella di aver vissuto un pezzo importante della mia vita in una città splendida e internazionale come Venezia e di aver girato un po’ per il mondo creandomi esperienze umane e professionali che mi hanno aiutato molto in questo mio processo di crescita. In Francia, per esempio, ho compreso l’importanza e il ruolo che il vigneto ha sulla qualità del vino prodotto. Quel viaggio mi servì per rubare, con gli occhi, i segreti del mestiere del vignaiolo, comprendendo quali fossero le migliorìe tecniche che avrei dovuto applicare alla mia vigna. Ricordo che quando ritornai da quel viaggio, come prima cosa cambiai il sistema di potatura alle viti. Invece, dal mio viaggio in California compresi il valore del turismo enologico, un insegnamento che mi servì quando più tardi realizzai la cantina, concependola non solo come luogo per conservare il vino, ma anche per ricevere e ospitare chiunque avesse voluto venire a trovarmi. Nella mia vita ho cercato sempre, come attento osservatore delle architetture che la regolano, di trarre ispirazione da ciò che mi circonda per interpretare tutti gli stimoli che mi giungono e adattarli, se possibile, alle mie esigenze, senza mai copiare nulla, fedele al motto che niente rimane uguale e che tutto si modifica. Negli anni sono divenuto uno che pretende molto da ciò che gli sta attorno e punta sempre al massimo detestando la mediocrità. Sempre più mi piacciono le cose belle, quelle di qualità, che hanno personalità e creano un distinguo: parametri che applico anche nel produrre il vino che deve avere un suo carattere, rispecchiando, se è possibile, anche un po’ il mio. Io non cerco il vino perfetto, voglio vini veri, sinceri e che siano i più naturali possibile nella convinzione, come sostiene anche mia figlia Stefania, enologa, che conviene sempre ricercare il loro carattere cambiando e trasformando, se la strada intrapresa risulta non essere quella giusta, in un continuo evolversi senza mai arrendersi all’ovvio e al banale.

ALTRI VINI I Bianchi: Ramandolo Docg (Verduzzo Friulano 100%) Ramandolo Uve Decembrine Docg (Verduzzo Friulano 100%) Colli Orientali del Friuli Sauvignon Doc (Sauvignon 100%) Colli Orientali del Friuli Picolit Doc (Picolit 100%)

I Rossi: Colli Orientali del Friuli Refosco Doc (Refosco dal Peduncolo Rosso 100%) Rosso del Monte dei Carpini Vdt (Schioppettino 50%, Refosco 50%)


Il Roncat - Ramandolo

113

Bianco Dolce Docg ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione particolare delle migliori uve Verduzzo Friulano provenienti dai vigneti dell’azienda, posti sulla collina del Roncat, nella frazione Ramandolo del comune di Nimis, che hanno un’età media di 18 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni marnosi di origine eocenica ad un’altitudine compresa tra i 350 e i 370 metri s.l.m. con esposizione a sud. UVE

IMPIEGATE:

Verduzzo Friulano 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot modificato DENSITÀ

DI IMPIANTO:

5000-6000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito nella seconda e nella terza decade di ottobre, le uve vengono pressate e il mosto ottenuto è lasciato per 24 ore in una cisterna di acciaio inox a temperatura ambiente. Segue decantazione naturale e il mosto così pulito viene portato in cantina per la fermentazione ad una temperatura compresa tra i 15 e i 18°C. Non appena avviata la fermentazione, il vino è posto in barrique di rovere francese di Allier e Tronçais di primo e secondo passaggio dove vi rimane per 12 mesi al termine dei quali si effettua l’imbottigliamento per un ulteriore periodo di affinamento di altri 8-12 mesi prima della commercializzazione. QUANTITÀ

PRODOTTA:

2300 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un colore giallo oro intenso; all’esame olfattivo offre profumi fruttati netti e persistenti a cui si aggiungono nuances di miele e vaniglia. Al palato risulta armonico, avvolgente, caldo, lungo e persistente. Da meditazione. PRIMA

ANNATA:

1983

LE MIGLIORI ANNATE: 1983 - 1985 - 1986 - 1988 - 1990 - 1993 - 1995 - 1997 - 1999 - 2001 NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 4 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 4 e gli 8 anni. L’AZIENDA: Di proprietà di Giovanni Dri dal 1968, l’azienda agricola si estende su una superficie complessiva di 30 Ha, di cui 6 vitati e i restanti occupati da prati e boschi. Collabora in azienda come enologo la figlia Stefania Dri.




Già in tenera età, quando con i genitori andavo nei campi, mi ero accorto di avere dentro il desiderio profondo di fare il contadino. Guardando indietro, non ricordo quale sia stato il preciso momento in cui qualcuno o qualcosa mi ha fatto sorgere la passione di questo antichissimo mestiere. Me la sono ritrovata dentro e l’ho accettata, anche se, almeno in parte, sapevo a che cosa sarei andato incontro e sapevo anche che per tutta la vita questa passione avrebbe condizionato il mio modo di pensare e di agire. Ma per me tutto questo non aveva importanza, perché fin da subito avevo capito che quel mestiere non mi avrebbe tradito, mi avrebbe dato le sicurezze di cui io sentivo il bisogno e mi affascinava il fatto di poterlo svolgere in quella campagna dove avevo mosso i primi passi e dove avevo giocato da ragazzetto imparando a divenire uomo, accanto a mio padre. Col passare degli anni ho scoperto che essere contadino vuol dire indossare un abito fatto su misura, perfetto e rifinito, confezionato con le stoffe che io stesso avevo scelto più pregiate, quella del sacrificio e della dedizione al lavoro, foderato col sudore, con le rinunce e con la robusta concretezza della tradizione e rifinito con il sacro rispetto, sottile e quanto mai raro, per tutto quello che mi circonda. Nell’indossarlo - ma questo non l’ho dato mai a vedere - mi sono sentito sempre fiero e orgoglioso perché è il vestito che mi è riuscito meglio. Lo porto sempre addosso, perché so che è il più bel vestito del mondo, che mi avvicina a tutti gli altri uomini del mondo, a prescindere da quale latitudine o longitudine essi si trovino, che siano fieri di essere contadini. Con il passare degli anni, mi convinco sempre più che questo attaccamento alla

D DRIUS

Mauro Drius e famiglia

campagna e alla terra faccia parte del DNA di noi friulani e non so se ricercare la causa di questa specifica caratteristica genetica nella teoria di Darwin sulle mutazioni della specie o nella storia di questa terra; sta di fatto che noi friulani siamo un tutt’uno con il territorio e chiunque venga a trovarci può rendersene conto. Se mi soffermo a riflettere sulla storia di questo mio “popolo senza storia” mi rendo conto che noi friulani, nei secoli, abbiamo assistito e subìto un po’ di tutto. Il tempo ci ha riservato l’onore di divenire, nostro malgrado, spettatori paganti dei più importanti momenti storici dell’Italia, dalle invasioni alle occupazioni, trovandoci, di mattino, a parlare con i tedeschi e, di sera, con gli italiani e poi, il mattino successivo, con gli slavi: sempre con eserciti schierati sul territorio, con fucili e cannoni che si fronteggiavano ora da Est verso Ovest, ora da Ovest verso Est. Una striscia di terra delimitata, da una parte, dal mare e, dall’altra, da paletti di legno di color rosso che segnano un confine che è riuscito a dividere anche case e terre di una stessa famiglia. Tedeschi, slavi, croati, serbi e italiani, tutti in giro per casa, dove ognuno di essi ha preso senza dare, chi poche cose, chi invece ha razziato e ucciso, sbattendo la porta quando se ne è andato. Asciugate le lacrime, noi friulani cominciavamo ogni volta a ricostruire le nostre case e le nostre stalle, a impiantare vigne o a seminare il granturco o il grano. In questa confusione ci siamo sempre trovati con i piedi ben piantati per terra, su quella terra che, per nostra fortuna, è risultata sempre intrasportabile. Non so se questa mia personale interpretazione dei fatti della storia possa farvi comprendere l’attaccamento che abbiamo noi friulani per questa terra; vi posso assicurare comunque che è difficile avere una mentalità aperta al mondo



per chi, come noi, da secoli vive con la preoccupazione di chi possa bussare sempre alla nostra porta. Io devo ringraziare mio padre che mi ha aiutato ad aprirmi e a confrontarmi nel lavoro, cercando di convincermi a guardare sempre avanti, puntando sull’esperienza delle sue oltre cinquanta vendemmie che sono divenute il bagaglio culturale del mio saper fare. Sì, sono sempre più convinto che il contadino è il mestiere più bello del mondo e per farlo oggi non sono più costretto a restare ancorato a quel lavoro pesante che mi segregava in mezzo ai campi per trecentosessantacinque giorni all’anno. Oggi essere contadino, vignaiolo, vuol dire avere attrezzature adeguate, viaggiare, essere chiamato a conoscere gente, a frequentare ristoranti ed enoteche, a entrare in contatto con nuovi clienti e a fare nuove amicizie. Tutto ha contribuito ad aprirmi a più esperienze che poi ho ricondotto in quella sana e genuina tranquillità che accompagna il mio lavoro in campagna. Per me, timido e introverso come sono, è servito molto confrontarmi con gli altri. Mi ha aiutato ad avere più sicurezze, un’apertura e una curiosità per tutto quello che rappresentava il nuovo, il futuro e che poteva, in qualche modo, contribuire a migliorare la qualità del mio mestiere. Non per questo mi sono fatto conquistare da una tecnologia che avrebbe potuto modificare l’equilibrio che ho raggiunto in trent’anni con la mia terra e le mie vigne, periodo questo, durante il quale ho cercato di dare la priorità all’ambiente nel quale vivo. È così che curiosando qua e là dal 1985, mediante rapporti con istituti di ricerca universitari, ho introdotto nelle vigne varie sperimentazioni che, in qualche modo, potessero salvaguardare il patrimonio vitivinicolo e contribuissero a farmi trattare le mie viti il meno possibile. Quando mi fermo ad osservare quello che sono riuscito a fare, penso di essere un uomo fortunato, ma mi rendo conto che quest’opera non è solo merito mio, ma è anche di tutti quelli che mi hanno preceduto e spesso ripenso a quella frase del mio bisnonno, che usava ripetere, dopo essere tornato dall’Argentina per fare il contadino, a differenza dei suoi parenti che erano mezzadri - “se arriverò un giorno a comprare della terra, sono sicuro che tutti i Drius che verranno dopo di me continueranno a comprare e lavorare la terra”. Così è stato e spero che ora anche i miei figli s’innamorino di questo lavoro e continuino sulla strada che altri hanno tracciato per me e che io lascerò a loro.

ALTRI VINI I Bianchi: Collio Sauvignon Doc (Sauvignon 100%) Friuli Isonzo Pinot Bianco Doc (Pinot Bianco 100%) Friuli Isonzo Bianco Doc Vignis di Siris (Tocai Friulano 50%, Pinot Bianco 25%, Sauvignon 25%)

I Rossi: Friuli Isonzo Merlot Doc (Merlot 100%)


Tocai Friulano

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Collio Tocai Friulano Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Tocai Friulano provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nel comune di Cormòns, che hanno un’età media di 10 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni composti da marne e arenarie ad un’altitudine di 60 metri s.l.m. con esposizione a sud. UVE

IMPIEGATE:

Tocai Friulano 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot e doppio capovolto DENSITÀ

DI IMPIANTO:

4500 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito nella seconda metà di settembre, e una soffice pressatura, si procede a una decantazione statica del mosto alla temperatura controllata di 12°C per circa 24 ore. Terminata questa fase di prima chiarificazione, si inseriscono i lieviti selezionati e si dà avvio alla fermentazione alcolica, che si protrae per 15 giorni ad una temperatura controllata compresa fra i 20 e i 22°C in recipienti di acciaio inox termocondizionati, al termine della quale, al vino, lasciato nei contenitori di acciaio, si praticano periodicamente fino a febbraio dei sur lies con sistemi meccanici, al fine di movimentare le fecce nobili che sono utilizzate per guidare tecnicamente lo svolgimento della fermentazione malolattica. Di solito nel mese di marzo viene effettuato l’assemblaggio delle partite e, dopo un breve periodo di stabilizzazione e un leggero filtraggio, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento di 2 mesi prima di essere commercializzato. QUANTITÀ

PRODOTTA:

5350 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un colore giallo paglierino con riflessi verdolini; all’olfatto offre profumi di mela, fiori bianchi e fieno. In bocca risulta fresco, equilibrato, asciutto, piacevole, con un retrogusto lungo e persistente in cui emergono note ammandorlate. PRIMA LE

ANNATA:

1991

MIGLIORI ANNATE:

1997 - 1999 - 2002

NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 2 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 2 e i 4 anni. L’AZIENDA: Di proprietà della famiglia Drius da diverse generazioni, l’azienda agricola si estende su una superficie complessiva di 20 Ha, di cui 12 vitati. Svolge le funzioni di agronomo e di enologo lo stesso Mauro Drius.


Quello che sto vivendo è un periodo speciale della mia esistenza. Ogni giorno che passa, giunta alla soglia dei miei cinquant’anni, mi scopro dentro una grande energia che pensavo si affievolisse con il tempo, ma che con mio enorme piacere, si rinnova come una fonte inesauribile di nuove opportunità. Ogni giorno ho voglia di fare nuove cose, di misurarmi con me stessa per capire quali siano i miei limiti, superarli e pormi nuovi obiettivi e nuove sfide. Certe volte cerco di dare delle spiegazioni a questo modo “irrequieto” di vivere la mia quotidianità, ricercando il motivo di questo curiosare a “tutto tondo” nel mondo, ponendo l’attenzione verso ogni genere di input che mi giunge dallo stesso. Giornalmente sono chiamata a risolvere all’interno dell’azienda di famiglia un’infinità di situazioni, ognuna delle quali richiede attenzione, dialogo e un’apertura continua al confronto che mi aiuta costantemente ad ampliare l’orizzonte della mia mente. Dopo aver lavorato tanto mi sembra di avere ancora davanti a me un lunghissimo percorso che mi impegnerà molto di più di quanto lo sia stata fino a un minuto prima, considerando sempre ciò che ho appena concluso di fare insufficiente per l’appagamento del mio desiderio di conoscere, di imparare e di crescere. Un’altra spiegazione del mio modo di essere la ricerco nell’appartenenza a quella generazione che, nata negli anni ’50, è stata caratterizzata da forti contrasti generazionali. Erano anni in cui tutto correva velocemente verso un futuro sospinto da un illuminismo culturale e imprenditoriale che coinvolgeva ogni aspetto della vita sociale. Sono stata adolescente in un periodo nel quale tutto

F

FELLUGA LIVIO sembrava possibile e anche oggi risento di quell’ottimismo, di quell’euforia che aveva pervaso la società di quegli anni. Quello era un progresso al quale guardavo incredula; era un futuro che cresceva molto più velocemente dei miei anni e che cercavo in qualche modo di capire. Mi trovavo immersa nelle grandi trasformazioni sociali, vere rivoluzioni che, abitando in provincia, ero costretta a seguire quasi da spettatrice, da un lato trattenuta da un’educazione tradizionalista e dall’altro proiettata violentemente verso il desiderio di grandi cambiamenti.

Maurizio, Andrea, Filippo e Elda Felluga

Non c’è un’unica Elda, ma dentro di me hanno trovato posto tante piccole “Elda”. In me c’è una Elda che, con amore e passione sta costruendo, con i suoi fratelli Maurizio, Andrea e Filippo, e sempre sotto la guida del faro di casa, il papà Livio, l’azienda di famiglia, creando insieme a loro un nucleo che trova al suo interno risorse e forze per affrontare le grandi sfide del mercato. Dentro di me c’è poi un’altra Elda che, con dedizione, si adopera per la sua terra e vorrebbe vederla crescere costantemente nell’immagine, soprattutto attraverso la valorizzazione di quei prodotti legati al suo territorio che rappresentano il grande patrimonio culturale e storico di questo fantastico e particolare lembo di terra dove culture, razze e tradizioni si mescolano e si intrecciano creando, proprio attraverso le diversità, una grande ricchezza di contenuti. Quella Elda si è impegnata molto dando un sostanzioso contributo professionale e tecnico, finalizzato al raggiungimento e alla valorizzazione di importanti obiettivi. In me c’è anche un’altra Elda, quella che cerca con tutte le forze di rimanere sem-



pre se stessa, mostrandosi agli altri come un libro aperto, con la forza di una serenità, di una schiettezza e di una semplicità che spiazza e sorprende tutti e alla fine vince. È quella Elda disposta sempre a mediare, a non essere troppo rigida, ad avere sempre voglia di ascoltare, di capire, di conoscere, di trovare un dialogo, consapevole della bontà del saggio insegnamento del padre Livio che le ricorda sempre che “dove non arriva la forza arriva il sorriso”. C’è soprattutto Elda madre di due splendidi figli, Carlo e Letizia, che mi riempiono il cuore di altri splendidi pensieri, mi danno gioia e attraverso il loro modo di vivere e le loro piccole e grandi conquiste mi infondono entusiasmo ed energia; c’è Elda imprenditrice, Elda professionista, Elda commerciante e c’è il “congresso” di tutte queste Elda, inclusa anche la Elda “grillo parlante” che, dopo cinquant’anni, ha ancora voglia di parlare e di raccontarsi e spera che, per questo, gli altri non gliene vogliano.

ALTRI VINI I Bianchi: Colli Orientali del Friuli Sauvignon Doc (Sauvignon 100%) Colli Orientali del Friuli Tocai Friulano Doc (Tocai Friulano 100%) Colli Orientali del Friuli Pinot Grigio Doc (Pinot Grigio 100%) Igt delle Venezie Shàrjs (Chardonnay 70%, Ribolla Gialla 30%) Collio Bianco Doc Rosenplatz (Chardonnay 65%, Sauvignon 35%)

I Rossi: Igt Venezia Giulia Vertigo (Merlot 60%, Cabernet Sauvignon 40%)


Terre Alte

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Colli Orientali del Friuli Rosazzo Bianco Doc ZONA DI PRODUZIONE: Terre Alte è un blend delle migliori uve Sauvignon, Tocai Friulano e Pinot Bianco provenienti dai vigneti dell’azienda, posti in località Rosazzo, nel comune di Manzano, che hanno un’età media di 30 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni composti da marne e arenarie di origine eocenica ad un’altitudine di circa 140 metri s.l.m. con esposizione a sud-est. UVE

IMPIEGATE:

Sauvignon 40%, Tocai Friulano 30%, Pinot Bianco 30%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

5500 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito negli ultimi 10 giorni di settembre, le uve subiscono una delicata diraspatura e vengono lasciate per un breve periodo in macerazione. Dopo di che si effettua una leggera pressatura e il mosto ottenuto è lasciato decantare in tini di acciaio inox per circa 24 ore alla temperatura di 13°C. Terminata questa fase, si procede all’avvio della fermentazione alcolica, che per il Pinot Bianco e il Sauvignon avviene in tini di acciaio inox e si protrae per circa 10 giorni alla temperatura controllata di 18°C, mentre per il Tocai Friulano avviene in barrique di rovere francese. Svolta la fermentazione alcolica, periodicamente vengono effettuati sia dei bâtonnage, per il vino posto nel legno, sia delle tecniche sur lies per il vino posto nei tini di acciaio, al fine di movimentare le fecce nobili mentre avviene la fermentazione malolattica, che è fatta svolgere completamente. Trascorso quasi un anno, il vino è assemblato e imbottigliato per un ulteriore affinamento che si protrae per altri 12 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

39000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un colore giallo paglierino con riflessi dorati, con profumi complessi e penetranti di frutta tropicale, agrumi e frutta a pasta gialla, sposati a sentori di vaniglia e essenze floreali. Al gusto evidenzia un attacco dolce, denso, di grande struttura, con un retrogusto lungo, fruttato con sentori tropicali e speziati. PRIMA LE

ANNATA:

1981

MIGLIORI ANNATE:

1991 - 1997 - 1999 - 2001

NOTE: Il vino, che prende il nome dagli storici vigneti delle Terre Alte da cui provengono le uve, raggiunge la maturità dopo 2-3 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 3 e i 6 anni.


Illivio Colli Orientali del Friuli Rosazzo Bianco Doc ZONA DI PRODUZIONE: Illivio è una selezione delle migliori uve Pinot Bianco provenienti dai vigneti dell’azienda, posti in località Rosazzo nel comune di Manzano. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni composti da marne e arenarie di origine eocenica ad un’altitudine di circa 140 metri s.l.m. con esposizione a sud-est.

Terminata questa fase, si procede all’avvio della fermentazione alcolica, che avviene per circa 10 giorni alla temperatura controllata di 18°C in barrique di rovere francese. Svolta la fermentazione alcolica, qui il vino rimane a maturare e periodicamente vengono effettuati dei bâtonnage, al fine di movimentare le fecce nobili. Nella fase iniziale di questo periodo si svolge la fermentazione malolattica. Trascorso quasi un anno, il vino viene messo in bottiglia per un ulteriore affinamento che si protrae per altri 16 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

30.000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un colore giallo paglierino con lievi riflessi verdolini e con profumi complessi floreali, fruttati e note minerali. Al gusto evidenzia una bella potenza che si sposa perfettamente all’eleganza; retrogusto fruttato lungo e persistente. PRIMA LE

ANNATA:

1998

MIGLIORI ANNATE:

1999

NOTE: Il vino, inventato e dedicato dai figli a Livio Felluga, raggiunge la maturità dopo 3 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 3 e i 6 anni.

UVE

IMPIEGATE:

Pinot Bianco 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

5500 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito nella seconda metà di settembre, le uve subiscono una delicata diraspatura e vengono lasciate per un breve periodo in macerazione. Dopo di che si effettua una leggera pressatura e il mosto ottenuto è lasciato decantare in tini di acciaio inox per circa 24 ore alla temperatura di 13°C.

Rosazzo di Manzano



Sossó Colli Orientali del Friuli Rosazzo Rosso Riserva Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il Sossó è una selezione delle migliori uve Merlot e Refosco dal Peduncolo Rosso provenienti dai vigneti dell’azienda, posti in località Rosazzo nel comune di Manzano, che hanno un’età media di circa 50 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni composti da marne e arenarie di origine

tura e vengono lasciate per un breve periodo in macerazione. Dopo di che si effettua una leggera pressatura e il mosto ottenuto è lasciato decantare in tini di acciaio inox per circa 24 ore alla temperatura di 13°C. Terminata questa fase, si procede all’avvio della fermentazione alcolica, che avviene per circa 10 giorni alla temperatura controllata di 28°C, mentre si procede alla macerazione delle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, dura altri 10 giorni a temperatura controllata. Terminata la macerazione, il vino viene assemblato e inizia un periodo di affinamento in barrique di rovere francese a contatto con le fecce nobili, sur lies. Nella fase iniziale di tale periodo, si svolge la fermentazione malolattica. Trascorsi circa 18 mesi, il vino viene imbottigliato e fatto riposare per un ulteriore affinamento, che si protrae per altri 12 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

38000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un colore rosso rubino intenso, con profumi complessi di ciliegia e frutti rossi di sottobosco sposati a note speziate. Al gusto è morbido ed elegante, di grande struttura, lunghezza e persistenza, fruttato con sensazioni di piccoli frutti rossi e intense note speziate. PRIMA LE

ANNATA:

1989

MIGLIORI ANNATE:

1992 - 1997 - 1999 - 2000

NOTE: Il vino, che prende il nome dal piccolo rivo che scorre ai piedi della collina da dove provengono le uve, raggiunge la maturità dopo 4-5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 10 anni. eocenica ad un’altitudine di circa 140 metri s.l.m. con esposizione a sud-est. UVE IMPIEGATE: Merlot 60%, Refosco dal Peduncolo Rosso 40% SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

5500 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito nella seconda metà di settembre, le uve subiscono una delicata diraspa-

Rosazzo di Manzano


Picolit

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Colli Orientali del Friuli Rosazzo Riserva Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Picolit provenienti dai vigneti dell’azienda, posti in località Rosazzo nel comune di Manzano, che hanno un’età media di 34 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni composti da marne e arenarie di origine eocenica ad un’altitudine di circa 140 metri s.l.m. con esposizione a sud-est.

Avviene quindi la fermentazione a temperatura controllata in piccole botti di rovere francese, dove il mosto matura per circa 18 mesi. Trascorso tale periodo, il vino viene imbottigliato e fatto riposare per un ulteriore affinamento in locali termocondizionati per altri 18 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

1500-2000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un colore giallo oro antico, intenso, con un complesso profumo dolce, fruttato, speziato, con note di albicocca, frutta secca, miele e note floreali. Al gusto è grasso, caldo, avvolgente, con un retrogusto che ricalca le percezioni olfattive; di grande struttura, risulta decisamente persistente. PRIMA LE

ANNATA:

1973

MIGLIORI ANNATE:

1989 - 1997 - 1999

NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 4 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 4 e i 10 anni. L’AZIENDA: Di proprietà della famiglia Livio Felluga dal 1956, l’azienda agricola si estende su una superficie complessiva di 170 Ha, di cui 135 vitati. Collaborano in azienda l’agronomo Daniele Cocetta e gli enologi Filippo Felluga e Viorel Flocea, con la consulenza esterna di Stefano Chioccioli.

UVE

IMPIEGATE:

Picolit 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

4000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene a partire dalla fine di ottobre con passaggi settimanali fra i filari, le uve subiscono una delicata diraspatura. Dopo di che si effettua una soffice pressatura e il mosto ottenuto è lasciato decantare in tini di acciaio inox, per una leggera chiarifica, per circa 24 ore alla temperatura di 13°C.

Rosazzo di Manzano




Il vino è come un’opera letteraria, pittorica, musicale: sa esprimere e comunicare emozioni e, oltre al colore, al profumo e al sapore, riesce a trasmettere la sensibilità, la conoscenza e il lavoro di chi lo interpreta. È per questo che, da cinque generazioni, ci piace sentirci interpreti del vino che produciamo, umili ambasciatori, sia come “vinattieri”, sia come vignaioli, di quella viticoltura friulana che abbiamo accompagnato, da oltre cento anni, nella ricerca di una sua propria identità nel panorama enologico mondiale. Noi siamo la quinta generazione che, alternandosi alla guida delle aziende di famiglia, continua a lavorare con impegno e dedizione su una linea operativa precisa, collaudata e ben caratterizzata, tracciata molti anni addietro, che ha saputo adeguarsi, interpretando i segnali che arrivavano dal mercato vitivinicolo mondiale, gratificando l’impegno profuso da noi Felluga. Possiamo assicurare che non è stato semplice raggiungere i risultati che abbiamo ottenuto in una terra difficile come il Friuli. Sono stati molteplici i fattori che hanno intralciato e costellato di difficoltà il nostro cammino, primo fra tutti il lavorare per decenni in una terra di confine, dislocata perifericamente rispetto alla scacchiera politica italiana ed europea, ma ha influito molto anche la situazione economica nella quale l’agricoltura di questa regione, priva di un qualsiasi “sistema” che fosse in grado di dare sostegno alla stessa, si è trovata invischiata per decenni. In aggiunta a tutto questo non vanno dimenticate le specifiche caratteristiche che contraddistinguono e identificano il carattere di noi friulani, da sempre “lupi solitari”, introversi, diffidenti, timidi e poco inclini al cambiamento, tipicità che non hanno certo contribuito ad aprirci verso il nuovo.

F

FELLUGA MARCO

Alessandra e Roberto Felluga

Il nostro è un mondo agricolo ancora legato al proprio passato che, con difficoltà, riesce a staccarsi dallo stesso, e in questa tradizione s’intreccia una storia costellata da “signorotti” poco lungimiranti e da una borghesia che, pur non essendo stata mai capace di porsi alla guida del sistema sociale di questo territorio, riceve dalla comunità ancora un forte senso del rispetto per ciò che avrebbe potuto rappresentare. Di questo è testimonianza il fatto di come, tutt’oggi, se interpellati, alcuni vecchi uomini di campagna rispondano ancora - comandi? - In quel “comandi” ci sono i retaggi di una cultura, difficile da rimuovere, sana, rispettosa, ma rassegnata; una cultura che subì, quasi come metafora della sorte, un forte scossone e una forte accelerazione verso il futuro solo in occasione del terremoto del 1976, quando, alla forza distruttrice della natura, i friulani seppero contrapporre un impeto d’orgoglio e un senso d’appartenenza, mai riscontrato prima d’allora, che fece rinascere tutta l’economia della regione dopo la terribile catastrofe e riuscì a far fiorire le industrie e le aziende legate al comparto enogastronomico. Fu da quel terremoto che s’incominciò a sgretolare il “bovarismo” che aveva inquinato da sempre la cultura delle genti friulane. Io e Alessandra abbiamo avuto la fortuna di crescere in questo rinascimento enologico friulano che ha caratterizzato gli ultimi vent’anni della viticoltura di questa regione contribuendo al consolidamento delle nostre aziende, assistendo entusiasti alla nascita di tanti altri imbottigliatori e godendo del fatto che la campagna friulana si ripopolasse, innescando, così, un nuovo fenomeno sociale che ha visto la fioritura di una viticoltura attenta e scrupolosa come è raro vedere in altre parti d’Italia e del mondo.



Tutto questo è avvenuto mentre lavoravamo accanto a nostro padre Marco, imparando da lui ad amare il lavoro, scoprendo quanto fosse impegnativo svolgerlo accanto a un padre, prima duro con se stesso e poi con gli altri, che pretendeva molto dai suoi figli, soprattutto dal figlio maschio che, un giorno, avrebbe dovuto guidare l’azienda di famiglia. Alessandra, invece, aveva una libertà maggiore rispetto alla mia e, con il tacito benestare di nostro padre, lei avrebbe potuto effettuare le sue scelte, muovendosi, viaggiando e andando alla scoperta del mondo, magari laureandosi e sposandosi, vivendo comunque lontana dalla terra, troppo dura e difficile - diceva mio padre - per poter essere seguita da una donna. Ognuno di noi due seguiva regole non scritte, dettate più dal buon senso che dalla logica, regole per le quali dovevamo sacrificarci e lavorare molto per mantenere e consolidare quello che nostro padre aveva fatto, regole che non potevano essere infrante. Da una parte c’ero io, contrastato fra il desiderio di andare via e il freno che mi imponeva la grande passione che avevo per l’enologia e per la terra - questo mio conflitto trovava in mia sorella un “grillo parlante” con il quale potermi sfogare e chiedere lumi -, dall’altra Alessandra, spirito libero, dolce, misterioso “elfo”, appassionata amante della natura che trovava in me la sua spalla ideale per coniugare la voglia di lavorare in azienda e il suo desiderio di essere madre. Non abbiamo avuto molto tempo per i sogni - che sono stati pochi -, perché abbiamo sempre dormito poco e lavorato molto, ogni giorno in prima linea davanti a tutti, al fianco di mio padre a dare l’esempio e a far comprendere ai collaboratori come lo spirito di abnegazione di noi friulani ripagasse con moneta sonante gli sforzi praticati. È stato normale che, con il passare del tempo, quelle nostre difficoltà giovanili ci unissero e consolidassero il nostro rapporto dentro il quale abbiamo messo un grandissimo affetto, un’amicizia profonda, del rispetto e una grande stima reciproca. È in questo rapporto che oggi ci confrontiamo per crescere e poter costruire insieme il nostro percorso che deve da una parte consolidare l’esistente e dall’altra migliorare la qualità della vita che desideriamo vivere, continuando a fare vino.

ALTRI VINI Marco Felluga I Bianchi: Collio Ribolla Gialla Doc (Ribolla Gialla 100%)

Russiz Superiore I Bianchi: Collio Sauvignon Doc (Sauvignon 100%) Collio Pinot Bianco Doc (Pinot Bianco 100%) Collio Tocai Friulano Doc (Tocai Friulano 100%)

Castello di Buttrio I Bianchi: Igt Venezia Giulia Overstein (Chardonnay 100%)


Col Disôre

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Collio Bianco Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il Col Disôre è un blend delle migliori uve Pinot Bianco, Tocai Friulano, Sauvignon e Ribolla Gialla provenienti dai vigneti dell’azienda Russiz Superiore, situati nel comune di Capriva del Friuli, che hanno un’età media di 15 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni composti da marne e arenarie ad un’altitudine compresa tra i 90 e i 150 metri s.l.m. con esposizione a sud-est. UVE

IMPIEGATE:

Pinot Bianco 45%, Tocai Friulano 30%, Sauvignon 15%, Ribolla Gialla 10% (percentuali che variano di anno in anno)

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

6000-7000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene durante tutto il mese di settembre, le uve sono pressate e il mosto ottenuto, separatamente per ogni uvaggio, viene lasciato decantare a una temperatura controllata di 10-12°C per circa 24 ore. Terminata questa fase i vini sono messi direttamente in botti di rovere di Slavonia, dai 15 ai 30 hl, dove vi rimangono per circa 12 mesi in ambienti termocondizionati; qui i vini svolgono la fermentazione alcolica, dopo di che, periodicamente, vengono effettuati dei rimontaggi, al fine di movimentare le fecce nobili che sono utilizzate per favorire la fermentazione malolattica, che è fatta svolgere quasi sempre completamente. Di seguito viene effettuato l’assemblaggio delle partite. Nel mese di agosto dell’anno successivo alla vendemmia, dopo un breve periodo di stabilizzazione in tini di acciaio, il vino viene imbottigliato per un ulteriore affinamento che si protrae per altri 12 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

10000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un colore giallo paglierino con riflessi verde-oro, con profumi complessi di fiori di acacia e di pompelmo e note vegetali. La grande struttura risulta avvolgente ed elegante conferendo al vino un finale molto lungo che sviluppa note calde ammandorlate. PRIMA LE

ANNATA:

1998

MIGLIORI ANNATE:

2000 - 2001 - 2002

NOTE: Il vino, il cui nome è la traduzione in lingua friulana della parola “colle superiore”, raggiunge la maturità dopo 3 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 3 e i 10 anni.


Molamatta Collio Bianco Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il Molamatta è un blend delle migliori uve Tocai Friulano, Pinot Bianco e Ribolla Gialla provenienti dai vigneti dell’azienda, situati nel comune di Farra d’Isonzo, che hanno un’età media di 20 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni composti da marne e arenarie ad un’altitudine compresa tra i 90 e i 150 metri s.l.m. con esposizione a nord-est.

Pinot Bianco è messo direttamente in botti di rovere, in gran parte nuove e il resto di secondo passaggio, dove rimane per circa 6 mesi in un ambiente termocondizionato, mentre il Tocai Friulano e la Ribolla Gialla vengono mantenuti in vasche di acciaio inox alla temperatura controllata di 20-22°C. In entrambi i contenitori i vini svolgono la fermentazione alcolica e periodicamente vengono effettuati dei rimontaggi sia per il vino posto nel legno che per il vino posto nei tini di acciaio, al fine di movimentare le fecce nobili che sono utilizzate per favorire la fermentazione malolattica, che è fatta svolgere parzialmente. Nel mese di aprile dell’anno successivo alla vendemmia viene effettuato l’assemblaggio delle partite e, dopo un breve periodo di stabilizzazione in tini di acciaio, il vino è messo in bottiglia per un ulteriore affinamento che si protrae per altri 2 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

25000-30000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un colore giallo oro brillante, con spiccati profumi di frutti esotici, a cui si aggiungono note floreali e speziate di vaniglia. Al gusto evidenzia eleganza ed equilibrio; di bella struttura, risulta piacevole e di lunga persistenza. PRIMA LE

ANNATA:

1990

MIGLIORI ANNATE:

1993 - 1997 - 1999 - 2000 - 2003

NOTE: Il vino, che prende il nome da un antico toponimo del territorio, raggiunge la maturità dopo 2-3 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 3 e i 5 anni. UVE IMPIEGATE: Tocai Friulano 40%, Pinot Bianco 40%, Ribolla Gialla 20% SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

6000-7000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene durante tutto il mese di settembre, le uve sono pressate e il mosto ottenuto, separatamente per ogni vitigno, viene lasciato decantare ad una temperatura controllata di 10-12°C per circa 24 ore. Terminata questa fase parte la fermentazione, cosicché il

Farra d’Isonzo


Riserva degli Orzoni

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Collio Rosso Doc ZONA DI PRODUZIONE: La Riserva degli Orzoni è un blend delle migliori uve Cabernet Sauvignon, Merlot e Cabernet Franc provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nel comune di Capriva del Friuli, che hanno un’età media di 30 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni composti da marne e arenarie ad un’alti-

mente per ogni vino, che si protrae per circa 12 giorni ad una temperatura di 27°C in recipienti di acciaio inox, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, mentre contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce che dura altri 15 giorni a temperatura controllata. Terminata questa fase, il vino è posto in botti di rovere dove rimane per 24 mesi ed effettua la fermentazione malolattica. Trascorso questo tempo viene effettuato l’assemblaggio delle partite e, dopo un breve periodo di stabilizzazione in tini di acciaio, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento che si protrae per altri 15 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

6000-8000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un colore rosso rubino intenso, con profumi complessi di frutti di sottobosco tra cui mora selvatica, ribes e lamponi, con note speziate. Al gusto evidenzia tannini morbidi ed eleganti; di grande struttura, lunghezza e persistenza. PRIMA LE

ANNATA:

1988

MIGLIORI ANNATE:

1990 - 1997 - 1999 - 2001

NOTE: Il vino, il cui nome è una dedica alla famiglia Orzoni, proprietaria di queste terre dal 1558 al 1571 e dal 1738 al 1770, raggiunge la maturità dopo 5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 15 anni.

tudine compresa tra i 90 e i 150 metri s.l.m. con esposizione a sud / sud-est. UVE IMPIEGATE: Cabernet Sauvignon 80%, Merlot 10%, Cabernet Franc 10% SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

7000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene da metà settembre a metà ottobre, si avvia la fermentazione alcolica, singolar-

Capriva del Friuli


Marburg Colli Orientali del Friuli Rosso Doc ZONA DI PRODUZIONE: Marburg è un blend delle migliori uve Pignolo, Refosco, Merlot e Cabernet Sauvignon provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nel comune di Buttrio. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni composti da marne e arenarie ad un’altitudine compresa tra i 90 e i 150 metri s.l.m. con esposizione a sud-est / sud-ovest.

coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, mentre contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce che dura altri 7 giorni a temperatura controllata. Terminata questa fase, il vino viene lasciato nei tini di acciaio dove effettua la fermentazione malolattica prima di essere messo in botti di rovere per un periodo di maturazione che dura 24 mesi. Trascorso questo tempo viene effettuato l’assemblaggio delle partite e, dopo un breve periodo di stabilizzazione in tini di acciaio, il vino è messo in bottiglia per un ulteriore affinamento che si protrae per altri 8 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

6000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un colore rosso rubino intenso, con profumi complessi di frutti a bacca rossa, note speziate e di vaniglia. Al gusto evidenzia tannini morbidi ed eleganti; di grande struttura, lunghezza e persistenza che, piano piano, conduce a far riaffiorare le percezioni olfattive. PRIMA LE

ANNATA:

1998

MIGLIORI ANNATE:

1999 - 2001

NOTE: Il vino, il cui nome è una dedica alla famiglia Marburg, proprietaria di queste terre, raggiunge la maturità dopo 4 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 4 e i 15 anni.

UVE IMPIEGATE: Pignolo 40%, Refosco 40%, Merlot 10%, Cabernet Sauvignon 10%

L’AZIENDA: Oltre al marchio Marco Felluga, della stessa proprietà sono anche l’azienda Russiz Superiore e il Castello di Buttrio. La superficie complessiva delle aziende è di 235 Ha, di cui 195 vitati e il resto dedicati a bosco e seminativo. Collaborano nelle aziende l’agronomo Edi Fabro e l’enologo Raffaela Bruno.

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

7000-8000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene da metà settembre a metà ottobre, si avvia la fermentazione alcolica, singolarmente per ogni vino, che si protrae per circa 15 giorni ad una temperatura di 28°C in recipienti di acciaio inox,

Buttrio



“Pisul ven câ” (“Ehi… piccolo, vieni qua”). Così il mio bisnonno Leopoldo mi chiamò vicino a sé. Di quel momento ho un vago ricordo in termini di ambientazione e data. Ricordo solo che stavo giocando con la mia piccolissima bicicletta, gironzolando in cortile, immerso in quella dimensione idilliaca in cui solo i bambini sanno stare. Mi avvicinai a quel vecchio che vedevo sempre seduto tranquillamente davanti alla porta di casa e, una volta fermatomi davanti a lui, ricordo che mi disse: “viars la man” (“apri la mano”). Non capii subito cosa volesse, forse perché quella sua richiesta non aveva niente a che vedere con quel mondo dei sogni a occhi aperti dove io ero immerso fino a qualche secondo prima. Lo guardai con fare interrogativo e lui, comprendendo la mia esitazione, si piegò verso di me e prese fra le sue vecchie e ruvide mani la mia manina che tenne con la destra, mentre con la sinistra pose dolcemente al centro di quel minuscolo palmo una moneta da cinque lire. Con delicatezza ripiegò le dita e, una volta chiusa a pugno, la fece sparire dentro la sua mano come a volerla sigillare. Tenendomi ben stretto mi sussurrò “viôt che tu âs di spindi ben cheî sols” (“guarda che li devi usare bene questi soldi”). Poi mi lasciò. Credo che fosse la prima volta che mi trovavo in mano dei soldi e fu per questo che ebbi premura di metterli immediatamente in tasca. Lo lasciai lì seduto, mi voltai, inforcai la bicicletta e, imitando il rumore di una moto, mi allontanai da lui ritornando a giocare. Questo è sicuramente il ricordo più importante che ho di lui. Ho ancora nella mente l’immagine di quella moneta da 5 lire che ricordo molto più

F

FERESIN

Davide Feresin

grossa di quanto poi fosse stata in realtà, così come conservo scolpite nella memoria quelle parole che ancora, a distanza di 25 anni, sento riecheggiare, nitide e cariche del loro più profondo significato, nei miei pensieri. Sono frasi che vanno ad arricchire la mia memoria dove vivono le parole, i gesti e i ricordi di altre persone a me care e che, purtroppo, non sono più al mio fianco, come mio nonno Ezio e mio padre Edi ormai scomparsi, a distanza di pochi anni l’uno dall’altro, quando io non ero ancora un uomo. Quel vuoto generazionale avrebbe potuto condurre la famiglia alla disgregazione o avrebbe potuto portarmi, quando non avevo neanche vent’anni, a disperdermi nelle insicurezze di un futuro senza una guida. Ma sono stati proprio i ricordi la mia forza e la mia energia: ricordi che, tenendomi per mano, mi hanno accompagnato lungo tutti questi anni nei quali sono rimasto da solo. È nella memoria dei loro gesti, nel ricordo dei loro pensieri che io trovo le mie risposte. Sono sicuro che sarebbero stati degli ottimi istruttori, dei grandi tutor; sicuramente mi avrebbero avviato alla vita con meno durezza rispetto a come il fato mi ha costretto a fare. Pensando a loro, ho sempre nella mente delle immagini nitide, precise, di momenti particolari, quando chiacchieravano fra loro o quando uno di loro parlava con me, e quelle figure si proiettano al mio fianco quando sono chiamato ad affrontare una quotidianità difficile e problemi che, certe volte, risultano molto più grandi della mia giovane età. Invidio un po’ chi ha una grande famiglia. A me manca molto perché so che è un punto di riferimento, è la storia, è il passato, è un’entità alla quale ti puoi rivolge-



re per evitare di sbagliare e commettere certi errori di gioventù. Con la famiglia uno si sente protetto, in quel contenitore di affetti ci sono l’esperienza, la saggezza dei “vecchi”, c’è un sentiero sul quale incominciare a camminare, lì dentro ci sono le risposte ai tuoi perché, ci sono i tempi con i quali affrontare la vita. Io purtroppo mi devo accontentare dei ricordi, belli, significativi, che comunque, per il semplice fatto che esistono, sono già un valido aiuto, ti infondono coraggio, orgoglio e quella sana testardaggine che dà la forza di voler raggiungere quello che a loro sicuramente sarebbe piaciuto. Uno di quei sogni è riunire la vecchia azienda di San Quirino, di proprietà del mio bisnonno che, nel dopoguerra, era fra i più importanti commercianti di frutta e verdura del Friuli. Era lui che faceva arrivare le banane e le angurie, che poi distribuiva attraverso i depositi che aveva sparsi un po’ su tutto il territorio a partire da Aiello del Friuli, qui a San Quirino, a Grado ad Aquileia e a Gorizia. Sono sempre stato attaccato a San Quirino. Mi piace questa campagna. Qui percepisco l’energia della mia storia, questa azienda è il contenitore dei miei ricordi, quella scatola magica che mi piacerebbe ogni tanto aprire, è un qualcosa che va oltre il semplice lavorare e andare in vigna ogni giorno, raccogliere l’uva o fare vino ed è per questo che vorrei riunificarla dopo la smembratura dovuta alle varie spartizioni fra parenti. Questa azienda è la mia storia. Vorrei riportare San Quirino al quel suo massimo splendore degli anni ’50, quando, come mi raccontava mio padre tenendo fra le mani le foto di quegli anni, era bellissima. Il mio bisnonno l’aveva acquistata da Pietro Bosero nel 1954 e l’azienda, oltre a 45 ettari di terra, possedeva una splendida villa, eretta su una costruzione più antica risalente al 1202, che venne ristrutturata l’ultima volta nel 1847. Due anni fa sono riuscito ad acquistare circa l’70% dei fabbricati e il 60% dei terreni, che erano stati in precedenza spartiti fra fratelli e nipoti. Scelte importanti, impegni economici che mi vedranno lavorare una vita per riuscire ad accorpare nuovamente tutto San Quirino. Non so se sarò in grado di riuscire in una simile e titanica impresa, ma sono sereno perché sono sicuro che potrò farcela anche se come compagni di viaggio ho solo la mia voglia di vivere, l’amore per la gente, una grande e sempre reattiva curiosità per tutto quello che mi circonda, il desiderio di ampliare le mie conoscenze, la voglia di lavorare compiendo ogni gesto con i miei ricordi e la memoria delle mie anime guida.

ALTRI VINI I Bianchi: Friuli Isonzo Tocai Friulano Doc (Tocai Friulano 100%) Friuli Isonzo Pinot Grigio Doc (Pinot Grigio 100%) Friuli Isonzo Sauvignon Doc (Sauvignon 100%)

I Rossi: Friuli Isonzo Merlot Doc (Merlot 100%) Friuli Isonzo Cabernet Sauvignon Doc (Cabernet Sauvignon 100%)


Pinot Bianco

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Friuli Isonzo Pinot Bianco Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Pinot Bianco provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nel comune di Cormòns, che hanno un’età media compresa tra i 7 e i 30 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni ghiaiosi di medio impasto ad un’altitudine di 65 metri s.l.m. con esposizione a est-ovest. UVE

IMPIEGATE:

Pinot Bianco 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

5200 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito dal 15 al 25 settembre, si procede a una soffice pigiatura e a una macerazione pellicolare sulle bucce del mosto che si protrae per 6 ore alla temperatura di 5°C, al termine della quale le uve vengono pressate e il vino avviato a una decantazione statica che si protrae per circa 24 ore alla temperatura controllata di 12°C. Terminata questa fase di prima chiarificazione, si inseriscono i lieviti selezionati e si dà avvio alla fermentazione alcolica che si protrae per 15-20 giorni alla temperatura di 16°C, in tini di cemento vetrificato, dove rimane per 6 mesi, durante i quali, periodicamente, si procede a dei sur lies settimanali al fine di movimentare le fecce nobili che sono utilizzate per guidare tecnicamente lo svolgimento della fermentazione malolattica. Di solito all’inizio di aprile dell’anno successivo alla vendemmia viene effettuato l’assemblaggio delle partite e, dopo un breve periodo di stabilizzazione e un leggero filtraggio, il vino è messo in bottiglia per un ulteriore affinamento di altri 4 mesi prima di essere commercializzato. QUANTITÀ

PRODOTTA:

5000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Vino che presenta all’esame visivo un colore giallo paglierino con riflessi verdognoli; al naso esprime profumi gradevoli ed eleganti di fiori di campo, albicocca e mela. Al palato è armonico ed intenso, denota carattere, raffinatezza e ottima struttura e ripercorre le sensazioni olfattive con una buona persistenza ed un piacevole retrogusto. PRIMA LE

ANNATA:

1998

MIGLIORI ANNATE:

1998 - 1999 - 2000 - 2002

NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 2 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 2 e i 4 anni. L’AZIENDA: Di proprietà di Davide Feresin dal 1994, l’azienda agricola si estende su una superficie complessiva di 13 Ha, di cui 12 vitati e 1 dedicato a seminativo. Collaborano in azienda l’agronomo Giovanni Bigotto e gli enologi Mauro Bressan e Michele Bean.


Una volta la vendemmia era una festa e in quei giorni, ricordo, ci ritrovavamo tutti insieme, a pranzo e a cena. Erano tempi in cui ci sentivamo sicuramente più uniti, più vicini agli amici e ai parenti, alcuni dei quali li vedevamo solo in quei giorni e tutti insieme ci sedevamo a gustare volentieri, davanti a delle bottiglie di vino, le prelibatezze gastronomiche che le donne avevano preparato in cucina, facendo anche tardi alla sera, parlando dei tempi andati e delle cose viste o sentite raccontare da chi era andato in giro per il mondo. A noi Figelj è sempre piaciuto godere dei momenti belli e semplici che la vita ci regala e la vendemmia era uno di quei momenti. Chi ci conosce sa che a noi piace molto la convivialità e che la porta delle nostre case è sempre aperta per gli amici e per quelli che ci vengono a trovare; noi del resto siamo “giuliani”, dei “con-sloveni”, che vivono dal 1792 a cavallo di un confine politico, dove, per quattrocento anni, ha regnato la pace e dove hanno vissuto a stretto contatto tedeschi, italiani e sloveni; sì, qui a Gorizia, che è proprio nella vallata sottostante, e che fino a poco tempo fa era ancora una piccola e graziosa cittadina che viveva di luce riflessa della splendida e ricca Trieste, città cosmopolita da sempre aperta al mondo. Vivevamo e viviamo ancora oggi a stretto contatto con popoli di cultura e religione diversa ed è con questa apertura mentale che siamo cresciuti, non riuscendo ancora a comprendere come sia potuto accadere che, per colpa di quattro politici e senza che la gente ne sentisse realmente il bisogno, ad un certo momento, ci siamo messi l’uno contro l’altro, con un fucile in mano, cercando di trovare l’arte di non farsi uccidere e il modo di far trascorrere un secolo di guerre e odio. Sì, le cose sono cambiate, tutto è diverso e anche la vendemmia ha assunto un altro

F FIEGL

Rinaldo Figelj

significato rispetto alla piacevolezza e alla convivialità che la caratterizzavano fino a pochi decenni addietro, visto che oggi richiede più serietà, più attenzione e un lavoro a monte, di preparazione, che dura un anno intero. Del resto, una volta le aziende non erano grandi e quel poco di vino che producevano era bevuto in zona, in qualche trattoria o in qualche “frasca” dove si mesceva in dosi industriali, mentre oggi, con l’aumento della produzione, è sorta la preoccupazione e la necessità di distribuire questo vino in tutto il mondo. Così scopri che il vino ha portato con sé nuovi bisogni, nuovi stimoli, nuove ambizioni e nuovi impegni; ha cambiato il tuo rapporto con la campagna e con il tempo e, piano piano, ha modificato anche gli equilibri che regolavano i rapporti sociali sul territorio in cui vivi, contribuendo a mutare gli usi e i costumi che, tramandati di generazione in generazione attraverso il passaparola, sembravano immutabili. Così, nelle aziende, in silenzio, si è assistito a un’eutanasìa degli allevamenti del bestiame e, con essa, alla scomparsa delle stalle, così come di altre decine di colture promiscue che arricchivano le biodiversità del territorio, per lasciare il posto a vigne e ad altre vigne, facendoti ancora una volta scoprire che fare il contadino, oggi, ha un altro significato e un altro sapore. Facendo vino, con il passare degli anni noti che anche le tue abitudini si sono modificate: sei diventato sempre più imprenditore che contadino e poi sempre più manager che vignaiolo e non solo di te stesso o della tua azienda, ma anche del territorio in cui vivi, il quale ti accompagna, come un piacevole bagaglio, ovunque tu vada, contraddistinguendoti e dandoti la forza di confrontarti con altri produttori e



con altri mercati, con altre culture e con altri popoli, diversi e molto lontani da quelli con i quali era abituato a rapportarsi mio padre Anton. Oggi non c’è più pazienza, e anche gli insegnamenti di Anton stridono con la frenesia che ci ha contagiato un po’ tutti: sono diventati démodé, retaggi di un tempo passato che, certe volte, faccio fatica anch’io a ricordare. Molte cose sono cambiate e di questo un po’ me ne dispiaccio, perché, guardandomi indietro, è come se perdessi ogni volta qualcosa d’importante, a cui sono affezionato, ed è come se dovessi ricostruire nella memoria, ogni volta, quelle lontane vendemmie, quei canti, quelle serate conviviali… Certo, se ci penso mi si stringe il cuore, ma mi basta poi guardare i miei figli e i figli dei miei fratelli per leggere in loro un futuro ancora diverso da quello che ho vissuto io. È un’altalena e un esercizio della memoria che crea un’alternanza di sensazioni. Scopri, nonostante ciò, che nel fare vino c’è ancora spazio per gli insegnamenti di quel padre ottantaduenne che ti ha trasmesso, nella sua vita, una grande fiducia nella pazienza, quasi una fede cieca nella natura, e che ti ha insegnato a saper attendere che le cose facciano il loro corso, nel rispetto di una terra che, regolata da ritmi dettati dalle stagioni, prima o poi dà sempre i frutti sperati. Facendo vino scopri di essere entrato in un vortice “globale”, nel quale sei stato costretto a crescere in fretta, inquadrato in un meccanismo complesso e affascinante, nel quale hai scommesso e giocato il tuo futuro, costruendo, giorno dopo giorno, una nuova identità che ha quasi creato una frattura e un cambiamento repentino fra ciò che eri solo pochi anni addietro e ciò che sei diventato oggi. Sì, credo che tutto questo abbia portato ad una scissione netta fra il passato e il presente e che questa scissione sia da ricercare proprio nell’allargamento e nell’espansione sia degli orizzonti imprenditoriali, sia di quelli personali con i quali siamo chiamati oggi a rapportarci, nel difficile esercizio di mantenere in equilibrio la tipicità e la caratterizzazione dei vini prodotti; questo è il compito che con i miei fratelli Giuseppe e Alessio cerchiamo di portare avanti, non dimenticando mai dove siamo e cosa eravamo, cercando di rendere i nostri prodotti armonici e piacevoli, identificandoli il più possibile con il nostro terroir e sostenendo, da sempre, che bere vino deve essere un piacere, deve creare allegria, gioia e buonumore.

ALTRI VINI I Bianchi: Collio Sauvignon Doc (Sauvignon 100%) Collio Pinot Grigio Doc (Pinot Grigio 100%) Collio Ribolla Gialla Doc (Ribolla Gialla 100%) Collio Tocai Friulano Doc (Tocai Friulano 100%)

I Rossi: Collio Merlot Leopold Doc (Merlot 100%)

Igt Venezia Giulia Meja Passito (Traminer Aromatico 90%, Sauvignon Blanc 10%)


Leopold Cuvée Blanc

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Igt Bianco Venezia Giulia ZONA DI PRODUZIONE: Leopold Cuvée Blanc è un blend delle migliori uve Pinot Bianco, Tocai Friulano, Ribolla Gialla e Sauvignon provenienti dai vigneti dell’azienda, posti a Oslavia, nel comune di Gorizia, che hanno un’età media di 15 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni composti da marne e arenarie di origine eocenica ad un’altitudine di circa 190 s.l.m. con esposizione a sud-ovest. UVE

IMPIEGATE:

Pinot Bianco 30%, Tocai Friulano 30%, Ribolla Gialla 30%, Sauvignon 10%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

5000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito alla fine di settembre, le uve subiscono una diraspatura soffice e si procede per un 50% alla criomacerazione pellicolare del mosto a 5°C per 12 ore, mentre l’altra metà viene lasciata macerare in tini aperti per 2 giorni. Terminata questa fase si procede alla pressatura e all’inserimento dei lieviti selezionati, cosicché la Ribolla Gialla, il Tocai Friulano e il Sauvignon possano continuare la vinificazione, separatamente, nei tini di acciaio inox dove effettuano la fermentazione alcolica che si protrae per circa 15 giorni ad una temperatura compresa fra i 18 e i 20°C e dove vi rimangono per 13 mesi, mentre il Pinot Bianco viene messo in barrique di Allier di primo e secondo passaggio, dove rimane a maturare anch’esso per 13 mesi. Svolta da tutti i vini la fermentazione alcolica, periodicamente vengono effettuati sia dei bâtonnage, per il vino posto nel legno, sia dei sur lies con sistemi meccanici, per il vino posto nei tini di acciaio, al fine di movimentare le fecce nobili che sono utilizzate per guidare tecnicamente lo svolgimento della fermentazione malolattica che è fatta svolgere completamente. Al termine del lungo periodo di maturazione si procede all’assemblaggio delle partite e dopo un breve periodo di stabilizzazione, senza filtraggio, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento che si protrae per altri 8 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

6000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un colore giallo paglierino con riflessi verdognoli, con delicati profumi di fiori estivi, frutta tropicale e nuances di miele. Al gusto ha un sapore asciutto, corposo, grande struttura ed è caldo e morbido, con un retrogusto che riconduce alle percezioni olfattive. PRIMA LE

ANNATA:

1992

MIGLIORI ANNATE:

1995 - 1997 - 1999 - 2000 - 2001

NOTE: Leopold Fiegl era il cancelliere austriaco che dopo la 2° Guerra Mondiale ottenne la neutralità dell’Austria rispetto ai blocchi della Nato e del Patto di Varsavia facendo bere la delegazione russa. Il vino raggiunge la maturità dopo 2-3 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 3 e i 5 anni. L’AZIENDA: Di proprietà della famiglia Figelj dal 1782, l’azienda agricola si estende su una superficie complessiva di 35 Ha, di cui 28 vitati e gli altri occupati da boschi. L’agronomo è Giuseppe Figelj, l’enologo Alessio Figelj.


Ho sempre sperato che, prima o poi, potessi trovare la soluzione al grande desiderio che avevo di andarmene da questa casa e da questa campagna. Per anni ho atteso che succedesse un evento catartico in grado di portarmi via da questa terra e che mi conducesse lontano a soddisfare, da qualche parte, la mia passione per la meccanica che non avevo potuto appagare neanche durante il periodo scolastico, non essendoci a quei tempi in zona nessun istituto tecnico industriale con indirizzo meccanico verso il quale indirizzare il mio percorso formativo, causa questa che forse mi spinse, più tardi, ad abbandonare la scuola. Crescevo insoddisfatto e fare il contadino non mi piaceva, era un lavoro che non “sentivo” e fu per questo che per un periodo di tempo mi misi a vendere macchine agricole e trattori. Ricordo che quando si verificava un guasto meccanico non aveva importanza dove la macchina si fosse fermata, io correvo per smontare e rimontare quel motore, lasciandomi conquistare da quel gioco appassionante che solo la complessità degli ingranaggi riusciva a trasmettermi. Certamente anche l’ambiente circostante non contribuiva a farmi apprezzare quello che stavo facendo; infatti, questa zona di Rocca Bernarda, dove noi viviamo, è parte integrante del famoso “triangolo della sedia”, composto da Corno di Rosazzo, San Giovanni al Natisone e Manzano, dove piccole e medie industrie sono fiorite ad ogni angolo di strada. A quei tempi qui si respirava l’odore dei “soldi di legno” e le famiglie dell’ambiente snobbavano chi, come noi, faceva il contadino: era più elegante fare il seggiolaio che il contadino. Ricordo che noi ragazzi di campagna eravamo un po’

G

GIGANTE

Adriano Gigante e famiglia

emarginati e ci dovevamo spostare per uscire con degli amici che non facessero pesare il loro portafoglio. Ricordo che, davanti a certi comportamenti, qualcuno diceva: “se vuoi fare un dispetto a Dio, trasforma un povero in un ricco”. Ogni attività diversa mi serviva per poter respirare aria nuova, per non sentirmi sempre con l’affanno addosso e con l’angoscia che mi bloccava e mi paralizzava nei movimenti. Ricordo che amavo il ballo, una passione che sento fortemente viva in me ancora oggi, e, non appena potevo, lasciavo tutto e andavo in giro a fare gare di ballo liscio. Quel mondo pieno di allegria e di una varietà di persone molto distanti dalla mia cultura e dalla mia campagna mi faceva star bene, fino a quando non ritornavo. Ma cosa mi costringeva a rimanere qui? Questa era sovente la domanda che mi ponevo; cosa poteva esserci di così importante che mi tratteneva a Rocca Bernarda? Del resto non ero sposato, anche se l’ho sempre desiderato fin da giovane, giungendoci invece solo alla soglia dei miei quarantacinque anni dopo aver incontrato Giuliana, né avevo figli che mi trattenevano qui, paternità che del resto ho conosciuto da poco, dopo il matrimonio; e allora? Cosa mi tratteneva qui? Con il passare del tempo ho scoperto il motivo che mi incatenava a questo mondo agricolo: la famiglia. Ciò che mi tratteneva qui era il legame sottile, gli affetti, il sentirsi parte di una



comunità e di un mondo piccolo, ma importante, era il gioco dei ruoli e dell‘insieme, era il contributo che ognuno riusciva a fornire per l’ottenimento del risultato. Non volevo prendere coscienza dell’importantissimo ruolo che esercitava su di me la famiglia; per anni non sono riuscito a stare in equilibrio mantenendo con essa un rapporto di amore-odio e anche se non volevo ammetterlo, ero legato al mio nucleo familiare molto più di quanto pensassi. Eravamo in undici in famiglia, tutti insieme, legati nel bene e nel male, nella miseria e nel benessere e ancora oggi è così; basta pensare che i fratelli di mio padre, ora in pensione, lavorano in azienda con noi e i loro figli lo stesso; ora che stanno arrivando anche le nuore e i nipotini, quel numero è destinato indubbiamente ad aumentare e riconosco la gioia di tutti quanti nel godere dello spettacolo che facciamo quando ci mettiamo tutti seduti intorno ad un tavolo. Ce ne sono pochissime di famiglie così in giro per l’Italia e di questo ora sono orgoglioso, sebbene abbia sofferto per una quindicina d’anni per questa mia irrequietezza. Saranno trascorsi appena cinque anni da quando ho scelto in modo definitivo, con la testa e con il cuore, di stare in azienda; non è passato molto tempo, infatti, da quando ho abbandonato qualsiasi velleità di fuga. In questo mio lento ma risoluto desiderio di accostarmi alla terra ha giocato un ruolo determinante il mio ingresso e il mio impegno con il Sindacato che ha contribuito a farmi prendere coscienza della complessità e dello spirito che anima il mondo agricolo. Lentamente questa collaborazione mi ha condotto ad accettare il ruolo di imprenditore agricolo, di vignaiolo, di contadino, aiutandomi ad avere nuove e stimolanti passioni. Oggi, al contrario, se sto molto tempo lontano dalla vigna, per due o tre mezze giornate, cosa che purtroppo succede per via dell’impegno che ho assunto come presidente della Federdoc, sento che mi manca, come mi manca la terra, la cantina e quel contatto epidermico con questo mondo rurale che prima non sentivo troppo mio e che oggi invece ho paura di perdere.

ALTRI VINI I Bianchi: Colli Orientali del Friuli Pinot Grigio Doc (Pinot Grigio 100%) Colli Orientali del Friuli Chardonnay Doc (Chardonnay 100%)

I Rossi: Colli Orientali del Friuli Merlot Doc (Merlot 100%)

Colli Orientali del Friuli Picolit Doc (Picolit 100%)


Tocai Friulano Vigneto Storico

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Colli Orientali del Friuli Tocai Friulano Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Tocai Friulano provenienti dal vigneto “storico” dell’azienda, posto nel comune di Corno di Rosazzo, le cui viti hanno un’età media di circa 60 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni marnosi di origine eocenica ad un’altitudine di 140 metri s.l.m. con esposizione a est-ovest. UVE

IMPIEGATE:

Tocai Friulano 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Cappuccina DENSITÀ

DI IMPIANTO:

3500 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito a partire dal 10 settembre, e una soffice pigiatura, si procede a una breve macerazione pellicolare del mosto sulle bucce che si protrae per 5-6 ore alla temperatura di 15°C, al termine della quale si procede alla pressatura e alla decantazione statica del mosto che si svolge a una temperatura controllata di 13-15°C per circa 24 ore. Terminata questa fase si inseriscono i lieviti selezionati e si dà avvio alla fermentazione alcolica che si protrae per circa 18 giorni alla temperatura controllata di 18-20°C in recipienti di acciaio inox. Durante i 7 mesi di maturazione, vengono effettuati 2 sur lies alla settimana e, a seconda delle annate, si lascia libero il vino di poter svolgere, più o meno regolarmente, la fermentazione malolattica. Alla conclusione del processo di vinificazione si procede all’assemblaggio delle partite e, dopo un breve periodo di stabilizzazione, il vino è messo in bottiglia per un ulteriore affinamento che dura altri 6 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

8000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: All’esame visivo si presenta di un colore giallo paglierino intenso, mentre all’olfatto offre eleganti note di pesca gialla e frutti tropicali come il mango e a cui si accompagnano delicati sentori floreali. In bocca risulta molto gradevole, elegante, di bella freschezza e sapidità. Al retrogusto è lungo e persistente con un finale ammandorlato. PRIMA LE

ANNATA:

1970

MIGLIORI ANNATE:

1999 - 2000 - 2001 - 2003

NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 2 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 2 e i 5 anni.


Picolit Colli Orientali del Friuli Picolit Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Picolit provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nel comune di Corno di Rosazzo, le cui viti hanno un’età media compresa tra i 25 e i 30 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni marnosi di origine eocenica ad un’altitudine di 135 metri s.l.m. con esposizione a est-ovest.

rovere francese dove svolge la fermentazione alcolica che si protrae per circa 25 giorni sempre alla temperatura controllata di 16-18°C. Qui rimane 12 mesi durante i quali il vino matura, prima di essere messo in bottiglia per un ulteriore affinamento che dura altri 12 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

1500 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Bel colore giallo dorato luminoso; al naso offre profumi netti e intensi di frutta candita, confettura e fiori gialli. All’esame gustativo risulta molto piacevole e vellutato, elegante, raffinato. Decisamente lungo e persistente al retrogusto con un finale che ricorda la mandorla tostata. PRIMA

ANNATA:

LE

1974

MIGLIORI ANNATE:

1994 - 1996 - 2000 - 2001

NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 3-4 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 4 e i 10 anni. L’AZIENDA: L’azienda agricola, di proprietà della famiglia Gigante dal 1957, si estende su una superficie complessiva di 25 Ha, di cui 20 vitati e 5 occupati da prati e bosco. Svolge le funzioni di agronomo ed enologo Ariedo Gigante.

UVE

IMPIEGATE:

Picolit 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Doppio capovolto DENSITÀ

DI IMPIANTO:

3800 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito a partire dal 25 settembre, si procede all’appassimento delle uve per 60 giorni fino al raggiungimento del grado zuccherino desiderato. Al termine di questa fase si procede alla pressatura e il mosto viene lasciato in pressa a una temperatura controllata di 12°C per circa 20 ore. Quindi il mosto viene inserito in tonneau di

Corno di Rosazzo



Se vi dovessi raccontare cosa è per me il vino e quale significato esso abbia, troverei difficoltà a collocarlo dentro certi schemi preconfezionati nei quali siete stati, spesso, abituati a vederlo in questi ultimi anni. È simpatico notare quale miriade di termini o appellativi si siano costruiti intorno al vino e quante nuove professioni siano nate sull’onda del suo successo o, ancora, quante pagine di giornali si riempiano, quotidianamente, per fomentare e movimentare il suo enorme business. Non so se per voi è facile comprendere fino in fondo il significato di questo grande e planetario circo che, via via, si è venuto a costruire intorno al vino, ma vi posso assicurare che per me non lo è, e allo stesso tempo, per uno come me che è nato contadino e vuole morire contadino, non è facile capire come si possa rendere un vino “internazionale”. Per me il vino non è enologia, tecnica o scienza, non è sperimentazione, comunicazione, pagelle, guide o mercato globale: è filosofia, parabola divina, pensiero profondo e deve coinvolgere intanto l’anima e poi il cuore. Il vino è passione, coinvolgimento totale, abnegazione, rispetto della terra. Il vino non mi ha cambiato, come ha fatto con tanti altri vignaioli, poiché io ho vissuto sempre in simbiosi con il vino e con la vite e il fatto di essermi sempre posto in armonia con la mia campagna ha fatto sì che io modificassi, via via, il mio approccio alla vita, cercando di adattare quel sogno che, da musa ispiratrice, mi ha condotto allo studio del “grande vino” attraverso la ricerca costante dell’eccellenza assoluta capace di caratterizzare la storia e contraddistinguere un’epoca. Per fare vino bisognava che io diventassi un tutt’uno con la terra, la madre di

G

GRAVNER

Francesco Josˇko Gravner con la moglie Maria e il figlio Miha

ogni cosa, la mia maestra perfetta che ha saputo afferrarmi per mano, guidandomi verso una maggiore conoscenza delle sue potenzialità e mi ha consentito di comprendere non solo le sue mille sfumature, ma anche le regole che determinano quegli equilibri che al suo interno si vanno, via via, modificando. Quando ero bambino, nell’azienda di famiglia, la stessa nella quale continuo ancora oggi a lavorare, avevamo un’attività promiscua con alberi da frutto, un po’ di granturco, la stalla e la vigna e ricordo che, quando a casa mi cercavano, sapevano bene dove trovarmi: io ero in mezzo alle viti, era lì il mio posto, fra quei filari dove mi sentivo a mio agio. Fu così che alla fine mio padre Jozˇef decise che, nonostante la mia giovane età, io diventassi il responsabile della produzione del vino di casa. Da quegli anni si è avviata la mia lenta e continua metamorfosi naturale e, in questo processo di crescita e di apprendimento, per decenni ho modificato lentamente e quasi senza accorgermene, il mio approccio con il lavoro e, di conseguenza, il sistema di operare intorno al mondo del vino. Questo naturale processo evolutivo ebbe due forti accelerazioni in occasione di due eventi ben distinti ognuno dei quali contribuì a farmi fare un salto di qualità importante che modificò e illuminò il mio pensiero sul vino, mettendo in dubbio le certezze e le sicurezze che avevo raggiunto fino ad allora. Il primo di quegli eventi coincise con il viaggio che feci, nel 1987, in California. Quello che avevo visto in quella nuova “Mecca” del vino mondiale non mi era piaciuto e mi fermai molto a riflettere sul significato che era attribuito alla parola “globalizzazione”, che avevo sentito per la prima volta, e anche sul valore del



vino che avevo assaggiato, uguale per tutti. Non mi piacque quella ricerca spasmodica della standardizzazione del gusto ad ogni costo. All’improvviso compresi che quella non era la strada giusta, o almeno, non era quella la mia strada. Non mi interessava fare il vino per chi non fosse in grado di capire la biodiversità di queste mie terre di confine. Quel coro di produttori che cantava le lodi dei vitigni internazionali non mi piaceva, non era quella la canzone che avrei voluto cantare per il mio vino. Da quel momento mi sono impegnato affinché la mia canzone diventasse, piano piano, l’espressione di quell’armonia che regna fra me e le mie vigne che, da anni, pongo sempre e solo nei migliori appezzamenti di terreno. Volevo che, in quella musica, si percepissero il rispetto e l’impegno che, da sempre, ho profuso a tutela del mio territorio sul quale difendo ogni forma di vita, dagli alberi, sui quali costruisco i nidi per gli uccelli, agli insetti. Avrei voluto che, da quelle note, si percepisse la sensibilità che metto nell’agire rispettando i ritmi biologici delle stagioni, potando o vinificando secondo i cicli lunari, perché, da contadino e non da scienziato, ho sempre ritenuto che, se la luna è in grado di far alzare di 10 metri gli oceani, sarebbe stato utile considerare la sua energia una valida amica nel mio lavoro. Nella stesura dello spartito della mia canzone sapevo con chiarezza che il mio vino doveva essere il più puro possibile e pertanto dovevo bandire ritornelli sciocchi, sfumature armoniche poco comprensibili, così come dovevo eliminare tutto quello che non fosse stato in armonia con il principio naturale e di rigidità che mi ero imposto; quindi dovevo usare note che provenivano solo da lieviti naturali, dai batteri e degli enzimi, per creare un vino vivo, con toni brillanti e che mi aiutasse a trovare, prima di tutto, il piacere di cantare. Il secondo evento purificatore avvenne in coincidenza di un incidente sul lavoro che mi capitò nel 1996, a causa del quale mi dovettero asportare la milza con una serie di altri spiacevoli inconvenienti. Quel fatto traumatico cambiò la mia vita, non solo sotto l’aspetto fisico, ma anche sotto l’aspetto esistenziale, facendomi ritrovare, all’improvviso, davanti alla necessità di stabilire delle priorità e di restituire valore alle cose che componevano la mia vita e, poiché quello stesso vino era la mia vita, cercai di trovare in esso le mie risposte. Fu così che iniziai un viaggio a ritroso alla ricerca delle origini del mio lavoro nel quale, del resto, avevo trovato sempre le risposte ai miei interrogativi. Avevo sentito dire che in Georgia, alle pendici delle montagne del Caucaso, vi erano le origini della viticoltura e che lì, il vino, era stato vinificato per la prima volta. Fu così che mi recai in quella terra magica e scoprii come, ancora oggi, vi fossero vignaioli che producevano il vino come cinquemila anni fa. Lì compresi l’importanza della terra, lì riconobbi la stessa filosofia che mi aveva sempre accompagnato nella vita e che mi aveva sempre fatto difendere le mie scelte in azienda. Lì compresi che la terra sta alla vite per far nascere l’uva, come la terra sta all’uva per far nascere il vino. Quelle giare sotto terra, quelle viti vecchie come un uomo vecchio, quei meccanismi di vinificazione, semplici e antichi, in grado di realizzare vini unici, particolari, ricchi, vivi, ogni anno diversi fra loro, ma capaci, dopo vent’anni, di sembrare ancora mosti da vinificare, mi stregarono. Quella difficilissima semplicità di vinificazione e quei sistemi provenivano direttamente dalla storia e, in quella storia, vi era la conferma delle mie intuizioni di un vino che avesse un’anima, lontano dall’asetticità del tasting internazionale, un vino maturato direttamente nelle viscere della terra dalle quali, del resto, era venuto. Così io faccio vino e così continuerò a farlo finché avrò la forza di farlo.

ALTRI VINI I Rossi: Igt Rosso Venezia Giulia Gravner (Merlot 80%, Cabernet Sauvignon 20%) Igt Rosso Venezia Giulia Gravner Riserva (Merlot 100%) Igt Rosso Venezia Giulia Rujno Riserva (Merlot 100%)


Breg Gravner

155

Igt Bianco Venezia Giulia ZONA DI PRODUZIONE: Il Breg Gravner è un blend delle migliori uve Sauvignon, Chardonnay, Pinot Grigio e Riesling Italico provenienti dai vigneti dell’azienda, posti a Oslavia, nel comune di Gorizia, che hanno un’età media di 25 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni calcareo-marnosi ad un’altitudine compresa tra i 150 e i 200 metri s.l.m. con esposizione a sud-est / sud-ovest. UVE

IMPIEGATE:

Sauvignon 38%, Chardonnay 35%, Pinot Grigio 20%, Riesling Italico 7%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

4000-9000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito alla fine di settembre, le uve sono pressate e il mosto è lasciato a contatto con le bucce in tini troncoconici di rovere aperti dove si dà avvio alla fermentazione alcolica che, senza l’aggiunta di lieviti selezionati e con frequenti follature, si protrae per 12 giorni senza controllo della temperatura. Dopo questa fase il vino viene messo in botti di rovere da 15 e da 70 hl dove vi rimane per circa 40 mesi con 4 travasi, uno ogni dieci mesi circa, effettuati durante i periodi di luna favorevole. A seconda delle annate, il vino può liberamente svolgere la fermentazione malolattica. Dopo questo lungo periodo di maturazione si procede all’assemblaggio delle partite e, dopo un breve periodo di stabilizzazione, senza alcun filtraggio e chiarifica, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento di altri 3 mesi prima di essere commercializzato. QUANTITÀ

PRODOTTA:

18000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta all’aspetto visivo di un colore giallo dorato spento con toni ambrati; al naso ha bisogno di aprirsi e, una volta ben ossigenato, offre una complessità di profumi intensi che vanno dalla pesca ai canditi, dal caramello alla nocciola, dai fiori secchi alle spezie. Al palato esprime tutta la sua pienezza, risulta caldo, particolare, quasi tannico, ma con un equilibrio e una morbidezza che offrono delle sensazioni gustative uniche; lunghissimo e persistente. PRIMA

ANNATA:

1990

LE MIGLIORI ANNATE: 1990 - 1994 - 1999 - 2000 NOTE: Breg è una parola slovena che significa “vigneto in pendio”. Il vino raggiunge la maturità dopo 5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 15 anni.


Ribolla Gialla Igt Bianco Venezia Giulia ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Ribolla Gialla provenienti dai vigneti dell’azienda, posti a Oslavia, nel comune di Gorizia che hanno un’età media di 15 anni e hanno una resa di 24 q.li a Ha. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni calcareo-marnosi ad un’altitudine compresa tra i 150 e i 200 metri s.l.m. con esposizione a sud-est / sud-ovest.

Dopo questa fase il vino viene messo in botti di rovere da 15 e da 70 hl dove vi rimane per circa 40 mesi con 4 travasi, uno ogni dieci mesi circa, effettuati durante i periodi di luna favorevole. A seconda delle annate, il vino può liberamente svolgere la fermentazione malolattica. Dopo questo lungo periodo di maturazione si procede all’assemblaggio delle partite e, dopo un breve periodo di stabilizzazione, senza alcun filtraggio e chiarifica, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento di altri 3 mesi prima di essere commercializzato. QUANTITÀ

PRODOTTA:

21000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta all’aspetto visivo di un colore giallo dorato con riflessi ambrati; al naso necessita di tempi lunghi per riuscire a esprimere la complessità delle sensazioni olfattive che vedono la presenza di profumi di albicocca, frutta sciroppata, mandorla e uva passa. Al palato risulta caldo, estremamente concentrato, morbido ed elegante, mentre al retrogusto è lunghissimo e persistente, esaltando le percezioni avvertite all’olfatto con un finale di scorza di arancio candita. PRIMA LE

ANNATA:

1973

MIGLIORI ANNATE:

1990 - 1994 - 1997 - 1999 - 2000

NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 15 anni.

UVE

IMPIEGATE:

Ribolla Gialla 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

L’AZIENDA: Di proprietà della famiglia Gravner dal 1901, l’azienda agricola è seguita da Francesco Josˇko Gravner dal 1976 e si estende su una superficie complessiva di 32 Ha, di cui 16 vitati. Svolge le funzioni di agronomo e di enologo lo stesso Francesco Josˇko Gravner.

4000-9000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito alla fine di settembre, le uve sono pressate e il mosto è lasciato a contatto con le bucce in tini troncoconici di rovere aperti dove si dà avvio alla fermentazione alcolica che, senza l’aggiunta di lieviti selezionati e con frequenti follature, si protrae per 12 giorni senza controllo della temperatura.

Oslavia





C’è un’anima in questo territorio che sento molto vicina alla mia. È pura, schietta, avvolgente; è un’anima viva che scandisce, come dei lenti respiri, lo scorrere del tempo per tutta questa valle dello Judrio, qui, a Prepotto. Spesso, quando riesco a ritagliarmi un po’ di quiete dai quotidiani impegni di madre di due splendide creature, di moglie e di imprenditrice di un’azienda vitivinicola, mi siedo e, in silenzio, cerco di ascoltare e di riappropriarmi di quel respiro. Mi angoscio quando non lo sento. Mi rendo conto che quel suo silenzio dipende, quasi sempre, dal fatto che sono troppo distratta e confusa. Provo a rilassarmi e, dopo aver sgombrato la mente da tutti i pensieri, ecco che ricomincio a sentirlo riecheggiare nella mia testa, come il rumore di una delicata e leggera brezza che spira lungo la valle. In certi momenti ho la percezione nettissima di quel suo lento alitare e sembra anche a me di essere parte viva di quel respiro e mi perdo, in quel soffio caldo e rassicurante, come si perderebbe un cucciolo nel manto caldo della madre. Questa è proprio una valle magica, incastonata fra i silenzi di Castelmonte, a destra, e di Colle di Brischis, a sinistra, e i dolci declivi collinari sottostanti che sembrano disegnati dalla mano dell’uomo, dove si vivono ancora i ritmi lenti di una ruralità che è rimasta immutata da decenni e che è scandita solo dalle vendemmie. Quello che mi sovrasta è un cielo terso che si può incontrare da poche altre parti, un cielo che sembra quasi cozzare con il verde delle vigne e dei boschi. È in quel respiro che percepisco il significato poetico della “chiarità”, fatta di quella nitidezza e trasparenza d’immagine che qui il paesaggio ha saputo esprimere al

G

GRILLO IOLE

Anna Muzzolini · Pasqualino Casella

meglio, dando non solo colori nitidi e puliti agli elementi che lo compongono, e che grandi pittori friulani hanno saputo rappresentare, ma anche disegnando gli uomini, anch’essi limpidi e puliti come il cielo, schietti e concreti, senza troppi fronzoli in testa e con la terra sotto le unghie. Mi fermo. Guardo le vigne davanti casa mentre sono distratta a seguire il volo di una poiana che mi sorvola. Intorno il silenzio e il lento respiro della terra. È qui che sono nata ed è qui che sono voluta ritornare dopo essermi laureata a Ferrara ed è in questa azienda di famiglia che, insieme ad Andrea, mio marito, voglio vivere. Ogni tanto ritorno volentieri con la memoria alla splendida città degli Estensi, al defluire dei canali verso il Po, alle sue affascinanti nebbie nelle quali ci nascondevamo volentieri, abbracciandoci, io e Andrea, in quello splendido e goliardico periodo che è, per tutti i giovani, il tempo dell’università. Tutte le settimane, però, tornavo a casa. Avevo bisogno di riappropriarmi di quel respiro e vivere a stretto contatto con la natura. Dopo la laurea accettai il dottorato, ma, immancabilmente, ogni occasione era buona per ritornare nella mia valle; poi il matrimonio e il primo figlio e intanto le vendemmie a Prepotto si facevano sempre più importanti, l’azienda cresceva e, con l’imbottigliamento del vino e con la sua commercializzazione, mi rendevo conto che mio padre Sergio non ce la faceva più a seguire la campagna e la contabilità dell’impresa familiare che, nel frattempo, si era ampliata anche con un agriturismo. Fu così che dopo una lunga riflessione convinsi mio marito a trasferirci qui e a dare una svolta importante



alla nostra vita, cosciente che quella scelta avrebbe condizionato anche il futuro di mio figlio. Sapevamo di lasciare una gran bella città, dove ho vissuto momenti importanti della mia vita, momenti che mi hanno segnato piacevolmente come la laurea, il matrimonio, il primo figlio e dove mia madre tutte le volte, ma proprio tutte le volte che veniva a trovarmi, si meravigliava non tanto della confusione o del luccichìo delle vetrine, ma della gentilezza delle commesse e delle persone, abituata com’era a quella ruvidezza dei modi che la nostra terra friulana conferisce a chi vi nasce e la vive. Fra poco ricomincerà un’altra giornata che sono sicura sarà splendida come tutte le altre che ho passato da quando sono tornata qui ad Albana di Prepotto. È passato ormai qualche anno da quel giorno e sto cercando ancora di addentrarmi nel mondo del vino. Un percorso avviato prima sotto la guida di mio padre, fino a quando è rimasto in vita, poi facendomi affiancare da Lino, l’enologo dell’azienda, un amico più che un semplice tecnico. Un mondo che ho scoperto affascinante e che mi incuriosisce moltissimo, perché ora inizio a comprenderne le dimensioni, ma di cui, purtroppo, non riesco a vedere i confini; un mondo variegato, complesso e articolato del quale ho incominciato ad assaporare il gusto. Nel frattempo è arrivato anche il secondo figlio, una bambina, Giulia, che, insieme a Mattia, cresce libera e spensierata in spazi che un condominio di qualsiasi città, anche la più bella, non potrebbe mai regalarle. Anche se dovesse succedere che un giorno vorrà andarsene via, so che non potrà fare a meno, come me, di tornare, perché noi friulani siamo fatti così: ogni volta che andiamo, dobbiamo tornare perché il nostro posto è qui.

ALTRI VINI I Bianchi: Colli Orientali del Friuli Pinot Grigio Doc (Pinot Grigio 100%) Colli Orientali del Friuli Bianco Doc Santa Justina (Chardonnay 50%, Malvasia 25%, Ribolla Gialla 25%)

I Rossi: Colli Orientali del Friuli Schioppettino Doc (Schioppettino 100%)


Sauvignon

163

Colli Orientali del Friuli Sauvignon Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Sauvignon provenienti dai vigneti dell’azienda, posti in località Albana nel comune di Prepotto, che hanno un’età media di 15 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni composti da marne arenarie ad un’altitudine di 120 metri s.l.m. con esposizione a nord-sud. UVE

IMPIEGATE:

Sauvignon 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot e cordone speronato DENSITÀ

DI IMPIANTO:

4000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito nella prima settimana di settembre, si procede a una pigiatura soffice e alla macerazione pellicolare del mosto con le uve alla temperatura controllata di 10°C per circa 6-8 ore. Dopo una soffice pressatura e una leggera decantazione di 12-14 ore alla temperatura di 15°C, si inseriscono i lieviti selezionati e si dà avvio alla fermentazione alcolica del vino, che è svolta per un 30% in tonneau e che si protrae per 10-12 giorni a temperatura controllata. Durante i 7 mesi della maturazione, periodicamente vengono effettuati sia dei bâtonnage, per il vino posto nel legno, sia dei sur lies, con sistemi meccanici, per il vino posto nei tini di acciaio, al fine di movimentare le fecce nobili che sono utilizzate per guidare tecnicamente lo svolgimento della fermentazione malolattica che è fatta svolgere completamente. Di solito nel mese di maggio viene effettuato l’assemblaggio delle partite e, dopo un breve periodo di stabilizzazione e un leggero filtraggio, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento che dura altri 6 mesi prima della commercializzazione. QUANTITÀ

PRODOTTA:

4500 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Colore giallo paglierino brillante con bagliori verdi; all’esame olfattivo emergono sentori di salvia, peperone, fiori di campo e pesca a polpa bianca. In bocca è fruttato e denota buona struttura e morbidezza; di ottima persistenza al retrogusto. PRIMA LE

ANNATA:

1993

MIGLIORI ANNATE:

1995 - 1996 - 2000 - 2003

NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 2 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 2 e i 6 anni. L’AZIENDA: Di proprietà di Iole Grillo dal 1973, l’azienda agricola si estende su una superficie complessiva di 20 Ha, di cui 8 vitati. Svolge le funzioni di agronomo e di enologo Pasqualino Casella.


È facile aggirarsi per le campagne friulane e sentirsi raccontare delle splendide fantasticherie come quella secondo cui molti ritengono di essere nati sotto un grappolo d’uva. Io, che sono adulta, so che da altre parti hanno avuto le cicogne o le foglie di cavolo, ma non so se sono stati più fortunati; invece noi in Friuli siamo nati così, sotto l’uva e con il vino in bocca. Anch’io appartengo a quella categoria di eccentriche creature che hanno preso altre strade rispetto a quelle delle favole; anch’io sono nata sotto il segno dell’uva e non poteva essere diversamente. Del resto si sa che questa non è terra di favole. I fratelli Grimm o Jean La Fontaine non hanno mai conosciuto il Friuli! Forse è successo che i bimbi friulani, presa coscienza del fatto che gli ultimi cento anni di questo territorio sono stati ricchi solo di distruzioni e ricostruzioni, hanno pensato bene, nell’insicurezza degli ortaggi o di ambigui trasporti poco affidabili, di nascere sotto il frutto della vite. Come dargli torto? Del resto siamo o non siamo persone concrete, noi friulani? Sempre con i piedi ben radicati per terra e poi, non è forse vero che tutti abbiamo, nel nostro albo genealogico, un nonno o un padre che faceva il vignaiolo? Dove altro potevamo essere concepiti? Anch’io avevo un padre contadino, anzi vignaiolo, uno di quegli uomini friulani eccezionali, un pilastro della mia vita e oggi un’icona alla quale mi rivolgo spesso per trovare energia, verificando così se mi segue ancora o se mi ha abbandonata.

H HUMAR

Loretta Humar e famiglia

Spesso, quando penso a lui, ho forte in me una precisa immagine che me lo raffigura quando, da casa, si avviava fra i filari della vigna con quel suo passo claudicante, dovuto a una poliomielite che lo aveva colpito nell’infanzia. Non era mai casuale quel suo aggirarsi per le vigne, era sempre alla ricerca di quali fossero state le motivazioni, le cause e i perché del mancato ottenimento dei risultati che lui avrebbe voluto raggiungere e che gli avrebbero consentito la produzione del suo “grande vino”. Scrutava accuratamente ogni pianta, guardava ogni grappolo, sempre desideroso di migliorare quello che era stato fatto nella vendemmia precedente. Da buon perfezionista, mio padre Marcello non era mai contento di quello che aveva ottenuto, ma non per questo si disperava. Le sue arrabbiature scaturivano più da un suo ingiustificato senso di colpa verso se stesso per non aver controllato o fatto quella determinata cosa che non verso gli altri che magari potevano non avere eseguito a dovere i suoi ordini. Ma in cinque minuti tutto si risolveva, gli ritornava il sorriso e lo riprendeva la solita allegria. Aveva dentro una grande energia che, credo, gli derivasse proprio da quella malattia che lo aveva colpito da ragazzo e che non gli aveva mai consentito di correre come avrebbe voluto fare quando era il momento. Per questo aveva acquisito il gusto di “correre” incontro alla vita, sempre e comunque, con la serenità e la gioia di riuscire a farlo, fino all’ultimo, puntando sulla cosa che gli riusciva meglio: il vino. Quando incominciò a capire che non ce la faceva più, nel 1996 mi volle accanto a sé e visto che io ero nata, come tanti friulani, sotto l’uva e con il profumo del vino in bocca, non mi sembrò vero di accontentarlo. Fu così che lasciai il mio



lavoro che mi vedeva alla guida di un importante ufficio di import-export per mettermi accanto a lui a imparare a fare il vino. Già da anni seguivo la contabilità dell’azienda che si era allargata all’inizio degli anni Novanta con l’acquisizione delle terre dei Conti Formentoni, poi incominciai a seguire anche il settore commerciale e quello produttivo, anche se di vino ne capivo poco. Ogni tanto Marcello veniva a tavola e mi portava due campioni anonimi di vino e mi chiedeva quale dei due mi piacesse di più. Ricordo che per lui non era importante che io gli indicassi quale fosse, non aveva valore se uno superava l’altro: per lui era determinante che io incominciassi a comprenderne il perché e così accadeva su ogni cosa che riguardasse la cantina o la vigna: lui voleva che io capissi le motivazioni che potevano causare un evento e determinare, con esso, una scelta o l’altra. Comunque in questi anni essere divenuta sommelier o aver frequentato vari corsi di specializzazione non è stato sufficiente a infondermi quella sicurezza che avevo accanto a lui. D’altronde non poteva essere diversamente considerando le sue oltre sessanta vendemmie a confronto delle quattro o cinque che ho fatto io fino ad oggi. Inoltre devo assicurare che non mi è servito a molto essere nata sotto un grappolo d’uva per acquisire conoscenza enologica. Consapevole di non potermi arrendere, mi sto prodigando nello scoprire, giorno dopo giorno, i meccanismi culturali, linguistici e tecnici che arricchiscono il variegato mondo del vino. Ho scoperto, per esempio, che il vino è come una religione, con le sue regole e i suoi riti: è un culto che va professato e praticato per apprezzarne il significato. Mi sono scoperta curiosa, osservatrice attenta del mondo vitivinicolo che mi circonda, scrupolosa e rispettosa assaggiatrice delle esperienze altrui, giudice saggio delle mie potenzialità produttive e, senza accorgermene, ho fatto diventare il vino la mia vita, al pari della mia azienda e della mia famiglia. In questo processo di crescita continua incomincio solo ora a capire e la cosa mi appassiona e mi piace. Col tempo mi sento sempre un pochino più forte e così prendo decisioni importanti, mi confronto e verifico le mie idee con quelle degli altri, scoprendomi sempre più vignaiolo. Ho compreso che non posso più continuare a produrre tante varietà di vino, ma che, quanto prima, mi dovrò concentrare su meno vini e con essi cercare l’eccellenza produttiva. Di questo ne ho parlato anche con mio fratello Stefano, mio zio Marino e mio cugino Dario che seguono la cantina e anche loro concordano, ma tutti sappiamo che non si può rivoluzionare un’azienda così, dall’oggi al domani, e perciò abbiamo deciso di fare, come sempre, dei piccoli passi, uno alla volta. Così mi ha insegnato Marcello e così farò.

ALTRI VINI I Bianchi: Collio Pinot Grigio Doc (Pinot Grigio 100%) Collio Ribolla Gialla Doc (Ribolla Gialla 100%) Collio Sauvignon Doc (Sauvignon 100%)

I Rossi: Collio Cabernet Franc Doc Rogoves (Cabernet Franc 100%) Collio Merlot Doc (Merlot 100%)


Pinot Bianco

167

Collio Pinot Bianco Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Pinot Bianco provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nel comune di San Floriano del Collio, che hanno un’età media di circa 10 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni composti da marne di origine eocenica ad un’altitudine di 150 metri s.l.m. con esposizione a nord-est. UVE

IMPIEGATE:

Pinot Bianco 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

3000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito agli inizi di settembre, e una soffice pressatura, si procede alla decantazione statica del mosto, ad una temperatura controllata di 16°C per circa 24 ore. Terminata questa fase di prima chiarificazione, si inseriscono i lieviti selezionati e si dà avvio alla fermentazione alcolica che si protrae per circa 15 giorni alla temperatura controllata di 18°C in recipienti di acciaio inox. Dopo circa 7 mesi di maturazione, nei quali viene fatta svolgere completamente la fermentazione malolattica, il vino è messo in bottiglia per un ulteriore affinamento di altri 2 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

7000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Colore giallo paglierino con riflessi verdognoli; all’esame olfattivo offre percezioni di fiori bianchi, mela, albicocca e nuances di crosta di pane. In bocca è molto gradevole, morbido ed equilibrato. Di buona finezza e persistenza. PRIMA LE

ANNATA:

1962

MIGLIORI ANNATE:

2000 - 2003

NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 2 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 2 e i 3 anni. L’AZIENDA: L’azienda agricola, di proprietà della famiglia Humar dagli anni ‘50, si estende su una superficie di 30 Ha tutti vitati. I titolari curano personalmente le funzioni di agronomo ed enologo.


La scommessa con la posta in palio più alta che abbiamo vinto, Sandro ed io, non è stata quella di riuscire a vinificare il miglior vino del Friuli o di diventare degli importanti produttori, ma è stata quella di riuscire a costruire un’azienda vitivinicola quando questo sembrava impossibile. Francamente ho sempre ritenuto che ciò che ci è successo, invece di essere simile a una scommessa vinta è più vicino a un vero e proprio miracolo, avvenuto per caso, senza che noi lo avessimo prefissato, né determinato o anche soltanto auspicato. Succede però che quel “miracolo”, che ti poni come obiettivo massimo, arrivi a immaginarlo solo come eventualità ultima nel calcolo delle probabilità della ruota della fortuna o in quella casualità che la vita riserva agli incoscienti. Senza accorgertene inizi a parlare, sempre più spesso, di quella ipotetica azienda vitivinicola, quando, con tuo fratello, valuti seriamente la possibilità di dare una svolta alla tua vita, lasciandoti tutto alle spalle per dedicarti solo ed esclusivamente al vino. Succede così che ti informi, incominci a fare calcoli e a guardarti intorno per vedere cosa hanno fatto gli altri, con l’intento di avere, almeno, una maggiore chiarezza sull’argomento, su come e se affrontare la scelta che potrebbe cambiarti la vita e condurti, per sempre, in mezzo alle vigne. Certamente, alla base di tutto c’era la mia insoddisfazione di fondo per ciò che stavo facendo ed era forse per questo che il richiamo della campagna si faceva sentire sempre più forte delle sicurezze date dall’avere un’occupazione fissa, sicura, in una fabbrica di sedie. Ma vedevo che anche Sandro, più grande di me di sette anni, era insoddisfatto e, come me, aveva voglia di cambiare vita.

J

JACÙSS

Sandro e Andrea Jacuzzi

Spesso, quando parlavo con mio fratello, lui mi raccontava degli insegnamenti dello zio Giovanni che, trovandosi a dover sostituire nostro padre Sergio, morto quando io ero ancora piccolo, si faceva aiutare da Sandro nella vendemmia di quelle “quattro” viti che gli fruttavano, oltre al vino per casa, anche qualche damigiana che poteva essere poi venduta. Alla mia decisione concorse molto il ricordo della risposta che davo quando, da ragazzino, mi veniva fatta la classica domanda di cosa avrei voluto fare da grande: - il contadino - rispondevo sempre. Partimmo, armandoci di buona volontà, senza troppe velleità, ragionando alla giornata su un futuro tutto da costruire e da scrivere, accompagnati più dal desiderio di imparare che dalla conoscenza. Con grande incoscienza lasciammo i nostri impieghi e ci mettemmo a rincorrere il nostro sogno, quello di diventare vignaioli, cercando di imparare il mestiere. Avevamo solo dei piccoli appezzamenti di terra, sparsi un po’ a caso sul territorio di Montina, frazione del comune di Torreano, vicino a Udine. Alcuni appezzamenti erano poco più grandi di un ettaro, altri, invece, erano fazzoletti di terra di poche migliaia di metri quadrati, ognuno con dei terreni dalle caratteristiche diverse sui quali si trovavano degli impianti vitati vecchi e obsoleti, che, nel complesso, davano poche centinaia di ettolitri di vino. Tanti piccoli appezzamenti e tanti vini a cui pensare e la cui commercializzazione, in damigiane, era affidata al passa parola. La vendemmia era difficile e complicata, perché i campi non erano vicini e perché in cantina c’era solo qualche tino in



cemento e le attrezzature a disposizione erano un po’ fatiscenti: erano quelle che erano e anche la nostra esperienza era quella che era. Sono passati dieci anni e siamo contenti di ciò che abbiamo fatto e siamo convinti che sia il massimo risultato che potevamo raggiungere. Siamo felici di essere riusciti a porre le fondamenta della nostra azienda vitivinicola su cui, ora, decidere se costruire, in senso verticale o orizzontale, il nostro futuro di vignaioli. Nel frattempo, le nostre difficoltà non sono venute meno, anzi sono triplicate; gli appezzamenti di terreno sono aumentati e sono sempre dislocati a macchia di leopardo, ora più che mai, su più comuni del circondario, con superfici che variano a seconda delle occasioni d’acquisto che via via ci sono capitate fra le mani e alle quale difficilmente abbiamo rinunciato, vista la scarsità di terreni messi in vendita nella zona. Con questi vigneti, come potrete immaginare, sono aumentate anche il numero delle etichette prodotte, che rispecchiano sempre la tipicità e le caratteristiche dei terreni che sono entrati a far parte della nostra proprietà. Oggi la nostra azienda conta una superficie di quattordici ettari, di cui dieci vitati, con una crescita considerevole se prendiamo come punto di riferimento i due ettari dei nostri inizi. La crescita maggiore, comunque, è stata nella qualità dei vini che commercializziamo, crescita che, con molta soddisfazione, devo riconoscere, abbiamo gestito con equilibrio ricercando, nella realizzazione, una loro maggiore bevibilità. Non ci ha mai interessato, infatti, realizzare il vino da concorso o il vino che fosse piacevole solo nel bicchiere: cercavamo di fare dei vini capaci di farsi godere con semplicità e in grado di accompagnare, con soddisfazione, le delizie della tavola. Crediamo di esserci riusciti ed è questo il grande miracolo che si è realizzato: ci siamo riusciti con le nostre forze, con una grande volontà, con il nostro spirito mai domo e il nostro modo semplice di affrontare la vita rimanendo sempre con i piedi per terra e scegliendo una crescita orizzontale più alla nostra portata, ma non prendendoci mai sul serio. ALTRI VINI I Bianchi: Colli Orientali del Friuli Sauvignon Doc (Sauvignon 100%) Colli Orientali del Friuli Tocai Friulano Doc (Tocai Friulano 100%)

I Rossi: Colli Orientali del Friuli Refosco Doc (Refosco dal Peduncolo Rosso 100%) Colli Orientali del Friuli Schioppettino Doc (Schioppettino 100%)

Colli Orientali del Friuli Picolit Doc (Picolit 100%)


Pinot Bianco

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Colli Orientali del Friuli Pinot Bianco Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Pinot Bianco provenienti dai vigneti dell’azienda, posti in località Montina nel comune di Torreano, che hanno un’età media di 15 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni di medio impasto con presenza di ciottoli, arenaria e marne alluvionali ad un’altitudine di 300 metri s.l.m. con esposizione est-ovest. UVE

IMPIEGATE:

Pinot Bianco 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

4500 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito nella seconda metà di settembre, si procede ad una decantazione statica del mosto alla temperatura controllata di 18°C per circa 24 ore. Terminata questa fase di prima chiarificazione, si inseriscono i lieviti selezionati e si dà avvio alla fermentazione alcolica che si protrae per 20 giorni ad una temperatura compresa tra i 18 e i 20°C, in vasche di cemento. Dopo questa fase, il vino in parte viene lasciato nelle vasche di cemento, mentre per un 20% è messo in barrique di rovere francese di Allier, di secondo passaggio, dove rimane per 6 mesi, durante i quali periodicamente sono effettuati sia dei bâtonnage, per il vino posto nel legno, sia dei sur lies con sistemi meccanici per il vino posto nelle vasche di cemento, al fine di movimentare le fecce nobili che sono utilizzate per guidare tecnicamente lo svolgimento della fermentazione malolattica che è fatta svolgere completamente. Di solito nel mese di maggio viene effettuato l’assemblaggio delle partite e, dopo un breve periodo di stabilizzazione e un leggero filtraggio, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento di altri 2 mesi prima di essere commercializzato. QUANTITÀ

PRODOTTA:

4000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: All’esame visivo presenta un colore giallo paglierino luminoso; al naso offre profumi di crosta di pane, fiori di campo e frutta matura. In bocca è rotondo, armonico, molto equilibrato, di notevole struttura e morbidezza. PRIMA LE

ANNATA:

1990

MIGLIORI ANNATE:

1999 - 2000 - 2001 - 2003

NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 2 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 2 e i 4 anni. L’AZIENDA: Di proprietà di Sandro e Andrea Iacuzzi dal 1990, l’azienda agricola si estende su una superficie complessiva di 14 Ha, di cui 10 vitati e gli altri occupati da boschi o dedicati all’olivicoltura. Svolgono la funzione di agronomo ed enologo gli stessi Sandro e Andrea Iacuzzi.




Se non ti dispiace, vorrei sedermi un po’ su questo terrazzo dal quale mi è possibile indicarti meglio come si è trasformata l’azienda negli ultimi trent’anni. Oggi, non so come mai, mi sento stanco. Non credo che la cosa sia imputabile al solo lavoro, che ultimamente non mi sembra neanche troppo gravoso, penso invece che questo mio stato fisico sia accentuato dai miei ottant’anni che, non ti nascondo, incominciano a far sentire la loro presenza con qualche acciacco di cui farei volentieri a meno e che va ad aggiungersi al grande fardello delle fatiche di tutta una vita. Mi dispiace un po’ essere diventato vecchio così in fretta. Avrei voluto avere ancora tante altre energie da spendere e molto tempo da dedicare a questa azienda, anche per sostenere mio figlio Silvio nel lavoro. No, sentirsi vecchio, ti posso assicurare, non è molto piacevole. Quello che un po’ mi rattrista è il non poter dare un valido contributo nelle miriadi di incombenze che ogni giorno devono essere risolte, dal rinnovamento degli impianti nei vigneti ai lavori della nuova cantina, che si sta realizzando un po’ più lontano da qui, verso il confine con la Slovenia. Se vuoi, più tardi, ti faccio accompagnare a vederla. Ah già, dimenticavo! In ufficio abbiamo anche un plastico del progetto: se dopo vuoi guardarlo potrai constatare con i tuoi occhi che una volta ultimata sarà bellissima. In questi ultimi tempi mi sono limitato a sbrigare piccole faccende e a ricevere qualche ospite che viene a trovarci, come ho fatto oggi con te. Sostituisco mio figlio. È lui l’artefice della grande trasformazione che, come vedi, ha colpito profondamente ogni angolo di quest’azienda; una volta era un’azienda di contadini, ora è diventata

J

JERMANN

Roberta e Angelo Jermann

un’importante azienda vitivinicola con quasi 800.000 bottiglie prodotte. Vedi quelle vigne laggiù? Bene, quelle fanno parte della nostra proprietà che conta 120 ettari. Vedi invece quei capannoni laggiù? Quelli forse spariranno quando sarà pronta la nuova cantina… Sai cosa mi dispiace maggiormente di tutto ciò che abbiamo fatto con mio figlio? L’aver allontanato la vigna da casa per far posto a questo prato all’inglese che è solo bello, ma anonimo. Sì, se tornassi indietro gli chiederei di tenere più vicini a casa i filari delle viti come quando io ero bambino, per poter continuare a sentire il profumo dell’uva quando è matura. Anche il muro di cinta e quel cancello non mi piacciono molto: mi allontanano dagli altri, quando non c’erano, avevo una visuale più aperta, una piacevole sensazione di maggiore appartenenza al territorio. Quando non c’erano questi recinti eravamo più uniti: era sufficiente stringersi la mano per concludere un contratto, e poi qui conoscevamo tutti quelli che facevano il nostro stesso mestiere. Era bellissimo fare i contadini nel Collio. Dicono che tutto questo serva come protezione, ma protezione da chi? Non so… prima… prima era diverso, molto diverso: l’azienda era piccola, avevamo quindici ettari e avevamo la stalla con le bestie, gli alberi da frutta e i vigneti. C’era forse un po’ più di miseria, ma quello che guadagnavamo ci consentiva di tirare avanti dignitosamente e anche di comprare, ogni tanto, un altro pezzo di terra da aggiungere agli altri già in nostro possesso. La vita scorreva più tranquilla rispetto a oggi e mi rattrista un po’ vedere mio figlio



sempre così affannato e impegnato nella risoluzione della miriade di problemi che gli si presentano quotidianamente. Ricordo ancora quando è tornato dal Canada dove, dopo il diploma di enotecnico, era andato a lavorare in un’azienda vitivinicola: volle che io smantellassi tutto e trasformassi l’azienda di famiglia indirizzandola esclusivamente verso la produzione vitivinicola. Da quel momento sono passati più di trent’anni ed è stato un susseguirsi di iniziative a cui ha fatto sèguito una continua espansione dell’azienda con un successo dietro l’altro che ha condotto i nostri vini a essere presenti sui maggiori mercati di tutto il mondo. Qui c’è stata un’evoluzione costante che ha reso tutto migliore: la stessa fatica, intesa come sacrificio fisico, nelle vigne o in cantina, oggi è meno gravosa rispetto a prima. Con le attrezzature e con quello che è stato messo a disposizione dalla tecnologia tutto è più facile. Oggi la vita di campagna non è più come una volta. Come potrai constatare tu stesso, non manca niente. Oggi è certamente una vita migliore, ma francamente non so quanto più bella. Ah… sì, quello che un po’ ci frega, a noi friulani, è l’abnegazione nel lavoro. Siamo fatti così: lavoro, lavoro e poi dell’altro lavoro e, poche volte, riusciamo a godere dei risultati ottenuti. Siamo sempre troppo impegnati a raggiungere ancora altri obiettivi, come è successo a me che, solo in vecchiaia, dopo aver vissuto avendo come pane e companatico soltanto il lavoro, mi sto rendendo conto di ciò che fin qui è stato fatto. Mi dispiace un po’ comunque vedere mio figlio costretto a rispondere a mille problemi e non avere mai il tempo per risolverli tutti, facendo così allungare ogni giorno di più quell’elenco di cose da fare. Lui comunque è bravo e sono sicuro che ci riuscirà. Non so come la pensi tu, ma io credo che nelle cose ci voglia equilibrio. Bisogna sempre riuscire a mantenere l’armonia fra noi e le situazioni che ci circondano, sia nell’ambiente di lavoro che nella famiglia, sia nelle amicizie che in tutto il resto, sapendo che ogni cosa richiede il suo tempo e che uno può correre il rischio di fare confusione e di dare valore a cose che valore non ne hanno. Ci vorrebbe più tempo… ah… come vedi ricomincio da capo a parlare del tempo, l’elemento che contiene i ritmi del nostro agire e l’alchimia della vita. Ah… come mi piacerebbe averne ancora molto da spendere!

ALTRI VINI I Bianchi: Were Dreams, now it is just wine! Igt Bianco Venezia Giulia (Chardonnay 95%, Pinot Bianco 5%) Traminer Aromatico Igt Venezia Giulia (Traminer 100%) Pinot Grigio Igt Venezia Giulia (Pinot Grigio 100%) Müller Thurgau Igt Venezia Giulia (Müller Thurgau 100%)

I Rossi: Mjzzu Blau & Blau Igt Rosso Venezia Giulia (Franconia 90%, Pinot Nero 10%)


Vintage Tunina

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Igt Bianco Venezia Giulia ZONA DI PRODUZIONE: Il Vintage Tunina è un blend delle migliori uve Sauvignon, Chardonnay, Ribolla Gialla, Malvasia Istriana e Picolit provenienti dal vigneto di Villanova nel comune di Farra d’Isonzo, che hanno un’età media di 25 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni composti da marne e arenarie eoceniche, ad un’altitudine compresa tra i 120 e i 150 metri s.l.m. con esposizione a sud-ovest / nord-est. UVE

IMPIEGATE:

Sauvignon e Chardonnay 50%, l’altro 50% diviso tra Ribolla Gialla, Malvasia Istriana e Picolit

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot e cappuccina DENSITÀ

DI IMPIANTO:

6000-7000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito a fine settembre, si procede a una pigiatura delle uve che sono lavorate quasi tutte insieme tranne il Sauvignon che, proprio per le sue caratteristiche aromatiche, viene vinificato a parte con i soliti procedimenti. Dopo una soffice pressatura si procede a una breve decantazione statica del mosto che avviene in tini di acciaio alla temperatura controllata di 12°C per circa 12 ore. Dopo, con l’ausilio di lieviti indigeni, si dà avvio alla fermentazione alcolica del vino che si protrae per 30-40 giorni alla temperatura controllata di 16°C in recipienti di acciaio inox termocondizionati. Durante i 10 mesi della maturazione, periodicamente vengono effettuati dei sur lies, con sistemi meccanici, al fine di movimentare le fecce nobili che sono utilizzate per guidare tecnicamente lo svolgimento della fermentazione malolattica che è fatta svolgere completamente. Di solito nel mese di luglio dell’anno successivo alla vendemmia viene effettuato l’assemblaggio delle partite, con l’unione anche del Sauvignon che era stato lavorato a parte e, dopo un breve periodo di stabilizzazione e un leggero filtraggio, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento che dura altri 6 mesi prima della commercializzazione. QUANTITÀ

PRODOTTA:

60000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un colore giallo paglierino brillante con riflessi dorati; al naso è intenso, ampio, di grande eleganza e persistenza, con sentori di frutta esotica matura, pesca gialla, miele e fiori di campo. In bocca è asciutto, morbido, molto armonico, di grandissima struttura e persistenza e con un retrogusto particolarmente lungo. PRIMA

ANNATA:

1975

LE MIGLIORI ANNATE: 1983 - 1990 - 1991 - 1995 - 1997 - 1998 - 1999 - 2001 NOTE: Il nome Tunina si riferisce alla vecchia proprietaria del terreno su cui è situato l’originario vigneto ed è dedicato all’amante più povera del Casanova, che era una governante a Venezia e che si chiamava anche lei Tunina (Antonia). Il vino raggiunge la maturità dopo 3-4 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 4 e gli 8 anni.


Capo Martino Igt Bianco Venezia Giulia ZONA DI PRODUZIONE: Il Capo Martino è un blend delle migliori uve Tocai Friulano, Pinot Bianco, Malvasia Istriana, Ribolla Gialla e Picolit provenienti dai vigneti di proprietà dell’azienda, posti in località Ruttaris nel comune di Dolegna del Collio. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni composti da marne e arenarie eoceniche,

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito a fine settembre, le uve sono pressate assieme e si dà avvio alla fermentazione alcolica del mosto, che viene svolta per 30-40 giorni in tonneau di rovere di Slavonia da 750 litri, in ambienti termocondizionati a una temperatura controllata di 18°C per la prima settimana e di 20°C per il rimanente periodo; il vino vi rimane a maturare per 11 mesi. Durante i primi 2-3 mesi vengono effettuati dei bâtonnage 2 volte la settimana, al fine di movimentare le fecce nobili che sono utilizzate per guidare tecnicamente lo svolgimento della fermentazione malolattica che è fatta svolgere completamente. Di solito nel mese di agosto dell’anno successivo alla vendemmia viene effettuato l’assemblaggio delle partite e, dopo un breve periodo di stabilizzazione in tini di acciaio e un leggero filtraggio, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento che si protrae per altri 7 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

20000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un colore giallo dorato brillante, mentre al profumo evidenzia intense note fruttate di mela e di fiori gialli a cui si aggiungono nuances vegetali di fieno, sentori dolciastri di burro fuso e di vaniglia. All’esame gustativo è elegante, pieno, piacevolissimo, esaltando le percezioni avvertite al naso ed evidenziando grande struttura, lunghezza e persistenza in bocca. PRIMA LE

ANNATA:

1991

MIGLIORI ANNATE:

1993 - 1997 - 2000 - 2001

NOTE: Il vino, che prende il nome dalla collina omonima, raggiunge la maturità dopo 3-4 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 4 e gli 8 anni. ad un’altitudine compresa tra i 120 e i 150 metri s.l.m. con esposizione a sud-ovest / nord-est. UVE IMPIEGATE: Tocai Friulano, Pinot Bianco, Malvasia Istriana, Ribolla Gialla e Picolit (le percentuali non sono fisse e variano di anno in anno). SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

7000-8000 ceppi per Ha

Dolegna del Collio


Pignacolusse

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Igt Rosso Venezia Giulia ZONA DI PRODUZIONE: Il Pignacolusse è una selezione delle migliori uve Pignolo provenienti dai vigneti dell’azienda, posti in località Villanova nel comune di Farra d’Isonzo. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni composti da marne e arenarie eoceniche, ad un’altitudine di 70 metri s.l.m. con esposizione a nord-sud.

per 15-20 giorni ad una temperatura compresa fra i 25 e i 28°C con l’ausilio di 2 follature giornaliere, mentre contemporaneamente si procede anche alla macerazione sulle bucce. Dopo questo periodo si svina, con una pressatura leggerissima, poi si effettua una leggera decantazione statica di 7 giorni in tini di acciaio, dove il vino effettua anche la fermentazione malolattica, al termine della quale è posto in barrique nuove di rovere francese di Allier (70%) e Tronçais (30%) dove vi rimane per 18-24 mesi, con un travaso dopo 34 mesi. Trascorso questo periodo, dopo un breve periodo di stabilizzazione, senza alcun filtraggio, il vino è messo in bottiglia per un ulteriore affinamento di altri 12 mesi prima della sua commercializzazione. QUANTITÀ

PRODOTTA:

8000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta all’esame visivo di un colore rosso granato fitto, mentre al naso risultano evidenti profumi complessi di frutti neri, prugna, tabacco, cacao e caffè. Ricco di estratti e di tannini, al gusto è potente, robusto, caldo e avvolgente, di grande struttura e lunghissima persistenza. PRIMA LE

ANNATA:

1997

MIGLIORI ANNATE:

1999 - 2000

NOTE: La prima parte del nome del vino, “Pigna”, è riferita alla varietà dell’uva Pignolo e alla somiglianza del suo grappolo alla pigna, la seconda parte, “Colusse”, è invece il nome catastale del vigneto. Il vino raggiunge la maturità dopo 4-5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 10 anni.

UVE

IMPIEGATE:

Pignolo 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

6000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito a metà settembre, si procede a una soffice diraspatura che non schiacci troppo gli acini molto delicati e il mosto prodotto viene immesso in tini di legno troncoconici aperti da 50 e 70 hl, così da poter far avviare dopo 2-3 giorni la fermentazione alcolica, con l’utilizzo di lieviti indigeni; essa si protrae

L’AZIENDA: L’azienda agricola, di proprietà della famiglia Jermann dal 1881, si estende su una superficie complessiva di 140 Ha, di cui 100 vitati e gli altri occupati da boschi e seminativi. Responsabile di campagna è Edi Clementin. Responsabile di cantina è Alberto Faggiani. L’enologo è Silvio Jermann.

Villanova di Farra d’Isonzo


Non sai nulla di me, conosci appena il mio nome e forse fra poco te ne dimenticherai, come dimenticherai la storia che ti ho appena finito di narrare. Non sai nulla delle mie pietre, qui sul Carso, delle fatiche che ho fatto per rimuoverle dal loro letto sterile. Tu non conosci queste montagne poste così a ridosso di confini che sembrano non avere né linee, né sbarre, terre che sembrano aperte, ma che invece sono dure e cattive come possono esserlo solo i confini posti dagli uomini, che dividono e creano egoismo e razzismo. Cosa ne sai dei contadini di queste alture che si tuffano in mare, dove la bora soffia tanto forte che qualsiasi vento tu conosca diventa bonaccia? Io chi sono per te? Se vuoi conoscermi, prova a entrare nel mio mondo, cerca di comprendere cosa significhi fare il viticoltore su queste montagne; cerca di capire il significato del peso che qui ha la terra, ma non il peso nel significato più aleatorio della parola, ma in quello più stretto e letterale; cerca di capire la fatica profusa per riuscire a portare la terra da fondo valle fin quassù, nel letto che gli ho scavato, con la rabbia e la cocciutaggine di chi non ha paura di niente, per adagiarla e farla poi fecondare dalla vite. Penso che per te posso rappresentare l’altra cultura, quella che tu non conosci, quella di un popolo che è qui da sempre e che sembra non essere mai stato padrone di niente, ma che ha saputo ricostruirsi dentro a un altro popolo, mantenendo la sua cultura e contribuendo a costruirne un’altra, mescolandosi per divenire un tutt’uno.

K KANTE

Edi Kante

Incominci ad avere le idee più chiare? Ora hai capito chi sono? Sono uno che ha lavorato come un animale, che è stato nella “merda” e, conoscendo con esattezza quale sia il suo profumo, ha reagito lavorando e poi ancora lavorando per costruire la propria dignità di uomo libero in una terra dove a cento metri da casa c’erano, fino a pochi anni addietro, fucili puntati, uno contro l’altro. Ma ritengo di essere stato fortunato a nascere su questa terra, bellissima anche se dura. Io sono innamorato e appassionato delle piante e della campagna e ricordo che a dodici anni andavo già in giro a innestare piante. Crescendo, prima mi sono adattato al Carso e poi ho usato il Carso per sopravvivere, per capire come costruire qui la mia azienda, per capire come vincere la mia sfida, sempre senza allontanarmi troppo dalla realtà, senza fantasticare troppo, stando sempre tranquillo con i piedi ben piantati per terra, vivendo le problematiche vere, con il piacere di assaporare però, quotidianamente, la vita. Non avendo niente ho dovuto solo lavorare e a distanza di anni devo affermare che è la cosa che mi è riuscita meglio. Con il lavoro ho imparato il mestiere e con lo stesso ho cercato di far sì che le cose intorno a me cambiassero. Ho sempre creduto che un uomo capace è solo quello che riesce a vincere le sfide che si è posto nella vita e ho sempre pensato che la differenza tra gli uomini fosse data proprio dalle sfide che uno riesce a vincere o a perdere. Chi viene dalla terra, quella dura, quella che ti regala un tozzo di pane a pranzo e una minestra la sera, devi sapere che ne ha delle sfide da vincere nella vita. Quando sudavo fino allo stremo, mi ripetevo “più superi le tue sfide e più sei



capace, più sei bravo e più avrai delle soddisfazioni verso te stesso”. Con il passare degli anni ho scoperto che quelle sfide non erano altro che il prezzo che ero costretto a pagare per la mia libertà e che il conto di quell’indipendenza l’ho sempre pagato, con moneta sonante. Perché mi guardi così? Non riesci a comprendere quale sia il vero valore della libertà per chi vive su queste montagne aspre? La libertà è un potere incredibile. La libertà è vita e te ne rendi conto solo quando hai un po’ di soldi in tasca, quando hai vinto quelle scommesse che ti hanno consentito di salire e di evolverti. Scopri che quei soldi sono un bel tassello nel tuo divenire e non ha importanza quanto tempo impiegherai a scoprire le altre cose, quelle di cui forse non senti la mancanza e, se ne avrai voglia, potrai andare a scartarle come se fossero un bel regalo e poi se sarai capace di gestirle sarai stato bravo, altrimenti sarai un mona come tanti altri. Parlandoti mi rendo conto che oggi sono meno arrabbiato con il mondo e forse lo sono meno anche con te che continui però a non capire chi sono. Se fossi incazzato non mi perderei a raccontarti tutte queste cose, non ti racconterei del gesto d’amore che fece mio padre, con il quale facevo sempre baruffa, che, pur non avendo mai avuto niente nella sua vita, vedendo il mio impegno sulla poca terra di mia madre, quando venne in pensione dalla fabbrica, quella giù a Trieste, mi consegnò tutta la sua liquidazione per farmi comprare della terra, la mia terra. No, ho voglia di raccontarti quanto io ami dipingere quadri che hanno come cromìa fondamentale il rosso della mia terra o di come io ricerchi la bellezza ovunque. Voglio raccontarti come ogni giorno che passa credo di assomigliare sempre più alla natura, sempre diversa, incredibile, che non si ripete mai. Standole accanto, cerco di essere innovativo come lei e di questo mi rendo conto proprio quando entro nella vigna, dove scopro questa mia grande capacità di vivere in simbiosi con la vite, anch’essa mai uguale e ogni anno diversa. È stando a contatto con la natura che ho compreso come si debba essere sempre attenti ai problemi tanto quanto basta per risolverli e poi procedere, perché altrimenti rischi di ritrovarti fermo, indietro rispetto alle cose che proseguono, al tempo che scorre, alla vita che vola via. Bisogna crescere, cambiare con movimenti equi e ponderati, adattarsi con grande attenzione, eleganza e con un po’ d’intelligenza che non guasta mai in questo gioco. Ora non ho più voglia di parlare, lascio parlare il vino che ti ho offerto e che forse sa raccontarti, meglio di me, chi sono.

ALTRI VINI I Bianchi: Carso Sauvignon Doc (Sauvignon 100%) Carso Vitovska Doc (Vitovska 100%)


Malvasia

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Carso Malvasia Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Malvasia provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nel comune di Duino Aurisina, che hanno un’età media di 20 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su un terreno carsico arido e roccioso con poco strato di terra rossa di riporto ad un’altitudine di 250 metri s.l.m. con esposizione a est-ovest. UVE

IMPIEGATE:

Malvasia 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

8500 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito nella seconda metà di settembre e una soffice pigiatura, si procede ad una decantazione statica del mosto alla temperatura controllata di 10°C, senza l’uso di solforosa, per circa 14-18 ore. Terminata questa fase si travasa il vino in barrique di rovere francese di Allier, per un 10% nuove e il restante di secondo passaggio; solo nel 50% di esse si inseriscono i lieviti selezionati e, in ambienti naturalmente raffreddati, si dà avvio alla fermentazione alcolica che si protrae dai 10 ai 15 giorni alla temperatura di 16°C. Dopo questa fase, il vino rimane in legno per altri 12 mesi, durante i quali, periodicamente e solo se le annate lo richiedono, si procede a dei bâtonnage al fine di movimentare le fecce nobili, mentre la fermentazione malolattica è lasciata libera di innescarsi oppure no; un’eventualità che, anche in questo caso, dipende molto dalla stagionalità e dalle uve che sono state portate in cantina. Di solito nel mese di settembre viene effettuato l’assemblaggio delle partite e, dopo un breve periodo di stabilizzazione e senza alcun filtraggio, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento di altri 6 mesi prima di essere commercializzato. QUANTITÀ

PRODOTTA:

10000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Dal colore giallo dorato intenso, all’olfatto offre profumi unici che vanno dalle note minerali, di salmastro e resina, allo iodio. In bocca è pieno, sapido, aromatico, equilibrato e asciutto, con un retrogusto lungo e persistente. PRIMA LE

ANNATA:

1980

MIGLIORI ANNATE:

1997 - 1999 - 2000 - 2003

NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 3 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 3 e i 7 anni.


Chardonnay Carso Chardonnay Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Chardonnay provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nel comune di Duino Aurisina, che hanno un’età media di 15 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su un terreno carsico arido e roccioso con poco strato di terra rossa di riporto ad un’altitudine di 250 metri s.l.m. con esposizione a est-ovest.

zionati e dove si svolgerà, nei primi giorni 10 giorni, la fermentazione alcolica; dopo di che, senza nessun travaso, si avviano, periodicamente e solo nelle annate che lo richiedono, dei bâtonnage al fine di movimentare le fecce nobili, mentre la fermentazione malolattica è lasciata libera di innescarsi oppure no, un’eventualità che, anche in questo caso, dipende molto dalla stagionalità e dalle uve che sono state portate in cantina. Al termine della maturazione viene effettuato l’assemblaggio delle partite e, dopo un breve periodo di stabilizzazione e senza alcun filtraggio, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento di altri 6 mesi prima di essere commercializzato. QUANTITÀ

PRODOTTA:

10000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un colore giallo dorato, con profumi di frutta esotica matura, note floreali ed erbacee. In bocca ripropone le sensazioni avvertite al naso ed è decisamente elegante, strutturato, con un finale molto lungo e persistente. PRIMA

ANNATA:

1980

LE MIGLIORI ANNATE: 1985 - 1988 - 1990 - 1997 - 1999 - 2003 NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 3 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 3 e i 6 anni. L’AZIENDA: Di proprietà di Edi Kante dal 1980, l’azienda agricola si estende su una superficie complessiva di 18 Ha, di cui 10 vitati. Svolge le funzioni di agronomo e di enologo lo stesso Edi Kante.

UVE

IMPIEGATE:

Chardonnay 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

8500 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito nella seconda metà di settembre e una soffice pigiatura, si procede ad una decantazione statica del mosto alla temperatura controllata di 18°C per circa 12 ore. Terminata questa fase, il vino è posto per 12 mesi in barrique di rovere francese di secondo passaggio, nel 50% delle quali si inseriscono i lieviti sele-

Duino Aurisina



È una fresca serata di prima estate e dal piazzale antistante la casa scorgo Medana con il dolce profilo del suo campanile e tutto intorno il paesaggio delle colline che, declinando dolcemente, arrivano fino a casa mia. Quelle colline, che assomigliano ai fianchi di una bella donna sinuosa sdraiata, sembrano morbidamente adagiarsi fin qui ai miei piedi e poi digradare nella valle delle “Tre contrade” per poi risalire fin lassù oltre la Subìda, verso Cormòns. Mi godo, nella quiete di questa giornata che volge al termine, l’ondulato incedere della terra che, fitta di vigneti, veste il paesaggio tutt’intorno con un susseguirsi di cromatiche sfumature verdi, che arrivano fino alle porte di quelle isole solitarie stracolme di storie vissute, che non sono altro che le case di questa gente di confine. Sono tutte case ben curate e rifinite che sembrano appartenere ora alla cornice del quadro, ora alla tela sulla quale si raffigura questo tramonto. Nel crepuscolo l’odore della vite, appena diradata, mi ricorda di essere parte di una vita che si rinnova giorno dopo giorno e della quale, come in un sogno incompiuto, so che non riuscirò mai a vedere i limiti, né i confini. Medana è lontana anche se la osservo da casa mia. Il profilo di quella chiesa mi riporta alle mie origini, mi ricorda mio padre Giuseppe, mio nonno Giuseppe e tutti gli altri Giuseppe che mi hanno preceduto alla guida di questa piccola azienda nella quale i Keber producono da sempre vino. Man mano che le ombre avanzano cerco di non perdere contatto visivo con nessuno dei segni che contraddistinguono questo mio paesaggio umorale e scopro che su questa trama, disegnata dal tempo e dalla mano dell’uomo si adagia la mia

K KEBER

Edi Keber

seconda pelle, quella di contadino slavo, fiero interprete dell’arte del vignaiolo in terra italiana. Girando lo sguardo verso la Slovenia vedo la casa dove nacque mio padre, simile a tante altre, con la sua cantina, il suo giardino ben curato che la delimita e la circonda, per poi abbandonarla e tuffarsi, pochi metri più in là, nelle vigne, anch’esse curate, precise come lo sono solo quelle dei contadini di queste parti, i quali hanno saputo modellare e comporre, in geometrici disegni, i confini delle loro proprietà. Le loro vigne corrono sui crinali dei campi e accompagnano il modulare tortuoso delle strade di campagna che conducono ora a una casa, ora a un paese. È percorrendo queste strade che ci si imbatte in un susseguirsi di quadri, tutti sospesi fra cielo e terra, la cui cornice, che ha per montanti due ceppi di vite, i cordoni e la terra, racchiude le nuvole, il blu e le stelle di questo cielo: uno spettacolo unico che fa ricordare a chiunque passi che questa terra di confine è terra di vignaioli. Sono le tracce tipiche di una ruralità vissuta da chi è quotidianamente a contatto con la campagna, figlia di una terra generosa, che dalla stessa trae la gioia di vivere. Luoghi che poi sembrano comuni a tanti altri, soprattutto a quelli dove si vive in simbiosi con la natura. Qui, mi rendo conto però che è tutto diverso, sì, è proprio diverso e lo è perché questa è la mia terra, nella quale io sono nato e cresciuto e sulla quale sto costruendo un futuro per i miei figli. Ormai è quasi buio. È l’ora più bella della giornata, qui a Zegla, il silenzio è totale e io godo di questo mio isolamento. In casa si accendono le luci, mia moglie Silvana sicuramente sta già preparando la cena.



Dalla finestra quel barlume illumina appena un po’ il cortile e con orgoglio lo guardo sapendo che è l’unico segno tangibile del moderno che avanza, perché in casa mia non c’è la televisione, così come non c’è il telefono cellulare, mentre il telefono di casa funziona “a ore”, poiché spesso rimane spento a pranzo e a cena, l’occasione ideale per ritrovarci e parlare un po’ tutti insieme. Si accendono le luci anche delle altre case e nella notte che avanza, sembra che ridisegnino il paesaggio. Più tempo passa e più mi rendo conto che, se anche gli eventi politici hanno saputo alzare le barriere, qui non c’è mai stata un’Italia o una Slovenia. Qui c’è sempre stato un unico popolo che, pur parlando due lingue, ha un solo comune denominatore: la terra, lavorata da contadini, accomunati dal desiderio di ricercare, attraverso le risorse naturali, il loro sostentamento materiale e spirituale, adoperandosi per il mantenimento dell’ambiente nel quale vivono. Le mie sono riflessioni di chi, a tarda sera, si pone domande esistenziali; sono riflessioni di chi, osservando l’immagine di un territorio che appartiene alla propria storia, continua ad emozionarsi. Quelli che sto osservando sono fotogrammi di un passato e di un presente che voglio imprimermi bene nella mente per non dimenticare, per ricordare le cose belle e non dimenticare quelle brutte, le gioie e le frustrazioni che qui ho vissuto, così da poterle raccontare ai miei nipoti. È in queste serate che mi rendo conto di ciò che sono riuscito a fare su questa mia proprietà. Incredibile, gratificante, faticoso, queste sono le parole che mi vengono in mente nell’osservare la casa, la cantina e ora l’agriturismo che sto completando, tutte opere avviate con l’aiuto di mio padre e il sostegno di mia moglie Silvana. Ah! Mio padre... Ricordo tutto di lui, i suoi consigli, le sue perplessità sulle mie scelte vitivinicole e la fiducia cieca che aveva in me, trasferendomi prima la sua esperienza e poi lasciandomi le redini dell’impresa familiare. Quando penso a lui penso a un tempo che non verrà più, a un tempo nel quale queste terre erano vissute da grandi uomini che hanno lottato contro avversità di ogni genere, dalla fame alle guerre, dal fascismo al comunismo, dal ritrovarsi distrutti i vigneti dalle due guerre, alla disperazione di sentirsi abbandonati da chi fuggiva via da luoghi desolati. Senza più gente con la quale condividere la ricostruzione, hanno ricominciato dal niente, con una grande fame nello stomaco e con una gran miseria addosso. Quelli erano uomini duri, bravi e forti, che hanno ridato vita cocciutamente a questa campagna. Mi godo questo momento e pensando a loro li ringrazio.

ALTRI VINI I Rossi: Collio Merlot Doc (Merlot 100%) Collio Rosso Doc (Merlot 70%, Cabernet Franc 30%)


Tocai Friulano

189

Collio Tocai Friulano Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Tocai Friulano provenienti dai vigneti dell’azienda, posti in località Zegla nel comune di Cormòns, che hanno un’età media di 15 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni costituiti da marne e arenarie ad un’altitudine di 100 metri s.l.m. con esposizione est-ovest. UVE

IMPIEGATE:

Tocai Friulano 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

4500 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito nella seconda decade di settembre, segue una pressatura soffice e si procede alla decantazione statica del mosto per 15-16 ore alla temperatura di 15°C. Dopo il primo travaso e con l’innesto dei lieviti selezionati si procede alla fermentazione alcolica del vino che avviene in tini di cemento e che si protrae per 12 giorni alla temperatura di 18°C. Il vino successivamente viene lasciato maturare per 6 mesi, mentre periodicamente con dei sur lies avviati con sistemi meccanici, si movimentano le fecce nobili che sono utilizzate per migliorare l’affinamento e far svolgere al vino la fermentazione malolattica. Di solito nel mese di maggio dell’anno successivo alla vendemmia, il vino, dopo un breve periodo di stabilizzazione e un leggero filtraggio, è messo in bottiglia per un ulteriore affinamento che si protrae per altri 4 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

30000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: All’esame visivo presenta un bel colore giallo paglierino; al naso regala sentori di fiori di campo, mela golden e fieno; al palato è fine, delicato ma intenso, denota carattere, raffinatezza e ottima struttura e ripropone le sensazioni avvertite all’esame olfattivo. PRIMA LE

ANNATA:

1975

MIGLIORI ANNATE:

1990 - 1997 - 1999 - 2002 - 2003

NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 2 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 2 e i 5 anni.


Collio Bianco Collio Bianco Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è un blend delle migliori uve Tocai Friulano, Pinot Grigio, Pinot Bianco, Ribolla Gialla e Malvasia Istriana provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nelle località Zegla, Medana e Plessiva nel comune di Cormòns, che hanno un’età media di 15 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni costituiti da marne e arenarie ad un’alti-

e un periodo di decantazione di ogni singolo mosto per 15-16 ore alla temperatura di 15°C. Si procede quindi per tutti i vini alla fermentazione alcolica, in recipienti di acciaio inox termocondizionati, con l’innesto dei lieviti selezionati per una fermentazione che si protrae per 12-15 giorni alla temperatura controllata di 18°C, tranne che per il Pinot Bianco, che invece viene messo direttamente in botti di legno in parte nuove, dove svolge la fermentazione alcolica. Il vino successivamente viene lasciato affinare per 6 mesi, mentre periodicamente per il vino in legno si procede a dei bâtonnage, per il vino in acciaio a dei sur lies avviati con sistemi meccanici, al fine di movimentare le fecce nobili che sono utilizzate per migliorare l’affinamento e per far svolgere la fermentazione malolattica. Di solito nel mese di maggio dell’anno successivo alla vendemmia avviene l’assemblaggio delle partite e il vino, dopo un breve periodo di stabilizzazione e un leggero filtraggio, è messo in bottiglia per un ulteriore affinamento che si protrae per altri 4 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

20000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Giallo paglierino con sfumature dorate; profumi intensi caratterizzati dalla presenza di note fruttate, aromatiche e floreali ben equilibrate tra loro. Al gusto evidenzia freschezza e sapidità; di grande struttura, lungo e decisamente persistente al retrogusto. PRIMA LE

ANNATA:

1990

MIGLIORI ANNATE:

1990 - 1997 - 2002 - 2003

NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 2-3 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 3 e i 5 anni.

tudine di 100 metri s.l.m. con esposizione est-ovest. UVE IMPIEGATE: Tocai Friulano 30%, Pinot Grigio 20%, Pinot Bianco 20%, Ribolla Gialla 15%, Malvasia Istriana 15%

L’AZIENDA: Di proprietà della famiglia Keber dal 1800, l’azienda agricola si estende su una superficie complessiva di 12 Ha, di cui 8 vitati. Svolge l’attività di agronomo ed enologo il “contadino” Edi Keber.

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

4500-5000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito nella seconda decade di settembre, segue una pressatura soffice delle uve

Cormòns



Mio padre Giuseppe era bravo a scuola, era scaltro, furbo e intelligente e i vecchi mi raccontavano che venne addirittura a casa la maestra delle scuole elementari del paese, Oslavia, per convincere sua madre, mia nonna Maria, a non fargli interrompere gli studi e mandarlo alle scuole medie giù a Gorizia, poiché sarebbe stato un peccato non dare la possibilità a un poro figlio (ubogi sin) di studiare. Quella speciale preghiera non servì a convincere sua madre, la quale decise di tenerlo a casa e mandarlo a lavorare. Ne, ne morem posˇljati mojega sina u Gorico u sˇolo s raztrganimi cˇevlji in s kratkimi in zablekanimi hlacˇami. Nimam drugih in nocˇem da sin bi se pocˇutil neprimerno z drugimi otrokami. Smo revezˇi in zato je bolje ostati doma. (No, non mando mio figlio a scuola, giù a Gorizia, in città, con le scarpe rotte e con questi pantaloni corti e rattoppati, non ne ho altri da mettergli e non me la sento di metterlo in una condizione di disagio nei confronti degli altri bambini. Poveri sì, ma a casa nostra!). Con quelle parole chiuse ogni discussione e ogni possibilità di riscatto per mio padre. La sua famiglia di tre figli, due maschi e una femmina, viveva in una condizione di grande povertà, in una baracca per i profughi della prima guerra mondiale, con intorno un fazzoletto di terra di circa 1500 metri quadrati, poco meno di un giardino di una villetta moderna, in cui era coltivato un po’ di tutto, qualche vite, qualche albero da frutta, qualche “piazzola” di verdure utili per cucinare e per governare il maiale, che all’epoca era la fonte energetica per eccellenza

L

LA CASTELLADA

Valentina, Giorgio e Nicolò Bensa

per la sopravvivenza invernale, poi due capre e qualche animale da cortile sacrificato nelle grandi occasioni o ricorrenze. Era questa la situazione in cui era nato Giuseppe e dove anch’io ho vissuto i primi sette anni della mia vita, stando a fianco dei nonni, poiché mio padre, insieme a mia madre Savina, erano impegnati nella trattoria che avevano aperto con grandi sacrifici qualche anno dopo essersi sposati. Di quel periodo mi porto dentro ricordi bellissimi e forti emozioni. Quello era un piccolo mondo di una ruralità ormai persa; fra quelle mura, in quel cortile o fra quei campi si conduceva una vita sana, schietta, fatta di piccole cose che giornalmente dovevano essere eseguite; a prescindere dall’età che uno poteva avere, tutti dovevano fornire il proprio contributo al funzionamento della famiglia, chi falciando l’erba o mungendo la capra, chi zappettando l’orto o governando il porco, chi andando a raccogliere legna o l’erba per i conigli, oppure accudendo i capretti, fonte sicura di reddito per la misera economia di casa. La sera si mangiava sempre il solito piatto, quello più tipico della nostra alimentazione, il semolino con il latte o, per cambiare, il caffellatte, preparato con l’orzo tostato in casa, nel quale si inzuppava del pane con la marmellata, se c’era. Per uscire da quella situazione mio padre era disposto a tutto, perfino ad emigrare andando a fare il muratore in Svizzera, da dove poi tornò con qualche soldo per aprire, con mia madre, la sua trattoria che piano piano gli permise di uscire da quella miseria e, con molta gratificazione, rendersi visibile. Ricordo che rimase molto male quando gli annunciai il desiderio di interrompere gli studi nei quali, del resto, erano in molti a sostenermi e ad incoraggiarmi



credendo nelle mie possibilità scolastiche, soprattutto dopo aver ottenuto una buona votazione al diploma e ai primi esami universitari. Mi ero stufato di stare otto ore al giorno sui libri, mi ero stancato di fare lo studente come mestiere; mio padre, invece, voleva che arrivassi dove non gli era stato consentito di arrivare, voleva che io avessi un altro futuro, anzi più “futuri” e più occasioni da scegliere nella vita, lontano dalla terra che per lui aveva significato miseria e povertà. Cosa avrei potuto ottenere facendo il vignaiolo? Come sarei potuto emergere dall’anonimato nel quale di solito è relegato chi abita in campagna? Era una buona clientela quella che frequentava l’osteria di mio padre, gente importante che non mancò, venuta a conoscenza della mia decisione di abbandonare gli studi e dedicarmi alla campagna, di avanzarmi proposte di lavoro molto allettanti che però rifiutai categoricamente. Percepivo in modo chiaro che ciò che sarei andato a fare mi avrebbe gratificato molto più di qualsiasi posto in banca e mi avrebbe garantito una libertà che nessun altro lavoro poteva concedermi. Mio padre non accettava di vedermi lavorare in mezzo alle vigne, chino fra quei filari a zappare la terra e a discutere con il vento, l’acqua, il freddo e il caldo e, anche se con il tempo aveva smesso di borbottare, spesso lo vedevo andar via scuotendo il capo. Quando però incominciarono ad arrivare i primi riscontri commerciali e il nome dell’azienda circolava un po’ ovunque, ricordo che diventò improvvisamente orgoglioso del lavoro che stavamo conducendo mio fratello Giorgio ed io. Gli faceva piacere far assaggiare il vino che producevamo e non perdeva l’occasione di menzionare ai suoi avventori non solo i nostri meriti, ma anche la località dove producevamo quel vino; lì, proprio nelle vigne attigue alla casa dei Figelj, una delle famiglie più facoltose della zona, che lui era riuscito a comprare. Ci teneva a mostrare il suo cimelio, a sfoggiare quella proprietà come un segno tangibile del grande riscatto della sua vita; a me, invece, è sempre piaciuto vivere nell’ombra, defilato; lasciavo a lui il palcoscenico, pur sapendo come nel mondo del vino isolarsi significa estromettersi dal mercato. Erano anni di evoluzione, di grandi cambiamenti e tutto il mercato vitivinicolo nazionale si era messo a correre all’impazzata. Qui a Oslavia eravamo un bel gruppo di amici vignaioli che avevamo come punto di riferimento Gravner. Periodicamente, fra la fine degli anni ‘80 e i primi anni ‘90, ci incontravamo spesso per discutere e scambiarci le impressioni sulla vendemmia, sulle vinificazioni, portando ognuno la propria esperienza e cercando di far tesoro degli errori degli altri, avendo tutti come unico comune denominatore quello di riuscire a ottenere il miglior vino nel modo più naturale possibile. Francesco Josˇko Gravner con la sua filosofia e le sue idee ci incuriosiva: eravamo affascinati dalla difficile scommessa che ognuno di noi aveva fatto con se stesso per l’ottenimento di quel prestigioso traguardo. Ci trovavamo in lunghe serate davanti a un bicchiere di vino; quelle erano cene che si concludevano con nuovi stimoli, nuovi sogni, in una continua evoluzione e con una crescita individuale che sembrava inarrestabile. Ma quelle serate non finivano così, proseguivano con dei viaggi in Francia, alla scoperta “dell’altra viticoltura”, o sfociavano in degustazioni e nuove amicizie con altri produttori nazionali e sloveni, o in tante altre cose che nell’insieme crearono interesse e una nuova apertura mentale al mondo. Da allora sono cambiate tante cose, quello straripante ed effervescente movimento culturale di Oslavia è rientrato dentro gli argini di una più normale quotidianità che scorre liscia senza troppi sussulti, aspettando che nuove e giovani forze sappiano rigenerare l’humus delle idee nel mondo del vino. Nell’attesa io continuo tranquillo e sereno a fare ciò che mi diverte: il vino.

ALTRI VINI I Bianchi: Collio Ribolla Gialla Doc (Ribolla Gialla 100%) Collio Sauvignon Doc (Sauvignon 100%) Collio Chardonnay Doc (Chardonnay 100%)

I Rossi: Collio Rosso Doc La Castellada (Merlot 80%, Cabernet Sauvignon 20%)


La Castellada

195

Collio Bianco Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è un blend delle migliori uve Pinot Grigio, Chardonnay, Sauvignon e Tocai Friulano provenienti dai vigneti dell’azienda, posti in località Oslavia nel comune di Gorizia, che hanno un’età media di 30 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni di origine eocenica con scheletro formato da marne argillose e arenarie ad un’altitudine compresa tra i 150 e i 170 metri s.l.m. con esposizione a sud. UVE

IMPIEGATE:

Pinot Grigio 50%, Chardonnay 20%, Sauvignon 20%, Tocai Friulano 10%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot semplice e bilaterale DENSITÀ

DI IMPIANTO:

3800-9000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito nella seconda e nella terza settimana di settembre, avviene la macerazione del 30% delle uve diraspate per 4 giorni in tini aperti con inizio di fermentazione senza aggiunta di lieviti selezionati e in assenza di So2. Dopo la spremitura, il mosto viene travasato in barrique nuove di rovere francese di Allier e Tronçais dove continua la fermentazione alcolica e dove rimane per 12 mesi. Nel frattempo l’altro 70% delle uve è stato spremuto e lasciato in pressa per una notte, con contatto pellicolare del mosto con le bucce, a cui fa sèguito la pressatura e la decantazione statica del mosto in vasca di acciaio inox a temperatura ambiente per 12-18 ore. Al termine di questa prima fase si immettono nel vino i lieviti naturali e si dà avvio alla fermentazione che procede in barrique, sempre in assenza di So2. La cuvée è assemblata dopo 11 mesi con relativa elevazione sur lies, all’atto del travaso dei vini dalle barrique in vasca di acciaio. Dopo un breve periodo di stabilizzazione il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento di altri 6-8 mesi prima di essere commercializzato. QUANTITÀ

PRODOTTA:

7600 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un colore dorato brillante; all’olfatto offre profumi intensi e persistenti di frutta esotica, pesca matura, nocciola e sfumature floreali. In bocca ripropone le sensazioni avvertite al naso, è caldo, sapido, molto morbido ed equilibrato; di grande struttura, ha un finale assai lungo e di grande eleganza. PRIMA

ANNATA:

1992

LE MIGLIORI ANNATE: 1992 - 1996 - 1998 - 1999 - 2000 - 2001 NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 3-4 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 4 e gli 8 anni. L’AZIENDA: Di proprietà di Giorgio e Nicolò Bensa dal 1985, l’azienda agricola si estende su una superficie complessiva di 14 Ha, di cui 9,5 vitati e 4,5 occupati da boschi. Giorgio e Niccolò Bensa svolgono personalmente le funzioni di agronomo ed enologo.




In questi anni non ho lavorato solo intorno alla vigna o facendo vino: mi sono anche impegnato su me stesso, cercando di scoprire le mie paure e le angosce che mi stavano accompagnando, con l’intento, se ci fossi riuscito, di “costruirmi” come uomo e come vignaiolo. Nei silenzi che solo la campagna sa regalare, cercavo le risposte a tutte le domande che si accumulavano nella mente e confondevano i miei pensieri. Non capivo, per esempio, come mai fosse così duro e difficile instaurare un rapporto con mio padre che potesse in qualche modo differenziarsi da quello conflittuale che avevamo di solito: perché era così difficile farmi voler bene o farmi accettare per quello che ero? Perché verso Simone provavo un amore paterno più che fraterno? O ancora, perché mai dovevo spremermi come un’arancia, arrabbiarmi o lottare su ogni cosa per avere la giusta considerazione? Domande che toccavano le corde della mia sensibilità, che mi affliggevano e mi rattristavano. Per alcuni anni ho pensato che questo non fosse il mio posto, ho ritenuto di non essere tagliato per questa campagna friulana, troppo rigida e ancorata ad un passato che io non avevo conosciuto. Pensando a cosa sarei potuto diventare lontano da qui, andai via di casa alla ricerca di quelle risposte che fra i filari sembravano non arrivare mai. Per diversi anni mi sono sperimentato come agente di commercio in lungo e in largo per il Friuli, confrontandomi con una realtà che sentivo troppo astiosa, artificiosa e poco sincera. Budget e obiettivi: questo era ciò che contava e trovavo difficile accostarmi a ele-

L

LA RAJADE

Romeo Rossi con la moglie Carolina e la figlia Ginevra

menti che sentivo lontani dal mio semplice modo di ragionare. Non mi piaceva cosa stavo facendo, non mi faceva star bene, non mi faceva sentire diverso da come mi sentivo. Ero un “personaggio in cerca d’autore” che, con difficoltà, riusciva a comunicare con se stesso. Come avrei potuto raccontare agli altri chi ero? Mio padre Gianni nel frattempo continuava a lavorare nella vigna con la solita determinazione che lo contraddistingueva, cercando di portare avanti quello che aveva iniziato tanti anni prima. Ricordo che ogni tanto mi guardava, con diffidenza, e non capiva cosa io stessi cercando. Da uomo concreto, lui capiva solo che c’era una campagna da accudire e c’era invece chi, come me, se ne andava in giro a fare chissà che cosa. Nella sua mente l’unico lavoro degno di chiamarsi tale era quello del contadino; il resto erano tutte finzioni, pretesti e scuse costruite da chi non aveva voglia di chinarsi e spaccarsi la schiena, di sudare e faticare sulla terra; chi magari cercava facili guadagni altrove era un uomo a cui si doveva dare poca considerazione. Non lo capivo quando tornava a casa rattristato per aver dovuto tagliare una vite, non comprendevo la sua poca gratitudine verso di me quando provavo ad aiutarlo nel suo lavoro, e non lo capivo neppure quando si arrabbiava con mio fratello Simone. Non volevo certo un “grazie”, anzi, avrei dovuto dirglielo io quel “grazie” - che dopo quarant’anni, non mi sono ancora deciso a dire -, ma almeno un “bravo”, una stretta di mano o un semplice abbraccio, quello sì che lo avrei voluto! Ah, come mi sono mancati quei suoi abbracci...



Quando poi sono tornato e mi sono rimesso a lavorare in azienda, non è che fossi cambiato molto, forse ero solo un po’ più duro, un po’ più cattivo, se è lecito definire così uno come me che si commuove, ancora oggi, davanti agli spettacoli della natura. Man mano che ricominciavo a prendere contatto con la terra e con la vite iniziai a notare come quelle domande, alle quali non avevo saputo dare una risposta, piano piano non avevano più bisogno di risposte: si stavano sciogliendo come neve al sole e non confondevano più i miei pensieri. Quelle ventiduemila piante di vite mi stavano conquistando, come mi stava affascinando fare vino. Ogni anno che passava trovavo sempre più straordinario il fatto che in quella bottiglia di vino che io riuscivo a confezionare fosse rappresentata la compiutezza del mio lavoro; allo stesso tempo trovavo incoraggiante la mia capacità di confrontarmi, in modo costruttivo, con tanti altri produttori dai quali ricevevo segni tangibili di stima, considerazione e in alcuni casi di amicizia. Ma quello che mi appassionava maggiormente del vino era la sua capacità di essere un collante tra cose e persone diverse che nella quotidianità avrebbero avuto ben poco in comune; mi entusiasmava la sua capacità di congiungere gli angoli di un universo che piacevolmente si ritrovava volentieri a disquisire intorno ad un bicchiere. Stavo diventando uomo? Non so, però, man mano che passava il tempo, sentivo crescere in me una piacevole sensazione di forza, accompagnata da nuove sicurezze che presto mi aiutarono a trovare il mio spazio. Anche mio padre incominciò a comprendere che ero cambiato e che non era più da solo ad affrontare la dura quotidianità di vignaiolo; proprio per questo credo che sia riuscito a concedermi un po’ di spazio in modo che io potessi costruire il mio futuro. Nella mia vita le cose sono cambiate, soprattutto con l’arrivo di mia moglie Carolina e di mia figlia Ginevra, e sicuramente sono cambiato anche io e di questo me ne accorgo da come guardo con occhi diversi mio padre o da come vedo mia madre Lucia. È stato il tempo che ha contribuito a modellare un po’ la mia anima e, anche se mi sento ancora un “personaggio in cerca d’autore”, oggi vivo più tranquillamente la mia quotidianità, sia essa quella di padre, marito, vignaiolo, figlio o fratello.

ALTRI VINI I Bianchi: Collio Bianco Doc Caprizi di Marceline (Chardonnay 60%, Tocai Friulano 20% Ribolla Gialla 20%)

I Rossi: Collio Cabernet Sauvignon Doc Stratin (Cabernet Sauvignon 100%)


Sauvignon

201

Collio Sauvignon Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Sauvignon provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nel comune di Dolegna del Collio, che hanno un’età media di circa 20 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni composti da marne e arenarie di origine eocenica ad un’altitudine compresa tra i 60 e i 120 metri s.l.m. con esposizione a nord-est. UVE

IMPIEGATE:

Sauvignon 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

4500 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito nei primi 10 giorni di settembre, si procede a una leggera pigiatura delle uve e il mosto è lasciato macerare con contatto pellicolare delle uve per 12-18 ore ad una temperatura di 7-8°C. Si procede alla pressatura del mosto, con sua relativa decantazione, alla temperatura controllata di 16°C per circa 24 ore. Una volta chiarificati i mosti, si inseriscono i lieviti selezionati nel vino e si dà avvio alla fermentazione alcolica che si protrae per 12-15 giorni alla temperatura controllata di 18-20°C in recipienti di acciaio inox, dove vi rimane per 7 mesi durante i quali si procede periodicamente a dei sur lies, con sistemi meccanici, al fine di movimentare le fecce nobili che sono utilizzate per guidare tecnicamente lo svolgimento della fermentazione malolattica che è fatta svolgere completamente. Nel mese di maggio dell’anno successivo alla vendemmia il vino è messo in bottiglia per un ulteriore affinamento che dura altri 3 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

11000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Bel colore giallo paglierino con riflessi dorati; all’esame olfattivo offre sentori di pesca, foglia di pomodoro, peperone e salvia. All’esame gustativo risulta molto gradevole, elegante, fine ed equilibrato. PRIMA LE

ANNATA:

1993

MIGLIORI ANNATE:

1997 - 1998 - 1999 - 2000 - 2003

NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 2 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 2 e i 4 anni. L’AZIENDA: L’azienda agricola, di proprietà della famiglia Rossi dal 1867, si estende su una superficie complessiva di 8,60 Ha, di cui 7,40 vitati. Collabora in azienda l’enologo Valdino Di Lost.


Non so quale sia stato l’elemento determinante che ha innescato quel meccanismo di evoluzione che ha condotto la mia famiglia a divenire, nel tempo, uno dei gruppi imprenditoriali più consolidati nel settore enogastronomico del Friuli. Non credo che vi sia un solo ed unico elemento sul quale puntare in questa ricerca. Ritengo, invece, che siano stati molteplici i fattori che hanno dato corpo e sostanza allo sviluppo del nostro gruppo. Uno di questi è sicuramente la forza della famiglia Fantinel che ha saputo trovare un’equilibrata coesione d’intenti e strategie dalle quali sono pervenute risorse economiche e umane, su obiettivi condivisi da tutti, attivando processi che hanno abbreviato i nostri tempi di crescita. Un altro elemento, che del resto accompagna qualsiasi avventura imprenditoriale, è la fortuna, quella che bacia chi si fa trovare al posto giusto nel momento giusto la quale, abbinata alla capacità di fiutare i cambiamenti e di adeguarsi ad essi, crea un mix che centra i risultati sperati. In tutto questo giocano un ruolo determinante le capacità dei singoli, le loro professionalità, l’intuito imprenditoriale, il senso del dovere e l’abnegazione al lavoro che abbiamo abbondantemente dimostrato negli anni. Un’azienda con tre divisioni concatenate fra di loro, ognuna delle quali contribuisce alla crescita dell’altra: la prima con due aziende vitivinicole, Fantinel e La Roncaia, che producono complessivamente 2000000 di bottiglie, la seconda con il prosciuttificio Testa e Molinaro a San Daniele, che lavora circa 140000 prosciutti, e la terza, che racchiude in sé le altre due, attraverso una catena di negozi di ristorazione dal nome suggestivo Pane, Vino e San Daniele.

L

LA RONCAIA

Marco Fantinel

Per riuscire a fare tutto questo abbiamo avuto bisogno che ogni membro della famiglia si adoperasse a sviluppare una complementarietà operativa capace non solo di creare sinergie, ma anche di mantenere in armonia gli equilibri preesistenti. C’è chi si occupa degli stabilimenti, chi delle cantine, chi delle vigne e chi della promozione: tutti sono impegnati a mandare avanti nel migliore dei modi le cose, con l’intento, ognuno nel proprio campo, di ottenere il miglior risultato possibile. Per raggiungere gli obiettivi ci siamo adoperati sul mercato nazionale e internazionale, promuovendo un nostro personale “sistema” che propone un’immagine specifica, tipica e tradizionale. Pur dandoci da fare, sacrificandoci e prodigandoci in ogni modo, notiamo che l’immagine della nostra regione, intesa come identificazione precisa di un territorio con la sua pluralità di proposte turistiche, agro-alimentari e culturali, è ancora lontana da essere realizzata. Il supporto tecnico, operativo e d’immagine che dovrebbe sostenere le imprese friulane non si è ancora messo in moto e, come regione Friuli, ci rattrista constatare che, per molti italiani e stranieri, siamo ancora “quel territorio a nord di Venezia”. Non so se le statistiche che sono state fatte corrispondono alla realtà o se, come sempre, vadano prese con le molle. Di fatto, sembra che la conoscenza da parte degli italiani dell’offerta enogastronomica e turistica friulana non superi il 2%; la percentuale, raffrontata al mercato europeo, si abbassa ancora, anche al di sotto dell’1%. Potrebbe essere questo il motivo per cui l’immagine del Friuli stenta a decollare?



Spesso mi domando quali siano le cause di questo staticismo friulano e scopro che, di cause, ve ne sono molte: troppe per risolverle in breve tempo. Se parliamo di vino, per esempio, è da notare che la maggior parte delle aziende sono piccole o medie e, pur puntando sulla qualità e riuscendo ad affermarsi, sono ancora a traino dell’immagine che la Doc Collio si è costruita in quarant’anni. Non riescono a crescere e, tutt’al più, mantengono i livelli raggiunti in questi ultimi dieci anni. Se partiamo dal presupposto che il futuro sarà delle grandi aziende vitivinicole e consideriamo che, sul territorio, tranne una o due eccezioni, non ci sono grandi aziende, il Friuli non sarà destinato a essere “di moda”. Non avrà molte opportunità di arrivare, con la sua piccolissima produzione, al consumatore finale, quello, per intenderci, che si aggira curioso, la domenica, negli enormi centri commerciali di tutta Europa. Oltre a questa difficoltà, bisogna notare che non c’è mai stata coesione, non solo nel mondo vinicolo, ma anche negli altri settori. In Friuli abbiamo nove Consorzi e ognuno, per anni, ha corso per conto proprio, seguendo strade diverse dagli altri, promovendo microzone, sprecando tempo e risorse economiche nei confronti di un mercato dove “l’oggi” è già considerato una cosa vecchia. Non essere riusciti a costruire un progetto Friuli non è solo un problema politico; credo che una delle concause debba essere ricercata fra gli stessi produttori friulani che, oltre a non saper ricercare persone in grado di valorizzare il territorio, sono divisi, sanno solo lavorare e non sanno promuoversi, hanno difficoltà a interagire fra di loro e cooperare per un unico scopo diverso dal loro singolo interesse. Ora, con la Federdoc, speriamo di incominciare a vedere qualcosa, anche se con un ritardo di 20 anni. Impegnandoci all’interno del “sistema Friuli” e nell’attesa degli eventi, noi Fantinel continuiamo, come abbiamo sempre fatto, a lavorare con la solita tenacia e lungimiranza che ci ha contraddistinto in questi anni, portando in giro per il mondo, come valore aggiunto al nostro vino, il nostro essere friulani nel profondo del cuore.

ALTRI VINI I Bianchi: Colli Orientali del Friuli Bianco Doc Eclisse (Sauvignon 95%, Picolit 5%)

I Rossi: Colli Orientali del Friuli Rosso Doc Il Gheppio (Merlot 34%, Cabernet Sauvignon 33%, Cabernet Franc 33%)

Colli Orientali del Friuli Picolit Doc (Picolit 100%)


Ramandolo

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Bianco Dolce Docg ZONA DI PRODUZIONE: Il Ramandolo è una selezione delle migliori uve Verduzzo Friulano provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nella frazione Ramandolo del comune di Nimis, che hanno un’età media di 25 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni marnosi di origine eocenica ad un’altitudine di circa 250 s.l.m. con esposizione a sud-ovest. UVE

IMPIEGATE:

Verduzzo Friulano 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

4000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito a fine ottobre, le uve sono lasciate in una sala di appassimento per 8 settimane. Verso la fine di dicembre l’uva subisce una leggera pressatura ed è lasciata per 36 ore a contatto con il mosto alla temperatura di 12°C, dopo di che il mosto è posto in barrique nuove di rovere francese di Allier a media tostatura, in cui si avvia la fermentazione. Il vino rimane nel legno per circa 16 mesi e in questa lunga maturazione subisce, nei primi 2 mesi, dei giornalieri bâtonnage e nella tarda primavera successiva alla vendemmia, un travaso. Terminato questo periodo, il vino è assemblato e dopo un breve periodo di stabilizzazione è imbottigliato per un ulteriore periodo di affinamento di altri 8 mesi prima di essere messo in commercio. QUANTITÀ

PRODOTTA:

8000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un colore giallo ambrato; all’esame olfattivo si percepiscono sentori di albicocca, uva passa, mallo di noce e miele, mentre al palato risulta pieno, complesso, con un gusto equilibrato tra acidità, tannini e zuccheri residui. Lunghissimo il finale per un vino da meditazione. PRIMA LE

ANNATA:

1999

MIGLIORI ANNATE:

2000 - 2001 - 2002 - 2003

NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 4 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 4 e i 10 anni. L’AZIENDA: Di proprietà della famiglia Fantinel dal 1998, l’azienda agricola si estende su una superficie complessiva di 36 Ha, di cui 22 vitati. Collaborano in azienda l’agronomo Luca Grattoni e gli enologi Gaˇ l Tibor e Massimo Vidoni.


Noi apparteniamo a quella schiera di vignaioli senza storia, siamo quelli che pietra su pietra, frammento dopo frammento, giorno dopo giorno, stanno cercando, faticosamente, di costruirsi una loro storia. Silenziosa, fatta di scelte coraggiose, difficili, una storia dai toni bassi, non strillati, una storia raccontata intorno a un caminetto ai figli, ai nipoti che verranno o a qualche amico che viene a trovarci. Una storia semplice che ha mosso solo un vago brusìo e che sembra non sia riuscita a modificare nulla tranne la vita di chi ha deciso di viverla. Una storia che, al massimo, può servire da sottofondo al rumore che questo Friuli si è messo a fare da un po’ di tempo a questa parte, forse per farsi notare dopo secoli di letargo. Noi facciamo vino in silenzio, sicuramente senza troppi frastuoni, con toni sottomessi rispetto a quelli utilizzati dai nuovi eroi della viticoltura friulana. Noi apparteniamo a quella schiera di vignaioli che non modificano il rumore che fa lo scorrere del tempo, ma lo accompagnano nella sua corsa naturale verso l’infinito; quello del tempo è un rumore silenzioso che scandisce la crescita dell’erba o della vite e che può essere sentito solo da chi ha orecchie per sentire. È con questa cultura che mio padre si è messo a fare vino, consapevole che non avendo nessun background alle sue spalle doveva basarsi solo sulla propria capacità tecnica per riuscire a farne uno che sapesse parlare della sua azienda. Io, man mano che crescevo, sentivo sempre più il profumo del vino e con il tempo ho compreso l’importanza dell’insegnamento che mi stava dando mio padre e ho percepito quanto fosse determinante quella sua esperienza che non poteva essere ancora chiamata storia. Devo assicurare che ho cercato sempre di seguire le sue tracce, quelle leggere

L

LA VIARTE

Giulio Ceschin e famiglia

orme che mi hanno indicato il nostro percorso vitivinicolo; un sentiero sul quale procedere e che forse ancora è molto distante dalla strada maestra che le famiglie, con una grande tradizione enologica alle spalle, possono trasmettere ai loro figli. A me è sempre piaciuta la serenità con la quale egli dialogava con le nuvole o il rispetto che portava alle piante o la naturalezza con la quale affrontava la vinificazione; sì, mi entusiasmava quel suo percorso ben definito, preciso, privo di fronzoli, sul quale crescere professionalmente. Ecco perché, dopo gli studi in enologia e dopo aver effettuato un’esperienza formativa importantissima in una cantina in California, ho ritenuto indispensabile proseguire lavorando con quella filosofia che mi consente di poter ascoltare la terra dove ho scelto di vivere. Con lui al fianco ho imparato ad ascoltare la crescita dell’erba e a fare come le formiche, operose e mai stanche, che rodono la terra per costruire argini e terrazzamenti. Con l’intento di definire il nostro progetto, di vigneto e cantina, ci siamo messi ad erigere muri, ci siamo prodigati a scavare canali e fossi, abbiamo provato a ridisegnare il nostro territorio come se fossimo dei veri architetti, rimodellandolo e costruendo un paesaggio che fosse in grado di raccontare, a chi venisse a trovarci, la nostra storia, fatta solo di grande lavoro. Vent’anni di impegni, durante i quali in silenzio abbiamo piantato, spiantato e ripiantato vigneti e costruito la cantina, ben consci che ogni colpo di piccone e ogni vite sarebbero serviti a parlare alle generazioni future della storia di noi senza storia. Con mio padre Giuseppe ci siamo misurati e confrontati sull’indirizzo che avremmo potuto prendere ed è forse per questo che abbiamo fatto scelte enologiche impor-



tanti e coraggiose che ci proietteranno sicuramente in un futuro molto diverso. Da qualche tempo avevamo compreso quanto fosse sterile il soddisfacimento che ci giungeva dall’aver rincorso per anni il mercato con il Cabernet Sauvignon, il Merlot, lo Chardonnay o il Sauvignon. Con il passare delle vendemmie, pur essendo gratificati economicamente, comprendemmo che quei vitigni non avrebbero contribuito minimamente a costruire la nostra storia di vignaioli friulani. Quelle uve erano state utili come potevano esserlo stati per la nostra crescita il triciclo, quando eravamo bambini, o il motorino da giovani: utili per correre incontro alla vita. Quelle uve di sicuro non creavano un distinguo fra noi e un qualsiasi altro vignaiolo cileno o australiano di cui non conoscevamo nulla. Il nostro percorso enologico doveva avvicinarci ancora di più a questa terra friulana e per farlo dovevamo lavorare sui vitigni autoctoni, su quelli che da sempre erano presenti su queste terre. Fu così che decidemmo di impiantare il Refosco, lo Schioppettino, il Tazzelenghe, la Ribolla Gialla, il Tocai Friulano, il Pignolo, il Verduzzo, il Picolit. Dopo queste scelte, oggi cerchiamo di porci altri traguardi, cambiando nuovamente, non più sulla scelta dei vigneti da impiantare, ma sulla produzione che ci vedrà, appena possibile, ridimensionare i vini commercializzati e ridurli drasticamente a solo quattro o cinque, di altissimo livello qualitativo, capaci da soli di rappresentare l’espressione del territorio. È così che penso di proseguire su quel sentiero, perché per i miei figli Andrea, Martina e Chiara quello che abbiamo fatto Giuseppe ed io possa essere un pezzo importante della loro storia di futuri vignaioli friulani.

ALTRI VINI I Bianchi: Colli Orientali del Friuli Pinot Bianco Doc (Pinot Bianco 100%) Colli Orientali del Friuli Sauvignon Doc (Sauvignon 100%) Colli Orientali del Friuli Tocai Friulano Doc (Tocai Friulano 100%)


Siùm

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Bianco Dolce Igt delle Venezie ZONA DI PRODUZIONE: Il Siùm è un blend delle migliori uve Picolit e Verduzzo Friulano provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nei comuni di Prepotto e Corno di Rosazzo, che hanno una età media di 25 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni marnoso-arenacei ad un’altitudine di circa 120 s.l.m. con esposizione a est / sud-est. UVE

IMPIEGATE:

Picolit 50%, Verduzzo Friulano 50%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

3000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito a partire dal 20 settembre, le uve vengono lasciate appassire in un ambiente termocondizionato fino alla fine di dicembre, quando vengono pressate e si fa partire la fermentazione con i mosti di Picolit e Verduzzo assemblati in tini di acciaio inox alla temperatura di 15°C. Appena partita la fermentazione il vino è posto in barrique di rovere francese di primo e secondo passaggio dove vi rimane per 18 mesi. Terminata questa fase, il vino è nuovamente posto in tini di acciaio per una leggera stabilizzazione prima di essere imbottigliato e subire un ulteriore periodo di affinamento di altri 7 mesi prima di essere messo in commercio. QUANTITÀ

PRODOTTA:

8000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un colore giallo ambrato molto intenso con venature dorate, mentre al profumo si percepiscono sentori di albicocca e pesca noce, viola e miele. Al palato risulta avvolgente, intenso, caldo, lungo e persistente. Da meditazione. PRIMA LE

ANNATA:

1994

MIGLIORI ANNATE:

1994 - 1997 - 1999 - 2000 - 2001

NOTE: Siùm in friulano significa sogno. Il vino raggiunge la maturità dopo 3 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 3 e gli 8 anni.


Refosco

dal Peduncolo Rosso

Colli Orientali del Friuli Refosco Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Refosco provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nel comune di Prepotto che hanno un’età media di 23 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni marnoso-arenacei ad un’altitudine di circa 120 s.l.m. con esposizione a est / sud-est.

rimontaggi. Terminata questa fase, il vino viene posto in barrique di rovere francese di primo, secondo e terzo passaggio, dove effettua la fermentazione malolattica e rimane per 12 mesi. Trascorso questo periodo viene effettuato l’assemblaggio delle partite e il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento di altri 9 mesi prima di essere messo in commercio. QUANTITÀ

PRODOTTA:

2000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Dal colore rosso rubino scuro con riflessi violacei, al naso è vinoso e offre profumi complessi di frutti neri di sottobosco. Al gusto evidenzia tannini decisi, ma non ruvidi; schietto, presenta un particolare carattere che lo contraddistingue; di grande struttura, lunghezza e persistenza. PRIMA

ANNATA:

1988

LE MIGLIORI ANNATE: 1990 - 1994 - 1997 - 1999 - 2000 - 2001 NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 3 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 3 e i 10 anni. L’AZIENDA: Di proprietà di Giuseppe Ceschin dal 1973, l’azienda agricola si estende su una superficie complessiva di 41 Ha, di cui 25 vitati. Svolge le funzioni di enologo Giulio Ceschin con la collaborazione in vigna di Luigi Castenetto.

UVE

IMPIEGATE:

Refosco dal Peduncolo Rosso 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Cappuccina modificata DENSITÀ

DI IMPIANTO:

3000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito a partire dal 20 settembre, si procede alla pressatura soffice delle uve e si avvia il mosto alla fermentazione alcolica che si protrae per 15 giorni ad una temperatura compresa fra i 25 e i 30°C in recipienti di acciaio inox; contemporaneamente si procede anche alla macerazione sulle bucce con frequenti

Prepotto



Fu nel momento in cui acquistammo questo “panettone” di terra che le cose per noi cambiarono radicalmente. Erano sette anni che Flavio ed io rincorrevamo il sogno di avere un nostro pezzo di terra in cui lui potesse dare libero sfogo alla sua passione vitivinicola e costruire un percorso enologico che realizzasse le sue idee sul vino. Io avevo cieca fiducia nelle grandi possibilità di Flavio e nella riuscita del suo progetto che anche per me contava molto. Non importava quanta pazienza avrei dovuto avere prima di vederlo realizzato, sapevo che sarebbe prima o poi riuscito e la mia fiducia era talmente grande che presi quasi subito la decisione di vivere la mia vita al suo fianco. Conoscevo bene Flavio e sapevo che lui, come la terra alla quale servono tempi lunghissimi prima di concedere i suoi meravigliosi frutti, non mi avrebbe delusa; come ti dicevo, ero certa della sua riuscita e del valore di quel suo progetto che, prima o poi, lo avrebbe visto sicuramente realizzare dei grandi vini. Ricordo che stavamo già insieme quando entrò come giovane enologo in un’azienda vitivinicola friulana e io sposandolo, sposai anche la sua passione per questo lavoro. Ma noi siamo stati sempre spiriti un po’ anarchici e non potevamo reggere in quel lavoro dipendente: avevamo altri bisogni che erano molto più complessi e abbracciavano sia il desiderio fisico e spirituale di libertà, sia l’aspirazione a concretizzare i nostri progetti, sviluppare le nostre idee con tutto ciò che le stesse significavano, soprattutto il poter vivere la terra in modo viscerale, epidermico, così da poterci rendere liberi di gestire il nostro destino. Quella di vivere in campagna è stata proprio una scelta di vita importante, che apprezzo sempre più e alla quale ormai non saprei rinunciare.

L

LE DUE TERRE

Silvana Forte e la figlia Cora

Ricordo che fra di noi facemmo diverse ipotesi sul nome con cui battezzare la nostra azienda e insieme fantasticavamo sul significato che gli stessi avrebbero dovuto avere, fino al punto di convergere entrambi su “Le Due Terre”. Quel doppio numero e quelle due entità assumevano ogni volta un significato diverso, suggestivo. Quel nome significava l’unione di due idee, di due mondi, di due pezzi di terra di confine; quel nome rappresentava il mio mondo femminile e quello maschile di Flavio, era la raffigurazione semiotica di due unità completamente diverse, l’ombra e il sole, due entità, due spiriti e due anime che cercavano di convivere insieme, le due forze creatrici dell’universo fuse nell’abbraccio cosmico del tutto, ma senza dualità. Non so quanto abbia influito nella scelta di vivere in pieno la campagna, il nostro bisogno di avere quelle sicurezze e quelle certezze che solo la terra sa trasmettere in modo concreto ed essenziale e, del resto, non so neanche quanto poi “Le Due Terre” abbia assunto, ai nostri occhi, il significato di vero e proprio isolante rispetto al mondo esterno, dandoci la possibilità di sorseggiarlo a piccole dosi. La nostra campagna ha sempre assunto un più ampio e completo significato, quello che in definitiva la stessa parola libertà può rappresentare. Per noi la terra è la libertà, è il mio motore quotidiano, quella sensazione che io respiro, di sentirmi madre, donna, imprenditrice e casalinga allo stesso tempo, quell’emozione che ci consente di fare scelte enologiche giuste e utili, capaci di farci apprezzare e riconoscere; è una libertà che ha contribuito ad arricchire la nostra cultura, che ci ha consentito di aprirci e che ci ha fatto sempre tenere aperta la porta di casa



ad amici di ogni parte, con i quali disquisire con passione sulla vita, sulla musica e sul vino lasciando che le candele si consumino e che le bottiglie di vino si svuotino e avanzi la notte. È una libertà che ci dà la possibilità di aprirci al mondo, il quale ci offre l’opportunità di conoscerlo e di viverlo attraverso il lavoro e il vino. È una sensazione straordinaria che sa trasformarti in uno spirito libero capace di volare e librarsi alla ricerca di nuove musicalità dettate da una nuove liriche composte da versi semplici e dai mormorii della terra. Devo ammettere che mi sono lasciata sedurre da questa campagna e via via mi sono buttata alle spalle quel mondo che vive solo di apparenza ritenendo il vino che produciamo uno strumento concreto che sa parlare di noi, che trasferisce agli altri il nostro pensiero positivo.

ALTRI VINI I Bianchi: Colli Orientali del Friuli Bianco Doc Sacrisassi (Tocai Friulano 70%, Ribolla Gialla 30%)

I Rossi: Colli Orientali del Friuli Merlot Doc (Merlot 100%)


Rosso Sacrisassi

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Colli Orientali del Friuli Rosso Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il Rosso Sacrisassi è un blend delle migliori uve Refosco dal Peduncolo Rosso e Schioppettino provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nel comune di Prepotto, che hanno un’età media di 11 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni composti da marne di origine eocenica ad un’altitudine compresa tra i 130 e i 150 metri s.l.m. con esposizione a sud-est. UVE

IMPIEGATE:

Schioppettino 60%, Refosco dal Peduncolo Rosso 40%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

4500 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito alla fine di settembre, e una soffice pigiadiraspatura, si avvia la fermentazione alcolica che si protrae per circa 10 giorni ad una temperatura non controllata in recipienti di cemento, mentre contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage, dura per altri 10 giorni, sempre a temperatura libera. Terminata questa fase, il vino è messo in barrique e tonneau di rovere francese di primo e di secondo passaggio, dove effettua la fermentazione malolattica e dove vi rimane per la maturazione 22 mesi, al termine dei quali il vino è assemblato e dopo un breve periodo di stabilizzazione è messo in bottiglia per un ulteriore affinamento di altri 4 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

8200 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Dall’intenso colore rosso rubino, al naso rivela intensi aromi di piccoli frutti a bacca rossa, ciliegia, note speziate di pepe e cannella. In bocca risulta piacevole, caldo, pieno, avvolgente ed equilibrato, con tannini morbidi; di grande struttura, lunghezza e persistenza. PRIMA LE

ANNATA:

1994

MIGLIORI ANNATE:

1997 - 1998 - 1999 - 2001

NOTE: Il nome Sacrisassi deriva dal pietrame che ricopriva il terreno dove sono state piantate le vigne, vestigia di un’antica cappella votiva. Il vino raggiunge la maturità dopo 4-5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 10 anni.


Pinot Nero Colli Orientali del Friuli Pinot Nero Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Pinot Nero provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nel comune di Prepotto, che hanno un’età media di 11 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni composti da marne di origine eocenica ad un’altitudine di 150 metri s.l.m. con esposizione a sud-ovest.

dura per altri 10 giorni, sempre a temperatura libera. Terminata questa fase, il vino è messo in barrique di rovere francese di Allier di primo e di secondo passaggio, dove effettua la fermentazione malolattica e dove vi rimane per la maturazione 22 mesi, al termine dei quali è assemblato e, dopo un breve periodo di stabilizzazione, imbottigliato per un ulteriore affinamento di altri 4 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

3400 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta all’esame visivo di un bel colore rosso granato; al naso offre profumi di lampone, piccoli frutti del sottobosco e pepe nero con note erbacee leggerissime. All’esame gustativo evidenzia grande eleganza, con tannini molto morbidi; strutturato, complesso ed equilibrato, è vellutato, lungo e persistente esaltando al retrogusto le percezioni avute all’esame olfattivo. PRIMA LE

ANNATA:

1993

MIGLIORI ANNATE:

1997 - 1999 - 2001

NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 4-5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 10 anni. L’AZIENDA: Di proprietà di Silvana Forte e Flavio Basilicata dal 1984, l’azienda agricola si estende su una superficie complessiva di 4 Ha, tutti vitati. Svolge l’attività di agronomo ed enologo Flavio Basilicata.

UVE

IMPIEGATE:

Pinot Nero 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

4500 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito a metà settembre, e una soffice pigiadiraspatura, si avvia la fermentazione alcolica che si protrae per circa 10 giorni ad una temperatura non controllata in recipienti di acciaio inox, mentre contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage,

Prepotto



Ogni tanto mi ripeto che bisogna fare un passo indietro, fermarsi per poi ripartire con più slancio e proseguire sulla strada che è stata tracciata. Fare un passo indietro per comprendere cosa non ha funzionato e rivedere, in una moviola mentale, da dove è partito l’errore senza lasciarsi ingannare dall’apparenza o da quello che risulta ovvio e scontato. È con questa mentalità che, alla soglia dei cinquant’anni, guardo ciò che mi circonda cercando di comprendere le sfumature, i pieni e i vuoti delle cose, dedicandomi a due stupende esperienze imprenditoriali, completamente disgiunte, per le quali divido il mio impegno in eguale misura, pur sapendo che ognuna di esse ha tematiche, esigenze di tempi e filosofie diverse. Da una parte l’impegno manageriale nell’industria di manufatti per l’arredo, con i tre stabilimenti - uno in Italia, uno in Slovenia e un altro in Romania - che occupano oltre ottocento dipendenti; dall’altra la passione per il vino, la cantina e la campagna. La prima attività richiede una presenza vigile e attenta con tempi di reazione veloci, oltre ad una grande adattabilità ai cambiamenti, l’altra racchiude il passionale contatto con la natura, l’osservanza religiosa dei ritmi delle stagioni scanditi dal ticchettìo delle vendemmie; una ti apre ad un dialogo continuo sui bisogni delle parti sociali e obbliga, quotidianamente, ad un confronto con un mercato globale che ormai non accetta sbagli, non concedendo più alcun margine di errore; l’altra ti fa alzare gli occhi al cielo, ti fa osservare le nuvole e, rilassandoti, ti riavvicina alla vita della campagna e ai valori che in essa si racchiudono. Due esperienze uniche, entrambe vissute con amore e dedizione. Quando osservo ciò che sono riuscito a costruire insieme alla mia famiglia penso

L

LE VIGNE DI ZAMÒ

Silvano e Brigitte Zamò e la figlia Elisa

proprio di potermi definire una persona baciata dalla fortuna, ma contemporaneamente penso anche che in tutto questo siano stati basilari una grande attenzione e una forte capacità imprenditoriale. Lo sappiamo tutti che non è difficile raggiungere risultati importanti e, con essi, ottenere un po’ di successo: il difficile è mantenere e conservare nel tempo questo successo e quei risultati, come abbiamo fatto per vent’anni noi Zamò, continuando ad avere la forza di insistere e di misurarsi, non solo con noi stessi e con gli stretti collaboratori, ma anche con il mercato, con le nuove opportunità e i nuovi competitori. È in questa coinvolgente frenesia che ogni tanto mi piace fare un passo indietro e ricercare, nei ricordi della tradizione familiare, in che modo le cose siano potute accadere e come tutto sia stato possibile. Così, piano piano, trovi dei parallelismi fra il tuo modo di essere e il tuo recente passato. Frugando nella memoria riscopri l’osteria del nonno Luigi, a Manzano, dove si cucinava la migliore trippa del paese o ti riecheggia nella memoria il malumore di tuo padre Tullio che, come fattore, condusse per diversi anni le proprietà terriere dell’Abbazia e, pur amando il suo lavoro e quel territorio in modo viscerale, non ebbe mai il piacere di possedere un solo metro quadrato di terra. Guardandoti dentro cominci a comprendere da dove sia nata la tua enorme passione per la campagna e per la viticoltura o da dove provenga quella capacità tecnica che ti contraddistingue all’interno dell’industria di famiglia. Cominci anche a capire come si possano amare e desiderare le cose più semplici e genuine del proprio territorio e contemporaneamente trovare godimento e piacere mangiando nei ristoranti più importanti e sofisticati del mondo...



Ci riappropriammo della terra nel 1978, quando mio padre Tullio comprò insieme a mio fratello Pierluigi e a me i primi cinque ettari di vigneto sulle colline di Rocca Bernarda e decidemmo di metterci a giocare facendo i vignaioli. A quei tempi facevamo il vino per casa; provavamo una grande soddisfazione quando i nostri amici ci chiedevano dove lo avessimo comprato. Allora, infatti, ogni anno si apriva una vera e propria caccia al miglior vino della zona, vino da far immancabilmente degustare agli amici nelle serate conviviali. Credo che, oltre al piacere di ricominciare a toccare la terra e poter gratificare nostro padre con quel contatto epidermico, a convincerci della necessità di prendere un vigneto nostro e iniziare a fare vino fu proprio la constatazione delle sempre maggiori difficoltà che incontravamo nel reperire un vino di qualità. Quei cinque ettari divennero presto dieci; a questi dieci se ne aggiunsero altri dieci che comprammo nella zona di Buttrio, fino a quando, nel 1997, non capitò l’occasione di acquistare dei terreni, proprio di fronte all’Abbazia di Manzano, dove demmo vita al progetto della cantina e a tutto quello che oggi è visibile. Quei terreni che guardano l’Abbazia rappresentarono per noi un vero e proprio salto nel passato di nostro nonno e di nostro padre. Un passo indietro, come dico io, che indubbiamente ha contributo a farci riappropriare delle nostre origini, la memoria delle quali si è dimostrata stimolante e quanto mai passionale. Sono passati diversi anni e devo ammettere che ancora non ho imparato a fare il vino, ma la cosa non mi preoccupa più di tanto: così come ho fatto nell’attività industriale, anche qui ho cercato di circondarmi, per la cantina e la campagna, di persone valide e capaci. Volevo persone che amassero il proprio lavoro quanto e più di me, che amassero questo territorio, che lo conoscessero e che, come me, si appassionassero e fossero un tutt’uno con l’azienda e con la mia filosofia che ci vede tutti proiettati nella ricerca continua e costante per produrre vino di qualità. È a loro che ho affidato l’impegno di fare il vino nelle Vigne di Zamò.

ALTRI VINI I Bianchi: Colli Orientali del Friuli Bianco Doc Tullio Zamò (Pinot Bianco 100%) Colli Orientali del Friuli Malvasia Istriana Doc (Malvasia Istriana 100%) Colli Orientali del Friuli Pinot Grigio Doc (Pinot Grigio 100%) Colli Orientali del Friuli Ribolla Gialla Doc (Ribolla Gialla 100%) Colli Orientali del Friuli Sauvignon Doc (Sauvignon 100%)


Tocai Friulano Vigne Cinquant’anni

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Colli Orientali del Friuli Tocai Friulano Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è realizzato attraverso una selezione delle migliori uve Tocai Friulano provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nei comuni di Buttrio e Manzano, che hanno un’età media di 50 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni costituiti da marna eocenica ad un’altitudine compresa tra i 120 e i 160 metri s.l.m. con esposizione a sud-est. UVE

IMPIEGATE:

Tocai Friulano 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

3000-4000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito nella seconda e nella terza decade di settembre, l’80% dell’uva viene pressata direttamente, il 20% subisce una criomacerazione statica che varia dalle 24 alle 48 ore, a seconda dell’annata, alla temperatura di 5°C. Nei mosti così ottenuti, che seguono strade diverse, si inseriscono i lieviti selezionati e si dà avvio alla fermentazione alcolica che si protrae per 10-12 giorni ad una temperatura controllata compresa tra i 16 e i 21°C in tini di acciaio inox termocondizionati dove il vino viene lasciato maturare per circa 10 mesi. Durante questo periodo, vengono effettuati, almeno nella prima fase di vinificazione, dei sur lies con sistemi meccanici, al fine di movimentare le fecce nobili utilizzate per guidare tecnicamente la fermentazione malolattica che è fatta svolgere completamente. Alla conclusione del processo di vinificazione il vino subisce un solo travaso prima di essere messo in bottiglia per un ulteriore affinamento di 3 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

6000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: All’esame visivo il vino si presenta di un colore giallo paglierino luminoso, mentre al naso esprime profumi fini ed intensi, sia fruttati che floreali, con note di pane appena sfornato e di mandorle. Al gusto è rotondo, vellutato e delicato; risulta piacevole ed equilibrato, con una grande morbidezza e un’ottima struttura. PRIMA LE

ANNATA:

1995

MIGLIORI ANNATE:

1999 - 2000 - 2001

NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 2 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 2 e i 6 anni.


Ronco delle Acacie Colli Orientali del Friuli Rosazzo Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il Ronco delle Acacie è un blend delle migliori uve di Chardonnay, Tocai Friulano e Pinot Bianco provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nella sottozona Rosazzo del comune di Manzano, che hanno un’età media di 20 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni costituiti da marna eocenica ad un’alti-

è pressata e il mosto ottenuto avviato alla vinificazione, mentre il 70% subisce una criomacerazione per 12-24 ore con decantazione statica alla temperatura di 13-14°C. Nei mosti così ottenuti si inseriscono i lieviti selezionati e si dà avvio alla fermentazione alcolica che si protrae per 15-20 giorni ad una temperatura controllata compresa tra i 16 e i 20°C, per il 30% in barrique di rovere francese nuove e di secondo passaggio, per il 30% in tonneau da 5 hl e per il 40% in recipienti di acciaio inox. Periodicamente vengono effettuati sia dei bâtonnage, per il vino posto nel legno, sia dei sur lies con sistemi meccanici per il vino posto nei tini di acciaio, al fine di movimentare le fecce (per un 50% fecce pesanti e per un 50% fecce leggere nobili), che sono utilizzate per guidare tecnicamente lo svolgimento della fermentazione malolattica che è fatta svolgere completamente. La maturazione prosegue per 10 mesi alla conclusione dei quali viene fatto l’assemblaggio delle partite e, dopo un breve periodo di stabilizzazione, il vino viene messo in bottiglia per un ulteriore affinamento di 12 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

7450 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Vino di grande spessore che presenta un bel colore giallo dorato; al naso esprime profumi intensi di frutta matura e floreali a cui si aggiungono leggere note di vaniglia. Al palato è armonico ed intenso, denota carattere, raffinatezza e ottima struttura e ripercorre le sensazioni olfattive con una lunghissima persistenza ed un piacevolissimo retrogusto. PRIMA LE

tudine compresa tra i 120 e i 160 metri s.l.m. con esposizione a est / sud-est.

ANNATA:

1983

MIGLIORI ANNATE:

1993 - 2000 - 2001

NOTE: Il vino, che prende il nome dalla vicinanza dei boschi di acacie e che non è stato prodotto nell’annata 1986, raggiunge la maturità dopo 2-3 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 3 e i 5 anni.

UVE IMPIEGATE: Chardonnay 50%, Tocai Friulano 30%, Pinot Bianco 20% SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

5000-6000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito dalla terza decade d’agosto alla seconda di settembre, il 30% dell’uva

Rosazzo di Manzano


Ronco dei Roseti

223

Colli Orientali del Friuli Rosso Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il Ronco dei Roseti è un blend delle migliori uve Merlot, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e Schioppettino provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nei comuni di Manzano e Buttrio, che hanno un’età media di 30 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni costituiti da marna eocenica ad un’alti-

metà ottobre, si avvia la fermentazione alcolica, singolarmente per ogni vino, che si protrae per 8-12 giorni ad una temperatura compresa tra i 22 e i 30°C in tini di legno aperti da 5 e da 20 hl, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura; contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce che dura altri 15 giorni, sempre a temperatura controllata. Terminata questa fase il vino è posto in barrique di rovere francese di Allier dove vi rimane per 18 mesi e dove effettua la fermentazione malolattica. Trascorso questo tempo viene effettuato l’assemblaggio delle partite e, dopo un breve periodo di stabilizzazione in tini di acciaio, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento che si protrae per altri 12 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

15500 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un colore rosso rubino intenso, con profumi complessi di frutta rossa matura, spezie, liquirizia e caffè. Al gusto evidenzia tannini morbidi e molto eleganti; di grande struttura e lunghezza, denota una lunghissima persistenza al retrogusto. PRIMA

ANNATA:

1982

LE MIGLIORI ANNATE: 1988 - 1990 - 1992 - 1994 - 1996 - 1997 - 2000 NOTE: Il nome del vino deriva dalla presenza di molti rosai in questi vigneti. Non è stato prodotto nelle annate 1998 e 2002. Raggiunge la maturità dopo 3-4 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 4 e gli 8 anni.

tudine compresa tra i 120 e i 160 metri s.l.m. con esposizione a sud / sud-ovest. UVE IMPIEGATE: Merlot 50%, Cabernet Sauvignon 25%, Cabernet Franc 15%, Schioppettino 10%

L’AZIENDA: Di proprietà di Pierluigi e Silvano Zamò dal 1978, l’azienda agricola si estende su una superficie complessiva di 60 Ha, di cui 50 vitati e il resto occupati da seminativi e boschi. Collabora in azienda l’agronomo ed enologo Emilio Del Medico con la consulenza enologica esterna di Franco Bernabei.

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

4000-6000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene da metà settembre a

Rosazzo di Manzano




Ci sono delle cose importanti che, pur non avendo mai avuto la possibilità di comprare, ti appartengono, sono dentro di te. All’inizio non ti capaciti di come sia stato possibile che quel certo quid, che crea la differenza fra te e gli altri, sia finito così profondamente dentro di te e non sai nemmeno il motivo per il quale abbia potuto mettere radici così profonde e forti. Col passare del tempo ti accorgi che quell’insieme di elementi che compongono la tua personalità sono cresciuti all’interno della tua anima, forgiandoti in silenzio e caratterizzandoti, divenendo, un passo alla volta, fonte vitale e inesauribile d’energia. Quando tutto sembra che ti crolli addosso e il dolore acceca di pianto i tuoi occhi, li scopri al tuo fianco, forti e saldi, pronti a darti una mano per risalire la china lungo la quale la vita si è divertita a farti rotolare. Sembra che quegli elementi, giorno dopo giorno, abbiano compiuto su di te un certosino e minuzioso lavoro d’incisione, un lavoro che ha contribuito a scolpire sulla pietra i tuoi princìpi, che è stato attivato fin da quando, ragazzino, salutavi i tuoi amici e, invece di andare a giocare con loro, correvi a casa ad aiutare i tuoi genitori nei lavori di campagna. È in quella ruralità e in quell’atmosfera eccezionale che mi sono forgiato, vivendo con emozioni forti, robuste, talvolta ruvide, la vita semplice e dura del contadino, un mestiere che non concede mezze misure: o si ama o si odia o si fa come deve essere fatto, con serietà e sacrificio o, dallo stesso, si fugge via. Oggi ho la certezza che non decisi di rimanere in campagna a vent’anni - già adul-

L

LIS NERIS

Alvaro e Lorena Pecorari

to - ma lo feci inconsciamente molto tempo prima, a otto o nove anni. È a quell’età che sposai quel modo un po’ atipico di vivere a stretto contatto con la terra. Mi affascinavano i ritmi lenti di quel mondo agricolo che ti consentono di pensare, con quelle sue funzioni umili, semplici, che non ammettono deroghe e che devono essere svolte quando è il loro momento, senza se e senza ma. È in quell’ambiente che ho maturato la passione per il vino e per la vigna. Quando frequentavo le scuole superiori pensavo spesso che mi sarebbe piaciuto un giorno sedermi la sera a tavola, con la mia famiglia, avendo la certezza che, in altre parti del mondo, in quel preciso momento, vi fossero altre famiglie che, pranzando, avevano sul loro tavolo una bottiglia del mio vino. Quel pensiero mi dette stimoli enormi. Pensare a una cosa del genere mi dava una grande voglia di fare per costruire un domani diverso rispetto a quel poco che avevamo. Sì, credo che l’idea di diventare vignaiolo sia nata proprio in quel periodo, venticinque anni fa. Quello non era solo un progetto che avrebbe condotto di lì a poco l’azienda di famiglia a eliminare dai suoi pochi terreni qualsiasi altra coltura promiscua al fine di dedicarsi solo alla viticoltura: era molto di più. Era una scelta e uno stile di vita ben definito, pensato e fortemente voluto, nato dal confronto generazionale fra mio padre Francesco e me, eseguito alla lettera da entrambi fino a oggi, con caparbietà e perseveranza, un progetto che ci avrebbe visto impegnati e proiettati per tutti questi anni verso l’ottenimento del miglior risultato possibile su questo nostro territorio.



Se alle spalle non avessi avuto la forza di una famiglia compatta, quasi sicuramente quel progetto sarebbe fallito e non ci avrebbe condotto ai risultati che oggi ci vedono produrre un consistente, ma quanto mai artigianale, numero di bottiglie che ci consentono di posizionarci fra le più rappresentative aziende vitivinicole friulane. Devo affermare che a questa crescita hanno contribuito tutti i componenti della famiglia, ognuno mettendo quello che aveva o che riteneva utile mettere: chi la propria cocciutaggine, chi la propria decisionalità, chi la propria fantasia, chi invece la vivacità della sua giovane età. Io, in questi anni, ho messo il mio desiderio di riuscire a fare dei grandi vini che assomigliassero il più possibile a quegli elementi che hanno contribuito a costruire la mia personalità, cercando di dare loro un carattere e racchiudendo in essi i miei pensieri, le mie idee, i miei sogni e la proiezione di tutti quegli attimi che hanno caratterizzato la mia vita di vignaiolo friulano di questi ultimi venticinque anni. Così facendo ho partecipato alla realizzazione di vini importanti, che si sono dimostrati in grado di saper comunicare non solo il mio lavoro, ma anche l’ambiente, il clima e il terreno sul quale sono prodotti: un terroir unico che ha contribuito a renderli potenti e allo stesso tempo fini ed eleganti. Vini di carattere come li volevo io, che sanno portare in giro per il mondo, oltre al nome della mia azienda, anche quello del Friuli a cui tengo molto. Oggi più che mai sorrido ripensando a quel mio stimolante sogno di gioventù, ma questa volta ho la certezza che, quando sono a cena con la mia famiglia, i vini che produco sono sicuramente presenti sulle tavole di altre famiglie nel mondo e questa cosa, ancora più di prima, mi inorgoglisce. ALTRI VINI I Bianchi: Friuli Isonzo Chardonnay Doc Jurosa (Chardonnay 100%) Friuli Isonzo Sauvignon Doc Picol (Sauvignon 100%)

I Rossi: Friuli Isonzo Rosso Doc Lis Neris (Merlot 95%, Cabernet Sauvignon 5%)

Tal Lùc Igt Venezia Giulia (Verduzzo Friulano 95%, Riesling Renano 5%)


Lis

229

Friuli Isonzo Bianco Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il Lis è un blend delle migliori uve Pinot Grigio, Chardonnay e Sauvignon provenienti dai vigneti Gris e Jurosa di proprietà dell’azienda, posti nel comune di San Lorenzo Isontino, che presentano viti di oltre 15 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su un terreno ghiaioso calcareo ad un’altitudine di circa 60 s.l.m. con esposizione a nord-sud. UVE

IMPIEGATE:

Pinot Grigio 40%, Chardonnay 30%, Sauvignon 30% (le percentuali indicate variano a seconda della raccolta e dell’annata).

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

5200 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito a partire dal 15 settembre, le uve sono pressate e il mosto ottenuto, separatamente per ogni uvaggio, viene lasciato decantare a una temperatura controllata di 12°C per circa 24 ore. Terminata questa fase si inseriscono nei mosti i lieviti selezionati, cosicché lo Chardonnay e il Pinot Grigio sono messi direttamente in tonneau di rovere francese di Tronçais, per il 60% nuovi e il resto di secondo passaggio, e rimangono circa 10 mesi in ambienti termocondizionati, mentre il Sauvignon viene invece mantenuto in vasche di acciaio inox alla temperatura controllata di 20-22°C. In entrambi i contenitori i vini svolgono la fermentazione alcolica, quindi, periodicamente vengono effettuati sia dei bâtonnage per il vino posto nel legno, sia dei sur lies con sistemi meccanici per il vino posto nei tini di acciaio, al fine di movimentare le fecce nobili che sono utilizzate per guidare tecnicamente lo svolgimento della fermentazione malolattica che è fatta svolgere completamente. Nel mese di agosto dell’anno successivo alla vendemmia, di solito, viene effettuato l’assemblaggio delle partite e dopo un breve periodo di stabilizzazione in tini di acciaio e un leggero filtraggio, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento che si protrae per altri 7 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

20000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un colore giallo paglierino, con profumi complessi, note fruttate e floreali molto intense e un leggero sentore di mandorle tostate con una leggera venatura erbacea. Al gusto evidenzia grande eleganza e buona struttura, con lunga persistenza in bocca. PRIMA LE

ANNATA:

1999

MIGLIORI ANNATE:

1999 - 2000 - 2001 - 2002 - 2003

NOTE: “Lis” in friulano corrisponde all’articolo determinativo femminile italiano “le”. Questa parola è stata scelta come nome del vino per il semplice motivo che fa parte del marchio dell’azienda. Raggiunge la maturità dopo 2 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 2 e i 5 anni.


Gris Friuli Isonzo Pinot Grigio Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il Gris è una selezione delle migliori uve Pinot Grigio provenienti dal vigneto Gris di proprietà dell’azienda, posto nel comune di San Lorenzo Isontino, che ha viti con un’età media compresa fra i 10 e i 15 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su un terreno ghiaioso calcareo ad un’altitudine di circa 60 s.l.m. con esposizione a nord-sud.

direttamente in tonneau di rovere francese di Tronçais di secondo passaggio, posti in ambienti termocondizionati dove rimane per 10 mesi, mentre il restante vino è messo dentro i tini di acciaio inox alla temperatura controllata di 20-22°C. In entrambi i contenitori i vini svolgono la fermentazione alcolica dopo di che, periodicamente, vengono effettuati sia dei bâtonnage per il vino posto nel legno, sia dei sur lies con sistemi meccanici per il vino posto nei tini di acciaio, al fine di movimentare le fecce nobili che sono utilizzate per guidare tecnicamente lo svolgimento della fermentazione malolattica che è fatta svolgere completamente. Nel mese di agosto dell’anno successivo alla vendemmia, di solito, viene effettuato l’assemblaggio delle partite e, dopo un breve periodo di stabilizzazione in tini di acciaio e un leggero filtraggio, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento che si protrae per altri 4 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

40000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un giallo paglierino spento, con complessi profumi fruttati assume via via un lungo e pungente bouquet di fieno secco, mallo di noce e mandorle tostate. Al gusto evidenzia eleganza, grande struttura e persistenza, confermando in linea di massima le piacevolissime percezioni olfattive. PRIMA LE

UVE

IMPIEGATE:

Pinot Grigio 100%

ANNATA:

1989

MIGLIORI ANNATE:

1998 - 2001

NOTE: “Gris” è il nome del toponimo su cui sono situati i vigneti. Ma “Gris” nel dialetto friulano sono anche i “grilli”; infatti i terreni ghiaiosi dei vigneti sono dimora ideale per questi insetti. Il vino raggiunge la maturità dopo 2 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 2 e i 5 anni.

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

5200 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito a partire dal 1 settembre, le uve subiscono una soffice pressatura, poi si procede a una decantazione statica del mosto alla temperatura controllata di 12°C per circa 24 ore. Terminata questa fase di prima chiarificazione, si inseriscono i lieviti selezionati e il 60% del Pinot Grigio viene messo

San Lorenzo Isontino


Confini

231

Friuli Isonzo Bianco Doc ZONA DI PRODUZIONE: Confini è un blend delle migliori uve Pinot Grigio, Traminer e Riesling provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nel comune di San Lorenzo Isontino, che presentano viti con un’età media compresa fra i 10 e i 15 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su un terreno ghiaioso calcareo ad un’altitudine di circa 60 s.l.m. con esposizione a nord-sud.

Terminata questa fase di prima decantazione, si inseriscono nei mosti i lieviti selezionati cosicché, mentre una percentuale del 60% del vino è messo direttamente in tonneau di rovere francese di Tronçais, solo di secondo passaggio, dove rimane per circa 10 mesi in ambienti termocondizionati, l’altro 40% viene invece mantenuto separatamente in vasche di acciaio inox alla temperatura controllata di 20-22°C. In entrambi i contenitori i vini effettuano la fermentazione alcolica, dopo di che periodicamente vengono effettuati sia dei bâtonnage per il vino posto nel legno, sia dei sur lies, utilizzando sistemi meccanici, per il vino posto nei tini di acciaio, al fine di movimentare le fecce nobili che sono utilizzate per guidare tecnicamente lo svolgimento della fermentazione malolattica che è fatta svolgere completamente. Nel mese di agosto dell’anno successivo alla vendemmia, di solito, viene effettuato l’assemblaggio delle partite e dopo un breve periodo di stabilizzazione in tini di acciaio e un leggero filtraggio, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento che si protrae per altri 7 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

10000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un colore giallo dorato brillante, con profumi eleganti di frutta esotica ed essenze floreali a cui si aggiungono nuances minerali. All’esame gustativo riconferma le percezioni avvertite al naso evidenziando grande struttura, lunghezza e persistenza. PRIMA LE

UVE IMPIEGATE: Pinot Grigio 40%, Traminer 30%, Riesling 30% SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

5200 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito a partire dal 25 settembre, le uve sono pressate e il mosto ottenuto, separatamente per ogni uvaggio, viene lasciato decantare ad una temperatura controllata di 12°C per circa 24 ore.

ANNATA:

1997

MIGLIORI ANNATE:

1999 - 2003

NOTE: I confini sono due: quelli geografici (che separano le vallate slovene da quelle italiane) e quelli immaginari, che abbattono le limitazioni territoriali per andare oltre. Il vino raggiunge la maturità dopo 2 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 2 e i 5 anni. L’AZIENDA: Di proprietà della famiglia Pecorari dal 1879, l’azienda agricola si estende ora su una superficie complessiva di 53 Ha, di cui 50 vitati. Svolge le funzioni di agronomo e di enologo lo stesso Alvaro Pecorari.


C’è un connubio perfetto e indissolubile fra i Livon e la terra. Il nostro non è semplice amore, è un sentimento profondo, è un attaccamento viscerale, una passione quasi morbosa per questo elemento che abbiamo saputo mantenere, coccolare, curare e ampliare nel corso di quasi un secolo. La nostra è una storia di tribolazioni, delusioni, sogni e successi che parte da lontano, dal nonno, che si chiamava come me, Antonino, e dal Friuli di quell’inizio degli anni Venti, che vedeva la miseria dilagare ovunque su queste terre distrutte dalla Grande Guerra, mentre i porti di Trieste e Genova erano stracolmi di contadini friulani che emigravano nelle Americhe o in Australia. È una storia che ha coinvolto ogni elemento della mia famiglia, che è rimasta sempre unita intorno a quel podere che il Conte Trento concesse nel suo testamento al nonno, premiandolo per l’impegno che aveva profuso per quasi un ventennio nella valorizzazione del progetto di sviluppo vitivinicolo avviato insieme al Conte nei possedimenti di quella nobile famiglia. Il nostro è un nucleo familiare forte e deciso, che ha sempre avuto le idee ben chiare, che non ha mai avuto il problema di sporcarsi le unghie di terra, che ha saputo adattarsi ai mutamenti che in questi ultimi trent’anni hanno trasformato non solo l’agricoltura di questa regione, ma l’intera situazione vitivinicola nazionale. Con il lavoro e il sacrificio, piano piano, siamo riusciti a divenire interpreti dell’evoluzione in atto e di questo ne sono testimonianza gli odierni 150 ettari vitati delle aziende friulane Livon, Roncalto e Villa Chiòpris, i 50 ettari dell’azienda di Borgo Salcetino, in Toscana, e i 32 ettari della nostra tenuta di ColSanto a Bevagna, in Umbria. Uno sviluppo costante che è stato contraddistinto da una grande forza di volontà

L LIVON

Valneo, Dorino e Tonino Livon

e dal desiderio di proseguire sulla strada che nonno Antonino aveva tracciato. Un percorso che era più facile per chi, come noi, vivendo in stretto contatto con la terra e con l’ambiente dell’agricoltura, poteva interpretare ogni segnale del mercato e trasformarlo in una buona opportunità o in un’idea per un futuro progetto. Spesso mi domando come tutto questo sia stato possibile e trovo la risposta nell’osservare mio padre Dorino che, ancora oggi a ottant’anni, si aggira per le vigne con lo stesso entusiasmo di quando io ero giovanissimo e, insieme a mio fratello Valneo, frequentavo l’istituto agrario a Cividale. Sì, credo proprio che la nostra forza sia da ricercare nella famiglia, nel nostro desiderio di non mollare mai, nell’esempio da seguire che abbiamo sempre avuto davanti agli occhi, quello di un padre che non si è mai sentito minimamente appagato di ciò che andavamo realizzando e che ancora ha voglia di costruire, andare oltre e fare altri progetti, inseguendo altri sogni, spronandoci, sempre e in ogni modo, ad andare avanti, alzandosi al mattino per primo o avviandosi fra i filari a passo spedito con il piglio di un giovane. Io so che il suo occhio vale più di quello di cento operai e la sua esperienza di tante vendemmie passate è insostituibile e osservandolo, oggi, mi rendo conto che non è cambiato e in tutto quello che fa mette ancora l’attenzione maniacale che metteva quando, trent’anni fa, correvamo tutti e quattro, mia madre Elda, lui, mio fratello e io, intorno a quelle quattro vigne che avevamo allora, quando eravamo tutti impegnati, nessuno escluso, a potare, legare, vendemmiare e vinificare. Sì, credo che tutto sia stato possibile perché c’è stata e c’è tutt’oggi una forte unione fra di noi, con i sentimenti che si sono consolidati attraverso i sogni e i



progetti che abbiamo realizzato insieme e che ci hanno consentito di guardare al futuro con grande entusiasmo e ottimismo, crescendo imprenditorialmente e ravvivando quotidianamente il nostro attaccamento alla terra. Anche io ho un connubio perfetto con la terra. Io, del resto, so fare solo il contadino e non sarei capace di fare altro. Mi piace questa ruralità a tal punto che, quando mi allontano dal mio habitat, mi sento perso; sento che mi mancano delle cose importanti, che non so identificare di preciso, ma che, in ogni caso, mi mettono in uno stato di angoscia e, ovunque io vada, non mi sento a posto. A me non fa paura la fatica dei campi: sono in vacanza quando sono fra i miei filari, dentro la mia cantina, fra le mie botti e le mie bottiglie e mi diverto nel compiere il mio lavoro. Credo comunque di non essere l’unico friulano che la pensa così. Parlando con gli amici produttori vedo con piacere che anche loro amano l’attività di vignaioli. A tutto questo ci sarà pure una spiegazione? Io credo che la stessa vada ricercata nelle nostre radici, prima fra tutte il nostro innato attaccamento a questo territorio, poi il nostro grande orgoglio e la nostra abnegazione al lavoro, avendo constatato che solo attraverso un grande sacrificio si ottengono dei grandi risultati. Noi Livon, seguendo queste istintive forze caratteriali, siamo riusciti a dare un diverso significato alla parola contadino e di questo siamo pienamente orgogliosi, perché per il futuro ne abbiamo di sogni nel cassetto da realizzare insieme alla nostra amica terra...

ALTRI VINI I Bianchi: Collio Ribolla Gialla Doc Tenuta RoncAlto (Ribolla Gialla 100%) Collio Tocai Friulano Doc Ronc di Zorz (Tocai Friulano 100%)

I Rossi: Collio Merlot Doc Tiare Mate (Merlot 100%) Tiare Blu Vino da Tavola Rosso (Merlot 80%, Cabernet Sauvignon 20%)


Braide Alte

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Vino da Tavola Bianco ZONA DI PRODUZIONE: Braide Alte è un blend delle migliori uve Sauvignon, Chardonnay, Moscato Giallo e Picolit provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nei comuni di San Giovanni al Natisone e Dolegna del Collio, che hanno un’età media compresa fra i 10 e i 12 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni costituiti da marne e argilla ad un’altitudine compresa tra i 150 e i 200 metri s.l.m. con esposizione a est / sud-est. UVE

IMPIEGATE:

Sauvignon 45%, Chardonnay 45%, Moscato Giallo 7%, Picolit 3%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

7700 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: La vendemmia avviene sempre in due momenti ben distinti fra loro; di solito negli ultimi giorni di settembre per i vitigni come il Sauvignon, Chardonnay e Moscato Giallo, mentre per il Picolit si procede alla raccolta dopo la metà di ottobre. Le uve sono lavorate separatamente e ognuna subisce una diversa metodologia. Per quasi tutte si procede a una soffice pigiatura e a una criomacerazione pellicolare del mosto a contatto delle bucce che si protrae per 8 ore, a 0°C; al termine di queste operazioni si procede alla pressatura e alla decantazione statica del vino alla temperatura controllata di 14°C per circa 12 ore. Dopo la prima chiarificazione, si inseriscono i lieviti selezionati e il 50% dello Chardonnay e del Sauvignon viene messo in barrique nuove di rovere francese di Allier e mantenuto in ambienti termocondizionati a 14°C, dove effettua la fermentazione alcolica, mentre il restante 50% la svolge in tini di acciaio inox per 15 giorni sempre a temperatura controllata. Il Moscato Giallo e il Picolit invece, dopo la chiarifica sono messi direttamente in barrique dove svolgono la fermentazione alcolica e come tutti gli altri anche la fermentazione malolattica. Terminate entrambe le fermentazioni, senza nessun travaso, i vini sono lasciati maturare, con l’ausilio di periodici bâtonnage, per circa 8 mesi al termine dei quali viene effettuato l’assemblaggio delle partite e, dopo un breve periodo di stabilizzazione, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento di altri 15 mesi prima di essere commercializzato. QUANTITÀ

PRODOTTA:

14000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Vino dal colore giallo paglierino con riflessi dorati che al naso sprigiona sensazioni fini e intense, con sentori di frutta esotica, pesca matura, burro fuso e nocciola; in bocca risulta caldo, vellutato, di grande struttura, con un retrogusto di notevole persistenza che evidenzia nuances di vaniglia e pane tostato. PRIMA

ANNATA:

1996

LE MIGLIORI ANNATE: 1997 - 1998 - 1999 - 2000 - 2001 NOTE: Il vino, il cui nome indica un pianoro leggermente ondulato, raggiunge la maturità dopo 3 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 3 e i 6 anni.


Valbuins Sauvignon Collio Sauvignon Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Sauvignon provenienti dal vigneto Valbuins, di proprietà dell’azienda, posto in località Ruttars nel comune di Dolegna del Collio, che ha un’età media di circa 10 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: Il vigneto si trova su terreni composti da marne e argilla ad un’altitudine compresa tra i 150 e i 200 metri s.l.m. con esposizione a nord-est.

alla pressatura e alla decantazione statica del vino alla temperatura controllata di 14°C per circa 12 ore. Dopo la prima chiarificazione, si inseriscono i lieviti selezionati e si dà avvio alla fermentazione alcolica che il vino svolge per il 40% in barrique nuove di rovere francese di Allier alla temperatura di 18-20°C e per il 60% in recipienti di acciaio inox termocondizionati alla temperatura di 14°C. Terminata la fermentazione non avviene alcun travaso e il vino rimane a maturare negli stessi contenitori per circa 8 mesi a temperatura costante, mentre periodicamente vengono effettuati sia dei bâtonnage, per il vino posto nel legno, sia dei sur lies con sistemi meccanici per il vino posto nei tini di acciaio, al fine di movimentare le fecce nobili che sono utilizzate per guidare tecnicamente lo svolgimento della fermentazione malolattica che è fatta svolgere completamente. Al termine della maturazione viene effettuato l’assemblaggio delle partite e, dopo un breve periodo di stabilizzazione, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento di altri 6 mesi prima di essere commercializzato. QUANTITÀ

PRODOTTA:

10500 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Di un bel colore giallo paglierino, all’esame olfattivo offre sentori netti di pesca, peperone verde, menta e uno splendido profumo di salvia fresca. All’esame gustativo amplia la sua gamma di sensazioni con note minerali e balsamiche risultando molto gradevole, elegante, fine ed equilibrato. Di lunga persistenza al retrogusto. PRIMA LE

UVE

IMPIEGATE:

Sauvignon 100%

ANNATA:

1988

MIGLIORI ANNATE:

1996 - 2002

NOTE: Il vino, il cui nome indica un toponimo del territorio, raggiunge la maturità dopo 2 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 2 e i 5 anni.

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

9000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito nell’ultima decade di settembre, si procede al raffreddamento dell’uva fino a raggiungere la temperatura di 0°C. Terminata questa fase si procede a una soffice pigiatura e alla criomacerazione pellicolare del mosto a contatto delle bucce che si protrae per 8 ore a 0°C; al termine di queste operazioni si procede

L’AZIENDA: Del gruppo aziendale Livon, condotto da Tonino e Valneo Livon, fanno parte Villa Chiòpris e Tenuta RoncAlto in Friuli, Borgo Salcetino in Toscana e la Fattoria ColSanto in Umbria. Gli ettari vitati di proprietà sono 220: 150 in Friuli, 30 in Toscana, 20 in Umbria. Svolge l’attività di agronomo lo stesso Tonino Livon. Collabora in azienda l’enologo Rinaldo Stocco.



Mi piace svegliarmi al mattino e sentire il ticchettìo della pioggia che con ritmicità scende sul tetto di casa. Mi crogiolo ancora un po’ nel letto godendo i tempi lenti che mi accompagneranno per tutta questa giornata piovosa. È da un po’ di tempo che ho scoperto che le giornate di pioggia mi piacciono sempre più, perché mi rilassano e rallentano i ritmi frenetici della mia quotidianità. Giornate che diventano sempre più lunghe e che mi vedono impegnato, prima a organizzare insieme alla mia compagna Francesca il lavoro del ristorante, quello che la nostra famiglia conduce da oltre cento anni, poi a pensare alla cantina, ad occuparmi della vigna e a tutto quello che comporta il mandare avanti un’azienda complessa e articolata come la mia, con diversi dipendenti. In casa c’è silenzio e sicuramente Francesca si starà già dando da fare fra i tavoli e la cucina della trattoria sottostante che sta diventando, sempre più, il suo regno. Io, invece, oggi mi crogiolo fra queste lenzuola. Sono rari i momenti nei quali riesco a stare un po’ con me stesso e ho deciso di godermela fino all’ultimo secondo questa giornata di pioggia, anche se non è facile distogliere il pensiero da quello che dovrò fare nel restante arco della giornata o da quello che mi attende nei giorni futuri e fra me e me rimugino su come riuscire a incastrare, nel puzzle della mia vita, tutte quelle faccende che, per forza di cose, oggi sono stato costretto a rimandare a causa di questa santa e benedetta pioggia. Prime fra tutte le attività strettamente collegate alla mia passione per la campagna che, come tutti gli uomini della famiglia Meroi che mi hanno preceduto, ho sempre avuto forte; una passione che ha consentito in questo secolo il manteni-

M MEROI

Paolo e Francesca Meroi

mento e l’allargamento delle proprietà terriere che oggi contano ventinove ettari, di cui undici destinati alla viticoltura. Al secondo posto le attività riguardanti l’osteria di famiglia, quella posta qui sotto casa, dove le generazioni che mi hanno preceduto alternandosi alla sua guida hanno mantenuto quel buon livello qualitativo che si è sempre saputo modificare, adattandosi ai tempi che cambiavano. Due attività molto diverse fra loro, due mondi e due anime, una che ti rigenera, l’altra che ti succhia l’energia disperdendola fra i tavoli, in mezzo alla gente, sul barbecue dove cucino le carni. Entrambe sono la testimonianza di una continuità familiare. È facile notare come tante famiglie friulane abbiano un forte senso di continuità e di attaccamento a ciò che appartiene loro; di questo ne è testimonianza la mia famiglia, che ha saputo tramandarsi sia l’antico mestiere del contadino, sia quello del ristoratore, mantenendo in piedi le proprietà a dispetto dei grandi e difficilissimi momenti di trasformazione sociale avvenuti in quest’ultimo secolo. Tutte e due le attività sono l’esempio della splendida e meravigliosa testardaggine di noi friulani che, nonostante guerre, miseria, fame e migrazioni, hanno saputo difendere quel poco che avevano. Credo che sia questo lo spirito che ha animato i Meroi che mi hanno preceduto, ai quali dovrei, forse, dedicare un monumento, come dovrei dedicarlo a tutti quei friulani che hanno avuto la stessa loro forza; un monumento bello e splendido, proprio come quello costruito per i caduti in guerra, eretto alla memoria di chi è riuscito a tramandare ai posteri questo Friuli.



Molti di questi eroi sono ancora vivi, vecchie enciclopedie di una tradizione che dovrebbe essere trascritta. Per lo più sono contadini che si aggirano ancora per le campagne, ed è a loro che dovremmo dare un forte segnale di stima e ringraziamento, un attestato sul quale scriverei: per il loro forte attaccamento al Friuli, uomini silenziosi che hanno consentito di scrivere la storia di un popolo e di una terra senza storia. Sì, scriverei proprio così su quella pergamena e andrei volentieri a consegnarla personalmente, casa per casa, anche perché nessuno di questi eroi verrebbe a ritirarla, impegnati come sono a lavorare ancora nella vigna. Come doveva essere diverso lo scorrere del tempo per il mio quadrisavolo Domenico quando comprò questa casa e la terra... Altri tempi e quindi altri ritmi, ma chissà come doveva essere quel Friuli dell’inizio del secolo scorso... Domenico viveva, almeno penso, un po’ più tranquillamente di quanto riesca a fare io oggi, come del resto riusciva a vivere meglio anche mio padre che, ricordo, pur nel suo amore per la campagna, riusciva a guardare le cose con più distacco rispetto al coinvolgimento nel quale cado spesso io. Che strano, stamani mi ritorna alla mente un po’ tutta la storia della mia famiglia, sia quella vissuta personalmente, sia quella che mi è stata raccontata. Si vede che la pioggia ispira i miei ricordi. È così che si fa strada sempre più nel mio cuore il ricordo di mio padre Davino, di lui e della sua passione per i vini della zona. Ricordo che eravamo tra i pochi produttori che agli inizi degli anni ‘80 vinificavano il Tazzelenghe. A differenza di tutti gli altri, che rincorrevano i vitigni a bacca bianca, lui amava i vini rossi e in quelli si prodigava maggiormente. Era un uomo molto semplice; per me era, forse, più un amico che un padre. Era buono e si impegnava con passione nella campagna e nel vino costruendomi, con l’esempio, l’abitudine al sacrificio e alla continuità. Era prodigo di insegnamenti, ma rammento che con me si lamentava del lavoro del ristorante: non gli piaceva, anzi lo odiava. Del resto anche a me oggi, dopo una vita passata fra i tavoli, non mi piace più tanto; oggi, come lui, preferisco star fuori all’aria aperta, di là dalla siepe, in mezzo alle vigne. Avevamo un sogno in comune, che ci vedeva un giorno non più costretti a dover rincorrere gli acquirenti del nostro vino, ma oziosi ad attendere che ci fosse richiesto fino al punto di rimanerne completamente sprovvisti. Piano piano è stato così, ma a partire dal 1993, quando lui non c’era già più; così, al raggiungimento di questo importante obiettivo, non solo economico, ma di grande gratificazione personale, ho goduto anche per lui. Mi rigiro ancora nel letto, continua a piovere e stamani poi non ho fretta, quindi…

ALTRI VINI I Bianchi: Colli Orientali del Friuli Verduzzo Doc (Verduzzo 100%) Colli Orientali del Friuli Sauvignon Doc (Sauvignon 100%)


Tocai Friulano Colli Orientali del Friuli Tocai Friulano Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Tocai Friulano provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nel comune di Buttrio, che hanno un’età media di 34 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni marnosi e argillosi ad un’altitudine di 70 metri s.l.m. con esposizione a nord-est. UVE

IMPIEGATE:

Tocai Friulano 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot e cordone speronato DENSITÀ

DI IMPIANTO:

3000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene nei primi 20 giorni di settembre, le uve sono pressate e il mosto ottenuto viene lasciato decantare a una temperatura controllata di 14°C per circa 24 ore. Terminata questa fase di prima chiarificazione si inseriscono i lieviti selezionati e il vino è messo in barrique di rovere francese, per un 50% nuove e il resto di secondo passaggio, dove vi rimane per circa 8 mesi e dove effettua la fermentazione alcolica. In questo periodo, a seconda delle annate, in tutte le barrique vengono effettuati dei bâtonnage, così da movimentare le fecce nobili che sono utilizzate per guidare tecnicamente lo svolgimento della fermentazione malolattica che non sempre è fatta svolgere completamente. Nel mese di giugno dell’anno successivo, di solito, viene effettuato l’assemblaggio delle partite e, dopo un breve periodo di stabilizzazione in tini di acciaio e un leggero filtraggio, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento che si protrae per altri 3 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

3000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un colore giallo paglierino intenso, mentre al naso esprime profumi di mandorla tostata e di frutti maturi. Al gusto risulta pieno, rotondo, caldo, equilibrato, con una scarsa acidità, ma con una struttura importante ricca di glicerina. PRIMA LE

ANNATA:

1990

MIGLIORI ANNATE:

1994 - 1997 - 2000 - 2001 - 2002 - 2003

NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 2 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 2 e i 5 anni. L’AZIENDA: L’azienda agricola, di proprietà della famiglia Meroi dal 1920, si estende su una superficie complessiva di 30 Ha, di cui 11 vitati e 18 dedicati a colture cerealicole. Svolge le funzioni di agronomo e di enologo lo stesso Paolo Meroi.

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“Nonno, domani mi porti con te a parlare con le piante?” “Sì, ma ora dormi cucciolo. Se vuoi venire con me devi dormire. Domattina ci dobbiamo svegliare all’alba per andare in campagna, perché lo sai che le piante si alzano molto presto”. Mi giravo dall’altra parte e mi tuffavo nel cuscino mentre mio nonno Mario si piegava su di me per darmi il bacio della buona notte; poi, alzatosi dal mio letto, disegnava sulla mia testa il segno della croce che ripeteva in ogni angolo della stanza prima di uscire, spengere la luce e chiudere la porta. Ogni volta che ripenso a lui, mi si allarga il cuore. Credo che lui non fosse un uomo, ma un “Elfo”, una di quelle splendide creature che abitano le foreste che, per scelta o necessità, si era dovuto mischiare agli uomini per insegnare loro il rispetto per la terra e per le piante e, in particolare, per la vite con la quale lui aveva un esclusivo legame. Con passo morbido si lasciava scivolare lentamente in mezzo ai filari guardando accuratamente tutte le sue viti, che conosceva una ad una. Non appena si accorgeva che una di esse era un po’ più debole, con le foglie che non avevano il colore dovuto, si fermava e, piegandosi, le toccava in basso, levava qualche filo d’erba e sollevando la “criniera” di foglie le diceva: “Ti devo curare mia cara. Domani, anche se so che a te non piace, dovrò darti la medicina”. Erano splendidi il suo amore e la sua dedizione per quella campagna che lo teneva impegnato dall’alba al tramonto senza che mai si abbattesse, sempre con il sorriso e con una profonda serenità interiore. Il bello era che ogni suo gesto, anche quello all’apparenza più incomprensibile, sembrava avesse un senso in una

M MIANI

Enzo Pontoni

logica più spirituale che tecnica, nella quale si palesava un profondo rispetto per tutto quello che lo circondava, dando persino l’impressione di chiedere scusa a quella terra solo per il semplice fatto che la stesse calpestando. È lui che mi ha insegnato ad amare il mio lavoro di contadino, a guardare le nuvole, a saper interpretare i loro disegni e i loro movimenti. Lui mi ha fatto comprendere quale sia il sole che fa bene e quello che fa male, così come mi ha insegnato a leggere il vento e la pioggia. Mi ha insegnato a guardare le stelle e a comprendere la magnifica luna che, con i suoi cicli, detta il ritmo con il quale scorre la linfa vitale nelle piante, e i tempi per le potature e i travasi dei miei vini. I suoi sono stati insegnamenti che io applico ancora oggi, nella convinzione che quella natura, dalla quale io dipendo, debba essere rispettata. È così che il sabato e la domenica, quando tutti fanno festa, a me piace girovagare per le vigne e in quel silenzioso mare verde mi lascio abbracciare dalla natura, trovandomi sempre più spesso, come da bambino, a parlare con le piante. In quei silenzi assoluti mi tornano alla mente le sere d’estate nelle quali, fanciullo, mi sedevo per terra davanti alle panchine occupate dai vecchi del paese che, in cerchio, si mettevano a raccontare le storie incredibili dei tempi che furono. Affascinato, ascoltavo in silenzio. C’era chi narrava della “Grande Guerra”, delle sue apocalittiche distruzioni, delle proprie paure, dei morti, facendo una precisa mappatura dei fatti, indicando dettagliatamente nomi di famiglie note e luoghi a noi conosciuti; c’era chi invece raccontava dell’Africa, dell’Etiopia e dell’Eritrea e di quella sfortunata campagna con la quale Mussolini voleva avviare la rico-



struzione dell’impero romano. Quei paesi erano così lontani che facevo difficoltà a immaginarli e, tutt’oggi, stento a collocarli sul mappamondo. C’era chi, emigrante, era andato a fare mattoni in Austria e chi era stato a fare il contadino in Argentina, ma non piacendogli, appena aveva avuto la possibilità di ripartire, aveva preso il primo piroscafo ed era tornato a casa. Ricordo che rimanevo per ore ad ascoltare quelle “enciclopedie viventi”, a bocca aperta seguivo quei racconti con la stessa curiosità che avevo quando mi parlava mio nonno Mario o mio padre Nello e come fa mia figlia Silvia, quando si mette sulle mie ginocchia e in silenzio ascolta cosa ho da raccontarle. Ho cercato il più possibile di non mutare nulla e di lasciare che le cose proseguissero su quel tracciato che mi era stato indicato, ma scopro, ogni giorno che passa, che nonno Mario aveva un diverso approccio alla vita. Eppure se faccio un elenco delle azioni che compio, le nostre vite sembrerebbero simili: come lui mi alzo all’alba e torno a casa quando fa buio e come lui sono sereno e tranquillo con un pezzo di pane e un po’ di formaggio nella bisaccia; come lui parlo alle piante e mi sento un tutt’uno con la natura e i miei gesti sono uguali ai suoi. Pur avendo una maggiore estensione di terra, cerco di trasferire ad essa l’attenzione e il rispetto che lui mi ha insegnato e ogni suo gesto è stato da me codificato e trasferito nella mia quotidianità. Nonostante tutto mi accorgo però che fra il mio modo di vivere e il suo esiste una sostanziale differenza che va ricercata nel diverso modo che abbiamo di affrontare “il tempo”. Solo all’apparenza i ritmi sembrano identici, ma invece si differenziano nel concetto “del tempo che verrà”, che per me si concretizza nell’immediato o, tutt’al più, nel giorno successivo, mentre lui lo raffigurava nello scorrere lento delle stagioni. Non aveva importanza se fosse il tempo della trebbiatura o della vendemmia, il tempo del caldo o del freddo: per lui l’importante era riuscire ad arrivare sereno all’appuntamento con quel tempo, facendo le cose giuste, quelle utili che non sono rimandabili e che, una volta fatte, tranquillizzano la coscienza e mettono in armonia con il mondo. Mario, anno dopo anno, viveva la sua vita in maniera più pacata di quanto io viva la mia, sapendo e avendo la consapevolezza che non è possibile realizzare tutti i sogni, prima di morire. Vorrei anch’io riuscire a trovare quella sua pacatezza e armonia, ma per adesso non ci riesco e, spinto da una forte irrequietezza, tutti i giorni mi addentro nel mare delle vigne e, come un “pescatore di terra”, cerco di tendere i miei tramagli, fatti di passione e abnegazione per raccogliere con essi, il prima possibile, il frutto del mio lavoro.

ALTRI VINI I Bianchi: Colli Orientali del Friuli Ribolla Gialla Doc (Ribolla Gialla 100%) Colli Orientali del Friuli Sauvignon Doc (Sauvignon 100%)


Merlot

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Colli Orientali del Friuli Merlot Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Merlot provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nei comuni di Buttrio e Manzano, che hanno un’età media di 50 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni composti da marne e arenaria ad un’altitudine compresa tra i 100 e i 150 metri s.l.m. con esposizione a sud-ovest. UVE

IMPIEGATE:

Merlot 95%, Tazzelenghe 5%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

3000-4000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito nei primi quindici giorni di ottobre, si procede alla pressatura soffice delle uve e si avvia il mosto alla fermentazione alcolica che si protrae per 10-12 giorni, a temperatura ambiente, in tini troncoconici da 22 hl con frequenti follature, mentre, contemporaneamente, si procede anche alla macerazione sulle bucce che dura altri 7-8 giorni. Segue la svinatura e la torchiatura delle bucce con l’ausilio di torchi meccanici, poi il vino viene posto in barrique nuove di rovere francese dove effettua la fermentazione malolattica e dove vi rimane per 33 mesi subendo un solo travaso dopo 12 mesi. Trascorso questo periodo viene effettuato l’assemblaggio delle partite e, senza alcun filtraggio, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento di altri 4 mesi prima di essere messo in commercio. QUANTITÀ

PRODOTTA:

2000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Colore rosso rubino cupo impenetrabile con riflessi violacei; all’esame olfattivo presenta un complesso e variegato bouquet di frutti neri di sottobosco, liquirizia, pepe nero e nuances di caffè. Al gusto risulta affascinante, potente, pieno di carattere e di personalità; avvolgente, di grandissima struttura che si apre piano piano facendo riaffiorare in bocca gli aromi percepiti all’esame olfattivo; molto lungo e persistente al retrogusto. PRIMA LE

ANNATA:

1994

MIGLIORI ANNATE:

1994 - 1997 - 1999 - 2000 - 2001

NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 15 anni.


Tocai Friulano Colli Orientali del Friuli Tocai Friulano Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Tocai Friulano provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nei comuni di Buttrio e Manzano, che hanno un’età media di 50 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni composti da marne e arenaria ad un’altitudine compresa tra i 100 e i 150 metri s.l.m. con esposizione a sud-ovest.

ge in tini di acciaio alla temperatura controllata di 15°C per circa 18 ore. Una volta chiarificati i mosti, si inseriscono i lieviti selezionati nel vino e si dà avvio alla fermentazione alcolica che si svolge in barrique di rovere francese, per 1/3 nuove e il restante di secondo e terzo passaggio, dove vi rimane per 10 mesi, durante i quali si procede periodicamente ad alcuni bâtonnage, al fine di movimentare le fecce nobili che contribuiscono allo svolgimento della fermentazione malolattica che, a seconda delle annate, può anche essere fatta svolgere completamente. Nel mese di luglio dell’anno successivo alla vendemmia si procede all’assemblaggio delle partite e, dopo un breve periodo di stabilizzazione, il vino è messo in bottiglia per un ulteriore affinamento che dura altri 4 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

4000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un colore giallo paglierino con caldi riflessi dorati; al naso esprime sia profumi fruttati di mela, sia floreali di sambuco, con note di burro fuso e vaniglia. Al gusto risulta pieno, corposo, caldo, ben strutturato, elegante, morbido e lunghissimo in bocca. PRIMA LE

ANNATA:

1993

MIGLIORI ANNATE:

1998 - 2000 - 2002

NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 3 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 3 e i 7 anni.

UVE

IMPIEGATE:

Tocai Friulano 100%

L’AZIENDA: Di proprietà di Enzo Pontoni dal 1980, l’azienda agricola si estende su una superficie complessiva di 4 Ha, tutti vitati a cui si aggiungono 10 Ha in affitto. Svolge le funzioni di agronomo e di enologo lo stesso Enzo Pontoni.

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

3000-4000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene a metà settembre, si procede a una leggera pigiatura delle uve e mentre una parte del mosto, il 30% circa, è lasciato macerare con contatto pellicolare delle uve per 8 ore ad una temperatura di 10°C e poi pressato, l’altro mosto viene avviato immediatamente a una decantazione statica naturale, che si svol-

Buttrio



Non mi rimane difficile raccontarti la mia vita, anche perché è fatta di cose semplici che non hanno bisogno di tante parole per essere descritte, una storia che, in definitiva, si gioca intorno a due soli elementi: il lavoro e la passione. Spero che tu voglia scusarmi, ma, da friulano, non ho molta dimestichezza con la lingua italiana: mi rimane un po’ difficile trovare la terminologia giusta per arricchire il mio racconto e allora proverò, in ogni modo, a districarmi senza utilizzare quei sottili giochi linguistici in auge fra coloro che hanno studiato. No, ti racconterò di me come mi viene, usando il cuore, sperando che tu possa interpretare chi io sia. Prima di tutto sono da sempre un contadino e non ho memoria di quando io abbia iniziato a lavorare in mezzo alla campagna e fra i filari delle viti dell’azienda agricola di famiglia che, come molte altre, a quei tempi, si basava su un’attività promiscua con colture di mais, orzo e alberi da frutta. In special modo noi avevamo un pescheto e la vigna. Ricordo che avevo appena messo i calzoni corti che già mi guadagnavo da mangiare dando una mano a mio padre Giuseppe, prodigandomi dove serviva, ora nella stalla, ora nel vigneto, in quei cinque ettari appena sufficienti per il nostro sostentamento. Ho trascorso così la mia adolescenza trovando come amici più il lavoro che i giochi, più la miseria che l’abbondanza, ma, come si sa, alla fine degli anni ‘50 la vita non era facile, né per noi, né per gran parte del Friuli e, come ti accorgerai, questo sarà un ritornello che sentirai spesso andando per cantine. Sono state forse proprio quelle difficoltà che mi hanno forgiato e costruito come uomo, facendomi acquisire una sfrenata voglia di riuscire nelle cose e il deside-

P

PECORARI PIERPAOLO

Piepaolo Pecorari con la moglie Alba e il figlio Alessandro

rio di uscire da quelle ristrettezze in cui ero cresciuto, obiettivi che intendevo raggiungere con testarda cocciutaggine. Mio padre, invalido dalla nascita così come mia madre Maria, mi lasciava fare, voleva che sperimentassi sulla mia pelle le cose e, per questo, mi osservava, lasciandomi crescere, standomi accanto, senza mai spingermi né trattenermi, accondiscendendo alla mia volontà, nell’attesa che acquisissi esperienza e che crescesse il mio senso del dovere. Era una persona semplice che non mi ha lasciato grandi messaggi, ma dei bellissimi ricordi, fra i quali, quello di vederlo ogni mattino lavarsi, fino agli ultimi giorni della sua vita, alla fonte nel cortile di casa e non aveva importanza se fosse estate o inverno, se piovesse o nevicasse. La campagna era dura e fu così che decisi, non appena terminata la terza media, di entrare come operaio in una fabbrica di caramelle dove passai dalla paga settimanale di 2000 lire, che ricevevo lavorando in campagna, a quella di 180000 lire. Nonostante questo, il lavoro in fabbrica non mi piaceva. Non mi sentivo realizzato, ma non trovavo nemmeno il coraggio di lasciare quel posto. Quando tornavo a casa, spesso, mi ritrovavo con gli occhi lucidi a maledire il giorno in cui avevo varcato il cancello di quella fabbrica. Non vedevo l’ora che finisse il turno di lavoro per tornare a casa e, dopo otto ore di fabbrica, finalmente, dedicarmi alle mie vigne. Ho proseguito per quattro anni a timbrare il classico cartellino, poi un giorno ho detto basta. Avevo lavorato sodo in quel periodo, le uve che producevo mi venivano richieste e il vino che facevo era sempre più apprezzato. Forte di quel personale successo,



decisi di riprendere a pieno ritmo il lavoro della campagna e indirizzare decisamente la produzione dell’azienda alla viticoltura. Il resto è storia recente. Questi ultimi trent’anni sono passati velocemente; sono stati tre decenni nei quali ho piantato viti, comprato piccoli appezzamenti di terra, investito ogni risorsa a mia disposizione, arrivando dagli originari cinque ettari a trenta, tutti completamente vitati. Spesso, la sera, andavo nella vigna e rimanevo tutta la notte ad annaffiare le viti. In quelle serate mi sdraiavo per terra e guardavo il cielo sognando ad occhi aperti come sarebbe stata la prossima vendemmia, oppure pensavo a cosa avrei detto a quel contadino che mi voleva dare in affitto la sua vigna. Stanco, mi addormentavo al riparo delle mie vigne e dormivo quelle poche ore prima che sopraggiungesse l’alba o che qualche volpe mi svegliasse. Nel frattempo era nato mio figlio Alessandro e mia moglie Alba, pazientemente, aspettava che io tornassi al mattino per prepararmi un caffè e scambiare due parole. Che fortuna ho avuto a incontrarla! Ti confido, l’entusiasmo è come il primo giorno, anche se lei è stata forse un po’ sacrificata dalle mie scelte che hanno sempre anteposto la “mia” campagna ad altre cose di casa che a una donna fanno sempre piacere. Per dieci anni la nostra sala è rimasta vuota, senza tavolo e senza sedie e in quella stanza nostro figlio, nelle giornate invernali, giocava con la palla. Lei, indubbiamente, avrebbe voluto un luogo in casa, in alternativa alla cucina, dove ricevere quelle poche persone che ci venivano a trovare, ma io avevo da pensare alla vigna, alla terra e alla cantina: cosa avrei dovuto fare secondo te? In seguito abbiamo comprato le sedie e i mobili, ma, penso spesso, se li avessi comprati quando li desiderava lei, oggi non sarebbero già vecchi? Anche Alba rientra in quella schiera di “bellissime” e importanti donne friulane che hanno fatto dell’attesa e della pazienza la loro migliore virtù per tenere unita la famiglia. Io, del resto, so fare il vignaiolo e so farlo in una sola maniera: lavorando con passione a contatto di quella terra che fa parte della mia storia e che custodisce le mie radici, come quelle delle mie viti. Ora al mio fianco c’è mio figlio che sta tirando fuori la sua personalità, la sua vena artistica e sembra a suo agio fra queste vigne. Quando parliamo della nostra azienda sostiene che io, pur avendo una grande sensibilità per la vigna, ho delle conoscenze agronomiche legate più all’istinto che alla tecnica e in questo devo dargli ragione. - Ecco perché ti ho fatto studiare - gli dico - perché tu possa portare in casa la tecnica a supporto dell’istinto -. Quando comincia a parlare dei discorsi che riguardano il mercato e le strategie che lo interessano, taccio e mi rifugio nelle mie vigne dove riesco a dare il meglio di me stesso, dove, anche senza aver studiato come lui, intuisco l’andamento stagionale, capisco e reagisco in un istante, perché conosco le mie viti e so bene di che cosa hanno bisogno.

ALTRI VINI I Bianchi: Friuli Isonzo Sauvignon Doc Altis (Sauvignon 100%) Igt Chardonnay Venezia Giulia Soris (Chardonnay 100%)

I Rossi: Igt Venezia Giulia Panta Rei (Refosco dal Peduncolo Rosso 100%) Igt Merlot Venezia Giulia Baolar (Merlot 100%)


Pinot Grigio Olivers

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Igt Bianco Venezia Giulia ZONA DI PRODUZIONE: Il Pinot Grigio Olivers è una selezione delle migliori uve Pinot Grigio provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nel comune di Mossa, che hanno un’età media di 20 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su un altopiano ciottoloso-calcareo di origine alluvionale ad un’altitudine di 60 metri s.l.m. con esposizione a nord-sud. UVE

IMPIEGATE:

Pinot Grigio 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

5800 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito agli inizi di settembre, si procede a un débourbage del mosto alla temperatura controllata di 18°C per circa 24 ore. Terminata questa fase di prima chiarificazione, si inseriscono i lieviti selezionati e si dà avvio alla fermentazione alcolica che si protrae per 7 giorni alla temperatura di 18°C, in barrique di rovere francese di Allier e Tronçais; qui rimane per 12 mesi durante i quali, periodicamente, vengono effettuati dei bâtonnage al fine di movimentare le fecce nobili che sono utilizzate per guidare tecnicamente lo svolgimento della fermentazione malolattica che è fatta svolgere completamente. Prima della vendemmia successiva di solito viene effettuato l’assemblaggio delle partite e, dopo un breve periodo di stabilizzazione e un leggero filtraggio, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento di altri 12 mesi prima di essere commercializzato. QUANTITÀ

PRODOTTA:

4000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un colore giallo paglierino carico, con profumi fruttati e piacevoli note floreali con un bouquet di fieno e tostatura. Al gusto risulta morbido, elegante, fresco e sapido; equilibrato, di struttura, al retrogusto risulta lungo e persistente. PRIMA LE

ANNATA:

1992

MIGLIORI ANNATE:

1998 - 2000 - 2001 - 2002

NOTE: Il vino, che prende il nome dal vigneto omonimo, raggiunge la maturità dopo 2 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 2 e i 6 anni. L’AZIENDA: Di proprietà di Pierpaolo Pecorari dal 1974, l’azienda agricola si estende su una superficie complessiva di 30 Ha, tutti vitati. Collabora in azienda l’agronomo Andrea Pittana, mentre si occupa della parte enologica lo stesso Pierpaolo Pecorari.


Ero seduto al banco di scuola e in aula c’era un professore, di cui non ricordo il nome, che stava spiegando qualcosa, non so cosa, credo fossero equazioni matematiche per il calcolo della pressione. Doveva essere uno di quei corsi professionali post-diploma organizzati dallo stesso istituto nel quale mi ero diplomato; lo scopo era quello di studiare specifiche tecniche operative che negli anni scolastici avevamo affrontato solo superficialmente. Non sapendo ancora cosa fare da grande, coglievo quelle occasioni come buone opportunità per approfondire la mia grande passione per la meccanica e capire quale fosse l’indirizzo migliore per avviarmi al mondo del lavoro. Mi iscrissi a quel corso nella speranza, non tanto di acquisire nozioni tecniche che in qualche modo avrebbero potuto stravolgere la mia vita, ma piuttosto per avere idee più chiare sul mio futuro. Mentre quell’insegnante stava spiegando, ricordo che disegnavo con grande concentrazione su un pezzo di carta, completamente estraniato da quel contesto, e quelle parole mi sembravano l’eco fastidiosa di un televisore acceso in un’altra stanza. Su quel foglio disegnavo la bozza di un’etichetta di vino, la mia prima etichetta per il mio primo vino. La matita e i pennarelli passavano veloci fra le mie mani e quel disegno veniva delineandosi sempre più. Ricordo che, quando l’ebbi finito, rigirai fra le mie mani quel bozzetto per scoprirne i difetti, che mi sembrava non avesse, e i pregi, che apparivano tantissimi, perché era un’etichetta bella, elegante, originale e a me piaceva moltissimo. Quel disegno non ebbe solo il merito di farmi comprendere che nella vita avrei potuto sviluppare l’attività grafica, ma nella mia mente consolidò anche la convinzione che il futuro non era nella meccanica, ma nella campagna, e che il mestiere che stavo

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PETRUSSA

Gianni Petrussa

cercando, e che avrei voluto fare, era sicuramente quello del vignaiolo, all’aria aperta, in mezzo alle vigne e non quello del metalmeccanico, in qualche officina. Quel disegno aveva avuto un grande merito e un più ampio significato. Senza volerlo si era trasformato in un perfetto chiavistello, un piede di porco che aveva saputo aprire lo scrigno delle mie aspirazioni: era la chiave che mi rivelava quale fosse il mio futuro. Fu sicuramente quel giorno che compresi cosa volevo fare da grande. Fra gli elementi che influirono sulla mia decisione devo considerare come prioritario il senso di libertà che vivevo quando ero in mezzo alla campagna. La campagna mi aiutava ad essere libero e io non potevo farmi sfuggire quell’occasione, consapevole dei doveri e delle responsabilità che quella scelta di vita avrebbe comportato, ma anche delle opportunità e delle libertà che mi regalava. Ricordo che mio padre Celestino contrastò con ardore la mia scelta di lasciare qualsiasi altra velleità impiegatizia per dedicarmi alla vigna. La cosa lo sconvolse ancora di più quando anche mio fratello Paolo prese la stessa decisione: a mio padre tutto questo risultava incomprensibile. Aveva lavorato sodo, per anni, pur di garantirci una cultura e la possibilità di avere un posto sicuro in qualche fabbrica e non capiva come, a fronte del suo sacrificio, noi potessimo voler essere semplici contadini, piegati a tribolare come lui nella fatica alla mercé di stagioni mai uguali. Non lo convinceva neanche molto quella nostra decisione di voler trasformare l’azienda e indirizzarla esclusivamente verso la monocoltivazione della vite, anzi, a dire il vero, lo preoccupava molto, visto che lui si era garantito quel poco di guadagno prodigandosi all’interno di un’azienda che aveva trovato sostentamento attraverso molteplici colture e l’allevamento del bestiame.



A convincerlo furono il tempo, i risultati e la nostra cocciutaggine; così ci vedemmo consegnare l’azienda, liberi di fare quello che desideravamo. Non gli sembrava vero di poter lasciare tutto in mano ai figli per dedicarsi alla terra, alla campagna e alla vigna, senza dover pensare alla commercializzazione, ai budget, al marketing o alla comunicazione, cose che a lui risultavano incomprensibili. All’inizio non avevamo una rete commerciale, quindi mio fratello ed io decidemmo che era giunto il momento di uscire dalla nostra vallata e di allargare il numero dei pochi clienti abituali che avevamo, cercando di promuovere il nostro vino nel nord Italia. Comprammo una valigetta che poteva contenere sei bottiglie di vino e, a turno, dopo aver lavorato tutta la settimana, andavamo di persona nei ristoranti per far degustare i nostri vini. Fu un’esperienza difficile e quanto mai costruttiva che ci aiutò a comprendere quanto commercializzare il vino fosse più complicato e difficile che produrlo. Man mano che quei viaggi diventavano più frequenti acquisivamo sicurezza e convinzione di quanto fossero reali e concrete le nostre possibilità di successo. Quelle serate trascorse a far conoscere il nostro Schioppettino racchiudevano un complesso di emozioni: la gioia per gli apprezzamenti ricevuti e la felicità del ritorno a casa con dei cospicui ordini, ma anche le delusioni per il poco interesse suscitato dal nostro vino e la frustrazione per aver girovagato a vuoto. Quella prova contribuì anche ad aprirmi, a smussare almeno in parte quel carattere duro e riservato che contraddistingue noi friulani e a farmi aprire gradatamente agli altri. In quelle serate compresi che, se volevo riuscire, dovevo correre come quando ero giovane e facevo atletica, spingendo forte, senza arrendermi, perché non vi è niente di certo, né di scontato e perché tutto poteva essere raggiunto solo con il sacrificio e l’impegno. Oggi tutto è ancora in evoluzione, ma si incominciano a vedere i primi risultati o almeno la traccia di quel percorso che con mio fratello abbiamo cominciato a disegnare; quel percorso che vede da una parte la valorizzazione del nostro territorio, con l’ipotesi della costituzione del Consorzio dello Schioppettino che dovrebbe riunire più di trenta aziende, e dall’altra il buon risultato che stanno ottenendo i nostri vini in giro per il mondo. Io comunque, per non sbagliare, continuo a correre.

ALTRI VINI I Bianchi: Colli Orientali del Friuli Pinot Bianco Doc (Pinot Bianco 100%) Colli Orientali del Friuli Sauvignon Doc (Sauvignon 100%)

I Rossi: Colli Orientali del Friuli Schioppettino Doc (Schioppettino 100%)


Rosso Petrussa

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Colli Orientali del Friuli Rosso Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il Rosso Petrussa è una selezione delle migliori uve di Merlot provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nel comune di Prepotto, che hanno un’età compresa tra i 15 e i 50 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni composti da marne di origine eocenica ad un’altitudine di 100 metri s.l.m. con esposizione a est. UVE

IMPIEGATE:

Merlot 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

3600 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito nella prima settimana di ottobre, si avvia la fermentazione alcolica che si protrae per 8-10 giorni alla temperatura di 26-30°C in recipienti di acciaio inox; la fermentazione è coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, mentre, contemporaneamente, si procede alla macerazione sulle bucce che dura altri 10-12 giorni sempre a temperatura controllata. Terminata questa fase, il vino è posto in barrique di rovere francese dove sosta per 24 mesi e dove effettua la fermentazione malolattica. Dopo circa 28 mesi dalla vendemmia si procede all’assemblaggio delle partite e dopo un breve periodo di stabilizzazione il vino è imbottigliato, senza filtraggio, per un ulteriore affinamento che si protrae per altri 4 mesi prima della sua commercializzazione. QUANTITÀ

PRODOTTA:

4000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Di colore rosso rubino intenso, il vino si presenta all’esame olfattivo con sentori di frutta rossa ben integrati con note minerali e di vaniglia. Al palato è molto strutturato, con una componente tannica equilibrata, mentre al retrogusto è lungo e persistente ed esalta le forti percezioni avute al naso. PRIMA LE

ANNATA:

1990

MIGLIORI ANNATE:

2000 - 2001

NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 15 anni. L’AZIENDA: L’azienda agricola, di proprietà di Celestino, Gianni e Paolo Petrussa dal 1986, si estende su una superficie complessiva di 10 Ha, di cui 6 vitati a cui si devono aggiungere 3 Ha in affitto. Svolgono le funzioni di agronomo e di enologo Gianni e Paolo Petrussa.


Non c’era solo una grande differenza di età fra me e mio padre: c’erano anche discrepanze caratteriali forti, abissali, incolmabili, che toccavano molteplici aspetti della nostra convivenza, dai modi di interpretare le cose, alle metodologie utilizzate per risolverle, fino al decidere sul quando e sul come affrontarle. Le nostre discussioni erano forti, accese e scattavano non appena ci sedevamo intorno al tavolo, come se quel piatto di pasta che avevamo davanti contenesse essenze di rabbia e rancori mai chiariti. Ora che sono un po’ più maturo, ripensando a quegli infiammati diverbi, credo che una delle cause che ci allontanavano fosse il nostro carattere, troppo simile l’uno all’altro. Entrambi eravamo menti libere: da una parte lui, soprannominato e conosciuto in paese come il “Ribelle”, testardo come pochi altri uomini incontrati nella mia vita, dall’altra parte io che cercavo, avvicinandomi curiosamente a un confronto con il mondo e con la vita, di difendermi da quel suo carattere forte e arrogante per non dover soccombere e rinunciare a ciò che invece mi piaceva fare. Entrambi teste calde, come si usa dire, ma di quelle sane, di quelle lavoratrici, sempre aperte al dialogo e alla discussione, menti poco inclini ai compromessi e sempre desiderose di libertà. Quello che più ci ha differenziato e che ha creato dissapori e lunghi silenzi fra di noi, era il modo con il quale lui si rivolgeva a mia madre Jelka, la donna che ho amato più di tutte le altre, morendo anch’io quando è morta. Era lei l’anima della famiglia, quella che teneva in piedi tutti “gli angoli della casa”, la custode del focolare, il mio punto di riferimento, quella che nella sua vita ha rinunciato a tutto e ha lavorato come pochi altri in famiglia, indebitandosi come non mai da

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PICECH

Roberto Picech e Alessia Stiglich

mezzadro per potermi lasciare questa terra e questa casa comprata nel 1963. Non sopportavo proprio come la trattava. Ritenevo che quel suo modo arrogante e prepotente di rivolgerle la parola non fosse rispettoso nei confronti di chi si uccideva giornalmente di fatica per “mettere insieme il pranzo con la cena”. In certi momenti sentivo di odiarlo. Quando mia madre è morta mi sono accorto che anche la grande sicurezza di mio padre è venuta meno e, per la prima volta, ho percepito quanto anche lui si rendesse conto dell’importanza di quella donna e del vuoto che Jelka aveva lasciato nei nostri cuori. Lentamente, come una roccia spaccata dal ghiaccio e dall’acqua, il carattere forte e risoluto di mio padre incominciò a sgretolarsi davanti ai miei occhi. Credo di averlo accudito bene, anche con amore, fino all’ultimo giorno della sua vita prendendomi cura di lui, ormai malato e quasi completamente infermo, perdendomi spesso nei suoi languidi occhi di vecchio, perdonandogli di quando, ancora ragazzino, mi tolse da scuola per portarmi a lavorare con lui in campagna e dimenticando tutte quelle sue sparate da guascone che lo avevano fatto soprannominare Picèch “il ribelle”. Con la sua scomparsa se ne andava anche un personaggio di quella vecchia generazione di contadini vignaioli di Cormòns che, solo in sporadiche eccezioni, avevano dimostrato di accettare il nuovo che proprio allora stava avanzando, sia nel settore enologico della vinificazione, sia nella scienza agraria che portava le nuove tecniche di allevamento in vigna. Egidio non riusciva proprio ad accettare che per migliorare il vino si dovessero gettare a terra così tanti grappoli. Ogni anno, a giugno, scoppiava una guerra.



Lui del resto con l’uva aveva mantenuto la famiglia e onorato i debiti: qualsiasi spiegazione esulava dalla sua logica di vecchio contadino friulano. Quando sono rimasto solo ho cercato di proseguire con risolutezza nel progetto di ristrutturazione della cantina. Ho messo mano alle vigne, infittendo i sesti d’impianto; ho ricercato una maggiore qualità nella produzione, migliorando il più possibile tutte le fasi operative della mia filiera, ottimizzando le varie fasi di lavorazione e trasformazione. Alla soglia dei quarant’anni mi piacerebbe molto riuscire, in breve tempo, a dare la mia impronta a questa azienda. Vorrei trovare in essa la risoluzione alle mie aspirazioni, ma so che devo andare piano per non cadere in errore. Vorrei avere il coraggio di lanciarmi nel vortice degli investimenti, così da vedere concluso il progetto della cantina quanto prima e vorrei ricominciare a sognare, come mi succedeva in certe giornate di primavera quando mi fermavo a osservare il cielo terso, seduto sul mio trattore. Poco dopo però, appena mi accorgevo che i miei pensieri erano troppo distanti dalle zolle, ritornavo con i piedi per terra, non perché io avessi paura di volare, ma perché temevo che quello spirito “ribelle” che è dentro di me, una volta liberatosi avrebbe potuto condurmi lontano dai miei obiettivi e mi terrorizzava il fatto che avrei potuto svegliarmi una mattina realizzando che, oltre a quel sogno, non c’era niente. Non ha importanza se tutto questo vuol dire sentirsi addosso molte più responsabilità di quanto io avrei desiderato; non ha importanza se ci vorranno più anni del previsto per portare a termine i miei progetti: io so che voglio percorrere la mia strada con molta tranquillità. Credo che questa mia concretezza sia scaturita sia per la vicinanza di Alessia, la mia compagna, sia per il senso di responsabilità che ho verso le mie sorelle Lida e Bruna. Voglio che la mia azienda cresca e non importa se dovrà farlo a piccoli passi, l’importante è che il sogno di diventare un buon vignaiolo possa, forse, un giorno avverarsi.

ALTRI VINI I Bianchi: Collio Pinot Bianco Doc (Pinot Bianco 100%) Collio Tocai Friulano Doc (Tocai Friulano 100%)

I Rossi: Collio Rosso Doc (Cabernet Franc 60%, Cabernet Sauvignon 40%) Collio Rosso Doc Riserva (Merlot 70% Cabernet Sauvignon 30%)


Malvasia

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Collio Malvasia Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Malvasia Istriana provenienti dai vigneti dell’azienda, posti in località Pradis nel comune di Cormòns, che hanno un’età media di 20 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni costituiti da marne e arenarie (Ponka) ad un’altitudine di 70-80 metri s.l.m. con esposizione est-ovest. UVE

IMPIEGATE:

Malvasia Istriana 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

3500-6000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito negli ultimi 10 giorni di settembre, segue la diraspatura e il mosto è lasciato a contatto con le bucce per circa 12 ore a temperatura ambiente, dopo di che si procede alla pressatura con decantazione statica del vino per 12 ore alla temperatura di 1214°C. Si procede con un travaso, quindi con l’innesto dei lieviti selezionati si dà avvio alla fermentazione alcolica, che si protrae per 10-12 giorni alla temperatura controllata di 20°C in tini di cemento. Il vino successivamente viene lasciato affinare per 6 mesi sempre in vasca di cemento, mentre periodicamente vengono effettuati dei sur lies, avviati con sistemi meccanici, che movimentano le fecce nobili, utilizzate per migliorare l’affinamento e lo svolgimento della fermentazione malolattica. Di solito nel mese di maggio dell’anno successivo alla vendemmia, il vino, dopo un breve periodo di stabilizzazione, un travaso e un leggero filtraggio, è messo in bottiglia per un ulteriore affinamento che si protrae per altri 4 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

4000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Colore giallo paglierino con riflessi dorati. Al naso regala sentori di fiori gialli, pesca, cannella e vaniglia; in bocca è caldo, sapido, fine, denota carattere, raffinatezza e grande struttura e ripropone le sensazioni avvertite all’esame olfattivo con in più un leggero e piacevole retrogusto amarognolo. PRIMA LE

ANNATA:

1963

MIGLIORI ANNATE:

1997 - 1999 - 2002

NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 2 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 2 e i 4 anni.


Collio Bianco Jelka Collio Bianco Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è un blend delle migliori uve Ribolla Gialla, Tocai Friulano e Malvasia Istriana provenienti dai vigneti dell’azienda, posti in località Pradis nel comune di Cormòns, che hanno un’età media di 30 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni costituiti da marne e arenarie (Ponka) ad un’altitudine di 70 metri s.l.m. con esposizione est-ovest.

uso di lieviti selezionati, dopo di che viene pressata e posta in barrique di Allier di media tostatura, di primo e secondo passaggio dove rimane 6-7 mesi durante i quali, a seconda delle annate, svolge la fermentazione malolattica. La Malvasia Istriana e il Tocai Friulano, invece, vengono raccolte insieme e dopo la diraspatura vengono lasciate per 30 ore a macerare, con un contatto pellicolare, a temperatura libera. Terminata questa fase si procede quindi alla pressatura e, con l’innesto dei lieviti selezionati, si avvia il mosto ottenuto alla fermentazione alcolica la quale si protrae per 20 giorni ad una temperatura controllata compresa tra i 18 e i 20°C in barrique di rovere francese di Allier di media tostatura per il 70% nuove e per il 30% di secondo passaggio. Il vino successivamente viene lasciato affinare per 6-7 mesi, sempre in barrique, mentre periodicamente con dei bâtonnage si movimentano le fecce nobili che sono utilizzate per migliorare l’affinamento e svolgere la fermentazione malolattica. Di solito nel mese di maggio dell’anno successivo alla vendemmia avviene l’assemblaggio delle partite e il vino, dopo un breve periodo di stabilizzazione e un leggero filtraggio, è messo in bottiglia per un ulteriore affinamento che si protrae per altri 6-7 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

5000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Colore giallo dorato luminoso; profumi intensi caratterizzati da frutta tropicale, fiori bianchi e vaniglia. Al gusto è molto pieno, equilibrato, caldo e vellutato ed evidenzia tutta la sua morbidezza e la grande struttura; molto lungo e persistente al retrogusto con un intenso finale aromatico. PRIMA UVE IMPIEGATE: Ribolla Gialla 34%, Tocai Friulano 33%, Malvasia Istriana 33% SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

LE

ANNATA:

1995

MIGLIORI ANNATE:

1997 - 1999 - 2000 - 2002

NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 2-3 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 3 e i 6 anni.

4500-5500 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito negli ultimi 20 giorni di settembre, la Ribolla Gialla viene diraspata e macerata per 4 giorni senza controllo della temperatura, avviando in tal modo la fermentazione alcolica, senza

L’AZIENDA: Di proprietà della famiglia Picech dal 1963, l’azienda agricola si estende su una superficie complessiva di 7 Ha, di cui 5,5 di proprietà e 1,5 in affitto. Svolge l’attività di agronomo ed enologo Roberto Picech.



Prima era dura la vita di campagna. Avevamo la stalla, il fieno da tagliare, le viti da accudire, gli alberi da frutta e poi l’orto che doveva essere ben mantenuto come fonte inesauribile per la dispensa di casa. Avevo sei anni e ricordo che mio padre mi metteva alla guida del trattore, ero emozionato ed ero contento per quel gioco che mi faceva sentire grande, importante e utile. Poi, con gli anni, man mano che crescevo, cresceva con me anche la fatica che si faceva sentire ogni giorno. Sì, a quei tempi si lavorava come animali da soma e forse tutto quel faticare era anche troppo per un ragazzino come me. Si doveva fare tutto a mano: trattare le viti, vendemmiare, raccogliere il granturco, falciare il fieno, spalare il letame nei campi, mungere le mucche e tenere pulita la stalla. Ricordo che papà Ferdinando ogni tanto mi guardava e comprendendo quale fosse il mio sacrificio cercava di farmi sorridere con una battuta, con uno scherzo o con uno sfottò. Era sempre pronto a giocare con me e a insegnarmi le cose, a spiegarmi il perché avveniva quella specifica cosa o quando la stessa doveva iniziare o finire. Spesso, quando eravamo in vigna, mi portava a vedere dove avevano nidificato alcuni uccellini, oppure, tenendo nelle sue grandi mani ruvide e callose un coleottero e accarezzandolo con il suo ditone, mi descriveva l’importanza di quell’insetto. Ancora oggi non ha perso il suo sorriso e il suo allegro modo di lavorare e anche se il suo volto è segnato dal tempo e dalla vita che non gli hanno risparmiato né

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POLENCIC ALDO

Aldo Polencic

miseria, né sacrifici, né dolore, i suoi occhi sono ancora occhi buoni che si illuminano sempre davanti alla bellezza della natura e agli spettacoli che la stessa sa offrire. È stato lui che mi ha insegnato cosa sia il rispetto e quanto conti averne, quale valore assuma, agli occhi degli altri, il poterselo permettere. Al suo fianco ho scoperto che il rispetto non te lo regalano e neanche lo vendono al mercato; è un premio che devi saperti conquistare con il lavoro, con il sacrificio e con l’impegno che quotidianamente metti in ciò che fai giorno dopo giorno, durante tutto il corso della tua vita, stando sempre attento a non commettere errori o a non calpestare gli altri. Con il tempo ho scoperto che è più facile raggiungerlo se uno ha la fortuna di fare un lavoro che gli piace, dove trova gratificazione, autostima e una forte considerazione di se stesso, dove può esprimersi al meglio dando sfogo alla propria creatività. Così è stato per me che faccio il vignaiolo, il più bel lavoro del mondo. Mi diverto nel fare vino, perché il farlo mi infonde un grande senso di libertà al quale non potrei più rinunciare. Un’indipendenza spirituale che mi fa dimenticare le ore lavorative che sono costretto a trascorrere in vigna o in cantina e che mi fa porre in secondo piano l’aspetto economico di questa attività che ancora non sono riuscito a rendere remunerativa rispetto all’impegno che mi richiede. Lo faccio perché per fare il vino buono c’è bisogno di passione e io ne ho da vendere, lo faccio perché vivo all’aria aperta, perché giuoco lavorando, perché seguire il vigneto è come dover seguire un figlio e io amo i bambini, perché il vino deve essere corteggiato e rispettato come se fosse una donna e io amo le donne.



Non ha importanza se, per adesso, con il mestiere del vignaiolo riesco solo a condurre una dignitosa vita da contadino, quello che mi dà forza è il sogno che ho nel cassetto, un sogno importante che è quello di riuscire, un giorno, a fare il mio “grande” vino, quello che si fa ricordare, capace di dimostrare nel tempo la sua maturità e la sua grandezza; un vino in grado di evolversi, durare e stupire oltre ogni più roseo ottimismo. Il mio “grande” vino bianco, che per adesso è riposto nei miei sogni, dovrà essere unico, speciale, rappresentativo di questa zona del Collio e in special modo di questa vallata delle “Tre contrade” e dovrà essere bevuto solo dopo molti anni. Sono sicuro che un giorno arriverò a produrlo, anche se mi rendo conto che, per adesso, quel traguardo è ancora lontano, sia per l’impegno economico che necessiterebbe per far effettuare un ulteriore salto qualitativo all’intera filiera produttiva, sia per le difficoltà che oggi si incontrano a proporre vini “di prezzo” senza una adeguata e valida rete commerciale di sostegno. Continuo comunque, come sono stato abituato, a lavorare a testa bassa, immerso nei miei pensieri, cupo o sorridente a seconda degli stati d’animo che mi attraversano, qualche volta bestemmiando e pregando Dio; già da molto tempo, nelle poche volte che gli parlo, gli prometto un giorno di andarlo a trovare, un po’ più in là, forse, quando sarò più vecchio, adesso no, adesso non ho tempo e Lui lo sa: adesso devo pensare solo a fare il vino.

ALTRI VINI I Bianchi: Collio Pinot Grigio Doc (Pinot Grigio 100%) Collio Tocai Friulano Doc (Tocai Friulano 100%)


Pinot Bianco Ulivi

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Collio Pinot Bianco Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Pinot Bianco provenienti dai vigneti dell’azienda posti in località Plessiva e Novali nel comune di Cormòns, che hanno un’età media di 30 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni composti da marne e arenaria (“Ponka”) ad un’altitudine di 80 metri s.l.m. con esposizione a est-ovest. UVE

IMPIEGATE:

Pinot Bianco 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

6000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene in settembre, le uve sono pressate con una pressa a piatti e il mosto ottenuto viene inserito dentro ad una vasca in cemento per una decantazione statica che avviene alla temperatura controllata di 8°C per circa 48 ore. Terminata questa fase di prima chiarificazione, si inseriscono i lieviti selezionati e il vino è messo in tonneau di rovere francese dove effettua la fermentazione alcolica e dove rimane per circa 10 mesi. In questo periodo, a seconda delle annate vengono effettuati dei bâtonnage, così da movimentare le fecce nobili che sono utilizzate per guidare tecnicamente lo svolgimento della fermentazione malolattica che è sempre svolta completamente. Nel mese di agosto dell’anno successivo, di solito, viene effettuato l’assemblaggio delle partite e, dopo un breve periodo di stabilizzazione e un leggero filtraggio, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento che si protrae per altri 8 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

2000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un colore giallo paglierino con caldi riflessi dorati; al naso esprime sia profumi fruttati, di frutta matura, sia floreali, con note leggere di vaniglia. Al gusto risulta pieno, corposo, caldo, ben strutturato, elegante, morbido e lungo in bocca. PRIMA LE

ANNATA:

1970

MIGLIORI ANNATE:

1994 - 1996 - 1997 - 1999

NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 2 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 2 e i 5 anni. L’AZIENDA: L’azienda agricola, di proprietà della famiglia Polencic dal 1880, si estende su una superficie complessiva di 11 Ha, di cui 6 vitati. Svolge le funzioni di agronomo e di enologo lo stesso Aldo Polencic.




Nascere in una famiglia contadina ha il suo peso, incide profondamente sulla mentalità e sulla cultura che uno acquisisce negli anni. Ci sono esperienze, piccoli e significativi gesti che osservi compiere da altri e che, non appena ti è data l’opportunità, provi a imitare e pur non comprendendone il significato ne assimili lo spirito che poi ti accompagnerà per tutta la vita. Nel frattempo scopri di crescere con altri ritmi, con un altro calendario, quello delle stagioni e con le responsabilità che esse si trascinano dietro vivendo una quotidianità sempre a contatto con la terra e con il duro lavoro che essa richiede. È in questo ambiente che diventi grande, scoprendoti, ogni giorno che passa, sempre più uomo, attento a tutto quello che ti circonda, curioso osservatore del tuo mondo e acuto interprete di ogni gesto che scandisce la tua giornata. Così succede che negli anni riaffiorano sempre alla tua mente i particolari che hanno scandito la tua adolescenza e la tua gioventù: da quelle mani grosse, callose e ruvide che hai sentito tutte le volte che tuo padre Isidoro ti diceva - saluta - e che stringi ancora, ai lavori che ti insegnava a fare in cantina durante la vinificazione o al trattore che ti lasciava guidare durante la vendemmia. Gli anni passano e continui a portarti dentro i profumi della tua campagna e i colori della valle delle “tre contrade”, odori e sensazioni che ormai ti appartengono e sai già che condizioneranno le tue scelte scolastiche. Col passare del tempo scopri piacevolmente che in quella sana e genuina aggregazione familiare, dove stai crescendo, ognuno ha un suo ruolo ben definito, indipendente ma fortemente correlato a ciò che svolge l’altro, e anche per te ce n’è già uno che aspetta solo che arri-

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POLENCIC ISIDORO

Elisabetta e Michele Polencic

vi il tuo tempo. Chi nelle vigne, chi in cantina e chi in cucina, ognuno ha il suo importante ruolo nella scacchiera familiare. Man mano che passa il tempo cominci a comprendere le responsabilità che investono tuo padre, capisci come mai difenda quel pezzo di terra che tuo nonno ha comprato vendendo una mucca o come mai chieda a se stesso e agli altri, sempre, un qualcosa in più. Ogni giorno che passa assapori il valore della famiglia e sai che essa ti chiederà di pagare il conto attraverso il duro lavoro e una grande abnegazione al sacrificio, forse l’unica arma in tuo possesso, per riuscire a consegnare integra alle generazioni future quella terra che altri Polencic hanno provveduto a trasferirti. Quando cresci in una famiglia che, da oltre quattrocento anni, è radicata su questa terra, subisci incondizionatamente un forte plagio e ti accorgi che tutto ha contribuito a creare un distinguo fra te e i tuoi coetanei. Senza volerlo, incominci ad apprezzare quel ruolo che altri hanno ritagliato per te e scopri di sentirlo tuo, quel lavoro di vignaiolo, che avresti voluto vivere, forse, in un modo un po’ più morbido rispetto alla dedizione completa con la quale ci si è dedicato tuo padre. Forse avresti avuto voglia di finire l’università e farti una bella esperienza in altre cantine o anche in aziende all’estero, invece un giorno sei chiamato dalla vita a dover rispondere a necessità impellenti, catapultato in prima fila, ancor prima di quanto tu pensassi. Quel giorno ti scopri molto diverso, più maturo, anche un po’ più di quanto tu pensassi. In un attimo percepisci fino in fondo quanto la quotidiana convivenza



a fianco di tuo padre è stata utile per infonderti le sicurezze che oggi scopri di possedere. Ti tornano alla mente quei gesti abitudinari che ripetevi insieme con lui e scopri che ti servono assolutamente, così come ti servono la conoscenza della stagionalità del tuo territorio o il sapere se quelle nuvole porteranno la pioggia o no. Scopri che tutto quanto è nella tua memoria, che tu fai già parte della tradizione e dell’esperienza orale che un giorno tramanderai. Nei silenzi che accompagnano le responsabilità rammenti quelle lunghe chiacchierate con Isidoro, quando ti spiegava minuziosamente il perché delle cose, il motivo per il quale una vite soffriva rispetto a quella che le era vicina, o quale poteva essere l’andamento del raccolto sulla base delle sue innumerevoli vendemmie. In quei momenti ti rendi conto che niente è stato casuale; quella gestualità che avevi acquisito in passato ritorna e si accompagna con la conoscenza. Tutto ti serve, anche il ricordo dei silenzi, ricchi di grande significato, passati in cantina, accanto a tuo padre, ad assaggiare i vini o a travasarli. Scopri un sacco di cose guardandoti dentro, ma soprattutto scopri che, senza farsene accorgere, tuo padre è riuscito a farti diventare grande ed è riuscito a trasferirti la sua esperienza. Con il passare del tempo ti senti sempre più un altro Polencic, votato alla viticoltura come tanti altri prima di te. Isidoro per fortuna ti è sempre accanto e sai che con lui potrai continuare quello che prima hanno già avviato altri Polencic.

ALTRI VINI I Bianchi: Collio Pinot Grigio Doc (Pinot Grigio 100%) Collio Pinot Bianco Doc (Pinot Bianco 100%) Collio Sauvignon Doc (Sauvignon 100%) Igt Venezia Giulia Oblin Blanc (Chardonnay 60%, Sauvignon 30%, Ribolla Gialla 10%)


Tocai Friulano

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Collio Tocai Friulano Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Tocai Friulano provenienti dai vigneti dell’azienda, posti in località Plessiva e Novali, nel comune di Cormòns, che hanno un’età media di 25 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni composti da marne e arenaria ad un’altitudine di circa 70 metri s.l.m. con esposizione a sud. UVE

IMPIEGATE:

Tocai Friulano 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot e doppio capovolto DENSITÀ

DI IMPIANTO:

5000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene dal 15 al 20 settembre, si procede a una macerazione a freddo delle uve per circa 12 ore, alla quale segue la pressatura e una decantazione statica del mosto che dura 8 ore a circa 12°C. Terminata questa fase di prima chiarificazione, si inseriscono i lieviti selezionati e si dà avvio alla fermentazione alcolica che si protrae dai 15 ai 18 giorni ad una temperatura compresa fra i 19 e i 21°C, in recipienti di acciaio inox termocondizionati. Il vino è successivamente posto per un 30% in botti di rovere di Slavonia da 16-20 hl, mentre il resto è lasciato nei recipienti di acciaio. In questa fase, con dei bâtonnage giornalieri, nelle botti si procede a movimentare le fecce nobili che sono utilizzate per guidare tecnicamente lo svolgimento della fermentazione malolattica che, a seconda degli anni, può anche non essere lasciata svolgere completamente. Di solito nel mese di aprile viene effettuato l’assemblaggio delle partite e, dopo un breve periodo di stabilizzazione e un leggero filtraggio, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento di altri 2 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

15000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un colore giallo paglierino con riflessi verdognoli, mentre al naso esprime profumi di mandorla amara e fruttati. Al gusto risulta pieno, rotondo, con una scarsa acidità e una struttura importante ricca di glicerina. PRIMA LE

ANNATA:

1966

MIGLIORI ANNATE:

1994 - 1996 - 1999 - 2000 - 2003

NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 1 anno dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra 1 e 4 anni. L’AZIENDA: L’azienda agricola, di proprietà della famiglia Polencic da altre 150 anni, si estende su una superficie complessiva di 32 Ha, di cui 23 vitati. Il restante territorio vede la presenza di boschi. Svolge le funzioni di agronomo e di enologo Michele Polencic.


Ci alzavamo quando era ancora buio e tornavamo a casa che era già notte. Era quella la vita che i contadini friulani facevano nei primi anni ‘50, dura come poche altre, e che non può neanche essere messa minimamente a confronto con quella odierna: un’esperienza che, vissuta da adolescente, ti segna e ti fa comprendere fino in fondo quanto sia importante quello che tu hai oggi. C’erano le mucche - ne avevamo dieci -, c’erano il granturco e il foraggio da raccogliere; c’erano i vigneti da accudire e poi la vendemmia; c’erano gli alberi da frutta e le verdure nell’orto e c’era da stare dietro alla cantina o andare a vendere quello che producevamo. Durante la giornata dovevamo fare di tutto e non aveva importanza la tua età o quanto tu fossi robusto e forte o se ti sentivi stanco perché avevi fatto a piedi quei quattro chilometri che dividevano la casa dalla scuola: l’importante era che tu fornissi il tuo contributo giornaliero all’economia familiare. Mia madre Bernardina, donna forte e stoica, come sanno esserlo solo le donne friulane, tutte le mattine, in estate e in inverno, si caricava pazientemente sulla sua bicicletta un quintale di frutta e verdura. Il suo era un rito preciso che doveva tener conto dei pesi e degli equilibri del carico che non doveva intralciarla in quel viaggio che l’avrebbe condotta alle prime luci dell’alba verso il mercato ortofrutticolo di Gorizia, posto a più di venti chilometri di distanza da casa, dove avrebbe potuto vendere quelle primizie dell’orto cui aveva dedicato molte ore della sua giornata. Quando tornava, in tarda mattinata, questa volta carica delle cose utili e strettamente necessarie al fabbisogno della casa, riponeva i soldi che le erano avanzati dentro un fazzoletto i cui lembi erano ripiegati accuratamente su se stessi, più

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PRINCIC DORO

Alessandro Princic e il figlio Carlo

volte, al fine di non rischiare di perdere quel prezioso risparmio; poi nascondeva il fazzoletto in un posto che solo lei conosceva. Quei soldi non dovevano essere mai utilizzati, servivano solo per comprare la terra con la quale consolidare sempre più le radici dei Princic sul territorio del Collio. Mio padre Doro, quando arrivò qui nel Collio nel 1939 proveniente dalle campagne vicino Plessiva, non aveva nulla con sé e, imparando sulla propria pelle cosa significava fare l’operaio agricolo sotto padrone e con quale pane era pagato, s’impegnò da subito per modificare quel suo stato al fine di riuscire a divenire, il prima possibile, almeno un contadino. A Plessiva, in Slovenia, aveva lasciato sua madre Luigia e la sua vecchia casa posta proprio sulla linea che, dopo la Seconda Guerra Mondiale, avrebbe delimitato i confini. Quando, infatti, nel 1947 arrivarono gli Inglesi a mettere i picchetti per delimitare i territori dei due stati - Italia e Slovenia - mia nonna Luigia si ritrovò quella striscia rossa davanti alla porta di casa. Spesso raccontava che passò una notte insonne a pregare per trovare la forza di abbandonare o rimanere fra quelle quattro mura. In Italia aveva i suoi figli, aveva un fratello, non ancora tornato dalla prigionia in America, e tutti i suoi affetti più cari erano sul territorio italiano: non sapeva cosa doveva fare. Fu così che, per miracolo, il mattino successivo quel confine si trovava a passare non più davanti a casa di nonna Luigia, ma dietro e, sempre per miracolo, oggi quella costruzione si trova in Italia e non in Slovenia come il resto delle nostre proprietà. Personaggio splendido quella mia nonna e del resto mio padre non poteva essere da meno.



Si sa che in ogni comunità agricola che si rispetti c’è un personaggio carismatico cui gli incerti fanno riferimento per avere consigli e opinioni: quel personaggio è stato, per tantissimi anni, mio padre. Morto a 92 anni, per tutte le sue oltre ottanta vendemmie è stato per molti un punto di riferimento importante nella viticoltura di questo lembo di Friuli. Sarà stato per la sua lungimiranza imprenditoriale, che lo vide fra i primi a imbottigliare direttamente e in proprio la sua propria produzione enologica, sarà stato per il contributo fornito alla costituzione del Consorzio del Collio o per la qualità dei prodotti vitivinicoli che, fin da quei lontani anni ‘70, hanno contraddistinto l’azienda di famiglia, ma mio padre Doro era, per tutti, un faro da seguire, un vero e proprio punto di riferimento. Attestati o riconoscimenti avuti in passato non hanno minimamente scalfito quell’immagine di contadino e di uomo semplice che ha voluto dare di sé durante la sua vita. Lui mi ha insegnato l’onestà, il rispetto delle persone e delle cose e soprattutto mi ha insegnato a sorridere alla vita che va presa con allegria, accontentandosi di quello che ognuno ha. Oggi ho una buona produzione con la quale potrei fare dei numeri, ma la cosa non mi interessa, così come non mi interessa fare soldi. Potrei produrre 150000 bottiglie e venderle tutte, ma dovrei impegnarmi in una commercializzazione stressante e quanto mai logorante. Io invece non mi muovo; sto talmente bene fra le mie vigne e in campagna che, se non è proprio indispensabile, rinuncio ad andare anche in paese, qui a Cormòns. Chi vuole il mio vino sa come fare. Ci sono molti modi per volare in alto: c’è chi sceglie l’aereo, chi il pensiero, chi l’amore, io, invece, per farlo ho scelto il mestiere del vignaiolo che mi mette in uno stato di grazia e di serenità che non baratterei con nient’altro al mondo. Il mio è il più bel mestiere del mondo, è uno di quei lavori che non si fa: si vive. E io ho deciso di viverlo in modo leggero, senza troppe complessità, possibilmente sorridendo.

ALTRI VINI I Bianchi: Collio Malvasia Doc (Malvasia 100%) Collio Pinot Grigio Doc (Pinot Grigio 100%) Collio Tocai Friulano Doc “Crôs Altis” (Tocai Friulano 100%)


Pinot Bianco

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Collio Pinot Bianco Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è realizzato attraverso una selezione delle migliori uve Pinot Bianco e Chardonnay provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nel comune di Cormòns, che hanno un’età media di 30 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni marnosi e argillosi ad un’altitudine di 100 metri s.l.m. con esposizione a sud-est. UVE

IMPIEGATE:

Pinot Bianco 80%, Chardonnay 20%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

5000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito fra il 10 e il 20 settembre, e una soffice pressatura, si procede alla decantazione statica del mosto, ad una temperatura controllata di 10°C per circa 24 ore. Terminata questa fase di prima chiarificazione, si inseriscono i lieviti selezionati e si dà avvio alla fermentazione alcolica che si protrae per circa 15-18 giorni alla temperatura controllata di 18-20°C in tini di acciaio inox termocondizionati. Quindi il vino viene lasciato maturare per circa 6 mesi; durante questo periodo viene fatta svolgere tecnicamente la fermentazione malolattica. Alla conclusione del processo di vinificazione il vino è messo in bottiglia per un ulteriore affinamento di altri 3 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

14000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un colore giallo paglierino, mentre al naso esprime profumi intensi e complessi, sia fruttati che floreali, con note di pane appena sfornato e di mandorle. Al gusto risulta fine, delicato, con una grande morbidezza e una buona struttura. PRIMA LE

ANNATA:

1960

MIGLIORI ANNATE:

1997 - 1999 - 2001 - 2003

NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 1-2 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 2 e i 4 anni. L’AZIENDA: L’azienda agricola, di proprietà della famiglia Princic dal 1939, si estende su una superficie complessiva di 17 Ha, di cui 12 vitati. Il restante territorio vede la presenza di boschi e seminativi. Svolge le funzioni di agronomo e di enologo lo stesso Alessandro Princic.


Potrei suddividere la mia storia di vignaiolo in momenti distinti e precisi che sarebbero in grado di tracciare un percorso ben definito che, quasi sicuramente, ricalcherebbe quello vissuto da altri vignaioli di questa piccola comunità di produttori che fa capo al comune di Cormòns. C’è stato un tempo in cui seguivo le orme di mio padre Mario che, da buon friulano, ha continuato per quasi tutta la sua vita a fare, in vigna e in cantina, quello che altri gli avevano insegnato: da una parte una buona produzione, orientata più alla quantità che alla qualità, e, dall’altra, una vinificazione che teneva conto di semplici ed elementari canoni, dettati più dall’esperienza che dalla tecnica. A quei tempi il vino si vendeva sfuso ed era consumato localmente, si imbottigliava solo su ordinazione ai pochi clienti che ne facevano esplicita richiesta. Del resto era quello che in definitiva facevano un po’ tutti, qui, negli anni ‘70 e ‘80. Ancora giovane ero attento a qualsiasi cosa stuzzicasse la mia voglia di fare e ricordo che, all’inizio di quei primi anni ‘80, nell’aria si sentiva un odore piacevole di cambiamenti e di novità; si percepiva che stava per avvenire una trasformazione nel mondo del vino. Intanto cominciavano ad arrivare i primi risultati del forte impegno che aveva profuso, negli anni precedenti, il Consorzio dei Vini del Collio nel farsi conoscere al mondo, spinto non solo dai grandi produttori, ma anche da alcuni piccoli vignaioli, mentre tutto intorno aveva ripreso a marciare a pieno regime, dopo la débâcle degli anni precedenti, l’intero movimento vitivinicolo nazionale. Mi

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RACCARO

Dario Raccaro e la moglie Dalila

trovai a dover decidere fra un passato che mi infondeva sicurezze e un futuro affascinante, ma che racchiudeva in sé delle incognite, con in mezzo, del resto, un presente e una quotidianità alla quale dovevo rispondere. Fu nel 1984 che decisi di cambiare e in questa mia scelta contribuì molto il supporto morale che seppe darmi mia moglie Dalila. Ricordo che, al momento della vendemmia, acquistai una pressa usata da Alessandro Princic, cambiai le vasche in resina con dei tini di acciaio inox, comprai un impianto di refrigerazione e, quando fu il momento, chiamai il Centro Enologico Mobile per farmi imbottigliare il vino che avevo prodotto in quella vendemmia di venti anni fa. Non fui il solo a cambiare strada. Quasi simultaneamente partirono altre aziende, ma in coincidenza di questo fermento enologico, che sembrava coinvolgere tutto e tutti, si assisteva ad un altro e forse più importante avvenimento che vedeva coinvolta la leadership delle imprese del territorio: un massiccio e importante cambio generazionale coinvolse decine di aziende della zona alla guida delle quali si ritrovarono, nel corso di qualche anno, giovani vogliosi di fare e di misurarsi. Evento questo che avrebbe innescato, di lì a poco, processi di maggiore coesione fra gli stessi produttori, un processo, questo, che è ancora in fase di definizione. Furono i primi anni Novanta che videro il fiorire di piccole e medie imprese vitivinicole, aziende che seppero farsi strada in un mercato che sembrava divorare



qualsiasi novità. È l’entusiasmo di quegli anni che ci ha portati alla consapevolezza delle nostre reali possibilità, innescando la metamorfosi che, piano piano, ha saputo trasformare il lento e vecchio bruco della viticoltura friulana in una splendida farfalla dai toni accesi, a cui tutti oggi, curiosamente, guardano. Questo fervore coinvolse un po’ tutti e di questo fu testimonianza la nascita dell’Enoteca di Cormòns, sorta nel settembre del 1990 per volontà dei produttori, in collaborazione con il Comune che mise a disposizione lo stabile al fine di promuovere il territorio attraverso il vino. Ricordo che all’inizio trovammo delle difficoltà a far quadrare il cerchio di quella struttura che vedeva coinvolte più di trenta cantine, ma oggi siamo fieri di quello che abbiamo fatto, perché sappiamo che è una realtà importante, non solo per noi, ma anche per il Comune e per la piccola comunità di Cormòns, che richiama migliaia di persone ogni anno con eventi e manifestazioni culturali intorno al mondo del vino; forse l’unica enoteca pubblica gestita dagli stessi produttori del territorio che funzioni veramente, un esempio che ha già innescato, a quanto mi è dato sentire, meccanismi di emulazione da parte di altri comuni friulani e nazionali. Per me l’enoteca è una bellissima esperienza che mi consente scambi culturali, tecnici, professionali e di reciproca collaborazione e anche l’attivazione di una profonda, sincera e reciproca stima con altri produttori che, in molti casi, si è trasformata in vera amicizia. Ormai è un piacevole rito trovarsi in enoteca ogni giorno con alcuni di questi amici e con loro prendere un caffè, fare due chiacchiere per poi tornare ognuno ai rispettivi impegni. Un confronto e un’amicizia che travalica gli interessi intorno al mondo del vino, che ci fa sentire interpreti partecipi di questa comunità paesana, che ci unisce attraverso un’esperienza lavorativa distante dai nostri campi e dalle nostre vigne, che, in ogni caso, sa creare energia e forza intorno a quello che facciamo ed è forse questo il motivo per il quale Cormòns sta sempre più diventando un punto di riferimento importante del turismo enogastronomico del Friuli.

ALTRI VINI I Bianchi: Collio Bianco Doc (Sauvignon 35%, Pinot Grigio 35%, Tocai Friulano 30%) Collio Tocai Friulano Doc (Tocai Friulano 100%)

I Rossi: Collio Merlot Doc (Merlot 100%)


Malvasia

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Collio Malvasia Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Malvasia Istriana provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nel comune di Cormòns, che hanno un’età media di 25 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni costituiti da marne e arenarie ad un’altitudine di 200 metri s.l.m. con esposizione a sud-est. UVE

IMPIEGATE:

Malvasia Istriana 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

4000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito nella prima metà di settembre, e una soffice pressatura, segue una decantazione statica del mosto che si protrae a 14-15°C per 12 ore, al termine della quale, e subito dopo il primo travaso, sono inseriti i lieviti selezionati e viene dato avvio alla fermentazione alcolica che dura per circa 14 giorni ad una temperatura controllata compresa tra i 18 e i 20°C in tini di acciaio inox termocondizionati, dove il vino è lasciato maturare per circa 4 mesi. Durante questo periodo vengono effettuati dei sur lies con sistemi meccanici, al fine di movimentare le fecce nobili utilizzate per guidare tecnicamente la fermentazione malolattica che è fatta svolgere completamente. Alla conclusione del processo di vinificazione il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento di 2 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

3000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: All’esame visivo il vino si presenta di un colore giallo paglierino con riflessi verdolini, mentre al naso è intenso, fruttato, con note speziate di pepe che lo contraddistinguono. In bocca è sapido e aromatico risultando decisamente equilibrato, con un’ottima struttura e una lunga persistenza al retrogusto. PRIMA

ANNATA:

1969

LE MIGLIORI ANNATE: 1969 - 1971 - 1990 - 1994 - 1997 - 1999 - 2000 - 2002 - 2003 NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 2 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 2 e i 4 anni. L’AZIENDA: Di proprietà della famiglia Raccaro dal 1928, l’azienda agricola si estende su una superficie complessiva di 5 Ha, tutti vitati. Svolge la funzione di agronomo ed enologo Maurizio Michelini.


Io vivo la tradizione nell’accezione più nobile del termine, avendo la fortuna di lavorare, con funzioni amministrative e di enologo, per il prestigioso Sovrano Militare Ordine di Malta, le cui origini sono da far risalire addirittura all’anno 1099, in un’azienda che da secoli, guidata con intelligenza e lungimiranza, rappresenta l’icona della difesa e della valorizzazione del Picolit, il più importante e famoso vitigno autoctono friulano. Quando fui chiamato a sostituire l’enologo Mario Zuliani, mio amico e compagno di studi, non avevo ancora ben chiara l’importanza del ruolo internazionale che ricopriva il mio futuro “datore di lavoro”, sicuramente il più importante Ordine benefico d’Europa che, come funzione istituzionale, si prefigge l’assistenza ai malati e ai poveri del mondo, né sapevo in che modo mi sarei potuto raffrontare con un’istituzione così ampia e complessa come quella dei Cavalieri di Malta. Scoprii così che quest’azienda aveva una propria autonomia e che la stessa rispondeva alla Direzione generale delle aziende agrarie di proprietà dell’Ordine che ne contava 15 in tutta Italia, sparse tra il Veneto, il Lazio, la Puglia, la Campania e la Sicilia, il Friuli e l’Umbria; ma soltanto due imbottigliavano e commercializzavano il vino: Rocca Bernarda e il Castello di Magione vicino a Perugia. Devo ammettere che l’entusiasmo per l’incarico e il fitto programma di sviluppo avviato da parte della Direzione generale, riguardante sia gli impianti, sia la cantina, mi entusiasmava e mi impegnava moltissimo, ma non mi toglieva la sensazione che avevo, nell’aggirarmi fra le mura di questo castello, di essere entrato

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ROCCA BERNARDA

Paolo Dolce

nella storia del Friuli dalla porta principale. La “Rocca” rappresenta uno di quei pochi monumenti che contribuiscono a tracciare un percorso ben delineato della storia del territorio friulano, dove invece si è fatto di tutto per cancellare ogni traccia del passato, anche del più recente passato prossimo. Qui, dopo il terremoto del 1976, tutti hanno pensato bene di dare un valido e sostanzioso contributo alla cancellazione della memoria storica di questa terra, adoperandosi, con ogni mezzo, a far scomparire ogni traccia di quella schietta ruralità contadina che aveva contraddistinto il territorio e che ci appartiene, forse l’unica cosa che sarebbe stata in grado di collegare le generazioni future alle loro origini. In pochi anni si è assistito ad uno scempio, praticato ovunque: tutto è stato rivisto e proiettato in chiave moderna, impersonale, arrivando a costruire o a ristrutturare ogni cosa con cemento e ferro, assistendo così al sorgere di case o villette anonime, tutte uguali, che hanno sostituito le architetture dei vecchi casolari di campagna, contribuendo piano piano a cambiare l’aspetto generale dei paesi e della campagna. È stata esemplare la cecità con la quale i friulani hanno voluto dare un colpo di spugna al loro passato, voltando pagina brutalmente, arrivando a bruciare i mobili vecchi o gettando al macero qualsiasi attrezzo, strumento o manufatto che potesse in qualche modo riportare alla mente quel passato che, pur ricordando a molti il sapore della miseria e degli stenti, doveva essere invece salvato e protetto. Ecco perché quando ogni mattina vengo a lavorare ho il piacere di tuffarmi nella



storia e nel fare questo piacevole “bagno” mattutino ringrazio tutti coloro che, con intelligenza e lungimiranza, si sono prodigati nel mantenimento di una così bella struttura. Il lavoro, gli impegni e le responsabilità che ho nella conduzione di un’azienda di oltre 200 ettari contribuiscono in qualche modo a distogliermi da ciò che mi circonda, ma basta che mi fermi un attimo a osservare le cantine, la sobrietà delle stanze, i vecchi caminetti e gli antichi mobili, ed ecco che il pensiero ripercorre ogni singolo tassello della storia di Rocca Bernarda che, ricordo, mi precipitai a studiare, prima di entrare a lavorare qui, appassionandomi ad essa come un fanciullo che si appassiona a un vecchio atlante storico. Una storia che parte dai Conti Valvason-Maniago che nel 1567 costruirono la “Rocca” come residenza privata e che prosegue poi con il passaggio della stessa ai Maraschi, avvenuto nel tardo Settecento, e vede poi finire la struttura nelle mani dei Perusini ai quali si deve la riscoperta e la valorizzazione del Picolit, il vitigno al quale Giacomo Perusini dedicò nel 1906 un trattato che fu la prima pubblicazione scientifica, dopo almeno centocinquanta anni di assoluto silenzio, su questo vitigno. Era l’importanza di questa grande storia vitivinicola che mi affascinava come enologo ed era ancor di più il lavoro di ricerca, avviato da Giacomo Perusini e proseguito da suo figlio Gaetano su quel piccolo e misterioso vitigno, che mi stimolavano. L’idea era quella di provare a ricostruire intorno ad esso quell’attenzione che fino ad un secolo fa rendeva il Picolit uno dei vini più importanti che soddisfacevano i nobili palati delle più importanti corti europee. Storia e impegno, supporto alla memoria e al mantenimento dell’esistente, insieme a sviluppo e sostegno sociale, un mix importante di cui percepisco il peso; responsabilità che accetto volentieri nella speranza che tutto questo possa contribuire a farmi crescere, magari aiutandomi a comprendere quale sia realmente il mio ruolo e come io possa riuscire a mantenere il più a lungo possibile questa freschezza, questa ingenuità, questa visione intellettuale da giovane che oggi mi contraddistingue e che non vorrei perdere.

ALTRI VINI I Bianchi: Colli Orientali del Friuli Chardonnay Doc (Chardonnay 100%) Colli Orientali del Friuli Sauvignon Doc (Sauvignon 100%) Colli Orientali del Friuli Pinot Grigio Doc (Pinot Grigio 100%) Colli Orientali del Friuli Ribolla Gialla Doc (Ribolla Gialla 100%) Colli Orientali del Friuli Tocai Friulano Doc (Tocai Friulano 100%) Colli Orientali del Friuli Bianco Doc Vineis (Tocai Friulano 80%, Chardonnay 10%, Sauvignon 10%)


Picolit

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Colli Orientali del Friuli Picolit Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Picolit provenienti dai vigneti dell’azienda, posti in località Ipplis nel comune di Premariacco, che hanno un’età media di 31 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni composti da marne e arenarie di origine eocenica, ad un’altitudine di 150 s.l.m. con esposizione a sud / sud-est. UVE

IMPIEGATE:

Picolit 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

5600 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene manualmente verso gli ultimi giorni di ottobre, l’uva viene messa ad appassire per circa 24 giorni su graticci in locali ventilati fino a quando la concentrazione zuccherina non raggiunge il livello desiderato. In questo periodo le uve sono sottoposte più volte a una selezione manuale per togliere eventuali acini ammuffiti o guasti. Dopo la pressatura, il 50% del vino viene posto in caratelli e l’altro 50% in recipienti di acciaio inox dove effettua la fermentazione alcolica che termina spontaneamente con i primi freddi invernali lasciando così un residuo zuccherino piuttosto elevato (oltre 100g/l). Al termine di questa fermentazione anche il vino che era stato posto in acciaio viene messo in barrique nuove di rovere francese di Allier, dove vi rimane a maturare per 15 mesi durante i quali, periodicamente, vengono effettuati dei bâtonnage, al fine di movimentare le fecce nobili. Trascorso questo periodo, il vino è assemblato e lasciato riposare per qualche settimana prima di essere messo in bottiglia per un ulteriore affinamento che si protrae per altri 8 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

2800 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un colore giallo dorato lucido e brillante, con profumi inebrianti di albicocche, fichi maturi e miele d’acacia. In bocca si apre a percezioni piacevolissime e oltre a risultare dolce, ma mai stucchevole, presenta sentori di miele che ritornano insieme alla frutta matura e a scorze di agrumi canditi. Caldo, avvolgente, con un retrogusto che ricalca le percezioni olfattive; di grande struttura e persistenza. PRIMA LE

ANNATA:

1903

MIGLIORI ANNATE:

1997 - 1998 - 1999 - 2001

NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 4 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 4 e i 10 anni.


Centis Colli Orientali del Friuli Merlot Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il Centis è una selezione delle migliori uve Merlot provenienti dai vigneti dell’azienda, posti in località Ipplis nel comune di Premariacco, che hanno un’età media di 17 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni composti da marne e arenarie di origine eocenica, ad un’altitudine di 130 s.l.m. con esposizione a sud.

mente si prosegue la macerazione sulle bucce che, coadiuvata da continue tecniche di délestage e follatura, dura per altri 14 giorni a temperatura controllata. Terminata questa fase, il vino è travasato in barrique di rovere francese di Allier di primo e di secondo passaggio, dove effettua la fermentazione malolattica e dove rimane per 15 mesi, al termine dei quali si procede all’assemblaggio delle partite e dopo un breve periodo di stabilizzazione è messo in bottiglia per un ulteriore affinamento che dura altri 8 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

7700 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un colore rosso rubino intenso, con profumi complessi e piacevoli che ricordano la marasca e i piccoli frutti di bosco per poi aprirsi a lievi sentori di caffè e cioccolato fondente. Al gusto risulta pieno, caldo ed evidenzia tannini eleganti; di grande struttura, complesso, cremoso ed equilibrato, è lungo e persistente ed esalta al retrogusto le percezioni avute al naso. PRIMA LE

ANNATA:

1987

MIGLIORI ANNATE:

1999 - 2000 - 2001

NOTE: Il vino, che prende il nome da un toponimo del territorio, raggiunge la maturità dopo 5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 10 anni.

UVE

IMPIEGATE:

Merlot 100%

L’AZIENDA: Di proprietà del Sovrano Militare Ordine di Malta dal 1977, l’azienda agricola si estende su una superficie complessiva di 200 Ha, di cui 51 vitati e 149 occupati da seminativi e boschi. Collaborano in azienda l’agronomo Giorgio Braida e gli enologi Paolo Dolce e Marco Monchiero.

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

5600 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene manualmente nell’ultima decade di settembre e nella prima decade di ottobre, si procede a una soffice pigiadiraspatura, poi si avvia la fermentazione alcolica che si protrae per circa 10 giorni ad una temperatura compresa fra i 25 e i 30°C in recipienti di acciaio inox termocondizionati, mentre contemporanea-

Ipplis di Premariacco



Ho sempre cercato di mantenere un rapporto diretto ed epidermico con la mia terra e con tutto ciò che la caratterizza; e non lo dico per raffigurarmi in un modo più folcloristico: io, davvero, sono cresciuto in mezzo alle zolle, sotto il cielo di questo Friuli, in mezzo all’odore della campagna, che mi è talmente entrato dentro da non saperne fare a meno neanche per una giornata. Io vivo della terra, la sento dentro, ormai è parte integrante del mio modo di essere e di pensare e il mio rapporto con la campagna è talmente forte e diretto che spesso mi domando come farei senza questa immensa fonte dalla quale traggo passione e determinazione. Credo che molto dipenda da ciò che mi è stato trasmesso, dalla famiglia dove sono cresciuto e nella quale rappresento la sesta generazione che si alterna alla guida di quest’azienda, continuando a fare ciò che ci hanno insegnato e che ci riesce meglio fare: il contadino. Che cosa vuol dire fare il contadino in Friuli? Ah… come sarebbe bello saper scrivere un libro su quest’argomento, avere le giuste cadenze letterarie per poter raccontare le emozioni e i colori che caratterizzano il pensiero di un contadino! Per me fare il contadino vuol dire essere me stesso, vuol dire aver piantato 50 piante di cachi in mezzo alla vigna e attendere da anni una nevicata anticipata per vedere le sfumature cromatiche delle viti spoglie con l’arancio dei frutti stagliarsi sul bianco della neve; essere contadino per me vuol dire conoscere ogni metro quadrato della propria terra; il contadino è quello che si piega e annusa il profumo che la terra emana e, in base all’odore, sa dove piantare le viti, il grano o il mais; il contadino è colui che si alza al mattino presto e torna a casa la sera al calare

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RODARO

Paolo Rodaro con la moglie Nadia e la figlia Giulia

della luce, gratificato dal proprio lavoro; è quello che sa sopravvivere con ciò che gli concede il suo stesso saper fare, interpretando gli insegnamenti avuti, ma adattandoli al tempo che muta; è quello che non prega, ma che parla con il cielo, che annusa il vento del mare; è quello che, paziente, abbassa il capo e mesto si rassegna, ma che trova le energie per non arrendersi mai, che risparmia centesimo su centesimo per comprare altra terra sulla quale chinarsi, ma non per il gusto di una puerile speculazione, ma per il piacere di poterla toccare senza mai riuscire a stancarsene. Non so cosa significhi per gli altri, ma per me fare il contadino è tutto questo: è vivere. In questa zona avevamo tre famiglie nobili che, un tempo, erano proprietarie di paesi interi e di tante e tante terre. Queste erano famiglie che avevano coloni, mezzadri, moderni servi della gleba, che fornivano uva, grano e mais. Quando è stato necessario darsi da fare e il mercato richiedeva risposte più immediate, noi contadini abbiamo fatto un salto di mentalità comprendendo che potevamo toglierci di dosso la polvere della miseria e acquisire il giusto rispetto per il nostro lavoro. Sì, credo proprio che la svolta sia avvenuta in concomitanza dell’esaltazione di quelle nobili incompetenze, sulle cui ceneri abbiamo incominciato a diventare ciò che siamo. Quando è toccato il mio turno, io non ho abbandonato la strada maestra e quei saggi insegnamenti che i vecchi, come mio padre Luigi e mio zio Edo, continuano ancora oggi ad elargirmi di continuo.



Come loro, ancora oggi penso che ad ogni ramo dell’agricoltura debba essere riconosciuta pari dignità e il risultato, ottenuto con l’impegno e il sacrifico di un contadino, merita rispetto e considerazione ed è per questo che continuo ad avere terre per le vigne e terre per il grano, per la frutta e per il mais o il fieno. So che il mondo dell’agricoltura è bello tutto intero, a 360 gradi, e non ha importanza se il mio vino arriva ad alte quotazioni: per me ha la solita importanza del mio grano, del mio fieno o del mais. Non c’è un’agricoltura di serie B e un’altra aristocratica, di serie A; i vecchi mi insegnano che quando gli aristocratici si sono messi a fare i contadini hanno sempre rovinato tutto, come del resto ora stanno rovinando il mondo del vino tutti gli speculatori o i nuovi “vignaioli” che ti guardano dall’alto in basso perché sei un contadino. Mio padre mi dice sempre che quella è gente che non “mangia” la terra, che non ha le unghie sporche, che non ama i profumi del fieno appena tagliato o l’odore delle ginestre in fiore: per loro, le zolle sono solo centesimi da contare e da sfruttare fin quando è possibile, poi con le stesse, se sarà possibile, si potranno fare altre cose o vendere. Chi è come me sa che “fare il contadino” non vuol dire questo. Vuol dire cercare emozioni e felicità, quiete e serenità, anche in quei momenti in cui il pianto per la morte di un figlio ti si strozza in gola e avresti voglia solo di abbandonare tutto e rivedere il tuo rapporto con la vita e con Dio. È in quella natura che si mitiga il peso della morte di un figlio che ha terminato di soffrire; è fra quei prati che ti riappropri del tuo equilibrio e cerchi di riscoprire il piacere di continuare a prendere la vita di petto come del resto hai sempre fatto ed è ancora fra quelle viti che cerchi di non far spengere quel barlume di speranza e ottimismo che ti ha sempre caratterizzato, scoprendoti ancora una persona contenta di quello che è e di quello che ha. Del resto ti ho già spiegato un sacco di cose e non credo che sia necessario che io mi dilunghi ancora...

ALTRI VINI I Bianchi: Colli Orientali del Friuli Tocai Friulano Doc (Tocai Friulano 100%) Colli Orientali del Friuli Sauvignon Doc (Sauvignon 100%) Colli Orientali del Friuli Riesling Doc (Riesling Renano 100%)

I Rossi: Refosco dal Peduncolo Rosso Doc Romain (Refosco dal Peduncolo Rosso 100%)

Colli Orientali del Friuli Verduzzo Friulano Doc Prà Zenar (Verduzzo Friulano 100%)


Romain Merlot

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Colli Orientali del Friuli Merlot Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Merlot provenienti dai vigneti dell’azienda, posti in località Spessa nel comune di Cividale del Friuli, che hanno un’età media di 20 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano in una zona collinare su terreni di argilla calcarea ad un’altitudine compresa tra i 130 e i 180 s.l.m. con esposizione a sud-est / sud-ovest. UVE

IMPIEGATE:

Merlot 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

5200 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito nella prima decade di ottobre, le uve raccolte sono lasciate sovrammaturare in piccole cassette di legno da 1,5 kg per 4-5 settimane. Si procede poi alla pigiatura, avviando il mosto alla fermentazione alcolica che si protrae per 10 giorni alla temperatura di 27°C in recipienti di acciaio inox e contemporaneamente si procede anche alla macerazione sulle bucce che dura 10 giorni con l’ausilio di frequenti follature. Terminata questa fase, il vino viene posto in botti di legno da 25 hl dove effettua la fermentazione malolattica e dove rimane per circa 12 mesi al termine dei quali è trasferito in barrique di rovere francese di secondo passaggio, per una permanenza di altri 9 mesi. Al termine della lunga maturazione viene effettuato l’assemblaggio delle varie partite e il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento di 5 mesi prima di essere messo in commercio. QUANTITÀ

PRODOTTA:

4500 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un bel colore rosso rubino cupo con riflessi violacei e con profumi complessi che offrono, man mano che si apre, sentori di frutti neri di sottobosco, per arrivare a piacevoli sensazioni di tabacco, cacao e caffè. In bocca è caldo, morbido, avvolgente, evidenziando tannini vellutati e rotondi. Di carattere deciso, il vino risulta in bocca lungo e molto persistente al retrogusto. PRIMA LE

ANNATA:

1999

MIGLIORI ANNATE:

2000 - 2001

NOTE: Il vino, che prende il nome dalla zona di produzione denominata “Bosco Romagno”, che in friulano prende il diminutivo di Romain, raggiunge la maturità dopo 4-5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 10 anni.


Picolit Colli Orientali del Friuli Picolit Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Picolit provenienti dai vigneti dell’azienda, posti in località Spessa nel comune di Cividale del Friuli, che hanno un’età media di 20 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni calcareo-marnosi di origine eocenica ad un’altitudine compresa tra i 130 e i 180 s.l.m. con esposizione a est-ovest.

circa 3 settimane il vino è posto in barrique nuove di rovere francese di Allier dove termina la fermentazione, che di solito prosegue fino alla primavera successiva alla vendemmia e che è fatta svolgere ad una temperatura compresa tra i 18 e i 20°C; qui il vino rimane per 12 mesi durante i quali si procede periodicamente a dei bâtonnage. Terminata questa lunga fase di maturazione, il vino è nuovamente posto in tini di acciaio per una leggera stabilizzazione prima di essere imbottigliato e subire un ulteriore periodo di affinamento di altri 4 mesi prima di essere messo in commercio. QUANTITÀ

PRODOTTA:

3800 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un colore giallo dorato con riflessi ambrati, mentre al profumo si percepiscono sentori di albicocca e pesca noce, viola, scorza d’arancia e miele. Al palato risulta avvolgente, intenso, caldo, lungo e molto persistente. PRIMA LE

ANNATA:

1994

MIGLIORI ANNATE:

1998 - 1999 - 2001 - 2003

NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 3 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 3 e gli 8 anni. L’AZIENDA: Di proprietà della famiglia Rodaro dal 1846, l’azienda agricola si estende su una superficie complessiva di 108 Ha, di cui 45 vitati e 63 destinati a prati, boschi e seminativi. Svolge le funzioni di enologo e di agronomo Paolo Rodaro.

UVE

IMPIEGATE:

Picolit 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Cappuccina DENSITÀ

DI IMPIANTO:

5200 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito nell’ultima decade di settembre, le uve vengono lasciate appassire in un ambiente termocondizionato fino alla prima decade di dicembre, quando vengono pressate e il mosto ottenuto viene messo in tini di acciaio in ambienti riscaldati in modo da permettere l’avvio della fermentazione alcolica. Dopo

Spessa di Cividale



Sono solo 42 anni che stiamo insieme ed entrambi, se potessimo, ricominceremmo da domani a rifare tutto quello che abbiamo fatto in questo lungo periodo, ripartendo anche dagli errori, ripercorrendo, passo dopo passo, l’itinerario che ci ha condotto fino ad oggi. Momenti magici, momenti tristi, in ogni caso sempre e soltanto momenti che ci appartengono profondamente e che non abbiamo mai desiderato condividere con nessuno, dove passione, amore e intelletto si sono amalgamati in un connubio perfetto che ci ha unito e dato forza. Guardando il passato possiamo assicurare che il nostro è stato un itinerario ponderato e voluto, scelto nel corso di lunghe nottate insonni passate fumando una sigaretta dietro l’altra, cercando di immaginare come sarebbe stata quella strada che ci avrebbe condotto a Cialla. Come spiriti liberi abbiamo voluto sempre decidere in modo autonomo il nostro destino e, forti della nostra unione, abbiamo puntato su un futuro diverso da quello che ci veniva garantito trent’anni fa dalla nostra concessionaria Olivetti. Nessuno ci obbligava a percorrere quella strada, ma ci entusiasmava l’idea di non essere più legati agli orari d’ufficio, al budget e agli obiettivi, con in più l’ipotetica libertà di trovarci senza “padrone”. Scelta discussa e perseguita con una testardaggine che, certe volte, ha sfiorato l’integralismo e la chiusura quasi totale nei confronti di chi avrebbe potuto mettere a rischio il nostro obiettivo, quello di costruire Ronchi di Cialla. Qui ci sono la terra, la vigna, il lavoro della campagna, il contatto epidermico con la natura, qui ci sono i nostri sogni, le nostre serate passate a osservare e a “toc-

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RONCHI DI CIALLA

Paolo Rapuzzi con la moglie Dina e il figlio Pierpaolo

care” le stelle, qui si sono materializzate le nostre insicurezze nei confronti di un futuro che appariva incerto, e le nostre certezze di un futuro migliore. Qui sono nati i nostri figli, Pierpaolo e Ivan, ai quali abbiamo voluto dare la possibilità di crescere a contatto con un ambiente unico, trasferendo loro, per quanto ci è stato possibile, le passioni che ci avevano spinto a lasciare tutto per rifugiarci fin quassù, in questa piccola gola su questi colli sloveno-friulani. Quando arrivammo qua, Cialla era un’ipotesi e un’opportunità presente solo nella nostra mente, era il nostro sogno, mentre per gli altri era una località sconosciuta, insignificante e anonima, alle spalle di Prepotto. Ricordo che non fummo accettati dalla comunità contadina che ci battezzò subito come i siors, i signori, quelli che, per stravaganza o per pazzia, avevano deciso di lasciare la città e trasferirsi in una campagna dalla quale tutti fuggivano. Alcuni vicini, addirittura, vennero a deriderci quando incominciammo a piantare le viti. Le metodologie che stavamo utilizzando nella messa in opera degli impianti vitati non era, del resto, quella che abitualmente era utilizzata qui, così come non si era mai visto piantare tante viti così fitte come stavamo piantando noi. La scelta di puntare sui vitigni autoctoni come il Refosco e lo Schioppettino, quasi completamente scomparsi nella viticoltura friulana, ci fece piovere addosso critiche ancora più feroci.



Ci commuovemmo quando uno di questi denigratori, molti anni dopo, osservando come stavamo accudendo le nostre viti, venne a proporci l’acquisto del suo vigneto. Amorevolmente, come solo un vignaiolo friulano sa fare, aveva accudito per tutta la sua vita quelle viti, ma, giunto alla soglia dei suoi ottantacinque anni, si rendeva conto che le sue forze diminuivano sempre più e, non volendo che andasse in mano ai suoi figli, che lo avevano abbandonato per andare a fare uno l’infermiere e l’altro l’operaio a Udine e che avrebbero distrutto il suo lavoro, ci concedeva volentieri l’opportunità di acquistare quel suo tesoro. Ne è passato di tempo e ora Cialla esiste, è una splendida realtà nel panorama vitivinicolo nazionale. In trent’anni le abbiamo dato notorietà, l’abbiamo fatta conoscere nel mondo e abbiamo operato per l’interesse comune di far diventare l’intera area la più importante sottozona della DOC dei Colli Orientali. Questa scelta di vita ci ha ripagato e ci ha messo nelle condizioni di realizzare il nostro sogno e di avere oggi la soddisfazione di vedere i nostri figli impegnati quanto noi in questa azienda. È la strada che volevamo percorrere e che, in modo anche un po’ anarchico, stiamo ancora percorrendo; una strada che, se ce ne fosse data l’opportunità, non potremmo fare a meno di ripercorrere per intero. È qui che ci siamo sentiti al centro del mondo, è qui che abbiamo vissuto il nostro illuminismo, sempre a contatto con una terra che non ci ha mai traditi. Terra forte, unica, che continuamente lancia segnali evidenti della sua potenza; terra che si ritrova sotto le unghie delle mani di chi la lavora o sul volto nero della Madonna di Castelmonte che gli slavi e i contadini della zona pregano nel Santuario della montagna. È a questa terra che ci sentiamo legati, entrambi convinti che sia il collante che ci ha tenuto uniti e che ci consente, stringendoci le mani, di condividere il detto friulano che dice: Un zôc di besôl no fâs fuc. Un legno da solo non brucia e noi bruciamo insieme ancora dopo 42 anni.

ALTRI VINI I Bianchi: Colli Orientali del Friuli Verduzzo Friulano Doc (Verduzzo Friulano 100%) Colli Orientali del Friuli Ciallabianco Doc (Ribolla Gialla 60%, Verduzzo Friulano 30%, Picolit 10%)

I Rossi: Colli Orientali del Friuli Ciallarosso Doc (Refosco dal Peduncolo Rosso 50%, Schioppettino 50%)


Schioppettino di Cialla

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Colli Orientali del Friuli Rosso Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Schioppettino provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nella sottozona Cialla del comune di Prepotto che hanno un’età media di 35 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni marnosi ad un’altitudine compresa tra i 150 e i 250 metri s.l.m. con esposizione a sud / sud-est. UVE

IMPIEGATE:

Schioppettino 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

5000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito nel mese di ottobre, si procede alla pressatura soffice delle uve e si avvia il mosto alla fermentazione alcolica che si protrae per 10-12 giorni ad una temperatura, libera, compresa fra i 30 e i 36°C in recipienti di acciaio inox, con frequenti délestage e follature; contemporaneamente si procede anche alla macerazione sulle bucce che dura altri 12-15 giorni. Terminata questa fase, il vino viene posto in barrique di rovere francese di primo e secondo passaggio, dove effettua la fermentazione malolattica e rimane per 12 mesi. Trascorso questo periodo viene effettuato l’assemblaggio delle partite e il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento di altri 18 mesi prima di essere messo in commercio. QUANTITÀ

PRODOTTA:

5000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Dal colore rosso rubino brillante, all’esame olfattivo presenta un elegante bouquet di frutti neri di sottobosco, pepe nero e nuances speziate. Al gusto è elegante, pieno di carattere e di personalità; strutturato, lungo e persistente al retrogusto. PRIMA LE

ANNATA:

1977

MIGLIORI ANNATE:

1981 - 1989 - 1990 - 1996 - 1999 - 2001

NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 4-5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 15 anni.


Refosco dal Peduncolo Rosso di Cialla Colli Orientali del Friuli Rosso Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Refosco provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nella sottozona Cialla del comune di Prepotto, che hanno un’età media di 30 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni marnosi ad un’altitudine compresa tra i 150 e i 250 metri s.l.m. con esposizione a sud / sud-est.

alla macerazione sulle bucce che dura altri 15 giorni. Terminata questa fase, il vino viene posto in barrique di rovere francese di primo e secondo passaggio, dove effettua la fermentazione malolattica e dove matura per almeno altri 12 mesi. Trascorso questo periodo viene effettuato l’assemblaggio delle partite e il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento di altri 18 mesi prima di essere messo in commercio. QUANTITÀ

PRODOTTA:

10000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Dal colore rosso granato intenso con riflessi violacei, al naso offre profumi complessi di frutti neri di sottobosco, spezie e liquirizia. Al gusto evidenzia tannini decisi, ma non ruvidi; schietto, presenta un carattere deciso che lo contraddistingue; di grande struttura, lunghezza e persistenza. PRIMA

ANNATA:

1977

LE MIGLIORI ANNATE: 1981 - 1989 - 1990 - 1996 - 1999 - 2001 NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 15 anni.

UVE

IMPIEGATE:

Refosco dal Peduncolo Rosso 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

5000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito a partire dal 15 ottobre, si procede alla pressatura soffice delle uve e si avvia il mosto alla fermentazione alcolica che si protrae per 10 giorni ad una temperatura compresa fra i 30 e i 36°C in recipienti di acciaio inox; con frequenti délestage e follature, mentre, contemporaneamente, si procede anche

Cialla di Prepotto


Picolit di Cialla

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Colli Orientali del Friuli Bianco Dolce Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il Picolit di Cialla è una selezione delle migliori uve Picolit provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nella sottozona Cialla del comune di Prepotto, che hanno un’età media di 30 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni marnosi ad un’altitudine compresa tra i 200 e i 350 metri s.l.m. con esposizione a sud / sud-ovest.

inox, per una leggera chiarifica, per circa 24 ore alla temperatura compresa tra i 20 e i 23°C. Non appena partita la fermentazione, il vino è posto in barrique di rovere francese di Allier e Tronçais di primo e secondo passaggio dove vi rimane per 12 mesi. Terminata questa fase, viene effettuato l’assemblaggio delle partite, sia del vino vinificato fresco, sia di quello che era stato appassito, e dopo un breve periodo di stabilizzazione avviene l’imbottigliamento per un ulteriore affinamento di altri 12 mesi prima della commercializzazione. QUANTITÀ

PRODOTTA:

2300 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un colore giallo oro brillante; all’esame olfattivo offre profumi intensi e netti di miele, albicocca e fiori di acacia. Al palato risulta grandioso, avvolgente, intenso, caldo, lungo e persistente. PRIMA

ANNATA:

1977

LE MIGLIORI ANNATE: 1981 - 1986 - 1990 - 1995 - 1999 - 2000 - 2001 NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 15 anni. L’AZIENDA: Di proprietà della famiglia Rapuzzi dal 1970, l’azienda agricola si estende su una superficie complessiva di 30 Ha, di cui 20 vitati e i restanti occupati da prati e boschi. Collaborano in azienda gli agronomi Pierpaolo Sirk e Ivan Rapuzzi e l’enologo Pierpaolo Rapuzzi con la consulenza di Roberto Cipresso.

UVE

IMPIEGATE:

Picolit di Cialla 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

5000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito a partire dal 25 settembre, il 50% dell’uva viene vinificato immediatamente, mentre il restante 50% viene messo ad appassire naturalmente in cassette in ambienti aerati fino ai primi di dicembre, dopo di che si procede ad una soffice pressatura e il mosto ottenuto è lasciato decantare in tini di acciaio

Cialla di Prepotto




Quella domenica mattina, quando mio padre Bruno ci convocò, io non pensavo che quella riunione avrebbe contribuito a cambiare radicalmente la mia vita. Eravamo tutti seduti intorno al tavolo, lui da una parte e noi, i suoi quattro figli, dall’altra. Era un rituale che seguivamo quando c’erano delle decisioni importanti da prendere nell’ambito degli interessi familiari. In quelle riunioni serie e formali di solito eravamo chiamati ad assumere nuove responsabilità o a decidere sulle nuove strategie dell’azienda di sedie che avevamo qui a Manzano. A mio padre è sempre piaciuto renderci partecipi delle opportunità che potevano essersi concretizzate, ma nessuno di noi quella domenica mattina pensava all’azienda vitivinicola di Ronchi di Manzano posta sulle colline sopra il paese. Sapevamo della sua esistenza, come eravamo al corrente che l’aveva acquistata diversi anni addietro insieme a degli amici, per divertimento, così da poter fare il vino per casa; sapevamo anche che gli altri soci avevano improvvisamente deciso di vendere le loro quote a causa di alcuni loro impegni improrogabili, ma nessuno pensava che Bruno avesse deciso di acquistarla, anzi qualcuno di noi era convinto che fosse già stata messa in vendita, visto che i nostri interessi erano rivolti a tutto un altro settore, con pochi legami con il vino e la campagna, la quale in definitiva non interessava più di tanto. Invece a lui, sicuramente, piaceva l’idea di un ritorno alla terra, ma non sapendo cosa fare di quelle vigne e di quella cantina e non comprendendo quali fossero le sfumature che si nascondono dietro a una bottiglia di vino, con molti dubbi fece l’ultimo tentativo di salvare quel suo “giocattolo”, verificando cioè se fra i suoi

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RONCHI DI MANZANO

Roberta Borghese con le figlie Lisa e Nicole

figli c’era qualcuno che si sentiva la vocazione del contadino. Ricordo che ci guardò bene negli occhi quando ci chiese, con voce sicura, chi fosse interessato a seguire quella proprietà. Nessuno fiatò; nessuno se la sentiva di lasciare quello che aveva e poi cosa poteva offrire quella campagna? Anch’io tacqui. Di vino non ne capivo molto, anzi, per dire la verità era un argomento che non mi sfiorava minimamente; alcune volte mi ero limitata ad ascoltare i discorsi fatti dagli uomini di famiglia sulla qualità di un bicchiere di vino rispetto ad un’altro. Tutto qui. Mio padre, non trovando il sostegno di nessuno dei miei fratelli, mi guardò profondamente negli occhi, come spesso fa ancora oggi per comprendere da che parte io stia, chiedendo il mio sostegno che, senza proferire parola, puntuale arrivò. Era deciso. La figlia maggiore doveva seguire le vigne e non aveva importanza se io avessi cognizione di causa oppure conoscenze minime sul vino: per lui l’importante era che fossi io a farlo. Non ricordo quante volte i suoi occhi mi avevano convinto a seguire strade che lui aveva tracciato per me, quante volte i suoi sguardi mi avevano invitato ad avere una fiducia cieca in lui e a rimanergli accanto, con complicità e dedizione, accudendo i suoi interessi o semplicemente sostituendolo in alcune problematiche aziendali. Come figlia, spesso mi perdevo in quegli occhi dove ho trovato sempre un profondo senso di appagamento e di protezione che solo l’amore di un padre sa comunicare a una figlia. Di lui, del resto, mi sono sempre fidata: era lui la mia garanzia e la mia assicurazione per il futuro e di questo fui certa anche in quella occasione. Sicuramente, pensai, non mi avrebbe abbandonata mai, a prescindere dall’esito di quella mia avventura nel mondo del vino.



Quando squillò il telefono e la segretaria di Ronchi di Manzano chiese lumi su chi sarebbe andato in cantina per fornirle indicazioni sul da farsi, fui presa dal panico più totale. Non conoscevo niente di quel “misterioso” vino: sapevo solo che si vendemmiava in settembre e che, per essere venduto, non doveva “sapere di aceto”. Ricordo che trovai una situazione drammatica: in cantina c’era ancora tutto il vino dell’anno precedente ed essendo imminente la nuova vendemmia non avrei avuto il posto per mettere quello nuovo; in azienda, poi, non esisteva una rete commerciale e il prodotto era venduto soltanto sfuso a piccoli commercianti locali. Mi precipitai a mandare agli amici dei campioni del vino e, in poco tempo, riuscii nell’impresa di disfarmi del vino presente in cantina vendendolo, per la prima volta nella storia dell’azienda, non più sfuso, ma tutto in bottiglia, con un’etichetta fatta e stampata a tempo di record. Per soddisfare quegli ordini piovuti dal cielo misi tutti a lavoro, dalla segretaria a ogni altra risorsa umana disponibile in azienda, e, lavorando notte e giorno per quasi due settimane, riuscimmo nella straordinaria impresa di imbottigliare manualmente circa 20000 bottiglie. Da quella tarda primavera del 1984 il mio contributo a questa azienda non ha visto soste. Sono trascorsi vent’anni da quella prima vendemmia, ma, nonostante tutto, pur crescendo professionalmente, mi sento ancora una profana del mondo del vino, che travolge e appassiona come pochi altri, ma dal quale non ho voluto farmi stregare, rimanendo sempre con i piedi per terra e non volendo mai rinunciare al mio ruolo di donna. Ho lasciato agli altri i palcoscenici e le mode: io continuo a tenere ben distinti il mio ruolo d’imprenditrice all’interno dell’azienda a cui concedo comunque tutta me stessa, dai ruoli più importanti di madre, figlia e moglie ai quali non rinuncio per nessuna bottiglia. Sono una di quelle donne friulane che è rimasta ancorata alle cose semplici della vita e ritiene che con il lavoro si possano raggiungere importanti risultati. È così che sono cresciuta e sono stata educata ed è in questa direzione che voglio proseguire. Perché dovrei cambiare? Perché dovrei essere diversa da come sono? ALTRI VINI I Bianchi: Colli Orientali del Friuli Rosazzo Bianco Doc (Sauvignon 40%, Tocai Friulano 30%, Chardonnay 25%, Picolit 5%) Colli Orientali del Friuli Tocai Friulano Superiore Doc (Tocai Friulano 100%) Colli Orientali del Friuli Sauvignon Doc (Sauvignon 100%)

I Rossi: Colli Orientali del Friuli Rosazzo Rosso Doc (Merlot 34%, Cabernet Sauvignon 33%, Refosco dal Peduncolo Rosso 33%) Colli Orientali del Friuli Refosco Doc (Refosco dal Peduncolo Rosso 100%)


Ronc di Subule

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Colli Orientali del Friuli Merlot Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il Ronc di Subule è prodotto da una selezione delle migliori uve Merlot provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nel comune di Manzano, che hanno un’età media intorno ai 20 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni composti da marne e arenarie di origine eocenica ad un’altitudine di 70 metri s.l.m. con esposizione a sud-ovest. UVE

IMPIEGATE:

Merlot 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

6000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito nella prima decade di ottobre, si avvia la fermentazione alcolica che si protrae per 12-13 giorni ad una temperatura compresa fra i 25 e i 28°C in recipienti di acciaio inox; la fermentazione è coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, mentre contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce che dura per altri 4-5 giorni sempre a temperatura controllata. Terminata questa fase, il vino effettua la fermentazione malolattica in barrique di rovere francese, per un 75% nuove e il restante di secondo e terzo passaggio, dove vi rimane per 12 mesi, trascorsi i quali è imbottigliato per un ulteriore affinamento di altri 2 mesi prima della sua commercializzazione. QUANTITÀ

PRODOTTA:

9500 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un colore rosso rubino intenso, con profumi di piccoli frutti di bosco a bacca nera, viola, liquirizia e cacao. Le note speziate riaffiorano anche all’esame gustativo dove si evidenziano tannini morbidi ed eleganti; di buona struttura, risulta lungo e persistente al retrogusto. PRIMA LE

ANNATA:

1989

MIGLIORI ANNATE:

1996 - 1997 - 1999 - 2001

NOTE: Il vino, che prende il nome dalla collina dove sono impiantate le viti, raggiunge la maturità dopo 4 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 4 e gli 8 anni.


Rosazzo Picolit Colli Orientali del Friuli Rosazzo Picolit Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Picolit provenienti dai vigneti dell’azienda, posti all’interno della sottozona Rosazzo nel comune di Manzano, che hanno un’età media superiore a 30 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni composti da marne e arenarie di origine eocenica ad un’altitudine di 120 metri s.l.m. con esposizione a sud-ovest.

selezionati e si attende che si avvii la fermentazione alcolica prima di mettere il vino, subito dopo, dentro piccole botti nuove di rovere francese da 113 lt., per il 75% nuove. Terminata la fermentazione, che si protrae per circa 30 giorni alla temperatura di 17°C, il vino viene lasciato maturare per altri 12 mesi nel legno dove effettua anche la fermentazione malolattica. Trascorso questo tempo si procede all’assemblaggio delle partite e, dopo una leggera filtrazione, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento che si protrae per altri 2 mesi prima di essere commercializzato. QUANTITÀ

PRODOTTA:

2500 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un colore dorato tendente all’ambrato; al naso evidenzia profumi complessi di confettura, mela, frutta candita, miele e tostato. In bocca risulta caldo, dolce ed equilibrato, con una lunghissima la persistenza gusto-olfattiva. PRIMA ANNATA: 1969 (come Picolit) - 1996 (come Rosazzo Picolit) LE

MIGLIORI ANNATE:

1997 - 1999 - 2000

NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 4 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 4 e i 10 anni. L’AZIENDA: L’azienda agricola, di proprietà di Roberta Borghese dal 1984, si estende su una superficie complessiva di 60 Ha, di cui 55 vitati e 5 dedicati all’olivicoltura. Collaborano in azienda l’agronomo Rajko Princic e l’enologo Boris Coglot.

UVE

IMPIEGATE:

Picolit 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

7600 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito dalla fine di settembre ai primi di ottobre, le uve sono raccolte in piccole cassette da 5-7 kg, segue l’appassimento naturale sui graticci fino ai primi di dicembre, poi, dopo una soffice pressatura, si procede a una breve defecazione del mosto in tini di acciaio inox per 12 ore alla temperatura di 10°C, dopo di che si iniettano i lieviti

Rosazzo di Manzano



C’è un bel sogno alla base del mio desiderio di dar vita a quest’azienda viticola. Un sogno che per me ha significato tanto perché mi ha consentito di fantasticare, disquisire e filosofeggiare sul futuro di questa terra, su come sarebbe stato il mio primo vino, quale il suo valore o sulle eventuali soluzioni che avrei dovuto utilizzare sul mio lavoro nel caso in cui si fossero verificate intromissioni da parte del tempo o del mercato, eventualità che sicuramente prima o poi mi sarei potuto trovare ad affrontare. Sì, ho un “amico sogno” che, nel tempo, si è rivelato utile come una coperta di lana calda nelle notti fredde d’inverno, capace non solo di farmi coraggio nei momenti più bui, ma anche di dimostrarmi di essere un ideale compagno di viaggio, valido per ogni stagione e anche un ottimo consigliere in quelle difficili e contrastanti decisioni che ho dovuto prendere. È questo sogno che mi ha trasmesso l’energia per costruire, con le mie mani, il segno tangibile del mio passaggio su questa terra infondendomi l’arguzia e la volontà per cambiare le cose, sostenendomi in un’insospettata abnegazione al sacrificio che prima non mi conoscevo. Un fedele “amico sogno” che cresce al mio fianco e che continua ancora oggi a guidarmi e a farmi sentire sicuro, come faceva molti anni addietro nel momento in cui mi dette la forza di dormire sul pavimento di questa casa che era ancora un rudere da ristrutturare e i tassi, la notte, venivano incuriositi ad annusare l’odore dell’uomo, oppure quell’altra volta quando mi aiutò a superare le titubanze che mi erano sorte nei confronti di un mercato vitivinicolo che, pur noto, si dimostrava molto variegato e di difficile interpretazione.

R

RONCO DEI TASSI

Fabio Coser

In questi anni ho condiviso il mio sogno con mia moglie Daniela e ora, man mano che crescono, anche con i miei due figli, Enrico e Matteo, pedine importanti, dimostratesi fondamentali per il raggiungimento dei risultati fin qui ottenuti. Una famiglia alla quale devo riconoscere il merito di essere riuscita a rinvigorire l’ardore e la passione che in me si stavano affievolendo e con la sensibilità di silenzi che valevano molto più di qualsiasi parola e la serenità della fiducia cieca in ciò che stavo facendo, mi hanno accompagnato nel raggiungimento del miglior risultato possibile. Sono stati loro a sostenermi, a portare avanti e a condividere con me questo progetto; sono loro che hanno dato forza al mio sogno, aiutandomi a non abbattermi nei momenti difficili. Ora che anche i miei figli stanno entrando nel mio sogno, mi auguro che possano sentirsi coinvolti dal suo ardore come lo sono io. Oggi la mia speranza è di avere presto, da loro, un valido e costruttivo sostegno, così da poter quanto prima riuscire a disquisire insieme sul futuro del nostro vino e di quest’azienda. Chissà se, fra un po’ di tempo, mi sarà data anche la possibilità di raccontare ai loro figli quell’esperienza formativa che le tante vendemmie della mia vita mi avranno consentito di raccogliere. Ma com’è stato possibile che mi sia lasciato travolgere dalla passione per il mondo del vino? Pur non essendo né produttore, né vignaiolo, né tanto meno contadino, conoscevo abbastanza bene le problematiche che ci sono a monte di una bottiglia di vino e proprio per questo avrei dovuto riflettere molto prima di avventurarmi nella complessa costruzione di un’azienda vitivinicola.



Ma non è stato così. In me forse covava da tanto tempo quel sogno le cui origini vanno ricercate nelle vicissitudini che mi hanno portato a contatto, fin da giovanissimo, con la campagna, la terra, le vigne e il mondo del vino. La mia infanzia, infatti, è trascorsa seguendo mio padre Livio, impegnato per anni nella direzione di grandi aziende agricole che producevano anche vino, poste fra il Veneto e il Friuli, ed io, del resto, dopo il diploma incominciai subito a costruirmi una buona esperienza lavorativa nel settore vitivinicolo fornendo la mia consulenza tecnica di enologo nell’amministrazione di alcune imprese agricole della zona. Forse è stato proprio questo processo di crescita professionale che mi ha spinto a misurare le mie capacità e a mettermi in proprio. Quando arrivai, ricordo che qui era tutto diverso. Le aziende friulane, per la maggior parte, erano condotte in un’altra maniera rispetto a oggi. La loro era una conduzione promiscua dove, in pochi ettari, venivano coltivati alberi da frutta, vigne, granturco e fieno per quelle quattro o cinque mucche che erano nelle stalle, mentre le uve erano vendute ai commercianti della zona o alle aziende più grosse. Negli anni, poi, si è assistito ad una graduale ma inarrestabile crescita di tutto il settore vitivinicolo della zona, grazie soprattutto ad alcuni produttori lungimiranti che con molta sensibilità sono stati capaci di percepire il momento del cambiamento. Da persona esterna al territorio, ma profondo conoscitore delle tradizioni e del carattere dei friulani, devo dire che per i vecchi vignaioli di queste terre non deve essere stata una cosa semplice accettare il cambiamento; no, sono sicuro che non deve essere stato facile allontanare la loro naturale reticenza verso il nuovo o eliminare la loro diffidenza per tutto ciò che risultava estraneo al loro mondo o, peggio ancora, sciogliere la riservatezza che li induce, attraverso uno stakanovismo e una laboriosità incredibile, a impegnarsi a testa bassa solo nel proseguire su una strada che è stata loro tracciata. Oggi le cose stanno cambiando a tal punto che mi trovo a confrontare il mio sogno con quello di tanti altri giovani vignaioli della zona; giovani capaci e preparati che, dopo aver capito e interpretato l’esperienza dei padri, hanno saputo creare attenzione intorno al prodotto vino friulano. Io, ormai non più giovane, li osservo e proseguo per la mia strada, ma spero proprio che i miei figli, friulani, possano quanto prima aprire con questi vignaioli un percorso costruttivo al fine di contribuire tutti insieme ad un futuro migliore per questa grande terra del Collio.

ALTRI VINI I Bianchi: Collio Pinot Grigio Doc (Pinot Grigio 100%) Collio Tocai Friulano Doc (Tocai Friulano 100%) Collio Bianco Doc Fosarin (Tocai Friulano 40%, Pinot Bianco 40%, Malvasia 20%)


Sauvignon

309

Collio Sauvignon Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è prodotto da una selezione delle migliori uve Sauvignon provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nel comune di Cormòns, che hanno un’età media intorno ai 15 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni composti da marne e arenarie di origine eocenica ad un’altitudine di 180 metri s.l.m. con esposizione a est / nord-est. UVE

IMPIEGATE:

Sauvignon 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

5000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito nella prima decade di settembre, si procede a una pulizia statica del mosto, con relativa decantazione, a una temperatura controllata di 13°C per circa 24 ore. Terminata questa fase di prima chiarificazione, si inseriscono i lieviti selezionati e si dà avvio alla fermentazione alcolica che si protrae dai 10 ai 12 giorni ad una temperatura compresa fra i 16 e i 18°C, in recipienti di acciaio inox termocondizionati. Il vino è successivamente posto per un 30% in tonneau di rovere francese, mentre il resto è lasciato nei recipienti di acciaio. In questa fase, sia nelle botti con dei bâtonnage, sia nei tini, si procede a movimentare le fecce nobili che sono utilizzate per guidare tecnicamente lo svolgimento naturale della fermentazione malolattica che, a seconda delle annate, può anche non essere lasciata svolgere completamente. Di solito nel mese di aprile viene effettuato l’assemblaggio delle partite e, dopo un breve periodo di stabilizzazione e un leggero filtraggio, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento di altri 2 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

13500 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un colore giallo paglierino, con profumi complessi che ricordano i peperoni, i fiori di sambuco, con note di pesca a pasta bianca e frutti tropicali. Al gusto risulta asciutto ed evidenzia tipiche aromaticità varietali; buona la persistenza in bocca. PRIMA

ANNATA:

LE MIGLIORI 2000 - 2003

1992

ANNATE:

1994 - 1997 - 1998 -

NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 1-2 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 2 e i 4 anni.


Cjarandon Collio Rosso Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il Cjarandon è un blend delle migliori uve Merlot, Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nel comune di Cormòns, che hanno un’età media di circa 13 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni composti da marne e arenarie di origine eocenica ad un’altitudine di 150 metri s.l.m. con esposizione a sud / sud-est.

contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce che dura per altri 8 giorni sempre a temperatura controllata. Terminata questa fase, il vino effettua la fermentazione malolattica in barrique di rovere francese, per un 50% nuove e il restante di secondo e terzo passaggio, dove vi rimane per 20 mesi, trascorsi i quali è imbottigliato per un ulteriore affinamento di altri 8 mesi prima della sua commercializzazione. QUANTITÀ

PRODOTTA:

5300 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un colore rosso rubino intenso con leggeri riflessi granati che vanno aumentando con l’invecchiamento, mentre al naso risultano evidenti profumi complessi di frutti neri, note balsamiche ed erbacee. Al gusto evidenzia tannini morbidi ed eleganti; è caldo e avvolgente, di grande struttura, lunghezza e persistenza. PRIMA LE

ANNATA:

1994

MIGLIORI ANNATE:

1994 - 1997 - 2000 - 2001 - 2003

NOTE: Il vino, che non è stato prodotto nelle annate 1995, 1996 e 1998, prende il nome dalla Cjaranda, terreno collinare povero e magro dove crescono solo piante a basso fusto. Raggiunge la maturità dopo 4-5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 10 anni. L’AZIENDA: L’azienda agricola, di proprietà di Fabio Coser dal 1989, si estende su una superficie complessiva di 18 Ha, di cui 12 vitati e gli altri occupati da boschi. Svolge le funzioni di agronomo e di enologo lo stesso Fabio Coser. UVE IMPIEGATE: Merlot 60%, Cabernet Sauvignon 30%, Cabernet Franc 10% SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

5300 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito nella prima decade di ottobre, si avvia la fermentazione alcolica che si protrae per 8-10 giorni ad una temperatura compresa fra i 25 e i 28°C in recipienti di acciaio inox; la fermentazione è coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, mentre

Cormòns



In questo periodo storico non è semplice fare il vignaiolo ed è ancor più difficile farlo in una regione che non riesce a costruire intorno al vino, sicuramente il suo prodotto leader per eccellenza, un progetto in grado di promuovere l’intero “sistema” Friuli. Non so se manchi ancora la convinzione e l’accettazione del ruolo che la viticoltura friulana ha saputo conquistarsi come nuova forza trainante del territorio. Viviamo in un momento dove, ovunque rivolgiamo l’attenzione, c’è fibrillazione, caos e un disequilibrio generale; ovunque c’è un rimescolamento dei giochi di potere che noi piccoli vignaioli riusciamo solo a intravedere o a intuire, ma che sicuramente sono di difficile interpretazione. D’altronde è anche vero che, in un momento di stasi generale dell’economia mondiale come questo, non è facile progettare e programmare iniziative di lungo respiro come quelle che sarebbero necessarie per dare un sostegno concreto alla produzione vitivinicola friulana, così da consentire una meritata affermazione a livello internazionale. Noi piccoli produttori notiamo sempre più che le certezze sulle quali potevamo costruire dei progetti di valorizzazione delle nostre aziende vacillano sotto i colpi di una globalizzazione selvaggia senza regole che sa solo creare finte aspettative che, quasi sempre, all’indomani si dimostrano delle semplici chimere. Tutto corre così velocemente che qualsiasi ragionamento facciamo intorno al mondo del vino ci risulta subito obsoleto. Siamo costretti a difenderci dai politici prestati all’agricoltura che non sanno dare un valore sociale al lavoro che svolgiamo sul territorio, né in termini occupazionali, né di tutela dello stesso; ci dobbiamo difendere da mille cavilli burocratici; dobbiamo sostituire la pochezza comunicativa di questa nostra regione e contemporaneamente dobbiamo difenderci dalle dolci e ruffiane melodie delle “sirene” del mercato.

R

RONCO DEL GELSO

Giorgio Badin

È difficile per noi contadini fare gli imprenditori, i commercianti, gli strateghi, i manager del marketing, gli esperti di comunicazione, i legali, gli esportatori, camuffarsi da agenti e da agenzie di recupero crediti, corredare il tutto con le doverose e quanto mai utili pubbliche relazioni attivate in giro per il mondo e ritrovare poi sulla scrivania, una volta tornati a casa, decine di problemi irrisolti. Certe volte mi domando come sia possibile riuscire a far fronte a tutto questo. E pensare che avevo scelto di vivere in campagna per la qualità della vita che mi garantiva! Sto bene solo in vigna, dove lavoro con altri ritmi, molto diversi da quelli che sono costretto a usare quotidianamente in ufficio. La vigna ha ritmi lenti, che male si adeguano alle tempistiche che il mondo odierno del vino impone e dove sembra che tutti ignorino l’inconciliabilità che esiste fra il ritmo naturale della vigna stessa e quello artificiale imposto dalle frenesie dell’uomo. Anche il mestiere del vignaiolo è ormai ben distante dai canoni che usava mio padre Sergio, il quale sicuramente aveva meno tensioni, più pazienza e un maggiore equilibrio rispetto a tanti produttori moderni. Oggi è tutto veloce e sei costretto a rispondere in tempo reale alle sollecitazioni che arrivano in azienda da questo mercato sempre più volubile e instabile per il quale si sta scatenando, da parte di molte aziende, una corsa cieca al suo soddisfacimento, con vini sempre più strutturati e distanti da quella caratterizzazione che dovrebbe distinguere un territorio da un’altro. In questo bailamme mi rendo conto di quanto sia difficile la mia scelta di non voler essere succube di alchemiche strategie di marketing utili solo a stimolare, incuriosire e rendermi visibile agli occhi di una clientela sempre più distratta da vini di dubbia provenienza.



Nel tempo ho voluto che la mia produzione enologica percorresse la strada della semplicità costruita intorno alla qualità; una strategia, questa, che penso possa ripagarmi molto più di tante altre e più sofisticate iniziative promozionali. Spero che la “semplicità” possa riposizionare il vino sulle tavole dei clienti, in quel ruolo dove riesce a esprimersi al meglio e dove risulta piacevole da gustare insieme al cibo, poiché è con il cibo che sa creare convivialità, passionalità e curiosità. Fin dall’inizio ho voluto però che questo mio progetto fosse un tutt’uno con il territorio sul quale lavoro e oggi scopro che questa idea è condivisa da altri giovani vignaioli che, come me, qui a Cormòns, si adoperano per esportare non solo il vino, ma anche il terroir che appartiene loro. È una cultura nuova per la zona e credo che sia nata dal desiderio di voler guardare al di là del proprio fazzoletto di terra e dalla voglia di andare oltre gli schemi convenzionali. È proprio qui, più che da altre parti, che si sta affermando questa idea, visto che a Cormòns, città divisa tra le Doc del Collio e dell’Isonzo, si sta giocando la partita più interessante per il futuro del comparto vitivinicolo friulano. A fronte di un importante cambio generazionale che ha visto l’ingresso all’interno delle aziende di nuove risorse umane fresche, dinamiche e in possesso di una forte capacità imprenditoriale, vi è stata una più ampia presa di coscienza delle reali potenzialità di cui è in possesso il Friuli. Questa nuova generazione di vignaioli ha saputo osservare la storia della propria terra e, basandosi sulle difficoltà dei loro genitori, ha compreso l’importanza di lavorare insieme per provare a costruire un piccolo “sistema”. Se il nostro territorio sta diventando un territorio di passaggio, da e per destinazioni lontane, per l’oriente e l’occidente, perché non sfruttare questa opportunità, puntando sull’unico grande patrimonio che abbiamo mantenuto per generazioni e che nessuno è riuscito a portarci via, vale a dire la terra, con le sue risorse ambientali e con la sua capacità di comunicare e fare turismo? Di questo se ne sono accorti per primi gli appassionati del buon bere, gli eno-turisti che si aggirano incuriositi per le enoteche e le cantine del Collio e dell’Isonzo, movimentando l’economia di alberghi e ristoranti e portandosi a casa, nel bagagliaio della loro macchina, sia il nostro vino, sia un po’ del nostro Friuli. Parlando con loro ho scoperto che quando vengono qua sono affascinati dalla varietà dei nostri vini, dalla cura che mettiamo nel lavorare le vigne e dalle architetture che abbiamo saputo disegnare con le stesse, oltre che dalla qualità di una gastronomia sempre più apprezzata. Questo è il piccolo “sistema” Cormòns, un modello riproducibile su tutto il territorio regionale, che sta dimostrando di funzionare e sul quale dobbiamo lavorare ed è in questo che voglio credere e insistere per far comprendere a molti che è sulla nostra capacità di esportare il territorio che si gioca il futuro del Friuli.

ALTRI VINI I Bianchi: Friuli Isonzo Sauvignon Doc (Sauvignon 100%) Friuli Isonzo Riesling Doc (Riesling Renano 100%) Friuli Isonzo Pinot Bianco Doc (Pinot Bianco 100%) Friuli Isonzo Tocai Friulano Doc (Tocai Friulano 100%)


Pinot Grigio Sot Lis Ris Rivis

315

Friuli Isonzo Pinot Grigio Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il Sot Lis Rivis è una selezione delle migliori uve Pinot Grigio provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nel comune di Cormòns, che hanno un’età media di 8 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni ghiaioso-calcarei ad un’altitudine di 50 metri s.l.m. con esposizione a sud. UVE

IMPIEGATE:

Pinot Grigio 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

6000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito all’inizio di settembre e una soffice pressatura, si procede a una decantazione statica del mosto alla temperatura controllata di 13°C per circa 24 ore. Terminata questa fase di prima chiarificazione, si inseriscono i lieviti selezionati e si dà avvio alla fermentazione alcolica che si protrae per 7 giorni alla temperatura di 19°C, in tonneau di rovere francese da 5 hl. Dopo questa fase il vino viene lasciato nelle medesime botti per 6 mesi e qui, periodicamente, si procede a dei bâtonnage al fine di movimentare le fecce nobili che sono utilizzate per guidare tecnicamente lo svolgimento della fermentazione malolattica. Di solito nel mese di maggio viene effettuato l’assemblaggio delle partite e, dopo un breve periodo di stabilizzazione e un leggero filtraggio, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento di altri 2 mesi prima di essere commercializzato. QUANTITÀ

PRODOTTA:

20000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Vino che presenta un colore giallo paglierino luminoso e brillante; al naso esprime profumi intensi di frutta matura e floreali a cui si aggiungono leggere note di vaniglia e burro fuso. Al palato è armonico ed intenso, denota carattere, raffinatezza e ottima struttura e ripercorre le sensazioni olfattive con una lunga persistenza ed un piacevole retrogusto. PRIMA LE

ANNATA:

1993

MIGLIORI ANNATE:

1993 - 1995 - 1999 - 2001 - 2003

NOTE: Il vino, che prende il nome da un toponimo della zona in cui è piantato il vigneto, raggiunge la maturità dopo 3 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 3 e i 5 anni.


Merlot Friuli Isonzo Merlot Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Merlot provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nel comune di Cormòns, che hanno un’età media di 15 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni ghiaioso-calcarei ad un’altitudine di 50 metri s.l.m. con esposizione a sud.

pre a temperatura controllata in contenitori di acciaio inox termocondizionati. Dopo questa fase, il vino viene posto a maturare per 12-14 mesi in barrique di rovere francese, per il 50% nuove e per il 50% di secondo passaggio, dove svolge la fermentazione malolattica. Al termine dell’anno successivo alla vendemmia viene effettuato l’assemblaggio delle partite e, dopo un breve periodo di stabilizzazione e un leggero filtraggio, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento di altri 6 mesi prima di essere commercializzato. QUANTITÀ

PRODOTTA:

12000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Di colore rosso rubino intenso con riflessi violacei, il vino presenta all’esame olfattivo profumi di amarena e confettura di prugne seguiti da sensazioni di vaniglia, chiodi di garofano e noce moscata; in bocca risulta caldo, avvolgente, di notevole spessore e con un finale lungo e persistente. PRIMA LE

ANNATA:

1988

MIGLIORI ANNATE:

1990 - 1995 - 1999 - 2000 - 2001

NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 4 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 4 e i 10 anni. L’AZIENDA: Di proprietà di Giorgio Badin dal 1988, l’azienda agricola si estende su una superficie complessiva di 20 Ha, tutti vitati. Svolge la funzione di agronomo ed enologo lo stesso Giorgio Badin.

UVE

IMPIEGATE:

Merlot 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

5500 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito alla fine di settembre, si avvia la fermentazione alcolica del mosto, con relativi délestage e follature, che si svolge alla temperatura controllata di 30°C per circa 6 giorni, mentre, contemporaneamente, si procede anche alla macerazione sulle bucce che prosegue per altri 10-12 giorni sem-

Cormòns



Mia nonna Anna, la mamma di mia madre, era di Rosazzo, ed era orgogliosa di essere una “roncara”, vale a dire una che vive in quella parte di collina dove la presenza della vite è predominante, a contatto con la terra e le viti stesse. Ricordo che la porta della sua casa era sempre e comunque aperta. Aveva un cuore grandissimo, sapeva accoglierti, ogni giorno preparava da mangiare “per il mondo” e qualsiasi persona che si presentava in casa trovava sempre pronto un piatto caldo ed un bicchiere di vino. Era una donna dolcissima, molto affettuosa, una persona aperta e cordiale che trasferiva agli altri il suo grande senso della famiglia, ma non solo quello circoscritto a figli, nipoti o parenti, ma quel senso materno più ampio, più gioviale, direi “sociale”; questo senso mi ha influenzato e mi influenza tutt’oggi, anche nelle scelte che faccio, compiute principalmente in funzione dei miei figli Giovanni, Zeno e Jacopo, di diciassette, quattordici e nove anni. È con questa mentalità e con questa apertura che cerco di condurre la mia azienda vitivinicola, dando spazio ora al lato maschile del mio carattere, ora alla mia sensibilità di donna e di madre, cercando di essere il più possibile “roncara” come mia nonna, ma non disdegnando, ogni tanto, di identificarmi in un orso che vuole raggiungere a tutti i costi il suo vaso di miele che io identifico nei miei sogni. Ronco del Gnemiz è sicuramente uno dei miei sogni: è un’azienda aperta, atipica, gestita in modo “comunitario”, al cui interno giornalmente si stimola un intelligente scambio fra chi in essa si impegna e dà tutto se stesso per ottenere il miglior risultato possibile. Questa non è un’azienda condotta nel modo classico, familiare o piramidale, che

R

RONCO DEL GNEMIZ

Serena Palazzolo con i figli Giovanni, Zeno e Jacopo

mi dovrebbe vedere a capo della stessa, insieme a mio padre Enzo, a dirigere tutti i miei collaboratori. Io non sono mai stata capace di fare la padrona e non sono mai stata capace d’impormi, ma, girando per il mondo, ho compreso l’importanza del dialogo e del rispetto delle idee altrui ed è con questa capacità che cerco, quotidianamente, di confrontarmi con il mestiere di “vignaiolo” in modo sincero, schietto, senza veli, con le mie paure e le mie incertezze, cercando protezione e un nascondiglio qui, al Ronco del Gnemiz. Spesso mi domando cosa faccio qui in Friuli, ma credo che il mio senso d’appartenenza al territorio si esprima soprattutto attraverso la volontà e il desiderio che ho di costruire delle cose importanti con il mio vino; vivo qui non per soddisfare un recondito desiderio di possesso, ma solo per il piacere di sentirmi libera di vivere in questo luogo, come se fosse un piccolo regno cosmopolita nel quale si incontrano genti d’ogni tipo, nel quale si confrontano culture ed esperienze diverse, persone capaci di aprirsi a un dialogo dandomi l’opportunità di misurarmi e crescere, allontanandomi da questa mentalità paesana con la quale riesco a convivere con sempre maggiore difficoltà. Da tempo vivo con un senso di rifiuto questo ambiente bigotto, non riesco più a raffrontarmi con questa cultura chiusa che sa solo incatenarti e non ti lascia sognare e andare via. Io invece sogno e i miei pensieri volano alti ed è forse per questo che mi occorre la terra, per tenere su di essa i piedi ben piantati e rimanere ancorata alle cose concrete che la responsabilità di una famiglia mi impone. È forse per difendermi, per non soffrire molto, che sono diventata un po’ quell’orso che all’apparenza sembra aggressivo, ma che in realtà cerca solo di difendere



il suo piccolo mondo e quel suo vaso di miele, perché non sia sciupato, scippato o distrutto da nessuno. Ronco del Gnemiz non è solo un’azienda vitivinicola friulana, è molto di più: è un’azienda che mi consente di facilitare i rapporti con il mondo, è una di quelle aziende che senti subito tua e quando la lasci ti fa venire voglia di ritornarci. Per questo, forse, ho imparato da mia nonna Anna ad avere la porta di casa sempre aperta per i nuovi e i vecchi amici, ed è per questo che cerco di avere sempre un piatto caldo e un bicchiere di vino pronti per chi mi viene a trovare. Spesso mi ritrovo sola, unica donna in questa tribù di uomini: con i miei tre figli, i ragazzi che collaborano con me, Ales, Andrea, Christian, Ivano e mio padre, con i quali condivido e discuto le scelte aziendali. Un rapporto forte e dialettico con il mondo maschile, ma non mi preoccupo: tutto sommato per me è sempre stato facile avere rapporti diretti, schietti e sinceri con quell’universo e forse anche io mi riscopro talvolta “maschia”. È comunque da questo piccolo grande universo che nascono le nostre scelte enologiche e non potrebbe essere diversamente, se è vero, come lo è, che il vino è l’evoluzione e l’interpretazione di chi lo produce. Mi rendo conto che negli anni sono cambiata e così sono cambiate di conseguenza le scelte che ho fatto, ma il tempo che scorre non mi dà angoscia, così come mi piace il vino che invecchia e che matura, mi piacciono le rughe sulle persone, mi piacciono i segni dell’età e dell’espressione. Mi auguro di poter invecchiare e di raggiungere una maggiore saggezza e quella serenità cui agogno da tempo... Tutto questo senza smettere mai di sognare. ALTRI VINI I Bianchi: Colli Orientali del Friuli Sauvignon Doc (Sauvignon 100%) Colli Orientali del Friuli Pinot Grigio Doc (Pinot Grigio 100%) Colli Orientali del Friuli Tocai Friulano Doc (Tocai Friulano 100%)


Chardonnay

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Colli Orientali del Friuli Chardonnay Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Chardonnay provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nei comuni di San Giovanni al Natisone, Manzano e Corno di Rosazzo, che hanno un’età media intorno ai 35 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni composti da marne di origine eocenica ad un’altitudine di 70 metri s.l.m. con un’esposizione a sud / sud-ovest variabile da vigna a vigna. UVE

IMPIEGATE:

Chardonnay 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

3000-5800 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito a partire dal 1 settembre, si procede a una soffice pressatura delle uve con decantazione statica del mosto per 24-36 ore ad una temperatura di 8-10°C. Sul mosto chiarificato si inseriscono i lieviti selezionati e si dà avvio alla fermentazione alcolica condotta in barrique per un periodo di 14-20 giorni ad una temperatura compresa tra i 20 e i 23°C. Negli 11 mesi di maturazione in legno il vino svolge la fermentazione malolattica e periodicamente viene effettuato un bâtonnage alla settimana. Terminata questa fase si procede all’assemblaggio delle partite e, dopo un breve periodo di stabilizzazione e una leggera filtrazione, il vino viene messo in bottiglia per un ulteriore affinamento di circa 12 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

5000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Dal colore giallo dorato brillante con riflessi verdi, all’esame olfattivo risultano intense le percezioni di frutta esotica matura, vaniglia e burro fuso. In bocca è caldo, morbido, equilibrato, di grande struttura. Nella sua lunghissima persistenza lascia un piacevole ricordo delle sensazioni già avvertite al naso. PRIMA LE

ANNATA:

1985

MIGLIORI ANNATE:

1986 - 1991 - 1992 - 1996 - 1999 - 2000 - 2001

NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 3 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra 3 e i 6 anni.


Rosso del Gnemiz Colli Orientali del Friuli Rosso Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il Rosso del Gnemiz è un blend delle migliori uve Merlot, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e Schioppettino provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nei comuni di San Giovanni al Natisone, Manzano e Corno di Rosazzo, che hanno un’età compresa fra i 10 e i 45 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni composti da marne di origine eocenica con

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito dopo la metà di settembre e si protrae fino alla prima decade di ottobre, si avvia la fermentazione alcolica che dura circa 14 giorni ad una temperatura compresa fra i 26 e i 28°C in recipienti di acciaio inox, mentre contemporaneamente si effettua anche la macerazione sulle bucce che dura altri 10-15 giorni, utilizzando in entrambi i casi tecniche di délestage e follatura. Terminata questa fase, si procede al travaso del vino in barrique nuove di rovere francese di media tostatura, dove vi rimane 20-24 mesi, al termine dei quali, dopo un breve periodo di stabilizzazione e una leggera filtrazione, è messo in bottiglia per un periodo di affinamento di 12-18 mesi prima della commercializzazione. QUANTITÀ

PRODOTTA:

4000-8000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un colore rosso rubino molto profondo; al naso risulta complesso offrendo profumi che variano dai frutti di sottobosco neri all’amarena, per dare spazio via via a note speziate di cuoio, caffè e liquirizia. Al gusto rivela tannini evidenti, ma eleganti; è caldo, avvolgente ed equilibrato, di grande struttura, lungo e persistente. PRIMA LE

ANNATA:

1985

MIGLIORI ANNATE:

1990 - 1995 - 1997 - 1999 - 2001

NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 4-5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 15 anni.

una percentuale maggiore di argilla nei terreni in cui è coltivato il Merlot, ad un’altitudine di 70 metri s.l.m. e con un’esposizione molto variabile a seconda della collocazione delle vigne, ma per lo più a sud / sud-ovest.

L’AZIENDA: Di proprietà di Enzo e Serena Palazzolo dal 1964, l’azienda agricola si estende su una superficie complessiva di 30 Ha, di cui 17 vitati e 13 occupati da bosco. Collabora in azienda svolgendo le funzioni di agronomo ed enologo Andrea Pittana.

UVE IMPIEGATE: Merlot 60%, Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc 30% Schioppettino 10% SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot e cordone speronato DENSITÀ

DI IMPIANTO:

3000-4800 ceppi per Ha

San Giovanni al Natisone



Sebbene mio padre fosse divenuto proprietario di Ronco delle Betulle già nel 1967, l’azienda fu gestita fino al 1989 dagli stessi contadini che, prima come mezzadri e poi come collaboratori di papà, avevano provveduto a mandarla avanti per decenni. In quegli anni facevo la casalinga e mi occupavo principalmente dei miei figli, Simone e Daniele, che all’epoca erano piccoli, e delle incombenze della casa; ero lontana, anzi lontanissima da qualsiasi forma d’imprenditoria e non avevo la minima cognizione di che cosa volesse dire “mercato globale” o di quali fossero le strategie per una corretta commercializzazione del vino, ma soprattutto ero all’oscuro dei meccanismi con i quali una persona poteva introdursi al mondo dell’enologia. In famiglia si parlava spesso dell’evoluzione e degli umori del mercato del vino, ma difficilmente riuscivo a fare mie quelle informazioni raccontate intorno a un tavolo. In definitiva la cosa non mi interessava più di tanto, avevo altro a cui pensare: essere madre e moglie era già un bell’impegno. Devo riconoscere che seguivo in modo superficiale anche i lavori che mio padre andava via via facendo nell’azienda, visto che della stessa si occupavano lui e mia sorella. Purtroppo nel 1985 per vicissitudini familiari mi trovai ad un bivio: vendere o far continuare questa attività che mio padre aveva mantenuto nel tempo? Decidemmo di provare a tenere qualche anno l’azienda io e mio marito per vedere come si sarebbero evolute le cose, ma eravamo entrambi all’oscuro di tutto; scoprimmo dopo che conoscevamo poco anche il reale significato della parola vino e quale sacrificio si nascondesse nel lavoro attento e oculato necessario alla

R

RONCO DELLE BETULLE

Ivana Adami

conduzione di una vigna, né sapevamo quanto fosse complicata la vinificazione. Fu in quel periodo che ebbi la fortuna di incontrare Lino Germini, un amico appassionato di vino che seppe indirizzarmi e darmi i primi utili consigli, accompagnandomi un po’ in giro a conoscere altre realtà produttive e altri vignaioli, come Keber, Gravner, Venica e Dorigo che già all’epoca facevano vini di qualità. Quelle menti riuscirono ad aprire la mia e mi fecero comprendere il vero concetto di quel complesso mestiere; attraverso i loro occhi compresi quale passione si poteva racchiudere dentro un calice e il loro entusiasmo mi contagiò, mi avvolse e mi appassionò immediatamente. Quel loro disquisire sul come e sul perché delle loro scelte mi riportò alla mente linguaggi filosofici di altre ere e ogni loro singolo gesto mi entusiasmò. Sentii forte il bisogno di imparare e di conoscere. Sì, devo proprio dire che da allora mi sono innamorata di questo lavoro e con esso ho cercato di costruirmi sia come imprenditrice, sia come vignaiola. È un lavoro che mi ha dato grandi opportunità per crescere e mi ha aiutato prima a comprendere e poi a confrontarmi, non solo con la mia famiglia, ma anche con il territorio nel quale opero, con il mercato nazionale e internazionale nel quale commercializzo i miei vini, ma soprattutto mi ha posto davanti a me stessa facendomi scoprire molto diversa da come mi conoscevo prima di intraprendere questa avventura vitivinicola. Mi sono scoperta ambiziosa, perfezionista, esigente con me stessa e con gli altri e risoluta come non lo ero mai stata. Ho continuato però per molto tempo ad essere timida, schiva e defilata, come



una vera friulana, che non vuole apparire, sensibile alle proprie emozioni. È sicuramente questa mia spiccata emotività che ancora un po’ mi frena nei rapporti con gli altri e penso che la stessa derivi da una forma di insicurezza per il mio nuovo stato di vignaiolo o per un senso di inadeguatezza, dettata dalla poca conoscenza che mi impedisce di aprirmi come vorrei. Devo dire che con il tempo sono migliorata e in questo lavoro ho trovato risorse fondamentali per superare questo piccolo scoglio, contribuendo a irrobustire via via la mia personalità. Facendo vino ho compreso l’importanza della convivialità, cosa significa fare gruppo e sentirsi parte integrante di un territorio, ho compreso quale sia il sapore delle conquiste e quello delle delusioni o cosa significa la parola “squadra”; pur avendo difficoltà a giocarci insieme, ho compreso l’importanza di condividere con i miei collaboratori la maggior parte del tempo; ho compreso quali siano i valori da attribuire alla tutela e alla salvaguardia dell’ambiente in cui vivo, oppure come sia splendido ragionare semplicemente con il cuore, seguendo i sogni, riuscendo nel frattempo anche a realizzare un grande vino. Devo riconoscere che con questo lavoro ho curato anche la mia impazienza, riuscendo a controllarla, valutando in modo diverso il tempo che per me scorreva sempre o troppo lento o troppo veloce, ponendomi in disequilibrio con tutto ciò che doveva essere fatto o che doveva essere raggiunto. Sono riuscita a modulare la mia insofferenza attraverso l’osservazione dei ritmi delle stagioni che mi frenavano o in attesa della maturazione delle uve o del momento della vendemmia, oppure ho imparato a rimanere in trepida attesa dell’evolversi delle vinificazioni o dell’invecchiamento dei vini, per scoprire, alla fine di tutto, che dovevo ricominciare a sedermi e attendere con pazienza, per un anno ancora, la prossima vendemmia. Sapevo, per esperienza e per carattere, quanto fosse più facile chiudermi che aprirmi, ma volevo che la mia indole non influisse negativamente sul mio vino che doveva essere un inno alla gioia, capace convivialmente di aggregare, suscitare e risvegliare passioni. Così mi sono spalancata agli altri facendomi aiutare da una profonda perseveranza e da un attento lavoro su me stessa; questa costante attenzione mi ha condotto a ricercare le collaborazioni giuste, a smussare la mia innata aggressività e mi ha insegnato a comprendere il significato e l’importanza delle cose che quotidianamente faccio e che rappresentano solo una parte infinitesimale del lungo cammino che mi attende per raggiungere l’obiettivo del mio “grande vino”. Così ringrazio mio padre e la sua lungimiranza che lo indusse ad acquistare quest’azienda, perché è stata un banco di prova importante per tutta la famiglia: ci ha unito e ci ha fatto crescere sia come gruppo che come singole persone.

ALTRI VINI I Bianchi: Colli Orientali del Friuli Rosazzo Bianco Doc Vanessa (Pinot Bianco 50%, Sauvignon 20%, Chardonnay 20%, Tocai Friulano 10%) Colli Orientali del Friuli Sauvignon Doc (Sauvignon 100%) Colli Orientali del Friuli Tocai Friulano Doc (Tocai Friulano 100%) Colli Orientali del Friuli Rosazzo Ribolla Gialla Doc (Ribolla Gialla 100%)

I Rossi: Colli Orientali del Friuli Cabernet Franc Doc (Cabernet Franc 100%) Igt Rosso Venezia Giulia Franconia (Franconia 100%)


Narciso Rosso

327

Colli Orientali del Friuli Rosazzo Rosso Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il Narciso Rosso è un blend delle migliori uve Merlot, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nella sottozona Rosazzo del comune di Manzano, che hanno un’età compresa tra i 13 e i 28 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni marnosi molto drenanti ad un’altitudine di 140 metri s.l.m. con esposizione a sud-est. UVE

IMPIEGATE:

Merlot 70%, Cabernet Sauvignon 22% Cabernet Franc 8%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Cordone speronato DENSITÀ

DI IMPIANTO:

5680 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito nei primi 20 giorni di ottobre, si avvia la fermentazione alcolica del mosto che si protrae per 10 giorni alla temperatura di 28-30°C in recipienti di acciaio inox, mentre contemporaneamente si procede anche alla macerazione sulle bucce che dura 12-15 giorni per il Cabernet Franc, 15-20 per il Cabernet Sauvignon e il Merlot, sempre a temperatura controllata. Durante questa fase si eseguono operazioni di délestage e follatura. Al termine di questa prima fase di vinificazione il vino è posto in barrique di rovere francese di Allier e Tronçais di primo e di secondo passaggio, dove effettua la fermentazione malolattica e dove sosta dai 14 ai 24 mesi, a seconda delle annate; alla fine si procede all’assemblaggio delle partite e, dopo un breve periodo di stabilizzazione, il vino è messo in bottiglia, senza filtraggio, per un ulteriore affinamento che si protrae per altri 24 mesi prima della sua commercializzazione. QUANTITÀ

PRODOTTA:

3000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Dal colore rosso rubino che con l’invecchiamento tende al granato, il vino all’esame olfattivo si apre gradatamente con una varietà di profumi che ricordano i frutti di bosco neri, tra cui mora e ribes, integrati perfettamente con le note di tostatura, pepe nero, tabacco e goudron che si sprigionano piano piano. Al palato è asciutto, pieno, corposo, molto strutturato, con una componente tannica equilibrata, mentre al retrogusto è lungo e persistente ed esalta le forti percezioni avute al naso. PRIMA LE

ANNATA:

1994

MIGLIORI ANNATE:

1994 - 1997 - 1999 - 2000 - 2001

NOTE: Narciso, dal nome del personaggio mitologico un po’ “presuntuoso” che vide la propria immagine riflessa nell’acqua e se ne innamorò. Il vino, che non è stato prodotto nel 1998 e nel 2002, raggiunge la maturità dopo 5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 10 anni. L’AZIENDA: L’azienda agricola, di proprietà della famiglia Adami dal 1967, si estende su una superficie complessiva di 16 Ha, di cui circa 12 vitati e il resto occupati da bosco. Collaborano in azienda l’agronomo Marco Simonit e l’enologo Donato Lanati.




Mi rimane ancora un po’ difficile trovarmi intorno a un tavolo con i miei figli, Chiara, Anna e Antonio, e narrarti di noi, del nostro vino, dei sogni che abbiamo realizzato e di quelli che abbiamo ancora nel cassetto, delle aspettative e delle delusioni avute o dei programmi futuri da raggiungere e di quelli che non si potranno più realizzare. Posso assicurarti che non mi è facile trovare le parole giuste per raccontare quale splendida realtà sia diventata oggi la nostra azienda vitivinicola, San Simone, come non lo è trovare le parole per dire dei trentacinque anni che hanno tracciato la storia di questa impresa familiare che si è andata costruendo una propria immagine nel mondo enologico friulano. E sai perché non sgorgano, fluide e spigliate, le mie parole? Perché dovrei avere accanto ancora mio marito Gino che, più di ogni altra persona, in questi decenni, ha dato tutto se stesso per costruire quello che ti è possibile vedere qui intorno. È fra le mura di questa cantina che abbiamo cresciuto i nostri figli, è qui che hanno giocato e hanno acquisito sicurezze e responsabilità, diventando quello che sono oggi: splendidi. È in questo luogo che io e Gino ci siamo misurati, completati a vicenda e assecondati nel gioco sottile che ha saputo costruire il nostro rapporto, nelle confidenze, nelle paure e nelle suggestioni. Con quali parole potrei raccontarti la complessità di una unione durata oltre quarant’anni e le capacità che avevamo entrambi di contribuire alla crescita l’uno dell’altro? Da una parte le sue convinzioni e le sue intuizioni imprenditoriali, il suo dinamismo, il desiderio di scoprire e di sperimentare, crescere e misurarsi intorno e dentro il

S

SAN SIMONE

Liviana Brisotto con i figli Chiara, Anna e Antonio

mondo del vino, dall’altra io, che lo seguivo, sapendo che le sue preoccupazioni o le sue titubanze potevano essere dissolte da un mio sguardo o da un mio abbraccio. Quante e quali ipotesi, intuizioni e sogni persi abbiamo costruito insieme, in una vita trascorsa all’insegna della viticoltura, nel desiderio di ottenere dei grandi risultati enologici... Ti posso assicurare: un’infinità! Io sapevo quale era il mio ruolo, dovendo essere certe volte come il mare che accompagna con correnti e venti dolci la navigazione della “sua barca”, altre volte dovevo essere il porto nel quale si rifugiava per delle improvvise tempeste, divenendo lupo, per proteggerlo, o pecora, per assecondarlo, sempre nel desiderio di sentirci vicini. Lui sapeva bene cosa vi fosse dietro a una bottiglia di vino, conosceva le angosce, le preoccupazioni e il lavoro che richiedeva quel nettare e, di quel lavoro, aveva rispetto; per questo non parlava mai degli altri produttori e, difficilmente, muoveva critiche alla concorrenza. Ti devo dire che mi sembra ancora incredibile che non sia più in mezzo a noi e il suo ricordo è ancora troppo vivo perché io riesca a non parlarne. Sai, lui era una persona speciale che amava la vita e andava sempre a scoprire cosa vi fosse dietro l’angolo. Pur sapendo cosa gli riservava il destino, non volle rimanere chiuso in una stanza d’ospedale e, solo qualche mese dopo quelle crude conferme, ci condusse tutti quanti in Toscana a visitare le aziende vinicole di quella splendida regione. Rammento che ci portò a scoprire il Chianti, standoci vicino con il solito entusiasmo che lo aveva caratterizzato nei momenti più sereni, come quando lo conobbi e si dilungava in costruttive disquisizioni intorno al mondo del vino per farmi comprendere i pro e i contro di alcune sue scelte.



Rammento che volle andare e vedere i cipressi di Bolgheri e insieme ci gustammo uno splendido tramonto, recitando alcuni versi del Carducci: I cipressi che a Bólgheri alti e schietti van da San Guido in duplice filar, quasi in corsa giganti giovinetti mi balzarono incontro e mi guardâr. Mi riconobbero, e - Ben torni omai bisbigliaron vèr me co ’l capo chino Perché non scendi? Perché non ristai? Fresca è la sera e a te noto il cammino [...] Nonostante tutto sono ancora qui e mi fa enormemente piacere constatare come anche i miei ragazzi abbiano preso a cuore le sorti dell’azienda di famiglia. Sono stati loro a spronarmi e credo che abbiano avuto il merito di rinvigorire la mia determinazione nel proseguire sulla strada che avevamo tracciato con Gino facendomi comprendere quanto fosse necessario che io non mi lasciassi andare e mi rimboccassi le maniche per continuare a lavorare sodo, cercando di non disperdere tutto quello che avevamo costruito. Oggi, come vedi, mi impegno e continuo a credere a San Simone, insieme ai miei figli per continuare lo splendido sogno di tanto tempo fa e forse è per questo che, nonostante tutto quello che è successo nell’ultimo anno, mi sento appagata e serena. Ora vorrei che i miei figli prendessero gradatamente in mano le redini dell’azienda e si dessero da fare per elevare la qualità dell’offerta dei nostri vini, vorrei che dessero nuova spinta alla proposta enologica di San Simone. Vorrei che facessero altre esperienze, magari anche in terreni e aree diverse da qui, esperienze che in qualche modo consentissero loro di aggregarsi ancora di più. Mi piacerebbe poter vedere realizzati i loro sogni, vorrei che Chiara, Anna e Antonio sentissero crescere in loro la passione che ha sempre caratterizzato la vita imprenditoriale di loro padre, così da innalzare ancor più l’immagine dell’azienda di famiglia. Ho fiducia in loro e so che ce la faranno.

ALTRI VINI I Bianchi: Friuli Grave Pinot Grigio Doc (Pinot Grigio 100%) Igt Venezia Giulia Nòstos (Chardonnay 80%, Sauvignon Blanc 20%)

I Rossi: Friuli Grave Refosco dal Peduncolo Rosso Doc (Refosco dal Peduncolo Rosso 100%)


Sugano

333

Friuli Grave Cabernet Franc Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il Sugano è una selezione delle migliori uve Cabernet Franc provenienti dai vigneti dell’azienda, posti in località Rondover nel comune di Porcìa, che hanno un’età media di 15 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni moderatamente profondi con poco scheletro e tessitura franco-limosa di origine alluvionale ad un’altitudine di 30 metri s.l.m. con esposizione a nord-est / sud-ovest. UVE

IMPIEGATE:

Cabernet Franc 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Cordone speronato e guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

4000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito dalla fine di settembre alla metà di ottobre, si avvia la fermentazione alcolica che si protrae per 10 giorni ad una temperatura compresa tra i 26 e i 28°C in recipienti di acciaio inox termocondizionati, coadiuvata da tecniche di délestage; contemporaneamente si procede anche alla macerazione sulle bucce che dura altri 10 giorni, sempre a temperatura controllata. Terminata questa fase il vino svolge la fermentazione malolattica sempre in acciaio dove rimane 6 mesi per la maturazione e, dopo un breve periodo di stabilizzazione, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento che si protrae per altri 4 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

10000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta all’esame visivo di un colore rosso rubino con note violacee, mentre al naso risulta piacevole, fresco, vinoso, con i profumi estremamente caratterizzanti del vitigno, cioè peperone, foglie di pomodoro e note erbacee che lasciano via via il posto a sensazioni di frutti di bosco rossi non completamente maturi come ribes e mirtilli e note speziate di liquirizia nera. Al palato ricorda le peculiari caratteristiche percepite al naso con tannini equilibrati; è sapido, di buona struttura e persistenza. PRIMA LE

ANNATA:

2000

MIGLIORI ANNATE:

2000 - 2002

NOTE: Nella mappa catastale Sugano è il nome utilizzato per indicare il terreno da cui provengono le uve. Il vino raggiunge la maturità dopo 1-2 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 2 e i 4 anni.


Nexus Friuli Grave Cabernet Sauvignon Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il Nexus è una selezione delle migliori uve Cabernet Sauvignon provenienti dai vigneti dell’azienda, posti in località Rondover nel comune di Porcìa, che hanno un’età media di 15 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni moderatamente profondi con poco scheletro e tessitura franco-limosa di origine alluvionale ad un’altitudine di 30

mocondizionati, coadiuvata da tecniche di follatura; contemporaneamente si procede anche alla macerazione sulle bucce che dura altri 1015 giorni, sempre a temperatura controllata. Terminata questa fase, il vino, prima di essere posto in barrique di rovere francese di Allier di primo e secondo passaggio dove vi rimarrà per 12 mesi, svolge la fermentazione malolattica in acciaio. Trascorso questo tempo viene effettuato l’assemblaggio delle partite e, dopo un breve periodo di stabilizzazione in tini di acciaio, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento che si protrae per altri 6 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

20000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta all’esame visivo di un colore rosso rubino intenso con riflessi granati, mentre al naso risulta equilibrato con una varietà di sensazioni olfattive che man mano passano dalle note di frutti del sottobosco come le fragole selvatiche ai sentori di ciliegie, fino a giungere a profumi speziati di pepe, timo e cannella. Al palato risulta caldo, elegante, equilibrato, con spiccata propensione all’esaltazione degli aromi speziati percepiti al naso; di buona persistenza e lunghezza. PRIMA LE

ANNATA:

1993

MIGLIORI ANNATE:

1993 - 1998 - 2000

NOTE: Nexus in latino significa “legame, intreccio”. Questo vino, che simboleggia quindi il legame dell’azienda con le tradizioni, raggiunge la maturità dopo 3 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 3 e i 7 anni.

metri s.l.m. con esposizione a nord-est / sud-ovest. UVE

IMPIEGATE:

Cabernet Sauvignon 100%

L’AZIENDA: L’azienda vitivinicola, di proprietà della famiglia Brisotto dal 1915, si estende su una superficie complessiva di 40 Ha, di cui 35 vitati. Collaborano in azienda l’agronomo Patrizio Gasparinetti e gli enologi Antonio Brisotto e Antonio Brait.

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Cordone speronato e guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

4000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito dalla fine di settembre alla metà di ottobre, si avvia la fermentazione alcolica che si protrae per 12 giorni ad una temperatura compresa tra i 26 e i 28°C in recipienti di acciaio inox ter-

Porcìa



Per fare un gran vino ci vogliono: eleganza francese, tecnologia tedesca e uve italiane. Così mio padre elencava le tre cose che, secondo lui, erano necessarie per riuscire a fare un grande vino. Sapeva bene di che cosa stava parlando, lui, che aveva avuto modo di girare molto da ragazzo, negli anni Cinquanta, e ne aveva viste di cose in giro per l’Europa, visitando più volte e per periodi più o meno lunghi, paesi come la Francia e la Germania. Appassionatissimo di motori e di camion, cominciò presto a viaggiare con le corriere per tutto il continente, coltivando e cercando di soddisfare, dovunque andasse, la sua passione per il vino. Lasciava volentieri l’Osteria “I Pompieri”, aperta da nostro nonno Giorgio, che prendeva il nome dalla caserma dei vigili del fuoco di Udine ed era posta di fronte alla rivendita nella quale, si racconta, vi era un larghissimo consumo di vino. La crisi che colpì l’agricoltura e il conseguente abbandono, nei primi anni Sessanta, della viticoltura da parte di molti contadini friulani, costrinse il nonno a viaggi logoranti in tutta la regione alla ricerca di vini di qualità, degni di essere proposti agli avventori dell’osteria, ormai abituati a bere bene. Fu così che, morto il nonno, mio padre decise di mettersi in proprio a fare il vino per l’osteria e quando, nel 1964, capitò l’occasione di prendere in affitto qui a Capriva la proprietà del Vescovo di Gorizia, non se la lasciò sfuggire. Lui voleva produrre vino e non gli interessava molto l’agricoltura mista delle aziende agricole che in quegli anni era diffusa su tutto il territorio friulano e nella quale la vite forniva solo una piccolissima parte del reddito.

S

SCHIOPETTO

Giorgio, Maria Angela e Carlo Schiopetto

I suoi impegni si dividevano tra l’attività commerciale e la campagna e fu in quest’ultima che, piano piano, cominciò a fare i primi investimenti, aumentando gli ettari vitati, introducendo diversi cloni, modificando i sesti d’impianto, fino a costruire una piccolissima cantina. Dopo dieci anni, nel 1974, decise di trasferirsi con la famiglia a Capriva, cedendo in affitto, col disappunto di tutti, quell’avviatissimo locale di Udine. I vecchi di Udine, ancora oggi, ci raccontano che quando mio padre lasciò la città per venire a fare il contadino, pensarono che fosse diventato pazzo. Quel gesto, così clamoroso da solo, sarebbe già sufficiente per rappresentare in modo sintomatico la grande personalità di mio padre; una persona fuori dal comune, sopra la media, che ha saputo vivere solo attraverso la forza delle sue idee e per le cose in cui credeva. La sua genialità in ogni caso non si manifestò solo in quella scelta che lo avrebbe condotto a divenire vignaiolo, lavorando in un ambiente dal quale tutti stavano fuggendo, ma si esternò soprattutto nella preparazione accurata del suo cambio di occupazione attraverso una strategia di marketing, unica per quei tempi, che gli garantì presto un reddito sicuro, caso più unico che raro per un’attività vitivinicola. Raccontava che, di sera, con mia madre Gloria compilava e spediva a potenziali clienti delle cartoline in cui proponeva la degustazione e l’eventuale acquisto dei vini Schiopetto. Gli interessati ricevevano a casa mio padre che riusciva non solo a vendere il suo vino, ma anche a utilizzare quel nucleo familiare come promozione dello stesso: il passa parola presso i ristoranti del circondario funzionava meglio di qualsiasi pubblicità.



Quello che ci spinge quotidianamente a impegnarci in tutto quello che facciamo è, di sicuro, il suo ricordo. Ci restano ancora vive nella memoria la sua vivacità, la sua volontà, la sua testardaggine nel voler perseguire gli obiettivi e la sua capacità di trasferirci i valori delle sue idee. La forza delle idee è l’insegnamento fondamentale che abbiamo ricevuto da Mario, insieme all’altro pilastro che ci sorregge: l’orgoglio, quello sano e schietto, non discriminante e grezzo, quell’orgoglio che ci ha fatto prendere coscienza di appartenere a uno splendido territorio, di cui ci sentiamo parte integrante; un orgoglio che ci fa credere ai valori racchiusi all’interno di un nucleo familiare compatto come il nostro, che ci fa sperare di essere sempre in grado di accettare la sfida di una piccola azienda vitivinicola che si è lanciata nel mercato globale. Sappiamo che tutto ciò non basta per riuscire a vincere le sfide e siamo sempre più convinti che non sia sufficiente produrre solo prodotti di qualità per riuscirci. Riteniamo che ci sia bisogno di costruire intorno al vino un “sistema” capace di proteggerlo e di promuovere l’enorme ricchezza che ogni singola realtà produttiva sa trasferire all’interno di una bottiglia. È in quella bottiglia che si concentrano l’amore, la passione, la dedizione e la conoscenza di quei vignaioli che, come noi, si tramandano la cultura del vino. Sono le piccole “famiglie-azienda” che devono essere valorizzate, perché sono quelle che amano il loro territorio, lo sanno salvaguardare e proteggere, lo sanno valorizzare e, conoscendo le sue reali potenzialità, sanno ciò che esso è in grado di dare, interpretandolo e leggendone le mille sfumature che il “tempo” sa trasferire al vino che producono. Questo è il Friuli delle idee, di cui parlava spesso Mario, che sapeva bene che solo con la genialità e la volontà questo territorio poteva porsi all’attenzione come una delle migliori aree produttive al mondo per i vini bianchi. Sono idee forti, forse solo dei sogni, con i quali però possiamo provare a costruire una riconoscibilità di quegli elementi che contraddistinguono una bottiglia di vino friulano, che contiene la storia di questo splendido territorio e degli uomini che vi operano: uomini seri, responsabili, rispettosi dell’ambiente e delle tradizioni, che si stanno impegnando per riuscire a fare i migliori vini bianchi del mondo e che indossano il proprio territorio come un abito.

ALTRI VINI I Bianchi: Collio Pinot Bianco Doc (Pinot Bianco 100%) Collio Tocai Friulano Doc (Tocai Friulano 100%) Collio Sauvignon Doc (Sauvignon 100%)

I Rossi: Igt Venezia Giulia Podere dei Blumeri (Merlot 70%, Cabernet Sauvignon 15%, Refosco dal Peduncolo Rosso 15%)


Mario Schiopetto Bianco

339

Igt Bianco Venezia Giulia ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è un blend delle migliori uve di Chardonnay e Tocai Friulano provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nel comune di Capriva del Friuli e a Oleis, nella zona dei Colli Orientali del Friuli, che hanno un’età media di 20 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni costituiti da marna eocenica ad un’altitudine di 60 metri s.l.m. con esposizione a sud / sud-est. UVE

IMPIEGATE:

Chardonnay 55%, Tocai Friulano 45%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot e cordone speronato DENSITÀ

DI IMPIANTO:

4000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito nella seconda decade di settembre, segue una pressatura soffice e un periodo di decantazione di 12-16 ore, in assenza di So2, alla temperatura di 16°C. I mosti così ottenuti non vengono chiarificati, quindi si inseriscono i lieviti selezionati e si dà avvio alla fermentazione alcolica che si protrae per 7-10 giorni alla temperatura controllata compresa tra i 18 e i 20°C per il 60% in tini di acciaio inox termocondizionati, per il 40% in botti di rovere francese di Allier. Quindi il vino viene lasciato maturare negli stessi contenitori per circa 9 mesi; durante questo periodo, vengono effettuati sia dei bâtonnage, per il vino posto nel legno, sia dei sur lies con sistemi meccanici per il vino posto nei tini di acciaio. La movimentazione delle fecce nobili contribuisce nel vino che passa in legno, allo svolgimento della fermentazione malolattica, che è fatta svolgere completamente. Alla conclusione di questo periodo viene costituito l’assemblaggio delle partite, dopo di che il vino subisce un ulteriore affinamento in bottiglia di 6 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

13000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: All’esame visivo il vino si presenta di un colore giallo paglierino carico, mentre al naso esprime profumi ampi di mela cotogna, burro fuso e note balsamiche e floreali che ne arricchiscono il bouquet con piacevoli sensazioni di tostatura e sentori di tè nero. Pieno, largo, morbido, al gusto rivela nuances minerali e di vaniglia con note biscottate, risultando estremamente piacevole ed equilibrato. PRIMA LE

ANNATA:

2002

MIGLIORI ANNATE:

2002

NOTE: Il vino, dedicato alla memoria di Mario Schiopetto, raggiunge la maturità dopo 3 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 3 e gli 8 anni.


Blanc des Rosis Igt Bianco Venezia Giulia ZONA DI PRODUZIONE: Il Blanc des Rosis è un blend delle migliori uve Tocai Friulano, Sauvignon, Malvasia, Pinot Grigio e Ribolla provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nel comune di Capriva del Friuli, che hanno un’età media compresa fra i 15 e i 20 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni costituiti principalmente da marna eoce-

raggiungono la maturazione ottimale, segue una pressatura soffice e un periodo di decantazione di 16 ore alla temperatura di 16°C di tutti i mosti in assenza di So2. Terminata questa fase, si inseriscono i lieviti selezionati e si dà avvio alla fermentazione alcolica che si protrae per 710 giorni alla temperatura controllata compresa tra i 16 e i 20°C per il 95% in recipienti di acciaio inox termocondizionati, mentre il 5% della Malvasia svolge la fermentazione alcolica e la successiva malolattica in tonneau. Durante l’affinamento sui lieviti che dura 8 mesi, periodicamente vengono effettuati sia dei bâtonnage, per il vino posto nel legno, sia dei sur lies con sistemi meccanici per il vino posto nei tini di acciaio, al fine di movimentare le fecce nobili che sono utilizzate per migliorare l’affinamento. Nel mese di maggio dell’anno successivo alla vendemmia viene effettuato l’assemblaggio delle varie partite e, dopo un breve periodo di stabilizzazione e un leggero filtraggio, il vino è messo in bottiglia per un ulteriore affinamento che si protrae per altri 2 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

23000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Giallo paglierino con riflessi dorati; profumi intensi caratterizzati dalla presenza di note fruttate, aromatiche e vegetali ben equilibrate tra loro. Al gusto evidenzia sensazioni di freschezza e morbidezza; di grande struttura, lungo e persistente al retrogusto. PRIMA LE

nica ad un’altitudine di 60 metri s.l.m. con esposizione molto variabile.

ANNATA:

1986

MIGLIORI ANNATE:

1999 - 2001 - 2003

NOTE: Il vino, che porta un nome di fantasia di rosa bianca proprio per le sue spiccate note floreali, raggiunge la maturità dopo 2 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 2 e i 5 anni.

UVE IMPIEGATE: Tocai Friulano 40%, Pinot Grigio 20%, Sauvignon 15%, Malvasia 15%, Ribolla 10% SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot e cordone speronato DENSITÀ

DI IMPIANTO:

4000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che viene effettuata quando le uve

Capriva del Friuli


Pinot Grigio

341

Collio Pinot Grigio Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Pinot Grigio provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nel comune di Capriva del Friuli, che hanno un’età media di 15 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni costituiti da marna eocenica ad un’altitudine di 60 metri s.l.m. con esposizione a sud / sud-est.

mentazione che si protrae per 10 giorni alla temperatura controllata compresa tra i 18 e i 22°C. Il vino successivamente viene lasciato affinare per 7-8 mesi, mentre periodicamente, con dei sur lies avviati con sistemi meccanici, si movimentano le fecce nobili che sono utilizzate per migliorare l’affinamento. Di solito, nel mese di maggio dell’anno successivo alla vendemmia, il vino, dopo un breve periodo di stabilizzazione e un leggero filtraggio, è messo in bottiglia per un ulteriore affinamento che si protrae per altri 2 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

22000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un bel colore giallo dorato con riflessi ramati; al naso regala sensazioni intense, calde e fragranti con sentori di frutta esotica e fiori di acacia e una vena leggera di tostatura. Al palato è delicato, ma intenso, denota carattere, raffinatezza e ottima struttura e ripropone le sensazioni avvertite all’esame olfattivo. PRIMA LE

ANNATA:

1970

MIGLIORI ANNATE:

1996 - 1999 - 2001 - 2003

NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 2 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 2 e i 5 anni.

UVE

IMPIEGATE:

Pinot Grigio 100%

L’AZIENDA: Di proprietà della famiglia Schiopetto dal 1965, l’azienda agricola si estende su una superficie complessiva di 40 Ha, di cui 30 vitati e il resto occupati da seminativi e boschi. Collaborano in azienda l’agronomo Marco Simonit e gli enologi Giorgio Schiopetto e Mauro Simeoni.

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

4000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito nella prima decade di settembre, segue una pressatura soffice e un periodo di decantazione di 16 ore a una temperatura di 16°C in assenza di So2. Si procede quindi alla fermentazione alcolica, in vasche di acciaio inox termocondizionati, con l’innesto di 7/10 dei lieviti selezionati, una fer-

Capriva del Friuli


Devo ammettere che qualche volta mi sorgevano seri dubbi sulla scelta di vita che avevo effettuato e che mi aveva indotto a lasciare un sicuro e tranquillo impiego in banca, dove ero rimasto per ben 17 anni, per occuparmi di terra e vigne, abbracciando questo affascinante e meraviglioso mondo del vino. Quelli erano momenti di riflessioni, titubanze e paure dovute forse al cambiamento radicale delle mie abitudini o all’improvvisa necessità di doversi immergere in faccende assai articolate e complesse o forse solo l’effetto della troppa “ossigenazione” che colpisce chi è abituato a lavorare in luoghi chiusi e che si trova, improvvisamente, all’aria aperta. Tutto richiedeva attenzione e riflessione e ogni cosa che facevo modificava profondamente il mio modo di affrontare le cose. Devo dire che mi bastava poco, però, per ritrovare la mia serenità; infatti era sufficiente che mi fermassi a guardare ciò che mi circondava, magari trovando il tempo per rilassarmi nella quiete di questa meravigliosa campagna, per capire che la scelta che avevo fatto era quella giusta e che non dovevo avere nessun ripensamento. Mi bastava osservare, dalla finestra di casa, il dolce ondulare delle colline e il volo di un falco o, semplicemente, annusare l’odore della terra o quello del mosto per comprendere quale fosse l’importanza e la portata della mia scelta: le emozioni che stavo vivendo, epidermicamente, potevano solo spingermi ad andare avanti più di qualsiasi autoconvincimento. All’inizio avevo delle perplessità e dei dubbi. Non è stato facile, come qualcuno potrebbe pensare, passare dall’ufficio di uno sportello bancario, dove si scartabellano documentazioni per finanziamenti e fidi, a una cantina, dove si ragiona in termini di alcol e polifenoli, macerazioni e fer-

S

SCUBLA

Roberto Scubla

mentazioni. Non è la solita cosa lavorare a contatto con la gente adoperandosi nella risoluzione di problematiche giornaliere o stare in silenzio fra le vigne lavorando per ciò che accadrà fra un anno. No, non tutto può riuscire così facile o essere così immediato, anzi, posso assicurare che mi è costato un bel po’ questo mio trasformismo, molto di più di quanto possa apparire nel raccontarlo. Per riuscire in ciò occorrono non solo forte convinzione e determinazione, ma anche una grande forza di volontà che sia in grado di imporre, cavalcando il grande sogno di una vita, scelte importanti per l’esito del futuro. In quei momenti difficili sono sempre voluto rimanere da solo, anche quando avvertivo la necessità di un supporto o di una spalla, come nei primi tempi, quando moltissime persone si affacciavano sulla porta di questa casa per propormi servizi di ogni genere, macchinari di ogni tipo e consulenze enologiche adatte per ogni stagione. Io ho sempre voluto crescere con le mie forze e con la mia testa e rammento che avevo escogitato un modo singolare per non ascoltare cosa mi dicevano quei “guru”. Partendo dal presupposto che non volevo che nessuno mi influenzasse nelle mie scelte enologiche con le sue intuizioni o le sue esperienze, ricordo che li lasciavo parlare senza ascoltare ciò che dicevano, osservando muoversi rapide e veloci quelle loro labbra, dalle quali non udivo uscire nessun suono interessante per me. Non so se quel mio atteggiamento era imputabile all’inesperienza di quegli inizi o alla paura che avevo di accorgermi di sbagliare dando retta a troppi consiglieri che ringraziavo e salutavo garbatamente, ma senza che una sola parola di quello che mi avevano detto modificasse il mio pensiero.



Volevo che fossero le mie scelte a determinare i successi o gli insuccessi che sarebbero arrivati e mi avrebbero caratterizzato. Presi possesso dell’azienda due giorni prima della vendemmia e ricordo che mi ritrovai, insieme al mio fattore e a suo figlio, a inchiodare delle tavole sul tetto della cantina, affinché questo non cascasse sui quei due o tre tini sottostanti, volendo evitare, contemporaneamente e per quanto fosse possibile, che gli stessi si bagnassero in caso di pioggia. C’era da mettere mano a tutto: ogni angolo dell’azienda richiedeva un intervento e anche la stessa struttura era fatiscente, ma la cosa non mi preoccupava più di tanto; mi bastava sedermi sotto il gelso secolare davanti casa per rinfrancarmi e ritrovare dentro nuove forze e nuove energie e comprendere come fosse cambiata in meglio la mia vita. Non avevo esperienza; qui non avevo trovato né un’azienda avviata, né una minima traccia storica sulla quale poter cercare conferme e in mano avevo poche sicurezze. Ma, ad essere sincero, non partivo completamente da zero in quest’avventura nel mondo del vino; dalla mia parte avevo poche cose, ma sicuramente due o tre certezze che mi sono servite per riuscire a raggiungere gli obiettivi che mi ero prefissato: avevo il coraggio e l’intraprendenza, la curiosità e il desiderio di crescere e inoltre un patrimonio viticolo di vigne vecchie poste su terreni splendidi. Erano elementi sui quali potevo contare, forse piccoli particolari, ma certamente punti sui quali incominciare a ragionare e concretizzare il desiderio di fare in questa azienda il mio “grande vino”. In questi quindici anni ho rincorso le mie passioni e i miei sogni che si sono accavallati e intrecciati fra loro tanto da consentirmi di costruire un futuro molto diverso da quello che avrei avuto se fossi rimasto a lavorare in banca. So che non sono ancora arrivato a fare il mio “grande vino”, ma sto lavorando per riuscirci e in questo impegno ogni giorno che passa scopro quanto mi siano state utili le esperienze che ho vissuto, a partire proprio da quei diciassette anni passati in quell’ufficio, fino agli studi universitari di Biologia: ogni cosa ha fatto in modo che io mi accostassi al mondo del vino in modo equilibrato, facendomi diventare migliore di come ero, raggiungendo obiettivi più grandi di quelli che avrei potuto immaginare.

ALTRI VINI I Bianchi: Colli Orientali del Friuli Pinot Bianco Doc (Pinot Bianco 100%) Colli Orientali del Friuli Sauvignon Doc (Sauvignon 100%) Colli Orientali del Friuli Tocai Friulano Doc (Tocai Friulano 100%)

I Rossi: Colli Orientali del Friuli Merlot Doc (Merlot 100%) Colli Orientali del Friuli Doc Rosso Scuro (Merlot 80%, Cabernet Sauvignon 20%)

Colli Orientali del Friuli Verduzzo Friulano Doc Cràtis (Verduzzo Friulano 100%)


Pomèdes

345

Colli Orientali del Friuli Bianco Doc ZONA DI PRODUZIONE: Pomèdes è un blend delle migliori uve Pinot Bianco, Tocai Friulano e Riesling Renano provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nella frazione Ipplis del comune di Premariacco, che hanno un’età media di 40 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni composti da marne e arenarie di origine eocenica ricchi di minerali ad un’altitudine di circa 120 s.l.m. con esposizione a sud-ovest. UVE

IMPIEGATE:

Pinot Bianco 50%, Tocai Friulano 35%, Riesling Renano 15%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Cappuccina e guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

3500-4000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito nella seconda metà di settembre, si procede a una soffice pressatura e il mosto ottenuto è lasciato decantare in tini di acciaio inox per circa 12 ore alla temperatura di 12°C. Terminata questa fase e dopo l’inserimento dei lieviti selezionati, il vino è posto in barrique di rovere francese di primo e secondo passaggio, dove effettua la fermentazione alcolica che dura circa 20 giorni alla temperatura controllata di 18°C e dove vi rimane a maturare per 8 mesi senza svolgere la fermentazione malolattica. Al termine del periodo di maturazione si procede all’assemblaggio delle varie partite e, dopo un breve periodo di stabilizzazione, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento che si protrae per altri 4 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

6000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un colore giallo paglierino con riflessi dorati, con un bouquet aromatico, persistente e ampio di profumi che spaziano dai sentori di pesca a pasta gialla, vaniglia e burro fuso. Al gusto risulta equilibrato, elegante con sapori intensi e raffinati e un lungo retrogusto che riconduce alle percezioni olfattive. PRIMA LE

ANNATA:

1995

MIGLIORI ANNATE:

1998 - 1999 - 2000 - 2001

NOTE: Pomèdes è il nome di un fianco delle Tofane e dell’omonimo rifugio sopra Cortina d’Ampezzo, dove Roberto Scubla e Gianni Menotti, bloccati da una tormenta di neve mentre sciavano, pensarono al progetto di questo vino. Raggiunge la maturità dopo 3 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 3 e i 6 anni. L’AZIENDA: Di proprietà di Roberto Scubla dal 1991, l’azienda agricola si estende su una superficie complessiva di 12 Ha, tutti vitati. Collabora in azienda, come agronomo ed enologo, Gianni Menotti.


Non ricordo il mese, ma sicuramente era la primavera del 1972 quando decisi di prendere il treno che mi portò da Gambellara a Cervignano del Friuli, scendendo a una delle poche fermate che a quei tempi faceva il rapido fra Venezia e Trieste. Avevamo deciso, con la famiglia, di investire nel territorio friulano che iniziava proprio a quei tempi a rivelarsi, come Regione, con segnali importanti di risveglio enologico: risveglio che, in capo a trent’anni, ha condotto il Friuli a una costante crescita facendolo divenire una delle regioni più interessanti e dinamiche nel panorama vitivinicolo italiano. Non nascondo che quando arrivai rimasi un po’ perplesso: alcune zone erano coltivate ancora in modo un po’ arcaico ed anche alcuni vini all’assaggio non mi entusiasmarono. Girando per la campagna scoprii però, intorno ad Aquileia, un ambiente di intensa bellezza, ancora incontaminato, nel quale c’era la possibilità di costruire un’azienda di grande interesse e di dimensioni rilevanti. Era una sfida ed era stimolante. Tutto contribuiva a convincermi a prendere in seria considerazione l’ipotesi di quell’investimento. L’ambiente appariva ideale per la viticoltura, con la sua incredibile, variegata alternanza di terreni dalle venature ghiaiose miste a marne e argilla, e poco più in là, di suoli ghiaiosi e ricchi di scheletro, blanditi da un clima temperato e asciutto, grazie alla vicinanza dell’Adriatico. A rendere intrigante, ma anche spettacolare quella campagna erano le “fiumare”, veri e propri fiumi sotterranei che, all’improvviso, un po’ ovunque, affiorano, delimitando il paesaggio, con

T

TENUTA CA’ BOLANI

Gianni e Silvana Zonin

canali più o meno grandi, fino al mare non molto distante. Per quanto riguardava la qualità dei vini, mi resi conto, parlando con i vignaioli e i contadini della zona, dei motivi che non ne avevano ancora permesso il decollo; parecchi impianti erano realizzati con vecchi sistemi di allevamento, avevano sesti d’impianto larghi e un basso numero di ceppi per ettaro: con quella tipologia operativa era difficile vendemmiare uve di elevata qualità. Comparando la qualità dei vini che avevo degustato con la tecnica utilizzata nelle cantine, di cui conoscevo ormai i limiti, capii che, con un giusto programma, avremmo potuto portare la nostra futura azienda ai vertici del panorama vitivinicolo del Nord Italia, e, stimolando l’emulazione, se avessimo avuto successo, avremmo potuto esercitare un ruolo propulsivo sull’intero territorio. Così è stato. Con un serio lavoro di ristrutturazione, oggi la tenuta Ca’ Bolani è riuscita ad andare oltre le più rosee previsioni, portando questa realtà friulana a diventare davvero una fra le più importanti aziende vitivinicole italiane, con oltre 550 ettari di vigneto, su un’estensione complessiva di 950 ettari. Siamo contenti delle nostre scelte e siamo ottimisti per il futuro, orgogliosi di aver puntato, andando controcorrente, più sui vini rossi che su quelli bianchi e, in special modo, sul Refosco dal peduncolo rosso, un vitigno autoctono che in quest’area raggiunge ottimi livelli qualitativi. È incoraggiante constatare come, nel panorama enologico italiano, mentre alcune regioni di rilevanza storica stanno perdendo quote di mercato a favore di altre



come la Sicilia o la Puglia, che sono in forte crescita, il Friuli stia tenendo con fermezza le posizioni fin qui acquisite. Riteniamo tuttavia che ciò non sia sufficiente ed è per questo motivo che, in un momento storico così delicato, abbiamo deciso di non puntare soltanto sulle varietà a bacca bianca che hanno fatto la gloria della regione, ma anche sui vitigni autoctoni a bacca rossa, gli unici che riteniamo in grado di far fare al Friuli quel balzo in avanti, che tutti ci auguriamo, nel panorama enologico internazionale. È certo che il consumatore si sta avvicinando sempre di più a un gusto internazionale del vino, un gusto che propone bianchi rotondi, un po’ grassi e corposi e rossi ben strutturati che ricordano quelli prodotti nei paesi del Nuovo Mondo. Se anche altri produttori friulani lavoreranno per valorizzare le varietà autoctone a bacca rossa, sono certo che tutto il comparto vitivinicolo del Friuli ne trarrà vantaggio. Non so cosa faranno gli altri, ma le nostre scelte sono ben delineate in funzione delle nostre strategie, delle nostre dimensioni e dei nostri mercati di riferimento. Questo non significa che stiamo abbandonando e dimenticando i vigneti di Tocai e di Pinot bianco, ci mancherebbe altro: non si può trascurare l’eccellenza della regione. Vuol dire più semplicemente che i 30 o 40 ettari di nuovi vigneti che annualmente impiantiamo sono per la maggior parte di vitigni autoctoni e di uve a bacca rossa. Personalmente credo molto in questa terra e nella sua potenzialità per il futuro e tale fiducia mi è trasmessa dal fatto che ho trovato qui un alto senso civico e il rispetto per le cose, per le persone, per la proprietà. In una regione che produce tanto vino quanto la provincia di Vicenza, e dove vi sono oltre 900 imbottigliatori, è bello constatare come tutte le forze in campo, piccole e grandi aziende, siano impegnate a tutelare, salvaguardare e migliorare il proprio territorio, come sta facendo del resto da anni la nostra tenuta Ca’ Bolani. Qui la terra ha ancora un valore spirituale e sono più profonde che altrove le radici della parola “vignaiolo”. Sono lontane da questo territorio quelle speculazioni edilizie che troppo spesso prosperano in altre regioni ormai più attente ai valori dell’edilizia industriale e ai capannoni che a quelli della buona terra. Ho sempre condiviso lo spirito dei contadini friulani, mi è sempre piaciuta la loro sensibilità nel saper conservare e abbellire l’ambiente, la natura, il paesaggio e ciò che altri hanno saputo trasferire loro, ed è per questo che a Ca’ Bolani mi sono impegnato, anno dopo anno, per migliorare ciò che decisi di acquistare oltre trent’anni fa. E ho la presunzione di ritenere che i progressi della nostra azienda, coincidendo con le esigenze del territorio, abbiano fatto fare un passo avanti al bene comune. Se non fosse stato così, riterrei di non aver fatto completamente il mio dovere d’imprenditore.

ALTRI VINI I Bianchi: Friuli Aquileia Sauvignon Doc (Sauvignon 100%)

I Rossi: Friuli Aquileia Cabernet Franc Doc (Cabernet Franc 100%) Igt Rosso Venezia Giulia Conte Bolani (Refosco dal Peduncolo Rosso 60%, Merlot 20%, Cabernet Sauvignon 20%)


Opimio

349

Igt Bianco Venezia Giulia ZONA DI PRODUZIONE: Opimio è un blend delle migliori uve Chardonnay e Tocai Friulano provenienti dai vigneti dell’azienda situati nel comune di Terzo di Aquileia, che hanno un’età media di 15 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni a tessitura calcareo-argillosa, mediamente profondi e tali da agevolare una maggior esplorazione delle radici, favorendo un miglior equilibrio della vite. UVE

IMPIEGATE:

Chardonnay 50%, Tocai Friulano 50%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Cordone speronato per lo Chardonnay, guyot per il Tocai Friulano DENSITÀ

DI IMPIANTO:

5000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito durante tutto il mese di settembre fino ai primi di ottobre, si procede ad una soffice pigiatura e si tiene il mosto a contatto pellicolare con le bucce per 24 ore a 5°C; a questo fa sèguito la pressatura e, dopo un illimpidimento naturale, si dà avvio alla fermentazione alcolica a temperatura controllata che il Tocai Friulano svolge in piccoli serbatoi di acciaio inox, mentre lo Chardonnay svolge in barrique. Terminata questa fase i vini vengono assemblati in acciaio dove restano 7 mesi per la maturazione. Nel mese di giugno dell’anno successivo alla vendemmia il vino viene messo in bottiglia per un ulteriore affinamento che si protrae per almeno 4 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

18000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Colore giallo paglierino tenue; all’esame olfattivo offre profumi floreali e fruttati, con sentori di rosa appassita, fiori di mandorla e mela golden. In bocca risulta pieno, elegante e sapido con un finale lungo e persistente. PRIMA LE

ANNATA:

1995

MIGLIORI ANNATE:

1995 - 1997 - 1998 - 2000 - 2002

NOTE: Il vino è dedicato a Opimio, console romano ad Aquileia nel II secolo a.C., artefice dello sviluppo della viticoltura nella zona. Da notare che dal porto fluviale di Aquileia, in età romana, partivano ogni anno galee cariche di otri ed anfore dei migliori vini della regione destinati a Roma e ai principali mercati del bacino del Mediterraneo. Il vino raggiunge la maturità dopo 2 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 2 e i 4 anni.


Refosco

dal Peduncolo Rosso

Friuli Aquileia Refosco Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Refosco dal Peduncolo Rosso provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nella zona di Aquileia del Friuli, che hanno un’età media di 18 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni chiamati magredis, di origine alluvionale, con una tessitura calcareo-argillosa con venature ghiaiose e con esposizione a nord-sud.

bucce che dura 7 giorni a temperatura controllata. Terminata questa fase, il vino è posto in barrique di rovere francese di Allier (30% nuove, 30% di secondo passaggio, il resto di terzo passaggio), dove effettua la fermentazione malolattica e rimane 12 mesi per la maturazione. Trascorso questo tempo viene effettuato l’assemblaggio delle partite e il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento che si protrae per altri 6 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

15000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un colore rosso rubino intenso, con profumi complessi di frutti di sottobosco, tra cui mora selvatica, ribes e lamponi, con note speziate, di tabacco e liquirizia. In bocca risulta strutturato, armonico, di buon corpo, con un retrogusto lungo e piacevole. PRIMA LE

ANNATA:

1994

MIGLIORI ANNATE:

1999 - 2001

NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 4-5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 10 anni.

UVE

IMPIEGATE:

Refosco dal Peduncolo Rosso 100%

L’AZIENDA: La Tenuta Ca’ Bolani, di proprietà della famiglia Zonin dal 1972, si estende su oltre 950 Ha, dei quali 550 vitati (75 a Cervignano del Friuli, 318 a Molin del Ponte in località Strassoldo e 157 a Terzo di Aquileia) e il resto dedicati ad altre colture e a bosco. Il Direttore Responsabile della Tenuta è l’enologo Lorenzo Costantini, e con lui collaborano l’agronomo Gabriele Carboni e l’enologo Roberto Marcolini, coadiuvati dall’enologo Franco Giacosa e dall’agronomo Carlo De Biasi.

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot bilaterale DENSITÀ

DI IMPIANTO:

5500 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene manualmente nel mese di ottobre, si avvia la fermentazione alcolica che si protrae per circa 7 giorni ad una temperatura compresa tra i 25 e i 28°C in recipienti di acciaio inox, coadiuvata da un solo délestage durante tutta la fermentazione, mentre contemporaneamente si procede alla macerazione sulle

Terzo di Aquileia



Appartengo a una famiglia di contadini slavi: mio padre Darinko, mia madre Liliana e sei figli, quattro maschi e due femmine. Abbiamo sempre abitato su questa terra di confine, qui a San Floriano del Collio e su questo territorio abbiamo vinto e perso le nostre piccole battaglie personali, fatte di sopravvivenza, miseria e tanti sacrifici. Eravamo mezzadri, poi, quando nacqui io nel 1961, mio padre decise che era giunto il momento di incominciare a comprare un po’ di terra dai suoi padroni, così, piano piano, un pezzo alla volta, è riuscito a mettere insieme altri terreni che con il tempo, insieme, abbiamo destinato esclusivamente alla viticoltura. Oggi conduco questa azienda con l’importante e determinante contributo di Darinko, un aiuto di cui non potrei fare a meno, ed è con lui che condivido una quotidianità fatta di tanti sacrifici, che sono resi meno gravosi dalle soddisfazioni che negli ultimi tempi giungono sempre più con frequenza. Lavoro bene insieme a mio padre; ci basta uno sguardo per comprenderci, ma, pur trovandoci uno accanto all’altro, riusciamo incredibilmente a rimanere in silenzio per intere settimane. Silenzi ritmati da un’infinità di gesti abituali che ognuno compie con la certezza che gli stessi non possono essere rimandati e che devono essere compiuti per forza in quel tempo stabilito, con la consapevolezza della loro utilità per il raggiungimento di un grande risultato finale. Ogni tanto mi fermo a guardarlo e mi domando quale significato possano avere quei lunghi silenzi che da sempre contraddistinguono il nostro rapporto. Nello scrutarlo, come ho sempre fatto per carpirgli i segreti del mestiere, mi rendo conto che i nostri silenzi sono voluti, forse sono anche ricercati da entrambi e credo che siano basati sulle difficoltà che ognuno di noi due ha nel trovare le

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TERPIN

Franco Terpin con la moglie Daniela e le figlie Valentina e Sara

parole giuste per esprimere all’altro i propri stati d’animo derivanti dal vivere, in modo molto personale e profondo, ognuno un suo rapporto con la natura, con la terra, con la vigna e con il mondo del vino. Sempre a capo chino con lo sguardo verso terra. Con lo sguardo attento ora rivolto a quella pianta o a quella foglia, ora a quella radice o a quel grappolo; con lo sguardo curioso che si alza verso il cielo, non tanto per “parlare” con Dio, ma per ascoltare il “grido” del falco che in stallo ondeggia al vento in attesa di poter sferrare l’attacco o per il rombo del tuono che fa eco al frastuono di un altro, un po’ più lontano; un borbottìo dopo l’altro al seguito dei quali, di solito, posiamo la vanga, la zappa, ci mettiamo in tasca le forbici e scrollataci di dosso la polvere e dopo aver battuto per terra, forte, le scarpe piene di terra, ci avviamo verso casa al ritmo leggero della pioggia che incomincia a cadere, nell’attesa che cessi presto e che si alzi l’arcobaleno, proprio di fronte a noi, sulle montagne della Slovenia. Anche nel silenzio che la terra mi regala scopro di non avere un grande rapporto con Dio e non ho mai provato a parlare con Lui, non ne ho mai sentito il bisogno, del resto ho parlato sempre poco anche con mio padre e devo dire che non ho sentito la necessità di parlare o discutere con qualcuno che mi stesse sopra. È stato mio padre, con il suo esempio, che mi ha insegnato a rispettare la natura, della quale credo di essere diventato un elemento attivo, confrontandomi quotidianamente con lei e avendone un grande rispetto. Del resto sono stato educato così fin da bambino, con pochi elementi chiari e precisi, che potevano essere osservati e discussi senza troppe preghiere o pensieri mistici: qui o portavi la



bandiera rossa o portavi il crocifisso e io la bandiera rossa l’avevo in casa, era quella di mio padre, che a soli 14 anni, durante la seconda guerra mondiale, se ne era andato con i partigiani rossi. I nostri sono silenzi piacevoli di cui oggi non riuscirei a fare a meno, interrotti, di tanto in tanto, dall’arrivo dei miei fratelli che, lasciati i loro rispettivi impegni lavorativi, “beceroni” e chiassosi come quelli che non vivono quotidianamente la terra, si aggirano fra i filari delle vigne con l’intento di darci una mano ora nei lavori più pesanti, ora nella vendemmia. Trovo che quei silenzi mi servono anche per sognare e distrarmi dalla quotidianità, così da rifugiarmi in un mondo semplice, ma molto intimo, fatto di mille cose alle quali aspiro e che penso di poter realizzare. Quei sogni danno forza alle mie grosse braccia che non sentono più la stanchezza e il sacrificio; grazie a quei sogni mi porto avanti con i lavori per progettare un futuro diverso per le mie figlie, Valentina e Sara, e per mia moglie Daniela; con essi programmo i nuovi vigneti, il nuovo vino, il prossimo viaggio, la prossima degustazione ed è con quei sogni che tengo vivo il mio senso di appartenenza al territorio, che ravvivo la tradizione e il rispetto per le cose che mi circondano, per sentirmi vignaiolo, vincere le mie sfide e combattere le mie paure. Dalla mia parte ho una grande serenità e la consapevolezza di essere solo “di passaggio” e per questo non mi dò molta importanza, pur prendendomi sul serio e dando tutto me stesso al mio lavoro che mi piace e mi fa stare bene con la gente che mi auguro parli bene del mio vino.

ALTRI VINI I Bianchi: Collio Ribolla Gialla Doc (Ribolla Gialla 100%) Igt delle Venezie Pinot Grigio Sialis (Pinot Grigio 100%)

I Rossi: Collio Rosso Doc (Merlot 60%, Cabernet Sauvignon 40%)


Collio Bianco

355

Collio Bianco Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è un blend delle migliori uve Chardonnay, Pinot Grigio, Sauvignon e Tocai Friulano provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nel comune di San Floriano del Collio, che hanno un’età compresa di tra i 10 e i 50 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni composti da marne e arenarie di origine eocenica ad un’altitudine compresa tra i 100 e i 150 metri s.l.m. con esposizione a sud / sud-ovest. UVE

IMPIEGATE:

Chardonnay 25%, Pinot Grigio 25%, Sauvignon 25%, Tocai Friulano 25%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Cappuccina e guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

dai 3000 ai 5000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito nel mese di settembre, le uve vengono unite nella pressa e si procede a una soffice pigiatura e il mosto viene raffreddato per circa 12 ore ad una temperatura a 10°C, dopo di che si inseriscono i lieviti selezionati e si dà avvio alla fermentazione alcolica che si protrae per 10-15 giorni ad una temperatura non controllata in recipienti di acciaio inox. Non appena si è innescata la fermentazione alcolica, il vino viene messo in barrique di rovere francese di primo e secondo passaggio, dove rimane per 12 mesi durante i quali, periodicamente, sono effettuati dei bâtonnage al fine di movimentare le fecce nobili che sono utilizzate per guidare tecnicamente la fermentazione malolattica che è fatta svolgere completamente. Di solito, prima della vendemmia successiva viene effettuato l’assemblaggio delle partite e, dopo un breve periodo di stabilizzazione, ma senza alcun filtraggio, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento di altri 7 mesi prima di essere commercializzato. QUANTITÀ

PRODOTTA:

9000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un colore giallo paglierino carico; all’olfatto offre profumi intensi e persistenti sia di frutta bianca, sia di frutta gialla molto matura, fiori bianchi, vaniglia e sfumature minerali. In bocca ripropone le sensazioni avvertite al naso, è caldo, setoso, molto morbido ed equilibrato; di grande struttura, ha un finale assai lungo e di grande eleganza. PRIMA LE

ANNATA:

1997

MIGLIORI ANNATE:

1997 - 1999 - 2001

NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 3 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 3 e i 5 anni. L’AZIENDA: Di proprietà di Franco Terpin dal 1994, l’azienda agricola si estende su una superficie complessiva di 11 Ha, di cui 9 vitati e 2 occupati da boschi. Collaborano in azienda l’agronomo Alessandro Zanutta e l’enologo Attilio Pagli.




Sono convinto che il mio sia il più bel lavoro del mondo e nel farlo sorrido, felice di vivere ogni giorno a contatto con la terra e con la natura. Dal 1987 ho scelto di fare il contadino e mi sono impegnato per farlo bene, cercando di trasferire nel vino che io produco la gioia che provo nell’essere e nel sentirmi un vignaiolo friulano. Appartengo a quella categoria di uomini che crede ancora che attraverso il lavoro si possano costruire cose importanti e solo tramite il sacrificio si possa arrivare a concretizzare i sogni che ognuno si porta dentro. È con questo spirito che ogni giorno dell’anno, fischiettando, vado a lavorare in mezzo ai miei filari, con la tranquillità di chi, alla fine della giornata, ha la consapevolezza di aver compiuto sempre il proprio dovere. Faccio vino e cerco di farlo bene. Di cosa dovrei lamentarmi? Forse del dover stare tutti i giorni a contatto con la natura, all’aria aperta, in mezzo a una bellissima campagna incastonata in questa stupenda vallata delle “tre contrade” che da Cormòns conduce in Slovenia? Cosa potrei pretendere di più dalla vita? Sto in mezzo alle mie vigne sotto un cielo terso e, quando mi va male e piove, sto immerso nei profumi della mia cantina fra i tini e le barrique. Ecco perché, quando mi fermo a riflettere su tutto questo, riconosco di essere un uomo fortunato, uno di quelli che è stato baciato dalla sorte ed è per questo che, forse, sorrido. Mi sento fortunato soprattutto se penso che avrei potuto timbrare un cartellino in qualche fabbrica e vivere in un habitat fatto di ciminiere e capannoni di un’area

T

TOROS

Franco e Renato Toros

metropolitana, piena di smog, immersa in un traffico infernale, abitata da figure anonime, numeri fra milioni di numeri. Ecco perché quando penso allo scampato pericolo, sorrido. Io, qui, raccolgo energia dal sole, dal vento e dall’acqua che bagna i miei campi e spacca la mia “ponca” e trovo forza nella memoria delle mie origini e nel pensare a tutte le persone che hanno contribuito a tracciare il solco sul quale oggi io cammino. Mi entusiasmo sempre quando mi ricordano che sono uno degli ultimi “Eduardavi”, uno di quelli a cui poter attribuire ancora il soprannome dato a tutti i discendenti del nonno Eduardo, un personaggio unico che, con i suoi due metri d’altezza e con la sua stazza da granatiere, era benvoluto in tutto il Collio. I vecchi infatti si rammentano ancora di lui e di come fosse riuscito a distinguersi sia per l’ottima reputazione di buon mediatore e di consigliere che si era conquistato nel corso degli anni, sia per quel suo orecchino, portato, a quei tempi, al lobo destro dagli uomini saggi di queste zone. Devo proprio ammetterlo: io sono uno che sta bene solo in mezzo alla vigna. Lì mi rilasso e mi sento in pace con me stesso, guardando le viti, seguendo la loro crescita, controllando lo stato di salute delle foglie, la fioritura e l’invaiatura dei primi grappoli, seguendone la maturazione, così da poter determinare, al momento giusto, i tempi della vendemmia. Quello che mi piace maggiormente di questo mio volontario isolamento è il silenzio e con esso la quiete che il mestiere di vignaiolo sa trasmettere, una pace che



interrompo volentieri solo per bere un bicchiere di vino con gli amici e con le persone che vengono a trovarmi in azienda. È intorno a un bicchiere di vino che si costruiscono nuove amicizie e si consolidano quelle vecchie. Con un bicchiere di vino si costruiscono meravigliosi momenti a fianco di tutti quegli innumerevoli amici che mi vengono a trovare da ogni parte del mondo. Sono attimi che mi entusiasmano e mi riempiono il cuore. Ogni occasione è buona per fare quattro chiacchiere e stappare una buona bottiglia di vino: dalla semplice visita di cortesia di qualcuno che casualmente arriva in azienda a quei momenti speciali, che cadono in maniera ciclica, come la vendemmia o la “festa” per l’uccisione del maiale, lavorato dalle mani esperte di mio fratello Renato. Queste sono situazioni che riuniscono intorno al tavolo di casa mia decine e decine di persone in chiassose serate nelle quali gustiamo piacevoli prelibatezze gastronomiche e il vino nuovo. Non sono meno piacevoli le serate passate con gli altri produttori all’enoteca, in piazza a Cormòns, parlando con loro della stagione, della vendemmia, del vino e spettegolando, come delle comari di paese, di donne e di sport. Non è da meno neanche il venerdì mattina, giorno del mercato, quando dopo aver fatto la spesa, ci ritroviamo sempre davanti a un “tajut” - un bicchiere di vino per chi non è di queste parti - dimenticandoci spesso di tornare a casa per il pranzo, e del resto non è da meno neanche la visita che mi fa ogni tanto don Paolo, il prete con il quale ci mettiamo seduti intorno al tavolo, davanti a un bicchiere di vino e a due fette di salame accompagnate da un pezzo di formaggio, e chiacchieriamo per ore. Quando se ne va, in silenzio, guardo quella veste nera allontanarsi e, fra me e me, spero che quel simpatico prete si ricordi, nelle sue funzioni, di dire una preghiera anche a mio nome al fine di intercedere e giustificarmi, in qualche modo, con Lui delle mie troppe assenze in chiesa. Poi, alzo gli occhi al cielo e, senza timore e nessuna interposta persona, mi scuso direttamente, sapendo benissimo che Lui mi conosce profondamente e sa che gli sono vicino e di questo ne sono certo perché ogni giorno percepisco la forza e la serenità che mi trasmette. I silenzi accompagnano i miei pensieri, rimango da solo, chiudo la porta e pensando a cosa dovrò fare domani, sorrido.

ALTRI VINI I Bianchi: Collio Pinot Grigio Doc (Pinot Grigio 100%) Collio Sauvignon Doc (Sauvignon 100%)

I Rossi: Collio Merlot Selezione Doc (Merlot 100%)


Tocai Friulano

361

Collio Tocai Friulano Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Tocai Friulano provenienti dai vigneti dell’azienda, posti in località Novali nel comune di Cormòns, che hanno un’età media di 20 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni composti da marne e arenarie ad un’altitudine compresa tra i 90 e i 150 metri s.l.m. con esposizione a sud-est. UVE

IMPIEGATE:

Tocai Friulano 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

4500 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito nell’ultima decade di settembre e una soffice pressatura, si procede a una decantazione statica del mosto alla temperatura controllata di 10°C per circa 24 ore. Terminata questa fase di prima chiarificazione, si inseriscono i lieviti selezionati e si dà avvio alla fermentazione alcolica che si protrae dai 15 ai 18 giorni ad una temperatura compresa fra i 15 e i 20°C, in recipienti di acciaio inox termocondizionati. Dopo questa fase, il vino viene lasciato nei contenitori di acciaio nei quali, periodicamente si procede ai sur lies con sistemi meccanici al fine di movimentare le fecce nobili che sono utilizzate per guidare tecnicamente lo svolgimento della fermentazione malolattica. Di solito nel mese di aprile viene effettuato l’assemblaggio delle partite e, dopo un breve periodo di stabilizzazione e un leggero filtraggio, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento di altri 2 mesi prima di essere commercializzato. QUANTITÀ

PRODOTTA:

8000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un colore giallo paglierino con riflessi verdolini; all’olfatto offre intensi profumi floreali, di pesca gialla e note minerali. Al gusto risulta pieno, equilibrato, asciutto, con un retrogusto lungo e persistente. PRIMA LE

ANNATA:

1990

MIGLIORI ANNATE:

1990 - 1997 - 2000 - 2001 - 2002

NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 2 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 2 e i 4 anni.


Pinot Bianco Collio Pinot Bianco Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Pinot Bianco provenienti dai vigneti dell’azienda, posti in località Novali nel comune di Cormòns, che hanno un’età media di 10 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni composti da marne e arenarie ad un’altitudine compresa tra i 90 e i 150 metri s.l.m. con esposizione a sud-est.

una temperatura compresa fra i 15 e i 20°C, in recipienti di acciaio inox termocondizionati. Dopo questa fase, il vino in parte viene lasciato nei contenitori di acciaio e per un 20% è messo in barrique di rovere francese di Allier dove rimane per 5 mesi. Periodicamente vengono effettuati sia dei bâtonnage, per il vino posto nel legno, sia dei sur lies con sistemi meccanici per il vino posto nei tini di acciaio, al fine di movimentare le fecce nobili che sono utilizzate per guidare tecnicamente lo svolgimento della fermentazione malolattica che è fatta svolgere completamente. Di solito nel mese di aprile viene effettuato l’assemblaggio delle partite e, dopo un breve periodo di stabilizzazione e un leggero filtraggio, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento di altri 2 mesi prima di essere commercializzato. QUANTITÀ

PRODOTTA:

8000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un colore giallo paglierino, con profumi di crosta di pane e note floreali. Al gusto risulta elegante, equilibrato; di struttura, al retrogusto risulta lungo e persistente. PRIMA

ANNATA:

1990

LE MIGLIORI ANNATE: 1990 - 1994 - 1997 - 2000 - 2001 - 2002 NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 2 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 2 e i 4 anni.

UVE

IMPIEGATE:

Pinot Bianco 100%

L’AZIENDA: Di proprietà di Franco Toros dal 1987, l’azienda agricola si estende su una superficie complessiva di 12 Ha, di cui 10 vitati e gli altri occupati da boschi. Svolge le funzioni di agronomo e di enologo lo stesso Franco Toros.

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

4500 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito alla metà di settembre e una soffice pressatura, si procede a una decantazione statica del mosto alla temperatura controllata di 10°C per circa 24 ore. Terminata questa fase di prima chiarificazione, si inseriscono i lieviti selezionati e si dà avvio alla fermentazione alcolica che si protrae per 15 giorni ad

Cormòns



Il vino, quando si stappa, è sempre un po’ chiuso: ha bisogno di tempo per adattarsi all’ambiente che lo circonda, poi, quando lo si versa nel bicchiere e si ossigena, ecco che si apre, comincia a tirar fuori il carattere, la personalità e i profumi, mostrandosi per quello che è: certe volte schietto, versatile e sincero, altre volte opaco, duro e stanco, incapace, in ogni caso, di fingere o di nascondersi, esprimendosi spudoratamente con pregi e difetti. Lo scopri piano piano e cominci ad apprezzarlo e a comprenderlo fino in fondo, accettandolo per quello che riesce a darti. Se è vero che questa sua “diversità” è data da molteplici elementi che interagiscono fra di loro, è altrettanto vero che è il vitigno da cui prende origine, plasmato dal clima e dall’asperità del territorio, a tracciare il distinguo fra vino e vino. È quello che caratterizza il Sangiovese in Toscana, il Nebbiolo in Piemonte e il nostro Refosco qui in Friuli; il Refosco è un vitigno che, oltre a rispecchiare il territorio friulano e il carattere dei friulani, dà origine ad un vino forte, forse un po’ rustico, ma di grande personalità che, con il tempo, si addolcisce e smussa l’asperità dei suoi tannini arrivando ad emozionarti nel momento in cui lo degusti. Sì, credo proprio di assomigliare molto a quel Refosco e non mi sorprende questa mia affermazione, perché, come quel vino, anch’io sono schietta, sincera, spigolosa e sensibile. Mi piace questo parallelismo, che adopero di frequente, fra la vita e la vite o fra il mio essere donna e il vino. Mi piace raccontarmi usando parole che vengono dal mondo del vino, perché ritengo che siano in grado di rafforzare ciò che ho da dire e di sostenere i pensieri che sto trasmettendo all’interlocutore del momen-

V

VENICA&VENICA

Giampaolo, Ornella, Gianni e Giorgio Venica

to, indipendentemente dalla sua età o dalla sua cultura. I “richiami” che queste parole fanno salire alla memoria creano emozioni ed esprimono l’inesprimibile, quello che le parole stesse, molte volte, non riescono a dire. Se il vino crea emozioni è giusto che intorno ad esso si costruisca una comunicazione che sappia raccontarlo allo stesso modo nel quale io, vivendo le mie emozioni, devo essere in grado di saperle raccontare per far comprendere chi sono realmente. Devo ammettere che la vicinanza con il mondo del vino ha contribuito molto ad aprirmi e a favorire un confronto con gli altri. Misurarmi quotidianamente con il mondo del vino mi ha cambiata e a cambiarmi hanno contribuito il disquisire sulle innumerevoli sfumature che lo contraddistinguono, quel continuo lavoro di ricerca che esso richiede, l’attenta lettura dei chiari e degli scuri del mercato, con il quale un’azienda vitivinicola si confronta sempre, l’interpretazione delle emozioni sensoriali che il vino sa trasmettere al cliente potenziale. Mi ha cambiata anche l’impegno quotidiano che richiede il vivere la terra, la vigna, la cantina e l’aspetto sociale del mio lavoro. Sono stati tutti questi fattori, ieri come oggi, che hanno consentito la mia crescita professionale, così come sono i “richiami” del mondo del vino a farmi andare oltre, a darmi nuovi stimoli, sviluppando in me una curiosità viva e instancabile che mi porta sempre a cercare di scoprire cosa vi sia dietro l’angolo. È grazie a questa esperienza che ho compreso quanto fosse importante riuscire ad essere sempre me stessa, ma, per riuscirvi, avrei dovuto fare come il “mio” Refosco, che sa dare il meglio di sé solo quando è lasciato libero di esprimersi, così da far conoscere i valori che racchiude.



In questi anni non mi sono mai guardata indietro: sono sempre stata alla ricerca di nuovi stimoli che mi facessero sentire viva, pulsante e piacevolmente immersa nel lavoro all’interno di un contesto dove mi fosse anche possibile costruire delle sicurezze. È interpretando questo percorso, fatto di sensazioni, emozioni e piccoli sogni quotidiani, che mi sono trovata a crescere professionalmente e personalmente a fianco di questa azienda di mio marito Gianni e di mio cognato Giorgio. Posso assicurare che non tutto è così facile, come non è semplice vivere le proprie emozioni e le proprie debolezze, rimanendo fedeli a se stessi anche davanti alle inevitabili scelte e indecisioni che la vita ci pone sempre davanti. Imprenditrice, donna, moglie o madre? A quale figura dare priorità? Domande che fanno riflettere e che arrivano anche a mettermi tristezza, soprattutto se penso di poter essere stata una madre assente; ecco, in quel momento spariscono la spavalderia e la frenesia che mi hanno sempre contraddistinto; in quel momento mi siedo e cerco di riflettere su come tutto ciò sia potuto accadere. È una domanda alla quale posso dare un’unica, precisa e inderogabile risposta, quella, cioè, di riappropriarmi, il prima possibile, del mio ruolo di madre, accanto a una figlia che, crescendo, mi chiede solo di essere tenuta per mano e accompagnata, in silenzio, lungo il sentiero della sua vita; una scelta che comporterà il mettere in secondo piano gli impegni frenetici che le responsabilità di un’attività comportano, ma lei… viene prima di ogni altra cosa. Con il passare del tempo ho scoperto che a questo lungo elenco di figure e di priorità manca un nome: il mio. Manca Ornella e a Ornella manca l’intimità di poter leggere un libro, il tempo di fare una passeggiata lungo il mare o di poter uscire, in una mattinata autunnale, in barca a vela senza una meta, non avendo niente davanti, sola con i propri pensieri e con i richiami della memoria. Sì, mi rendo conto che manco sempre io nell’elenco delle cose a cui pensare e credo che sia ora di mettere anche il mio nome nella lunga lista delle cose da ricordare.

ALTRI VINI I Bianchi: Collio Malvasia Doc (Malvasia 100%) Collio Chardonnay Doc Ronco Bernizza (Chardonnay 100%) Collio Pinot Bianco Doc (Pinot Bianco 100%) Collio Ribolla Gialla Doc (Ribolla Gialla 100%) Collio Bianco Doc Tre Vignis (Tocai Friulano 50%, Chardonnay 35%, Sauvignon 15%)


Ronco delle Mele

367

Collio Sauvignon Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Sauvignon provenienti dal vigneto omonimo posto nel comune di Dolegna del Collio, le cui viti hanno un’età media di 20 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: Il vigneto si trova su terreni composti da marne e arenaria di origine eocenica ad un’altitudine compresa tra i 100 e i 150 metri s.l.m. con esposizione a nord-ovest. UVE

IMPIEGATE:

Sauvignon 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Doppio capovolto DENSITÀ

DI IMPIANTO:

4500 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito i primi di settembre, e dopo una soffice pressatura, il mosto ottenuto viene lasciato a contatto con le bucce alla temperatura controllata di 8°C per 12 ore, trascorse le quali è lasciato decantare a una temperatura controllata di 10-12°C per circa 12 ore. Terminata questa fase di prima chiarificazione, si inseriscono i lieviti selezionati e si dà avvio alla fermentazione alcolica che si protrae per 10-15 giorni ad una temperatura compresa fra i 17 e i 20°C, in recipienti di acciaio termocondizionati, dove il vino viene lasciato a maturare per circa 5 mesi. Poi il vino è messo in bottiglia per un ulteriore affinamento di altri 3 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

35000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Colore giallo paglierino brillante, all’esame olfattivo offre profumi netti e intensi di peperone verde, salvia e foglia di pomodoro a cui si aggiungono raffinate note floreali che inebriano e affascinano. In bocca è strutturato, sapido, con una grande ricchezza di aromi; molto lungo e persistente al retrogusto. PRIMA LE

ANNATA:

1995

MIGLIORI ANNATE:

1997 - 1999 - 2001 - 2002

NOTE: Il nome “Ronco delle Mele” deriva dalla coltura promiscua di mele e uva praticata negli anni ’50. A tutt’oggi ai bordi del vigneto sono presenti vecchi alberi di mele. Il vino raggiunge la maturità dopo 2-3 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 3 e i 5 anni.


Ronco delle Cime Collio Tocai Friulano Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Tocai Friulano provenienti dal vigneto omonimo posto nel comune di Dolegna del Collio, le cui viti hanno un’età media di 30 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: Il vigneto si trova su terreni composti da marne e arenaria di origine eocenica ad un’altitudine compresa tra i 100 e i 250 metri s.l.m. con esposizione a sud-est.

protrae per 15 giorni ad una temperatura compresa fra i 17 e i 20°C, in recipienti di acciaio termocondizionati. Negli stessi il vino trascorre anche un periodo di maturazione di circa 5 mesi prima di essere assemblato. Dopo un breve periodo di stabilizzazione, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento di altri 3 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

20000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un bel colore giallo paglierino; al naso esprime profumi di mela golden, pesca bianca e suadenti nuances floreali. Al gusto risulta pieno, avvolgente, morbido e sapido. Di grande persistenza, al retrogusto affiorano piacevoli note di mandorla amara. PRIMA LE

ANNATA:

1999

MIGLIORI ANNATE:

1999 - 2000 - 2001 - 2002

NOTE: Il vino, che prende il nome dal vigneto omonimo, raggiunge la maturità dopo 3 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 3 e i 7 anni. L’AZIENDA: L’azienda agricola, di proprietà di Gianni e Giorgio Venica dal 1930, si estende su una superficie complessiva di 55 Ha, di cui 32,50 vitati. Il restante territorio vede la presenza di boschi. L’agronomo è Gianni Venica, l’enologo Giorgio Venica.

UVE

IMPIEGATE:

Tocai Friulano 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot bilaterale DENSITÀ

DI IMPIANTO:

3500 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito nel mese di settembre, e dopo una soffice pigiatura, il mosto è lasciato a contatto con le bucce in prefermentazione a 7°C per 12 ore, trascorse le quali è lasciato decantare a una temperatura di 10-12°C per circa 12 ore. Terminata questa fase di prima chiarificazione, si agevola la fermentazione alcolica che si

Dolegna del Collio



Tre generazioni si sono alternate alla guida di questa azienda e io, delle tre, rappresento quella che ha vissuto meglio, attraversando un momento storico fra i più interessanti e illuminanti dell’ultimo secolo. La nostra è stata una generazione che ha vissuto un periodo dove tutto è sembrato facile, ottenendo risultati che andavano oltre ogni più rosea previsione. Ne è un esempio ciò che io sono riuscito a raggiungere negli ultimi trent’anni, operando nel mondo del vino con l’azienda di famiglia, e ne prendo atto confrontando i numeri con quelli di mio nonno Basilio che, pur lavorando e sacrificandosi moltissimo per tutta la vita, è riuscito sempre a raccogliere poco, mantenendo a malapena l’esistente. La mia maggiore fortuna è stata quella di avere un padre come Stelio, una persona eccezionale, che ha percepito il momento del cambiamento e mi ha dato la libertà di costruirmi un’esperienza importante, diretta, standomi accanto e incitandomi nei momenti di bisogno. È difficile dire quale sia stato l’input che mi ha avvicinato al mondo del vino. So solo che vengo da una realtà rurale e contadina e quella innata predisposizione alla terra e alla vigna è, forse, qualcosa che si beve con il latte materno, che cresce dentro lentamente e che si sviluppa senza accorgersene. Quante volte in questi anni mi sono chiesto quale sia la molla che induce un essere umano a scommettere tutto, ma proprio tutto, dal proprio impegno alle proprie capacità, sul vino. La mia prima molla è stata quella del mistero. Ero un bambino a cui piaceva stare insieme a suo padre quando lui era in casa, ma ogni volta che se ne andava in cantina, ricordo che si chiudeva dietro la porta, impedendomi, perentoriamente, di seguirlo in quel luogo che divenne presto, per

V

VIE DI ROMANS

Gianfranco Gallo

me, misterioso e oscuro. Lui, molto più tardi, mi spiegò che non consentiva l’ingresso ai bambini a causa dei vapori dell’alcol etilico che, se inalati, potevano provocare spiacevoli conseguenze. Io invece, per anni ho visto quella porta chiusa con occhi diversi: come una barriera che mi divideva dal mondo dei grandi. Rammento che mi avvicinavo e cercavo di guardare dall’enorme serratura cosa mai accadesse dentro quella cantina e, non riuscendo a vedere nulla, accostavo il mio orecchio alla porta per sentire almeno i rumori, mentre le mie narici erano investite da profumi che non riuscivo a distinguere. Furtivamente spiavo mio padre cercando di comprendere il senso del mistero che veniva da quel luogo e scoprendo, solo più tardi, quanti enigmi facessero realmente parte del mondo del vino. Un universo, più che un mondo, quello del vino, pieno d’incognite e di elementi che interagiscono fra di loro e contribuiscono a creare un’infinità di variabili che lo rivestono di un alone misterioso e affascinante. Sono queste le variabili che prima ho cercato di imparare e poi di controllare, costruendo con loro un rapporto equilibrato, così da ottenere un buon risultato finale, consapevole che, nonostante il ripetersi di gesti e situazioni, un vino non è mai uguale a quello dell’anno precedente, e questo accresce ancora di più il mistero intorno ad esso. Forse lo sforzo maggiore, per comprendere e allontanare l’alone di mistero, dovrebbe essere orientato verso l’interazione che esiste fra l’uomo, la vigna, la terra e il cielo; in tutto questo c’è un profondo legame che rende interdipendenti i quattro aspetti.



In questo gioca un ruolo importante la sensibilità dell’uomo che deve creare un proprio stile, un modo personale di concepire la qualità del vino che produce; infatti non è raro trovare produttori che cercano di interpretare, con l’anima e con il cuore, questo nostro mestiere, così come non è raro per molti riuscire a confrontarsi con le problematiche che concernono la trasformazione di una materia prima come l’uva. È in questi frangenti che si scopre il temperamento relazionale che un vignaiolo ha nei confronti degli altri elementi, ad esempio con il proprio terroir; è in questi frangenti che si può intuire come egli si rapporterà con gli altri processi produttivi. Per me la qualità nel vino non significa l’affannosa ricerca di un po’ più d’aroma, di più frutto, di più acidità, sapidità o grassezza. Non significa migliorare un carattere o un altro, ma riuscire ad estrapolare il contributo che ognuno degli elementi fornisce al raggiungimento dell’equilibrio d’insieme. È un concetto che può essere raffigurato in termini di estetica e di bellezza e non con misurazioni su cosa sia o cosa non sia maggiormente evidente o presente in esso. Godo un po’ quando attraverso il mio lavoro il vino mi consente di avvicinarmi al concetto di bellezza e mi predispongo verso questa ricerca per puro e semplice appagamento personale, lasciando agli altri i giudizi commerciali. In questo equilibrio di forma e di sostanza procedo a fare il vignaiolo cercando di vivere nel migliore dei modi il mio tempo, che assume sempre più una grande importanza, perché credo che esso esista per essere riempito dei grandi significati che appartengono alla vita in cui anche il mio vino ha la sua parte. ALTRI VINI I Bianchi: Friuli Isonzo Chardonnay Doc Ciampagnis Vieris (Chardonnay 100%) Friuli Isonzo Sauvignon Doc Piere (Sauvignon 100%) Friuli Isonzo Sauvignon Doc Vieris (Sauvignon 100%)

I Rossi: Friuli Isonzo Merlot Doc Maurus (Merlot 100%)


Flors di Uis

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Friuli Isonzo Bianco Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il Flors di Uis è un blend delle migliori uve Tocai Friulano, Malvasia Istriana e Riesling Renano provenienti dai vigneti Boghis, Ciampagnis e Vie di Romans di proprietà dell’azienda, posti nel comune di Mariano del Friuli, che hanno un’età media di 10 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su un terreno da poco a mediamente profondo, limoso-argilloso con scheletro abbondante, ad un’altitudine di circa 30 metri s.l.m. con esposizione a est-ovest / nord-sud. UVE

IMPIEGATE:

Tocai Friulano 50%, Malvasia Istriana 30%, Riesling Renano 20%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

6000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito a partire dalla terza decade di settembre, le uve sono pressate e il mosto ottenuto, separatamente per ogni uvaggio, viene lasciato decantare a una temperatura controllata di 10°C per circa 36 ore. Terminata questa fase si inseriscono nei mosti i lieviti selezionati e i vini svolgono separatamente la fermentazione alcolica in recipienti di acciaio inox, quindi periodicamente vengono effettuati dei sur lies con sistemi meccanici al fine di movimentare le fecce nobili che sono utilizzate per guidare tecnicamente lo svolgimento della fermentazione malolattica che è fatta svolgere completamente. Nel mese di maggio dell’anno successivo alla vendemmia, di solito, viene effettuato l’assemblaggio delle partite e dopo un breve periodo di stabilizzazione in tini di acciaio, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento che si protrae per altri 10 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

15000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Colore giallo paglierino carico; profumi fruttati, floreali, speziati e minerali. Molto complesso e raffinato anche in bocca dove intensi risultano i sentori di pera, pesca, banana e crosta di pane. Al gusto evidenzia grande eleganza e struttura, con lunga persistenza in bocca. PRIMA LE

ANNATA:

1990

MIGLIORI ANNATE:

2000 - 2001

NOTE: Il vino, che ha un nome di fantasia (Fiori di Uis), raggiunge la maturità dopo 3-4 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 4 e i 6 anni.


Chardonnay Vie di Romans Friuli Isonzo Chardonnay Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Chardonnay provenienti dal vigneto omonimo di proprietà dell’azienda, posto nel comune di Mariano del Friuli, che ha un’età media di 10 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: Il vigneto si trova su un terreno mediamente profondo, argilloso con scheletro moderato ad un’altitudine di circa 30 metri s.l.m. con espo-

rate dal mosto che viene lasciato decantare a una temperatura controllata di 10°C per circa 24 ore. Terminata questa fase si inseriscono i lieviti selezionati prima di far svolgere al vino la fermentazione alcolica direttamente in barrique di rovere francese, per il 40% nuove, per il 35% di secondo passaggio e per il 25% di terzo passaggio ad una temperatura controllata compresa tra i 20 e i 22°C per 7-15 giorni. Durante gli 8 mesi di permanenza nel legno, periodicamente vengono effettuati dei bâtonnage al fine di movimentare le fecce nobili che sono utilizzate per guidare tecnicamente la fermentazione malolattica che è fatta svolgere completamente. Nel mese di maggio dell’anno successivo alla vendemmia viene effettuato l’assemblaggio delle partite e, dopo un breve periodo di stabilizzazione in tini di acciaio, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento che si protrae per altri 8 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

27000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un giallo oro luminoso; al naso è fine, intenso e complesso con sentori di frutta esotica matura, pesca gialla, miele e note minerali. Al gusto evidenzia eleganza, morbidezza, grande struttura e persistenza, confermando le piacevolissime percezioni olfattive. PRIMA LE

ANNATA:

1989

MIGLIORI ANNATE:

1999 - 2001

NOTE: Il vino, che prende il nome dal vigneto omonimo, raggiunge la maturità dopo 2-3 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 3 e i 5 anni.

sizione a nord-sud / est-ovest. UVE

IMPIEGATE:

Chardonnay 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

6000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito nella seconda decade di settembre, le uve sono pigiate e lasciate a macerare con il mosto per circa 10-12 ore, alla temperatura di 8°C prima di essere pressate così da essere sepa-

Mariano del Friuli


Pinot Grigio Dessimis

375

Friuli Isonzo Pinot Grigio Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Pinot Grigio provenienti dal vigneto omonimo di proprietà dell’azienda, posto nel comune di Mariano del Friuli, che ha un’età media di 12 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: Il vigneto si trova su un terreno poco profondo, argilloso con scheletro abbondante ad un’altitudine di circa 35 metri s.l.m. con esposizione a est-ovest / nord-sud.

fase si inseriscono nel mosto i lieviti selezionati e il vino svolge la fermentazione alcolica in barrique di rovere francese, per il 32% nuove, per il 42% di secondo passaggio e per il 26% di terzo passaggio, ad una temperatura controllata compresa tra i 20 e i 22°C per 7-15 giorni. Durante i 9 mesi di permanenza nel legno, periodicamente vengono effettuati dei bâtonnage al fine di movimentare le fecce nobili che sono utilizzate per guidare tecnicamente lo svolgimento della fermentazione malolattica che è fatta svolgere completamente. Nel mese di giugno dell’anno successivo alla vendemmia viene effettuato l’assemblaggio delle partite e, dopo un breve periodo di stabilizzazione in tini di acciaio, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento che si protrae per altri 8 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

23000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Colore giallo dorato brillante, con profumi eleganti di mela, fiori gialli, fieno e burro fuso a cui si aggiungono nuances di vaniglia. All’esame gustativo riconferma le percezioni avvertite al naso con l’aggiunta di sfumature minerali; evidenzia grande struttura, lunghezza e persistenza. PRIMA LE

ANNATA:

1990

MIGLIORI ANNATE:

1999 - 2000

NOTE: Il vino, che prende il nome dal vigneto omonimo, raggiunge la maturità dopo 2-3 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 3 e i 5 anni.

UVE

IMPIEGATE:

Pinot Grigio 100%

NOTE: Di proprietà di Gianfranco Gallo dal 1984, l’azienda agricola si estende su una superficie complessiva di 54 Ha, di cui 40 vitati e il resto occupati da seminativi e boschi. Svolge le funzioni di agronomo e di enologo Gianfranco Gallo.

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

6000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito nella prima decade di settembre, le uve sono pigiate e lasciate a macerare con il mosto per circa 10-12 ore, alla temperatura di 8°C prima di essere pressate, così da essere separate dal mosto che viene lasciato decantare a una temperatura controllata di 10°C per circa 24 ore. Terminata questa

Mariano del Friuli


Non so chi abbia avuto la fortuna, l’emozione e la sensazione di scoprirsi un giorno, improvvisamente, diverso da come era il giorno precedente. A me è successo quando ho deciso di lasciare Portogruaro e di trasferirmi a Prepotto, in campagna, nell’azienda di famiglia che mia madre, a 80 anni, non riusciva più a condurre. È stato quel viaggio a cambiarmi. Prima di allora frequentavo una Hilde molto diversa da quella con la quale convivo oggi. Ricordo che era una donna che, alla soglia della sua pensione, cercava di vivere al meglio i suoi splendidi cinquant’anni, divertendosi nei salotti bene della città portuale, con piacevoli serate conviviali fra amici e, ogni tanto, alternando uno spettacolo teatrale a qualche viaggio in giro per il mondo. Il piacere maggiore era quello di vedere crescere una figlia e di accudire una famiglia che le lasciava anche tempo per se stessa, da spendere nelle cose che le sembravano importanti. Quel viaggio verso Prepotto, verso quella campagna così distante dal mondo cittadino e dal suo modo di concepire la quotidianità, le era sembrato, all’inizio, molto difficoltoso; non sapeva nulla della campagna, delle vigne e del vino, che appariva avvolto da un’aura misteriosa e come da un arcano mistero di cui non sapeva intuire né aspetto, né consistenza. Titubante ed esitante incominciò a prendere confidenza con quella terra, che l’aveva vista bambina, e i contatti si intensificarono, viste anche le necessità della casa e della campagna che soffrivano dell’abbandono e della mancanza di cure. Man mano che passava il tempo, mi raccontava, le sembrava di impossessarsi di ciò che le era sempre appartenuto e che aveva pensato di aver perso. La frequentazione, sempre più assidua, della campagna della sua infanzia inco-

V

VIGNA PETRUSSA

Hilde Petrussa Mecchia e il marito Renato

minciò a incidere molto sul suo modo di pensare e di interpretare la vita. Improvvisamente, tutto quello che sembrava esserle estraneo, lontano, incominciò a divenire chiaro, quasi come un puzzle i cui tasselli trovavano, definitivamente, la loro sistemazione. Tutto era dentro le sue memorie, dentro i ricordi della fanciullezza che riaffioravano ogni volta che passava fra un filare, che entrava in cantina o quando alzava gli occhi al cielo e contemplava la pace e la serenità che la vallata di Prepotto elargiva a piane mani, senza chiederle in cambio nulla. Erano gli odori, i profumi che si ripresentavano alla mente e, di nuovo, si facevano strada, ravvivati dal sottile piacere di conoscere la loro provenienza. Erano i ritmi più blandi, i tempi più lenti che tornarono a farsi sentire e a farle riscoprire il piacere di tornare in quella terra. Portogruaro era distante anni luce da quel luogo; quel lavoro burocratico, d’impiegata statale, era molto diverso dall’impegno che richiedevano le vendemmie. Sembrava che, insieme alla campagna, Hilde si stesse riappropriando anche di se stessa, cercando di comprendersi, di conoscersi, di misurare i propri limiti verificando analiticamente le sue potenzialità rispetto alla realizzazione di ciò che desiderava. Man mano che si ripetevano le fioriture dei cespugli di rose che lei aveva piantato a capo di ogni filare nelle vigne che circondano la casa, incominciò a comprendere quanto fosse profondo e radicale il suo cambiamento, che in poco tempo l’aveva portata, osservandosi allo specchio, a non vedere solo le rughe che avanzavano, in modo discreto e inesorabile, ma a notare anche una donna che, orgoglio-



samente e cocciutamente, si era impegnata a realizzare un suo personale e quanto mai ambizioso sogno. Era questo sogno che la faceva sentire, ora, importante, viva, come forse non lo era mai stata, e che la proiettava in una dimensione più ampia, di apertura verso un nuovo mondo. Credo che in questo suo processo di trasformazione abbia giocato un ruolo importante il mondo del vino, che l’ha stregata, affascinata e sedotta. Oggi mi rendo conto che convivo con una Hilde molto diversa da quella di dieci anni fa. Questa è una Hilde che non frequenta più i “salotti bene”, raramente va al cinema o al teatro, e si alza, invece, molto presto al mattino e corre per tutta la giornata. Questa è una Hilde che è sempre alla ricerca di migliorare quello che ha finito di fare qualche minuto prima e non sembra preoccuparsi minimamente dell’impegno che comporta condurre, da sola, un’azienda vitivinicola. È una che non sente la stanchezza di seguire le vigne, la cantina o la commercializzazione del suo vino: questa è una Hilde che sta facendo la cosa che le piace e si diverte nel farla. Sono state, e forse lo sono ancora, due Hilde, due modi di interpretare la vita, due mondi al confine fra loro, l’est e l’ovest, il femminile e il maschile, lo jin e lo jang… Potrebbero essere qualsiasi cosa, due forze uguali e contrarie, l’ombra e il sole..., comunque due, perché è molto importante avere due opportunità… una sola è poca cosa…

ALTRI VINI I Bianchi: Colli Orientali del Friuli Tocai Friulano Doc (Tocai Friulano 100%) Colli Orientali del Friuli Sauvignon Doc (Sauvignon 100%)

I Rossi: Colli Orientali del Friuli Schioppettino Doc (Schioppettino 100%) Colli Orientali del Friuli Cabernet Franc Doc (Cabernet Franc 100%) Colli Orientali del Friuli Refosco Doc (Refosco dal Peduncolo Rosso 100%)

Colli Orientali del Friuli Picolit Doc (Picolit 100%)


Richenza

379

Colli Orientali del Friuli Bianco Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il Richenza è un blend delle migliori uve Riesling Renano, Tocai Friulano, Malvasia Istriana, Verduzzo Friulano e Picolit provenienti dai vigneti dell’azienda, posti in località Albana nel comune di Prepotto, che hanno un’età media compresa tra i 25 e i 30 anni. TIPOLOGIA

DEI TERRENI:

I vigneti si trovano su terreni costituiti da marne e arenarie ad un’altitudine compresa tra i 150 e i 200 metri s.l.m. con esposizione a est-ovest.

UVE IMPIEGATE: Riesling Renano 25%, Tocai Friulano 25%, Malvasia Istriana 25%, Verduzzo Friulano 20%, Picolit 5% (percentuali che variano di poco a seconda delle annate) SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

3500 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: La vendemmia avviene di solito nell’ultima decade di settembre. Nel processo di vinificazione deve essere tenuto conto del fatto che le uve di Picolit, Malvasia Istriana e Verduzzo Friulano subiscono un appassimento per 40 giorni e successivamente sono vinificate separatamente, mentre il Riesling Renano viene raccolto con una sovrammaturazione delle uve di circa 10-15 giorni. Dopo questa fase si procede ad una criomacerazione delle uve in tini di legno di rovere aperti per 3-4 ore alla temperatura di 5°C, alla conclusione della quale si procede alla pigiatura e il mosto è avviato, al fine di poter svolgere una decantazione statica, in tini di acciaio, alla temperatura controllata di 10°C per circa 12 ore. Dopo la prima chiarificazione, si inseriscono i lieviti selezionati e si dà avvio alla fermentazione alcolica che si protrae per 15 giorni alla temperatura di 16°C, parte in acciaio, per i primi 8 giorni, durante la fermentazione tumultuosa, e parte in barrique nuove di rovere francese di Allier; qui il vino rimane per 18 mesi, durante i quali periodicamente si procede a dei bâtonnage al fine di movimentare le fecce nobili che sono utilizzate per guidare tecnicamente lo svolgimento della fermentazione malolattica che viene fatta svolgere completamente. In seguito si effettua l’assemblaggio delle partite e, dopo un periodo di stabilizzazione e un leggero filtraggio, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento di altri 6 mesi prima di essere commercializzato. QUANTITÀ

PRODOTTA:

2000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Colore giallo dorato che al naso si apre fine, persistente, armonico con sentori di frutta esotica, albicocca, pesca matura e vaniglia; in bocca risulta caldo, vellutato, di grande struttura, con un retrogusto di notevole persistenza. PRIMA LE

ANNATA:

1999

MIGLIORI ANNATE:

2000 - 2001

NOTE: Si racconta che Richenza fosse una leggendaria principessa longobarda che amava trascorrere l’autunno alla Rocca di Albana apprezzando i frutti di questa terra ed in particolare un vinum compositum che proveniva da una cuvée di uve pregiate. Il vino raggiunge la maturità dopo 3 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 3 e i 6 anni. L’AZIENDA: L’azienda agricola, di proprietà di Hilde Petrussa Mecchia dal 1995, si estende su una superficie complessiva di 8 Ha, di cui 6 vitati. Collabora in azienda l’enologo Nicola Pittini.


Questa è una realtà molto particolare, non so come potrebbe definirsi un’azienda pubblica che si è costruita e mantenuta nel tempo attraverso la genialità di uomini che hanno saputo guardare lontano, che sono voluti restare al fianco del proprio destino, che hanno trovato forza nelle intuizioni, nella generosità dei loro cuori, nella passione di insistere e di andare oltre, rimanendo ancorati alle tradizioni. È una storia che parte da lontano, dalla perspicacia del conte francese Teodoro de La Tour che vide, nel 1869, in questi colli del Collio il luogo ideale sui quali poter dar libero sfogo alla sua passione per la coltivazione della vite e per tutte quelle tecniche enologiche che in Francia già avevano trovato un’enorme diffusione. Intuizione e passione che caratterizzano, ancora oggi, il percorso enologico di questa azienda che nel tempo ha trovato validi interpreti e che sta riqualificando continuamente la propria tradizione vitivinicola, viva e pulsante come allora. Un’azienda che è l’emblema di una forte generosità che fonda la sua ragion d’essere su radici profonde che hanno saputo creare nel tempo meccanismi di emulazione, partendo proprio dall’esempio dato da Elvine Ritter, moglie del conte de La Tour. La contessa morì nel 1916 e la sua opera di generosità fu poi portata avanti da Adele Cerruti che nel 1919 fondo l’Istituto, eretto Ente morale nel 1926; con un successivo accordo italo-austriaco la tenuta passò definitivamente al governo italiano e da allora questa solidarietà non ha avuto interruzioni, attraversando, forte e solida, tutto un secolo e trovando nel suo percorso sempre dei grandi interpreti e figure umane diverse fra loro: dalle suore che hanno accudito i bambini, ai contadini e agli operai che hanno lavorato con dedizione e impegno fino a giungere agli amministratori che hanno cercato di non far venire meno quel flusso economico necessario al

V

VILLA RUSSIZ

Gianni Menotti

sostentamento e al soddisfacimento dei bisogni della struttura, attraverso i proventi che arrivavano dall’agricoltura e dalla commercializzazione del vino. Una delle maggiori caratteristiche che comunque ha contraddistinto le persone che hanno operato all’interno di Villa Russiz, a partire dal primo cantiniere fino all’attuale presidente, è stata la passione. Una passione che ha fatto da collante fra il lavoro quotidiano e improrogabile della campagna accostato all’impegno sociale che vedi e che respiri entrando a lavorare in questa azienda. Una passione che ha condotto tutti a fare il proprio dovere, consapevoli dell’importanza del ruolo che essi avevano all’interno di questa struttura agricola nel cui cortile si sente il vocìo dei bambini che giocano, che ti guardano timidi e silenziosi quando passi e pur non chiedendoti nulla, contano sul tuo senso del dovere per provare a costruire un futuro diverso da quello che il destino ha riservato loro. Quando guardo gli occhi di quei ragazzini scopro il significato della passione, quella profonda, intensa, quella che ti riempie e ti fa ricominciare tutto da capo, che ti consente di non abbatterti mai, che t’invoglia ad andare oltre, a non fermarti davanti a niente, neanche davanti all’inaspettato, al nuovo o ai capricci del tempo che con la sua grandine, la sua pioggia o la sua siccità potrebbe rovinare il tuo lavoro. Devo ammettere che in certi frangenti, quando ho osservato il luccichìo del mondo del vino, mi è venuta meno questa passione; sono stati pensieri che ho scacciato con un impeto d’orgoglio, per poter dimostrare a me stesso che ero in grado di raggiungere traguardi professionali importanti anche in una struttura così complessa come Villa Russiz, che ha regole particolari e un po’ diverse da quelle di un’ordinaria impresa vitivinicola.



Per meglio assecondare questa mia volontà cominciai a costruirmi un meccanismo di valutazione di ogni singolo tassello che compone il quadro dell’azienda, così da comprenderne le sfumature, i risvolti, le opportunità e scoprendo, piano piano, che quei tasselli mi appartenevano molto di più di quanto io pensassi. Questo mi ha fatto crescere e in questa crescita ciò che ha aiutato ad inserirmi è stata la mia trasparenza, la mia volontà di dare sempre un seguito alle parole, il mio impegno meticoloso, nel ripetere gesti uguali che mi portano a non trascurare quello che per qualcuno potrebbe essere un insignificante dettaglio, affrontando la vita il più semplicemente possibile. A chiunque arrivi a Villa Russiz appare evidente l’energia che questo luogo emana; un’energia che si respira, impastata con le storie dei vecchi operai, con la fede delle suore, con i sorrisi e le lacrime di quei bambini che, entrati piccoli, escono adolescenti. Sì, è una bella energia ed è quella che io definisco l’energia dei sentimenti che sono leggibili, per chi sa leggere, sui volti di quei ragazzi che vedi crescere al tuo fianco e al fianco di chi qualche volta li induce a ribellarsi nei confronti di una vita che non ha regalato loro niente. È con questa energia che mi sono trovato a confrontarmi, rendendomi conto che solo dopo aver incominciato a riconoscerla mi sono calmato e sono diventato uomo in questa azienda pubblica che funziona bene, dove sono sicuro di aver dato molto assieme al gruppo di persone che lavora con me, nell’intento di tramandare la favola di Villa Russiz e di vedere ancora nel suo cortile altri bambini ridere.

ALTRI VINI I Bianchi: Collio Pinot Grigio Doc (Pinot Grigio 100%) Collio Pinot Bianco Doc (Pinot Bianco 100%) Collio Tocai Friulano Doc (Tocai Friulano 100%) Collio Sauvignon Doc (Sauvignon 100%) Collio Malvasia Doc (Malvasia 100%)


Sauvignon de la Tour

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Collio Sauvignon Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Sauvignon provenienti da vigneti posti sul colle prospiciente il corpo aziendale, nel comune di Capriva del Friuli, che hanno un’età media di circa 25 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su un terreno marnoso ad un’altitudine compresa tra i 100 e i 150 metri s.l.m. con esposizione a sud-est. UVE

IMPIEGATE:

Sauvignon 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Cappuccina e Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

5500 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito in settembre, le uve intere vengono adagiate nella pressa pneumatica e quindi viene estratto il mosto; questo viene chiarificato e poi collocato nelle vasche di fermentazione con l’aggiunta dei lieviti selezionati. La fermentazione alcolica si protrae per circa 15 giorni alla temperatura controllata di 17°C sempre in recipienti di acciaio inox. Dopo circa 9 mesi di maturazione, il vino viene imbottigliato per un ulteriore affinamento che dura altri 2-3 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

14000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Bel colore giallo paglierino con riflessi verdognoli; profumi molto aromatici e delicati che ricordano il peperone giallo, la pesca, il pompelmo, la menta e la salvia. All’esame gustativo offre un sapore elegante e vellutato; di grande corposità e persistenza. PRIMA LE

ANNATA:

1988

MIGLIORI ANNATE:

1989 - 1990 - 1991 - 1994 - 1997 - 1998 - 1999 - 2000 - 2002

NOTE: Il nome è un omaggio al conte francese Teodoro de La Tour, il quale si trasferì nel Collio nel 1869 iniziando l’attività vinicola dell’azienda. Raggiunge la maturità dopo 3 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 3 e gli 8 anni.


Gräfin de la Tour Collio Chardonnay Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una scelta delle migliori uve Chardonnay provenienti da vigneti selezionati dell’azienda, posti nel comune di Capriva del Friuli, che hanno un’età media di circa 23 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su un terreno marnoso ad un’altitudine compresa tra i 100 e i 150 metri s.l.m. con esposizione a sud.

alla temperatura controllata di 19°C che si avvia in recipienti di acciaio inox, ma si conclude in barrique di rovere francese di Allier, per un 50% nuove e il restante di secondo passaggio, dove il vino rimane 12 mesi per la maturazione, durante la quale periodicamente vengono effettuati dei bâtonnage al fine di movimentare le fecce nobili. Alla conclusione del processo di vinificazione le varie partite sono assemblate in vasche di acciaio inox e quindi il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento di 9 mesi. QUANTITÀ

PRODOTTA:

4100 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Colore giallo leggermente dorato con riflessi verdognoli; all’esame olfattivo offre profumi intensi e netti di mela matura, vaniglia e agrumi ben integrati con nuances floreali. All’esame gustativo risulta molto complesso, elegante, fine ed equilibrato. Lunghissimo e molto persistente al retrogusto. PRIMA LE

ANNATA:

1999

MIGLIORI ANNATE:

1999 - 2000 - 2001 - 2002

NOTE: Il nome Gräfin (“contessa” in lingua tedesca) è un omaggio alla contessa austriaca Elvine Ritter, moglie del conte francese Teodoro de La Tour, il quale si trasferì nel Collio nel 1869 iniziando l’attività vinicola dell’azienda. Il vino raggiunge la maturità dopo 2-3 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 3 e i 5 anni.

UVE

IMPIEGATE:

Chardonnay 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

5500 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito a partire dalla metà di settembre, le uve vengono adagiate nella pressa pneumatica e quindi viene estratto il mosto; questo viene chiarificato e poi collocato nelle vasche di fermentazione con l’aggiunta dei lieviti selezionati. La fermentazione alcolica si protrae per circa 15 giorni

Capriva del Friuli


Graf de la Tour

385

Collio Merlot Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una scelta delle migliori uve Merlot provenienti da vigneti selezionati dell’azienda, posti nel comune di Capriva del Friuli, che hanno un’età media di circa 30 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su un terreno marnoso ad un’altitudine compresa tra i 100 e i 150 metri s.l.m. con esposizione a sud.

acciaio o in legno, è posto in barrique di rovere francese, per un 50% nuove e il restante di secondo passaggio, dove rimane per 24 mesi, trascorsi i quali viene assemblato e imbottigliato per un ulteriore affinamento di altri 9 mesi prima della sua commercializzazione. QUANTITÀ

PRODOTTA:

6000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino si presenta di un colore rosso rubino intenso, con profumi di piccoli frutti di bosco a bacca nera, viola, liquirizia e cacao. Le note speziate ritornano anche in bocca dove si evidenziano tannini morbidi ed eleganti; ampio, avvolgente e di grande intensità, è strutturato e molto lungo al retrogusto. PRIMA LE

ANNATA:

1993

MIGLIORI ANNATE:

1993 - 1994 - 1997 - 1999 - 2001

NOTE: Il nome Graf (“conte” in lingua tedesca) è un omaggio al conte francese Teodoro de La Tour, il quale si trasferì nel Collio nel 1869 iniziando l’attività vinicola dell’azienda. Il vino raggiunge la maturità dopo 3-4 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 4 e gli 8 anni. L’AZIENDA: L’azienda agricola, di proprietà dell’Ente Morale Villa Russiz dal 1926, si estende su una superficie complessiva di 94 Ha, di cui 35 vitati, 20 a seminativo e il restante territorio a bosco. Svolge le funzioni di agronomo e di enologo Gianni Menotti.

UVE

IMPIEGATE:

Merlot 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

dai 4000 ai 7000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito nel mese di ottobre, si avvia la fermentazione alcolica, che si protrae per 810 giorni ad una temperatura compresa fra i 25 e i 30°C in recipienti di acciaio inox, la quale è coadiuvata da tecniche di délestage, follature e rimontaggi. Quindi il vino, che inizia la fermentazione malolattica in

Capriva del Friuli




Il mio incontro con il vino è stato un incontro casuale, come è stato casuale quello con la medicina e con Rosa Tomaselli. Del resto c’è molta casualità, forse più di quanto io stesso voglia certe volte accettare, anche nel mio incontro con tante altre storie che hanno attraversato la mia vita. Non è perché da bambino curavo i pulcini feriti che in me è divenuto forte il desiderio di dedicarmi ai malati, così come, del resto, non sono diventato produttore di vini perché ho avuto la folgorazione dell’agricoltura. Fondamentalmente credo che le cose succedano perché devono succedere e credo nel fato che comanda i destini degli uomini; tutt’al più, uno, forse, se ci riesce, può contribuire a modificare qualche cosa, impegnandosi, affinché le cose accadano. Di certo, nel mio caso, le scelte sono state molto condizionate dall’educazione che ho ricevuto in famiglia e dall’essere nato in Calabria. Mio padre Francesco, grandissimo pasticcere, cuoco e gelataio, spirito libero e uomo geniale, capace di vivere solo attraverso grandi passioni, mi ha fatto scoprire i sapori genuini, quelli che provengono dalla terra, e ha cercato di farmi conoscere il piacere e la curiosità di gustare le specificità di ogni prodotto, assaporandone le caratteristiche e rispettando quella naturale biodiversità che, facendo tutte le cose diverse tra loro, contribuisce a creare un affascinante e variegato universo. In una terra difficile come la Calabria mi ha insegnato ad avere pazienza, a saper aspettare il momento giusto nella vita e, se necessario, a fare l’incudine, sapendo che alla fine arriverà sicuramente il momento di essere martello. Sono diventato medico e la medicina mi ha appassionato in modo struggente,

V

VOLPE PASINI

Emilio Rotolo e Rosa Tomaselli

ma, come tutte le passioni struggenti, è finita quando ho visto che non era come mi aspettavo. Dopo una delusione così bruciante, quattro anni dopo la laurea lasciai tutto e detti libero sfogo al mio istinto “primordiale”, che era quello di “cacciare” sul libero mercato dell’imprenditoria, occupandomi all’inizio di turismo e poi di costruzioni e restauri. Quando mi resi conto che in Calabria le difficoltà erano maggiori delle gioie, decisi di trasferirmi e fu casuale la decisione che mi indusse a scegliere il Friuli, dove mi dedicai al mercato immobiliare, proprio nella cittadina di Cividale del Friuli. In pochi anni divenni un costruttore abbastanza conosciuto nella zona di Cividale. In quel lavoro ci mettevo la stessa passione travolgente che avevo messo, solo pochi anni addietro, nella medicina, ma alla fine raccoglievo solo belle soddisfazioni economiche e nient’altro. Non riuscivo a vedere il frutto del mio lavoro in quello che facevo, e per noi uomini del sud questo è molto importante; non è determinante che quel frutto sia un pezzo di terra, un castello o una piccola cosa: l’importante è che quel frutto è ú nostru, così... e basta. Sentivo che mi mancava qualcosa, ma non capivo cosa, mi sentivo nudo pur non essendolo. Senza dubbio, in questa mia ricerca di qualcosa a cui non riuscivo a dare un nome, influiva molto il fatto che io non fossi friulano. L’essere lontano dal mio habitat naturale, trovarmi immerso in una cultura chiusa e difficile, diversa da quella con la quale ero cresciuto, non era certamente il massimo ed ero frustrato dal non avere cose concrete alle quali appoggiarmi che potessero, in qualche modo, identificarmi e darmi quel senso di appartenenza al territorio.



Tutto questo creava in me uno stato di insoddisfazione profonda. Fu nuovamente il caso a intervenire, modificando la mia vita, prima distruggendomi con la morte disastrosa di mio fratello, poi aiutandomi con il fortuito incontro con Rosa, di cui mi innamorai profondamente come non lo ero mai stato e, per ultimo, sempre la casualità mi spinse all’acquisto di Villa Volpe Pasini, una casa stupenda, con le sue terre e le sue vigne. Ricordo che tutto questo avvenne in un solo anno, il 1994, che ritengo sia stato per me un anno irripetibile. Ancora non pensavo di fare vino. Volevo vivere quella storia d’amore in modo profondo, come solo un uomo che all’improvviso si scopre ancora ragazzino sa fare, godendomi quella casa e leggendo le centinaia di libri che erano stati lasciati nella villa dai vecchi proprietari, insieme a mobili e arredi di ogni genere; volevo dimenticarmi del mondo, raggiungere la sublimazione attraverso l’amore e la conoscenza, infischiandomene di tutto e di tutti. Con il passare del tempo e con il diluirsi delle emozioni per gli eventi che si erano accumulati in un anno, incominciai a sentire crescere in me il fascino di questa antica dimora. Girando per questi saloni cercavo di comprendere le cause di quelle mie crescenti percezioni sensoriali che mi facevano innamorare ogni giorno di più di Villa Volpe Pasini. Mi fu sufficiente frugare un po’ nella storia per capire che, sotto la polvere che aleggiava in ogni dove, stava dormendo una grande azienda che aveva prodotto vino per i Papi, per gli Zar del XVIII e del XIX secolo e che aveva inviato il suo vino Picolit ai Granduchi di Asburgo e anche all’Imperatrice Maria Teresa d’Austria. Bastò poco perché nuovamente esplodesse in me l’istinto animale dell’imprenditore, ma capii subito che, questa volta, il gioco si sarebbe svolto su più piani, con meccanismi diversi, più complessi e più difficili da interpretare che richiedevano altri parametri operativi che esulavano dai calcoli algebrici o matematici dell’edilizia. Era una sfida con la mia terra che avrebbe coinvolto e trasformato anche la mia casa; tutti elementi, guarda caso, che erano diventati parte integrante del mio essere e che, incominciando a sentirli profondamente legati a me, erano degni del massimo rispetto. Fu così che incominciai a lavorare come non avevo mai lavorato, incominciai a studiare, a capire, a comprendere cosa significasse essere vignaiolo in Friuli, cercando, contemporaneamente, di leggere di che cosa fosse fatto il mercato del vino e quale linguaggio avrei dovuto utilizzare per comunicare con lui. Partivo da zero, come al solito del resto, ma la sfida era affascinante e avevo dalla mia parte, questa volta, una maggiore serenità interiore. Compresi che, per raggiungere un buon risultato, avrei dovuto vivere in simbiosi con la campagna e, per farlo, incominciai a camminare fra le vigne e, a distanza di tempo, non ho ancora smesso di aggirarmi fra i miei filari.

ALTRI VINI I Bianchi: Colli Orientali del Friuli Chardonnay Doc Zuc di Volpe (Chardonnay 100%) Colli Orientali del Friuli Ribolla Gialla Doc Zuc di Volpe (Ribolla Gialla 100%) Colli Orientali del Friuli Sauvignon Doc Zuc di Volpe (Sauvignon 100%) Colli Orientali del Friuli Tocai Friulano Doc Zuc di Volpe (Tocai Friulano 100%)

I Rossi: Igt Cabernet Venezia Giulia Zuc di Volpe (Cabernet Sauvignon 90%, Cabernet Franc 10%)


Pinot Bianco Zuc di Volpe

391

Colli Orientali del Friuli Pinot Bianco Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Pinot Bianco provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nel comune di Torreano, che hanno un’età media di 15 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni costituiti da marne e arenarie di origine eocenica ad un’altitudine compresa tra i 150 e i 200 metri s.l.m. con esposizione a nord-sud. UVE

IMPIEGATE:

Pinot Bianco 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

5500 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito dal 30 agosto al 20 settembre, si procede ad una leggera pigiatura e a macerazione pellicolare del mosto a contatto con le bucce per 6-8 ore alla temperatura di 5°C, dopo di che si procede a una soffice pressatura e si dà avvio alla decantazione statica del mosto alla temperatura controllata di 10-12°C per circa 24 ore. Terminata questa fase di prima chiarificazione si inseriscono i lieviti selezionati e il vino è lasciato per un 50% in recipienti di acciaio inox termocondizionati, mentre l’altro 50% è messo in barrique nuove di rovere francese; in questi recipienti si dà avvio alla fermentazione alcolica che si protrae per circa 15 giorni ad una temperatura di 16°C. Dopo questa prima fase di vinificazione, al vino posto in acciaio non viene fatta svolgere la fermentazione malolattica, mentre nel vino posto in barrique, periodicamente, si procede a dei bâtonnage al fine di movimentare le fecce nobili che sono utilizzate per guidare tecnicamente lo svolgimento della fermentazione malolattica. Di solito nel mese di aprile viene effettuato l’assemblaggio delle partite e, dopo un breve periodo di stabilizzazione e un leggero filtraggio, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento di altri 4 mesi prima di essere commercializzato. QUANTITÀ

PRODOTTA:

16600 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Vino dal colore giallo paglierino chiaro con riflessi verdognoli; al naso esprime profumi delicati che ricordano sentori di rosa, uva spina e burro fresco; armonico e molto caratteristico, è fine, molto elegante, dal sapore morbido, delicato al palato e ripercorre le sensazioni olfattive con una lunga persistenza ed un piacevole retrogusto. PRIMA

ANNATA:

1933

LE MIGLIORI ANNATE: 1946 - 1964 - 1985 - 1986 - 1996 - 1999 - 2001 2002 - 2003 NOTE: Il marchio Zuc di Volpe ha origine dall’omonima collina situata a Togliano, da sempre coltivata a vigneto. Il vino raggiunge la maturità dopo 3 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 3 e i 6 anni.


Ipso Igt Pinot Grigio Venezia Giulia ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Pinot Grigio provenienti da un vigneto dell’azienda di oltre 40 anni, posto nel comune di Torreano. TIPOLOGIA DEI TERRENI: Il vigneto si trova su terreni costituiti da marne e arenarie di origine eocenica ad un’altitudine compresa tra i 150 e i 200 metri s.l.m. con esposizione a nord-est / sud-ovest.

temperatura di 16°C in recipienti di acciaio inox termocondizionati per il 50% del vino, mentre il restante 50%, appena partita la fermentazione, viene posto in barrique nuove di rovere francese di Allier dove rimane per almeno 4 mesi; periodicamente, si procede a dei bâtonnage al fine di movimentare le fecce nobili che sono utilizzate per guidare tecnicamente lo svolgimento della fermentazione malolattica che, per il vino rimasto nel legno, viene svolta completamente. Di solito nel mese di maggio dell’anno successivo alla vendemmia viene effettuato l’assemblaggio delle partite e, dopo un breve periodo di stabilizzazione e un leggero filtraggio, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento di altri 12 mesi prima di essere commercializzato. QUANTITÀ

PRODOTTA:

10000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Colore giallo paglierino brillante, all’esame olfattivo ha splendidi profumi di frutta tropicale matura, fiori bianchi e nocciola; in bocca esprime tutta la sua ricchezza di aromi varietali. Vino di struttura, risulta di ottima intensità e persistenza con un finale leggermente vanigliato. PRIMA LE

ANNATA:

2001

MIGLIORI ANNATE:

2001 - 2002 - 2003

NOTE: Il marchio Zuc di Volpe ha origine dall’omonima collina situata a Togliano, da sempre coltivata a vigneto. La scelta del nome Ipso, perché nella radice della parola latina è contenuto il significato di “è proprio lui”, un prodotto che dopo anni di ricerca ha dimostrato di centrare gli obiettivi prefissati. Il vino raggiunge la maturità dopo 34 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 4 e i 6 anni. UVE

IMPIEGATE:

Pinot Grigio 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

5500 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito dal 20 agosto al 20 settembre, si procede a una decantazione statica del mosto alla temperatura controllata di 10-12°C per circa 24 ore. Terminata questa fase di prima chiarificazione, si inseriscono i lieviti selezionati e si dà avvio alla fermentazione alcolica che si protrae per circa 15 giorni ad una

Torreano



Focus Igt Merlot Venezia Giulia ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Merlot provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nei comuni di Torreano e Prepotto, che hanno un’età media di 20 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni costituiti da marne e arenarie di origine eocenica ad un’altitudine compresa tra i 150 e i 350 metri s.l.m. con esposizione a nord-est / sud-ovest.

fermentazione malolattica e vi rimane 12 mesi, al termine dei quali viene effettuato l’assemblaggio delle partite e, dopo un breve periodo di stabilizzazione, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento di altri 6 mesi prima di essere messo in commercio. QUANTITÀ

PRODOTTA:

22800 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Colore rosso rubino cupo impenetrabile con riflessi violacei; all’esame olfattivo presenta un complesso e variegato bouquet di mora, amarena, liquirizia, cacao e caffè. Vino di grandissima struttura, con tannini morbidi e vellutati; avvolgente, molto lungo e persistente al retrogusto. PRIMA LE

ANNATA:

1999

MIGLIORI ANNATE:

1999 - 2001 - 2002 - 2003

NOTE: Il marchio Zuc di Volpe ha origine dall’omonima collina situata a Togliano, da sempre coltivata a vigneto. L’idea è stata quella di puntare e fare “Focus” proprio su un particolare vitigno, il Merlot, che in Volpe Pasini viene coltivato fin dalla fine dell’Ottocento e che quindi può definirsi un vero “autoctono friulano”. Il vino raggiunge la maturità dopo 4-5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 15 anni.

UVE

IMPIEGATE:

Merlot 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

5500 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito dal 10 al 30 settembre, le uve, dopo essere state diraspate, vengono inoculate e rimangono in macerazione per circa 15 giorni. Quasi alla fine della fermentazione alcolica e dopo una pressatura soffice delle uve, il vino è posto in barrique nuove di rovere francese di Tronçais, dove effettua la

Torreano


Refosco Zuc di Volpe

395

Igt Refosco dal Peduncolo Rosso Venezia Giulia ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Refosco dal Peduncolo Rosso provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nei comuni di Torreano e Prepotto, che hanno un’età che varia dai 10 ai 25 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni costituiti da marne e arenarie di origine eocenica ad un’altitudine compresa tra i 150 e i 350 metri s.l.m.

dopo una pressatura soffice delle uve, il vino viene posto in barrique nuove di rovere francese di Tronçais, dove effettua la fermentazione malolattica e rimane per 12 mesi, al termine dei quali si procede all’assemblaggio delle partite e, dopo una breve stabilizzazione, ma senza alcun filtraggio, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento di altri 6 mesi prima di essere messo in commercio. QUANTITÀ

PRODOTTA:

16600 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Colore rosso granato tendente al violaceo; all’esame olfattivo esprime profumi di mora selvatica, frutti di sottobosco, liquirizia, tabacco e nuances di caffè. Al gusto risulta caldo, pieno e ben strutturato, ricco di carattere e personalità; il sapore è asciutto, giustamente tannico, di corpo, con un retrogusto persistente. PRIMA LE

ANNATA:

1952

MIGLIORI ANNATE:

1999 - 2001 - 2002 - 2003

NOTE: Il marchio Zuc di Volpe ha origine dall’omonima collina situata a Togliano, da sempre coltivata a vigneto. Il vino raggiunge la maturità dopo 4-5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 15 anni. L’AZIENDA: Di proprietà di Emilio Rotolo dal 1995, l’azienda agricola si estende su una superficie complessiva di 52 Ha tutti vitati. Il responsabile agronomico ed enologico dell’azienda è Riccardo Cotarella che si avvale in vigna degli agronomi Pierpaolo Sirch e Marco Simonit. con esposizione a nord-est / sud-ovest. UVE

IMPIEGATE:

Refosco dal Peduncolo Rosso 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

5500 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito dal 20 settembre al 10 ottobre, le uve, dopo essere state diraspate, vengono inoculate e rimangono in macerazione per circa 15 giorni. Quasi alla fine della fermentazione alcolica e

Torreano


La prima volta che l’ho incontrato, ho avuto l’impressione di trovarmi davanti ad una persona schietta e me ne sono accorto per via del modo con il quale mi strinse la mano, da come mi dette il benvenuto nella sua casa e da come aprì ai miei occhi il suo mondo. - È una persona semplice questo Francesco Vosca - pensai lì per lì, ma il definirlo così, scoprii dopo, era stato quanto mai riduttivo. In modo naturale mi mise a mio agio e con la sua genuinità mi dette la sensazione di essere suo amico da sempre. Guardandolo negli occhi notai quanto quel suo viso fosse rassicurante a dispetto di due baffi, un po’ingialliti, che lo invecchiavano rispetto ai suoi veri anni. Mentre mi faceva da cicerone fra quelle quattro mura, avevo la sensazione di conoscerlo da sempre. Il tono della sua voce mi sembrava familiare. Sentivo di averlo già frequentato, a dispetto di quei pochi minuti che seguirono la stretta di mano con la quale ci eravamo presentati. Mi guardavo intorno come un bambino al circo. Era molto tempo che non entravo in una vera azienda agricola. Assomigliava tanto a quella che aveva mio zio Alvaro e dove giocavo da ragazzino. Quelle mura che circondavano l’aia racchiudevano, come in un bomboniera, una ruralità di cui si stanno perdendo le tracce: erano le ultime propaggini di un vecchio mondo contadino ormai quasi scomparso. Da una parte il cane, legato alla catena, che si agitava abbaiando e allungandosi ogni qual volta mi avvicinavo a lui, credo più per scoprirmi che per mordermi - però tutte le volte che era rimproverato, cosa che succedeva quando passava di lì qualcuno, se ne andava a nascondersi sotto un rimorchio abbandonato -; intorno le galline che gironzola-

V VOSCA

Francesco Vosca e la moglie Anita

vano per il cortile beccando non so cosa, per nulla infastidite dalla mia presenza; più in là le gabbie per i conigli dei quali intravedevo un solo orecchio, mentre l’ambiente era, un po’ ovunque, colorato da macchine agricole, alcune messe in ordine sparso, altre, invece, ben allineate sotto il fienile. Da una porta spuntava un tavolo in ferro che era come il proseguimento esterno di un’officina, un tavolo sul quale c’erano degli attrezzi, brugole, viti, chiavi e ferri di ogni genere, buttati lì un po’ confusamente. Da sotto il porticato antistante la cantina, dove stavo seduto, potevo osservare quasi tutto quel via vai di animali e persone le quali, ricordo, entravano e sparivano dietro a delle porte, alcune delle quali rimanevano socchiuse, altre invece si serravano alle loro spalle e non ebbi il coraggio di chiedere dove conducessero. Nell’aria c’era un’atmosfera magica, il tutto sembrava assomigliare a una stampa di un quadro fiammingo del Seicento o al videoclip di un vecchio film di Tornatore. In quella che poteva sembrare una grande confusione, piano piano scoprii che, invece, ogni cosa aveva il suo posto, il suo ruolo, il suo motivo di essere lì. Mentre ero in attesa che venissero stappate le bottiglie di vino, mi soffermai su tutto ciò che mi circondava e pensai che sia i muri, sia ogni sasso della ghiaia che era per terra avrebbero potuto raccontarmi una loro storia, che avrei voluto avere il tempo di sentire. Quella di Francesco è stata un’ospitalità antica, fatta di piccoli gesti e di semplici richieste con l’unico neo di non poter che avere una e una sola risposta: affermativa. Sarebbe stato impossibile rifiutare quella sua ospitalità e io non avevo minimamente intenzione di farlo, preso com’ero a vivere ogni minuto di quella



favola che vedevo scorrere davanti ai miei occhi. Quando Francesco incominciò a parlarmi, davanti a quel bicchiere di Malvasia Istriana, raccontandomi la sua storia, compresi che lui non era solo l’interprete di quella favola, ma era innanzitutto il regista e il produttore e che l’inizio di tutto era da ricercare nel tempo in cui lui si era reso conto che fare il contadino era ed è ancora oggi la sua più grande aspirazione. Il mestiere che faccio l’ho scelto perché mi piace, perché mi fa sentire vivo, mi fa crescere, mi stimola e mi pone in armonia con il microcosmo che mi circonda. So di essere una persona semplice che si accontenta di quel poco che ha, che vive del suo lavoro nel quale mette passione, ponendo sopra a ogni cosa un grande rispetto per la natura e per tutto ciò che la rappresenta perché è di quello che io vivo e non posso certo essere io ad usurparla e a distruggerla. Questo non c’entra niente, però, con la salvaguardia ambientale. Io cerco soltanto di fare bene la mia parte e sono convinto che se tutti, nel nostro piccolo, avessimo un po’ più di attenzione per la natura, le cose andrebbero sicuramente meglio. Non ho mai avuto manie di grandezza: ho sempre avuto paura di crescere, di andare oltre le mie capacità e poi le difficoltà della vita mi hanno insegnato a stare con i piedi per terra, anche se avrei voglia di volare via. È con il vino che ho imparato a volare; volo lontano, raggiungo le case degli amici, le enoteche e i ristoranti sparsi un po’ ovunque e per una persona normale come me, credimi, è una bella soddisfazione.

ALTRI VINI I Bianchi: Collio Malvasia Doc (Malvasia 100%) Collio Pinot Grigio Doc (Pinot Grigio 100%) Friuli Isonzo Sauvignon Doc (Sauvignon 100%) Friuli Isonzo Riesling Doc (Riesling 100%)

I Rossi: Collio Merlot Doc (Merlot 100%) Igt Cabernet Franc Venezia Giulia (Cabernet Franc 100%)


Tocai Friulano

399

Collio Tocai Friulano Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Tocai Friulano provenienti dai vigneti dell’azienda, posti in località Brazzano nel comune di Cormòns, che hanno un’età media di 40 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su terreni marnosi ad un’altitudine di 60 metri s.l.m. con esposizione a sud. UVE

IMPIEGATE:

Tocai Friulano 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Cappuccina DENSITÀ

DI IMPIANTO:

3000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito dal 10 al 20 settembre e una soffice pressatura, si procede a una decantazione statica del mosto alla temperatura controllata di 10°C per circa 12 ore. Terminata questa fase di prima chiarificazione, si inseriscono i lieviti selezionati e si dà avvio alla fermentazione alcolica che si protrae per 7-10 giorni ad una temperatura di 18°C, in vasche di cemento e recipienti di acciaio inox termocondizionati. Dopo questa fase, il vino è lasciato maturare nei tini per 6 mesi, durante i quali vengono effettuati dei sur lies con sistemi meccanici al fine di movimentare le fecce nobili che sono utilizzate per guidare tecnicamente lo svolgimento della fermentazione malolattica che è fatta svolgere completamente. Di solito nel mese di marzo viene effettuato l’assemblaggio delle partite e, dopo un breve periodo di stabilizzazione e un leggero filtraggio, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento di altri 4 mesi prima di essere commercializzato. QUANTITÀ

PRODOTTA:

3000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Classico colore giallo paglierino con riflessi verdognoli; delicato all’olfatto con note floreali di acacia, fruttate di mela e banana, vegetali di timo e fieno. In bocca è fresco, equilibrato, con un finale leggermente ammandorlato. PRIMA LE

ANNATA:

1989

MIGLIORI ANNATE:

1996 - 1999 - 2002

NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 2 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 2 e i 4 anni. L’AZIENDA: Di proprietà di Francesco Vosca dal 1989, l’azienda agricola si estende su una superficie complessiva di 10 Ha, di cui 6 vitati. Svolge le funzioni di agronomo e di enologo lo stesso Francesco Vosca.


Che io ricordi, intorno alla casa abbiamo sempre avuto delle viti e da sempre qui in casa Zidarich si fa vino. In me, del resto, è ancora vivo il ricordo dei tempi in cui vinificavano mio nonno e, in seguito, mio padre Giovanni e io lo aiutavo a vendemmiare quelle nostre quattro viti. Sì, pensandoci bene non erano più di quattro le viti che avevamo, su una superficie vitata che, nel suo insieme, non superava i seimila metri quadrati; nonostante tutto però, facevamo il vino per casa e ne avevamo qualche litro da vendere agli amici. Mi piaceva quel lavoro. Non appena potevo scappavo fra i filari dove sentivo ogni giorno crescere in me il piacere di calpestare quella terra rossa. Ero giovane, ma avevo ben chiaro nella mente che non avrei voluto, per quanto mi fosse stato possibile, ripetere il percorso che aveva contraddistinto la vita di mio padre, il quale, pur lavorando tantissimo, non era mai riuscito a fare un passo avanti nella vita, riuscendo a malapena a sopravvivere. Mi rattristava l’idea di alzarmi al sorgere del sole e, dopo aver preso il panierino della colazione, fare più di un’ora di strada per andare in fabbrica, giù a Trieste, ripetendo, giorno dopo giorno, i soliti gesti con una routine e una consuetudine angoscianti. Da casa e dalle vigne godo di un paesaggio stupendo su tutto il golfo di Trieste e, ogni tanto, il mio sguardo scende giù, verso il mare, e si imbatte anche su quelle industrie che popolano il litorale: quello era l’ultimo posto al mondo dove avrei voluto lavorare; no, lì non ci sarei voluto mai più tornare. Mi piaceva troppo quello che stavo facendo per potervi rinunciare. Fu così che dopo la scuola mi misi a girare con l’intento di guadagnare qualche soldo da portare a casa, in modo da poter ampliare, con quei risparmi, quel pez-

Z

ZIDARICH

Beniamino Zidarich

zetto di terra che possedevamo e sommare altre quattro viti a quelle quattro già esistenti. Avevo solo vent’anni quando decisi di lasciar stare tutto e mettermi a fare il vignaiolo in una terra dove soltanto pochi coraggiosi c’erano riusciti. Io ne conoscevo uno solo di questi personaggi, ed era Kante, la cui cantina si trova poco distante dalla mia; lui era considerato, a detta di molti, un po’ strano, forse proprio per la scelta che l’aveva condotto ad essere l’unico viticoltore della zona. Mio padre non disse nulla su quella mia decisione, né provò a contrastarmi, magari ponendomi davanti le difficoltà che sicuramente avrei trovato nel proseguo di quell’avventura, ed era sicuro che ne avrei trovate, anzi ricordo che Giovanni mi affiancò, con un solidale silenzio, in questo mio percorso, aiutandomi con ogni mezzo e con il desiderio inconscio di vedere realizzato un suo sogno che non aveva mai avuto il coraggio di raccontarmi. Era meraviglioso il suo modo di starmi accanto, il suo lavoro era sempre finalizzato a cose importanti e i suoi consigli, per ciò che le sue conoscenze gli consentivano, erano sempre in linea con quello che mi ero promesso di raggiungere e, soprattutto, con il tempo, mi diventò amico e confidente ricoprendo un ruolo che, difficilmente, un padre ha con un figlio. Ho incominciato nel 1988 a reimpiantare il 1/2 ettaro di mio padre, poi, “di quattro in quattro”, ho impiantato molti altri filari di viti negli ultimi sedici anni e un po’ di strada è stata fatta; oggi, da quei pochi metri quadrati, siamo passati a più di sei ettari, che a molti potranno anche sembrare pochi o addirittura una cosa ridicola, ma per chi conosce il Carso e sa cosa vuole dire tirare su un ettaro di vigneto sulla roccia, non è così. Se uno non ha vissuto un’esperienza simile



non può comprendere quale sacrificio comporti essere vignaiolo su questa terra di confine, quale stoicismo possa richiedere e quanta abnegazione accompagni il lavoro di un uomo che, da solo, scassa la roccia dura per un metro di profondità, riempie quella fossa con la terra rossa portata dal fondovalle e pianta la vite che, dopo anni, potrà produrre uva. È un lavoro difficile che non sempre gratifica, è un lavoro che ti fa stare per giornate intere e per mesi in vigna, è un lavoro che ti fa sudare e sperare, che ti avvilisce quando sei stanco e sfinito e ti sprona a dialogare con il vento, con l’acqua e poi con quella pietra, cercando di comprenderla e di plasmarla, per rendertela amica e compagna di un’avventura che hai deciso di vivere in pieno e che, sicuramente, durerà tutta la tua vita. Così incominci a picconare, martellare e scavare andando oltre quel metro di roccia che sarebbe necessario per piantare le viti, e scopri che stai andando sempre più sotto, fra le viscere della terra, per costruire fra quelle rocce la tua cantina. Lì, sotto terra per decine di metri, sempre più giù seguendo le venature di quelle pietre dove un giorno metterai a riposare tranquillamente il tuo vino che si sentirà protetto e custodito. Un lavoro che vi posso assicurare è indescrivibile se uno riesce a farlo con i soli mezzi che gli sono stati messi a disposizione: le braccia e la mente. Mani che si spaccano e braccia che si indolenziscono e la sera fanno male; testa che si svuota nella stanchezza e davanti alla pesantezza del sacrificio che sembra senza fine, un torpore che mi avvolge tutto, ma che scompare non appena torno a casa e trovo mia moglie Nevenka e i miei figli Jakob e Martina ad aspettarmi. Mi rinfranco nei loro sorrisi che mi danno nuova forza per impegnarmi qui nel Carso cercando la massima qualità dalle vigne che lottano come me in questa terra molto difficile.

ALTRI VINI I Bianchi: Carso Vitovska Doc (Vitovska 100%) Carso Malvasia Doc (Malvasia 100%) Igt Bianco Venezia Giulia Prulke (Sauvignon 60%, Vitovska 20%, Malvasia 20%)


Terrano

403

Carso Terrano Doc ZONA DI PRODUZIONE: Il vino è una selezione delle migliori uve Terrano provenienti dai vigneti di proprietà dell’azienda, posti in località Prepotto nel comune di Duino Aurisina, che hanno viti con un’età media di 20 anni. TIPOLOGIA DEI TERRENI: I vigneti si trovano su un terreno carsico arido e roccioso con poco strato di terra rossa ricca di ferro e calcare ad un’altitudine di 270-280 s.l.m. con esposizione a sud / sud-est e sud / sud-ovest. UVE

IMPIEGATE:

Terrano 100%

SISTEMA D’ALLEVAMENTO: Guyot DENSITÀ

DI IMPIANTO:

8000-9000 ceppi per Ha

TECNICHE DI PRODUZIONE: Dopo la vendemmia, che avviene di solito nella terza decade di settembre, si avvia la fermentazione alcolica che si protrae per 12-13 giorni ad una temperatura compresa fra i 25 e i 30°C in tini troncoconici di legno aperti da 15-20 hl, mentre contemporaneamente si procede anche alla macerazione sulle bucce che dura altri 10 giorni a temperatura libera. La fermentazione è coadiuvata da tecniche di follatura. Terminata questa fase, si procede al travaso del vino in tonneau da 7 hl di rovere di Slavonia di secondo passaggio, dove vi rimane 20 mesi per la maturazione, fino a quando, dopo un periodo di stabilizzazione e senza alcun filtraggio, è messo in bottiglia per un breve periodo di affinamento di 3 mesi prima della sua commercializzazione. QUANTITÀ

PRODOTTA:

3000 bottiglie l’anno

NOTE ORGANOLETTICHE: Il vino ha un colore rosso rubino intenso e carico, con riflessi violacei; al naso offre ricchi profumi di frutti di bosco cui si aggiungono via via note vegetali. Al gusto evidenzia un limitato contenuto tannico, sapore prevalentemente acido e un corpo piuttosto vigoroso; è caldo, piuttosto strutturato, lungo e di buona persistenza. PRIMA LE

ANNATA:

1994

MIGLIORI ANNATE:

1997 - 2000 - 2001

NOTE: Il vino raggiunge la maturità dopo 2 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 2 e i 4 anni. L’AZIENDA: Di proprietà di Beniamino Zidarich dal 1988, l’azienda agricola si estende su una superficie complessiva di 14 Ha, di cui 6 vitati e il resto occupato da boschi. Svolge le funzioni di agronomo e di enologo lo stesso Beniamino Zidarich.





Di che uve parliamo? A quale scuola di pensiero appartieni? A quella che indica nei vitigni alloctoni il futuro di un territorio, o a quella che si àncora nella difesa dei vitigni autoctoni utili e indispensabili per differenziarsi e caratterizzarsi rispetto ad una concorrenza internazionale sempre più agguerrita? Quali scelte fare per il futuro? E quale colore dare al “Vigneto Friuli”? Bianco o rosso? Io personalmente credo che il Friuli, una terra da sempre vocata alla viticoltura, può solo avere l’imbarazzo della scelta della strada più interessante da percorrere su cui poter costruire il proprio futuro, nella convinzione che qualsiasi essa sia, potrà solo portare a grandi risultati. Questa mia certezza è data dal fatto che viaggiando in lungo e in largo su queste terre di confine, ho potuto constatare come ormai in gran parte di questi vignaioli friulani sia radicata, diffusa e assimilata la cultura della qualità. Essa è percepibile attraverso il fascino e le emozioni sensoriali che ormai sanno esprimere e trasferire i prodotti enologici di questa terra, indifferentemente dal fatto che si stia parlando di vini bianchi o rossi o che gli stessi siano prodotti con vitigni autoctoni o alloctoni, e allo stesso tempo si manifesta visivamente nell’osservazione del lavoro attento, scrupoloso e maniacale che ognuno di questi vignaioli, che ho voluto selezionare nel mio libro, svolge nella propria vigna. Un lavoro che non si limita soltanto ad un generale e qualificante mantenimento del patrimonio viticolo, ma che si evidenzia soprattutto nella cura e nella passione che viene posta a tutela di ogni singola pianta di vite in modo che la stessa sia in grado di fornire il miglior risultato possibile. Da questo movimento di salvaguardia e valorizzazione del patrimonio viticolo, si è messo in moto un più complesso processo culturale di crescita che ha coinvolto l’intero comparto produttivo, il quale ha dato origine ad una lenta e graduale metamorfosi del “Vigneto Friuli” che, pur non contribuendo a fornire nessuna risposta chiara alle domande “esistenziali” sopra indicate, ha condotto lo stesso vigneto ad una maggiore visibilità e ad un innalzamento qualitativo dell’offerta. Il momento di grande confusione, che regna un po’ ovunque, non giova certamente a chiarire le idee ai produttori ed è forse per questo, oggi più che mai, che diventa estremamente necessario l’impegno di chi,

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istituzionalmente, dovrebbe essere chiamato a promuovere il “sistema” territorio posto a sostegno proprio dello sforzo imprenditoriale fin qui attivato dal piccolo produttore vitivinicolo friulano. Certamente tutto risulta più complesso e difficoltoso se nella disamina degli input che arrivano dall’esterno si tiene conto solo della curiosità e dell’interesse che suscitano negli opinion leader la caratterizzazione e la personalizzazione del prodotto vino-territorio rispetto al prodotto vitigno, e non si considera quanto, invece, certe volte, un certo tipo di critica sia molto lontana o troppo avanti rispetto alle scelte praticate dal consumatore ordinario che fornisce dati statistici diametralmente opposti. E allora cosa fare? In questa incertezza generale è difficile poter definire delle sicure strategie o perseguire degli obiettivi comuni a tutti; sicuramente, nell’immediato futuro non credo che per i piccoli vignaioli friulani sia possibile ancora rinunciare a certi vitigni alloctoni che

hanno contribuito a portarli alla ribalta internazionale per puntare ciecamente su altri che, pur avendo sicuramente una maggiore collocazione storica sul territorio, non offrono ancora garanzie di una sicura visibilità rispetto ai primi; né sarà possibile invertire la tendenza che si è diffusa e che identifica il Friuli come uno dei più bei territori del mondo per la produzione di vini bianchi. Credo che il futuro di questa terra sia ancora tutto da scrivere, ma con questo spero che il Friuli non perda l’occasione di aggregare sotto un unico marchio “Friuli DOC” tutta la propria produzione enologica attraverso regole precise poste a tutela di tutti, nelle quali si possa lasciar libero sfogo alla creatività dei viticoltori friulani che hanno dimostrato di saper fare dei grandi vini e di saper valorizzare da soli l’intero territorio, che per me, avendo avuto la fortuna di conoscerlo, è risultato unico, ma allo stesso tempo purtroppo mi sono accorto che per molti è ancora sconosciuto.



Vitigni autoctoni PICOLIT Un vitigno ormai diventato leggenda, mito, culto e conosciuto da tutti come Picolit, ma che nel corso della sua storia è stato chiamato con diversi nomi come Piccolito, Piccolit, Piccollitto Friulano. Secondo alcune versioni, il nome deriverebbe dalla forma degli acini e del grappolo che sono prodotti dalla vite in piccola quantità, mentre secondo altre esso alluderebbe alla poca quantità di uva prodotta, fenomeno dovuto ad un aborto naturale della pianta. Certamente fu merito del conte Fabio Asquini nella seconda metà del 1700 l’aver posto in giusta luce il valore del vitigno, coltivato su larga scala a Fagagna, tanto da poterlo portare presso la Corte di Francia, l’imperatore d’Austria, lo Zar di Russia, la Corte Papale e nelle più nobili casate di tutta Europa. Dalla sua originale zona di nascita, Rosazzo, il Picolit si è diffuso tra il Torre e l’Isonzo nelle valli di Udine e Gorizia ed è lì che, ancora oggi, viene identificata la sua zona d’elezione. Il Picolit, per il quale sono richiesti almeno 14 gradi naturali, è presente nel Disciplinare delle zone DOC Collio e Colli Orientali del Friuli; inoltre, in quest’ultima è ammesso alla coltivazione anche nelle sottozone Rosazzo e Cialla. Concorre anche alla tipologia Bianco prodotta nelle zone e sottozone medesime. Il grappolo, che normalmente porta 15-30 piccoli acini, si presenta piccolo, alato, acinellato, con acini piccoli, trasparenti, con buccia pruinosa e vinaccioli grandi, globosi, in numero di due o tre. Il vino che si produce risulta di finezza straordinaria e si presenta di solito di colore giallo paglierino carico, spesso giallo oro zecchino che dopo un po’ di anni d’invecchiamento si trasforma in ambrato. All’esame olfattivo si apre in una vasta gamma di profumi di miele prodotto da una grande varietà di fiori di campo che via via si trasformano in note aromatiche di mandorla, pesca, acacia e castagno; amabile, aristocratico, nobile, si presenta all’esame gustativo con la complessità percepita all’esame olfattivo, tra cui emerge un aggraziato mandorlato. PICULIT-NERI Un vitigno che risultava già presente nell’esposizione regionale delle uve organizzata dall’Associazione Agraria Friulana e tenutasi a Udine nel 1863. Ne è indicata la coltivazione nel comune di Castelnovo, così come nel Vocabolario di lingua friulana del Pirona. Il grappolo si presenta compatto, non

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di grandi dimensioni, con acini non omogenei con una buccia lucida, nera, spessa e vinaccioli grandi. Il vino che si produce è quasi sempre di colore rosso rubino scarico, con riflessi rosati, mentre al naso risulta vinoso, intenso, con sfumature di fiori di castagno, vaniglia e semi tostati. Al palato risulta elegante, piacevole, di notevole lunghezza.

vivace, con profumo vinoso, fruttato, affascinante e complesso allo stesso tempo, con note olfattive che spaziano dai frutti neri di bosco maturi, al cuoio, al caffè e note speziate, a seconda delle aziende produttrici, mentre nel gusto è misterioso, quasi esitasse a farsi scoprire, caldo, pieno, di grande struttura e potenza; molto lungo e persistente al palato.

PIGNOLO Non si conosce la data, ma senza dubbio la coltivazione di questo vitigno iniziò nelle colline intorno a Rosazzo; ancora oggi il vero Pignolo di Rosazzo ha grappolo cilindrico, serrato, non grande, e dà ottimo vino dal colore rubino carico con toni molto accesi dalle sfumature violacee. Per meglio descrivere il valore di queste uve vale la pena ricordare quanto scrisse il Poggi nel suo Atlante ampelografico: “Ricordo che a Rosazzo (Udine), nella secolare Abbazia, un vecchio colono dell’amministrazione di Brazzà, dalla fluente barba bianca e dalla mente lucidissima, mi tesseva anni or sono gli elogi del Pignolo e, accanto ad un vecchio ceppo dagli esili tralci e dalle innumerevoli foglioline assai piccole, mi facevano ambedue l’impressione di esistenze stanche per troppa lunga vita; ed infatti il buon Zamò, così si chiamava il colono, ora non è più, e non è più il vecchio ceppo di Pignolo. Ne tolsi allora delle marze, le innestai nel vigneto ampelografico di Buttrio, ne seguii lo sviluppo ed i vini prodotti nelle diverse annate”. Questo vitigno, come tutti i vitigni antichi autoctoni friulani, ha subìto vicissitudini alterne fino al punto di rischiare l’estinzione nei primi del ‘900, a causa di quel “bovarismo” friulano che, nel giro di poco tempo, portò alla scomparsa di tutte le varietà locali più ricche di personalità. Ancora nel 1970 il vitigno non compare nelle classificazioni degli uvaggi delle province friulane, né tra le varietà autorizzate, né tra quelle raccomandate; perché ciò avvenga bisogna attendere il 1978, quando l’impianto di questo vitigno viene di nuovo autorizzato fino ad arrivare all’agognato traguardo del suo inserimento nella DOC Colli Orientali del Friuli. Il grappolo, di media grandezza, risulta cilindrico, irregolare, compatto, spesso con due piccole e strettissime ali. Peduncolo robusto, medio, erbaceo, di colore verde-giallo e acini di media-piccola grandezza, tondeggianti, di un colore blu-nero intenso, con buccia molto pruinosa, polpa carnosa e dolcissima. Il vino che si produce risulta di solito di colore rosso rubino

REFOSCO NOSTRANO Vitigno poco descritto dagli ampelografi e con una scarsa bibliografia; con ogni probabilità, prima della Fillossera era il vitigno ad uva rossa più diffuso in Friuli e sicuramente il vino che si produceva era quello più consumato dai contadini friulani. Il vitigno, che alcuni erroneamente indicano come Refosco di Faedis o Refoscone, venne soppiantato dal più elegante Refosco dal Peduncolo Rosso. Presenta un grappolo lungo, spargolo, irregolare, dal peduncolo robusto, erbaceo, di colore verde; gli acini sono di media grandezza e di colore nero, con buccia molto pruinosa e polpa carnosa. Il vino che si produce è un vino “di campagna”, dal colore rosso rubino intenso, vivace, dal profumo vinoso, leggermente erbaceo, con un leggero ricordo di prugna secca, mentre al palato risulta talvolta aggressivo, sapido, duro e robusto. REFOSCO DAL PEDUNCOLO ROSSO Il vitigno è originario delle terre poste tra il Carso e l’Istria ed è già citato negli Annali del Friuli, dal Di Manzano nel 1309. Tra le molte qualità di Refosco (Refosco di Faedis, d’Istria, di Rauscedo, del Carso, Refoscone), la qualità autoctona originaria, il Refosco dal Peduncolo Rosso, è ritenuta da alcuni la miglior qualità autoctona di vino friulano a uva nera. Presente nei disciplinari delle zone a DOC Carso, Friuli-Latisana, Friuli-Aquileia, Friuli-Annia, FriuliIsonzo, Friuli-Grave (provincia di Udine e provincia di Pordenone), Colli Orientali del Friuli, nonché nella sottozona Cialla. Il grappolo ha taglia media e matura di solito ai primi giorni di ottobre e il vino che se ne ottiene ha colore rosso rubino intenso, con sfumature violacee o granate, se invecchiato, mentre al naso risulta caratteristico, intenso, con netti sentori di mora, lampone, mirtillo e sottobosco e al palato è giustamente tannico, snello di corpo, leggermente erbaceo, dal sapore asciutto che ricorda i frutti di bosco, con una prevalente nota di lampone su uno sfondo amarognolo.


RIBOLLA GIALLA Il vitigno Ribolla è coltivato in Friuli fin dal tempo dei Romani, quando era probabilmente conosciuto sotto il nome di Evola. Il primo documento che ne parla risale al 1299 e anche il Boccaccio lo cita in una sua requisitoria contro i peccati di gola. Il termine Ribolla sembra essere per il Levi, nel 1877, un nome generico dato a uve o a vini bianchi delle colline, alla cui fattura concorrevano parecchi vitigni fra cui e soprattutto, appunto, Ribolla e Glera. E indubbiamente ancora negli anni ‘50‘60 con il nome Ribolla si intendevano genericamente tutti i vini dolci bevuti per la festa dei Santi in tutte le osterie friulane, accompagnati dalle castagne cotte nell’acqua con l’alloro. I cloni attualmente coltivati sono tre, ma quello più conosciuto è la Ribolla gialla. Il territorio di Oslavia, inserito nella zona della DOC del Collio, come del resto le sottozone di Rosazzo e Cialla nella DOC dei Colli Orientali, sono le principali aree produttive di questo vitigno. La Ribolla Gialla, oltre che ad essere vinificata in purezza, concorre anche alla produzione degli uvaggi nelle zone DOC e sottozone stesse. Si presenta con un grappolo di media grandezza, cilindrico, raramente alato, mediamente compatto e con acini medi, dalla buccia pruinosa e consistente. Il vino che si produce ha un colore giallo paglierino scarico con riflessi verdastri e si presenta con un bouquet delicato, con nuances floreali di acacia e note fruttate, mentre al gusto risulta fresco, secco, citrino, ricco di glicerina, giustamente alcolico, facile e piacevole da bere. SCIAGLIN Vitigno tipicamente friulano il cui nome deriva da s’ciale, cioè “terrazzamenti”. Noto sulle colline dello Spilimberghese già nel XV secolo, nel 1863 l’area di coltivazione era indicata nella zona di Vito d’Asio e Fagagna, per estendersi anche ai comuni pedemontani di Maniago e Pinzano. Fino a qualche decina di anni fa lo Sciaglin era largamente diffuso, poi piano piano la sua produzione è andata scomparendo. Conosciuto anche come Sciarlin, Sciablin, Schablin, Scharlina, S’ciablin, presenta un grappolo di media grandezza, irregolare, spesso con due ali, con peduncolo robusto, lungo, erbaceo, di colore verde-giallo e acini grandi, tondeggianti, di un colore verde con sfumature gialle, con buccia molto pruinosa e polpa carnosa. Il vino che si produce risulta di colore giallo paglierino, più o meno intenso, con deboli sfumature verdognole, mentre al naso è intensamente fruttato, con note floreali di

sambuco, acacia e peperone giallo. Al palato risulta pieno, ben strutturato, con una buona acidità. SCHIOPPETTINO Lo Schioppettino o Ribolla Nera o Pocalza, come viene chiamata oltre confine, ha subìto gli stessi soprusi culturali toccati a Pignolo e Tazzelenghe. La sua terra di origine dovrebbe essere a cavallo tra Prepotto e la parte appena confinante con il territorio sloveno e il suo salvataggio è da attribuire sicuramente a Paolo Rapuzzi che decise nel 1972 di reimpiantare a Cialla, contro qualsiasi divieto, questo vitigno ormai scomparso. Molto importante, nel recupero di questo e di altri vitigni autoctoni, l’azione decisa e coraggiosa del Premio Risit d’Aur della Famiglia Nonino, distillatori in Percoto (Udine). Il nome sembra derivi dallo “schioppettìo” dell’uva in bocca quando la si degusta o dalla scarsa gradazione alcolica e dall’alto tenore di acidità raggiunto che conduceva il vino, imbottigliato giovane, a fermentare nuovamente in bottiglia facendolo diventare leggermente frizzante e provocando il suo “schioppettìo” all’apertura delle bottiglie. La sua principale zona di produzione, oltre a Cialla (sottozona della zona DOC Colli Orientali nel cui disciplinare si prevede la produzione, oltre che dello Schioppettino vinificato in purezza, anche del Rosso di Cialla ottenuto anche con il concorso dello Schioppettino), è tutto il territorio del comune di Prepotto, in cui si intende promuoverlo e valorizzarlo anche tramite un Consorzio di Promozione e Tutela. Il grappolo, di media grandezza, risulta cilindrico, irregolare, spesso con due ali ben visibili, compatto, con peduncolo robusto di color legno e con acini di media grandezza, tondeggianti, di un colore blu-nero intenso, con buccia molto pruinosa e polpa carnosa. Il vino che si produce risulta di solito di colore rosso rubino intenso, mentre al naso offre sensazioni di sottobosco, mora selvatica, lampone e mirtillo, mentre l’invecchiamento esalta sentori di tabacco dolce, ribes maturo e pepe nero; dal corpo asciutto e di razza. TAZZELENGHE Il nome sembra derivare dal dialetto tàce-lenghe che significa “taglia la lingua”, per l’asprezza del vino che, ricco naturalmente di acidità, la vede evidenziata se l’estrazione di tannini, dovuta a una prolungata macerazione, è eccessiva. Come il Pignolo e lo Schioppettino questo vitigno è

stato salvato dal Regolamento CEE 486 dell’8/03/1978 e, come i suddetti vitigni, la sua coltivazione è autorizzata in provincia di Udine in particolare nelle zone collinari di Buttrio, Manzano, Rosazzo e Cividale. La vite ha molta vigoria vegetativa e si presenta di foglia media, pentagonale, trilobata, con un grappolo medio di forma cilindrica, talvolta alato e mediamente compatto, con acini di media grandezza, di forma sferica con buccia consistente di colore nero-blu che raggiungono la maturazione tardivamente. Se ne ricava un vino di color rosso rubino con sfumature violacee, con sentori vinosi, di sottobosco, fumo di legno e mandorle tostate. Al palato risulta astringente, particolarmente acido e tannico se bevuto giovane, caratteristiche che il tempo attenua rendendolo gradevole e aprendolo ad una vasta gamma di piacevoli percezioni sensoriali. TERRANO Il Terrano del Carso o Refosco d’Istria, Crodarina, Gallizio, Magnacan, Terant, Terrano d’Istria o più semplicemente Terrano, fa parte della grande famiglia dei Refoschi e appartiene all’ambiente particolarissimo del Carso. I vigneti sono scavati nella roccia creando delle fosse riempite con strati di “terre rosse” delle doline di fondovalle che presentano un alto contenuto di composti ferrosi. La tradizione identifica questo vitigno nel Pucinum, dal quale si produceva il vino preferito dalla seconda moglie di Augusto, Livia, lodato da Plinio il Vecchio, mentre molto più tardi gli austriaci lo vendevano in farmacia per gli anemici ed era considerato curativo in tutti i paesi dell’Impero. Il Terrano si produce principalmente nell’area DOC del Carso Triestino (e, in minor misura, in quello Goriziano) e presenta un grappolo di media grandezza, di forma cilindrica, regolare, compatto, con due ali e un peduncolo robusto, di media lunghezza e di color legno, con acini di media-grandezza, tondeggianti, di un colore blu-nero, con buccia molto pruinosa. Il vino che si produce risulta di solito di colore rosso rubino molto intenso, vivace a tal punto da prendere l’appellativo anche di “Sangue del Carso”; al naso si presenta fragrante, con una personalità prorompente, profumo di lamponi, mirtilli e ribes neri; al palato è asciutto, tannico, avvolgente, piacevole da bersi giovane. TOCAI FRIULANO Le zone dei Colli orientali del Friuli e del Collio dal punto di vista storico sono indubbiamente le più


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importanti per la produzione del Tocai, vitigno comunque presente in tutti i disciplinari delle DOC regionali (ad eccezione del Carso) nei quali entra o in purezza o con percentuali diverse nella composizione degli altri uvaggi bianchi ammessi. L’origine del vitigno è incerta e, anche se riporta il nome di un paese ungherese, ha poco a che fare con il vitigno presente in quella zona, ma purtroppo la cosa ha dato origine ad un contenzioso giuridico fra Italia e Ungheria che porterà quasi sicuramente ad una revisione del nome da parte dello Stato italiano in quanto l’Unione europea, con l’accordo bilaterale del 23 novembre 1993, si è già espressa a favore dello Stato ungherese. L’origine comunque è da ricercare nel Sauvignonasse, di cui potrebbe essere un clone o in un vecchio vitigno francese denominato anche Sauvignon de La Corezze, blanc doux, Sauvignon vert

a Besson o Sauvignon a Gros Gratins, che entrava nella composizione dei migliori vigneti della Gironda, del Sauternes e del Barsac. Il grappolo si presenta di media grandezza e risulta cilindrico, irregolare, compatto e spesso con due piccole e strettissime ali, con un peduncolo robusto, di media lunghezza, erbaceo, di colore verde-giallo e acini di media e piccola grandezza, tondeggianti, di un colore verde tendente al giallo e con buccia pruinosa. Il vino che si produce risulta di solito di colore giallo paglierino con bellissime sfumature verdognole, con un profumo fresco, delicato, con sentori di mandorle e fiori di campo, mela golden e fieno, mentre al palato è fine, con bassa acidità, delicato ma intenso e denota carattere, raffinatezza e ottima struttura lasciando in bocca una piacevolissima sensazione di mandorle amare.

VERDUZZO FRIULANO È uno dei più antichi vitigni friulani ed è presente nei disciplinari delle DOC dei Colli Orientali del Friuli, Friuli-Isonzo, Friuli-Annia, Friuli-Aquileia, FriuliLatisana e Friuli-Grave, nonché nella denominazione Cialla (comune di Prepotto) dove concorre anche alla composizione del Bianco di Cialla. Il vitigno si presenta con un grappolo di media grandezza, tozzo, compatto, irregolare e spesso con due grandi ali, con un peduncolo robusto di media lunghezza, erbaceo, di colore verde scuro ed ha acini di media grandezza, tondeggianti, di un colore giallo con venature verdi, con buccia non molto pruinosa e polpa carnosa. Il vino che si produce risulta di solito di colore giallo con riflessi verdolini, profumi fruttati intensi e persistenti di mela, pera, albicocca e pesca noce, mentre al palato risulta pieno, acidulo, fruttato e riprende le percezioni avute al naso.



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RAMANDOLO Il Verduzzo Giallo o di Ramandolo è chiamato così per le caratteristiche che assume nella zona specifica, nella quale, nel corso dei secoli, si è mutato differenziandosi rispetto al Verduzzo Friulano. Le uve di questo vitigno, con la denominazione Ramandolo, sono state riconosciute come cru il 18 giugno del 1992 nella sottozona omonima dei Colli Orientali del Friuli. Il grappolo è piccolo, di forma irregolare e alcune volte spargolo, con un peduncolo medio, di colore verde e presenta acini di media grandezza, tondeggianti, di un colore giallo tendente all’oro, con note rosate, con buccia non molto pruinosa e polpa dolce. Il vino che si produce risulta di solito di colore giallo carico con sfumature di buccia di cipolla; al naso si apre con note di miele di castagno, mentre al palato risulta armonico, avvolgente, caldo, lungo e persistente. MALVASIA È detta anche Malvasia friulana e appartiene al grande gruppo delle Malvasie nel quale rientrano diversi vitigni dalle caratteristiche differenti; il nome che li accomuna sembra derivi dal fatto che nel Medioevo queste uve venivano utilizzate per produrre vini dai caratteri organolettici simili, con importante componente aromatica, elevato residuo zuccherino e buona alcolicità. La sua terra d’origine sembra comunque essere molto più lontana; si narra infatti che nel Peloponneso esistesse una città chiamata Monembasia i cui vini erano così importanti da far gola a Venezia che la conquistò contribuendo così alla diffusione di questo vitigno in tutto il Mediterraneo fino alle Canarie. La vite di Monembasia fu italianizzata in Malvasia e nel 1937 il Dalmasso lo cita come vitigno ampiamente diffuso nel Friuli fin dal 1300. Questo vitigno è presente nei disciplinari delle DOC Carso, Colli Orientali del Friuli, Friuli-Annia, FriuliIsonzo, Friuli-Aquileia, Friuli-Latisana e del Collio in cui concorre, con diverse percentuali, ai relativi uvaggi bianchi. Il grappolo è di media grandezza, cilindrico, talvolta alato, mediamente compatto o leggermente spargolo; l’acino è medio, sferico con buccia pruinosa, di colore giallastro con sfumature verdi; se ne ricava un vino dal colore giallo paglierino dorato con riflessi ambrati, poco aromatico e con sentori di albicocca e pesca. Fresco, ricco di glicerina e giustamente alcolico, risulta vinoso e facile da bere.

VITOVSKA La Vitovska è un vitigno a bacca bianca che da sempre si coltiva in provincia di Trieste, specialmente nei comuni di Sgonico e di Duino-Aurisina. Il nome è sicuramente di origine slovena e qui sembra che venisse chiamata anche Vitovska Garganija. Dal vitigno, che si presenta con un grappolo compatto, di buone dimensioni, alato e con un acino medio, sferico, con buccia pruinosa di colore verde con sfumature gialle, si ricava un vino che di solito ha un colore giallo paglierino, talvolta intenso, con profumi fini, sentori di prugna fresca, ciliegia, pera Williams e salvia. Al palato risulta asciutto, di buona acidità e persistenza.



Vitigni alloctoni CABERNET SAUVIGNON Vitigno francese proveniente dal Bordeaux e strettamente imparentato al Carmenère, ma con un grappolo più piccolo, meno produttivo, dal quale si produce un vino che non ha i toni erbacei del “cugino” Cabernet Franc. Diverse sono le ipotesi circa l’origine del suo nome: una lo lega alla Vitis Carbunica di Plinio, un’altra al suo corrispondente guascone Cabornet. Diffuso in Italia all’inizio dell’Ottocento attraverso il Piemonte, è presente in tutti i disciplinari di produzione regionale in purezza, oltre ad entrare, con diverse percentuali, nella composizione degli uvaggi rossi. Il vitigno si presenta con un grappolo medio o mediopiccolo, di forma cilindrica piramidale; in genere risulta compatto, con un’ala pronunciata e un acino medio, sferico, con buccia non molto pruinosa, fine, di colore blu-nero. Dalle uve si ricava un vino corposo, con buona acidità, talvolta con tannini un po’ duri, adatto all’invecchiamento; di solito viene vinificato in purezza, ma molto più spesso concorre in uvaggi, in particolare al taglio bordolese, con Merlot e Cabernet Franc. CARMENÈRE O CABERNET FRANC Il Cabernet Franc che troviamo nelle campagne friulane ha poco a che vedere con quello presente nella zona di Bordeaux e risulta invece più simile al Carmenère, un vecchio vitigno della Gironda, che, portato in Friuli dal conte Manfredo di Sambuy, trovò un ambiente ideale per diffondersi largamente. Il vino che se ne produce ha toni erbacei molto accentuati e, insieme al Merlot, è forse ancora l’uva rossa maggiormente coltivata nella regione. Presente in tutti i disciplinari delle DOC regionali, è presente sia in collina che in pianura ed è spesso utilizzato negli uvaggi con il Cabernet Sauvignon e/o il Merlot. La vite ha una foglia media, pentagonale e con un grappolo medio, di forma cilindrica quasi conica, con due ali e abbastanza spargolo. L’acino è piccolo, sferico, con buccia spessa e consistente, ricca di pruina, di colore nero. Il vino che se ne produce, di un colore rosso rubino intenso, risulta piacevole, fresco, vinoso, estremamente caratterizzante con sentori di peperone, foglie di pomodoro e note erbacee che lasciano via via il posto a piacevoli sensazioni di frutti di bosco non completamente maturi come ribes e mirtilli e note speziate di liquirizia nera. Al palato ricorda le peculiari caratteristiche percepite al naso con tannini equilibrati; sapido, di buona struttura e persistenza.

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CHARDONNAY Da esami molecolari, è stato accertato che rappresenta un incrocio spontaneo, avvenuto in epoca carolingia, tra Pinot Nero e Gouais Blanc. Considerato “internazionale”, è uno dei vitigni più diffusi al mondo e il suo utilizzo dà la paternità a vini estremamente interessanti. A lungo lo Chardonnay è stato erroneamente scambiato con il Pinot bianco, fino al 24 ottobre del 1978, quando è stato riconosciuto l’errore, a suo tempo compiuto da Giulio Ferrari, enologo alla Moet & Chandon, che lo aveva registrato presso le Autorità competenti come “Pinot bianco clone Ferrari”. La vite che, pur avendo una buona adattabilità, predilige terreni argilloso-calcarei ventilati e freschi, si presenta con foglia media, orbicolare e il grappolo è medio, piramidale, con ala poco pronunciata e risulta essere molto compatto, mentre l’acino è medio, con buccia di media consistenza, tenera e di colore giallo dorato. Se ne ricava un vino fresco, elegante, che si presta benissimo alla vinificazione e all’affinamento in barrique. Dal sapore fine, dà ottimi risultati e in Friuli, se vinificato bene, si presenta di un colore giallo dorato brillante, mentre al naso risultano intense le percezioni di pesca a pasta bianca, frutta esotica, vaniglia e spezie. In bocca è ampio, caldo, morbido, persistente e lascia un piacevole retrogusto di vaniglia. FRANCONIA Chiamato anche Blaufrankisch, risulta incerta la sua origine che deve essere ricercata nella zona di Limberg, città della Croazia, oppure nella vallata superiore del Meno, chiamata Francken, ossia Franconia. In Italia arrivò dopo l’avvento della Fillossera; se ne ha notizia a partire dalla fine del 1800 nel Friuli e successivamente, intorno al 1929, nella zona del Bergamasco. Presente nel disciplinare della DOC Friuli-Isonzo, è diffuso soprattutto in pianura. La vite si presenta con foglia grande, orbicolare, trilobata e il grappolo è grande, piramidale, talvolta con ali e semi spargolo. L’acino è medio, sferico, con buccia spessa, resistente e pruinosa di colore nero-blu. Il vino che se ne ricava è di colore rosso rubino vivace; vinoso, abbastanza fresco e leggermente alcolico, offre profumi di frutti di sottobosco rossi maturi, mentre al palato è piacevole, beverino, da consumarsi giovane.

MERLOT Vitigno francese originario del Bordeaux, dove assieme al Cabernet Sauvignon e al Cabernet Franc concorre alla produzione di grandi vini. Indubbiamente è il vitigno a bacca rossa più coltivato in tutto il Friuli Venezia Giulia e della sua presenza sul territorio se ne ha notizia a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, quando venne importato dalla Francia e diffuso in regione dal senatore Pecile e dal conte di Brazzà. È presente in tutti i disciplinari di produzione dei vini DOC regionali, sia in purezza che, in diverse percentuali, negli uvaggi rossi. La vite si presenta con foglia media, pentagonale, trilobata o pentalobata e il grappolo è di media grandezza, piramidale, alato e spargolo, mentre gli acini sono di media grandezza, sferici con buccia pruinosa di colore nero-blu. In Friuli se ne ricava un vino di colore rosso rubino intenso, con riflessi violacei, profumi fruttati di lampone, mirtillo, mora e prugna, a cui si aggiungono nuances di liquirizia e pepe nero. In bocca evidenzia tannini morbidi e molto eleganti; caldo, equilibrato e strutturato è lunghissimo e persistente al retrogusto. MÜLLER THURGAU Prima di essere il nome di un vitigno è stato quello di Hermann Müller Thurgau, illustre botanico svizzero. Fu lui a “inventare” questo vitigno che è un incrocio fra Riesling renano e Sylvaner diffusosi con successo in Germania, Svizzera, Europa Centrale e Italia Settentrionale, oltre ad essere presente anche in molti paesi extraeuropei, in particolare in Nuova Zelanda. È indubbiamente un’uva difficile da vinificare e solamente negli ultimi anni, con le più moderne attrezzature, si riescono ad estrarre e ad ottenere piacevoli profumazioni. Vitigno prettamente collinare, è presente nel disciplinare della DOC del Collio, nonché in quello della DOC Friuli-Aquileia. La vite si presenta con una foglia media, pentagonale, pentalobata, mentre il grappolo è piccolo, cilindricopiramidale, alato, mediamente compatto. L’acino è di media grandezza, ellissoidale, con buccia sottile ricca di pruina, di colore giallo-verde. In Friuli se ne ricava un vino dal colore giallo paglierino con riflessi verdolini che al profumo risulta intenso, lievemente aromatico, con sentori floreali di mughetto e note fruttate di pesca a pasta bianca e



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banana. Piacevole, caldo, povero di acidità, abbastanza persistente. PINOT BIANCO La data di nascita di questo grandissimo vitigno, che deriva da una mutazione gemmaria del Pinot Nero, si perde nei secoli e le sue tracce arrivano indietro fino ai Romani, ma nonostante questa sua lunga storia, per quanto riguarda il Friuli, dove i vecchi lo chiamano ancora Borgogna bianco, le prime barbatelle arrivarono per merito del conte de La Tour a Capriva del Friuli. Il vitigno, che è coltivato sia in pianura che in collina ed è presente nel disciplinare delle DOC dei Colli Orientali del Friuli, Collio, Friuli-Annia, FriuliGrave, Friuli-Latisana, Friuli-Aquileia e FriuliIsonzo, si presenta con foglie di media e piccola grandezza, dalla forma pentagonale quasi intera, con un grappolo piccolo, cilindrico, compatto, un’ala e un acino piccolo, sferico con buccia sottile e tenera di colore giallo dorato. In Friuli il vino che si produce da questo vitigno si presenta di un colore giallo paglierino, con profumi di crosta di pane e note floreali, mentre al gusto risulta elegante ed equilibrato; di struttura, al retrogusto risulta lungo e persistente. PINOT GRIGIO Noto fin dal Medioevo, anche il Pinot Grigio nasce da una mutazione gemmaria del Pinot Nero e come tutti i Pinot è un vitigno difficile e per esprimersi al massimo ha bisogno di climi freschi e terreni adatti. È la varietà allogena a bacca bianca più diffusa in Friuli Venezia Giulia e la sua coltivazione è prevista da tutti i disciplinari di produzione, anche per la partecipazione agli uvaggi bianchi. Si presenta con foglia piccola, trilobata e con un grappolo piccolo, cilindrico, tozzo, generalmente alato, mentre l’acino è medio-piccolo, ellittico, con buccia pruinosa, consistente e di colore grigio-viola. In Friuli se ne ricava un vino dal colore giallo dorato chiaro, mentre all’esame olfattivo emergono chiari e netti sentori di pera, banana, essenze floreali e fieno secco. In bocca è morbido, caldo, di acidità molto discreta; pieno, elegante ed equilibrato, di ottima persistenza. PINOT NERO Chiamato anche Borgogna nero o Blauburgunder, è un

vitigno originario della Francia, in particolare della zona della Borgogna. Padre del Pinot bianco e del Pinot grigio, è versatile e fonde eleganza e grande capacità d’invecchiamento. Probabilmente è la varietà più prestigiosa del mondo. È previsto nei disciplinari di produzione delle DOC Collio, Colli Orientali del Friuli, Friuli-Grave, FriuliIsonzo e Friuli-Latisana. Di foglia media, cordiforme, trilobata, il grappolo è piccolo, cilindrico, compatto, generalmente alato, l’acino è medio, sferico, con buccia pruinosa, abbastanza spessa e consistente di colore nero-blu. La sua maturazione è abbastanza precoce. In Friuli se ne ricava un vino dal colore rosso granato, con profumi di lampone, piccoli frutti del sottobosco, pepe nero e leggerissime note erbacee; di grande eleganza, strutturato, complesso ed equilibrato, al retrogusto esalta le percezioni avute al naso. RIESLING RENANO È uno tra i vitigni più diffusi al mondo e si trova anche in Sudafrica, California e Cile. Le sue origini sono da ricercare nella vallata del Reno o meglio della Mosella, dove venne menzionato per la prima volta nel 1435; sembra che fosse stato coltivato già in epoca romana nella valle del Main e del Neckar con il nome di Argitis. Il vitigno fu introdotto in Italia nel 1800. Nonostante il nome possa far pensare ad una similitudine, non ha nulla a che vedere con il Riesling Italico. In Friuli è inserito nei disciplinari di produzione delle DOC Aquileia, Colli Orientali del Friuli, Collio, Friuli-Grave, Friuli-Latisana e Friuli-Isonzo. Presenta una foglia media, tendenzialmente tonda, trilobata, con un grappolo piccolo, cilindrico-piramidale, alato e compatto; l’acino è piccolo, sferoidale, con buccia di colore giallo dorato. Se ne ricava un vino dal colore giallo paglierino dai riflessi verdolini; i profumi sono intensi e caratteristici, il sapore è abbastanza sapido e mediamente alcolico. RIESLING ITALICO Secondo Goethe arriverebbe dalla regione dello Champagne da dove poi sarebbe migrato a Heidelberg, in Germania, dove viene chiamato Walsch Riesling. In Friuli è arrivato all’inizio del secolo dall’Austria e dall’Ungheria. È presente nel disciplinare delle DOC del Collio e in quella del Friuli-Isonzo. Dalla foglia media, orbicolare, trilobata, presenta un

grappolo piccolo, cilindrico e tozzo, compatto, spesso alato ed un acino medio-piccolo, rotondo, con buccia pruinosa, sottile, ma coriacea di colore giallo doratoverde. Se ne ricava un vino dal colore giallo paglierino con riflessi verdolini, che esprime piacevoli sentori fruttati e sapore lievemente amarognolo. SAUVIGNON BLANC Sembrerebbe essere originario della zona di Bordeaux dove è coltivato, insieme al Semillon, nella zona del Sauternes. Sempre in Francia, contribuisce alla produzione di vini famosi in tutto il mondo come Sancerre e Pouilly Fumè. È un vitigno internazionale, diffuso in tutto il mondo, ma soprattutto in California, Australia e Nuova Zelanda. Anche in Italia è largamente coltivato e nel Friuli riesce a dare il meglio di sé. È presente in tutti i disciplinari dei vini DOC regionali. La vite ha foglia media, orbicolare, trilobata; il grappolo è medio-piccolo, cilindrico, serrato e alato, l’acino è medio, sferoidale, con buccia spessa e coriacea di colore giallo-verde. Se ne ricava un vino dal colore giallo paglierino brillante e dall’aroma caratteristico e intenso, con sentori di salvia, peperone, fiori di campo e pesca a polpa bianca. Leggermente aromatico, in bocca è fruttato e denota buona struttura e morbidezza; delicato e abbastanza alcolico, ha un’ottima persistenza al retrogusto.




Finito di stampare nel mese di Dicembre 2004 presso la Tap Grafiche S.p.A. Poggibonsi (Siena) - Italy



Eccomi qui a raccontarvi di un altro viaggio e di un’altra regione, un’appassionante, difficile, complessa e travagliata avventura che in più di tre mesi mi ha condotto alla scoperta non solo di gran parte del comparto vitivinicolo del Friuli Venezia Giulia e delle stupende diversità enologiche che lo caratterizzano, ma mi ha consentito anche di visionare e constatare con mano quale sia lo spirito che anima questi vignaioli di confine e quale sia il segreto di un terroir che in modo così netto tende a qualificare e a rendere unici i vini di queste zone. Mi entusiasmava l’idea di confrontarmi con un’altra realtà vitivinicola e per chi, come me, è cresciuto con l’odore del mosto del Sangiovese nel naso, passare dai “prepotenti” profumi toscani alle delicate e sensuali fragranze dei vini bianchi friulani era una sfida piacevole e allettante alla quale non avrei mai voluto rinunciare... È in quel mare di vigneti, perfettamente allineati sugli argini delle strade quasi a delimitarne il percorso, che ho cercato di aprire il guscio duro di quell’ostrica con cui mi raffiguravo il “Vigneto Friuli”. Un vigneto estremamente interessante e stimolante che, in modo schivo e riservato, si poneva al cospetto di un curioso come me quasi in modo provocatorio. Intuivo la possibilità di arrivare subito alla sua anima e alla perla che esso conteneva, ma invece, ogni volta che tentavo di espugnarlo si chiudeva respingendomi, arroccandosi orgogliosamente a protezione e a tutela della sua storia che a me era ancora sconosciuta...


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