Viaggio tra i grandi vini di Sicilia

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Andrea Zanfi

Viaggio

tra i grandi vini di Sicilia Carlo Cambi Editore



di Andrea Zanfi fotografie di Giò Martorana

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tra i grandi vini di Sicilia

Carlo Cambi Editore


Viaggio tra i grandi vini di Sicilia di Andrea Zanfi Fotografie di Giò Martorana Coordinamento editoriale e di redazione: Marco Biotti In redazione: Valentina Sardelli Direzione tecnico-grafica: Roberto Francini Progetto grafico: Elisa Marzoli Traduzioni: An.se sas Still-life: Lorenzo Borgianni Interni di copertina Libera ricostruzione dello scudo di Achille basata sul testo omerico, disegni di Patrizia Amico. Foto di pag. 5 Achille riceve le armi da Teti Sviluppo digitale da Lekythos a figure rosse di Salvatore Zafarana. Le immagini sono tratte da Gli straordinari racconti del Museo di Laura Cappugi. Per gentile concessione del Museo Archeologico Regionale Antonino Salinas di Palermo. Si ringrazia il Prof. Sebastiano Tusa della Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Trapani, Servizio Archeologico. Foto di pagg. 44-45 Si ringrazia il Maestro ceramista di Caltagirone Giacomo Alessi e la sua gentile signora Giovanna per il piatto Fangotto con immagine dedicata alla vendemmia appositamente realizzato per questa pubblicazione. Il piatto fa parte di una serie di 40 dedicati espressamente alla “Vita del vino”. Si ringrazia per la gentile collaborazione il sommelier Gabriele Bacciottini. Fotolito e stampa: Tap Grafiche S.p.A. Copyright © 2003 Carlo Cambi Editore Carlo Cambi Editore Via San Gimignano 53036 Poggibonsi (Siena) Tel. 0577 936580 Fax 0577 974147 Sito internet: www.carlocambieditore.it E-mail: info@carlocambieditore.it Proprietà letteraria riservata - Printed in Italy Prima edizione: dicembre 2003

Un ringraziamento particolare all’amico Giò Martorana

ISBN 88-88482-10-5

che in questo viaggio mi ha iniziato alla scoperta

I diritti di riproduzione, di traduzione, di memorizzazione elettronica e di adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo (compresi microfilm e copie fotostatiche) sono riservati per tutti i paesi.

e alla conoscenza delle luci e dei colori della meravigliosa Terra di Sicilia.


Prefazione “La parola legend, leggenda, viene dal latino legere, che significa leggere. La parola fiction, narrativa, viene dal latino fingere, che significa formare. Da fingere deriva la parola fingers, dita. Noi formiamo le cose con le dita. La parola history, storia, viene dal greco ìstor che significa apprendere o conoscere. Io credo nell’etimologia. Credo che la narrativa sia verità plasmata. Credo che la storia sia uno strumento per apprendere tutto ciò, e che la leggenda sia il nostro modo di leggere tra le righe”. In queste ultime parole della scrittrice israeliana Nomi Eve è contenuta la chiave di lettura della viticoltura siciliana, dove la sua storia, anche moderna, può essere letta appunto attraverso la leggenda. L’immaginario è costituito dall’insieme delle rappresentazioni che superano il limite posto dall’esperienza e dalle osservazioni deduttiva ad essa legate. Ciò significa che ogni cultura ha il proprio immaginario. Esso è la curiosità per gli orizzonti lontani nel tempo e nello spazio, l’inquietudine e l’angoscia ispirate dalle incognite dell’avvenire, l’attenzione per i sogni, gli interrogativi sulla morte. Mito e immaginario coincidono nel mondo greco e come si può negare che nei viaggi di Ulisse ed in quelli dei suoi imitatori Eubei che hanno portato la vite in Sicilia, la forza dell’immaginario non sia stata prevalente nel condividere con gli altri uomini, non greci, il potere evocativo del vino? Il vino è soprattutto una droga sociale il cui rituale è collegato o al rafforzamento dei legami di un gruppo chiuso o allo sfogo catartico di tensioni sociali in una sorta di carnevale di permissività. L’uomo greco si identifica, attraverso il consumo ritualizzato del vino, all’interno di uno specifico contesto sociale. Da ciò ne discende una preparazione non popolare, ma elitaria, partendo da uve di vitigni che si prestano all’appassimento e provenienti da vigneti che ne consentono la sovramaturazione: i vitigni e gli ambienti pedoclimatici della Sicilia. A chi ripercorre la storia del vino in Sicilia si offrono due scenari antichi molto diversi: la Sicilia greca, dove la vite, assieme all’olivo, divenne la coltura più importante e la Sicilia cartaginese, che puntò invece sulla coltura del grano. Questa distinzione rimase anche dopo la conquista romana e anche se il crescente fab-

bisogno di grano dell’Impero erodeva sempre più superficie al vigneto, il commercio del vino dalla Sicilia verso la Gallia e la Spagna era ben documentato dalle numerose anfore dei vini Mesopotanium, Inikos, Biblinum, Mamertinum, ed altri ancora. I Regni romano-barbarici prima e la conquista da parte dell’Islam poi, svilupparono soprattutto la produzione di grano, riducendo la viticoltura nei ristretti àmbiti delle grange conventuali e la mancanza della fase comunale, perpetuando il latifondo, accentuò ulteriormente la dicotomia tra le colture granarie ed il vigneto. Per questo motivo la Sicilia non poté mai inserirsi nel favorevole commercio del vino alimentato dalle grandi flotte che lasciavano la Gironda per attraversare l’Atlantico. Questo spiega perché, mentre si gettavano la basi delle grandi industrie vinicole francesi e spagnole, la Sicilia rimase in una posizione subalterna e registrò un limitato commercio di vino, monopolio di abili commercianti ebrei, genovesi e lombardi. Un certo sviluppo della viticoltura si ebbe alla fine del 1700, quando i baroni, interessati a coltivare le terre abbandonate dei loro feudi, ottennero dal sovrano la facoltà di fondare dei comuni e, nella concessione delle terre ai contadini, favorirono gli impianti di vigneti. Nella seconda metà del secolo XVIII Woddhouse, per incrementare il commercio delle ceneri di soda, notò la somiglianza tra i vini del marsalese con quelli di Porto e Madeira e dopo una prima spedizione di botti di vino Marsala in Inghilterra, che incontrò il favore dei consumatori, iniziò con altri investitori inglesi a sviluppare la viticoltura della Sicilia occidentale. L’attuale assetto della produzione viticola non rispecchia più quello di allora, ma la storia economica ci consente comunque di cogliere quegli atteggiamenti collettivi della produzione del vino che sono determinati dalla pressione della demografia, dalle rappresentazioni sociali e dalle formulazioni ideologiche e religiose. È nell’autonomia di un inconscio collettivo mosso da una sua propria dialettica interna che si ritrovano nelle diverse espressioni della viticoltura isolana gli stilemi ed i mitemi di quelle origini. È nelle frontiere nascoste, nei limes culturali che emerge la frattura tra viticolture diverse, dove l’inerzia delle strutture mentali, prima

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ancora di quelle dell’organizzazione economica, sono elementi stabili per un’infinità di generazioni di viticoltori e determina una sostanziale immutabilità delle loro scelte quotidiane. Per secoli questa attività assume un carattere normativo, ripetitivo: gli uomini muoiono, ma i nuovi abitanti non mutano le abitudini dei loro predecessori. Questa ripetitività ha posto limiti allo sviluppo dell’attività enologica ed ha avuto anche importanti riflessi sociali ed economici, dove le modalità della viticoltura sono condizionate, non solo dall’ambiente pedoclimatico, ma, come dice Braudel “[…] sono un insieme di problemi, di sfide che gli uomini devono accettare senza però giungere ad equilibri stabili. Da cui le ripetizioni, le oscillazioni, i cicli e la coesistenza tra montagna e pianura, così come tra il mare e la terra”. Le nozioni di frontiera e di confine non sono di facile definizione se non si utilizza una metafora. Allo scopo di rappresentare qualcosa che separa e unisce allo stesso tempo, è necessario identificare una specie di terra di nessuno, luogo tra due spazi prima di tutto culturali ciascuno dei quali occupato da una cultura, distinta l’una dall’altra. Questa metaforica terra di nessuno è una zona di frontiera dove avviene l’interazione tra due culture o, per contro, spazio capace di produrre continuità storico-culturale e conservazione, a guisa di una sorta di riproduzione delle società originarie che si incontrano senza mai integrarsi. La Sicilia è a questo proposito, insieme alla Campania, seppure con differenze marcate, il paradigma interpretativo di tutta la viticoltura europea, dove, secondo le più recenti teorie antropologiche cosiddette indigeniste, le espressioni dei modelli viticoli ancora riconoscibili in Europa hanno caratteristiche di estrema originalità che hanno mantenuto per millenni inalterate nei loro tratti essenziali, anche se appartenenti a luoghi contigui. Non è difficile cogliere le differenze tra il genius loci che anima la viticoltura primigenia dell’Etna con i suoi terreni vulcanici, le sistemazioni a terrazze ed i palmenti arcaici ed i luoghi mitici della produzione del Biblino nel siracusano o le distese di vigneto disseminate di bagli nel marsalese e tanti altri ancora. La caratteristica che distingue la viticoltura siciliana

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da altre è quindi la discontinuità, che non ha premesso la nascita e la valorizzazione del territorio viticolo secondo una concezione prima georgica e poi ottocentesca che tanto di moda va ai nostri giorni. Per questo si può parlare in Sicilia non di viticoltura, ma di tante viticolture dalle radici profonde che si esprimono oggi soprattutto negli uomini che interpretano con la loro cultura, spesso inconscia, l’uva e la sua trasformazione. In un’epoca dove il valore di un vino è sempre più correlato alle valenze comunicative di un certo àmbito geografico, la Sicilia affida le sue speranze viticole alle singole aziende, ai suoi uomini, aiutata in questo, paradossalmente, dal successo dei vini del Nuovo Mondo sia per la condivisione di molti descrittori sensoriali che hanno rilanciato la tipologia dei vini mediterranei, sia per il ruolo secondario che ha il terroir nella comunicazione della qualità. Ma non sono i paesaggi viticoli, ma quelli culturali e della mente che modulano le diversità. In nessun luogo d’Italia, in ogni vino si riconosce l’uomo come in Sicilia. Questo libro non utilizza come filo conduttore della trama narrativa il tema della vocazione ambientale, ma tenta una riconciliazione rinascimentale tra uomo e natura, secondo la praxis dell’homo faber, dove i vigneti conquistati da Prometeo vengono restituiti ad Orfeo. La storia del vino siciliano è quindi un racconto di luce e di tenebre, di conoscenza e di ignoranza, di serenità e di passione sulla scala non dell’uomo, ma del mito. Una storia di nessun interesse se non fosse nata dall’incontro tra Occidente e Oriente e se l’Occidente, per realizzare se stesso secondo il modello che la razionalità greca aveva appena coniato, non avesse impiegato diversi secoli per rimuoverla, costringendola a quella vita segreta, esoterica, le cui tracce sono reperibili nella mistica, nella kabbalà, nell’eresia, nella poesia e nel folclore del caleidoscopio culturale siciliano. Forse l’agire della Sicilia viticola contemporanea si può riassumere in una frase della Poetica di Aristotele: “Bisogna preferire un impossibile che sia verosimile ad un possibile che sia incredibile”.

Attilio Scienza Università degli Studi di Milano




Viaggio tra i grandi vini di Sicilia Dopo l’uscita del mio libro iSupertuscans avevo deciso che mi sarei occupato, nel secondo volume della collana “I grandi vini d’Italia”, di una di quelle regioni emergenti di cui si sentiva parlare molto, una regione italiana che potesse contare su una storia vitivinicola importante e che in qualche modo fosse stata in grado di appagare il mio desiderio di conoscere e viaggiare. La Sicilia mi sembrava perfetta, aveva i requisiti giusti, con alle spalle la più importante storia vitivinicola del Mediterraneo, che aveva avuto origine ancor prima dello sbarco dei Greci nell’VIII secolo a.C., una storia che era stata protagonista delle pagine di volumi di scrittori e poeti che nei secoli avevano cercato di captarne i mutamenti; testi che raccontavano di miti e leggende che su quest’isola si erano sviluppati intorno alla vite e al vino, miriadi d’informazioni che nel tempo avevano modificato il comportamento dei vignaioli siciliani, narrazioni che avevano, non solo arricchito le loro conoscenze tecniche, ma descritto piacevolmente i riti, le consuetudini e le pratiche sociali intorno al loro modo di interpretare il vino. Un territorio adeguato, quindi, intriso di una profonda cultura che risultava estremamente affascinante anche sotto l’aspetto pedoclimatico. Tutto questo ha stimolato non solo la mia fantasia, ma anche quella dei gourmet sempre più sorpresi dalla notevole qualità dei suoi oli, dal rapporto qualitàprezzo dei suoi vini e dalla varietà dei suoi prodotti agroalimentari. Mi rendevo conto che quella terra stava vivendo un nuovo rinascimento enologico che cercava di rinverdire gli splendori di un passato che sembrava essersi ormai perso ed era curioso capire come i produttori siciliani, in pochi anni, fossero riusciti a mettersi così in luce. “Vedrai - pensai quando iniziai a lavorare a questo progetto - sicuramente ti troverai davanti a un terroir particolare, unico, dove il mix degli elementi che lo caratterizzano prenderanno corpo senza problemi, un terroir che, negli ultimi decenni, si doveva essere semplicemente assopito per poi svegliarsi dal letargo e dar vita a una nuova storia, a una nuova cultura

enologica e a nuovi vini capaci di attrarre l’attenzione del mondo”. Non vi era giorno, infatti, che la stampa specializzata, sia quella nazionale, sia quella internazionale, non trovasse motivazioni per parlare dei vini qui prodotti. Una kermesse editoriale che, pur avendo contribuito a far sorgere la curiosità sull’argomento del “bere Sicilia”, io trovavo alquanto sterile, poiché si adoperava, come al solito, nel promuovere solamente i “primi della classe”, esaltando ora quel barone, ora quel principe, dimenticandosi invece di focalizzare l’attenzione sulle caratteristiche di quella terra e sugli elementi che nel sottobosco enologico di quel continente-isola dovevano aver contribuito a movimentarne il risveglio. A gettare poi benzina sul fuoco delle mie convinzioni, sull’evoluzione enologica di quell’isola, vi era la presenza in Sicilia, ormai da un decennio, come consulente dell’Istituto Regionale della Vite e del Vino, di Giacomo Tachis. Conoscevo il peso delle idee che quella carismatica figura riusciva a trasferire a chi gli stava accanto, i dubbi e le riflessioni che scatenava nelle menti di chi opera nel mondo del vino; con mano avevo soppesato quelle idee e le avevo verificate nel precedente lavoro editoriale de iSupertuscans, che mi aveva fatto conoscere i vignaioli di Toscana. Che Tachis fosse sceso in Sicilia per vincere un’altra sua personale scommessa? Impegnandosi, attraverso un lavoro attento e capillare, ero certo che fosse riuscito sicuramente a scalfire molte riluttanze e contribuire in modo concreto alla diffusione di una nuova cultura, lavorando alle radici del movimento enologico siciliano, proprio su quelle componenti imprenditoriali che alla lunga, giustamente stimolate, avrebbero saputo creare la differenza fra un vino e “un grande vino”: quello che io andavo cercando. Visto l’interesse generale che i vini siciliani suscitavano, Tachis vi era certamente riuscito. Mi ero convinto. Dovevo scoprire la Sicilia, ma nel prendere però questa decisione mi preoccupava il modo con il quale io mi raffronto da sempre con il

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mondo del vino. Un modo un po’ atipico, molto diverso da quello comunemente usato da altri, sempre orientati verso la diagnostica che determina le caratteristiche organolettiche del prodotto vino: analisi interessanti e doverose, ma per me, poco coinvolgenti. Pur partendo dall’importanza di ciò che una bottiglia racchiude, mi sono sempre sforzato, in questi anni, di conoscere le motivazioni che spingono qualcuno a realizzare un certo prodotto e scoprire cosa vi sia dietro a quei contenitori di vetro: tutto questo mi stimola e mi arricchisce. Questo mio personale modo di raffrontarmi con il mondo del vino, così coinvolgente, fatto di contatti umani, d’emozioni, sempre supportato da un dialogo diretto e schietto con l’imprenditore, poteva rendere il mio lavoro più difficile su quell’isola che non conoscevo? Cosa avrei potuto scoprire che non fosse già risaputo? Mi stavo organizzando per andare a conoscere una regione nelle cui vene scorrono storia, arte, cultura, oltre al sangue dei mercanti fenici, greci e arabi. Cosa avrei trovato lì? Commercianti o vignaioli? Cosa avrei potuto carpire a quegli uomini per i quali la riservatezza è un mito? Mentre mi stavo organizzando, mi immaginavo immerso in situazioni a me inconsuete, a contatto con uomini per cultura molto diversi da me, ma contemporaneamente cercavo di non farmi condizionare da questo turbinìo di emozioni, paure e riflessioni; volevo scacciare quelle remore perché non potessero, in qualche modo, condizionarmi nel giudizio di aziende, uomini e vini. Trovavo difficoltà nell’effettuare la selezione dei vini e quindi delle aziende da inserire nel mio volume Viaggio tra i grandi vini di Sicilia e man mano che proseguivo nello sviluppo del progetto, mi rendevo conto di non poter fare affidamento, come avevo fatto per la Toscana, né sui parametri storici del movimento vitivinicolo siciliano, vista la sua limitata consistenza, né su altri raffronti che, in qualche modo, in precedenza avessero già tracciato un’ipotesi di lavoro serio sulla qualità reale del “bere Sicilia”. Mi rendevo conto che lì tutto era diverso, lì tutto era successo così rapidamente che l’improvvisa e ina-

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spettata accelerazione che aveva colpito l’intero comparto vitivinicolo della Sicilia doveva aver mandato in fibrillazione tutti i produttori, che nel desiderio, legittimo, di rincorrere il tempo perduto, avevano riversato sul mercato una variegata miriade di proposte enologiche spersonalizzando quel “bere Sicilia” che io andavo cercando. Fra il “poco” o il “nulla” di un tempo neanche molto lontano e l’odierna prorompente esplosione enologica era passato solo un decennio e, pur riconoscendo alle scienze enologiche e a quelle agronome la capacità di fare miracoli, mi preoccupava molto il cospicuo numero di vini che avevano invaso il mercato. Cosa c’era dietro a quella miriade di etichette? Solo business o una rinnovata passione e un folgorante amore per la più nobile e qualificante professione del vignaiolo? Come era possibile che improvvisamente decine e decine di produttori siciliani si fossero messi a imbottigliare vino di qualità? Cosa avevano fatto fino a ieri? Per forza di cose mi vedevo costretto a determinare nuove strategie valutative e nuovi parametri di scelta delle aziende; parametri certamente molto più complessi che dovevano contribuire a mettere in equilibrio sia quelli soggettivi, sia quelli oggettivi, al fine di stilare una diagnosi qualificante dell’elenco che si sarebbe venuto a formare e tenere in doverosa considerazione il passato, il presente e il prossimo futuro delle aziende stesse. Era chiaro a me, come a tutti i miei collaboratori, che questo richiedeva un sacrificio enorme e una mia presenza in Sicilia molto più lunga di quella programmata. Un sacrificio utile per commettere il minor numero di errori possibile, avendo l’opportunità di visionare almeno quelle aziende che avevano sulla carta una maggiore credibilità rispetto alla semplice buona volontà che di solito accompagna le imprese emergenti, quelle per intenderci dell’ultimo Vinitaly, che potevano essere prese in considerazione in una seconda fase, quando avrebbero, forse, consolidato il loro “saper fare”. Ricordo che a quel Vinitaly ero rimasto piacevol-

mente sorpreso nel constatare la crescita esponenziale delle imprese presenti nel padiglione Sicilia; le aziende nuove e quelle nuovissime erano in sovrannumero rispetto a quelle che storicamente partecipavano alla manifestazione. A quelle poche aziende storiche, quali forze emergenti avrei dovuto abbinare? Quelle con una semplice etichetta o quelle che avevano degli standard operativi degni di nota? Man mano che facevo l’elenco delle cose che mi attendevano in Sicilia, mi rendevo conto che l’ottimizzazione del tempo era la condizione sine qua non per poter raggiungere gli obiettivi auspicati. Ogni attimo che dedicavo a quelle aziende doveva essere ben calcolato: dalla degustazione dei vini alla scoperta di quella miriade di piccole e grandi cose che potessero farmi conoscere meglio il vignaiolo, la cantina e l’azienda. In quelle poche ore dovevo interpretare i personaggi, la loro capacità di integrarsi con il territorio che li circondava e costruire in esso e con esso il loro terroir. Dovevo capire quale fascino suscitasse in loro la parola “mercato” e quanto questa parola avesse condizionato le scelte che li aveva visti impegnati nella valorizzazione dei vitigni autoctoni o alloctoni. Dovevo comprendere quali gerarchie regolassero il sistema enologico del territorio siciliano, così vasto e così diverso, e quanto le stesse avessero influenzato le scelte del movimento vitivinicolo dell’isola. Dovevo capire il loro modo di interpretare la viticoltura e l’imprenditoria enologica, così da creare quel distinguo fra “vignaiolo” e “commerciante di vino” che mi pareva esistere in questa Sicilia d’inizio secolo. Dovevo indagare sulle idee e le motivazioni del repentino successo di quei vignaioli e di quegli imprenditori, del come e del quando tutto fosse accaduto, toccando le corde della loro suscettibilità e del loro orgoglio, argomentando come era stato possibile che il vino fosse riuscito nel miracolo di discostare, dall’opinione pubblica nazionale e internazionale, la Sicilia dalla parola Mafia. Tutto doveva condurmi alla scoperta del significato e del futuro del “bere Sicilia”.


Per far questo ho percorso, in circa 80 giorni, 16800 chilometri su strade che, in alcuni casi, si sono dimostrate difficili, attraversando tutte le province dell’isola e toccando un’infinità di paesi e città da Palermo a Marsala, da Menfi a Vittoria, da Catania a Caltanissetta, da Caltagirone a Corleone, da Castiglione di Sicilia a Salina e Pantelleria. Devo ammettere di aver vissuto una splendida esperienza professionale, un vero e proprio percorso didattico formativo in una terra che come una femmina sa stregarti e incantarti con la seduzione dell’arte, della cultura, della tipicità, delle diversità, dell’intelligenza; ho scoperto in questo modo come un simile territorio sia in grado di far nascere in un viaggiatore il “mal di Sicilia”. In questi lunghissimi giorni ho cercato di avvicinarmi a una cultura diversa, molto più complessa di quanto immaginassi, per capire un po’ di più il significato di sicilianità. In questo mio viaggio ho conosciuto tutti quei personaggi che si stanno adoperando per traghettare il mondo del vino di Sicilia verso un nuovo futuro. Uomini intriganti, affascinanti, che con le loro personalità, le loro paure, i loro tabù, mi hanno fatto scoprire l’altra Sicilia, quella vera, quella che non si conosce se non si ha la forza, la cocciutaggine e la volontà di scoprire; quella Sicilia talvolta occultata. Uomini che si sono dimostrati in alcuni casi dei veri vignaioli, in altri degli ottimi imprenditori, alcuni amorevolmente attaccati alla propria terra, altri distaccati osservatori del successo che li vede coinvolti; alcuni ottimisti, altri ancora molto realisti. Quello che spero di essere riuscito a trasmettere con questo mio Viaggio tra i grandi vini di Sicilia è il valore che questi uomini danno al loro mondo del vino; in questi piccoli ritratti ho voluto tracciare delle semplici pennellate emozionali che mi sono nate dentro nel dialogare con loro, quando mi raccontavano della loro terra e del loro lavoro. Un viaggio vero e proprio, un viaggio d’altri tempi che mi ha condotto a capire come quest’isola si stia muovendo nel settore vitivinicolo trovando le risposte a quasi tutte quelle domande che mi turbavano


prima della mia partenza e alle quali solo in parte risponderò in questa mia introduzione lasciando, a chi avrà voglia, la discrezione di estrapolare le altre risposte dai ritratti che ho fatto di questi siciliani. Muovendosi in lungo e in largo nel “vigneto” Sicilia, si rimane impressionati dalle sue grandi potenzialità e da come la natura, qui, non si sia fatta mancare niente. A ogni angolo è percepibile e visibile la sua prorompente vitalità, la sua forte esuberanza, tutti elementi che danno l’idea della cornice nella quale sono chiamati a operare questi fortunati vignaioli. Ormai rimane molto difficile scoprire degli angoli di Sicilia dove non sia stata piantata una vite, anzi, in alcune zone si rimane veramente affascinati dalla cura con la quale viene promossa la viticoltura; per decine e decine di chilometri si assiste a un rincorrersi di vigneti su vigneti, un susseguirsi di filari che si alternano a nuovi filari che vanno oltre lo sguardo, oltre la collina e ovunque si posi l’occhio ci sono viti e poi ancora viti. È forse in questi angoli, più che in altri, che si percepisce la molteplicità delle “Isole” che compongono la Sicilia, ognuna delle quali è diversa dall’altra. Isole nell’Isola, come delle piccole matrioske, ognuna delle quali uguale nella sua diversità; isole con situazioni pedoclimatiche uniche che contribuiscono alla creazione di un distinguo e di una caratterizzazione, forte e netta, dei vini qui prodotti. Una tipicizzazione che farebbe la gioia di qualsiasi vignaiolo al mondo, ma che ancora, qui in Sicilia, stenta a essere considerata un valore aggiunto. Una terra quindi dalle molteplici differenziazioni, con enormi opportunità ancora tutte da scoprire; una Sicilia che solo alcuni hanno saputo fino a oggi interpretare e hanno saputo poi raccontarmi; una terra che forse ancora è da considerare veramente all’inizio di un nuovo percorso enologico. Isole nell’Isola, dicevo, ognuna delle quali in possesso di un potenziale terroir capace di qualificare e valorizzare i vini prodotti; terra tutta da scoprire, con una storia ancora da scrivere, dove ogni cosa è in movimento, dove non vi è niente di consolidato,


dove la stessa viticoltura si rigenera dalle proprie ceneri. Man mano che pellegrinavo sull’isola percepivo che alla molteplicità di elementi che avrebbero dovuto comporre quei diversissimi terroir, mancava ancora il “vignaiolo”; proprio quell’elemento che, una volta spogliatosi della divisa del manager e indossate le vesti più umili del “contadino”, sa instaurare con la terra un legame forte di protezione e amore e con l’acutezza intellettiva di chi interpreta gli umori e le necessità di ogni vite e di ogni zolla, sa comporre quel puzzle di elementi che creano un distinguo fra un buon vino e un “grande vino”. Un vuoto culturale che credo sia attribuibile alle abitudini produttive che per decenni hanno coinvolto i contadini siciliani, per la maggior parte mezzadri stretti nella morsa di un feudalesimo poco lungimirante. Basta guardare la storia dell’enologia siciliana degli ultimi quarant’anni per comprendere come qui si siano sommate scorie culturali a remore concettuali, tutt’oggi ancora difficili da rimuovere. Anni nei quali, per motivi sociali di semplice mutua assistenza, era sorta la “Banca del Vino Sfuso di Sicilia”, alle dipendenze della quale si erano trovati un po’ tutti e alla quale si rivolgevano da ogni parte del mondo; una banca le cui filiali avevano finanziato solo una viticoltura di servizio, senza né fini, né obiettivi definiti. Ma ora che la Sicilia del vino si era messa a correre, mi accorgevo che a molti produttori risultavano incomprensibili tutti quei mutamenti enologici in corso; altri, invece, erano stati spronati a muoversi e ad agitare le proprie acque, mentre per altri ancora, la confusione che regnava aveva costituito un buono spunto per consolidare ciò che da loro era stato raggiunto. Si trattava comunque di un exploit, ma per valutarlo seriamente dovevo considerare le dimensioni del movimento vitivinicolo di una regione che da sola produce molto di più di quanto riescano a fare Toscana e Piemonte messe insieme. Qui la viticoltura è un fattore sociale che alimenta un’economia diffusa, che per quantità prodotte non può rivolgersi esclusivamente al mercato della qualità o dell’eccel-

lenza, ma che per sopravvivere deve raffrontarsi con mercati più ampi, meno esigenti, che abbisognano di prodotti di buon livello, ma di basso costo. L’impressione che ne scaturiva era, comunque, “ognuno per sé e Dio per tutti”, dove ogni produttore era impegnato in una rincorsa spasmodica del business, dimenticandosi del “tempo”, l’unico elemento capace di coagulare intorno a sé il terroir che io andavo cercando. Ecco, anche il tempo aveva un valore diverso rispetto a quello che io gli attribuivo e di questo me ne accorgevo con il passare delle giornate, proprio osservando il significato che è dato in Sicilia all’andare a prendere un semplice caffè o al conservare alcune tradizioni popolari o alcuni mestieri antichi come non ne avevo mai visti. Luoghi, professioni, usi e costumi per i quali le lancette dell’orologio sembrano o essersi arrestate o messesi improvvisamente a correre, come si percepisce osservando la viticoltura siciliana che, coadiuvata da una prorompente natura, negli ultimi anni è stata capace di dimezzare i tempi produttivi necessari alla realizzazione di buoni vini rispetto ai tempi che occorrerebbero in qualsiasi altra regione d’Italia. Sono questi i motivi del successo del vino di Sicilia, cioè la combinazione fra potenzialità e opportunità, fra capacità e volontà, il desiderio di voler dare un taglio a un passato poco gratificante e costruire un futuro più solido e duraturo.

Andrea Zanfi

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La parola agli enologi Un grande vino siciliano deve esprimere la solarità, la luminosità della nostra isola, deve avere una personalità forte, un colore intenso e profumi tipicamente mediterranei. Un grande vino siciliano si fa ricordare per la ricchezza e la potenza della sua struttura, ma allo stesso tempo per la grande finezza, l’eleganza, l’equilibrio e soprattutto la “beva”, caratteristiche che fino a poco tempo fa sembravano inconsuete per i vini del sud. Ciò che mi aspetto da un vino del nostro territorio è invece la “riconoscibilità”. Bisogna andare oltre i canoni dell’omologazione dei vini, andare oltre le caratteristiche del vitigno, se necessario. I vitigni alloctoni, coltivati in Sicilia, perdono molto del loro patrimonio genetico-organolettico, proprio perché subiscono in maniera decisa il forte condizionamento del territorio. Per esempio, in un vino a base Cabernet Sauvignon, si possono sentire poco le note organolettiche tipiche del vitigno e percepire invece tutta la Sicilia. I nostri vini devono essere riconducibili ai nostri differenti pedo-microclimi: diversi vini, diverse caratteristiche, una sola “sicilianità”. La varietà della Sicilia per quanto riguarda il clima, il terreno e l’altitudine si presta egregiamente alla creazione sia di vini rossi che di vini bianchi, tipologie queste ultime per troppo tempo sottovalutate.

Vincenzo Bàmbina

La Sicilia è terra di luce e di sole e le condizioni pedoclimatiche di cui gode favoriscono il saggio coltivatore donandogli uve ad insuperabile potenzialità qualitativa. Le vigne che ricoprono la gran parte del territorio isolano ben ricordano la distesa del mare che lo circonda; un mare, il Mediterraneo, testimone del grande patrimonio storico e culturale che anche la vite ed il vino possiedono in queste terre; radici che risalgono all’epoca della presenza dei greci e alla loro fama di sapienti viticoltori e di accorti consumatori di vino. Con questi preamboli il vino siciliano che nasce, sia esso bianco o rosso, deve poter esprimere questa “mediterraneità”.

Note organolettiche uniche e capaci di emozionare l’attento ed appassionato consumatore con sensazioni riconoscibili che comunicano ciò che nel suo intimo questi vini contengono: luce, sole, Mediterraneo. I bianchi devono esprimere quindi solarità evidenziata da bei colori intensi, lievemente dorati, profumi complessi, fruttati ed eleganti e sapori persistenti, ricchi di rotondità, gradevolezza ed equilibrio. I rossi, dal canto loro, figli di ben maturi grappoli, devono esprimere con chiarezza l'austerità dei territori da cui si originano. Per essere grandi, i vini rossi di questi microclimi caldi e siccitosi devono possedere un connubio di grandi strutture e straordinarie eleganze. Colori vivi e profondi e profumi intensi sostenuti da una grande concentrazione di sostanze estrattive, da tannini vellutati, molto condensati e da ricchezze e persistenze palatali mai aggressive.

Carlo Casavecchia

Un grande vino siciliano deve esprimere il territorio, non in chiave di esuberante e fastidiosa struttura, complessità e grassezza che il nostro clima facilmente ci aiuta ad ottenere, ma in modo elegante ed aristocratico; non importa il vitigno di provenienza, sia esso autoctono o alloctono, ma ciò che risulta di fondamentale importanza è perseguire e raggiungere l’obiettivo. Un grande vino non per forza deve vincere un concorso o trovarsi ai massimi vertici delle più importanti guide dei vini: un grande vino deve farsi bere ed emozionare chi lo beve.

Nicola Centonze

Passione, cultura e tradizione, unite dal calore della nostra terra e dalla professionalità, esprimono sensazioni uniche racchiuse in un bicchiere!!!

Nicola Colombo

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Mi ritengo fortunato di essere stato personalmente coinvolto nella nascita e nell’evoluzione della nuova enologia siciliana, un fenomeno che fa parlare di sé ormai da un decennio. A mente serena, ripensando a questi anni trascorsi, vedo che tutto il necessario per il raggiungimento dei risultati, talvolta spettacolari, dei nostri giorni, ci veniva regolarmente proposto, vendemmia dopo vendemmia, in attesa di qualcuno che fosse in grado di capirlo e di trarne vantaggio. Quando questo avvenne, negli anni a cavallo fra la fine degli anni ‘80 e l’inizio degli anni ‘90, il coagulo di cultura in senso lato, capacità imprenditoriale, disponibilità di adeguate attrezzature, di materiale umano intelligente, aperto e determinato e della grande generosità della terra e del clima siciliano, tracciò un percorso preciso e senza alternative: l’ottenimento della massima qualità raggiungibile. E questo ci porta ai grandi vini di Sicilia. Il mio coinvolgimento con le cantine Settesoli dal 1989 e con Planeta dal 1994 mi ha permesso di essere partecipe dei successi di entrambe (di tipo diverso naturalmente, viste le enormi differenze che esistono tra le due aziende). Un grande vino può essere relativamente facile da farsi, nasce nel vigneto con tutto il suo corredo qualitativo, è un predestinato, in cantina non si fa altro che assecondarlo… o rovinarlo. Oppure è una chimera, un obiettivo elusivo. Perché? Se lo sapessi, il problema sarebbe risolto. La qualità non ha limiti e di conseguenza la ricerca della qualità non può concedersi soste e deve spingersi in tutte le direzioni ed approfondirsi in tutti i dettagli. Ormai si parla correntemente di zonazione, selezione di portainnesti e cloni, pratiche colturali quali potature corte, diradamento dei grappoli, concimazioni ridotte o addirittura evitate, irrigazioni rigorosamente di soccorso. Le cantine sono attrezzate con quanto di meglio la tecnologia possa offrire, i tecnici sono preparati ed entusiasti. Su queste basi non rimane che compiacersi di quanto già fatto di buono o addirittura di grande, convinti comunque di un futuro ancora più eccitante qualora

l’attuale determinazione verso il meglio continui a fare da guida alla vitienologia locale.

“…Il massimo dell’espressione della cultura, della storia e della tradizione isolana”.

Carlo Corino

Francesco Fenech

Ogni vino è il risultato dell’uva da cui proviene e del territorio ove questa è coltivata. Più forti sono questi fattori, più alta sarà l’espressione organolettica del vino. Nero d’Avola, varietà finalmente scoperta e capita, interpretata secondo le più rigide regole della qualità e un habitat a volte difficile come quello dell’Agrigentino, arido e siccitoso, rappresentano il tramite per esprimere quello che a mio avviso può essere considerato il grande vino siciliano: un vino non sempre facile da capire, ma esemplare per personalità, ricchezza, carattere e una generosità estrema, come d’altronde tutto ciò che è siciliano.

Definire come debba essere un vino di qualità è impossibile. È come voler definire o trovare l’uomo giusto, perfetto, senza pecca. Il nostro modo di essere, così come per il vino, è relativo e dipende dall’ambiente (la zona) in cui si vive, dal proprio passato (la vigna e i vitigni), dal presente (l’annata), dalla propria cultura (il viticoltore, il vinificatore), dal momento (la vinificazione), dal futuro (l’affinamento). Un vino dovrebbe essere l’espressione più pura del territorio, dei vitigni del territorio e della cultura degli uomini che lo producono!

Salvo Foti Riccardo Cotarella

La Sicilia è una terra generosa il cui potenziale non è mai stato espresso in termini qualitativi. Questa mancanza si è sempre riflessa nel mercato negativamente per cui, nell’immaginario collettivo, il “Vino Siciliano” era identificato come pesante, alcolico e poco piacevole. Oggi questi luoghi comuni sono superati e la Sicilia sta conquistando più credibilità, esprimendo vini di carattere che piacciono molto al consumatore. Il “Carattere” del vino Siciliano, che è legato alla sua terra, ricca, calda e variegata, rappresenta un indice importantissimo per la sua riconoscibilità. Un “grande vino siciliano” deve saper fondere con armonia la potenza e la ricchezza della Sicilia esprimendo vini profondi di eleganza, finezza e carattere. Questo patrimonio, di cui oggi siamo consapevoli, è un’eredità impegnativa che deve servire a noi “giovani” siciliani come stimolo di crescita e di ricerca continua per valorizzare tutto il territorio.

Un grande vino siciliano per me è un vino che ha carattere, forte e gentile nello stesso tempo proprio come sono le persone di Sicilia. Il grande vino siciliano è soprattutto un vino rosso ottenuto principalmente dal vitigno tradizionale Nero d’Avola. È proprio il Nero d’Avola che in alcune centinaia di anni ha dimostrato meglio di altri vitigni di adattarsi al clima caldo e siccitoso della Sicilia e profittare di alcuni suoli bianchi, calcarei per esprimere spiccatissime doti di eleganza. Tutto ciò è legato a caratteristiche genetiche varietali quali il contenuto terpenico che ne qualifica le qualità olfattive ed il buon patrimonio acidico che ne assicura la freschezza e la piacevolezza anche dopo molti anni.

Franco Giacosa

Renato De Bartoli

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La prima volta che sbarcai in Sicilia lo feci grazie ad un viaggio premio di diploma e ricordo l’emozione che provai come se fosse ora: fui conquistato subito dai profumi intensi, ma soprattutto dai colori forti, come l’azzurro e soprattutto il giallo con tutte le sue tonalità. Poi, in quei giorni di permanenza, durante una gita tra Selinunte ed Erice m’innamorai di un vino bianco suadente: il Grecanico, che pur non essendo un Montrachet lasciava trasparire la finezza e l’eleganza che può avere un bianco siciliano. Parlare di vini di Sicilia oggi crea senza dubbio entusiasmo ma a volte le realtà sono contrastanti: c’è ancora qualcosa da fare ed anche noi del Nord non possiamo nasconderci dietro a un dito facendo finta di non ricordare che fino ad un decennio fa la Sicilia era per antonomasia la terra dei vini da taglio. Vantava fama solo per un grande vino, il Marsala, e di questo vino aveva il monopolio di produzione, ma non quello d’imbottigliamento. Fu proprio l’aver permesso l’imbottigliamento fuori zona a fare del Marsala la grande occasione perduta per la Sicilia. Oggi i vini siciliani sono al vertice dei giudizi internazionali e la loro massima espressione di qualità è raggiunta non tanto con i vitigni internazionali, quanto con i vitigni autoctoni, quelli selezionati dalla loro stessa storia: primo tra tutti il Nero d’Avola, poi a seguire l’Inzolia, il Catarratto lucido, il Grillo, lo Zibibbo; tra un po’ si vesti-

rà di fama anche il Pignatello e non sarà ancora finita! Sono gli stessi vitigni di un tempo, il territorio è sempre lo stesso, ma allora cos’è cambiato? Un fattore che nella produzione del vino è determinante: l’uomo. Sì, sono cambiati gli uomini siciliani che hanno messo le loro etichette ai loro vini, e questa è una bella evoluzione naturale per chi ama la purezza e la tracciabilità. Le coincidenze di interessi sbagliati, che avevano relegato la Sicilia al ruolo di regione che doveva produrre restando dietro le quinte, oggi si stanno disintegrando ed è talmente forte la rivincita siciliana che i vitivinicoltori del nord, che mantenevano la Sicilia enoica in posizione subalterna, ora ci vanno a produrre vino. “La Sicilia è la California d’Italia” sostiene uno slogan molto diffuso tra gli amanti del vino. Ma è proprio così? Io credo invece sia più probabile il contrario: che la California, cioè, sia la Sicilia degli Stati Uniti!

Donato Lanati

Il vino siciliano è come una bella donna, colta e sensuale, che esprime il fascino multiforme di una civiltà antica, misteriosa e solare.

Luigi Lo Guzzo

Un vino siciliano è veramente grande quando, fin dai primi sorsi, ha la capacità di portarti con la mente fuori dal bicchiere facendoti immaginare per le sue peculiarità (colore, profumi, struttura ed eleganza), quasi per incanto, il territorio che lo ha generato con la sua luminosità e solarità.

Giuseppe Melìa

Noi due abbiamo le stesse opinioni sul vino. E sono anche abbastanza semplici, sia che riguardi un vino di Sicilia, quanto un vino in generale. Un Vino, come noi lo intendiamo, deve rappresentare il Territorio, una Vigna e non deve essere costruito in cantina. Deve avere le caratteristiche ben precise del luogo di Origine e non un stile internazionale. Noi crediamo che un Vignaiolo debba accompagnare l'Uva a diventare Vino e non modificare il prodotto per esigenze di mercato. Oggi è troppo forte il desiderio di “dopare”, intervenendo, anche pesantemente, sul processo di vinificazione per dare vini di tendenza o industriali. In breve: monotoni e riproducibili in ogni luogo. Insomma, la precisione del Terroir e le bio-diversità sono le cose che più ricerchiamo; amiamo pensare che, bevendo un nostro vino, chiunque possa ricordare la Sicilia o sia spinto dalla voglia di visitarla. Il Vino è semplicemente espressione di Cultura e di Terra.

Giusto Occhipinti Giambattista Cilia

Il vino Siciliano deve esprimere le caratteristiche peculiari del vitigno e della zona da cui proviene, arricchito dalla tecnologia di cantina e dall’immagine dell’etichetta. In sintesi il vino siciliano può essere riassunto nel trinomio: Territorio, Qualità, Immagine.

Vincenzo Pollara

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“Grande vino” è un termine da me utilizzato rare volte, poiché lo considero come il modo per esprimere una particolare serie di sensazioni che difficilmente si realizzano contemporaneamente. Escludendo a priori tutto ciò che è emotivamente legato alla situazione “esterna” (luogo, tipo di compagnia, euforìa, ecc.) che comunque incidono sempre sul modo di assaggiare, il grande vino mi dà sensazioni che si unificano in una percezione che trascende da quella gusto olfattiva e si espande in tutto il corpo. Volendo razionalizzare una sensazione di per sé astratta posso dire che l’olfatto inizialmente avverte un profumo sferico, attraente, stordente, che non ha un descrittore in particolare evidenza, sembra solo dirti: annusami ancora! È a questo punto che la curiosità dell’uomo cerca di scoprire quali siano le frazioni che lo compongono e che creano una miscela così perfetta. Così facendo quello che sempre si scopre è che le componenti di cui il profumo è formato non sono altro che la cultura del suo territorio, il tipo di terroir (terreno, microclima, altitudine, ecc...), ma anche il modo di allevare la vite e di curarla sino alle tradizioni e, a volte, alle manìe dei produttori della zona (guyot o alberello piuttosto che botte grande o barrique). Sì, questa volta tutto è stato tradotto, trasportato in modo perfetto; la natura e l’uomo hanno, per una volta, lavorato insieme in perfetta sinergia. Anche il gusto è una sinfonia dove l’acido, il tannico e tutte le altre sensazioni si intersecano e si susseguono senza soluzione di continuità e tutte sembra abbiano uno scopo, un fine comune: il piacere. Ora arriva quello che sempre incanta: il gusto, dotato di una concreta sensazione tattile, sublima e si fa profumo, torna a svelare la vera natura del vino, del terroir e dell’uomo che lo ha curato. Il grande vino è piacere totale, ogni parte del corpo è scossa da un flebile, ma nitido fremito. Nel caso specifico della Sicilia è ormai ovvio dire che il grande vino deve essere armonioso in ogni sua parte e deve lasciar indovinare il dattero, l’eucalipto, o l’agrume, ma anche il sole, il sale e la parlata colorita dei siciliani…

Mario Ronco

Un grande vino siciliano è “La Sicilia”. Terreno, luce, temperatura, microclima, creano vini definibili con un intraducibile termine francese, souplèsse, espressione di soavità, di gentilezza, di morbidezza. Vini connotati da una forte personalità, soprattutto quelli di vitigni autoctoni come il Nero d'Avola, che ci regala carattere ed identità. Vini che scaturiscono dalla fantasia, dalla determinazione e professionalità di enologi e produttori siciliani, che in un “dignitoso silenzio” lavorano tra il vigneto e la cantina, il tutto supportato da una giusta “cultura dell'attesa” per realizzare “la grande invenzione della tradizione”.

Fabio Sireci

È un grande vino siciliano quel vino capace di interpretare e far esprimere il significato profondo della terra e del Mediterraneo; deve unire alla solarità lo scrigno aromatico presente, ma di difficile apertura e scovare quel segreto che ogni anno questa terra nasconde nelle proprie uve.

Il vino è il racconto di un luogo, di una storia, la sua magica capacità di rievocare emozioni, sentimenti. La Trinacria è terra ricca di racconti: babele di popoli, babele di paesaggi, babele di emozioni che anche il visitatore più disattento non riesce a non percepire. Un Grande Vino Siciliano deve avere la capacità di richiamare ad ogni sorso questo caleidoscopico insieme, ricomponendo con ogni singola sensazione, quale tessera di un mosaico, questa intensa immagine di suoli gialli di sole nell’epoca delle messi, di contrasti con il verde della macchia, di azzurri del mare, di rosso fuoco di tramonti e fuoco del ventre di Gea, i profumi quasi orientali di zagare ed eucaliptus, di erbe aromatiche, dell’incontro tra mare e terra. È un grande compito delegabile solo ad uve che sono il risultato di una selezione secolare che soltanto una duratura cultura può esprimere in modo così deciso.

Fabrizio Zardini

Giulio Vecchio

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S ommario 5 Prefazione di Attilio Scienza

134 Fenech 140 Feotto dello Jato 146 Feudo Montoni

9 Viaggio tra i grandi vini di Sicilia di Andrea Zanfi

152 Feudo Principi di Butera 158 Firriato 164 Fondo Antico

15 La parola agli enologi

170 Gulfi 176 Hauner 184 Masseria del Feudo Grottarossa

VIAGGIO TRA I GRANDI VINI DI SICILIA:

188 Maurigi 196 Milazzo

24 Abbazia Sant’Anastasia

202 Morgante

30 Abraxas

206 Murana

36 Ajello

214 Palari

42 Antica Tenuta del Nanfro

220 Pellegrino

46 Baglio Hopps

226 Planeta

54 Barone di Villagrande

234 Pollara

60 Benanti

238 Pupillo

68 Cantine Colosi

244 Rallo

72 Ceuso

248 Settesoli

76 Cos

254 Solidea

82 Cottanera

260 Spadafora

88 Curto

266 Tasca D’Almerita

92 Cusumano

274 Tenuta Barone La Lumìa

100 De Bartoli

280 Tenuta Rapitalà

106 Di Stefano e Grasso

288 Valle dell’Acate

112 Donnafugata 118 Duca di Salaparuta, Corvo & Florio 128 Fazio Wines

295 I Vitigni siciliani

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A’ scupa p’arrassari i tinti

Per tenere lontano le persone cattive


Viaggio tra i grandi vini di Sicilia


Abbazia Sant’Anastasìa Gianfranco Lena

ALTRI VINI PRODOTTI I Bianchi: Gemelli IGT (Chardonnay 85%, Sauvignon Blanc 15%) I Rossi: Montenero IGT (Nero d’Avola 60%, Merlot 20%, Cabernet Sauvignon 20%)

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A me ha sempre affascinato il fatto che da un grappolo d’uva riuscissero a tirar fuori un bicchiere di vino. Nella mia fantasia di giovane appassionato del buon bere, non comprendevo come potesse avvenire questo miracolo, non capivo come quegli acini si potessero trasformare in un nettare che m’inebriava e mi soddisfaceva pienamente. A confondermi, poi, c’erano anche tutti quegli astrusi ragionamenti che sentivo fare intorno al vino, discorsi con i quali alcuni riuscivano a costruire e a delineare, secondo una logica a me sconosciuta e attraverso un costrutto linguistico e un lessico difficilissimo, un percorso con il quale erano capaci di identificare e classificare ogni bicchiere di vino bevuto. Ero affascinato, ma il mio approccio al mondo del vino era più da semplice gaudente che da vero e proprio intenditore. Anche se mio padre Francesco aveva comprato la tenuta dell’Abbazia Sant’Anastasìa, sulla quale aveva deciso d’impiantare vitigni importanti, per anni le mie presenze al Vinitaly si sono limitate all’appagamento delle mie papille gustative e niente più. Da allora ne è passato di tempo e intanto sono successe molte cose, nessuna delle quali però, devo dire, mi ha distolto dal mio primordiale approccio al mondo del vino, anzi devo affermare che in alcuni casi gli eventi hanno confermato o assecondato il mio inebriante, ma distaccato modo di accostarmi al variegato universo enologico. Ha voluto dire poco che le viti piantate da mio padre Francesco fossero divenute un punto fermo per la produzione dei vini di grande qualità che l’azienda di famiglia oggi realizza; per me i loro grappoli d’uva continuano a racchiudere quell’affascinante mistero di riuscire a divenire, chissà come, degli splendidi bicchieri di vino. Indubbiamente è stata una mia libera scelta quella che mi ha indotto a frequentare un master di specializzazione di marketing nel settore agroalimentare, organizzato dalla Comunità Europea, che poi mi ha portato a occuparmi esclusivamente del settore commerciale dell’azienda, tralasciando, volutamente, l’aspetto vitivinicolo di cui si occupano, sia mia sorella Stefania, enologa, sia mio padre, coadiuvato da altri tecnici di elevato profilo professionale. Ho lasciato a chi ne sapeva molto più di me il compito di girare per le vigne o di gustare i mosti; era inutile che anch’io entrassi in cantina, ho preferito guardare quelle bottiglie di vino che mi giungevano sulla scrivania da un altro punto di vista, cercando di rispondere nel migliore dei modi a una delle domande più classiche che ogni vignaiolo si pone dopo aver lavorato con coscienza per anni e aver vinificato il suo vino: ”E ora?” Io ho lavorato per capire con quali sistemi e con quali strategie si potesse esaltare il lavoro degli altri rendendo quella bottiglia agli occhi del mercato la più bella di tutte. Ho preferito comprendere attraverso quali strade e con quali strumenti potessi convincere un cliente a comprare il mio vino e quali azioni servissero per far sì che lo stesso potesse divenire, nel più breve tempo possibile, un mio cliente, il mio miglior cliente. Dovevo stilare le argomentazioni per fedelizzarlo e rendermelo amico e tutto questo dovevo imparare a farlo per il mercato siciliano e per il resto del mondo. Non è stato, e non lo è tuttora, un compito facile da eseguire. Il mondo poetico che sta intorno all’universo vino, il lavoro del vignaiolo, le decisioni di saper trac-



Abbazia Sant’Anastasìa ciare le linee guida che identificano i vini dell’Abbazia Sant’Anastasìa in vigna e in cantina, il lavoro romantico e tutto quello che c’è prima di quella bottiglia di vino, l’ho lasciato volentieri a mio padre e a mia sorella. In questo piccolo mosaico che è la nostra azienda, ognuno ha il suo ruolo, ogni professionalità è al suo posto e ognuno sa quale è il suo compito. È in questo lavoro di équipe che io mi trovo bene e mi sono ritagliato uno spazio nel quale mi adopero per gratificare e ripagare dei sacrifici chi è all'origine di quelle bottiglie di vino che giungono sul mio tavolo. Non so se sarà sempre così, ma per adesso voglio continuare ancora a meravigliarmi davanti ai profumi e ai sapori che un bicchiere di vino riesce a trasmettermi e quando assaggio le variazioni sul tema “vino”, realizzate da mia sorella, ecco, proprio in quei momenti, ancora una volta, mi domando cosa possa accadere a quel grappolo d’uva per far sì che dallo stesso si riesca a tirar fuori un bicchiere di vino così “bello”.

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Baccante

Quantità Prodotta 10000 bottiglie l’anno

IGT Sicilia

Note Organolettiche

Zona di Produzione

Il vino si presenta di un colore giallo paglieri-

Baccante è una selezione delle migliori uve Chardonnay pro-

no con caldi riflessi dorati; al naso esprime

venienti dai vigneti di Sant’Anastasia, posti nel comune di Castelbuono.

profumi sia fruttati che floreali, con note di biancospino e di frutta esotica matura. Al gusto risulta strutturato, elegante, morbido e sapido.

Tipologia dei Terreni I vigneti si trovano su terreni che hanno caratteristiche morfo-

Prima Annata

logiche con tessitura argillosa di medio impasto ad un’altitudine di 450 metri s.l.m. con esposizione a nord-est, poco distanti dal mare.

1997

Uve Impiegate

Le Migliori Annate

Chardonnay 100%

1999 - 2000 - 2001

Sistema d’Allevamento Cordone speronato

Note Densità di Impianto 4000 ceppi per Ha

Baccante si può considerare un nome di fantasia. Il vino raggiunge la maturità dopo 3 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione dovrebbe essere compreso fra i 3 e i 6 anni.

Tecniche di Produzione Dopo la vendemmia, che avviene nel mese di agosto, si avvia la fermentazione alcolica del mosto e delle fecce che si protrae per 12 giorni alla temperatura di 18-20°C in barriques di Allier nuove, dopo di che si avvia, sempre in barriques, la maturazione che si protrae per altri 6 mesi. Trascorso questo periodo, il vino è messo in bottiglia per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 8 mesi. CASTELBUONO

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Litra

Note Organolettiche Il vino si presenta di un colore rosso rubino scuro, con profumi complessi di frutti neri,

IGT Sicilia

note balsamiche e minerali. Al gusto eviden-

Zona di Produzione

zia tannini morbidi ed eleganti; di grande struttura, lunghezza e persistenza.

Litra è una selezione delle uve Cabernet Sauvignon provenienti dai vigneti di Sant’Anastasia, posti nel comune di Castelbuono.

Prima Annata

Tipologia dei Terreni I vigneti si trovano su terreni che hanno caratteristiche morfo-

1996

logiche con tessitura argillosa di medio impasto ad un’altitudine di 500 metri s.l.m. con esposizione a nord.

Le Migliori Annate

Uve Impiegate Cabernet Sauvignon 100%

1996 - 1999 - 2000 - 2001

Sistema d’Allevamento

Note

Cordone speronato basso

Il vino, che prende il nome da una moneta etrusca raffigurata in etichetta, raggiunge la maturità dopo 5-6 anni dalla ven-

Densità di Impianto

demmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 6 e i 15 anni.

3300 ceppi per Ha

L’ Azienda

Tecniche di Produzione

Abbazia Sant’Anastasia, di proprietà della famiglia Lena dal

Dopo la vendemmia, che avviene di solito alla

1980, si estende su una superficie complessiva di 400 Ha, di

fine di settembre, si avvia la fermentazione

cui 70 vitati e 40 dedicati all’olivicoltura. Il restante territorio

alcolica che si protrae per 15 giorni ad una

vede la presenza di boschi e colture promiscue.

temperatura compresa fra i 25 e i 30°C in recipienti di acciaio

Collaborano in azienda l’agronomo Andrea Puccia e l’enologo

inox.

Stefania Lena con la consulenza di Riccardo Cotarella.

Contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, dura circa 25 giorni a temperatura controllata. Terminata questa fase e dopo un piccolo filtraggio il vino effettua la fermentazione malolattica in barriques di rovere francese di Allier, in gran parte nuove, dove vi rimane per 18 mesi, trascorsi i quali è imbottigliato per un ulteriore affinamento di altri 12 mesi.

Quantità Prodotta 8000 bottiglie l’anno 28

CASTELBUONO



Abraxas Calogero Mannino “... In questa fase della tua vita, esaurito ogni altro impegno e ogni altra attività professionale... c’è solo la campagna che ti rigenera e ti dà nuove energie...” Dovevamo andarlo a chiamare nei campi, perché lui non sentiva né la fame, né la sete e figurarsi se si ricordava, caso mai, se a tavola avevamo ospiti o ricorrenze da festeggiare! Era così mio padre Salvatore, interamente dedito alla sua campagna che curava come nessun’altra cosa al mondo, perché era lì che si rifugiava quando si stufava di tutto e di tutti. Quando ero giovane non comprendevo quel suo modo di fare, né riuscivo a capire le sensazioni di quel profondo appagamento che lui provava nel lavorare, dall’alba al tramonto, quelle vigne e quella terra. Ogni tanto m’invitava a lasciare tutti i miei impegni e a seguirlo nell’attività della campagna che lo soddisfaceva a pieno, ma io ero preso, da una parte dall’attività professionale e dall’altra dalla politica e quindi non davo peso a quei suggerimenti, anzi li ritenevo il semplice sfogo di un vecchio padre che, vedendo quanto suo figlio tribolasse e si angustiasse, in una miriade d’impegni giornalieri, e non comprendendo la ragione di quell’agitarsi continuo, lo ritenesse profondamente infelice. Ho un bel ricordo di mio padre, come del resto del sentimento che ho nutrito per lui, il quale ha conosciuto, nel fluire della mia vita, stagioni diverse com’è naturale del resto per tutti, passando dalla fase delle divergenze a quella della più completa comunione d’idee e sentimenti, che arriva, di solito, solo quando si diventa a nostra volta padri e ci si trova a giocare una partita doppia fra il nuovo ruolo di padre e quello di figlio ormai non più giovane. Quanto vorrei che oggi mi vedesse, ora che anch’io, come lui, lavoro nelle vigne e annuso la terra; vorrei proprio che mi venisse a trovare quando m’aggiro fra questi dammusi di Pantelleria con in testa il mio Panama, mentre guardo le viti, controllo l’appassimento delle uve di moscato, scruto il cielo e meticolosamente seguo ogni fase operativa della mia nuova professione di vignaiolo. Sarebbe sicuramente felice nel vedermi in questa nuova veste e sorriderebbe ricordandomi: “Io tu riceva ca’ a terra è a terra” (“Te l'avevo detto io, la terra è la terra...!”).

ALTRI VINI PRODOTTI I Bianchi: Kuddia delle Ginestre Bianco DOC (Moscato d’Alessandria 100%)

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So benissimo che non è sufficiente dire di fare il vignaiolo per esserlo, del resto io mi sono accostato alla vigna in età avanzata, tanto che, in teoria, l’età mi avrebbe dovuto consigliare un approccio meno gravoso, cercando, caso mai, di fare del vino in Sicilia, dove la cosa senz’altro sarebbe stata per me un po’ più semplice rispetto a qui, a Pantelleria, dove radicate difficoltà oggettive rendono la viticoltura su quest’isola più complessa che da altre parti. È qui che invece ho voluto rimettermi in gioco e mi sono voluto rigenerare moralmente da quelle ingiuste vicissitudini giudiziarie che da uomo politico mi hanno travolto e minato nel corpo e nell’anima. Pagine tristi nella vita di un uomo che io quotidianamente cerco di rimuovere, dolorose memorie che riaffiorano a ogni soffio di vento, situazioni pesanti, che provocano pene e angosce indescrivibili per chi, come me, riteneva di dover andare davanti al giudizio del Signore solo per il suo operato.



A braxas Certu, un ci chiantavu io i chiova o Signuri! (Non gliel’ho messi io, di certo, i chiodi al Signore!) In ogni modo io non mi sono scoraggiato e affronto il futuro con un forte senso del presente che mi vede impegnato nel lento recupero di intere aree viticole sull’isola di Pantelleria, dove ho già sistemato, in questi ultimi anni, più di dieci ettari di vigne e altri ancora attendono di essere piantati. L’aver riacquisito la mentalità del “terragno”, quella di Salvatore, mio padre per intenderci, mi ha giovato. Oggi questa semplice filosofia mi consente un nuovo approccio al quotidiano nel quale riscontro un forte senso della vita, non più pensata e concepita nel gioco contorto delle idee, ma come semplice gioco dei sentimenti che si raccordano e si armonizzano con i ritmi che solo la campagna sa dettare. Oggi faccio vino e quest’attività di vignaiolo mi diverte e mi soddisfa. Quando ero Ministro dell’Agricoltura, ho sempre lavorato affinché la viticoltura siciliana assumesse un ruolo diverso rispetto a quello ricoperto, fin dall’inizio del secolo passato, di puro servizio nei confronti di altre realtà enologiche straniere e italiane. Oggi sono felice nel constatare come intorno a questa realtà enologica vi sia un’effervescenza imprenditoriale, intelligente e dinamica oltre che propositiva; mi entusiasma che in questo movimento l’azienda Abraxas, di proprietà di mio figlio Salvatore e di Attilio Tripodi, di cui mi occupo in qualche modo, stia dando il suo contributo. Grande merito indubbiamente va dato a personaggi dello spessore di Giacomo Tachis, che con il suo arrivo in Sicilia, anche come consulente dell’Istituto della Vite e del Vino, ha contribuito a dare un grosso impulso allo sviluppo di una nuova cultura enologica in questa terra. Io, umile interprete di questa nuova professione, ho preso spunto dai suoi suggerimenti e da quelli di altri, tra i quali mi è caro ricordare anche il compianto Salvatore Casano, e cerco di far stare al passo questa piccola azienda con i ritmi di questa Sicilia che si è messa a correre, impegnandomi ora nella ricerca, ora mettendo in atto dei piccoli accorgimenti che contribuiscono in qualche modo a innalzarne la qualità senza modificare le caratteristiche del mio vino. Io, del resto, ci provo a fare il vignaiolo e ci provo anche a fare del buon vino che, sono sicuro, la gente compra non perché è il vino di Mannino, l’ex ministro, forse è più facile che lo comprino per il semplice piacere di bere un buon passito di Pantelleria e credetemi che oggi, per me, questo è già un grande risultato.

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Kuddia del Gallo

Quantità Prodotta 20000 bottiglie l’anno

IGT Sicilia

Note Organolettiche

Zona di Produzione

Il vino si presenta di un colore giallo paglieri-

Kuddia del Gallo è un selezione delle uve provenienti dai vigne-

no con riflessi verdolini; il profumo è decisa-

ti Kuddia del Gallo, di proprietà dell’azienda, e da un vigneto

mente persistente, con note spiccate che

conferente posto in località Mueggen entrambi situati sull’isola

ricordano l’arancio, il mandarino, l’albicocca e la pesca.

di Pantelleria, nella zona di produzione del Pantelleria Doc.

Persistente e morbido, con una punta di dolcezza, ripropone nettamente al palato i sapori già avvertiti al naso.

Tipologia dei Terreni I vigneti si trovano su terreni vulcanici con caratteristiche

Prima Annata

morfologiche di medio impasto sciolto e sono posti a un’altitudine compresa tra i 300 e i 400 metri s.l.m. con esposizione a nord-est.

2001

Uve Impiegate

Le Migliori Annate

Moscato d’Alessandria (Zibibbo) 70%, Viognier 30%

2002

Sistema d’Allevamento Alberello

Note Densità di Impianto 4000 ceppi per Ha

Il vino, che prende il nome dall’omonima località, raggiunge la maturità dopo 3 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 3 e i 5 anni.

Tecniche di Produzione Dopo la vendemmia, che avviene di solito dal 25 agosto al 15 settembre per entrambi gli uvaggi, si è dato vita, dopo una prima fase nella quale si è avviata una macerazione sulle bucce, coadiuvata da tecniche di délestage, che si protrae per 3 giorni, alla fermentazione alcolica del mosto che dura circa 20 giorni, utilizzando una temperatura controllata compresa fra i 14 e i 16°C, il tutto in vasche di acciaio inox. Terminata questa fase si effettua una chiarifica del vino che viene posto nuovamente nei tini di acciaio inox dove vi rimane per 10 mesi. Dopo questo periodo di maturazione e dopo aver effettuato l’assemblaggio delle partite, il vino è imbottigliato per un ulteriore affina-

Isola di PANTELLERIA

mento di altri 3 mesi prima di essere commercializzato. 33


A braxas

Quantità Prodotta 6000 bottiglie l’anno

Passito di Pantelleria DOC

Note Organolettiche

Zona di Produzione

Il vino si presenta di un bel colore giallo dora-

Abraxas è una selezione delle uve provenienti dai vigneti

to brillante; al naso è molto intenso, con sen-

Bukkuram-Scirafi di proprietà dell’azienda e da un vigneto

tori netti di albicocca, fichi secchi e miele.

conferente posto in contrada Mueggen, entrambi situati sul-

Vellutato ed elegante, dolce e rotondo, in bocca è molto lungo,

l’isola di Pantelleria, nella zona di produzione del Pantelleria

complesso ed equilibrato.

Doc.

Tipologia dei Terreni

Prima Annata

I vigneti si trovano su terreni vulcanici che hanno caratteristiche morfologiche di medio impasto sciolto, a un’altitudine di

1999

400 metri s.l.m. con esposizione a est / sud-ovest.

Uve Impiegate

Le Migliori Annate

Moscato d’Alessandria (Zibibbo) 100% 2001, 2002

Sistema d’Allevamento Alberello pantesco

Note Abraxas è la divinità mediatrice del sole, l’artefice del decisi-

Densità di Impianto 2500 ceppi per Ha

vo appassimento delle uve che danno origine a questo vino che raggiunge la maturità dopo 3-4 anni dalla vendemmia, con un plateau di maturazione calcolato fra i 4 e gli 8 anni.

Tecniche di Produzione

L’ Azienda

Dopo la vendemmia, che avviene di solito dal

L’azienda, di proprietà di Salvatore Mannino e Attilio Tripodi

10 agosto al 30 settembre, si procede per una

dal 1999, si estende su una superficie complessiva di 19 Ha,

ventina di giorni all’appassimento delle uve

tutti vitati, posti sull’isola di Pantelleria.

sui caratteristici graticci. Trascorso questo tempo l’uva viene

Collaborano in azienda l’agronomo Camillo Navarra e l’eno-

pressata in modo soffice, dopo di che si avvia la fermentazione

logo Nicola Centonze.

alcolica che si protrae per 40 giorni alla temperatura di 1516°C in recipienti di acciaio inox. Durante questo periodo, per circa 20 giorni, in contemporanea, si procede anche alla macerazione sulle bucce che è coadiuvata da qualche délestage. Terminata questa fase si effettua una chiarifica del vino che poi viene lasciato nei tini di acciaio inox per 10 mesi prima di essere imbottigliato per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 3 mesi. 34

Isola di PANTELLERIA



Ajello Salvatore Ajello

ALTRI VINI PRODOTTI Shams IGT (Moscato d’Alessandria 25%, Catarratto 25%, Grillo 25%, Inzolia 25%)

36

Ormai giunto alla splendida soglia dei cinquant’anni, fermandomi a pensare per un attimo a ciò che ho fatto nella mia vita, mi rendo conto che l’ho trascorsa piacevolmente e quasi completamente in campagna, qui, fra queste vigne, di proprietà della nostra famiglia fin dal 1860, a diretto contatto con una natura che ogni anno che passava ho saputo comprendere di più. Fin da quando avevo cinque anni seguivo mio padre Daniele nella vigna e ricordo che ogni volta che qualche suo amico o cliente gli domandava se si portasse ‘o picciriddu appresso per insegnargli cosa fosse il lavoro in campagna, lui rispondeva: “Un c’è bisognu i riricci nenti e’ figghi, siddu avi testa e si metti o latu sicuru c’arrinesci a capiri chiddu chi fazzu” (“Non c’è bisogno di spiegare ai figli cosa stai facendo, se sarà intelligente e avrà voglia, piano piano, seguendomi, riuscirà a capire ogni cosa di ciò che faccio”). In silenzio, al suo fianco, ho recepito tanti messaggi, chiari e precisi, riferiti alla vita di tutti i giorni, ai rapporti che in essa siamo chiamati a sostenere, al significato che hanno l’esempio e il valore di lasciare ai propri figli un nome che gli stessi si sentano orgogliosi di portare. Stando con lui ho compreso come si potesse operare proficuamente in quest’azienda, interpretandone i bisogni e le priorità. Accanto a lui ho incominciato ad amare profondamente questo lavoro di vignaiolo, fino al punto di decidere di non seguire le sue orme nel campo dell’avvocatura, ma di laurearmi invece alla facoltà di Agraria e di consolidare sempre più il forte legame che mi unisce a questa terra. Così ho capito, sempre meglio, tutte le sfumature che regolano il suo biosistema, che solo la conoscenza tecnica riesce a farti apprezzare fino in fondo. È con questa passione che ho compreso il valore del mio terroir e ho capito di esserne parte integrante. Sempre più presi coscienza di quanto io, con il mio comportamento, interagissi storicamente sul terroir e al contempo di come potevo misurarmi con tutti gli altri elementi che in esso operano, diventando conoscitore delle mille sfumature che stagionalmente si modificano, si ripetono e mi permettono di divenire artefice dei risultati. Man mano che prendevo visione di questo mi rendevo conto di quanto quel blend di elementi che compongono il terroir e di cui facevo parte, interferisse anche su tutto il territorio circostante, creando una nuova cultura agricola, valorizzandola e divenendo, per la stessa, un valore aggiunto. Un blend capace di proteggere e forse di tutelare un ambiente che spesso era stato utilizzato male e addirittura, in alcuni casi, privato delle sue bellezze, con uno sfruttamento eccessivo che non aveva portato a nulla o soltanto al soddisfacimento delle necessità di un quotidiano troppo effimero. Guardandomi in giro mi rendevo conto di quanto i vignaioli francesi, piemontesi o toscani intendessero diversamente il termine terroir rispetto a noi siciliani. Da decenni essi avevano avviato un dialogo costruttivo con il loro territorio, cercando di divenire un tutt’uno con lo stesso, rispettandolo, aiutandolo a dare il meglio di sé, ridisegnandone la morfologia, qualora fosse stato necessario, cercando in esso e per esso un equilibrio. Tutto questo era distante anni luce dal sistema con il quale noi siciliani ci accostavamo alla terra, ritenuta solo un elemento utile per il raggiungimento dei nostri fini e non elemento catalizzante



Ajello intorno al quale costruire una propria identità, una professionalità e un futuro migliore, più fruibile dalle generazioni a venire. Come agronomo mi rendo conto tutt’oggi che parlare di questo argomento è ancora un tabù, non tanto perché i siciliani non ne conoscono l’esistenza o il significato, ma perché non ne comprendono il valore, che, aggiunto alla qualità, cambierebbe la storia dell’agricoltura di quest’isola. Noi siciliani siamo fatti così: incomprensibilmente capaci, ora di fare un plauso all’arrivo di qualche imprenditore venuto da lontano, che rincorre solo il proprio business, ora di seguirne le chimere commerciali, finalizzate al soddisfacimento di quel mercato che una volta ti esalta e una volta ti distrugge, senza capire che per affrontarlo è necessario avere una grande forza. Se ci sforzassimo di comprendere il significato del terroir, vedremmo che non c’è né un vino, né un prodotto, né un imprenditore che possano rappresentare da soli la Sicilia; c’è invece un insieme di elementi che, accostati, sono in grado di valorizzare la tipicità e la diversità della filiera produttiva di qualità che, da sola e alla lunga, può essere in grado di creare un distinguo netto fra ciò che questa terra è e ciò che è in grado di proporre sul mercato rispetto agli altri. Troppo spesso ci siamo adoperati per produrre quello che gli altri volevano: una volta il Marsala per cucinare o quello all’uovo, una volta le uve o il mosto per migliorare certe produzioni italiane o estere; in questo modo abbiamo fatto sì che gli altri si costruissero una reputazione e una verginità produttiva tali da portarli alla leadership del mercato mondiale. Noi invece, relegati per decenni al ruolo di fornitori di servizi, forse solo comparse di un mondo enologico che si muoveva rapidamente. No. Io non voglio correre questa continua maratona, non voglio partecipare alla gara che premierà il miglior Chardonnay o il miglior Merlot di Sicilia: voglio crescere tranquillamente con le mie viti, curarle, identificarle una per una, capire quanto ognuna di esse può darmi, così da produrre quelle poche bottiglie di vino sufficienti al mio fabbisogno, sapendo che questo è ciò che la mia terra mi può offrire, comunicando e promuovendo in questo modo la mia azienda e il territorio su cui lavoro.

38


B izir

Quantità Prodotta 30000 bottiglie l’anno

IGT Sicilia

Note Organolettiche

Zona di Produzione

Dal colore giallo paglierino abbastanza carico,

Bizir è una selezione delle uve provenienti dal vigneto Cudda,

rivela al naso profumi fruttati di pesca e note

di proprietà dell’azienda e posto nel comune di Mazara del

vanigliate. In bocca è morbido, equilibrato e ben strutturato.

Vallo.

Tipologia dei Terreni

Prima Annata

Il vigneto si trova su terreni che hanno caratteristiche morfologiche con tessitura argilloso-calcarea ad un’altitudine di 250

2000

metri s.l.m. con esposizione a sud-ovest.

Uve Impiegate

Le Migliori Annate

Chardonnay 34%, Grillo 33%, Inzolia 33% 2001

Sistema d’Allevamento Guyot e cordone speronato

Note Il vino prende il nome dall’antico feudo “Casale Bizir” (dove

Densità di Impianto 4500 ceppi per Ha

oggi ricadono le terre che fanno parte dell’azienda), che per sette secoli diede al Vescovado di Mazara del Vallo potenza, prestigio e ricchezza. Il vino raggiunge la maturità dopo 2-3 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione dovrebbe

Tecniche di Produzione

essere compreso fra i 3 e i 5 anni.

Dopo la vendemmia, che avviene nella prima decade di agosto per le uve alloctone e nella prima decade di settembre per quelle autoctone, si avvia la fermentazione alcolica che si protrae per 15 giorni alla temperatura di 18-20°C in barriques nuove di rovere francese. Terminata questa fase, al vino è fatta effettuare la fermentazione malolattica sempre in barriques di rovere francese nuove, dove vi rimane per 6 mesi con frequenti bâtonnages. Trascorso questo periodo il vino è messo in bottiglia per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 6 mesi. MAZARA DEL VALLO

39


F urat

Note Organolettiche Il vino si presenta di un colore rosso rubino intenso; al profumo è complesso, con note

IGT Sicilia

spiccate di frutta rossa matura quali la mora e

Zona di Produzione Furat è una selezione delle migliori uve provenienti dai vigneti

l’amarena e speziate di pepe, cannella e vaniglia. Al gusto ripropone le sensazioni avvertite al naso e risulta decisamente lungo, strutturato e di elegante finezza.

di proprietà dell’azienda posti nel comune di Mazara del Vallo.

Tipologia dei Terreni

Prima Annata

I vigneti si trovano su terreni che hanno caratteristiche morfologiche con tessitura argilloso-calcarea con presenza di scheletro

1999

ad un’altitudine di 250 metri s.l.m. con esposizione a sud-ovest.

Uve Impiegate

Le Migliori Annate

Cabernet Sauvignon 25%, Merlot 25%, Nero d’Avola 25%, Syrah 25%

2000

Sistema d’Allevamento

Note

Guyot e cordone speronato

Il vino prende il nome dal condottiero arabo Asad Ibn al Furat che nell’anno 827 approdò nei pressi di Mazara del Vallo per iniziare

Densità di Impianto 4000-5000 ceppi per Ha

la conquista dell’isola e legare il suo nome alla Sicilia araba. Raggiunge la maturità dopo 3-5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione dovrebbe essere compreso fra i 5 e gli 8 anni.

Tecniche di Produzione

L’ Azienda

Dopo la vendemmia, che avviene dal 25 ago-

L’azienda, di proprietà della famiglia Ajello dal 1860, si esten-

sto al 30 settembre, si avvia la fermentazione

de su una superficie complessiva di 124 Ha, di cui 68 vitati.

alcolica che si protrae per 20 giorni alla tem-

Il restante territorio vede la presenza di boschi, la coltivazio-

peratura di 26°C in recipienti di acciaio inox.

ne di cereali in rotazione e vivaio per la produzione di piante

Contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce

madri, portainnesti vite e barbatelle.

che, coadiuvata da tecniche di délestage, dura 15 giorni a tem-

L’agronomo in azienda è Salvatore Ajello, l’enologo Vincenzo

peratura controllata. Successivamente al vino viene fatta effet-

Bàmbina.

tuare la fermentazione malolattica in barriques nuove di rovere francese di Allier dove vi rimane per 12 mesi. Trascorso questo periodo, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 12 mesi.

Quantità Prodotta 50000 bottiglie l’anno 40

MAZARA DEL VALLO



Antica Tenuta del Nanfro Concetto Lo Certo

ALTRI VINI PRODOTTI I Bianchi: Bianco Inzolia IGT Nanfro (Inzolia 100% affinamento acciaio) Bianco Inzolia-Chardonnay IGT Tenuta Nanfro (Inzolia 85%, Chardonnay 15% affinamento in barrique) I Rossi: Cerasuolo di Vittoria DOC Nanfro (Nero d'Avola 60%, Frappato 40% affinamento acciaio) Nero d’Avola IGT Sammauro (Nero d'Avola 100% affinamento acciaio)

42

Sicuramente vi sono uomini predestinati, che fin dalla nascita hanno già una loro precisa strada da intraprendere e un solco tracciato sul quale lavorare. Questa intraprendenza, qui in Sicilia prende spunto dalle tradizioni, dalle origini, dal desiderio di costruire il proprio futuro sulle certezze del passato, possibilmente attraverso quello che i padri hanno tramandato ai figli. Io credo di appartenere a questo gruppo di uomini che, fin dalla propria adolescenza, ha sempre avuto davanti un preciso indirizzo verso cui orientare le proprie scelte. Ricordo perfettamente nonno Pietro, vecchio commerciante di vino nella Catania degli anni ’50; la città della mia adolescenza, vissuta nei vicoli del vecchio centro storico, dove si vedevano le donne pittorescamente affacciate alle finestre a chiacchierare dei figli, delle morti, delle nascite e delle nozze; la città dei panni stesi tra un palazzo e l’altro che, nei giorni di bucato, quasi coprivano il cielo. La Catania dai mille colori, dai mille odori, quella del vocìo dei mercatini rionali, degli artigiani, degli ambulanti che gridavano la grande qualità delle primizie che avevano nelle loro ingombranti ceste, la città delle carrozze, delle prime macchine e delle prime Vespe; quella di noi ragazzi che giocavamo liberi, incuranti di tutto e di tutti, fino a buio. Rammento ancora mio padre Antonino quando, volendo proseguire la tradizione di famiglia e ritenendo poco equi i prezzi che gli venivano praticati da chi trasportava il vino per lui, fece smontare a mia madre Giuseppina, con suo enorme disappunto, la stanza da pranzo della nostra casa, per potervi costruire un giaciglio per il cavallo che tutto il giorno avrebbe trainato il caramatto, il carretto a quattro ruote di famiglia, carico di botti di vino da lui riempite direttamente fra l’Etna e Ragusa. È in quell’ambiente che io sono cresciuto, in quel mondo del vino fatto di contadini, semplici ma furbi, che ti venivano a cercare per proporti il loro prodotto; un mondo in cui i mediatori, ogni mattina alle sette, ti portavano ad assaggiare i campioni del vino rimediati un po’ ovunque e i cantinieri delle bettole catanesi contrattavano cocciutamente fino all’ultima lira il prezzo del vino che veniva scaricato nelle loro rivendite. Ricordo ancora quando il vecchio Umberto Sapuppo, non avendo figli, tutte le volte che incontrava mio padre gli diceva: Ninuzzu sta vigna t' l'ha cattari tu pe' to figghi! (Caro Nino questa vigna te la devi comprare per i tuoi figli!). Certamente non immaginavo che quella piccola azienda nelle vicinanze del meraviglioso paese di Caltagirone mi potesse stregare, come invece è avvenuto. Era il 18 gennaio del 1989 quando con i miei fratelli Pietro e Salvatore prendemmo possesso della tenuta del Nanfro. Quella fu la prima e ultima volta che vidi qui mio padre. Ancora oggi non so spiegarmene il perché e non so capire cosa lo spinga invece a dilettarsi, alla soglia dei suoi ottantatré anni, nella conduzione della sua rivendita di vino a Catania, dove forse trova il piacere dei ritmi di



Antica Tenuta del Nanfro quella vecchia città che non c’è più, quella delle sue amicizie giovanili, quella delle lunghissime chiacchierate davanti a un bicchiere di vino. Non credo che il motivo del suo allontanamento da questa azienda debba essere ricercato nella non condivisione delle decisioni che ci hanno indotto dal 1992 a imbottigliare del vino prodotto qui a Nanfro, invece di commercializzarlo sfuso come era tradizione. Non credo neanche che questo suo atteggiamento possa essere interpretato come disinteresse verso la nostra attività; credo invece che questa sua “defezione” dipenda molto dal suo modo di volerci bene e di non voler interferire sul nostro agire, certo di aver contribuito molto a scavare quel “solco” che ci vede oggi interpreti dell’enologia di questa terra, raccogliendo anche gratificazioni che sicuramente lo rendono orgoglioso di noi. Da quel lontano 1989, dalle prime bottiglie prodotte nel 1992 e dalla delusione del primo Vinitaly nel 1994, dove mi sentii una nullità nel panorama enologico nazionale, mi sembra che sia passata un’intera vita, sembra che sia trascorso un’infinità di tempo, addirittura mi sento anch’io un altro uomo, un altro vignaiolo, molto diverso da quello che cercava, in ogni modo, di rincorrere stereotipi che non avrebbe mai potuto raggiungere. In questa mia lenta trasformazione ho voluto che tutto quello che mi circondava e tutto quello che producevo mi assomigliassero il più possibile. Ho voluto che i miei vini fossero semplici, genuini, non molto complicati e che fossero capaci di parlare il siciliano e raffigurare la mia Sicilia, proprio quella terra che vivo quotidianamente qui a Caltagirone. Volevo che i miei vini sorprendessero non tanto per l’altissima qualità, ma più semplicemente per la loro bontà e la disponibilità a farsi bere, a saper accompagnare senza presunzione la cucina genuina, quella che ancora mia madre Giuseppina prepara. Ho voluto che i miei vini fossero biologici e che questa scelta fosse solo la conseguenza del grande rispetto che nutro per il mio lavoro e per l’ambiente nel quale opero. In questo tempo ho compreso che l’importante, per uno come me che da vinattiere ha deciso di trasformarsi in vignaiolo, è sentirsi un tutt’uno con la propria terra e con le tradizioni che la caratterizzano, al fine di creare un proprio terroir, tipico e deciso, così da far percepire a chi assaggia il mio Cerasuolo di Vittoria o la mia Inzolia, il valore che io dò ai vini prodotti qui, a Nanfro.

44


Tenuta Nanfro Cerasuolo di Vittoria Cerasuolo di Vittoria DOC

Zona di Produzione

delle partite, quindi il vino è messo in bottiglia per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 6 mesi.

Quantità Prodotta 15000 bottiglie l’anno

Tenuta Nanfro Cerasuolo di Vittoria è un blend delle migliori uve di Nero d’Avola e Frappato provenienti dai vigneti di proprietà del-

Note Organolettiche

l’azienda posti a Nanfro, sul territorio del comune di Caltagirone,

Il vino si presenta di un colore rosso rubino

nella zona di produzione del Cerasuolo di Vittoria Doc.

tendente al granato; al naso offre profumi di frutta rossa matura, spezie e note di liquirizia.

Tipologia dei Terreni

In bocca risulta equilibrato, morbido e giustamente tannico; piuttosto lungo al retrogusto.

I vigneti si trovano su un terreno arenario, sui conglomerati del terziario, mediamente profondo con uno strato di argilla,

Prima Annata

ma di tessitura sabbiosa, a un’altitudine compresa tra i 370 e i 400 metri s.l.m. con un’esposizione a sud-est.

1996

Uve Impiegate

Le Migliori Annate

Nero d'Avola 60%, Frappato 40%

1998 - 2000 - 2001

Sistema d’Allevamento Cordone speronato

Note Densità di Impianto

Il vino raggiunge la maturità dopo 3-4 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 4 e i 6 anni.

3000 ceppi per Ha

L’ Azienda

Tecniche di Produzione

L’Antica Tenuta del Nanfro, di proprietà della famiglia Lo

Dopo la vendemmia, che avviene di solito dal

Certo dal 1989, si estende su una superficie complessiva di 42

20 settembre al 10 ottobre, si avvia la fermen-

Ha, di cui 32 vitati e 4 dedicati all’olivicoltura. Dal 1998 l’a-

tazione alcolica che si protrae fra gli 8 e i 10

zienda ha ottenuto la certificazione per la produzione di uva

giorni ad una temperatura compresa tra i 25 e i 30°C in reci-

col metodo dell’agricoltura biologica. Collabora in azienda

pienti di acciaio inox. Contemporaneamente si procede alla

come agronomo ed enologo Giuseppe Romano.

macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, si protrae fino alla fine della fermentazione a temperatura controllata. Terminata questa fase, il Frappato effettua la fermentazione malolattica in vasche di acciaio inox dove rimane fino alla maturazione, mentre il Nero d’Avola effettua la fermentazione malolattica in barriques di rovere francese di Allier, in gran parte nuove, dove in seguito rimane

CALTAGIRONE

12 mesi. Successivamente viene effettuato l’assemblaggio 45


B aglio Hopps Fabio Hopps L’idea nacque da una battuta di mio padre, pronunciata durante una cena, proprio mentre stavamo tutti insieme degustando un grande bianco: “Per essere buono è buono, ma devo dire che non ho mai più bevuto un vino bianco eccezionale come quello che faceva mio padre col Grillo, nelle vigne della Gazzera”. Eravamo alla fine degli anni Ottanta, e quella battuta sembrava per noi esprimere un’eresia e al contempo una provocazione: come era possibile fare un vino bianco da tavola importante con il Grillo, un vitigno tradizionalmente destinato alla produzione del Marsala? Mio padre aveva ormai deciso di lasciare il timone dell’azienda agricola di famiglia, i Murri, che per tutto il corso della sua vita aveva curato con un’infinità di attenzioni, maggiori di quelle che avrebbe dedicato a una figlia che non ebbe mai. L’azienda era arrivata a noi in ottime condizioni: ottantanove ettari di terreno splendidamente impiantati dei vitigni della nostra terra, Catarratto, Inzolia e Grillo per primi, con la produzione, mai abbandonata, del Marsala e la bottaia, dove riposavano le Riserve, conservata nel Baglio dei Murri sin dal 1927. Non vi era solo questo personale passaggio di consegne: quel periodo rappresentò il momento in cui si stava avviando un nuovo processo di trasformazione del sistema vitivinicolo siciliano che, negli ultimi decenni, aveva sommato le vecchie crisi alle nuove, le quali, piano piano, avevano contribuito a far scomparire molte di quelle aziende che avevano dato vita, nel corso dell’Ottocento, al trend del consumo del vino Marsala nel mondo, innestando un fenomeno destinato a cambiare le condizioni socioeconomiche della Sicilia.

ALTRI VINI PRODOTTI I Bianchi: Bianca delle Gazzere IGT (Grillo 50%, Chardonnay 50%) I Rossi: Nero d’Avola IGT (Nero d’Avola 100%)

46

James Hopps, il bisnonno di mio padre, aveva fondato lo stabilimento dei Marsala Hopps nel 1811 e la famiglia, attraverso i matrimoni delle tre generazioni successive, mise solide radici in Sicilia creando legami di appartenenza e consuetudini antiche nel territorio. L’attività degli Hopps si sviluppò fino a creare depositi e magazzini non solo in Italia ed in Europa, ma anche negli Stati Uniti; dopo la seconda guerra mondiale, però, quando iniziò il periodo di decadenza del vino Marsala e delle aziende ad esso collegate, anche gli Hopps non poterono esimersi dall’interrompere l’attività industriale. Fu così che mio padre, in quegli anni difficili, concentrò tutto il suo impegno e la sua abilità nella cura dell’azienda agricola di famiglia. Lo spirito era quello di una completa dedizione che coinvolgeva tutta la famiglia nel lavoro della campagna. L’aria che si respirava in quegli anni trova felice espressione in un ricordo della mia adolescenza, quando, compiuti quattordici anni, chiesi in regalo un motorino, che avevano tutti gli adolescenti che frequentavo; ricordo che mio padre, com’era abituato a fare, mi rispose: “Non è annata di comprare motorini questa, Fabio”. Era così da quando mi potessi ricordare e mi domandavo se avveniva solo nelle nostre vigne che le annate fossero sempre un po’ meno buone di come ci si aspettava... Solo più tardi compresi il valore di quel messaggio nel quale era racchiusa la saggezza di un’antica cultura contadina che, chiamata a confrontarsi con la stagionalità e il rispetto delle leggi della natura, era



B aglio H opps rispettosa del lavoro che si andava a svolgere nella campagna con l’occhio vigile e attento a non fare mai il passo più lungo della gamba. Durante quella cena, che ci vedeva tutti riuniti per festeggiare l’anniversario di matrimonio dei miei genitori, io e mio fratello Giacomo decidemmo di dar sèguito a quella provocazione che nostro padre ci aveva lanciato; ci dicemmo che sicuramente saremmo stati capaci anche noi di fare un grande vino bianco da tavola con il Grillo e, visto che nell’aria aleggiava da qualche mese la necessità che nostro padre ci lasciasse l’azienda agricola di famiglia, accettammo volentieri quella sfida. Mio fratello Giacomo ed io eravamo insieme ormai da quindici anni; quindici anni di impegno comune durante i quali avevamo realizzato un legame forte che andava oltre gli interessi di lavoro che ci vedevano impegnati alla guida di un gruppo d’imprese che contava ormai quattro agenzie di viaggi - due in Sicilia, una a Parigi e una a Dublino - e una catena di alberghi, cinque per l’esattezza, in diverse zone della Sicilia, tutti a quattro e cinque stelle. Ero stato io che avevo coinvolto mio fratello, già da un decennio titolare di un importante studio legale, ma sicuramente, per convincere un vecchio “sessantottino“ come lui a lasciare tutto e a seguirmi, dovevo aver toccato i tasti giusti delle sue emozioni. Più grande di me di sette anni, mi aveva visto crescere a distanza e quando io ero ancora all’inizio della mia vita lavorativa, lui ne aveva già vissuta un bel pezzo, e con notevoli soddisfazioni, devo dire. Credo che solo uno come Giacomo poteva essere in grado di lasciare uno studio d’avvocatura avviatissimo per mettersi nuovamente in discussione, ricominciando una nuova vita. Il nostro accordo fu subito totale, perché non si basava solo sul legame fraterno; fin da subito sapemmo impostarlo su una produttiva compensazione caratteriale, sulla stima, sul rispetto, su una fiducia totale e reciproca che vedevano, da una parte le mie idee portate avanti con cocciutaggine, dall’altra il suo raziocinio, di qua la mia fantasia, di là la sua saggezza equilibrata. Nasce su queste basi e dopo quella cena, sotto l’egida e nel ricordo orgoglioso di nostro padre, l’iniziativa imprenditoriale di Baglio Hopps, che oggi sta germogliando nel variegato mondo del vino italiano, con il ritorno alle origini di una famiglia di vignaioli sempre presenti in Sicilia sin dal 1811, in una prospettiva di recupero delle tradizioni e di una maggiore qualità del prodotto commercializzato. L’impegno profuso per Baglio Hopps in questi anni è stato enorme, ma sono state altrettanto soddisfacenti le gratificazioni che ci sono pervenute in termini di consenso verso i nostri prodotti. Siamo solo all’inizio di un magico viaggio che non sappiamo ancora dove condurrà il nostro marchio di famiglia. Apparteniamo a quel gruppo di nuove forze imprenditoriali che si cimentano nel difficilissimo compito di misurarsi con il mercato e con l’apprendimento del reale significato della parola terroir, ancora qui sconosciuta a molti; una parola su cui si gioca il futuro, non solo del Nero d’Avola, del Grillo o del Catarratto, ma della stessa viticoltura siciliana. Giacomo ed io, del resto, stiamo applicando alla viticoltura, alla ricettività alberghiera e alla ristorazione proposta nei nostri stessi hotels, il marchio di qualità di una Sicilia che prova seriamente a cambiare e, nella nostra lucida follia, pensiamo di riuscirci.

48


G rillo

Quantità Prodotta 50000 bottiglie l’anno

IGT Sicilia

Note Organolettiche

Zona di Produzione

All’esame visivo si presenta di un colore gial-

Il Grillo è una selezione delle migliori uve provenienti dai

lo paglierino abbastanza carico; il profumo,

vigneti di proprietà dell’azienda posti nella zona collinare di

intensamente fruttato, rivela anche delle

Marsala-Salemi, nell’area di produzione delle Doc Marsala e

nuances di spezie. Il sapore fruttato si ritrova al palato con un

Delia Nivolelli.

retrogusto piuttosto persistente.

Tipologia dei Terreni

Prima Annata

I vigneti si trovano su terreni che hanno caratteristiche morfologiche di medio impasto tendenti al calcareo, ad un’altitudine

2000

di 250 metri s.l.m. con esposizione a sud.

Uve Impiegate

Le Migliori Annate

Grillo 100%

2001 - 2002

Sistema d’Allevamento Guyot

Note

Densità di Impianto 5150 ceppi per Ha

Il vino, che prende il nome dall’omonimo vitigno, raggiunge la maturità dopo 2-3 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione dovrebbe essere compreso fra i 3 e i 5 anni.

Tecniche di Produzione Dopo la vendemmia, che avviene di solito dal 5 al 25 settembre, e dopo una prima fase di macerazione sulle bucce che dura 2 giorni, si avvia la fermentazione alcolica del mosto sulle fecce che si protrae per 45 giorni in ambienti refrigerati alla temperatura di 15°C in barriques nuove di rovere francese di Allier. Terminata questa fase e dopo un’ulteriore chiarifica, il vino viene riposto nuovamente nelle barriques dove vi rimane per la maturazione che si protrae per 6 mesi. Trascorso questo periodo il vino è messo in bottiglia per un affinamento che pro-

MARSALA

segue per altri 6 mesi.

49


I ncantari

Quantità Prodotta 30000 bottiglie l’anno

IGT Sicilia

Note Organolettiche

Zona di Produzione

Il vino si presenta di un colore rosso rubino

Incantari è un blend delle migliori uve Merlot e Cabernet

intenso; al profumo rivela un bel fruttato

Sauvignon provenienti dai vigneti di proprietà dell’azienda

molto maturo con sentori di cacao, spezie e

posti nel comune di Mazara del Vallo, nell’area di produzione

vaniglia. Al gusto è di grande spessore e corpo, mentre allo

delle Doc Marsala e Delia Nivolelli.

stesso tempo risulta armonico e con tannini dolci ed equilibrati.

Tipologia dei Terreni I vigneti si trovano su terreni che hanno caratteristiche morfo-

Prima Annata

logiche di medio impasto tendenti all’argilloso, ad un’altitudine di 250 metri s.l.m. con esposizione a sud.

2000

Uve Impiegate Merlot 60%, Cabernet Sauvignon 40%

Le Migliori Annate

Sistema d’Allevamento

2001

Cordone speronato

Densità di Impianto 5150 ceppi per Ha

Note Il vino prende il nome dal vigneto da cui proviene, posto in una posizione strategica rispetto ad una visione complessiva dell’azienda. Raggiunge la maturità dopo 4-5 anni dalla ven-

Tecniche di Produzione

demmia e il plateau di maturazione dovrebbe essere compreso fra i 5 e i 10 anni.

Dopo la vendemmia, che avviene dal 20 al 30 agosto, si avvia la fermentazione alcolica che si protrae per 25-27 giorni alla temperatura di 22-24°C in recipienti di acciaio inox da 100 hl. Contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, dura 15-17 giorni a temperatura controllata. Dopo alcuni filtraggi, al vino viene fatta effettuare, sempre in tini di acciaio inox, la fermentazione malolattica, terminata la quale viene posto a maturare per circa 13 mesi in barriques nuove di rovere francese. Trascorso questo periodo, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 8 mesi.

50

MARSALA


James Hopps

Note Organolettiche Il vino si presenta di un colore giallo ambrato intenso; l’impatto olfattivo è di notevole

Marsala Superiore Secco DOC

Zona di Produzione

ampiezza con note eteree e sentori di mandorla, nocciola e vaniglia. Dal gusto equilibrato e persistente al palato.

Il Marsala Superiore Secco è una selezione delle uve provenienti dai vigneti di proprietà dell’azienda posti nella zona collinare di Marsala nell’area di produzione della Doc omonima.

Prima Annata

Tipologia dei Terreni

1998

I vigneti si trovano su terreni che hanno caratteristiche morfologiche di medio impasto tendenti al calcareo, ad un’altitudine di 150 metri s.l.m. con esposizione a sud.

Le Migliori Annate

Uve Impiegate

2000 - 2001

Grillo 100%

Sistema d’Allevamento Alberello

Note Marchio “storico” della famiglia Hopps, il vino raggiunge la maturità dopo 6-8 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra gli 8 e i 15 anni.

Densità di Impianto 5050 ceppi per Ha

L’ Azienda L’azienda, di proprietà della famiglia Hopps dal 1811, si esten-

Tecniche di Produzione

de su una superficie complessiva di 120 Ha, di cui 65 vitati e 3,5 dedicati all’olivicoltura, ai quali vanno aggiunti altri 65 Ha

Dopo la vendemmia, che avviene dal 15 al 30 set-

di terreni di altri viticoltori della zona, posti sotto il vigile

tembre e dopo una prima fase di macerazione

controllo dell’azienda Hopps. Collaborano in azienda l’agro-

sulle bucce che dura 2 giorni a temperatura con-

nomo Enzo Corazzina e l’enologo Antonino Galfano.

trollata, si avvia la fermentazione alcolica che si protrae per 45 giorni alla temperatura di 15-16°C in recipienti di acciaio inox da 100150 hl. Successivamente il vino viene posto in tini di acciaio inox per una lenta decantazione che prosegue fino ai primi mesi dell’anno successivo alla vendemmia quando viene messo, per la maturazione che dura 48 mesi, in botti di rovere di diverse dimensioni che vanno dai 700 ai 3000 lt. Trascorso questo periodo, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 12 mesi.

MARSALA

Quantità Prodotta 10000 bottiglie l’anno 51


52



B arone di Villagrande Carlo, Maria, Marco Nicolosi

ALTRI VINI PRODOTTI I Bianchi: Etna Bianco DOC Superiore (Carricante 100%) I Rossi: Etna Rosso DOC (Nerello Mascalese 80%, Nerello Mantellato e altri 20%)

54

A volte mi domando perché in tutti questi anni io sia sempre rimasto legato a Villagrande. Forse perché sono nato qui e ciò potrebbe giustificare il vincolo che ho con quest’azienda, ma da quel lontano 1941 ne è passato di tempo e in tutto questo periodo ne sono successe di cose che mi avrebbero potuto portare lontano... Proprio nei primi anni dell’ultimo conflitto bellico, la mia famiglia era sfollata sull’Etna lasciando la casa di Catania, poiché riteneva che la montagna fosse più sicura per vivere quei terribili momenti; lontani da tutto e da tutti, in un isolamento che mia madre, a quanto mi raccontano, viveva con molta apprensione essendo in stato interessante. In questa campagna ho trascorso quasi tutta la mia adolescenza, respirando i profumi del mosto che inebriava le vendemmie di Villagrande, profumi che, indubbiamente, contribuirono molto a indirizzarmi nelle scelte monotematiche del mio futuro. Infatti, prima frequentai l’istituto di Agraria a Catania e poi, avendo vinto una borsa di studio, l’istituto di sperimentazione vitivinicola di Conegliano Veneto dove rimasi per quasi due anni. Un’esperienza bellissima e formativa che però non appagava il mio desiderio di conoscere e, visto che non mi era stata data la possibilità di lavorare e studiare contemporaneamente, a fronte del mio desiderio di laurearmi, decisi di ritornare a Catania dove mi iscrissi e mi laureai alla facoltà di Agraria, indirizzando il mio corso di studi verso le tecnologie alimentari e proponendo una tesi, con il professor Galoppini, sulla stabilizzazione dei vini bianchi. Eravamo nel 1967. Tempi lontani, molto lontani, da porre nella “preistoria” dell’enologia italiana; a quell’epoca si facevano altri tipi di vino e si utilizzavano altre tecnologie di vinificazione: parlare di criomacerazione o di utilizzo di fermenti o di lieviti nei vini era quasi fantascienza. Tutto questo mi appassionava e quest’azienda era il mio laboratorio naturale, il luogo ideale dove applicare le teorie dei miei studi, dove sperimentare quelle tecniche che avrei insegnato poi ai corsi universitari di Scienze e Tecnologie alimentari, che tengo tuttora a Catania, nei quali affronto anche enologia e analisi chimica degli alimenti. Questi studi hanno contribuito a migliorare i vini che qui in azienda si vinificavano. Per me era ed è importante tutt’ora avere una terra sulla quale poter verificare l’applicazione del ragionamento, una terra con la quale misurarmi e, conoscendola palmo a palmo, come io conosco questa, poter calcolare le reali potenzialità e i risultati che è in grado di dare. Due anime operative ben distinte, dalle quali non saprei più separarmi; da una parte la passione per l’insegnamento e per la scienza, dall’altro la terra. Deve essere questa doppia valenza, questa mia voglia di conoscere e di sperimentare che in qualche modo ha contagiato quasi tutta la famiglia. Mia moglie Maria, pur essendo laureata in Scienze biologiche e pur avendo un avviatissimo studio d’analisi a Catania, si è appassionata al mondo del vino a tal punto che, non solo mi ha affiancato in azienda, ma si è rimessa nuovamente a studiare, laureandosi in breve tempo in Enologia e diventando una collaboratrice indispensabile per Villagrande. Mio figlio Marco, pur libero di scegliere qualsiasi indirizzo formativo, con mia soddisfazione si sta ormai per laureare con merito in Enologia e Viticoltura alla Facoltà di Agraria di Milano.



B arone di Villagrande È facile immaginare quali e quante discussioni tecniche sorgono fra di noi intorno al mondo del vino; discussioni vivaci, nelle quali ognuno ha un proprio punto di vista, le proprie teorie e le proprie ipotesi che raffronta e misura sempre con quelle degli altri. Queste idee hanno portato alla modifica di alcuni aspetti sostanziali del quadro produttivo dell’azienda, a partire dal rinnovamento tecnico di riconversione dei sistemi di allevamento, ai sesti d’impianto delle vigne, alle tipologie degli uvaggi utilizzati, all’ampliamento delle aree produttive che ci vedono oggi anche impegnati sull’Isola di Salina; allo stesso tempo è stato trasformato l’aspetto manageriale, innescando meccanismi forse più consoni a un’azienda che non può solo sperimentare, ma che deve avere anche un’autonomia economica propria. Non abbiamo certamente situazioni facili da seguire con viti sull’Etna e viti a Salina; due tipologie pedoclimatiche diverse, una a settecento metri e l’altra quasi a livello del mare, con problematiche diverse che ci impegnano tantissimo sia sotto l’aspetto tecnico che sotto quello operativo. Certamente l’idea che ancora ci anima è un’idea scientifica e non l’esasperata imprenditorialità e anche se oggi dobbiamo ammettere che con il trend di crescita del consumo del vino di qualità sembra più facile per noi riuscire a far tornare i conti, cerchiamo di continuare a soddisfare anche lo spirito e non solo il corpo e mettere in armonia, finché ci sarà possibile, “la messa con la tavola”. Ricordo che un mio vecchio amico mi diceva sempre di non aver conosciuto molti che con il vino avessero costruito delle grandi posizioni, ma di aver visto invece tanti che con il vino si erano rovinati. Io a questo ho sempre creduto e non so se ho sbagliato a sottovalutare l’aspetto economico che il business del vino oggi ha mosso: del resto a me piace rimanere con i piedi ben piantati per terra e considero ancora l’enologia un buon argomento di crescita individuale e uno strumento su cui riversare le mie passioni senza ricercarvi un soddisfacimento economico fine a se stesso.

56


F iore di Villagrande

Quantità Prodotta 10000 bottiglie l’anno

Etna Bianco Superiore DOC

Note Organolettiche

Zona di Produzione

Il vino si presenta di un colore giallo paglieri-

Fiore di Villagrande è un cru delle uve provenienti dal vigne-

no con riflessi verdolini e con un profumo

to “Vigna Casella”, di proprietà dell’azienda, posto in loc. Villagrande, nel territorio del comune di Milo, nella zona di

complesso di mela, biancospino e vaniglia. Al gusto è pieno, rotondo e persistente.

produzione dell’Etna Bianco Superiore Doc.

Tipologia dei Terreni

Prima Annata

Il vigneto si trova su un terreno di origine vulcanica mediamente ricco di scheletro che tende a compattare, ad un’altitu-

1997

dine di 600 metri s.l.m. con esposizione a sud-est.

Uve Impiegate

Le Migliori Annate

Carricante 100% 1997 - 2001 - 2002

Sistema d’Allevamento Guyot

Note Il vino raggiunge la maturità dopo 3 anni dalla vendemmia e

Densità di Impianto

il plateau di maturazione è compreso fra i 3 e i 5 anni.

5000 ceppi per Ha

Tecniche di Produzione Dopo la vendemmia, che avviene di solito a partire dal 10 ottobre, si effettua una criomacerazione sulle bucce, alla temperatura di 10°C, che si protrae per 24 ore. Dopo una leggera pulizia del mosto, si avvia la fermentazione alcolica che dura 15-18 giorni alla temperatura di 18-20°C in barriques, in parte nuove, di rovere francese di Allier, Tronçais, Nevers e castagno; qui il vino, sottoposto a regolari bâtonnages, vi rimane per circa 8 mesi. Trascorso questo periodo e dopo una leggera chiarifica, è lasciato riposare per quasi 1 mese prima di essere imbottiglia-

MILO

to per un affinamento che prosegue per altri 4-6 mesi.

57


Sciara di Villagrande

Quantità Prodotta 15000 bottiglie l’anno

IGT Sicilia

Note Organolettiche

Zona di Produzione

Di un bel colore rosso rubino carico, rivela al

Sciara di Villagrande è un blend delle uve Merlot e Nerello

naso profumi delicati di frutti di bosco e sen-

Mascalese provenienti dal vigneto “Il Monte”, di proprietà del-

tori di liquirizia. Al palato risulta complesso

l’azienda e posto in Loc. Villagrande, nel comune di Milo, nella

e persistente, con note di vaniglia e di spezie sul lungo finale.

zona di produzione dell’Etna Doc.

Tipologia dei Terreni

Prima Annata

Il vigneto si trova su basalti vulcanici sciolti e profondi, ricchi di scheletro e molto magri, a un’altitudine di 650 metri s.l.m.

1997

con un’esposizione a sud-est.

Uve Impiegate

Le Migliori Annate

Merlot 80%, Nerello Mascalese 20% 1998 - 2000

Sistema d’Allevamento Guyot e Cordone speronato

Note La “Sciara” è una parola araba indicante “terre pietrose e

Densità di Impianto 7000 ceppi per Ha

aride” ed è la vecchia colata lavica che ricomincia ad ospitare la vegetazione. Il vino raggiunge la maturità dopo 4-5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione dovrebbe essere compreso fra i 5 e gli 8 anni.

Tecniche di Produzione Dopo la vendemmia, che avviene di solito a partire dal 5 ottobre, si avvia la fermentazione alcolica che dura 14 giorni alla temperatura di 2426°C in fermentini di acciaio inox, con macerazione sulle bucce coadiuvata da tecniche di délestage e follatura manuale. Terminata questa fase, circa un terzo della massa vinosa viene posta in barriques nuove di rovere francese di Allier, Tronçais, Nevers e castagno, dove vi rimane 6 mesi e dove svolge la fermentazione malolattica. Il vino che rimane (circa i 2/3) effettua invece la fermentazione malolattica in tini di acciaio e solo successivamente viene posto nelle barriques utilizzate in precedenza. Alla conclusione del diciottesimo mese tutto il vino ha subìto almeno 6 mesi di maturazione in legno prima di essere assemblato e messo in bottiglia per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 6 mesi. 58

MILO


Passito di Villagrande

Note Organolettiche Colore topazio chiaro con riflessi ambrati; profumi intensi che spaziano dal fruttato di albicocca

Malvasia delle Lipari DOC

Zona di Produzione

matura al floreale della ginestra e di erbe aromatiche; in bocca è gradevolmente mieloso, equilibrato e persistente.

Malvasia delle Lipari Passito è un blend delle uve di Malvasia delle Lipari e Corinto Nero provenienti dai vigneti di proprietà

Prima Annata

dell’azienda situati nell’Isola di Salina in Loc. Capo Gramignazzi, a Malfa in Loc. Zolfo e a Santa Marina Salina in Loc. Brigadiere, nella zona di produzione della Malvasia delle Lipari Doc.

1996

Tipologia dei Terreni

Le Migliori Annate

I vigneti si trovano su terreni di origine vulcanica, compatti e ricchi di scheletro, ad un’altitudine compresa tra i 50 e i 300 metri s.l.m. con esposizione a nord-est.

1997 - 2001

Uve Impiegate

Note

Malvasia delle Lipari 95%, Corinto Nero 5%

Sull’etichetta del vino è raffigurata una carta nautica settecentesca con le rotte della malvasia nel basso Tirreno. Il vino

Sistema d’Allevamento

raggiunge la maturità dopo 3-4 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 4 e i 6 anni.

Guyot “modificato”

L’ Azienda

Densità di Impianto

L’azienda appartiene alla famiglia Nicolosi dal 1727 ed è compo-

8000 ceppi per Ha

sta da alcuni terreni posti sull’Etna, per una superficie complessiva di 25 Ha, di cui 20 vitati, con il restante territorio occupato

Tecniche di Produzione Successivamente alla vendemmia, che avviene di

da boschi, e altri a Salina per circa 5 Ha, di cui 4,5 vitati. Svolge le funzioni di agronomo ed enologo Carlo Nicolosi Asmundo con la collaborazione della moglie, l’enologo Maria Valeria Pantò.

solito a partire dal 10 settembre, si procede all’appassimento al sole dell’uva sui graticci per 10-20 giorni. Dopo una forte pressatura il mosto ottenuto viene messo in recipienti di acciaio inox dove si avvia la fermentazione alcolica che si protrae per circa 80-90 giorni alla temperatura di 18-20°C fino all’otte-

SALINA

nimento della trasformazione degli zuccheri in alcol. Verso dicembre il vino viene filtrato, poi è riposto nei contenitori di acciaio, alla temperatura di 18°C, dove rimane fino a giugno. Trascorso questo tempo è imbottigliato per un affinamento che prosegue per altri 4 mesi.

Quantità Prodotta 10000 bottiglie l’anno 59


Benanti Antonio, Giuseppe e Salvino Benanti Mi è sempre piaciuto fare delle scommesse con la vita, farle sulle cose che mi piacciono, che mi appassionano e che culturalmente mi appartengono. Scommesse che mi impegno sempre a vincere, scommesse basate principalmente sull’innalzamento di quegli standard qualitativi che altri hanno imposto, nella ricerca del bello, del buono, dell’ottimo per le cose di cui mi piace circondarmi, non tanto dal punto di vista dell’oggi, ma più per il futuro, per lasciare un segno tangibile del proprio passaggio. Scommesse che affronto con la passionalità di chi ritiene che “l’importante sia avere a cuore quello che altri non hanno ancora in mente”. È con questo spirito e con questa filosofia che io abbraccio il quotidiano, che mi vede impegnato, ora nell'azienda farmaceutica di famiglia, con l’obiettivo di consolidarla a livello mondiale, ora nella scommessa di sviluppo di quel progetto che concatena sia la mia passione per il vino, sia l’amore per la terra dove lo produco. Da una parte la razionalità imprenditoriale, dall’altro la passionalità e le emozioni che mi regalano il vino, la terra e la campagna. Tra la mia fanciullezza e la mia maturità d’imprenditore ci sono stati in mezzo trent’anni di “limbo”, un periodo durante il quale mi sono forzatamente allontanato dalla campagna e da tutti quei ricordi delle vendemmie di casa Benanti. Ricordi che sembravano ormai scomparsi, ma che invece all’improvviso sono rispuntati e divenuti fervidi e interessanti come non mai.

ALTRI VINI PRODOTTI I Bianchi: Edèlmio IGT (Carricante 50%, Chardonnay 50%) I Rossi: Majora IGT (Nerello Mascalese, Nero d’Avola, Cabernet Sauvignon, Merlot) Coste di Mueggen Passito di Pantelleria DOC (Moscato d’Alessandria 100%)

60

Ieri e oggi, quindi, due mondi diversi, due modi diversi di argomentare, interpretare, ricordare la mia passione per il vino. Vi è un ricordo che mi riconduce alla Catania della mia fanciullezza, quella degli anni Cinquanta, quella delle gite familiari in carrozza ai Lidi della Plaia partendo da Piazza del Duomo, e dei lunghi periodi di vacanze nella casa di campagna a Viagrande, qui sull’Etna. Era qui, nel periodo estivo, quando avrei dovuto vivere nella massima libertà, che ero costretto invece a subire, da parte di mio nonno Giuseppe, limitazioni imbarazzanti, come il diniego a scendere nella vigna, perché secondo lui, io, da buon goloso, non sarei stato in grado di trattenermi dal “piluccare” i grappoli d’uva più maturi contribuendo in qualche modo a rovinargli la vendemmia. Capricci di un vecchio o grande amore per quello che lo appassionava enormemente? Non è che poi il nonno avesse così torto, anzi, sapeva che io non perdevo occasione per scendere nella vigna; quella privazione mi stimolava, era una sfida alla quale non potevo sottrarmi. Non era tanto l’uva il mio principale obiettivo, uva che in ogni caso facevo sparire a grappoli interi, avendo cura di non far ritrovare nessuna traccia del mio passaggio, ma nei miei pensieri vi erano soprat-



Benanti tutto gli alberi da frutto: pere, pesche e fichi dolcissimi, sparsi qua e là nella vigna...; il riuscire a denudarli dei loro succulenti frutti, di cui ero golosissimo, mi dava un senso d’appagamento e di vittoria. Per quell’antica vigna ad alberello erano sempre grida e rimproveri, non appena il nonno si affacciava dalla terrazza dell’antica villa padronale che dominava la vigna e mi scopriva acquattato. Bellissimo era poi il momento della vendemmia, con il palmento, l’impianto dove veniva pigiata l’uva, che dopo un anno di assoluto silenzio si ripopolava di uomini con i loro calzoni corti e gli scarponi chiodati. I vendemmiatori, a capo dei quali vi era U capochiumma, il capo ciurma, che organizzava il lavoro, provvedevano a portare l’uva a spalla dalla vigna fino al palmento. In mezzo alle viti, da una parte c’erano i fimmini, le femmine, che vociavano e chiacchierando o cantando riempivano i panieri, mentre dall’altra c’erano i masculi, i maschi, che li travasavano dentro i cufini, fra uno sfottò e una battuta, fino alla rasola, il vialetto principale. Qui i masculi venivano aiutati a impunirisi u cufino sulle spalle e a trasportarlo fino al palmento dove il loro contenuto veniva rovesciato sul pavimento sottostante, dove i pistaturi provvedevano, con scarponi chiodati, a pigiare l’uva. L’azienda si popolava di quaranta o forse cinquanta vendemmiatori, tutti provenienti talvolta da zone molto lontane quali Bronte e Maletto. Tutto era inebriante per noi ragazzi, impegnati o nella raccolta o nella pigiatura dell’uva, mentre in tutta la campagna il mosto che cadeva di vasca in vasca profumava l’aria. Iniziava la fermentazione e di tanto in tanto mi trovavo ad assistere all’ariminata co ligno, ossia al rimescolamento con un robusto legno del cappello che si veniva a formare sul mosto in fermentazione; un mosto che, dopo un po’, andava per caduta nelle botti in cantina dove continuava la sua fermentazione residua. Le bucce ed i graspi venivano passati nel conzo e finalmente si procedeva a recuperare l’ultima porzione di mosto nella vasca più bassa. E questo momento era veramente esaltante. Questa operazione veniva fatta con la quartara, una brocca di lamiera con un buco ad una certa altezza dal collo che consentiva lo sgrondo del vino in eccesso e determinava la misurazione precisa di 8 litri. La quartara era immersa nella vasca del vino e quel movimento dettava i ritmi di una cantilena che associava quel gesto allo scorrimento fra le dita dei grani di un rosario, cosicché a ogni vaso era riconosciuta la paternità o la maternità di quel dono, ora di un “Santo”, ora di una “Madonna” tutti venerati nella zona. Rimanevo incantato da quella conta e da come quella preghiera fosse il compimento finale di un lavoro minuzioso, serio e paziente, fatto nella vigna e nel palmento “in nome di Diu e di Maria, tutti i Santi in compagnia…”. Quando decisi di riprendere la vecchia tradizione di famiglia proprio nella nostra azienda, quella abbandonata trent’anni prima, mi ritornò ben chiaro l’approccio che nonno Giuseppe aveva verso il suo vino e verso la sua vigna e feci mio quel suo grande insegnamento. Capii che il vino è passione, è cultura, è uno stile di vita; il vino è racconto e memoria del proprio territorio oltre che un mezzo per raffrontarsi con la propria terra tutelandola e salvaguardandola. La mia storia e le mie tradizioni erano qui e per questo decisi che la mia scommessa dovevo vincerla sull’Etna, su questo vulcano, qui sulle pendici della nostra muntagna, nera, impervia, irascibile, tremenda, dove in ogni pertugio, in ogni buca, in ogni anfratto, la vite trova sfacciatamente la forza di crescere potente e rigogliosa. Quindi, più di dieci anni fa, creai una nuova azienda, con nuove tecnologie, nuovi impianti, nuove metodologie di lavorazione; tutto nuovo e al contempo tutto vecchio, perché la filosofia che guida le mie decisioni è sempre quella di nonno Giuseppe, che mi diceva: - “Attento all’uva!”. E questa passione sono riuscito a trasmetterla anche ai miei figli Antonio e Salvino che con gli stessi principi ispiratori e la stessa determinazione seguono questa tradizione di famiglia. 62


Pietramarina

Quantità Prodotta 15000 bottiglie l’anno

Etna Bianco Superiore DOC

Note Organolettiche

Zona di Produzione

Il vino si presenta di un colore giallo paglieri-

Pietramarina è un cru delle uve provenienti dal vigneto di pro-

no con riflessi verdolini e con un profumo

prietà dell'azienda, posto in Contrada Caselle nel territorio del

intenso, complesso, dove risultano spiccate le

comune di Milo, sul versante est dell’Etna nella zona di pro-

note fruttate di mela e diverse sensazioni erbacee, che a secon-

duzione dell’Etna Bianco Superiore Doc.

da dell’annata variano e si intrecciano ad altre emozioni sensoriali. Al gusto è secco, armonico, con piacevole acidità e un

Tipologia dei Terreni

leggero retrogusto di mandorla.

Il vigneto si trova su terreni terrazzati sabbiosi, vulcanici, ricchi di minerali e posti ad un’altitudine di 920 metri s.l.m. con

Prima Annata

esposizione a sud-est e notevoli escursioni termiche fra il giorno e la notte.

1991

Uve Impiegate Carricante 100%

Le Migliori Annate Sistema d’Allevamento

1993 - 1996 - 1999 - 2001

Alberello

Densità di Impianto 8000 ceppi per Ha

Note Il vino, che prende il nome da un’antichissima rocca calcarea con resti di conchiglie che si trova su terreni di proprietà dell'azienda, raggiunge la maturità dopo 5-6 anni dalla vendem-

Tecniche di Produzione

mia e il plateau di maturazione è compreso fra i 6 e i 10 anni.

Dopo la vendemmia, che avviene di solito dal l0 al 15 ottobre, si avvia la fermentazione alcolica sui lieviti. La vinificazione, fino al 2001 era svolta alla temperatura controllata di 18-20°C in recipienti di acciaio inox, mentre dalla vendemmia 2002 viene effettuata direttamente in botti grandi di rovere e si protrae per un anno con almeno un bâtonnage alla settimana. Terminata questa fase il vino viene posto in tini di acciaio inox dove rimane a maturare per circa 1 anno, dopo di che viene messo in bottiglia per un ulteriore affinamento che prosegue

VIAGRANDE

per altri 2 anni.

63


S erra della Contessa

Quantità Prodotta 15000 bottig1ie l'anno

Etna Rosso DOC

Note Organolettiche

Zona di Produzione

Di un bel colore rosso rubino carico, rivela al

Serra della Contessa è un cru delle uve provenienti dal vigne-

naso profumi complessi ed eterei, con note di

to di Monte Serra, conetto vulcanico spento posto nel comune di Viagrande, sul versante est dell’Etna, nella zona di produ-

frutta rossa e spezie. Al gusto risulta pieno, armonico, giustamente tannico.

zione dell’Etna Rosso Doc.

Tipologia dei Terreni

Prima Annata

Il vigneto si trova su terreni terrazzati sabbiosi, vulcanici e ricchi di minerali a un’altitudine di 400 metri s.l.m. con un’espo-

1998

sizione a sud.

Uve Impiegate

Le Migliori Annate

Nerello Mascalese 80%, Nerello Cappuccio 20% 1999 - 2000 - 2001

Sistema d’Allevamento Alberello

Note Il vino, che prende il nome dall’omonimo vigneto, indicato

Densità di Impianto 8000 ceppi per Ha

nei documenti fin dal 1474, raggiunge la maturità dopo 4-5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 10 anni.

Tecniche di Produzione Dopo la vendemmia, che avviene di solito dal 20 al 25 di settembre, si avvia la fermentazione alcolica che viene effettuata direttamente in tini di rovere da 52 hl e si protrae per circa 6 giorni alla temperatura di 30°C. Contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di follatura manuale, si protrae per 15-20 giorni sempre a temperature controllate. Terminata questa fase si avvia la fermentazione malolattica che viene svolta in barriques di Allier, per 2/3 nuove, dove vi rimane per circa 18 mesi. Al termine del periodo di maturazione il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 12 mesi.

64

VIAGRANDE


Lamorèmio

rovere francese di Allier, in gran parte nuove, dove vi rimane circa 18 mesi. Trascorso questo periodo viene effettuato l’assemblaggio delle partite, quindi il vino è imbottigliato per un

IGT Sicilia

ulteriore affinamento che prosegue per circa 10 mesi.

Zona di Produzione

Quantità Prodotta

Lamorèmio è un blend delle migliori uve di Nerello Mascalese e

25000 bottiglie l’anno

Cabernet Sauvignon provenienti dai vigneti di Castiglione di Sicilia (frazione Rovittello sul versante nord dell’Etna) e di Nero d’Avola

Note Organolettiche

provenienti dai vigneti di Pachino in provincia di Siracusa.

All’esame visivo il vino offre un colore rosso rubino con riflessi granato; al naso rivela pro-

Tipologia dei Terreni

fumi di prugna, vaniglia e spezie. In bocca è elegante, strutturato, molto lungo e persistente.

I vigneti di Nerello Mascalese e Cabernet Sauvignon si trovano su terreni terrazzati vulcanici ad un’altitudine di 700 metri s.l.m., mentre i

Prima Annata

vigneti di Nero d’Avola si trovano su terreni pianeggianti di natura calcareo-argillosa al livello del mare con un’esposizione a nord-sud.

1995

Uve Impiegate Nerello Mascalese 34%, Nero d’Avola 33% Cabernet Sauvignon 33%

Le Migliori Annate Sistema d’Allevamento

1999 - 2001

Alberello per il Nerello Mascalese e il Nero d’Avola, Guyot per il Cabernet Sauvignon

Note Il vino prende il nome da “L’Amore mio” ed è stato attribuito a testi-

Densità di Impianto Nerello Mascalese 8000 ceppi per Ha; Nero d’Avola 7000 ceppi

monianza della dedizione e della cura con cui lo stesso viene realizzato. Il vino raggiunge la maturità dopo 5-6 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione dovrebbe essere compreso fra i 6 e i 12 anni.

per Ha; Cabernet Sauvignon 6000 ceppi per Ha

L’ Azienda Tecniche di Produzione

L’azienda Vinicola Benanti, di proprietà di Giuseppe Benanti dal 1992, si estende su una superficie complessiva di 90 Ha, di cui 40

Dopo la vendemmia, che avviene di solito dal

vitati e 3 dedicati all’olivicoltura. Il restante territorio vede la pre-

10 al 15 settembre per il Nero d’Avola, dal 20

senza di boschi e colture promiscue. Collabora in azienda come

al 25 settembre per il Cabernet Sauvignon e dal

agronomo ed enologo Salvo Foti.

10 al 15 ottobre per il Nerello Mascalese, si procede alla vinificazione, separatamente per ogni uvaggio. La fermentazione alcolica si protrae per circa 6 giorni alla temperatura di 30°C in recipienti di acciaio inox. Contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di follatu-

VIAGRANDE

ra manuale, continua per 15-20 giorni a temperature controllate comprese fra i 28 e i 30°C. Terminata questa fase si procede per ogni singolo vino alla fermentazione malolattica in barriques di 65


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Cantine Colosi Piero e Pietro Colosi Che belli erano quei tempi che mi vedevano impegnato nelle vendemmie a Salina. La spensieratezza della mia giovane età, indubbiamente, contribuiva molto a rendermi meno gravose quelle lunghe giornate passate sotto il sole, su e giù per quei terrazzamenti costruiti strappando alla montagna o agli scogli ogni metro quadrato di terra coltivabile. Quelle grandiose opere di architettura ambientale, ancora oggi identificabili seguendo con lo sguardo migliaia di chilometri di muri a secco che delimitano ogni proprietà, alla fine della giornata sembravano ostacoli insormontabili e, man mano che la stanchezza incominciava a farsi sentire, quel saliscendi richiedeva un impegno pari al sacrificio dello scavalcamento della muraglia cinese! A sera però ogni minimo segno d’affaticamento spariva; un bel bagno rinfrescante e poi via, la notte, gli amici, le ragazze e il tirar tardi erano la miglior paga che potessi ricevere per le fatiche della giornata appena trascorsa. Fu mio padre Pietro che fra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, incominciò a vinificare a Salina nella cantina di Carlo Hauner le uve dei pochi appezzamenti di terreno che era riuscito a comprare. L’esperienza di Carlo e la sua conoscenza del territorio furono determinanti per l’ottenimento di quei risultati che di lì a poco incominciarono ad arrivare. Ricordo che mio padre sin dall’inizio si trovò benissimo con quel grande uomo venuto dal nord, trasferitosi sull’isola di Salina all’inizio degli anni Sessanta; egli conosceva tutte le sfumature di quella terra, all’apparenza arida, ma così ricca di vitalità. Conosceva ogni singolo produttore che ancora vinificava le uve, raccolte giuste giuste per produrre con i sistemi tradizionali più o meno duecento bottiglie di vino, proposto, ieri come oggi, a qualche turista di passaggio, nelle bottiglie d’acqua minerale. L’amicizia tra mio padre e Hauner si consolidò fino al punto che mio padre si trovò, dopo poco tempo, a dover amministrare e a dirigere, oltre alla sua, anche le proprietà e la cantina di Carlo. ALTRI VINI PRODOTTI I Bianchi: Salina Bianco IGT (Catarratto 80%, Inzolia 20%) Cariddi Bianco IGT (Inzolia 80%, Grecanico 20%) I Rossi: L’Incontro IGT (Nero d’Avola 80%, Frappato 20%) Salina Rosso IGT (Nerello Mascalese 50%, Nerello Cappuccio 50%) Cariddi Rosso IGT (Nero d’Avola 100%)

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Partecipare al primo Vinitaly, nel 1987, fu una grandissima esperienza. Rammento che nello stand della Sicilia eravamo i soli a presentare la Malvasia delle Lipari, poiché Carlo si trovava a un altro padiglione, e il successo ottenuto, sin da quel momento, fu notevole. Tutte quelle attenzioni ci gratificarono enormemente e i sacrifici che avevamo fatto per giungere a quei risultati, di punto in bianco sparirono per lasciare spazio all’ottimismo. Io ormai avevo completato gli studi a Catania dove mi ero diplomato all’Istituto Agrario, scegliendo come specializzazione dell’ultimo triennio l’indirizzo di enologia e viticoltura. Gli impegni di lavoro non mi consentirono di proseguire negli studi, ma non mi rammaricai molto di questo, visti i risultati ottenuti da mio padre che, senza una formazione specifica e seguendo solo le orme di suo padre e quelle di Carlo Hauner, era riuscito a qualificarsi nel settore. Quelle trentamila bottiglie prodotte a Salina però non potevano soddisfare a sufficienza le nostre necessità economiche e fu per questo che decidemmo di aprire un’altra cantina a Messina, per inco-



C antine Colosi minciare a commercializzare altri vini che ricercavamo sul territorio siciliano. Sapevo che era molto meglio poter seguire completamente tutte le fasi operative che dalla vigna conducono alla bottiglia, invece di affidarsi al mercato del vino, ma purtroppo non avevamo altre opportunità: per forza di cose dovevamo fare di necessità virtù. Da allora sono passati diversi anni e ancora oggi, con molti sacrifici, stiamo proseguendo sulla strada del consolidamento del nostro lavoro, ora costruendo una nuova cantina a Salina, ora acquistando nuovi appezzamenti di terra o prendendoli in affitto: il tutto con l’intento di qualificare sempre più l’esperienza acquisita in questi anni e proporre sul mercato solo i vini da noi prodotti. Lo strumento che ci ha aiutato molto in questa crescita è stata la nostra Malvasia, un vino che, come un grimaldello, ha saputo aprirci nuovi mercati, un vero e proprio passepartout capace di fornirci delle grandi opportunità commerciali che sono servite a trascinare e a veicolare anche gli altri prodotti. In una Sicilia dove sembra che fare vino sia diventata la passione di tutti, dove si costruiscono cantine che sempre più assomigliano a vere e proprie cattedrali e dove, con l’arrivo di importanti imprenditori, si stanno ridisegnando sia la mappatura aggiornata delle aree viticole, sia i nuovi giochi di potere del sistema vitivinicolo, spesso mi domando se abbia ancora un significato essere dei semplici e piccoli interpreti della vecchia tradizione enologica di quest’isola... Io e mio padre continuiamo nel nostro percorso tracciato più di trent’anni fa facendo quello che ci riesce meglio: il vino. Il nostro è un itinerario che ci vede, ora impegnati a fare un po’ i vignaioli e ora un po’ i commercianti, nella logica che contraddistingue da sempre le persone semplici che, come noi, sanno solo lavorare con impegno, passione, dedizione e umiltà, riuscendo a diventare anche un po’ maestri dell’arte di sapersi adattare ai mutamenti che li coinvolgono, facendo della serietà e della correttezza la loro arma vincente. Con i piedi ben piantati per terra, così da guardare in faccia le difficoltà e poterle superare, capaci di non farsi troppe illusioni, ma gioendo, magari, nel vedere i propri vini nei migliori ristoranti di mezza Europa segnalati dalle guide Michelin.

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M alvasia delle Lipari Passito

Quantità Prodotta 10000 bottiglie l’anno

Malvasia delle Lipari DOC

Note Organolettiche

Zona di Produzione

Il vino ha un colore giallo dorato con riflessi

Malvasia delle Lipari Passito è una selezione delle migliori

brillanti; al naso presenta profumi di miele,

uve di Malvasia e Corinto Nero provenienti dai vigneti di proprietà dell’azienda posti sull’Isola di Salina.

albicocca e agrumi. In bocca è caldo, armonico con buona struttura e persistenza.

Tipologia dei Terreni

Prima Annata

I vigneti sono situati in località Capo Faro, si trovano su terreni di origine vulcanica ad un’altitudine che varia dai 150 ai 300 metri s.l.m. con un’esposizione a nord-est.

1987

Uve Impiegate

Le Migliori Annate

Malvasia delle Lipari 95%, Corinto Nero 5%

1990 - 1995 - 1998

Sistema d’Allevamento

2000 - 2001

Guyot

Densità di Impianto 4500 ceppi per Ha

Note Il vino raggiunge la maturità dopo 3 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 3 e i 6 anni.

Tecniche di Produzione

L’ Azienda

Dopo la vendemmia tardiva, che avviene di

L’azienda agricola, di proprietà della famiglia Colosi dal 1988, si

solito a partire dalla metà di settembre e pro-

estende su una superficie complessiva di 7 Ha, di cui 4 vitati,

segue poi per quasi tutto il mese, e dopo l’ap-

mentre le cantine si trovano a Messina. Il supporto tecnico come

passimento sui graticci, si procede a una pressatura soffice

agronomo e come enologo è direttamente fornito dallo stesso

delle uve; il mosto ottenuto, a contatto con le fecce, viene poi

Piero Colosi.

avviato alla fermentazione alcolica che si protrae per circa 2025 giorni alla temperatura di 18°C in tini di acciaio inox. Quando si è raggiunta la gradazione alcolica voluta, di circa

SALINA

12,5°, abbassando la temperatura fino a 0°C si blocca la fermentazione per circa 10 giorni; poi, dopo una leggera chiarifica, la temperatura viene rialzata fino al mantenimento di 15°C. Il vino, che rimane in tini di acciaio fino all’estate successiva, viene poi imbottigliato per un ulteriore affinamento di 4 mesi.

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Ceuso Giuseppe e Vincenzo Melìa

ALTRI VINI PRODOTTI I Rossi: Fastaia IGT (Nero d’Avola 70%, Cabernet Franc 15%, Merlot 15%) Scurati IGT (Nero d’Avola 100%)

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Per chi come noi ha vissuto sempre a contatto con la campagna è difficile staccarsene; è come se ci sentissimo legati da un filo invisibile a quelle vigne e alle distese di grano che contraddistinguevano gli appezzamenti di terra di nostro padre Francesco. Eravamo più o meno tutti ragazzini noi fratelli Melìa, Antonio, Vincenzo e Giuseppe, quando andavamo al mare a Marina di Alcamo dove la nostra famiglia possedeva una piccola casa, accostata a quei filari di vite che con un tocco di verde coloravano il blu che li circondava. Era in quell’ambiente che sentivamo giungere il tempo della vendemmia, il tempo della festa, del vocìo degli operai, mentre il profumo del mosto riempiva ogni pertugio della casa. Confusione piacevole in ogni dove, fra le mura domestiche o nella vigna, sotto il pergolato, quando si interrompeva tutto per la colazione collettiva, o in cantina, oppure la sera dopo la lunga giornata. Prima di trasferirci a Marcanza, per continuare la vendemmia, dovevamo finire per forza quella iniziata in riva al mare, ma sapevamo che quelle frenetiche giornate erano solo il preludio alla più grande e generale festa che, di lì a poco, avrebbe coinvolto tutta la campagna di Alcamo, Salemi e dintorni, giù fino a Marsala e Menfi; una festa che svuotava i paesi e portava intere famiglie a lasciare qualsiasi altra attività: la festa della vendemmia, che garantiva vitto, alloggio e una buona paga. Per noi ragazzi era un momento di grande euforia. La campagna, che ci aveva visto impegnati per tutto il resto dell’anno, durante le pause scolastiche, in rituali silenziosi al sèguito di quel padre austero e di poche parole, ora si popolava di voci che raccontavano o di cose distanti, quasi inimmaginabili, o di altri orizzonti al di là di quelli che conoscevamo. Il pensiero della scuola poi non ci sfiorava; avevamo ancora un mese prima di ricominciare e quel settembre per noi risultava quasi come il Sabato del villaggio di leopardiana memoria. Spesso, a turno, dovevamo seguire la domenica nostro padre alla cantina, dove d’abitudine egli dava appuntamento a chi voleva acquistare il suo vino che vendeva in botti. Quella mattinata trascorsa a osservare, con religioso silenzio, il rito con il quale il mediatore di turno sceglieva il vino che gli piaceva di più, era ogni volta una vera e propria scuola di vita. Quando si era conclusa la trattativa e i soldi passavano di mano in mano, nostro padre, con i suoi occhi arguti, ci lanciava lunghi sguardi interrogativi, in un silenzio quasi didattico, chiedendoci cosa avessimo compreso di quei sottili segreti che, alla fine degli anni Cinquanta, regolavano il commercio del vino, fatto più di strette di mano che di veri e propri contratti. I contratti scritti erano riservati all’acquisto delle cose concrete, che qui in Sicilia si identificano solo nella terra, come da sempre recita un nostro proverbio: “A casa quantu stai, terra quanta ni viri cull’occhi” (“La casa quanto stai, terra quanta ne vedi con gli occhi”). Fu così che quando capitò l’occasione comprammo altre terre, non tanto per fare altro vino, quanto invece per la vigna, che per noi alcamesi, più che per altri siciliani, ha sempre significato un buon investimento e fornisce sicurezze utili per il futuro. Nostra madre Pietronilla fu felice quando vide che i suoi figli continuavano la tradizione enologica



Ceuso di famiglia; fu lei, infatti, che ci consigliò, nelle individuali scelte scolastiche, verso indirizzi formativi come la Facoltà di Agraria, dove si laureò Vincenzo nel ‘75, o verso quella di Enologia, seguita da Giuseppe, o verso “l’università della vita”, dove ancora oggi Antonio si sta laureando a pieni voti, impegnandosi, da oltre quarant’anni, nel difficile compito di accudire con amore ogni filare e ogni vite presente in azienda, qui a Salemi. È lui che segue quei processi che determinano i tempi delle vendemmie e la qualità dei raccolti, è lui che ancora oggi si arrabbia, memore delle miserie del passato, quando è costretto, con delle vendemmie verdi, a gettare a terra i grappoli d’uva per il miglioramento del prodotto finale. Tre fratelli, tre anime, un solo amore per la terra e per la vite. Conoscere Giacomo Tachis, un’occasione venutasi a creare all’inizio degli anni Novanta, contribuì a modificare l’approccio che avevamo al mondo del vino. Quello che ci colpì molto fu la filosofia di quei semplici princìpi che lui utilizzava verso il sistema vitivinicolo; princìpi che rimettevano in discussione parte delle esperienze che ognuno di noi aveva acquisito, nei singoli campi professionali. La terra, la vigna e la cantina assumevano altri valori, tutto acquistava una propria anima e tutto aveva un preciso compito; erano elementi di un insieme che si sviluppavano per poi unirsi al fine di creare il blend del nostro saper fare. Giuseppe, che lavorava in una cantina sociale, stufo di produrre per distruggere, non appena sì appassionò a questa nuova dottrina che lo vedeva attore primario del risultato finale, si licenziò; Vincenzo incominciò a trasferire sulle terre dell’azienda tutte quelle esperienze che, in anni di serio lavoro, aveva acquisito come agronomo all’Istituto della Vite e del Vino; mentre Antonino di buon grado si ritrovò a riprendere in seria considerazione tutte quelle teorie che papà Francesco applicava alle sue vigne, teorie che non erano poi del tutto sbagliate. La nostra è stata una lenta, ma graduale metamorfosi che ci ha portato in questi anni a risultati interessanti; se dobbiamo trovare un neo nel nostro agire è quello di non essere ancora riusciti a entrare nella mentalità imprenditoriale. Non sappiamo se da vignaioli, come siamo sempre stati, dobbiamo diventare imprenditori per forza. Ciò che abbiamo è sufficiente per gratificarci e crediamo che nei milioni di bottiglie prodotte non vi sia lo stesso spirito e lo stesso terroir che vi è in quelle poche decine di migliaia che noi produciamo.

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Custera

Quantità Prodotta 35000 bottiglie l’anno

IGT Sicilia

Note Organolettiche

Zona di Produzione

Colore rosso rubino concentrato con riflessi

Custera è un blend delle migliori uve di Nero d’Avola, Cabernet

violacei; profumo netto, deciso, con note di

Sauvignon e Merlot selezionate negli 8,5 ettari di proprietà dell’azienda posti in Contrada Ceuso, nel comune di Salemi.

mora, piccoli frutti di bosco e vaniglia. In bocca ha buona struttura e persistenza con tannini piuttosto decisi.

Tipologia dei Terreni

Prima Annata

I vigneti si trovano su un suolo mediamente profondo, ricco di scheletro, mediamente calcareo e argilloso; sono collocati ad un’altitudine di 300 metri s.l.m. con un’esposizione che va da nord a sud.

1995

Uve Impiegate

Le Migliori Annate

Nero d’Avola 50%, Cabernet Sauvignon 30%, Merlot 20%

1997 - 1999 - 2000

Sistema d’Allevamento Guyot e Cordone speronato

Note Densità di Impianto 4600 ceppi per Ha

Il nome del vino corrisponde al nome catastale dell’azienda e si pensa che sia riferito ai frutti di gelso rossi molto presenti nella zona. Raggiunge la maturità dopo 4-5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 10 anni.

Tecniche di Produzione Dopo la vendemmia, che avviene, a seconda della

L’ Azienda

maturazione delle singole varietà, dal 20 agosto

L’Az. Agr. Ceuso, di proprietà della famiglia Melìa dal 1940, si

al 20 settembre, si avvia la fermentazione alcoli-

estende su una superficie complessiva di 40 Ha, di cui 25 vitati.

ca dei singoli mosti che si protrae dai 10 ai 12 giorni alla tempera-

Il restante territorio vede la presenza di altre colture agricole.

tura di 28-30°C in recipienti di acciaio inox. Contemporaneamente

L’agronomo è Vincenzo Melìa, l’enologo Giuseppe Melìa.

si procede alla macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage, dura anch’essa 10-12 giorni. Terminata questa fase ai vini viene fatta effettuare la fermentazione malolattica in vasche di cemento, dove rimangono per almeno 4 mesi. Verso dicembre i vini vengono avviati ad una maturazione in barriques di rovere francese, in gran parte nuove, dove restano per 12 mesi.

ALCAMO

Trascorso questo periodo si assemblano le migliori partite e, dopo una breve sosta effettuata ancora nelle vasche di cemento e una leggera chiarifica, il vino è messo in bottiglia per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 18 mesi. 75


C os Titta Cilia e Giusto Occhipinti COS, logo scritto senza puntini. Come del resto la stessa azienda che porta questo nome, un’impresa senza puntini, senza compromessi, senza fronzoli, costruita senza l’aiuto di nessun contributo, proprio in questa Sicilia che ha fatto dell’assistenzialismo all’imprenditoria, per decenni, la sua arma politica migliore. Un logo preciso, compatto, che non ha mai dato adito a seconde interpretazioni, che ci ha rappresentato e unito, sapendo coagulare i pensieri e la filosofia di vita di noi amici che con quei “puntini” tolti abbiamo saputo costruire i punti fermi della nostra enologia.

ALTRI VINI PRODOTTI I Bianchi: Ramì IGT (Inzolia 50%, Grecanico 50%) I Rossi: Contrade Dedalo (Nero d’Avola 100%) Vastunaca – Cerasuolo di Vittoria DOC (Frappato di Vittoria 85%, Nero d’Avola 15%) Pojo di Lupo IGT (Nero d’Avola 100%) Maldafrica IGT (Cabernet 50%, Merlot 50%)

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Sono passati più di vent'anni da quando per gioco ci mettemmo a fare vino. A quei tempi c’era con noi anche Giuseppina Strano, chiamata affettuosamente Pinuccia che, dopo essersi sposata, per sua scelta, dopo qualche anno lasciò il gruppo e noi due, volutamente, abbiamo mantenuto nel nome dell’azienda le sue iniziali, togliendo quei puntini, che ci sembrava rappresentassero una divisione enorme fra di noi. Era il 1980 quando nel palmento, ancora oggi qui accanto, incominciammo a pigiare l’uva con i piedi e ci divertivamo un mondo; la vendemmia era la nostra festa e il lavoro della campagna il nostro gioco. Non sappiamo se quel goliardico e godereccio approccio al mondo del vino si potesse definire professionale, di sicuro era bello e di bello c’era lo spirito libero che ci sosteneva e che ci stimolava nel metterci alla prova nella nuova avventura di vignaioli. Indubbiamente nelle scelte di quei tempi pesò molto, da una parte la nostra forma mentis d’architetti che, come si sa, si sostiene di creatività, fantasia e del desiderio d’appagamento del “bello”, e dall’altra il grande amore che abbiamo dentro per questa terra e per ciò che essa rappresenta; una passione che è stata nostra compagna e stimolo per tutti questi anni, che ci ha aiutato a conoscere e ad apprezzare la nostra campagna, la vite, l’uva e il mondo del vino. Quel mondo ci sembrò da subito un universo colmo di emozioni che diventò presto adrenalina pura e il semplice parlarne costituiva per noi un percorso didattico, affascinante, sul quale individualmente crescere e al quale non volevamo rinunciare. Dopo due o tre anni comprendemmo però che il gioco stava diventando una cosa seria e che era giunto il momento di decidere cosa fare di quel giocattolo. Avevamo davanti la necessità di progettare il futuro della COS e per farlo dovevamo sederci e riflettere su cosa fare d’importante, su come farlo e su quando farlo. Agli inizi degli anni Ottanta non conoscevamo in Sicilia delle realtà dalle quali poter prendere spunto o con le quali confrontarci, vi erano solo le cantine sociali, la Corvo, altre aziende adibite solo alla vendita del vino sfuso e semplici commercianti: nulla più. Per crescere dovevamo rivolgere lo sguardo altrove, oltre quello Stretto, così da capire come avrebbe fatto una piccola azienda come la nostra a qualificarsi sul mercato del vino. Fu così che decidemmo di fare un giro, visitando alcune aziende toscane e francesi. Ancora oggi ricordiamo che al ritorno da quel viaggio avevamo uno stato d’animo di forte depressione. Nel nostro giro avevamo visto un mondo completamente diverso da quello dove eravamo cresciuti. Le individuali riflessioni ci indussero, tutti, verso il convincimento di quanto ancora la nostra Sicilia



Cos fosse rimasta alla preistoria nella viticoltura e nell’enologia e di come qui il concetto di terroir fosse ancora di là da venire. Tutto era orientato al soddisfacimento di uno sterile mercato che qui trovava quello che desiderava, a partire da quei vini neutri, senza personalità e difetti, utili per il taglio di altri vini, per finire a mosti concentrati. Comprendemmo che, se volevamo continuare a trovare soddisfazioni in quello che stavamo facendo, dovevamo cambiare punto di vista sul prodotto vino. Il nostro progetto doveva rispecchiare la nostra filosofia di vita, quel nostro spirito libero, lo stile che mettevamo nelle cose più semplici, doveva essere senza compromessi, un progetto che fosse in grado di continuare a gratificare il nostro operato e metterci in equilibrio con quell’ambiente che tanto rispettavamo. Volevamo che il nostro vino non fosse un progetto di cantina, ma di vigna e che rispecchiasse la nostra apertura totale e incondizionata alla terra su cui si produce. Volevamo incominciare a captare le essenze di questo territorio, comprenderne gli umori, determinando, con l’esperienza e con il tempo, la sua mutevolezza, così da costruire il nostro terroir. Sì, era questo il nostro progetto senza puntini, semplice, che si beveva tutto d’un fiato, perché era un sorso breve fatto fra noi e la terra. Eravamo convinti che fosse giusto così, perché alla lunga quel progetto ci avrebbe dato credibilità e visibilità. Dovevamo solo applicare delle piccole e semplici regole che tenessero conto ora delle stagioni, ora del tempo e non avere fretta, rimanendo osservatori attenti del miracolo che dalla vigna conduce a quel bicchiere di vino. Ci prefiggemmo l’obiettivo di costruire un rapporto diretto con ogni vite e con ogni acino d’uva che avremmo vinificato; volevamo che la terra di Vittoria fosse il nostro marchio, il sigillo che in qualche modo personalizzasse i nostri vini, ma che proprio nella stagionalità non li omologasse. Era la fisicità l’elemento coagulante del progetto, era la nostra presenza nelle vigne il miglior mezzo che avevamo a disposizione per capire cosa avremmo ottenuto nel tempo. Sono passati venti anni e ancora oggi quel progetto è in corso d’opera. Solo ora, dopo un così lungo tempo, incominciamo a raccogliere i frutti del nostro lavoro di selezione massale effettuato nelle vigne; solo adesso si conoscono gli umori della nostra terra ragusana che così piacevolmente incomincia a imporre ai nostri vini il suo marchio. Di questo siamo soddisfatti e lo siamo ancora di più quando a una degustazione “cieca” i nostri vini sono riconosciuti e apprezzati.

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S cyri

Quantità Prodotta 19000 bottiglie l’anno

IGT Sicilia

Note Organolettiche

Zona di Produzione

Dall’intenso colore rosso rubino, esprime al

Scyri è un cru delle migliori uve provenienti dai vigneti di pro-

naso profumi di frutta rossa matura, liquirizia

prietà dell’azienda posti in località Sciri, nella zona di produzione del Cerasuolo di Vittoria Doc.

e piacevoli note di bacca di ginepro, per poi aprirsi a sentori di tabacco. Elegante in bocca, presenta una buona tannicità; notevoli lo spessore, la concentrazione e la

Tipologia dei Terreni

persistenza.

I vigneti si trovano su terreni di media consistenza provenienti da sabbie sub-appenniniche di origine pliocenica e di natura

Prima Annata

calcarea e silicea inframezzati da strati di argilla fresca e compatta e da tufi calcarei; sono collocati ad un’altitudine di 240 metri s.l.m. con esposizione a sud-est.

1991

Uve Impiegate

Le Migliori Annate

Nero d’Avola 100%

1995 - 1998 - 1999 - 2000

Sistema d’Allevamento Alberello e controspalliera

Note Densità di Impianto 5000 ceppi per Ha

Il nome del vino è una leggera variazione del nome dalla contrada in cui viene prodotto (Sciri Sottana). Raggiunge la maturità dopo 4-5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e gli 8 anni.

Tecniche di Produzione Dopo la vendemmia, che avviene di solito dal 25 settembre al 5 ottobre, si avvia la fermentazione alcolica che si protrae per 7 giorni alla temperatura di 28-30°C in recipienti di acciaio inox. Contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura più o meno frequenti a seconda dell’annata, si protrae per 22-25 giorni a temperatura controllata. Terminata questa fase al vino viene fatta effettuare la fermentazione malolattica direttamente nelle barriques, tutte nuove di rovere francese, dove vi rimane 12-16 mesi per la maturazione. Trascorso questo periodo, il vino è imbottigliato, dopo un leggero filtraggio, per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 6 mesi.

VITTORIA

79


Cerasuolo di Vittoria

blaggio, quindi il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 4 mesi.

Cerasuolo di Vittoria DOC

Zona di Produzione

Quantità Prodotta 32000 bottiglie l’anno

Il Cerasuolo di Vittoria è un blend delle migliori uve di Nero d’Avola e Frappato provenienti dai vigneti di proprietà dell’azienda posti nel comune di Vittoria, nella zona di produzione

Note Organolettiche

del Cerasuolo di Vittoria Doc.

Colore rosso rubino tendente al granato, all’esame olfattivo evidenzia piacevoli profumi di frutta rossa, liquirizia e spezie. Ottimo l’equi-

Tipologia dei Terreni

librio in bocca tra morbidezza e tannicità; piuttosto lungo il

I vigneti si trovano su terreni di media consistenza provenien-

finale.

ti da sabbie sub-appenniniche di origine pliocenica e di natura calcarea e silicea inframezzati da strati di argilla fresca e compatta e da tufi calcarei; sono collocati ad un’altitudine di 235

Prima Annata

metri s.l.m. con esposizione a sud / sud-ovest.

1980

Uve Impiegate Nero d’Avola 60%, Frappato 40%

Le Migliori Annate

Sistema d’Allevamento Cordone speronato

1982 - 1985 - 1987 - 1991 1995 - 1997 - 1999 - 2000

Densità di Impianto 5000 ceppi per Ha

Note Il vino, che prende il nome dalla Doc omonima, raggiunge la

Tecniche di Produzione

maturità dopo 3-4 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 4 e i 6 anni.

Dopo la vendemmia, che avviene di solito dal 25 settembre al 5 ottobre, si avvia la fermentazione alcolica che si protrae per 7 giorni alla temperatura di 28-30°C in recipienti di acciaio inox. Contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, si protrae 20-22 giorni per il Nero d’Avola e 10-12 giorni per il Frappato, sempre a temperatura controllata. Terminata questa fase viene fatta effettuare la fermentazione malolattica: il Frappato la svolge in tini di acciaio inox, il Nero d’Avola in barriques nuove di rovere francese; qui le partite rimangono 12 mesi per la maturazione. Trascorso questo periodo, avviene l’assem80

VITTORIA


Contrade Labirinto

Quantità Prodotta 3600 bottiglie l’anno

IGT Sicilia

Note Organolettiche

Zona di Produzione

Il vino si presenta di un colore rosso rubino cari-

Contrade Labirinto è un cru delle migliori uve di proprietà

co; all’esame olfattivo si avvertono avvolgenti

dell’azienda provenienti dalle vigne poste a Bastonaca, nel

sentori di spezie, minerali e pepe nero; in bocca

comune di Vittoria, nella zona di produzione del Cerasuolo di

risulta complesso, con bella struttura. Lungo e persistente il finale.

Vittoria Doc.

Tipologia dei Terreni

Prima Annata

I vigneti si trovano su terreni di media consistenza provenienti da sabbie sub-appenniniche di origine pliocenica e di natura

1998

calcarea e silicea inframezzati da strati di argilla fresca e compatta e da tufi calcarei; sono collocati ad un’altitudine di circa 200 metri s.l.m. con esposizione a sud / sud-ovest.

Le Migliori Annate Uve Impiegate

1998 - 1999 - 2000

Nero d’Avola 100%

Sistema d’Allevamento Spalliera

Note Il nome del vino può essere considerato un nome di fantasia. Raggiunge la maturità dopo 4-5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione dovrebbe essere compreso fra i 5 e gli 8 anni.

Densità di Impianto 5000 ceppi per Ha

L’ Azienda COS: non sono altro che le lettere iniziali dei cognomi dei tre fon-

Tecniche di Produzione

datori in ordine alfabetico. L’azienda, che è stata creata nel 1980, si estende su una superficie complessiva di circa 40 Ha, di cui

Dopo la vendemmia, che avviene di solito dalla

19,50 vitati e 16 destinati all’olivicoltura. Il restante territorio

metà di settembre ai primi di ottobre, si avvia

vede la presenza di colture promiscue. In azienda svolgono le fun-

la fermentazione alcolica che si protrae per 7-

zioni di agronomo ed enologo Titta Cilia e Giusto Occhipinti.

8 giorni alla temperatura di 28-30°C in vasche di acciaio inox. Contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura più o meno frequenti a seconda dell’annata, va avanti per 22-25 giorni a temperatura controllata. Successivamente al vino viene fatta effettuare la fermentazione malolattica in barriques nuove di rovere francese dove vi rimane 18-24 mesi. Terminata questa fase il vino viene posto per 6 mesi in vasche di acciaio, dopo di

VITTORIA

che prosegue l’affinamento in bottiglia per ulteriori 6 mesi. 81


Cottanera Enzo, Mariangela e Guglielmo Cambria

ALTRI VINI PRODOTTI I Bianchi: Barbazzale Bianco IGT (Inzolia 100%) I Rossi: Barbazzale Rosso IGT (Nerello Mascalese 90%, Nero d’Avola 10%)

82

Il territorio dell’Etna è un territorio speciale, unico, vivo, mai stabile, irascibile e terrorizzante che rovescia da millenni, sulle sue pendici, terra potente e rigenerativa come poche altre. Su questa montagna anche il clima è diverso e tutto quanto contribuisce a caratterizzare i prodotti agricoli che qui si raccolgono. Terra forte e importante, quindi, quella che coltiviamo noi, nella nostra azienda Cottanera, nella vallata dell’Alcantara. Nostro padre Francesco riteneva che la terra fosse il miglior investimento che un siciliano potesse fare, un bene che nessuna calamità e nessuna guerra potevano distruggere o ridimensionarne il valore; la terra come consolidamento e arricchimento di quel cumulo di cose che determinano il patrimonio di una famiglia, da cui attingere serenità e benessere; terra che poteva essere usata come dote per una figlia o da lasciare in eredità ai figli, come segno del proprio passaggio. Con questo spirito nostro padre Francesco comprava della terra, come fece nel 1968, acquistando questa proprietà posta sulle pendici nord-est dell’Etna, a 600 metri sul livello del mare, con una grande e importante piantagione di noccioli. Cinquanta ettari di terreno ben sistemato di cui andava orgoglioso e al quale dedicava il suo tempo libero. Fu solo dopo dieci anni che questa azienda vide la prima vite, proprio alla fine degli anni Settanta, quando vi era la generale tendenza in Sicilia ad impiantare ovunque viti al posto di qualsiasi coltura. Le nocciole ormai non erano più remunerative e la vite sembrava un ottimo ripiego per continuare a dare redditività alla campagna. Quindi viti e ancora viti, dappertutto. Anche noi trasformammo l’azienda e mettemmo vigneti quasi sulla totalità della superficie aziendale; vigneti ovunque, come il Nerello Mascalese e l’Inzolia, gli uvaggi autoctoni più diffusi a quel tempo nella zona, e tutti impiantati con il sistema a tendone, un sistema che in brevissimo tempo modificò completamente il paesaggio di questa splendida vallata. Per anni facemmo grandi produzioni, circa 200-250 quintali di uva per ettaro, produzioni elevatissime se paragonate ai 60 quintali odierni; in quegli anni si ragionava e si discuteva solo sulla “quantità” delle uve raccolte: una parte era destinata alla vinificazione interna, con cui si produceva un discreto vino commercializzato direttamente in azienda a 800-1000 lire, una parte era venduta invece alle cantine sociali della zona. A quei tempi certamente non vi era la maniacale ricerca della qualità che c’è oggi: c’era solo la semplice volontà di fare vini “buoni”, nella tradizione, che portavano benessere e sembravano soddisfare tutti. Trascorsero gli anni e nostro padre piano piano si trovò nell’impossibilità di seguire la campagna, ma noi fratelli, impegnati in altre attività non trovavamo interessante quel tran tran che si ripeteva a ogni vendemmia, quel vinificare senza grossi esiti: quelle vendemmie erano divenute noiose e poco gratificanti, incapaci d’innescare nuovi interessi dai quali poter ottenere valide opportunità per un futuro diverso. L’incontro con il professor Valenti dell’Università di Milano fu determinante per farci prendere delle decisioni importanti sul futuro dell’azienda. Le sue visite a Cottanera dettero nuovo impulso alle nostre aspettative e quella campagna che ci



Cottanera sembrava ormai incapace di farci appassionare divenne per noi sempre più interessante. Parlando fra di noi incominciammo a progettare e a costruire sogni; tutto ci sembrava diverso da come lo avevamo visto fino a poco tempo prima. Quel parlare di terroir, di cui non capivamo ancora bene il significato, o quelle sapienti disquisizioni che il professore ci riservava sul come si sarebbe evoluto il progetto che avrebbe visto diventare Cottanera, entro una decina di anni, un’azienda importante dell’enologia dell’Etna, ci entusiasmavano. Sentivamo sempre più crescere in noi l’entusiasmo e il legame con questa terra, ma sapevamo anche che, incominciando a vedere i primi risultati, sicuramente avremmo incrementato il nostro impegno nell’azienda. Non si dovette attendere di vendere la prima bottiglia di vino per comprendere cosa stesse accadendo d’importante; bastò infatti fermarsi ad osservare quel minuzioso e graduale lavoro di reimpianto seguìto dagli allievi del professore, Giulio Vecchio e Luciana Biondo, a lotti di 7-8 ettari all’anno, per capire come lo stesso contribuisse a far cambiare l’impatto che Cottanera esercitava visivamente su chi, come noi, la conosceva da sempre. Fu quel nuovo paesaggio a farci appassionare a ciò che stavamo facendo, ma quando, poi, nelle degustazioni in cantina incominciammo a sentire la qualità dei vini che uscivano da quelle uve di Syrah, Merlot, Cabernet Franc e Cabernet Sauvignon, Mondeuse, Nerello Mascalese, Nero d’Avola, Petit Verdot e Carricante, che avevamo piantato solo qualche anno addietro, capimmo che eravamo sulla strada giusta per raggiungere i nostri obiettivi. Indubbiamente oggi le cose non sono più le stesse ed entrambi noi fratelli Cambria quando veniamo quassù non guardiamo più quest’azienda con gli stessi occhi di dieci anni fa. Ora qui tutto è più bello e anche l’atmosfera che si respira è diversa e poi c’è gratificazione in ciò che facciamo e questo non è poco, ma siamo anche consapevoli di essere soltanto all’inizio del nostro sogno e il futuro non può che essere roseo.

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Nume

venga imbottigliato e subisca un’ulteriore affinamento di altri 7 mesi.

IGT Sicilia

Quantità Prodotta Zona di Produzione

21000 bottiglie l’anno

Nume è un blend delle migliori uve di Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc provenienti dai vigneti di proprietà dell’azien-

Note Organolettiche

da posti nel comune di Castiglione di Sicilia, nell’area di pro-

Vino dal colore rosso rubino molto profondo

duzione dell’Etna Doc.

con profumi intensi di confettura di frutti di bosco, vaniglia e liquirizia. Di grande impatto

Tipologia dei Terreni I vigneti di Cabernet Sauvignon si trovano su terreni dove la

in bocca, ha tannini rotondi, di qualità, e una decisa presenza alcolica. Finale persistente.

matrice alluvionale prevale su quella lavica, comunque presente, con una forte presenza di scheletro; i vigneti di Cabernet Franc si trovano invece su terreni prevalentemente lavici; sono

Prima Annata

collocati ad un’altitudine compresa tra i 600 e i 680 metri s.l.m. su terrazze pianeggianti.

2001

Uve Impiegate Cabernet Sauvignon 85%, Cabernet Franc 15%

Le Migliori Annate

Sistema d’Allevamento

2001

Cordone speronato

Note Densità di Impianto 5600 ceppi per Ha

Il nome “Nume” ha la funzione di “protezione” della casa secondo la mitologia, ed è stato scelto per rappresentare un vino importante capace di portare fortuna e prosperità all’azienda. Raggiunge la maturità dopo 4-5 anni dalla vendemmia

Tecniche di Produzione Dopo la vendemmia, che avviene nell’ultima

e il plateau di maturazione dovrebbe essere compreso fra i 5 e i 10 anni.

decade di ottobre, si avvia la fermentazione alcolica che dura 10 giorni alla temperatura massima di 30°C in maceratori di acciaio inox. Contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage, si protrae per 30-35 giorni a temperatura controllata. Successivamente ai vini viene fatta effettuare la fermentazione malolattica in barriques nuove di rovere francese di Tronçais dove vi riman-

CASTIGLIONE DI SICILIA

gono 16 mesi per la maturazione. Trascorso questo periodo, viene effettuato l’assemblaggio delle partite, prima che il vino 85


Fatagione

tite e il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento che prosegue per 7 mesi.

IGT Sicilia

Zona di Produzione

Quantità Prodotta 21000 bottiglie l’anno

Fatagione è un blend delle migliori uve di Nerello Mascalese e Nero d’Avola provenienti dai vigneti di proprietà dell’azienda posti nel comune di Castiglione di Sicilia, nell’area di pro-

Note Organolettiche

duzione dell’Etna Doc.

Colore rosso rubino intenso, con profumi interessanti di frutta rossa come more e ciliegie, con note minerali e vegetali. In bocca

Tipologia dei Terreni

risulta ben strutturato, con tannini pronunciati e una forte

I vigneti si trovano su un suolo esclusivamente lavico e sono

concentrazione fruttata; al retrogusto risulta lungo e persi-

collocati ad un’altitudine di 700 metri s.l.m. con esposizione a

stente.

sud-est.

Uve Impiegate

Prima Annata

Nerello Mascalese 85%, Nero d’Avola 15% 1999

Sistema d’Allevamento Cordone speronato

Le Migliori Annate Densità di Impianto

2000 - 2001

5600 ceppi per Ha

Tecniche di Produzione

Note Il vino, il cui nome richiama l’incantesimo e la magia che pos-

Dopo la vendemmia, che avviene nella prima

sono essere rievocati in chi lo beve, raggiunge la maturità

decade di ottobre per il Nero d’Avola e nell’ulti-

dopo 4-5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione

ma settimana di ottobre per il Nerello

dovrebbe essere compreso fra i 5 e i 10 anni.

Mascalese, si avvia la fermentazione alcolica che dura 6 giorni per il Nero d’Avola e 7 giorni per il Nerello Mascalese, ad un temperatura inferiore ai 28°C in maceratori statici in acciaio inox. Contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce che si protrae 10 giorni per il Nero d’Avola e 18 giorni per il Nerello Mascalese. Successivamente ai vini viene fatta effettuare la fermentazione malolattica in barriques nuove di rovere francese di Tronçais a media tostatura (70% nuove e 30% di secondo passaggio), dove vi rimangono 12 mesi per la maturazione. Trascorso questo periodo, viene fatto l’assemblaggio delle par86

CASTIGLIONE DI SICILIA


L’Ardenza

Note Organolettiche Colore rosso rubino molto intenso con riflessi viola scuro; profumi complessi di confettu-

IGT Sicilia

ra, frutta secca, spezie, tabacco e cioccolato;

Zona di Produzione

di grande struttura, ma allo stesso tempo assai morbido ed equilibrato; molto lunga la persistenza aromatica.

L’Ardenza è una selezione delle migliori uve di Mondeuse (varietà originaria dell’Alta Savoia francese) provenienti dai vigneti di proprietà dell’azienda posti nel comune di

Prima Annata

Castiglione di Sicilia, nell’area di produzione dell’Etna Doc.

1999

Tipologia dei Terreni I vigneti si trovano su un suolo esclusivamente lavico e sono collocati ad un’altitudine di 700 metri s.l.m. con esposizione a est.

Le Migliori Annate Uve Impiegate

1999 - 2001

Mondeuse 100%

Sistema d’Allevamento Cordone speronato

Note Il nome del vino è un nome di fantasia che richiama il calore ardente del sole siciliano, della terra nera lavica e del vulcano etneo che è l’origine di tutto il territorio. Raggiunge la matu-

Densità di Impianto

rità dopo 4-5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione dovrebbe essere compreso fra i 5 e gli 8 anni.

5600 ceppi per Ha

L’ Azienda

Tecniche di Produzione

L’azienda, di proprietà dei fratelli Cambria dal 1965, si estende su

Dopo la vendemmia, che avviene nell’ultima

una superficie complessiva di 100 Ha, di cui 50 vitati e 25 dedi-

settimana di ottobre, si avvia la fermentazio-

cati all’olivicoltura. Collabora in azienda come agronomo ed eno-

ne alcolica che dura 10 giorni alla temperatu-

logo Leonardo Valenti.

ra massima di 26°C in maceratori di acciaio inox. Contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage, si protrae per 25 giorni a temperatura controllata. Successivamente al vino viene fatta effettuare la fermentazione malolattica in barriques nuove di rovere francese di Tronçais a medio-alta tostatura, dove vi rimane per un periodo di 14 mesi. Segue l’imbottigliamento e un ulteriore affinamento che prosegue per altri 7 mesi. CASTIGLIONE DI SICILIA

Quantità Prodotta 14000 bottiglie l’anno 87


Curto Giombattista Curto La mia famiglia produce vino sicuramente dal lontano 1670, quando un nostro antenato, Vincenzo, dando in sposa sua figlia Anna a Pietro Modica, Capitano di Giustizia e Barone di San Giovanni, fra le tante cose, dette in dote come vitalizio anche 18 salme di mosto, circa 1800 litri di vino l’anno, con atto 26 settembre 1670 del notar Paulino da Spaccaforno (oggi Ispica). È con questa secolare tradizione alle spalle che io sono diventato grande, in questa campagna fra Ispica, Noto e Pachino, ed è con questa eredità familiare che mia figlia Francesca è cresciuta, così da appassionarsi lei stessa al mondo dell’enologia, dandomi la gioia di non veder dispersa la tradizione di famiglia che ci vede vignerons da generazioni. Mi definisco un vignaiolo, un vignaiolo puro in terra di Sicilia; sono una persona che sin dall’adolescenza ha respirato il profumo di questa terra, del mosto e dei vini qui prodotti; una persona che ha giocato fra i filari e fra essi è cresciuto. Per la campagna e per la vigna, nel corso degli anni ho sacrificato gran parte del mio tempo libero, tutto quel tempo che il mio lavoro di magistrato mi concedeva. Quando ero piccolo, qui a Villa Sulla venivamo a trascorrere parte dell’estate; in questi enormi spazi, noi ragazzi perdevamo la concezione del tempo, fra i giochi, la raccolta degli agrumi, delle mandorle, degli ortaggi e la vendemmia; sembrava che il tempo qui scorresse più velocemente che altrove e, come impazzito, volasse. Tutto questo mi sembrava molto strano e ricordo che rimanevo stupìto dal dovermi svegliare una mattina e dover preparare le valigie per tornare nuovamente a casa e a scuola. Ma come? Mi sembrava di essere appena arrivato, mi pareva di aver disfatto i bagagli solo il giorno precedente e invece erano passati ormai diversi mesi!

ALTRI VINI PRODOTTI I Rossi: Curto Rosso IGT (Nero d’Avola 100%)

88

Non è cambiato molto da allora e ancora oggi, quando vengo in campagna, il tempo qui fugge via velocemente; mi sembra di non riuscire a far niente, sono mille le incombenze da svolgere: dalla vigna alla cantina, dalla ristrutturazione del vecchio palazzo di famiglia alla commercializzazione del vino. Corro per star dietro a quelle ore e a quei giorni che vanno via impazziti; corro e non mi fermo mai, ma non riesco a raggiungere quel tempo, così breve, troppo breve. Talvolta, con preoccupazione, mi soffermo a pensare che in questa continua rincorsa non riesco neanche a godere di quelle piccole, ma gratificanti soddisfazioni che il vino e l’azienda incominciano oggi a darmi. Una cosa è certa: in questo convulso attivismo che ha coinvolto il mondo del vino, non mi faccio prendere la mano, non mi lascio trasportare dalla frenesia di voler fare tutto a tutti i costi, le tante stagioni passate nella vigna, la sua ritmicità, il suo fiorire e il suo spogliarsi ogni anno, mi hanno insegnato ad avere una cadenza nei miei ritmi di vita e ad avere molto equilibrio nelle cose che faccio. Credo che l’equilibrio sia la migliore cosa che io abbia imparato nello stare in campagna, è sicuramente la mia arma vincente, la caratteristica che mi ha aiutato moltissimo, sia nel mio lavoro di magistrato, dove risulta estremamente complicato e difficile giudicare gli altri, sia nelle tante occasioni che la vita ci propone tutti i giorni. Quello di magistrato è un lavoro che richiede una grande serenità interiore e una grande capacità di raffrontarsi con le problematiche che la vita ha posto dinanzi a ciascuno di noi. Quando sei chiamato a giudicare, sei da solo: da una parte i fatti, dall’al-



Curto tra la propria coscienza. È in quei momenti che i solidi principi con i quali sei cresciuto, il grande rispetto che ti è stato insegnato per le cose che ti circondano, ti danno forza e sostegno. Valori personali ai quali ti attacchi e che sei costretto a considerare al pari della legge, perché credo che sia importantissimo la sera, terminata la lunga giornata lavorativa, coricarsi e dormire il sonno profondo del saggio, il sonno di colui che ha voluto porre le cose in armonia fra loro, senza lasciarsi andare a personali interpretazioni, ma dando o togliendo solo attraverso un giudizio equo. Credo che questa mia serenità sia autoalimentata dalla semplicità con la quale conduco la mia esistenza; sono sempre a stretto contatto con la natura e con la campagna; credo che siano proprio le mie vigne e il mio agrumeto a infondermi l’armonia di cui quotidianamente ho bisogno. Da questo splendido rapporto prendo molto, ma sono anche profondamente sicuro di dare, cercando di rimanere il più possibile un semplice osservatore degli eventi e di ciò che accade nella campagna, così da interferire il meno possibile con quello che la natura, ogni anno, sa propormi. Oggi, piacevolmente, mi trovo al fianco mia figlia, che ha portato in questa azienda una forte carica emotiva e un nuovo entusiasmo, un entusiasmo indubbiamente dato dalla sua giovane età. Non credevo che riuscisse ad appassionarsi così tanto al mondo del vino e sono rimasto quasi incredulo quando ha deciso di partire per la Francia per frequentare uno stage formativo in un’azienda che, sotto l’aspetto enologico, devo affermare, ha molte più frecce al proprio arco rispetto a quante possiamo averne noi siciliani. Quell’esperienza, come tutte le altre che ha deciso di affrontare successivamente in questa sua personale costruzione formativa nel settore, l’ha fatta tornare in azienda così carica e decisa da dare un valido contributo a tutto ciò che io avevo cercato di mantenere integro ed efficiente. Ogni tanto mi soffermo ad osservarla e sono felice nel constatare quanto amore anche lei mette nelle cose che fa ed è piacevole vedere quanto questa campagna l’abbia ormai conquistata e stregata. L’elenco dei vignerons della famiglia Curto si è allungato; infatti si è aggiunto il nome di mia figlia, che sicuramente saprà continuare sulla strada che io ho cercato di prepararle. Sicuramente so che il futuro le appartiene, ma, nonostante ciò, ancora oggi mi trovo piacevolmente a correre e a lavorare come se fossi “immortale”, come se quelle vigne che solo ieri ho impiantato, domani dessero i loro migliori frutti. Invece, purtroppo, non è così, ma non ha importanza, di questo non mi preoccupo; per me, alla fine, quello che conta è che vi sia un altro Curto che possa continuare quello che altri suoi predecessori hanno saputo portare avanti.

90


Fontanelle

Quantità Prodotta 12000 bottiglie l’anno

IGT Sicilia

Note Organolettiche

Zona di Produzione

Dall’intenso colore rosso rubino, presenta al

Fontanelle è un cru delle migliori uve di Nero d’Avola prove-

naso intensi sentori di frutta rossa matura,

nienti dal vigneto omonimo, di proprietà dell’azienda, posto

liquirizia, cacao e note speziate; all’esame

nel comune di Noto, a 2 km. da Pachino, nell’area di produ-

gustativo risulta intenso e persistente con un retrogusto di

zione della Doc Eloro.

vaniglia e di frutta secca tostata sul lungo finale.

Tipologia dei Terreni

Prima Annata

Il vigneto si trova su terreni di tipo leggero, molto calcarei con tufo e marne, ad un’altitudine di 30 metri s.l.m. con esposizione a sud.

1998

Uve Impiegate

Le Migliori Annate

Nero d’Avola 100%

2000

Sistema d’Allevamento Alberello

Note Densità di Impianto 6600 ceppi per Ha

Il vino, il cui nome identifica uno dei più grandi cru della zona di Pachino, raggiunge la maturità dopo 4-5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione dovrebbe essere compreso fra i 5 e gli 8 anni.

Tecniche di Produzione Dopo la vendemmia, che avviene di solito

L’ Azienda

intorno alla metà di settembre, si avvia la fer-

L’azienda, di proprietà della famiglia Curto dal 1670, si estende

mentazione alcolica che si protrae per 10 gior-

su una superficie complessiva di 22 Ha, di cui 18 vitati.

ni alla temperatura di 25-28°C in recipienti di acciaio inox.

Collaborano in azienda l’agronomo Corrado Gurrieri e l’enologo

Contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce

Luigi Lo Guzzo.

che, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, dura anch’essa 10 giorni a temperatura controllata. Successivamente al vino viene fatta effettuare la fermentazione malolattica nei recipienti di acciaio inox, poi viene messo in barriques nuove di rovere francese di Allier dove vi rimane 8-10 mesi per la maturazione. Trascorso questo periodo, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 12 mesi. ISPICA

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C usumano Alberto e Diego Cusumano Se pensiamo a Panarea, nel nostro immaginario si disegna un’isoletta con una costa stupenda, acque limpide e tanto sole. Nell’immaginario degli americani, proporzionalmente anche la Sicilia è vista con le dimensioni e attraverso le stesse fantasie con le quali noi pensiamo a quella piccola isola, con le case poste a picco su uno stupendo mare, con tanto sole. Quando essi decidono poi di affrontare quel viaggio che li porterà a confermare le fantasie e le attese del loro immaginario, scoprono un continente-isola, dove arte, cultura e natura s’intrecciano per creare un mix fantastico e inimmaginabile che li lascia sbigottiti. Nonostante tutto, quello che essi percepiscono, attraverso ciò che riescono a vedere, è solo la punta di un grande iceberg; la Sicilia è comunque un’altra cosa, è ancora più complessa e variegata e anche noi siciliani siamo diversi da quell’immaginario che ci “incolla”, invece, a una sicilianità lontana dalla realtà. Fondamentalmente noi siamo isolani, con tutto ciò che ha significato da secoli esserlo, con quel distacco oggettivo che solo il mare ha saputo costruire intorno a noi, con le paure che vanno a braccetto con il nuovo, con l’orgoglio di riuscire “nell’impedimento a trovar giovamento”, con l‘idea di chi deve, ricevuta un’ingiuria, scriverla nel marmo, nella certezza che il silenzio non sia mai portatore di sciagure e che la riservatezza sia, su quest’isola, un mito. Siamo isolani nel profondo; delle nostre tradizioni abbiamo fatto una scuola di vita e attraverso le stesse abbiamo tramandato il verbo popolare che qui assume il valore di vera e propria parabola, che, se viene seguìta, conduce alla scoperta di chi siano veramente i siciliani. “Gesti romani, tratti fiorentini, tiri napoletani e motti siciliani”

ALTRI VINI PRODOTTI I Bianchi: Angimbé IGT (Inzolia 70%, Chardonnay 30%) Cubìa IGT (Inzolia 100%) I Rossi: Benuara IGT (Nero d’Avola 70%, Syrah 30%)

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Gesti grandiosi dei romani, tratti gentili dei fiorentini, tiri birboni dei napoletani e proverbi realistici dei siciliani: così recita uno dei 13000 proverbi che ancora oggi affiancano il dialetto siciliano, più di quanti ne abbiano tutte insieme le altre regioni italiane. Ma la nostra “sicilianità” è fatta anche di ospitalità genuina, schietta, sincera e anche un po’ egoista, che interrompe l’isolamento e consente di osservare, fra le mura domestiche in posizione privilegiata, “il nuovo” e con gioia comunicargli, con i giusti veli e le dovute precauzioni, chi sei e ciò che fai. La “sicilianità” è il piangersi addosso, è il dire e non fare, è fondamentalismo incondizionato per questa terra e per ciò che essa facilmente regala. Quando devo andare a New York, prendo l’aereo da Palermo per Roma per poi proseguire per gli Stati Uniti. In questi viaggi scopro sempre delle storie tristi, ancora legate a quella Sicilia che neanche tanti anni addietro vedeva i suoi figli emigrare lontano. Sembra strano, ma immancabilmente sull’aereo mi trovo sempre seduto accanto a una di quelle madri che ha deciso di affrontare quel viaggio per amore dei propri figli, portandosi dietro nella valigia la sua Sicilia e tutto il sapore della sua terra. È in quella pesante valigia che è possibile ritrovare le radici e le tradizioni di questa terra, ora sotto forma di caciotte, passata di pomodori, marmellate, ora di rosari e fotografie di chi è rima-



Cusumano sto a casa: tutto per quel figlio partito per fare fortuna, per non fargli dimenticare, caso mai potesse accadere, il profumo di ciò che ha lasciato. Madri uniche, custodi del focolare, dedite per la vita agli amori della loro famiglia, madri delle quali non ti puoi dimenticare e alle quali è doveroso telefonare; madri che, in un mondo che cambia così velocemente, si meravigliano di come tu possa essere oggi in America e domani a Parigi e l’indomani sulla porta della loro casa; occhi scuri o blu come il mare che, fissandoti con sguardo severo e interrogativo, ti domandano: “Ma comu fai?” “Un’è piriculusu?” “I sordi l’hai?” (“Ma come fai?”, “Non è pericoloso?”, “I soldi li tieni?”) e rimangono meravigliosamente stupìte di come la tua carta di credito funzioni meglio del rotolo dei soldi che hanno tenuto sempre nel petto. Quando aiuto quelle donne a muoversi fra i lunghissimi corridoi dell’aeroporto, penso a quali sentimenti dovevano provare quei siciliani che emigravano per le Americhe e cosa potesse significare per loro l’allontanarsi dai profumi della loro terra. Dovevano essere disperati per lo straziante addio quando montavano su una nave e dopo quasi due mesi di navigazione sbarcavano su una terra di cui non conoscevano niente, né la lingua, né il pensiero, che sicuramente era molto lontano da quei saggi proverbi con i quali erano cresciuti. Oggi tutto è diverso, l’isolamento non c’è più e noi stessi, figli di quelle generazioni che sono emigrate, studiando abbiamo fatto della nostra cultura l’arma per un cambiamento. Questo oggi qui in Sicilia succede in ogni settore economico, ma quello che forse si è mosso prima e meglio è indubbiamente il settore vitivinicolo, agevolato indubbiamente dalle grandi risorse che offre questo territorio, dalle diversità che lo stesso propone e dalla grande facilità con la quale la viticoltura arriva al compimento del suo ciclo produttivo. In un mio intervento qualche anno fa a Parigi, durante una prestigiosa premiazione avvenuta insieme a colleghi vignaioli che si fregiavano di avere famiglie con oltre cinquecento anni di esperienze enologiche e con un importante terroir alle spalle, dissi: ”Scusatemi, ma la mia azienda esiste da 24 mesi e dico 24, perché è un numero maggiore di 2 anni”. Se devo essere sincero quel premio non dovevano darlo all’azienda Cusumano, ma alla terra di Sicilia, una terra pronta a regalarci tutto, generosa come poche altre, che annualmente ci propone uve con tannini pronti, che nell’arco di dodici mesi ci consente d’immettere sul mercato prodotti enologici già maturi, di alto valore, prodotti che invece da altre parti, per avere le solite caratteristiche organolettiche di complessità e armoniosità, devono attendere tre o quattro anni. Quello che però invidio ancora a certe aree produttive è il terroir, quella cultura forte di cui sono impregnate le vigne, le cantine, le strade, una cultura profonda, radicata nell’ambiente, che, per intenderci, abbraccia tutti, da colui che vive della terra fino ad arrivare a tutti quelli che ne usufruiscono. Non invidio le colline vitate estese fino a perdita d’occhio, o i tramonti arrossati che dal mare si riflettono sulle vigne o i cieli stellati che si mischiano ai filari delle viti; tutto questo non ci manca, ne abbiamo da esportare in abbondanza. Quello che ci manca ancora è la conoscenza profonda della connessione rigorosa che esiste fra la vite, la terra, il cielo e il lavoro attento e professionale dell’uomo. Ci manca la conoscenza delle diversità produttive che sono fonte di ricchezza per tutti, ma io sono ottimista e certamente anche noi siciliani arricchiremo la nostra “sicilianitudine” di tutto questo e forse, in molto meno tempo di quanto gli altri suppongono, ci giocheremo le nostre migliori carte.

94


J alé

Quantità Prodotta 18000 bottiglie l’anno

IGT Sicilia

Note Organolettiche

Zona di Produzione

Di un brillante colore giallo dorato, il vino si

Jalé è una selezione delle migliori uve di Chardonnay dei

presenta con profumi interessanti di agrumi,

vigneti di proprietà dell’azienda che si trovano sul territorio del comune di Ficuzza.

frutta matura e spiccate note floreali. In bocca è fresco, morbido, raffinato, con spiccata sapidità. Finale piuttosto lungo con note leggermente ammandorlate.

Tipologia dei Terreni Il vigneto si trova su terreni di alta collina che hanno caratteri-

Prima Annata

stiche morfologiche con tessitura argillosa e si trovano ad un’altitudine di 700 metri s.l.m. con un’esposizione a sud / sud-est.

2000

Uve Impiegate Chardonnay 100%

Le Migliori Annate

Sistema d’Allevamento Spalliera bassa

2002

Densità di Impianto

Note

4200-4500 ceppi per Ha

I vigneti si trovano in una zona caratterizzata da notevoli escursioni termiche tra il giorno e la notte e da temperature

Tecniche di Produzione

massime estive moderate che contribuiscono a conferire al vino profumi intensi e tipici. Il nome del vino deriva dalle

Dopo la vendemmia, che avviene di solito

caratteristiche contrade dall’aspetto biancastro di cui è ricco il

nella seconda decade di agosto, e dopo una

territorio; raggiunge la maturità dopo 3 anni dalla vendemmia

pigiatura soffice, si porta il mosto a contatto

e il plateau di maturazione dovrebbe essere compreso fra i 3 e

con le fecce alla temperatura di 8°C per due o tre giorni, per poi

i 6 anni.

fargli risalire la temperatura, così da dar vita alla fermentazione alcolica che si protrae per 25 giorni ad una temperatura compresa tra i 16 e i 24°C in barriques di rovere francese di Allier, Nevers e Limousin nuove per il 70%. Trascorso questo periodo e dopo una leggerissima chiarifica, il vino è posto nuovamente a maturare nelle barriques, in ambienti termocondizionati a 16°C, dove vi rimane mediamente altri 6 mesi duran-

PARTINICO

te i quali è sottoposto a periodici bâtonnages. Alla fine di questo lungo periodo il vino viene posto in tini di acciaio e dopo una leggera chiarifica è imbottigliato, per un ulteriore affinamento che dura 6 mesi. 95


Noà

effettuato l’assemblaggio delle partite, dopo di che il vino

IGT Sicilia

acciaio inox, il vino è messo in bottiglia per un ulteriore affi-

viene rimesso di nuovo nelle barriques per altri 3 mesi. Dopo questa lunga maturazione e dopo una leggera sosta nei tini di namento che prosegue per almeno altri 6 mesi.

Zona di Produzione Noà è un blend delle migliori uve di Nero d’Avola, Merlot e Cabernet Sauvignon provenienti dai vigneti di proprietà dell’azienda posti nella zona collinare alle spalle di Gela (Nero d’Avola), Contessa Entellina

Quantità Prodotta 20000 bottiglie l’anno

(Merlot) e Mazara del Vallo (Cabernet Sauvignon).

Note Organolettiche Tipologia dei Terreni

Di colore rosso rubino intenso molto carico, con riflessi violacei, il vino presenta profumi

I vigneti si trovano su zone di media collina con terreni che hanno diverse caratteristiche morfologiche che vedono il Cabernet e il Merlot posti su terreni di medio impasto a 250300 metri s.l.m, mentre il Nero d’Avola si trova su terreni argillosi a 350 metri s.l.m. con un’esposizione che vede gli

complessi di confettura di frutta rossa, vaniglia, spezie e leggero tostato. Al palato è molto strutturato, con sentori di prugna, mirtillo e caffè. Ottima persistenza e tannini equilibrati.

impianti posti tutti a sud / sud-ovest.

Prima Annata

Uve Impiegate Nero d’Avola 40%, Merlot 30%, Cabernet Sauvignon 30%

2000

Sistema d’Allevamento Spalliera

Le Migliori Annate

Densità di Impianto

2001 - 2002

4500 ceppi per Ha

Note Tecniche di Produzione Dopo la vendemmia, che avviene, a seconda degli uvaggi, dalla fine di agosto ai primi di settembre,

Il vino, il cui nome si ispira a Noè, primo produttore di vino sulla terra, raggiunge la maturità dopo 4-5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 10 anni.

si avvia la fermentazione alcolica di ogni singolo mosto che si protrae per 10-12 giorni alla temperatura controllata di 28-30°C in recipienti di acciaio inox. Contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage, va avanti per 12-14 giorni. Terminata questa fase, ai vini viene fatta effettuare la fermentazione malolattica in barriques parzialmente nuove di rovere francese di Allier e Tronçais, dove vi rimane per un periodo compreso fra i 10 e i 12 mesi. Successivamente viene 96

PARTINICO


S àgana

Note Organolettiche All’esame visivo il vino si presenta di un bel rosso rubino con riflessi porpora; all’esame

IGT Sicilia

olfattivo denota sentori piuttosto netti di frut-

Zona di Produzione Sàgana è una selezione delle migliori uve di Nero d’Avola pro-

ti di bosco, spezie e cacao. Decisamente convincente anche in bocca dove riaffiorano i sentori percepiti al naso; morbido e persistente, risulta un vino di grande personalità.

venienti dai vigneti di proprietà dell’azienda posti nei territori vocati della Sicilia centro-orientale.

Prima Annata

Tipologia dei Terreni I vigneti, di 14 anni di età, si trovano su terreni di media colli-

2000

na con caratteristiche morfologiche di tessitura argillosa e sono posti a un’altitudine di 350 metri con un’esposizione a sud-ovest.

Le Migliori Annate Uve Impiegate

2001 - 2002

Nero d’Avola 100%

Sistema d’Allevamento Spalliera

Note Sàgana era il nome usato per indicare le celle sotterranee in cui i rossi venivano conservati per i lunghi periodi di affinamento. Il vino raggiunge la maturità dopo 4 anni dalla vendemmia e il

Densità di Impianto

plateau di maturazione è compreso fra i 4 e gli 8 anni.

4500 ceppi per Ha

L’ Azienda Tecniche di Produzione

L’azienda, di proprietà di Diego e Alberto Cusumano dal 1965, si estende su una superficie complessiva di 300 Ha, di cui 250 vita-

Dopo la vendemmia, che avviene di solito ai

ti e 12 dedicati all’olivicoltura. Il restante territorio vede la pre-

primi di settembre, si avvia la fermentazione

senza di colture cerealicole.

alcolica che si protrae per 10 giorni alla tempe-

Collaborano in azienda gli agronomi Alberto Pansecchi e

ratura di 28-30°C in recipienti in acciaio inox.

Giovanni Bordino, mentre l’enologo è Mario Ronco.

Contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, va avanti per 14 giorni. Terminata questa fase, al vino è fatta effettuare la fermentazione malolattica in botti di rovere da 20 hl., dove vi rimane a maturare per 8 mesi. Al termine di questo periodo è imbottigliato per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 6 mesi.

PARTINICO

Quantità Prodotta 20000 bottiglie l’anno 97




D e Bartoli Marco De Bartoli Appartengo a quel ristretto numero di vignaioli che hanno tracciato il nuovo percorso enologico dei vini italiani, ed è sulle tracce di questi pionieri che vedo oggi, con piacere, giovani emergenti che, come i miei figli Renato e Sebastiano, stanno costruendo il loro futuro di viticoltori. Sto parlando della fine degli anni Settanta e dei primi anni Ottanta, proprio dell’inizio della storia del vino italiano di qualità. Un periodo duro che difficilmente viene ricordato. Io, invece, ricordo perfettamente il valore che aveva, in quegli anni, il vino siciliano e questa mia profonda conoscenza proveniva da una famiglia che, sia da parte di madre che di padre, mi aveva trasferito la passione per il meraviglioso mondo dell’enologia e della viticoltura. Sì, furono veramente duri i primi anni Ottanta. Erano momenti in cui parlare di vino e in special modo di quello della Sicilia era arduo. Ancora non c’era stato lo scandalo del metanolo e non eravamo neanche agli albori di quel processo evolutivo che di lì a poco avrebbe innescato quei meccanismi che inaspettatamente, all’inizio degli anni Novanta, avrebbero portato al successo il movimento enologico italiano. Rammento come, insieme agli amici Ettore Falvo di Avignonesi, Piero Antinori e tanti altri, divenuti di lì a poco i guru dell’enologia nazionale, ci adoperavamo per promuovere le nostre aziende, la nostra terra e i nostri vini. Guardandoli mi rendevo conto di quanto sarebbe stato duro per un siciliano tenere il loro passo; alle spalle non avevo come loro né un terroir, né chi mi assisteva o mi promuoveva; sicuramente, mi dicevo, avrei dovuto triplicare l’impegno, ma la cosa mi sembrava molto difficile, visti gli enormi sforzi che stavo già compiendo.

ALTRI VINI PRODOTTI I Bianchi: Pietra Nera IGT (Zibibbo 100%) Grappoli del Grillo IGT (Grillo 100%) Sole e Vento IGT (Grillo 50%, Zibibbo 50%) I Rossi: Rosso di Marco IGT (Merlot 60%, Syrah 40%) Marsala Superiore Oro Vigna la Miccia (Grillo 100%)

100

Dopo aver abbandonato la mia famiglia, pensai di dedicarmi completamente alla piccola azienda di mia proprietà qui a Marsala, alla quale, dopo qualche anno, si aggiunse quella di Pantelleria; due piccoli appezzamenti di terra con due piccole cantine, sufficienti a soddisfare le mie esigenze e sulle quali potevo sperimentare il mio grande desiderio di ricercare la qualità assoluta nei vitigni autoctoni come il Grillo e lo Zibibbo. La scelta di Pantelleria non fu casuale, ma emotiva; infatti mi sono sempre sentito, per adozione e mentalità, vicino a quello scoglio e ho sempre considerato il vino Passito al pari del Marsala fra i più grandi vini siciliani. Nel tempo poi, il mio attaccamento a quell’isola è andato evolvendosi, fino a diventare vera e propria passione e sempre più mi ci esilio per ricercare quiete e serenità, ricusando quel mondo del vino siciliano che mi ha un po’ deluso, provando a essere più pantesco e meno siciliano. Ma proprio quando dovevo iniziare a raccogliere i frutti di quindici anni di lavoro, incominciarono le mie disavventure; proprio quando, ritrovandomi alla guida dell’Istituto della Vite e del Vino della mia regione, decisi, per il bene dei produttori siciliani, di percorrere una strada che non concedeva compromessi, non prevedeva una sudditanza politica dell’Istituto nei confronti di chicchessìa, né tanto meno un assistenzialismo incondizionato verso quella miriade di cantine sociali che erano state le artefici della limitata crescita enologica siciliana.



De Bartoli Così facendo si creò un solco preciso che, da una parte aiutava le imprese a innescare processi d’innalzamento qualitativo del prodotto, mentre dall’altra le supportava nella programmazione dei reimpianti stimolandole all’utilizzo di tutti quei vitigni autoctoni, possibilmente rossi, che nel 1993 erano quasi inesistenti sul territorio siciliano. Nei miei programmi doveva essere promosso tutto il sistema Sicilia tenendo conto della pluralità dell’offerta, così da dare la più ampia rappresentatività possibile al territorio siciliano nel mondo. Era il 1993 e per quel primo anno ricordo che al Vinitaly eravamo presenti, sì e no, con una trentina di aziende, le quali ruotavano intorno ai soliti nomi, mentre quando lasciai l’incarico, nel 1997, al Vinitaly le aziende presenti erano più di ottanta. In tutta la Sicilia, a quei tempi si produceva una grande quantità di vino, buono solo per il taglio o per la distillazione, e sembrava che quel concettuale approccio produttivo fosse immutabile; ricordo che allora, parlare di qualità significava isolamento e per molti non aveva valore constatare che attraverso la stessa qualità alcuni vini siciliani come il mio erano già inseriti nella cantina privata del Presidente della Repubblica Italiana. Poi non so cosa sia successo, forse qualche sgarbo fatto involontariamente, qualcosa interpretata male, ma da quando lasciai il mio incarico, per anni non ho fatto vita, trovandomi contro le istituzioni, la magistratura e gli stessi amici che spesso avevo aiutato. Fu forse proprio la conflittualità tra quantità e qualità, i due modi d’interpretare il mondo del vino in Sicilia, che mi condusse in tribunale con conseguenze anche pesanti per me. Tutto è passato e mi ritrovo oggi più rafforzato e fortificato da quelle vicissitudini, con una grinta maggiore e con la convinzione che la strada che avevo contribuito a tracciare più di vent’anni fa, quella della qualità assoluta, fosse l’unica perseguibile, almeno per le piccole aziende come la mia. Dopo aver subìto tutto questo, non è sufficiente dire di essere amareggiato, perché questo sarebbe un eufemismo; è meglio dire che sono proprio “incazzato” con questa Sicilia! Non importa, si va avanti, ieri come oggi, e se in alcuni momenti mi sono reso conto di quanto l’essere piccolo poteva essere un problema, oggi mi rendo conto che esserlo mi ha dato la forza di sopravvivere a tutto e a tutti, continuando a fare prodotti richiesti in ogni parte del mondo. Oggi ho i miei figli e spero che essi raccolgano i frutti di quella favola che spesso ho raccontato loro e sappiano essere più siciliani di quanto io mi senta oggi.


B ukkuram

Note Organolettiche Bellissimo colore giallo ambrato. L’esame olfattivo evidenzia una vasta gamma di profu-

Moscato Passito di Pantelleria DOC

Zona di Produzione

mi che spaziano dall’albicocca, alla frutta candita e al miele, fino ad arrivare a note balsamiche ed eteree. In bocca è complesso e vario, così come lo era stato al

Bukkuram è una selezione delle migliori uve di Moscato

naso; equilibrato, intenso ed elegante; molto persistente e

d’Alessandria provenienti dai vigneti di proprietà dell’azienda

veramente lungo il finale.

posti in contrada Bukkuram sull’isola di Pantelleria.

Tipologia dei Terreni

Prima Annata

I vigneti si trovano su terreni vulcanici dall’andamento pianeggiante ad un’altitudine media di 200 metri s.l.m. con esposizione a sud-ovest.

1984

Uve Impiegate

Le Migliori Annate

Moscato d’Alessandria (Zibibbo) 100%

1996 - 1999

Sistema d’Allevamento Alberello pantesco

Note Densità di Impianto 4500 ceppi per Ha

Il nome del vino deriva dall’omonima contrada che in arabo significa “padre della vigna”. Il vino raggiunge la maturità dopo 4-6 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 6 e i 10 anni.

Tecniche di Produzione Dopo la vendemmia, che avviene dal 5 al 12 agosto, le uve vengono distese al sole negli appositi canneti in prossimità dei muretti di pietra lavica. Questo “classico” appassimento si protrae fra i 20 e i 30 giorni, a seconda della stagione, dopo di che le uve vengono pressate e si avvia la fermentazione che avviene con il contatto del mosto con le bucce; la macerazione si protrae quasi fino a dicembre, per circa 90 giorni, alla temperatura di 20°C in recipienti di acciaio inox. L’invecchiamento del vino avviene in piccoli carati di rovere da 225 litri per almeno 2 anni, fino a dicembre, quando viene imbottigliato.

Quantità Prodotta

Isola di PANTELLERIA

6000 bottiglie l’anno 103


Vecchio Samperi Ventennale

Quantità Prodotta 10000 bottiglie l’anno

Bianco Secco Liquoroso

Note Organolettiche

Zona di Produzione

Vino che si dimostra subito di grande personali-

Vecchio Samperi Ventennale è una selezione delle migliori

tà fin dall’esame visivo, con un colore giallo

uve di Grillo e Inzolia provenienti dai vigneti di proprietà del-

ambrato intenso e luminoso; segue un profumo

l’azienda posti sul territorio del comune di Marsala, nell’area

complesso, etereo, con sentori di frutta secca, mandorla, canditi,

di produzione dell’omonima Doc.

note balsamiche ed erbacee. Al gusto risulta ben strutturato, sapido, di grande finezza; al retrogusto è molto lungo e persistente.

Tipologia dei Terreni

Prima Annata

I vigneti si trovano su terreni di medio impasto con buona presenza di sabbia e scheletro ad un’altitudine media di 150 metri s.l.m. con esposizione a sud-est.

1980

Uve Impiegate

Le Migliori Annate

Grillo 70%, Inzolia 30% Vino che esula dai classici parametri dei

Sistema d’Allevamento

Vintage, per cui diventa impossibile stabilirne le migliori annate.

Alberello e Guyot

Densità di Impianto 3500-4500 ceppi per Ha

Note Il nome del vino deriva dall’omonima contrada e “vecchio” sta per “invecchiato”. Grande plateau di maturazione, che può essere compreso fra i 20 e i 30 anni.

Tecniche di Produzione Dopo la vendemmia, che avviene a partire

L’ Azienda

dalla metà di settembre, si avvia la fermenta-

L’azienda, di proprietà di Marco De Bartoli dal 1978, si estende su

zione alcolica che si protrae per 25 giorni alla

una superficie complessiva di 20 Ha, di cui 16 vitati e 4 destinati

temperatura di 28°C in tini di castagno. Dopo circa 1 anno e

all’olivicoltura. Svolge le funzioni di agronomo e di enologo Marco

dopo diversi travasi, l’elevazione continua in vari altri legni di

De Bartoli coadiuvato dal figlio enologo Renato De Bartoli.

rovere, per tanti anni ancora, secondo il metodo di invecchiamento “Solera”. Si tratta quindi, a seconda delle botti, di una sapiente e graduale mescolanza di annate diverse, con passaggi di piccole percentuali di vino più giovane in fusti che contengono vini più vecchi, così da ottenere il “perpetuo”, cioè la continuità di anno in anno dello stesso vino con le stesse caratteristiche di invecchiamento e di persistenza aromatica. Circa il 10% dell’intera produzione viene imbottigliato.

104

MARSALA



D i Stefano e Grasso Alessio Grasso e Grazia Di Stefano Grazia - Quest’azienda fu acquistata da mio padre Enzo, quando io ero ancora bambina, più per la passione della caccia che per quella del vino; la passione del vino, se ricordo bene, la scoprì solo più avanti nel tempo, accorgendosi, forse, della grande vocazione vitivinicola che il territorio del Faro aveva. Lui si era innamorato di questa “contrada” Corso e per comprenderne il motivo basta salire quassù a 300 metri sul livello del mare e guardarsi intorno per capire il perché del suo grande attaccamento al Faro Superiore. Basta essere qui alle prime luci dell’alba quando gradualmente tutto s’illumina, oppure osservare di notte Messina, là sotto, o Reggio Calabria, di fronte, con in mezzo il blu del mare dello Stretto, oppure guardare a sinistra Cariddi e Scilla o dall’altra parte il mar Tirreno con le isole Eolie: non si poteva dargli torto quando ci accorgevamo in famiglia che per lui tutte le occasioni erano buone per venire qua e perdere un po’ la cognizione del tempo... Ricordo che piano piano, ricominciò a piantare delle viti e a fare del vino per casa e per qualche amico che considerava quel prodotto, non so se oggettivamente o benevolmente, in segno di affetto, buonissimo. Quando venne a mancarmi la sua presenza, mi trovai assalita da mille dubbi su cosa fare di questa terra. Le mie esperienze enologiche si limitavano al bere il vino di famiglia e nulla più e il mio rapporto con la campagna era stato sempre molto più bucolico che tecnico; non avevo idea di come e di quando si dovesse fare il vino, né tanto meno di come lo stesso si potesse commercializzare. L’incontro con Alessio Grasso fu decisivo per la risoluzione del mio dubbio: conservare questa proprietà di famiglia alla quale ero legata, oppure venderla, vista la sua posizione strategica. Certamente all’inizio non capivo niente di DOC, non comprendevo perché le cose fossero fatte in quel modo invece che in un altro, ma con il tempo anch’io mi sono appassionata a questo mondo e sto comprendendo le sfumature che Alessio adotta via via per far crescere questa nostra azienda, ma soprattutto sto apprezzando sempre più il vino che noi produciamo, con la sua complessità, i suoi profumi e la sua robustezza.

ALTRI VINI PRODOTTI I Bianchi: Feudo Solarìa Sullerìa Bianco IGT (Catarratto 40%, Inzolia 30%, Grillo 30%)

Feudo Solarìa Sullerìa Passito IGT (Malvasia 70%, Inzolia 30%)

106

Alessio - Io rappresento la quarta generazione della famiglia Grasso che si occupa di vino e posso assicurare che anche per me l’incontro con Grazia ha significato un ulteriore stimolo di crescita in questo settore che ho deciso di abbracciare dopo la laurea in Economia e Commercio. Questa era ed è una bella scommessa professionale che ho voluto affrontare coadiuvato dallo staff tecnico che collabora con la mia casa vinicola di Milazzo. Quando mi si presentò l’occasione di costituire una società finalizzata alla produzione di un vino che rientrasse nel territorio della DOC del Faro mi sentii immediatamente coinvolto e decisi di non lasciarmi sfuggire l’opportunità che mi era stata data, perseguendo con entusiasmo la strada della rivalutazione di questa DOC e di questa area vitivinicola che, a detta di tutti, aveva visto, in tempi non molto lontani, altri splendori. Avevo a disposizione una terra splendida, un’esposizione meravigliosa, ventilazione perfetta, escursioni termiche eccezionali, altitudine ideale e vitigni, come il Nerello Mascalese, tosti, impegnativi, ma al contempo generosi e longevi. Cosa potevo pretendere di più? Bastava che mettessi corret-



D i Stefano e Grasso tamente a frutto la mia esperienza ventennale e sicuramente avrei potuto fare solo un grande vino, anche se Grazia ed io sapevamo bene che questo avrebbe richiesto tempo e un forte sacrificio, almeno nella fase iniziale, così come è stato. Mi piaceva molto l’idea di lavorare sui vitigni autoctoni e studiare come i nuovi sesti d’impianto avrebbero contribuito a migliorare le performances di quelle viti, o quali risultati avrebbero conseguito quegli stessi uvaggi con l’utilizzo delle nuove tecniche di vinificazione e di maturazione. Quando mi trovo fra queste viti o fra quelle della Feudo Solaria a Rodì Milici, splendida area produttiva sulla costa tirrenica messinese, mi sembrano lontani anni luce i tempi in cui mio nonno Alessio o mio padre Carmelo facevano partire, un mese per Bordeaux e un mese per Genova, la motonave “La Lupa”, di nostra proprietà, carica di vino siciliano. Una spola continua per trasportare ettolitri ed ettolitri di vino al nord, vino neutro, ricco di alcol, ma insignificante, che serviva solo a dare corpo e colore a quegli anemici vitigni settentrionali, incidendo il meno possibile sulle componenti aromatiche di quei prodotti. La storia della mia famiglia è uguale a quella di molte famiglie siciliane che hanno alle spalle più di cento anni di storia enologica su questa isola: una piccola produzione propria e poi tante uve conferite da decine di piccoli produttori che non avevano né la forza, né la conoscenza del mercato. Questa è la Sicilia che sta cercando di scomparire e tutto questo appartiene al passato per molti che, come me, già da più di quindici anni hanno deciso di voltare pagina, hanno deciso d’impegnarsi su un’autogestione produttiva, così da poter seguire l’intera filiera e proporre vini di alta qualità. Non più quindi vini sfusi o vini anonimi, ma prodotti che facciano parlare della Sicilia, vini in grado di valorizzare questo territorio e le enormi tradizioni enologiche di cui è intriso. Ecco perché ho voluto realizzare un museo del vino a Milazzo, ecco perché voglio lavorare solo sui vitigni che appartengono alla storia di questa terra, ecco perché ho voluto fare un vino proprio qui in questa contrada “Corso” al Faro Superiore e a Rodì Milici in Contrada Sullerìa, perché sono sicuro che il futuro è nelle DOC e che esso va ricercato nella nostra storia, per far comprendere agli altri che la Sicilia è da sempre la Terra del vino.

108


Faro

Quantità Prodotta 10000 bottiglie l’anno

Rosso DOC

Note Organolettiche

Zona di Produzione

All’esame visivo si presenta di un colore

Faro è un vino ottenuto da un’attenta selezione di uve prove-

rosso rubino tendente al granato, mentre

nienti dai vigneti di proprietà dell’azienda posti nel comune di Messina, nell’area di produzione della Doc omonima.

all’esame olfattivo risulta complesso con suadenti note di mora e amarena unite a nuances di spezie e cacao. Al palato conferma piacevolmente le sensazioni avver-

Tipologia dei Terreni

tite al naso, con tannini dolci di grande personalità, mentre al retrogusto risulta piuttosto lungo e persistente.

I vigneti si trovano su terreni sabbiosi di media collina, ad un’altitudine di 300-350 metri s.l.m. con esposizione a nord-ovest.

Prima Annata

Uve Impiegate Nerello Mascalese 50%, Nerello Cappuccio 35%, Nero d’Avola

1999

8%, Nocera 7%

Sistema d’Allevamento

Le Migliori Annate

Cordone speronato 2000 - 2001

Densità di Impianto 6000 ceppi per Ha

Note Il vino prende il nome dalla zona di origine, che è “Faro

Tecniche di Produzione Dopo la vendemmia, che avviene di solito tra

Superiore”, che sovrasta lo Stretto di Messina all’altezza di Capo Peloro. Raggiunge la maturità dopo 4 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 4 e gli 8 anni.

la fine di settembre e l’inizio di ottobre, si avvia per i primi 3-4 giorni la fermentazione alcolica con una macerazione sulle bucce che presenta temperature che sfiorano i 43°C, così da agevolare un’estrazione enzimatica e una forte catalizzazione dei profumi; dopo aver liberato il mosto dalle fecce si prosegue la macerazione per altri 15 giorni, alla temperatura di 26-28°C in tini di acciaio inox. Terminata questa fase, al vino è fatta effettuare la fermenta-

MESSINA

zione malolattica sempre nei tini di acciaio inox, dopo di che la maturazione continua in barriques nuove di rovere francese di Allier per altri 12 mesi. Segue l’assemblaggio delle partite, poi il vino è messo in bottiglia per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 8 mesi. 109


Feudo Solarìa Sullerìa Rosso

Note Organolettiche Si presenta all’esame visivo di un bel colore rosso rubino, mentre al profumo risulta essere

IGT Sicilia

ampio e persistente con spiccate note di frutti di

Zona di Produzione Sullerìa Rosso è un blend delle migliori uve Sangiovese e Nero

bosco e sentori di spezie e vaniglia. Al gusto ritorna deciso il fruttato e il vino si conferma di grande spessore, corpo e finezza, ma allo stesso tempo armonico e con tannini di grande personalità.

d’Avola provenienti dai vigneti di proprietà dell’azienda posti in Contrada Sullerìa, nel comune di Rodì Milici.

Prima Annata

Tipologia dei Terreni

1999

I vigneti si trovano su terreni di media collina che hanno caratteristiche morfologiche di medio impasto tendente all’argilloso,

Le Migliori Annate

ad un’altitudine di 200 metri s.l.m. con esposizione a nord-ovest.

1999 - 2000

Uve Impiegate Sangiovese 70%, Nero d’Avola 30%

Note Il nome del vino deriva dalla crasi di “Sole” e “Aria”, indi-

Sistema d’Allevamento Alberello e spalliera a cordone speronato

Densità di Impianto 6000 ceppi per Ha

Tecniche di Produzione

cando appunto una caratteristica dell’omonima contrada. Raggiunge la maturità dopo 4-5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e gli 8 anni.

L’ Azienda Al centro del Golfo, chiuso da Milazzo da un lato e da Tindari dall’altro, si trova un declivio che sale verso l’entroterra: un tempo questo era Feudo Solarìa. Di questo grande territorio faceva parte Sullerìa, la

Dopo la vendemmia, che avviene di solito tra la

fertile contrada che tutt’oggi mantiene il suo nome e che ha saputo

fine di settembre e l’inizio di ottobre, si avvia

conservare le antiche coltivazioni a vigneto già note in epoca romana.

per i primi 3-4 giorni la fermentazione alcolica

La Casa Vinicola Grasso, fondata a Milazzo nel 1887 e dal 1984 di pro-

con una macerazione sulle bucce che presenta temperature che

prietà di Alessio Grasso, si estende su una superficie complessiva di

sfiorano i 43°C, così da agevolare un’estrazione enzimatica e una

20 Ha, a cui vanno aggiunti altri 20 Ha in affitto. Sia la Feudo Solarìa

forte catalizzazione dei profumi; dopo aver liberato il mosto dalle

che la Di Stefano e Grasso sono collegate alla Casa Vinicola Grasso in

fecce si prosegue la macerazione per altri 15 giorni, alla tempera-

ordine alla proprietà, alla logistica ed alla gestione tecnica che è affi-

tura di 26-28°C in tini di acciaio inox. Terminata questa fase, al

data a Leonardo Cannata per la parte agronomica e a Fabrizio Zardini

vino è fatta effettuare la fermentazione malolattica sempre nei

per quella enologica.

tini di acciaio inox, dopo di che la maturazione continua in barriques nuove di rovere francese di Allier per altri 12 mesi. Segue l’assemblaggio delle partite, poi il vino è messo in bottiglia per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 8 mesi.

Quantità Prodotta 15000 bottiglie l’anno 110

RODÌ MILICI



D onnafugata José Rallo La montagna incantata di Thomas Mann; mi colpì molto quel libro e in particolare una pagina che riguardava il tempo, che ricordo sempre molto volentieri e che pressappoco recitava così: “State attenti al tempo che passa veloce, perché in realtà è quello più lento, perché se voi fate qualcosa con passione mentre vi state divertendo o state realizzando i vostri sogni e vi sembra che il tempo vi scappi via, quando lo ricorderete avrete molte cose da ricordare e vi accorgerete che quel tempo è stato lunghissimo; state attenti invece al tempo che passa lento e che vi sembrerà che non passi mai, quando vi annoiate o quando non fate nulla, quel tempo vi sembrerà lunghissimo; in realtà quando lo ricorderete non avrete nulla da ricordare e sarà il tempo più vuoto e più breve che avrete vissuto”.

ALTRI VINI PRODOTTI I Bianchi: Vigna di Gabri Contessa Entellina DOC (Inzolia 100%) Chiarandà del Merlo Contessa Entellina DOC (Chardonnay 50%, Inzolia 50%) I Rossi: Angheli IGT (Nero d’Avola 50%, Merlot 50%)

112

Credo che questa lettura mi abbia influenzato molto nel corso della mia vita, perché in questi anni ho sempre cercato di mettere passione in tutto quello che faccio, così da divertirmi realizzando piccoli e grandi sogni. Tutto quanto per me è parte integrante della mia vita che cerco di vivere a pieno, in modo tale che lo sport che pratico, i viaggi che faccio, la mia famiglia, i miei bambini, il lavoro, me la rendano densa, pulsante come i ritmi della musica brasiliana che adoro. Da una parte i voli delle fantasie e dei sogni, dall’altra la sicura zavorra delle cose concrete. Un mix che mi spinge, ora verso il bisogno di certezze, ora verso la liberazione delle passioni: uno scontro costante fra l’emisfero razionale e quello irrazionale, tutti quanti pesi di una bilancia i cui piatti oscillano in continuazione nella ricerca costante dell’equilibrio perfetto fra e nelle cose che mi circondano. Credo di essere stata sempre in lotta con me stessa fin da quando, dopo la maturità classica, risolsi il problema di cosa avrei dovuto fare nel mio futuro trovando una soluzione fra i miei desideri e i miei bisogni. Da un lato necessitavo d’indipendenza, volevo lasciare Marsala così da poter vedere un altro mondo e avere altre esperienze, dall’altro lato, dietro la consapevolezza delle mie debolezze, avevo il desiderio di raggiungere un obiettivo professionale che fosse all’altezza delle mie grandi aspirazioni. Tutti elementi che mi condussero alla soluzione d’impegnarmi per vincere una borsa di studio che mi consentisse così d’andare via, lontano dalla Sicilia e dalla mia famiglia, frequentando un’università che avesse però regole ferree e rigide in modo tale da non distogliermi dal mio obiettivo professionale. Quell’università fu la Scuola Superiore S. Anna (Istituto parallelo alla Scuola Normale Superiore di Pisa) dove mi laureai in Economia e Commercio. Fu molto difficile entrare e superare l’esame d’ammissione, ma fu ancora più difficile rimanere: le regole erano rigidissime e poi la mia formazione classica all’inizio non mi aiutò molto, ricordo anzi che il primo anno fu molto duro. Quella scuola mi servì per tirare fuori il meglio di me; ero convinta, e lo sono tutt’ora, che ognuno di noi è pieno di talento e io avevo bisogno solo d’impegnarmi per cercarlo, cosicché potesse emergere naturalmente.



D onnafugata Fra l’università e alcune importanti esperienze lavorative ci vollero sette anni prima che prendessi la decisione di ritornare a Marsala, spinta più dall’amore verso mio marito (il quale non ne voleva sapere di lasciare la sua Sicilia), che dal desiderio di misurarmi come imprenditrice nell’azienda di famiglia che mio padre e mia madre stavano conducendo benissimo. Non so come mai quel nome di Donnafugata facesse pensare a un’azienda condotta al femminile, un’azienda che in molti ancora oggi identificano in Gabriella e José Rallo. Devo dire che non è proprio così; davanti a noi, infatti, c’è sempre stato mio padre Giacomo, che, oltre a contribuire in modo determinante allo sviluppo e ai risultati delle cantine, ha il grande merito di essere stato lungimirante nel saper valorizzare la donna in Sicilia, quando questa non era così considerata soprattutto nel mondo del lavoro, dando molto spazio alla dialettica, allo scambio culturale fra il mondo maschile e quello femminile, sostenendo che non c’è il mondo degli uomini e quello delle donne, non c’è un mondo migliore e uno peggiore: ci sono, se mai, delle diversità che con il dialogo e la comprensione producono solo positività. Del resto, il vivere accanto a una donna come mia madre, che negli anni Settanta, una volta ereditata la vigna di Contessa Entellina, si mise i pantaloni e andò nei campi con gli operai, cosa mai vista in Sicilia, stimolava certamente molto il dialogo fra i due “emisferi”. Quando entrai nel 1990, trovai un’azienda in fibrillazione e io cercai solo di migliorare quello che di buono era già stato avviato. Erano gli anni in cui si incominciava a parlare del vino siciliano, grazie anche all’interessamento di personaggi del calibro di Giacomo Tachis, e da allora si è visto fiorire un nuovo rinascimento enologico qui in Sicilia che coinvolge un po’ tutti: imprese, istituzioni e anche quel mercato interno che fino a poco tempo fa non amava il vino, visto che qui da noi il consumo pro-capite era il più basso tra tutte le regioni italiane. Oggi i siciliani hanno scoperto la qualità dei vini che vengono prodotti sul loro territorio e hanno incominciato a consumarli e ad apprezzarli sempre di più. Oggi ci sono più giovani che si avvicinano al vino, nascono nuove enoteche, wine-bar e sempre più ristoranti ed esercizi che si accostano al vino con una nuova cultura che, devo dire con orgoglio, abbiamo contribuito a costruire anche noi grazie alle nostre iniziative e al nostro impegno costante e continuo di promozione. Oggi, in Sicilia, vi sono sempre più imprese vitivinicole che, come Donnafugata, si impegnano per fare qualità, sia al loro interno, sia, attraverso quelle variabili che possono essere da loro gestite direttamente, anche al loro esterno, come nel caso del turismo del vino, ormai divenuto un fenomeno di massa che in alcuni periodi dell’anno regola il movimento di migliaia di persone. Per non disperdere quello che fin qui è stato fatto, oggi c’è bisogno che tutta la filiera imprenditoriale che interagisce con il sistema vino faccia un salto qualitativo importante, a partire dai trasporti, passando attraverso chi si occupa di grafica e di comunicazione, alla ricettività e alla ristorazione, per arrivare a chi ha in mano le redini della promozione istituzionale del territorio e a quelli che si occupano della formazione e dell’assistenza tecnica alle piccole aziende. Si deve arrivare a lavorare tutti in modo migliore, sapendo di poter contribuire, ognuno con le proprie capacità e le proprie risorse, alla crescita di una regione più imprenditoriale, forse più consona alle capacità e alle potenzialità che fin qui abbiamo dimostrato noi vignaioli di Sicilia.

114


Tancredi

Quantità Prodotta 80000 bottiglie l’anno

Contessa Entellina DOC

Note Organolettiche

Zona di Produzione

Il vino evidenzia un bel colore rosso rubino,

Tancredi è un blend delle migliori uve di Nero d’Avola e

mentre i profumi ricordano l’amarena, il mir-

Cabernet Sauvignon provenienti dai vigneti di proprietà dell’a-

tillo, la liquirizia e nuances di cacao. Al pala-

zienda posti nel comune di Contessa Entellina, nell’area di

to risulta complesso, ma armonioso, con tannini morbidi e in

produzione dell’omonima Doc.

equilibrio; al retrogusto è lungo e persistente.

Tipologia dei Terreni

Prima Annata

I vigneti si trovano su terreni di medio impasto ad un’altitudine di 350 metri s.l.m. con esposizione a sud-ovest.

1990

Uve Impiegate Nero d’Avola 70%, Cabernet Sauvignon 30%

Le Migliori Annate Sistema d’Allevamento

1990 - 1995 - 1997

Cordone speronato

1999 - 2000 - 2001

Densità di Impianto

Note

5000 ceppi per Ha

Il nome del vino rappresenta l’eleganza e l’ambizione “rivoluzionaria” del personaggio di Tancredi, che Alain Delon imper-

Tecniche di Produzione

sonò nel famoso film che Visconti trasse da “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. L’etichetta rimanda alle can-

Dopo la vendemmia, che avviene dalla fine di

tine di Contessa Entellina, ma le pone su una nuvola quasi

agosto ai primi di settembre per il Cabernet

fossero un miraggio. Il vino raggiunge la maturità dopo 3 anni

Sauvignon e nella prima decade di settembre

dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i

per il Nero d’Avola, si avvia la fermentazione alcolica che si

3 e i 6 anni.

protrae per 12 giorni alla temperatura di 26-30°C in tini di acciaio inox. Contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, dura anch’essa 12 giorni a temperatura controllata. Dopo aver svolto, sempre in tini di acciaio, la fermentazione malolattica, il vino passa in barriques di rovere francese, in gran parte nuove, dove

MARSALA

vi rimane per circa 14 mesi. Trascorso questo periodo viene imbottigliato per un ulteriore affinamento che dura circa 6 mesi.

115


Mille e una Notte

Quantità Prodotta 35000 bottiglie l’anno

Contessa Entellina DOC

Note Organolettiche

Zona di Produzione

Il vino ha un colore rosso rubino decisamente

Mille e una Notte è una selezione delle migliori uve di Nero

impenetrabile; al naso rivela profumi avvol-

d’Avola e delle varietà autoctone della zona provenienti dai

genti e complessi, che spaziano dalla frutta

vigneti di proprietà dell’azienda posti nel comune di Contessa

matura al floreale di viola, dalla vaniglia a note balsamiche e

Entellina, nell’area di produzione dell’omonima Doc.

sfumature di tabacco. Armonioso e avvolgente in bocca; di grande morbidezza e con tannini equilibrati; al retrogusto è

Tipologia dei Terreni

molto persistente.

I vigneti si trovano su terreni di medio impasto ad un’altitudine di 350 metri s.l.m. con esposizione a sud-ovest.

Prima Annata

Uve Impiegate

1995

Nero d’Avola 90%, altre varietà autoctone 10%

Sistema d’Allevamento

Le Migliori Annate

Cordone speronato 1997 - 1999 - 2000 - 2001

Densità di Impianto 5000 ceppi per Ha

Note Il palazzo illustrato in etichetta è quello dove si rifugiò la regi-

Tecniche di Produzione

na Maria Carolina in fuga da Napoli e fu la casa preferita dello scrittore Tomasi di Lampedusa a Santa Margherita Belice.

Dopo la vendemmia, che avviene i primi di

L’immagine è incastonata in un cielo da “Mille e una Notte”

settembre, e una soffice pressatura, si avvia la

pieno di stelle e di “promesse”. Il vino raggiunge la maturità

fermentazione alcolica del mosto che si pro-

dopo 4-5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è

trae per 12 giorni alla temperatura di 26-30°C in tini di acciaio

compreso fra i 5 e i 10 anni.

inox. Contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, dura anch’essa 12 giorni a temperatura controllata. Trascorso questo periodo e dopo qualche filtraggio, al vino viene fatta effettuare la fermentazione malolattica, sempre in tini di acciaio inox. Al termine di questo processo il vino passa per una lunga maturazione in barriques nuove di rovere francese, dove vi rimane per circa 24 mesi; segue poi l’imbottigliamento per un ulteriore affinamento di 12 mesi prima che il vino sia messo in commercio.

116

MARSALA


B en Ryé

Note Organolettiche Vino da meditazione dal colore ambrato brillante; intense le note iniziali di albicocca,

Passito di Pantelleria DOC

Zona di Produzione

pesca gialla e miele per arrivare poi, in un entusiasmante susseguirsi di profumi, a sentori di frutta secca, erbe aromatiche e note minerali. In bocca è complesso, così

Ben Ryé è una selezione delle migliori uve di Moscato

come lo era al naso, con grande equilibrio tra sapidità, dolcez-

d’Alessandria provenienti dai vigneti e posti in diverse località

za e freschezza. Molto lungo e persistente anche al retrogusto.

proprio nell’area di produzione della Doc Pantelleria.

Tipologia dei Terreni

Prima Annata

I vigneti si trovano su un suolo vulcanico, molto sciolto e ricco di minerali, ad un’altitudine di 300 metri s.l.m. con esposizio-

1989

ne a sud-est.

Uve Impiegate

Le Migliori Annate

Moscato d’Alessandria 100 % 1992 - 1999 - 2000 - 2001

Sistema d’Allevamento Alberello pantesco

Note Ben Ryé significa in arabo “figlio del vento”, in quanto il

Densità di Impianto 2500 ceppi per Ha

vento che soffia tra i grappoli è una costante a Pantelleria. Il vino raggiunge la maturità dopo 2-3 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 3 e i 10 anni.

Tecniche di Produzione

L’ Azienda

La vendemmia inizia dopo la metà di agosto.

L’azienda, di proprietà della famiglia Rallo, si estende su una

Il processo di appassimento naturale dura 3-4

superficie complessiva di 265 Ha. Gli ettari vitati di proprietà

settimane. In settembre viene prodotto del

sono 130 Ha a Contessa Entellina e 18 a Pantelleria; a questi

mosto da uva fresca molto matura al quale si aggiunge in fer-

sono da aggiungere altri 100 Ha in conduzione a Contessa

mentazione l’uva passa sgrappolata a mano. Dopo una setti-

Entellina e 17 a Pantelleria. Collaborano in azienda l’agrono-

mana di macerazione sulle bucce, l’uva passa viene pressata

mo Salvatore Giuffrida e gli enologi Antonio Rallo e Stefano

sofficemente. Il vino, raggiunto l’equilibrio alcool-zuccheri e la

Valla con la consulenza di Carlo Ferrini.

concentrazione aromatica voluti, viene raffreddato così da fermare la fermentazione. La maturazione avviene per 5 mesi in tini di acciaio, dopo di che il vino prosegue un affinamento in bottiglia che dura almeno 4 mesi.

Quantità Prodotta

Isola di PANTELLERIA

35000 bottiglie l’anno 117


D uca di Salaparuta, Corvo & Florio Carlo Casavecchia

ALTRI VINI PRODOTTI PER CORVO, DUCA DI SALAPARUTA I Bianchi: Bianca di Valguarnera IGT (Inzolia 100%) Kados IGT (Grillo 100%) PER CANTINE FLORIO I Bianchi: Grecale IGT (Zibibbo 100%) Marsala Terre Arse DOC (Grillo 100%) Marsala Targa Riserva 1840 DOC (Grillo 60%, Inzolia 40%)

118

Ero giovane, avevo appena 22 anni, quando la multinazionale per la quale lavoravo, la Cinzano, mi mandò in Sicilia, a Marsala, per risolvere alcuni problemi tecnici che insidiavano i vini delle storiche cantine Florio. In quel lontano 1984 non conoscevo minimamente la realtà enologica del trapanese, né tanto meno quella della Sicilia e ricordo che da questa fui positivamente impressionato, mentre rimasi deluso per le precarie situazioni in cui gravavano parti di quelle gloriose e storiche cantine di cui io avevo sempre sentito parlare. Purtroppo il passaggio dell’ultima guerra aveva lasciato il segno ed alcune costruzioni avevano subito ferite non più rimarginate. In quei tetti squarciati dai bombardamenti, in quelle botti bisognose di cure, in quel generale declino che regnava ovunque, vi erano tutti i segni della grande crisi d’immagine che da decenni aveva colpito il vino Marsala e tutte le imprese ad esso collegate. Con entusiasmo e con il benestare della famiglia Marone, azionista di maggioranza della Cinzano, portai avanti il mio progetto di ristrutturazione di quell’immenso patrimonio storico immobiliare; ricordo che per due anni, otto bottai lavorarono per rimettere in sesto le botti delle cantine, e diverse imprese si impegnarono per recuperare, quando fu possibile, ogni trave di legno e ogni muro “storico”, riuscendo a lasciare intatto quel grande fascino che è possibile ancora oggi percepire nelle cantine Florio, girando fra quelle tinaie che, dalla metà dell’Ottocento, qui, fanno bella mostra di se stesse. La grande fiducia concessami, la possibilità di poter agire liberamente nel recupero di quell’area di imprenditoria lungimirante, le potenzialità che offriva quella viticoltura che mi consentì, di lì a poco, di vinificare prodotti come Morsi di Luce e il Marsala Baglio, vini che riportarono la Florio a quel prestigio che le era dovuto, furono elementi che tutti insieme mi aiutarono a vivere quei sei anni in modo meraviglioso, tanto da segnare profondamente il mio rapporto con quest’isola, dove ho consolidato affetti e amicizie. Quando le cantine Florio furono vendute alla ILLVA di Saronno, ritornai in Piemonte, alla casa madre, continuando però a mantenere forti legami con questo territorio dal quale non mi sono mai allontanato troppo e sul quale sono tornato più che volentieri, chiamato questa volta dalla famiglia Reina, accettando questa mia personale scommessa professionale, che mi vede non solo impegnato come enologo, ma anche come direttore generale delle Case Vinicole Di Sicilia S.p.A. proprietaria dei marchi Duca di Salaparuta, Corvo e Florio. Devo affermare che quello che mi ha sempre affascinato di quest’isola è la sua complessità e il suo essere un’isola-continente; è la sua biodiversità che si respira ovunque; è quel suo modo variegato e splendido di proporsi; è il fascino della sua gastronomia che ti strega e che, a pochi chilometri di distanza, è capace di sorprenderti con unici e inebrianti sapori, di mare o di montagna. Personalmente ritengo l’isola estremamente interessante e “unica” sotto l’aspetto enologico, capace di racchiudere in sé potenzialità enormi, ma anche un alone pionieristico (tipo quello della “frontiera”, dei film western di hollywoodiana memoria), oltre il quale vi sono orizzonti ancora da scoprire, confini ancora da definire, prove da superare e sperimentazioni da fare. Sì, credo proprio che la Sicilia sia la nuova “frontiera” enologica italiana; siamo solo agli inizi e ciò che è già stato fatto, è sicuramente ben poca cosa rispetto a quello che qui è possibile ancora fare.



D uca di Salaparuta, Corvo & Florio Per il nostro settore questa terra è un banco di prova affascinante; è un laboratorio naturale unico e meravigliosamente stimolante, perché consente di potersi integrare nella storia passata e agire verso quella futura. Un territorio unico che consente, proprio grazie alle diversità pedoclimatiche che lo caratterizzano, la realizzazione, indifferentemente nel raggio di pochi chilometri, di grandiosi passiti e meravigliosi vini Marsala, di grandi bianchi e grandissimi rossi. Uno stupendo terroir che ha bisogno ancora di un approfondimento conoscitivo importante, capace sia di contribuire al miglioramento dell’esistente, sia di creare un distinguo fra vino e vino e fra zona e zona di produzione. Sempre più è necessario lavorare non solo su una conoscenza dei vitigni autoctoni, ma anche su una zonizzazione delle aree vitivinicole della Sicilia. Si potrebbe così determinare cosa piantare, al fine di caratterizzare la singola tipicità produttiva, più facilmente identificabile dal mercato, come ad esempio i vini dell’Etna, con il Nerello Mascalese, la zona di Pachino con il Nero d’Avola o il Grillo per il trapanese e lo Zibibbo o la Malvasia per alcune isole. Purtroppo vi sono ancora troppe aziende in Sicilia che si dedicano solo a fare del vino, mentre ve ne sono troppo poche che lo fanno cercando d’interpretare il loro terroir e la storia enologica alla quale appartengono. Credo che proprio qui, su questa specifica ma sottilissima differenza, si giochi il futuro enologico di questa regione. Non ha importanza se sarà necessario chiamarle DOC, IGT o altro, l’importante è che ogni zona contribuisca alla realizzazione di vini capaci di raccontare il territorio di provenienza. Sì, credo proprio che sulla “riconoscibilità” si debba giocare l’ulteriore salto qualitativo che il mercato si attende dalla Sicilia e che noi produttori siamo chiamati a fare nel prossimo decennio. Non è una scommessa da poco, ma bisogna provare a vincerla.

120


D uca Enrico

Note Organolettiche Il vino si presenta di un colore rosso rubino con riflessi granato e con un profumo com-

IGT Sicilia

plesso di frutti maturi che ricordano il ribes

Zona di Produzione

nero, la mora e l’amarena; si avvertono anche nuances di iris e spezie. Al gusto è possente, rotondo, di grande struttura e

Duca Enrico è una selezione delle migliori uve di Nero d’Avola

personalità, con sensazioni di legno ben fuse nell’insieme;

provenienti da 8 vigneti siti nel territorio più vocato dell’en-

molto lungo e persistente.

troterra del comune di Gela.

Tipologia dei Terreni

Prima Annata

I vigneti si trovano su terreni che hanno caratteristiche morfologiche con tessitura calcareo-argillosa, a un’altitudine com-

1984

presa tra i 100 e i 200 metri s.l.m. con esposizione a sud.

Uve Impiegate

Le Migliori Annate

Nero d’Avola 100% 1985 - 1990 - 1992 1999 - 2000

Sistema d’Allevamento Alberello

Note Densità di Impianto 5000-6000 ceppi per Ha

Il vino, che non è stato prodotto nelle annate 1989, 1991, 1994 e 1998, prende il nome da Enrico Alliata, Duca di Salaparuta e nipote di Giuseppe Alliata, fondatore dell’azienda. Raggiunge la maturità dopo 4-5 anni dalla vendemmia e il plateau di

Tecniche di Produzione

maturazione è compreso fra i 5 e i 10 anni.

Dopo la vendemmia, che avviene di solito alla fine di settembre, si avvia la fermentazione alcolica che si protrae fra gli 8 e i 10 giorni alla temperatura di 28-30°C in fermentini di acciaio inox, mentre contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di follatura, dura anch’essa 8-10 giorni. Terminata questa fase, il vino effettua la fermentazione malolattica in vasche di cemento e solo successivamente è posto in barriques di rovere, dove vi rimane almeno 18 mesi. Trascorso questo periodo è imbottigliato per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 18 mesi.

CASTELDACCIA

Quantità Prodotta 60000 bottiglie l’anno 121


Triskelè

Quantità Prodotta 65000 bottiglie l’anno

IGT Sicilia

Note Organolettiche

Zona di Produzione

Di colore rosso rubino profondo, il vino rivela al naso

Triskelè è un blend di uve di Nero d’Avola, Cabernet

profumi netti di mora, marasca, vaniglia, con piace-

Sauvignon e Merlot provenienti da vigneti posti su terreni di

voli note minerali. Sapore caldo, vellutato, di ottima

vari comuni della Sicilia Sud Orientale.

struttura e persistenza aromatica. Avvolgente e notevole il finale.

Tipologia dei Terreni

Prima Annata

I vigneti si trovano su terreni che hanno una composizione mista calcareo-silicea a un’altitudine di 200-250 metri s.l.m. con un’esposizione sud / sud-ovest.

1998

Uve Impiegate

Le Migliori Annate

Nero d’Avola 80%, Cabernet Sauvignon 10%, Merlot 10%

2000 - 2001

Sistema d’Allevamento Cordone speronato e Alberello

Note Densità di Impianto 4500-5000 ceppi per Ha

In greco antico il nome del vino evoca la testa di donna a tre gambe, simbolo della Sicilia. Raggiunge la maturità dopo 4 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 4 e gli 8 anni.

Tecniche di Produzione

L’ Azienda

Dopo la vendemmia, che avviene da metà set-

La Duca di Salaparuta, azienda fondata nel 1824 da Giuseppe

tembre a metà ottobre secondo le varietà, si

Alliata, Duca di Salaparuta, nel gennaio 2003 si è fusa con le

avvia la fermentazione alcolica che si protrae

Cantine Florio dando origine a Case Vinicole di Sicilia S.p.A.

fra gli 8 e i 12 giorni alla temperatura di 28-30°C in fermenti-

La direzione tecnica è affidata a Carlo Casavecchia.

ni di acciaio inox.

Collaborano in azienda l’agronomo Francesco Pizzo e gli eno-

Contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce

logi Giovanni Di Giovanna e Francesco Miceli.

che, coadiuvata da tecniche di follatura, dura 12 giorni a temperatura controllata. Terminata questa fase, al vino è fatta effettuare la fermentazione malolattica in vasche di cemento e dopo l’assemblaggio delle partite è posto in barriques di rovere, dove vi rimane 10-12 mesi. Trascorso questo periodo viene imbottigliato per un ulteriore affinamento che prosegue in cantina per altri 10-12 mesi.

122

CASTELDACCIA





Morsi di Luce

Note Organolettiche Si presenta all’aspetto visivo con un colore giallo dorato brillante. Al naso è intenso e

Bianco Dolce Liquoroso

Zona di Produzione Morsi di Luce è un’attenta selezione delle uve provenienti da

armonico e ricorda sfumature di albicocca, frutta candita, fiori d’arancio, sambuco, miele e nocciole tostate. Di sapore pieno, morbido e vellutato, esprime in bocca anche un piacevole fondo di vaniglia e legno dolce.

vigneti situati nell’isola di Pantelleria, nella zona di produzione della Doc omonima.

Prima Annata

Tipologia dei Terreni I vigneti si trovano su terreni che hanno caratteristiche morfologi-

1988

che di origine vulcanica, ricchi di macro e micro elementi, ad un’altitudine compresa tra i 50 e i 100 metri s.l.m. con esposizione a sud.

Le Migliori Annate

Uve Impiegate Moscato di Alessandria (Zibibbo) 100%

1989 - 1990 - 1997 - 2000

Sistema d’Allevamento

Note

Alberello pantesco

Morsi di Luce si può considerare un nome di fantasia. Il vino, che non è stato prodotto nelle annate 1991, 1993, 1994 e 1996,

Densità di Impianto

raggiunge la maturità dopo 5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 10 anni.

4500 ceppi per Ha

Tecniche di Produzione Dopo la vendemmia, che avviene da metà settembre a metà ottobre, si avvia la fermentazione alcolica che si protrae per circa 5 giorni alla temperatura di 18°C in serbatoi di acciaio inox termo-condizionati con l’impiego di lieviti a “ceppo aromatico”. Raggiunta la gradazione alcolica di 5-6° e un residuo zuccherino del 13%, si addiziona distillato di vino per bloccare il processo fermentativo e raggiungere i 16° alcolici. Dopo una sosta di circa 3 mesi in acciaio inox per l’amalgamazione, il vino è posto per 10 mesi in barriques nuove di rovere francese per la maturazione, a cui fa seguito un affinamento in bottiglia di altri 8 mesi.

Quantità Prodotta 30000 bottiglie l’anno 126

Isola di PANTELLERIA


M arsala Baglio Florio

Note Organolettiche Il vino si presenta di un colore oro antico con riflessi brillanti; al profumo è intenso ed ete-

Marsala Vergine Oro DOC

Zona di Produzione

reo, di grande finezza, con note fini di frutta candita e accenni di vaniglia, miele e nocciola tostata. Al gusto risulta secco e morbido con sentori di liquirizia e man-

Si tratta di un’attenta selezione delle uve Grillo provenienti da vigne-

dorla; elegante, morbido e avvolgente, al retrogusto è decisa-

ti che si trovano in Contrada Birgi e Spagnola, sul territorio del comu-

mente lungo e persistente.

ne di Marsala, nella zona storica di produzione dell’omonima Doc.

Prima Annata

Tipologia dei Terreni I vigneti si trovano su terreni duri, compatti, di origine silicio-

1979

calcarea e argilloso-calcarea sferzati da venti caldi e dalla salsedine a un’altitudine compresa tra i 50 e i 100 metri s.l.m. con esposizione a sud-ovest.

Le Migliori Annate Uve Impiegate

1979 - 1986 - 1989 - 1990

Grillo 100%

Sistema d’Allevamento Alberello marsalese

Note Il vino, che prende il nome dall’espressione dialettale che indicava le costruzioni agricole cinte da mura in cui si svolgevano le

Densità di Impianto 5000 ceppi per Ha

operazioni di ammostatura e di fermentazione, e che non è stato prodotto nelle annate 1980, 1981 e 1984, raggiunge la maturità dopo 15-20 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione risulta praticamente indeterminabile vista la sua longevità.

Tecniche di Produzione Dopo la vendemmia, che avviene di solito

L’ Azienda

nella prima decade di ottobre, si avvia la fer-

Le cantine Florio, fondate nel 1833 da Vincenzo Florio, già di

mentazione alcolica che si protrae per 20 giorni

proprietà della ILLVA di Saronno, nel gennaio 2003 si sono

alla temperatura di 18-19°C in recipienti di acciaio inox.

fuse con la Duca di Salaparuta dando origine a Case Vinicole

Terminata questa prima fase verso gennaio-febbraio, si procede

di Sicilia S.p.A. La direzione tecnica è affidata a Carlo

all’alcolizzazione del vino con l’aggiunta allo stesso di alcool di

Casavecchia. Collaborano in azienda l’agronomo Francesco

vino, per preservarlo e permetterne l’evoluzione ossidativa.

Pizzo e l’enologo Marco Rabino.

Subito dopo si avvia il vino alla lunga maturazione che dura almeno 12 anni, prima in botti di rovere della capacità di 1800 lt., poi in piccoli carati in rovere da circa 200 lt. Terminata questa lunga maturazione si assemblano le partite e dopo circa 3 mesi si procede all’affinamento in bottiglia che si protrae per altri 3 mesi.

MARSALA

Quantità Prodotta 12000 bottiglie l’anno 127


Fazio Wines Vincenzo e Roberta Fazio La passione per la coltivazione della vigna e per la produzione di vino mi è stata trasmessa da mio padre Rocco, al quale a sua volta era stata trasferita, o sarebbe meglio dire imposta, da suo padre Francesco Paolo, che aveva deciso, in piena autonomia, di indirizzare otto figli verso gli studi universitari, impegnandosi e sacrificandosi per farli laureare tutti quanti, e riservando invece per il nono figlio, mio padre appunto, le attenzioni necessarie per trasferirgli l’esperienza, la professionalità e la passione per il suo lavoro di viticoltore. Rispetto ad oggi quelli erano tempi molto diversi; erano momenti in cui si pensava a far rendere al massimo la vigna, dando spazio quasi esclusivamente alla produzione di uve, come il Grillo, destinate alla produzione del Marsala. L’esperienza orale che i padri tramandavano era la sola cosa che indirizzava il lavoro nei campi dei figli; vi era poca creatività imprenditoriale e la viticoltura era intesa come strumento di sopravvivenza più che come mezzo di crescita culturale e sociale.

ALTRI VINI PRODOTTI I Bianchi: Müller Thurgau IGT (Müller Thurgau 100%) Sauvignon IGT (Sauvignon 100%) I Rossi: Cabernet Sauvignon IGT (Cabernet Sauvignon 100%) Merlot IGT (Merlot 100%)

128

Mio padre era uomo integerrimo, autoritario e qualche volta anche un po’ severo; allo stesso tempo, però, era molto curioso e sempre alla ricerca di spiegazioni sul come e sul perché alcune tipologie di uva avessero una diversa resa o come le stesse, poste su terreni diversi, arrivassero a dare differenti tipologie di vini. Quanto la conoscenza del sistema pedoclimatico influisse sulla produzione e sulla qualità, certamente Rocco ne intuiva l’importanza, ma non ne comprendeva il valore. Fra le cose cui teneva di più c’era, senza dubbio, il desiderio di trasferirci le sue conoscenze e per raggiungere questo obiettivo anche noi, secondo lui, dovevamo ricalcare l’excursus di esperienze che gli aveva consentito di mantenere, integre nel tempo, le proprietà di famiglia a dispetto di tutte quelle crisi che il mondo del vino siciliano aveva attraversato dal dopoguerra fino agli anni Ottanta e oltre. Quindi, credendo di far cosa saggia, ci costringeva, quando non andavamo a scuola, ad alzarci alle quattro del mattino, giacché lui tutti i giorni dell’anno si alzava a quell’ora. Ci svegliava per andare con lui con l’intento di farci comprendere cosa fosse la fatica e il sacrificio e quello che comportava curare bene la vigna per produrre un buon vino. Erano veramente duri quei burberi risvegli, ma dopo qualche tempo tutto questo incominciò a piacermi: era suggestiva quell’atmosfera che si respirava nella vigna al sorgere del sole, era splendida quella campagna avvolta nella quiete più assoluta e quell’aria fresca del mattino contribuiva a rendere il lavoro più appassionante e meno gravoso. Piano piano incominciai ad apprezzare quei tenui chiarori, il cinguettìo degli uccelli e il profumo della terra, che diventava “grandioso” durante la vendemmia: ogni giorno era come tuffarsi nella natura che forniva delle emozionanti immagini di sé. Furono sicuramente quelle immersioni mattutine nelle vigne che mi spinsero a iscrivermi alla facoltà di Agraria. Papà Rocco aveva avuto ancora una volta ragione, lui sapeva che quelle alzatacce avrebbero contribuito, senza che io me ne accorgessi, a stimolare in me la passione per la terra e



Fazio Wines per il vino, un amore indelebile, forse più grande di quanto lui stesso potesse immaginare. Mi piaceva quel mondo semplice e al contempo creativo, mi affascinava tutto quello che riguardava la viticoltura, il vino e il mondo dell’enologia che aveva dato vita a quei vini di cui incominciavo a sentir parlare. Furono i trenta ettari di nostra proprietà il mio “campo prova”; fu su quelle vigne che sperimentai le nozioni scolastiche, con risultati devo dire incoraggianti, comprendendo fin dai primi anni che la scelta di produrre vino per altre cantine che lo commercializzavano con i loro marchi non ripagava. A tutto ciò dovevo dire basta, dovevo prendere coraggio e sciogliere il pauroso nodo del mercato misurandomi con lo stesso attraverso quei prodotti che avevano già riscontrato, con altre etichette, il suo consenso e facendo sì che il loro rapporto qualità-prezzo, fosse l’arma vincente. Non era facile, per uno che come me era cresciuto alla scuola di Rocco; sapevo che per riuscire dovevo liberarmi, almeno un po’, di quella fierezza sfacciata e di quella presunzione poco costruttiva che contraddistingue noi siciliani. Forme caratteriali che sono state sempre un freno alla crescita della Sicilia e che come delle grandi zavorre non hanno consentito lo sviluppo di questa terra. Difetti che avevano indotto generazioni, come quella di papà Rocco, a non confrontarsi con il mercato, forse per paura o forse per il solo timore del cambiamento che avrebbe portato chissà quali conseguenze; a quei tempi era meglio non sapere quanto si potesse valere! “Ca ci pinsassiru l’avutri o mircatu, megghiu cuntintarisi, ca lamentarisi” (“Che ci pensassero gli altri al mercato, meglio contentarsi, che lamentarsi”). “Nichi sì, ma... chi n’interessa?” (“Piccoli sì, ma... che c’importa...!?”). Decisi, e in questo mio viaggio mi seguì teneramente mia moglie Roberta; convinsi inoltre mio fratello Mimmo con mia cognata Lilly che, insieme al mio amico enologo Giacomo Ansaldi, supportarono validamente il mio progetto. Insieme con loro in questi ultimi dieci anni ne ho fatta di strada, pur non sapendo ancora se, alla lunga, questa nostra politica produttiva ci ripagherà dei grandi sforzi fin qui compiuti. Di sicuro so che oggi quei trenta ettari di proprietà, lasciatici da Rocco, sono divenuti più di ottanta, ai quali vanno aggiunti altri cinquecento ettari sul territorio circostante che controlliamo direttamente attraverso un lavoro scrupoloso e professionale. Sono numeri che danno un segno tangibile della nostra crescita e delle nostre dimensioni produttive e che rispecchiano non poco il modo d’interpretare la viticoltura qui nel trapanese. Sappiamo benissimo che questo è solo l’inizio, ma vogliamo anche che la nostra storia sia scritta insieme con tutti quei vignaioli, oltre 80, che hanno creduto nel nostro progetto e che oggi ci sono accanto. Lavorare su una terra generosa ci aiuta molto ed è per questo che abbiamo deciso di ripagarla impegnandoci nell’innalzare sempre più il livello qualitativo del nostro trend produttivo, affinché si possa dire, questa volta con costruttivo orgoglio, che in Sicilia vi sono dei buoni vini, ma anche dei buoni vignaioli.

130


Pietra Sacra IGT Sicilia

per altri 12 mesi, prima di essere imbottigliato per un ulteriore affinamento di altri 9 mesi.

Quantità Prodotta

Zona di Produzione

10000 bottiglie l’anno

Pietra Sacra è un blend delle uve di Cabernet Sauvignon, Nero d’Avola e Merlot provenienti dai vigneti posti in contrada

Note Organolettiche

Torretta e Contrada Canalotti, inseriti anch’essi nelle proprie-

Vino dal colore rosso rubino intenso con leg-

tà dell’azienda sul territorio del comune di Erice.

geri riflessi aranciati; al naso emana sentori di frutti di bosco a bacca rossa e note di tabacco,

Tipologia dei Terreni I vigneti si trovano su terreni che hanno caratteristiche morfo-

liquirizia, caffè tostato; complesso anche in bocca dove si percepisce nettamente tutto ciò che abbiamo già avvertito durante l’esame olfattivo; al retrogusto è molto lungo e persistente.

logiche con tessitura bruno-calcarea con presenza di scheletro a un’altitudine di 280 metri s.l.m. e un’esposizione a sud-est.

Prima Annata

Uve Impiegate Cabernet Sauvignon 60%, Nero d’Avola 30%, Merlot 10%

1998

Sistema d’Allevamento

Le Migliori Annate

Controspalliera

1999 - 2000 - 2002

Densità di Impianto 4500-5000 ceppi per Ha

Note Tecniche di Produzione

Il vino rappresenta la Pietra Miliare dell’azienda; il nome e l’immagine raffigurati in etichetta sono tratti dalla prima pietra,

Dopo la vendemmia, che avviene di solito per

posta nel 1300 a.C. nel gradino di fondazione della Cattedrale di

quasi tutti gli uvaggi a partire dalla seconda metà

Erice: la più antica Chiesa Matrice, che, dall’alto del suo monte,

del mese di settembre, si avvia separatamente la

domina il territorio dove si trovano i vigneti. Il vino raggiunge

fermentazione alcolica dei vari mosti che si protrae, a seconda degli

la maturità dopo 5 anni dalla vendemmia e il plateau di matu-

stessi, fra i 10 e i 12 giorni alla temperatura controllata di 28°C in

razione dovrebbe essere compreso fra i 5 e i gli 8 anni.

recipienti di acciaio inox. Contemporaneamente si procede anche alla macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, si protrae per il Cabernet per 13 giorni, per il Nero d’Avola per 10 giorni e per il Merlot per 10 giorni, comunque sempre a temperatura controllata. Terminata questa fase, i vari vini svol-

FULGATORE

gono la fermentazione malolattica in barriques di rovere di Allier e Tronçais nuove, dove vi rimangono per 12 mesi separatamente. Trascorso questo periodo viene effettuato l’assemblaggio delle migliori partite, quindi il vino è nuovamente riposto nelle barriques 131


Ky Moscato Passito

Note Organolettiche Di colore giallo oro con riflessi ambrati, il vino presenta al naso profumi ampi ed ele-

IGT Sicilia

ganti di agrumi canditi, pesca e albicocca; in

Zona di Produzione

bocca è complesso, pieno e avvolgente, con sapori netti di frutta matura, miele e fiori bianchi. Finale lungo ed equilibrato.

Ky è un’attenta selezione delle migliori uve di Moscato provenienti dalle più vocate tenute viticole della Sicilia che conferiscono le loro uve alla Fazio Wines.

Prima Annata

Tipologia dei Terreni

2000

I vigneti si trovano su terreni che hanno molteplici caratteristiche morfologiche, la principale delle quali risulta essere la marna calcarea. Le altitudini oscillano fra i 150 e i 250 metri

Le Migliori Annate

s.l.m. con diverse esposizioni.

2001

Uve Impiegate Moscato 100%

Note Sistema d’Allevamento Controspalliera

Ky in arabo significa “Isola”, come la terra da cui questo prodotto trae la sua origine più autentica. Il vino raggiunge la maturità dopo 3-4 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione dovrebbe essere compreso fra i 4 e gli 8 anni.

Densità di Impianto 4500 ceppi per Ha

L’ Azienda L’azienda Fazio Wines è di proprietà della famiglia Fazio dal

Tecniche di Produzione Dopo la vendemmia, che avviene di solito

1998. Gli ettari vitati di proprietà sono 80 Ha a cui si aggiungono altri 520 ettari in affitto. Collabora in azienda l’enologo Giuseppe Clementi.

nella seconda decade di ottobre, si avvia la fermentazione alcolica che si protrae per 30 giorni a temperatura controllata in recipienti di acciaio inox. Contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce che si protrae anch’essa per 30 giorni a temperature controllate. Successivamente il vino è posto in barriques di rovere, in gran parte nuove, dove vi rimane per 2 mesi per la maturazione. Trascorso questo periodo è imbottigliato per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 12 mesi.

Quantità Prodotta 12000 bottiglie l’anno 132

FULGATORE



Fenech Francesco Fenech Quando Francesco Calogero mi chiamò per girare un lungometraggio sulla mia vita, rimasi un po’ perplesso non capendo a chi potesse interessare la mia incredibile storia. Cinque giorni di tempesta; così fu chiamato quel lavoro cinematografico, girato in un modo un po’ troppo romanzato per i miei gusti, ma che, invece, ad altri è piaciuto molto. Un film che raccontava la mia vita, incominciata proprio con il fragore della tempesta di una grande passione giovanile che mi travolse e mi spinse quasi a lasciare l’isola di Salina per rincorrere chissà quale destino in Australia. Si chiamava Lucy, quella bella figghia che non ho più rivisto. Non fu quella la sola mareggiata che mi colpì; a quel turbolento e dolce incontro seguirono altri giorni di tempesta, come quelli trascorsi con mio padre che non capiva il motivo che mi spingeva ad andare via da Salina. Si arrovellava domandandosi come poteva abbandonarlo, l’unico suo figlio che aveva cresciuto con molti sacrifici dopo la morte della mamma, avvenuta quando aveva appena sette anni, un figlio per il quale aveva rinunciato anche all’opportunità di rifarsi una vita. Sapevo che non potevo abbandonarlo e sparire nel nulla, lasciandolo nell’oblìo dei ricordi. Nella mia decisione di rimanere giocarono un ruolo importante non solo i miei rimorsi di coscienza, ma anche la storia della mia famiglia, che apparteneva a quest’isola da più di trecento anni e che aveva visto alternarsi qui bottai e vignaioli. Con quale coraggio avrei potuto abbandonare tutto? Mi diceva: “Te ne accorgerai: uno nasce isolano e muore isolano, questa è la natura delle cose e tu non puoi metterti a cambiarle! A tutto questo non puoi sottrarti”. Dopo la sua morte mi resi conto di quanto fossero vere quelle parole e quanto per me sia tutt’oggi importante il sentirmi isolano. Con la sua scomparsa, compresi inoltre come il nostro rapporto d’amore fosse radicato e profondo più di quanto pensassimo e che quelle nostre discussioni, quelle infuocate litigate non fossero altro che il suo bisogno di padre di lasciare un segno indelebile del suo passaggio.

ALTRI VINI PRODOTTI I Bianchi: Bianco di Fenech IGT (Catarratto 50%, Inzolia 50%)

134

Isolano dell’Isola, così mi sento. Ritengo di essere stato impastato direttamente con la terra, con gli scogli, con l’azzurro del mare e il verde delle viti. Un impasto lavorato finemente che non ha grumi e che mi ha fatto diventare un tutt'uno con quest’isola. Un isolano che respira con i ritmi delle stagioni che qui si susseguono silenziose e miti. Con il passare degli anni ho scoperto quanto, sempre più, questo scoglio mi sia entrato dentro e di come io ne sia arrivato a farne parte. È così che un giorno scopri di essere l’humus vitale di questa terra, di essere parte della stessa terra che zappi, come sei parte della stessa Malvasia che raccogli o dello stesso



Fenech cappero che sali; qui ti senti in armonia con le cose che ti circondano e contemporaneamente ti senti d’essere parte integrante di quell’equilibrio che tu stesso hai creato. Per me la mia isola è tutto, la sua gente è la mia gente e il mio posto è qui. La Sicilia è Milazzo... ed è un’altra cosa, è lontana; lì hanno un modo loro di vedere le cose e di raccontarle, e se qualcuno pensa che la Sicilia sia complessa è bene che sappia che la mia isola lo è ancora di più. Qui l’aria è buona e il silenzio un piacevole compagno. Se domandate in giro, qui tutti sanno chi sono, chi è Fenech, fuori di qua no. Lontano da questo scoglio non riesco a identificarmi, questa è una realtà che riesco a gestire e ad affrontare, di cui sono amico. Quest’isola è come una donna di cui sei innamorato e della quale, appena t’allontani, senti forte la mancanza e fremi dal desiderio di volerla riabbracciare. Per me è difficile far comprendere agli altri questi sentimenti, non posseggo quella terminologia e quelle proprietà linguistiche tali da consentirmi di sciorinare emozioni e passioni: sono solo un vignaiolo di una piccola isola. Chi non è “isolano dell’isola” difficilmente comprende cosa si prova ad annusare la terra, a sentire nelle narici l’odore del mare che ti entra dentro e ti apre come una conchiglia. È difficile far comprendere a chi non vive l’inverno su questo scoglio come qui il tempo abbia un altro significato, come le avversità e le complessità delle cose più semplici, che quotidianamente sei chiamato ad assolvere, ti facciano apprezzare il semplice volo di un gabbiano, un’alba, il fiore di un cappero che sboccia o il piacere di stappare una bottiglia di Malvasia in compagnia di qualche amico che è venuto a trovarti. In certe notti, quando controllo che l’uva posta nei graticci ad appassire non sia bagnata da troppa umidità, mi lascio avvolgere dalla coperta di stelle che sono sopra di me e mi lascio riscaldare dai ricordi dei miei figli e di mia moglie e da quelli di mio padre, ricordi che mi fanno una grande compagnia. Dopo un po’, però, mi rendo conto che io non ho troppo tempo per sognare; qui su quest’isola sono solo e so che la mattina dopo mi dovrò impegnare molto per realizzare i miei progetti e per continuare la tradizione di famiglia, quindi chiudo gli occhi e dormo e mentre nel sonno mi agito, sogno che i miei giorni di tempesta presto finiranno.

136


Malvasia delle Lipari Passito Malvasia delle Lipari DOC

Zona di Produzione

gno successivo alla vendemmia, quando viene messo in bottiglia per un ulteriore affinamento che prosegue per almeno 12 mesi.

Quantità Prodotta 10000 bottiglie l’anno

La Malvasia delle Lipari Passito è un’attenta selezione delle migliori uve provenienti dai vigneti posti nel comune di Malfa,

Note Organolettiche

sull’isola di Salina, nell’arcipelago delle isole Eolie, nell’area di

Il vino si presenta di un colore giallo dorato

produzione della Malvasia delle Lipari Doc.

tendente all’ambrato; il profumo è intenso e persistente, con note di frutta gialla matura e

Tipologia dei Terreni I vigneti si trovano su terreni di origine vulcanica ad un’altitu-

altre che ricordano le erbe aromatiche. Al gusto risulta elegante, morbido, avvolgente e gradevolmente aromatico.

dine compresa tra i 100 e i 500 metri s.l.m. con diverse esposi-

Prima Annata

zioni che variano dal nord, all’ovest, al sud-ovest.

1996

Uve Impiegate Malvasia delle Lipari, 95%, Corinto Nero 5%

Le Migliori Annate

Sistema d’Allevamento Guyot

1996 - 1999 - 2002

Densità di Impianto

Note

8000 ceppi per Ha

Il vino raggiunge la maturità dopo 3 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 4 e i 6 anni.

Tecniche di Produzione Dopo la vendemmia, che avviene di solito dal 15

L’ Azienda

al 20 settembre, le uve vengono poste ad essic-

L’azienda, di proprietà di Francesco Fenech dal 1996, ha 3 etta-

care sui tradizionali graticci per almeno 15 gior-

ri vitati di proprietà a cui si aggiungono altri 2 ettari in affitto.

ni, dopo di che si procede ad una loro spremitura dura, effettuata

Collabora in azienda l’agronomo Paolo Valentini, mentre il set-

con una pressa a dischi. Il mosto raccolto, introdotto nei tini di

tore enologico è curato direttamente da Francesco Fenech.

acciaio inox, viene fatto immediatamente decantare ad una temperatura di 6°C. Una volta tolte le fecce, si fa partire la fermentazione alcolica che si protrae per una ventina di giorni alla temperatura di 27°C, e prosegue anche oltre, fino a che il grado zucche-

SALINA

rino non scende dai 26-30° iniziali delle uve ai 7-8° finali del vino, alternando via via bloccaggi calcolati e ripartenze della stessa fermentazione con l’ausilio sempre delle basse temperature. Da settembre fino a novembre, di solito il vino subisce dai 3 ai 4 filtraggi, dopo di che una parte viene inserita, fino a febbraio dell’anno successivo, in barriques di castagno. Terminata questa fase e dopo l’assemblaggio delle partite, il vino rimane a riposare fino al giu137


138



Feotto dello Jato Nicola Colombo e Calogero Todaro

ALTRI VINI PRODOTTI I Bianchi: Iris IGT (Catarratto 60%, Grecanico 40%) I Rossi: Fegotto IGT (Nero d’Avola 100%) Terra di Giulia IGT (Nero d’Avola 50%, Syrah 25%, Merlot 25%) Zabbya (Catarratto Vendemmia tardiva 100%)

140

Da diverso tempo si ragionava con Salvatore Sacco sull’opportunità di costruire una cantina come Dio comanda qui a San Giuseppe Jato. La zona era ricca d’acqua e quindi adatta all’agricoltura, i terreni fertili e l’altitudine giusta, l’esposizione di tutta la vallata che si estende verso sud-ovest era ottimale, con una giusta ventilazione e con delle escursioni termiche molto elevate fra il giorno e la notte. Tutto sembrava confermare le nostre ipotesi, che apparivano, ogni giorno di più, sempre meno azzardate. Del resto la viticoltura qui a San Giuseppe Jato era stata sempre praticata, e nel tempo erano sorte delle realtà interessanti, tutte orientate alla produzione di uve di alta qualità, a cui s’interessavano, già a partire dalla fine degli anni Ottanta, molte di quelle aziende vitivinicole che andavano e vanno per la maggiore qui in Sicilia. Quelle nostre lunghe chiacchierate si concludevano sempre con delle grandi aspettative e a ognuno di noi sembrava che il giorno successivo fosse quello giusto per la costituzione della società e per dare il primo colpo di martello in cantina. Conoscevamo molto bene il territorio del nostro comune, dove avevamo sperimentato con successo anche delle colture intensive di alberi da frutta, ed era per questo che avevamo già provveduto a stendere una mappatura dei terreni particolarmente vocati alla viticoltura; avevamo scelto quelli che sembravano i migliori della zona, a partire da quelli posti in località Portella della Ginestra che vedevano la presenza, più unica che rara per la Sicilia, di un impianto di Merlot a oltre 800 metri sul livello del mare, o quelli posti a Zabbìa che vedono oggi la presenza del nostro Syrah o in contrada Pietralunga per i Catarratti. Complessivamente ne identificammo circa 150 ettari, di cui quasi un’ottantina già vitati, molti con varietà autoctone come il Nero d’Avola e il Catarratto, ma con sistemi d’impianti vecchi e obsoleti; comunque, l’averli identificati già vitati, secondo me, era un bel punto di partenza. Anche il nome da dare a questa nostra scommessa era stato deciso: Feotto dello Jato, dal toponimo “feudotto”, nome con il quale venivano identificate le terre che dalla riva sinistra del fiume Jato, molto tempo fa, erano di proprietà del barone Ferrara. Ci sembrava un giusto e doveroso riconoscimento per questo splendido territorio. Ci rendevamo conto inoltre che andando man mano in giro trovavamo dei forti consensi su questo nostro progetto, soprattutto da parte di quegli amici e parenti che percepivano nella nostra euforia e nelle nostre certezze un buon segnale di sicura riuscita di questa ipotesi. Tutti erano fiduciosi e sarebbero stati felicissimi di sperimentarsi in questa nuova avventura, ognuno per la propria parte. Eravamo e siamo tutt’oggi una bella squadra. Salvatore Sacco era sinonimo di garanzia per tutti; il padre enotecnico l’aveva aiutato ad acquisire nozioni professionali sufficienti per potersi muovere tranquillamente nel settore, e poi, il fatto di essere rimasto per decenni, dopo l’avvento delle cooperative, l’unico commerciante di vino della zona di San Giuseppe Jato e riuscendo a gestire direttamente non solo la commercializzazione del proprio vino, ma anche di chi lo voleva vendere al di fuori dei canali consortili, gli ha consentito, negli anni, di costruirsi una grande



Feotto dello Jato esperienza e di divenire un grande esperto con una forte reputazione in tutto il mercato vitivinicolo. Vi erano poi Gaetano Buffa, grande conoscitore dell’antica arte della coltivazione della vite e Nicola Colombo, un giovane enologo siciliano, serio e professionale, entusiasta e appassionato dell’arte della vinificazione; al loro fianco c’era Calogero Todaro, un agronomo libero professionista, che avrebbe potuto sviluppare i nostri grandi progetti e coordinarli tecnicamente. I terreni erano pronti, il piano economico era stato stilato e l’entusiasmo era alle stelle. Eravamo però coscienti che quel progetto, un sogno fra i sogni, sarebbe stato irto di numerosi ostacoli. Una sera, ormai poco inclini all’ottimismo, riuniti davanti a uno splendido tramonto, ci apparve chiaro che dovevamo perseguire il nostro sogno sfidando tutte le avversità che si sarebbero presentate davanti a noi. Se siamo qui a raccontare quanto è accaduto è segno che le cose non sono andate poi in modo così catastrofico. Di lì a poco nella nuova cantina incominciarono a riecheggiare le prime martellate, ma da allora non è che poi sia passato molto tempo e ancora oggi, aggirandosi fra i tini e le botti, è facile imbattersi nell’odore della vernice fresca di qualche spennellata data all’ultimo momento. Ma è nella campagna, fra i filari delle viti, che vogliamo vincere questa scommessa; è qui che oggi ci si compiace nel vedere i risultati che si stanno ottenendo in questi pochi anni. Giornalmente siamo impegnati sui vigneti di Gaetano e Nicola Buffa o di suo nipote Nicola Colombo, ora su quelli di Salvatore Sacco, di Giovanna e Giuseppe Vitale o di Giuseppina Todaro, in quell’opera minuziosa di miglioramento del sistema viticolo aziendale, intervenendo per cambiare ora i sistemi d’impianto, ora le potature, studiando la selezione massale delle nostre migliori viti o modificando i sistemi irrigui di sostegno: il tutto per ottenere un innalzamento qualitativo costante della produzione, confermando quanto il successo di ciò che abbiamo intrapreso dipenda molto da come ci raffrontiamo con la terra e con la vigna.

142


Rosso di Turi

tica il vino viene posto tutto in barriques di rovere francese di Allier, Tronçais e Nevers, in gran parte nuove, dove vi rimane per 12 mesi. Trascorso questo periodo, il vino è imbottigliato per un

DOC Monreale

ulteriore affinamento che prosegue per altri 5 mesi.

Zona di Produzione

Quantità Prodotta

Rosso di Turi è la migliore selezione delle uve Merlot prove-

25000 bottiglie l’anno

nienti dai vigneti situati in contrada Ginestra e contrada Pietralunga, in posizione dominante sulla valle dello Jato, nel

Note Organolettiche

territorio di produzione della Doc Monreale.

Il vino si presenta di un colore rosso rubino con riflessi violacei e con un profumo com-

Tipologia dei Terreni

plesso di frutti di bosco neri maturi a cui si

I vigneti di contrada Ginestra si trovano su terreni con tessitura

amalgamano note balsamiche di mirto e rosmarino. Al gusto

marnosa, molto ricchi di scheletro, con pendenze medio alte ed

risulta ben strutturato, con tannini dolci e avvolgenti. Il fina-

elevate escursioni termiche fra il giorno e la notte e sono posti a

le è molto lungo e persistente.

un’altitudine di 750 metri s.l.m. con un’esposizione a nord; i vigneti di contrada Pietralunga si trovano, invece, su terreni pro-

Prima Annata

fondi di medio impasto tendenti all’argilloso e sono situati a un’altitudine di 480 metri s.l.m. con un’esposizione a nord-ovest.

2001

Uve Impiegate Merlot 100%

Le Migliori Annate Sistema d’Allevamento

2001

Controspalliera bassa

Densità di Impianto 4500 ceppi per Ha

Note Fino all’annata 2001 il vino era un IGT Sicilia. Dal 2002 la denominazione è Doc Monreale. Il vino, che prende il nome dal presidente dell’azienda Salvatore Sacco (“Turi” in dialetto

Tecniche di Produzione Dopo la vendemmia, che avviene a partire dal 25

siciliano), dovrebbe raggiungere la maturità dopo 3-4 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione dovrebbe essere compreso fra i 4 e gli 8 anni.

agosto in contrada Pietralunga e dal 15 settembre in contrada Ginestra, si avvia la fermentazione alcolica che si protrae per 12 giorni alla temperatura di 25-28°C in vasche di cemento e tini di acciaio inox termo-condizionati. Contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage, si protrae per 18-20 gior-

SAN GIUSEPPE JATO

ni a temperatura controllata. Terminata questa fase, al vino è fatta effettuare la fermentazione malolattica che avviene per un 50% in tini di acciaio inox e per il 50% in barriques. Effettuata la malolat143


S yrae

Note Organolettiche Impenetrabile colore rosso rubino scuro; al naso il vino presenta forti sentori di ribes nero

DOC Monreale

assieme a note tostate, balsamiche ed erba-

Zona di Produzione Il Syrae è una selezione delle migliore uve provenienti dai vigneti di

cee. In bocca risulta ben strutturato e di grande consistenza, con una forte concentrazione fruttata; al retrogusto è decisamente lungo e persistente.

proprietà dei soci, posti tutti in zone collinari nei declivi che scendono verso il fiume Jato, nel territorio di produzione della Doc Monreale.

Prima Annata Tipologia dei Terreni

2001

I vigneti si trovano su terreni che hanno caratteristiche morfologiche con tessitura marnoso-argillosa di medio impasto e sono posti a un’altitudine di 420 metri s.l.m. con un’esposizione a

Le Migliori Annate

sud-est e rilevanti escursioni termiche fra il giorno e la notte.

2001

Uve Impiegate Syrah 100%

Note

Sistema d’Allevamento Tendone di 26 anni e controspalliera

Densità di Impianto dai 1300 ai 4500 ceppi per Ha

Fino all’annata 2001 il vino era un IGT Sicilia. Dal 2002 la denominazione è Doc Monreale. Con il nome Syrae si è voluta sposare la teoria secondo la quale il Syrah non sarebbe altro che un clone migliorato di Nero d’Avola importato successivamente dai francesi che lo avrebbero chiamato Sirac (da Siracusa). Syrae non è altro che l’antico nome di Siracusa in latino. Il vino raggiunge la maturità dopo 4 anni dalla vendem-

Tecniche di Produzione Dopo la vendemmia, che avviene di solito a partire dal 20 settembre, si avvia la fermentazione alcolica che si protrae per 8 giorni in vasche di cemen-

mia e il plateau di maturazione dovrebbe essere compreso fra i 4 e gli 8 anni.

L’ Azienda

to e recipienti di acciaio inox alla temperatura iniziale di 10°C per poi

La casa vinicola Feotto dello Jato è stata fondata nei primi

stabilizzarsi a 26°C. Contemporaneamente si procede alla macera-

mesi del 2001 da sette soci, i quali conferiscono le uve delle

zione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage, si protrae

loro proprietà, valutabili in circa 70 Ha vitati, alla cantina.

per 18 giorni a temperatura controllata. Terminata questa fase, al

Collaborano in azienda l’agronomo Calogero Todaro e l’eno-

vino è fatta effettuare la fermentazione malolattica che avviene per

logo Nicola Colombo.

un 50% in tini di acciaio inox e per il 50% in barriques. Effettuata la malolattica il vino viene posto tutto in barriques di rovere francese di Allier, Tronçais e Nevers, in gran parte nuove, dove vi rimane per 12 mesi. Trascorso questo periodo, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 5 mesi.

Quantità Prodotta 40000 bottiglie l’anno 144

SAN GIUSEPPE JATO



Feudo Montoni Elio e Fabio Sireci “Picciriddu ero” quando all’apertura di ogni anno scolastico mi presentavo con un mese e più di ritardo, da una parte felice del prolungamento delle mie vacanze trascorse a Montoni, nella campagna di famiglia, mentre dall’altra ero preoccupato per la ferrea regola di “chi tardi arriva male alloggia“ la quale confermava sempre la mia obbligatoria presenza nel banco più vicino alla cattedra, essendo stati tutti gli altri ormai occupati dai miei compagni di classe. Quelle estati trascorse a Montoni erano magiche, piene di giochi e di quegli insegnamenti che solo la campagna, vera scuola di vita, sa darti. Ricordo che durante tutta l’estate andavo nei campi al sèguito degli operai e mi piaceva rendermi disponibile per tutti quei lavori di cui questa terra necessitava; una terra da sempre circondata solo da spazi infiniti, dove colline dorate di grano si alternavano a colline rosse di papaveri e in mezzo alle quali si aprivano i verdi vigneti: il tutto sotto un cielo terso e blu come il mare... Giochi cromatici unici e ineguagliabili per qualsiasi sguardo. Ogni volta che percepisco di nuovo il caldo odore del grano, i profumi del mosto o quelli dell’olio appena franto, mi sento ancora picciriddu.

ALTRI VINI PRODOTTI I Rossi: Nero d’Avola IGT (Nero d’Avola 100%)

146

Quelli sono gli odori che sanno coniugare perfettamente la mia memoria olfattiva con quella affettiva; sono i profumi con i quali ravvivo sempre la mia passione per quelle cose semplici che in questi anni la campagna di Montoni è riuscita a farmi apprezzare. Ogni anno cresce in me sempre più l’attenzione per questo luogo magico, unico; forse il mio è proprio amore, anche perché non so trovare altro termine che possa spiegare cosa io provi per questa terra che mi ha visto crescere e cercare di formarmi come uomo. Ricordi di giochi, passioni, sentimenti, emozioni che dovunque io sia mi conducono sempre qui, dove incredibilmente è possibile ancora oggi non vedere, nel raggio di 360°, un solo palo della luce. Troppo tempo passato fra gli adulti a fare il grande, giochi seri dai quali ogni tanto cercavo di sfuggire con le fantasie di un giovane che, a notte fonda, con le stelle che abitualmente entrano dal tetto del baglio di casa Montoni, si ritrovava a parlare con Argo, il suo cane. Quell’animale mi era sempre accanto, sia nei momenti belli, sia in quelli brutti; era l’amico che al mio arrivo, a qualsiasi ora del giorno e della notte, si metteva al mio fianco e con la pazienza di chi sapeva di non aver atteso invano il suo turno, aspettava una mia carezza. Ancora oggi non perdo occasione per osservare il cielo di Montoni, sdraiandomi sul muro di cinta che delimita il terrazzamento sul quale è posto il baglio. Qui il cielo è diverso rispetto a Palermo; qui è più vicino, sembra quasi di toccarlo e poi tutt’intorno ho solo il silenzio e nessuna luce all’orizzonte. In questa pace sento solo il rumore dei miei pensieri, mentre i miei cani si accucciano intorno a me e forse, percependo l’incantesimo, smettono di abbaiare alle volpi di passaggio. Sono quelli i momenti in cui frugo nella mia mente con più attenzione del solito, vagliando le situazioni che possono far crescere quello che mio padre, il leone Elio, mi ha affidato.



Feudo Montoni Però, quante responsabilità, quante persone da non deludere e quanti sogni da realizzare... Io rimango in silenzio a meditare, sotto quelle stelle, in questo baglio di Montoni il cui cortile sembra proteggermi dal mondo esterno. Forse è in quel virtuale abbraccio che cerco sicurezze e certezze e in quel mio abbandonarmi vi è la consapevolezza che Feudo Montoni non mi tradirà mai e questo, per un siciliano, è determinante. Forse proprio in questo antico baglio sono state racchiuse le mie paure di picciriddu ed è forse la potenza delle sue spesse mura quattrocentesche illuminate da un’argentea luna che mi hanno dato la forza di superarle. È con questo senso di responsabilità, con quest’amore per Montoni, con questa “sicilianitudine” che ho deciso di continuare a trasformare questa terra in un’azienda moderna al passo con i tempi. Per vincere le mie titubanze e la scommessa che ho fatto con me stesso, ho provato a immaginare questo Feudo come una grande nave a vela, che per essere manovrata aveva bisogno di un buon equipaggio e che, per essere tranquilla e poter affrontare lunghi periodi di navigazione, aveva bisogno di grandi scorte di viveri e di un buon vento che la conducesse il più lontano possibile. Quando si sono gonfiate le prime vele ho capito che potevo farcela, anche se so benissimo di non poter commettere passi falsi, poiché la nostra azienda si può permettere unicamente rotte verso oniriche perfezioni in cui ormeggiare, con la prua rivolta verso utopistiche isole del vino perfetto, che per fortuna non esiste e mai esisterà! Non è passato molto tempo da quando correvo avanti e indietro per queste colline; non è neanche molto tempo che vado in giro per il mondo con le mie bottiglie di vino sotto il braccio, ma nonostante tutto continuo a rifugiarmi a Montoni quando ho bisogno di meditare e ho bisogno del caldo abbraccio di questa fedele casa. Qui sotto le stelle e nell’assoluto silenzio spesso mi sembra di risentire ancora l’abbaiare del mio vecchio Argo ed è allora che mi rendo conto che picciriddu ero e che picciriddu voglio rimanere.

148


Nero d’Avola Selezione Speciale

Quantità Prodotta 30000 bottiglie l’anno

IGT Sicilia

Note Organolettiche

Zona di Produzione

Il vino si presenta con un colore rosso rubino

Si tratta di un cru delle migliori uve di Nero d’Avola prove-

profondo; il profumo, intenso e persistente,

nienti dal vigneto di circa 40 anni di proprietà dell’azienda

ricorda frutti di sottobosco, ciliegia e note di

situato sul territorio del comune di Cammarata, nella zona di

vaniglia. In bocca risulta ben strutturato ed elegante, con note

produzione della Doc Contea di Sclafani.

di burro fuso. Ha tannini morbidi ed equilibrati con una prolungata persistenza aromatica al retrogusto.

Tipologia dei Terreni Il vigneto si trova su terreni che hanno caratteristiche morfo-

Prima Annata

logiche con tessitura di medio impasto sabbiosa e argillosa e sono posti a un’altitudine compresa tra i 400 e i 700 metri s.l.m. con un’esposizione a est.

1999

Uve Impiegate

Le Migliori Annate

Nero d’Avola 100%

2000 - 2001

Sistema d’Allevamento Cordone speronato e guyot

Note Densità di Impianto Dai 2666 ai 4600 ceppi per Ha

Il vino dovrebbe raggiungere la maturità dopo 5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione dovrebbe essere compreso fra i 5 e i 10 anni.

Tecniche di Produzione

L’ Azienda

Dopo la vendemmia, che avviene dal 1 set-

Feudo Montoni, di proprietà della famiglia Sireci dai primi del

tembre al 15 ottobre, si avvia la fermentazio-

‘900, si estende su una superficie complessiva di 73 Ha, di cui

ne alcolica che si protrae per 10-12 giorni alla

40 vitati e 3 dedicati all’olivicoltura. Il restante territorio vede

temperatura di 26-28°C in recipienti di acciaio inox termo-

la presenza altre colture promiscue. In azienda svolge le fun-

condizionati. Contemporaneamente si procede alla macerazio-

zioni di agronomo e di enologo lo stesso Fabio Sireci.

ne sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, si protrae per 15 giorni sempre a temperatura controllata. Terminata questa fase, al vino è fatta effettuare la fermentazione malolattica direttamente in barriques di rovere francese di Tronçais e Allier, in gran parte nuove, dove vi rimane a

CAMMARATA

maturare circa 12 mesi, prima di essere imbottigliato per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 6 mesi.

149




Feudo Principi di Butera Gianni Zonin Quando chiudo gli occhi e penso alla Sicilia, la mente corre spessissimo a quell’abbeveratoio che si trova all’ingresso della mia tenuta di Butera. Saranno quelle sue pietre squadrate o quella sua forma allungata così lineare che ne esalta l’architettura, a rendermelo, nel mio immaginario, come la raffigurazione perfetta della Sicilia. Sarà quella sua forma semplicissima, studiata solo con lo scopo di soddisfare la sete di animali e pastori, ma tutte le volte che mi trovo seduto su quei larghi bordi penso a chissà quali storie avrebbero da raccontarmi, se potessero parlare, quelle pietre mute. Solo chi conosce il vero significato della parola acqua può capire il valore di una costruzione come quella, che nel tempo ha contribuito a migliorare la qualità della vita di questi luoghi. È proprio con questa convinzione che sono venuto in Sicilia. Sapevo che qui sarei riuscito a fare il mio “grande vino”, quello che sto provando a fare da anni nelle zone più vocate d’Italia dove la mia famiglia ha i suoi vigneti. Ero certo e lo sono tutt’ora che questa Sicilia, l’Enotria, la terra del vino, capace di emozionarmi e di appassionarmi come nessun’altra, era in grado di costruire nuove opportunità enologiche permettendomi di realizzare il mio piccolo grande sogno, quello di vinificare, un giorno, il miglior vino al mondo. Ero convinto, e lo sono tutt’oggi, che proprio in questo feudo il mio sogno si realizzerà e questa mia certezza è alimentata dall’osservazione del sistema pedoclimatico che interagisce sulla qualità delle uve raccolte. Sento che qui forse non sarà difficile fare il mio “grande vino”; sarà sufficiente avere a disposizione le migliori uve del mondo e so che questa Sicilia è davvero in grado di darmele, a patto che i vigneti siano costantemente e amorevolmente accuditi così da consentire loro uno sviluppo equilibrato nel tempo. È ispirandomi a quell’abbeveratoio all’ingresso della tenuta e al valore che ha l’acqua per questa terra che ho voluto contribuire al miglioramento dello sviluppo dei vigneti fornendo loro un impianto irriguo di soccorso per quei lunghi mesi di siccità che si vivono qui a Butera. È anche sull’elemento umano che ho puntato decidendo d’investire in Sicilia, nella consapevolezza che non mi sarei potuto esimere dall’avere accanto collaboratori che non avessero una grandissima esperienza di questo territorio e che dello stesso non ne conoscessero le potenzialità.

ALTRI VINI PRODOTTI I Bianchi: Inzolia IGT (Inzolia 100%)

152

Ma in aggiunta a quanto la nostra struttura è in grado di portare avanti in modo autonomo, noto con piacere che in questi ultimi anni stanno emergendo piccoli e grandi segnali che coinvolgono l’intero comparto vitivinicolo della Sicilia. Sono sicuro che oggi su quest’isola si stia vivendo un nuovo Rinascimento, di cui il vino non è soltanto un interprete degno, ma il più rappresentativo, quello che è riuscito in pochi anni a coagulare intorno a sé non solo curiosità, ma anche molti interessi, sviluppando e costruendo opportunità nuove per tutto il sistema Sicilia.



Feudo Principi di Butera Un nuovo movimento culturale che ha saputo correre con le proprie forze trasversalmente a quelle direttrici che il sistema industriale qui aveva dettato per molti anni, con scempi che sono sotto gli occhi di tutti. È proprio la viticoltura che si sta proponendo come un nuovo esempio da seguire per fare impresa su quest’isola. In giro si percepisce una nuova coscienza, la consapevolezza delle grandi potenzialità che può offrire questa terra, che non è solo espressione di forza e potenza, ma un humus intriso di storia e cultura dal quale nascono menti vive, argute e fervide. Oggi, quando mi siedo sul bordo di quell’abbeveratoio e guardo quello che abbiamo fatto, sono grato a quanti mi hanno aiutato in tutto questo. Ricordo ancora benissimo com’era il Feudo dei Principi di Butera prima del nostro arrivo: un’immensa distesa di grano che con un movimento ondoso, come un grande mare dorato, si muoveva sotto la forza del vento caldo che proveniva dal mare distante pochi chilometri. Quella fu un’immagine che mi affascinò immediatamente e che sconfisse, in un sol colpo, tutte le mie titubanze: quel luogo era magico e, come se mi fossi lasciato ammaliare dal fascino di una splendida donna, ricordo che non ebbi dubbi nel dare il via all’avventura della famiglia Zonin in Sicilia. Non so se questo mio entusiasmo, inconsciamente profuso in questi anni intorno a me e che altri ritengono contagioso, possa avere in qualche modo contribuito a innescare processi di emulazione; per me sarebbe sufficiente che avesse dato anche solo l’opportunità di riflettere a quei siciliani che ancora hanno dei dubbi sul significato che può avere per loro fare i vignaioli in questa terra. Se avesse solo contribuito a innescare questo, ne sarei oltremodo lusingato e ne andrei orgoglioso, poiché significherebbe che in qualche modo il mio grande amore per questa Sicilia ha contribuito a smuovere il torpore in cui la stessa era caduta. Forse adesso sempre più imprenditori si rendono conto di quante cose ci sono da fare ancora e quanti sono i progetti da realizzare; io del resto mi sentirei appagato se riuscissi a fare qui il mio “Grande Vino”.

154


Calat

Quantità Prodotta 15000 bottiglie l’anno

IGT Sicilia

Note Organolettiche

Zona di Produzione

Il vino si presenta di un colore rosso granato

Calat è un cru delle uve Merlot provenienti dal vigneto omo-

intenso, con un bouquet di profumi piuttosto

nimo che si trova sul territorio del comune di Butera (Frazione

ampio che rivela il ribes nero, la mora e l’a-

Deliella), nella zona di produzione della Doc Riesi.

marena, insieme a note di vaniglia e spezie. Al gusto risulta morbido e pieno, con una forte concentrazione fruttata; al

Tipologia dei Terreni

retrogusto è molto lungo e persistente.

I vigneti si trovano su terreni di origine calcarea, ricchi di scheletro, che per la loro particolare “bianchezza” riflettono i raggi

Prima Annata

luminosi creando intorno ai grappoli un microclima ideale per la loro maturazione; sono situati a un’altitudine compresa tra i 300 e i 400 metri s.l.m. con un’esposizione a sud.

2000

Uve Impiegate

Le Migliori Annate

Merlot 100%

2000 - 2001

Sistema d’Allevamento Cordone speronato

Note Densità di Impianto 5400 ceppi per Ha

Calat deriva dal termine arabo che individua la “rocca fortificata” o il “castello” sulla sommità di un colle. Il vino raggiunge la maturità dopo 3-4 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione dovrebbe essere compreso fra i 4 e i 10 anni.

Tecniche di Produzione Dopo la vendemmia, che avviene di solito nella terza settimana di agosto, si avvia la fermentazione alcolica che si protrae per 11 giorni alla temperatura di 25-30°C in tini di acciaio inox termocondizionati. Contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage, dura 15 giorni. Terminata questa fase, al vino è fatta effettuare la fermentazione malolattica in tini di acciaio inox e solo successivamente è posto in barriques di rovere francese di Allier, per 2/3 nuove, dove matura per 12 mesi. Trascorso questo periodo il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento che prosegue

BUTERA

per altri 6 mesi. 155


S an Rocco

Quantità Prodotta 15600 bottiglie l’anno

IGT Sicilia

Note Organolettiche

Zona di Produzione

Dal colore rosso rubino vivace, presenta un

San Rocco è un cru delle uve Cabernet Sauvignon provenien-

profumo complesso, con nette sensazioni di

ti dal vigneto omonimo che si trova sul territorio del comune

frutta rossa matura, eucalipto e spezie. Di

di Butera (Frazione Deliella), nella zona di produzione della

grande armonia e consistenza in bocca, risulta ben struttura-

Doc Riesi.

to, elegante e morbido; decisamente lungo il finale.

Tipologia dei Terreni

Prima Annata

Il vigneto si trova su terreni di origine calcarea, ricchi di scheletro a un’altitudine compresa tra i 300 e i 400 metri s.l.m. con un’esposizione a sud.

2000

Uve Impiegate

Le Migliori Annate

Cabernet Sauvignon 100%

2001

Sistema d’Allevamento Cordone speronato

Note Densità di Impianto 5400 ceppi per Ha

Il vino, che prende il nome dall’omonimo vigneto dedicato a San Rocco, patrono della città di Butera, raggiunge la maturità dopo 3-4 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione dovrebbe essere compreso fra i 4 e i 10 anni.

Tecniche di Produzione Dopo la vendemmia, che avviene di solito nella seconda settimana di settembre, si avvia la fermentazione alcolica che si protrae per 10 giorni alla temperatura di 25-30°C in tini di acciaio inox da 300 hl. Contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage, dura per 20 giorni, sempre a temperatura controllata. Terminata questa fase al vino è fatta effettuare la fermentazione malolattica nei tini di acciaio e solo successivamente è posto in barriques di rovere francese di Allier, in gran parte nuove, dove vi rimane 12 mesi per la maturazione. Trascorso questo periodo il vino è messo in bottiglia per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 6 mesi. 156

BUTERA


D eliella

Note Organolettiche Il vino si presenta di un colore rosso rubino molto concentrato e rivela all’esame olfattivo

IGT Sicilia

profumi ampi e persistenti, soprattutto di mora,

Zona di Produzione Deliella è un cru delle uve Nero d’Avola provenienti dal vigne-

spezie dolci, liquirizia e cacao. Dal sapore asciutto, di grande struttura e rotondità, offre al palato una forte concentrazione fruttata ed eleganti tannini; al retrogusto è molto lungo e persistente.

to omonimo che si trova sul territorio del comune di Butera (Frazione Deliella), nella zona di produzione della Doc Riesi.

Prima Annata

Tipologia dei Terreni

2000

Il vigneto si trova su terreni ricchi di scheletro, di origine marnoso-calcarea, con brecce argillose e arenarie silicee, di un colore bianchissimo che induce nella vite un corretto equilibrio

Le Migliori Annate

vegeto-produttivo; è situato a un’altitudine compresa tra i 250 e i 300 metri s.l.m. con un’esposizione a sud / sud-ovest.

2000 - 2001

Uve Impiegate Nero d’Avola 100%

Note Deliella è il toponimo della frazione dove da secoli esiste il

Sistema d’Allevamento Cordone speronato basso

Densità di Impianto 5000 ceppi per Ha

Tecniche di Produzione

Feudo Principi di Butera. Il vino raggiunge la maturità dopo 45 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione dovrebbe essere compreso fra i 5 e i 10 anni.

L’ Azienda Il Feudo Principi di Butera è una tenuta che appartenne alle nobili dinastie dei Santapau, dei Branciforti e dei Lanza di Scalea. Il primo siciliano nominato principe è stato nel 1563 Ambrogio

Dopo la vendemmia, che avviene di solito nella

Branciforti con il titolo di “Principe di Butera” che rimase fino al

terza settimana di settembre, si avvia la fer-

1800 il più importante riconoscimento feudale siciliano.

mentazione alcolica che si protrae per 21 giorni

L’azienda, che dal 1997 è di proprietà della famiglia Zonin, si

alla temperatura di 28-30°C in tini di acciaio inox da 300 hl.

estende su una superficie complessiva di 310 Ha, di cui 150 vita-

Contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce

ti e 20 dedicati all’olivicoltura; il restante territorio è a seminati-

che, coadiuvata da tecniche di délestage, dura 25 giorni, sempre

vo con terreni ottimali da destinare a vigna. Collaborano in

a temperatura controllata. Terminata questa fase, al vino è fatta

azienda l’enologo Gaetano Maccarrone e l’agronomo Luigi

effettuare la fermentazione malolattica nei tini di acciaio e suc-

Rampanti, coadiuvati da Franco Giacosa, enologo di fama inter-

cessivamente il 50% è posto in barriques di rovere francese di

nazionale e Carlo De Biasi agronomo e ricercatore in viticoltura.

Allier e Tronçais, in gran parte nuove, il 50% in botti da 60 hl. di rovere di Slavonia; qui il vino rimane 12 mesi per la maturazione. Trascorso questo periodo è messo in bottiglia per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 12 mesi.

Quantità Prodotta

BUTERA

18300 bottiglie l’anno 157


F irriato Vinzia Novara Firriato È quasi normale per noi siciliani interessarsi della campagna, perché è una cosa che ci appartiene e che abbiamo nel sangue; non c’è storia di famiglia che non abbia avuto in qualche modo un legame con la terra, che qui da noi in Sicilia diventa cultura ed emblema stesso delle nostre radici e delle nostre tradizioni. Questa è la terra del Gattopardo, la cui anima è fatta di zolle e di mare e si mescola alle memorie di ciò che era e di ciò che forse oggi non è più. Questa è la patria di Pirandello, Tomasi di Lampedusa e Sciascia, uomini che hanno saputo descrivere in maniera magistrale chi siano i siciliani e solo leggendo le loro opere è possibile comprendere cosa significhi esserlo. In quei libri ci ritrovo i nostri pregi, i nostri difetti e la storia delle nostre famiglie, una storia che ci lega profondamente a questo territorio. Fra quelle righe è possibile scoprire le origini della forza che ci ha sempre consentito di piegarci come giunchi di fronte alle avversità e il motivo per cui quegli stessi giunchi, terminata la tempesta, riescano a rialzarsi e ad ergersi nuovamente alla vita. “Tutto cambia per rimanere tutto uguale…” “In questa isola segreta, dove le case sono sbarrate e i contadini dicono d’ignorare la via per andare al paese nel quale vivono e che si vede lì sulla collina, a dieci minuti di strada, in quest’isola malgrado l’ostentato lusso di mistero, la riservatezza è un mito”.

ALTRI VINI PRODOTTI I Bianchi: Altavilla della Corte Bianco IGT (Grillo 80%, Chardonnay 20%) Sant’Agostino Baglio Sorìa IGT (Catarratto 70%, Chardonnay 30%) I Rossi: Altavilla della Corte Rosso IGT (Nero d’Avola 75%, Cabernet Sauvignon 25%)

158

Io, del resto, in positivo o in negativo, mi sento molto siciliana, proprio nel mio intimo, dentro a quelle sensazioni che determinano l’esserlo e non sono facili da descrivere, anzi ritengo che sia quasi impossibile farlo: bisogna viverle per capirle. Qui tutto è forte. Dalla stessa terra, che è potente, alla natura, che è prorompente; qui, gli umori, le passioni, gli amori e lo stesso odio sono emozioni forti. Qui, o è bianco o è nero, le mezze misure non esistono. Per noi donne siciliane, poi, questa assenza di sfumature è ancora più marcata, perché da sempre sentiamo forte il legame con le nostre radici, con la terra e con le tradizioni e, in quanto donne, ci adoperiamo come un collante per difenderle e per non disperderle, perché è con esse che siamo cresciute e diventate grandi. Sentiamo forte la responsabilità della famiglia, dei figli, del lavoro, responsabilità che ci coinvolgono in modo netto, deciso, senza mezzi termini, con una dedizione completa che ci vede ora madri, ora femmine o amanti accanto ai nostri uomini. Siamo qui, irrequiete e calme come non mai, chiare come un’alba e allo stesso tempo profonde come i tramonti che qui in Sicilia sono veramente intensi; donne da interpretare, da saper scrutare e da saper comprendere; donne di grande tempra, pronte a difendere ciò che hanno; donne che guardano fisse negli occhi e con gli stessi dialogano, mentre gli sguardi, in quel silenzioso interloquire, comunicano cose che esse non osano dire. Donne che non guardano il cielo per ricercare in esso comprensione o spiegazioni al fato, perché per



Firriato questo si rivolgono al Signore all’ombra di una chiesa; donne che sono certe di trovare quello che vogliono lì, accanto a loro, per terra o dove altri non si volgono a scrutare; donne che forse, più degli altri, hanno occhi per guardare e per vedere. È in questa Sicilia che sta velocemente cambiando che piacevolmente vedo nelle aziende vitivinicole accentuarsi sempre di più il ruolo della donna, impegnata ad affiancare, da vera manager, il lavoro di mariti o padri. Anch’io, per quanto mi concerne, cerco di dare un contributo a mio marito, il quale, devo dire, ha avuto il grande merito di saper percepire quale fosse il momento giusto per far fare alla cantina di famiglia quel salto qualitativo e quantitativo che, in pochi anni, ci consente oggi di essere presenti con i nostri vini in moltissimi paesi del mondo. Nel mio difficile ruolo di responsabile delle pubbliche relazioni dell’azienda mi ha aiutato molto la mia formazione universitaria, una formazione che ha contribuito a farmi percepire le sfumature che interagiscono fra le percezioni sensoriali e il lessico. Certe volte una parola può racchiudere un concetto, un pensiero complesso e articolato o una domanda o lo stimolo a una risposta certa e precisa, proprio quella desiderata. Nel mio mestiere è importante riuscire a saper comunicare con tutti, dall’operaio all’impiegato, fino alle persone che lavorano nella vigna, siano essi l’ottantenne o il ragazzo di diciassette anni; l’importante è rimanere se stessi, rimanere donna e, almeno questo, devo dire, mi riesce abbastanza bene.

160


Camelot

Quantità Prodotta 60000 bottiglie l’anno

IGT Sicilia

Note Organolettiche

Zona di Produzione

Di colore rosso rubino intenso, il vino si pre-

Camelot è un blend di uve selezionate provenienti dai vigneti

senta con forti sentori di frutta rossa matura

di proprietà dell’azienda situati nel territorio del comune di

ben integrati con note minerali e di vaniglia.

Trapani.

Al palato è molto strutturato, concentrato e con una componente tannica equilibrata, mentre al retrogusto è lungo e per-

Tipologia dei Terreni

sistente.

I vigneti sono posti su terreni di medio impasto tendente all’argilloso e si trovano ad un’altitudine compresa fra i 150 e i 200

Prima Annata

metri s.l.m., con un’esposizione a sud-ovest.

1998

Uve Impiegate Cabernet Sauvignon 60%, Merlot 40%

Le Migliori Annate

Sistema d’Allevamento Cordone speronato

1998 - 2000 - 2001

Densità di Impianto

Note

5500-6000 ceppi per Ha

La leggenda di Camelot e dei suoi mitici eroi veniva evocata persino in Sicilia già nel ‘300 da una nobildonna che ne tramò

Tecniche di Produzione

alcune scene su delle trapunte. Alcune immagini di questi orditi preziosi sono riportati anche in etichetta. Il vino rag-

Dopo la vendemmia, che avviene di solito dal

giunge la maturità dopo 4-5 anni dalla vendemmia e il plateau

1 al 15 settembre, si effettua la fermentazione

di maturazione è compreso fra i 5 e gli 8 anni.

alcolica che si protrae fra i 10 e i 12 giorni alla temperatura compresa fra i 24 e i 28°C in fermentini termocondizionati di acciaio inox. Contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, dura anch’essa 10-12 giorni, sempre a temperatura controllata. Terminata questa fase, i vini effettuano la fermentazione malolattica, parte nei recipienti di acciaio inox e parte in barriques nuove di rovere francese di Allier e Tronçais, dove vi rimane 9 mesi per la maturazione.

PACECO

Terminato questo periodo viene fatto il taglio e l’assemblaggio delle partite e il vino viene nuovamente posto in tini di acciaio inox, quindi dopo qualche mese viene imbottigliato per un ulteriore affinamento che dura almeno 6 mesi. 161


Harmonium

Note Organolettiche Di colore rosso rubino intenso, il vino coniuga gli intensi profumi di confettura di frutti di

IGT Sicilia

bosco, amarena e prugna a quelli di vaniglia e

Zona di Produzione Harmonium è una selezione delle migliori uve di Nero d’Avola

liquirizia. In bocca ritorna in evidenza la frutta matura ben integrata con note speziate. Tannini eleganti ed avvolgenti, morbido e dal finale molto lungo e persistente.

provenienti dai vigneti che si trovano nel territorio del comune di Trapani.

Prima Annata

Tipologia dei Terreni

1999

I vigneti sono posti su terreni di medio impasto tendente al calcareo e si trovano ad un’altitudine di 150 metri s.l.m., con

Le Migliori Annate

un’esposizione a sud.

Uve Impiegate Nero d’Avola 100%

2000 - 2001

Note Il filosofo Schopenhauer scrisse: “L’Architettura è Musica solida”.

Sistema d’Allevamento Alberello e cordone speronato

Oggi, per un altro verso, il vino è stato ritenuto “musica liquida”. A conferma di questa metafora è stato creato Harmonium: “variazione sul tema” e interpretazione attraverso il Nero d’Avola dell’armonia dei colori, degli odori e dei sapori della terra di Sicilia”. Il

Densità di Impianto

vino raggiunge la maturità dopo 4 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione dovrebbe essere compreso fra i 4 e gli 8 anni.

5000-5500 ceppi per Ha

L’ Azienda Tecniche di Produzione

La casa vinicola Firriato nasce a metà degli anni ’80 ed è di proprietà di Salvatore e Vinzia Novara di Gaetano. L’azienda possie-

Dopo la vendemmia, che avviene di solito dal

de 160 Ha di superficie vitata, ma tutta non basta a soddisfare il

15 al 25 settembre, si effettua la fermentazione

fabbisogno aziendale che viene coperto dai viticoltori della pro-

alcolica che si protrae per 8-10 giorni alla tempe-

vincia di Trapani con i quali si è creato da tempo uno stretto rap-

ratura compresa fra i 24 e i 28° C in fermentini termo-condizionati

porto di collaborazione dal punto di vista agronomico. In azienda

di acciaio inox. La macerazione sulle bucce, coadiuvata da tecniche

arriva ogni anno, per l’intero periodo vendemmiale e di vinifica-

di délestage e follatura, dura anch’essa 8-10 giorni, sempre a tem-

zione, uno staff di enologi australiani, neozelandesi e californiani

peratura controllata. Terminata questa fase, il vino effettua la fer-

che collaborano con l’enologo aziendale Giuseppe Pellegrino.

mentazione malolattica, parte nei recipienti di acciaio inox, parte in barriques nuove di rovere francese e americano, dove vi rimane 10 mesi per la maturazione. Terminato questo periodo, viene messo in bottiglia per un ulteriore affinamento di 6 mesi.

Quantità Prodotta 80000 bottiglie l’anno 162

PACECO



Fondo Antico Agostino Adragna e Giuseppe Polizzotti

ALTRI VINI PRODOTTI I Bianchi: Grillo Parlante IGT (Grillo 100%) I Rossi: Nero d’Avola IGT (Nero d’Avola 100%)

164

Faccio il farmacista, e amo fare il mio lavoro. Oggi più che mai ritengo che sia una fortuna amare il proprio lavoro. Il contatto con la gente, i sorrisi e le lacrime, le gioie e i dolori dei miei clienti e soprattutto la fiducia che ripongono in me e nei miei collaboratori mi danno la grinta necessaria ad iniziare ogni giornata con tanto entusiasmo. La passione per questo lavoro in cui professionalità ed umanità sono inscindibili, mi è stata trasmessa da mio padre e spero di saperla anch’io trasmettere ai miei figli. Anche se questo lavoro assorbe quasi tutte le mie energie e alla lunga diventa un po’ pesante, è per questo che trovo giovamento a trascorrere quelle due o tre ore al giorno in campagna fra le mie viti, nella mia terra. Una campagna che piano piano ha saputo conquistarmi e appassionarmi sempre più, fino al punto di vedermi proseguire sulle orme che già mio nonno Michele aveva tracciato, riuscendo a intravedere nella viticoltura una forma di mantenimento della proprietà di famiglia, 90 ettari di splendida terra tra Marsala e Trapani. Anche se nella farmacia mi sento un po’ più “professionista” e più “professionale”, è fra queste vigne che emerge la “passione” ed è a questa passione che ho voluto dare ascolto negli ultimi anni. In qualsiasi cosa che faccio metto sempre tutto me stesso; per me un impegno è sempre un impegno e in conseguenza di ciò sentivo che non mi gratificava più quella viticoltura sterile e poco emotiva che fino a una decina di anni addietro vedeva Fondo Antico produrre e commercializzare solo uve: sentivo che dovevo dare una svolta, fare qualcosa d’importante, e per farlo non potevo esimermi dal rivedere completamente i piani strutturali dell’azienda. Mi accorgevo che quelle uve di Cabernet, Merlot, Syrah e Nero d’Avola, man mano che passavano gli anni avevano sempre più concorrenti e, se prima vi era una forte richiesta a fronte di una scarsa offerta di prodotti così pregiati, dalla metà degli anni Novanta le cose erano cambiate e all’orizzonte non vedevo niente che mi facesse supporre che nell’immediato potesse esserci un cambiamento di tendenza del mercato. Pensai che in breve tempo sarei stato costretto a ricercare nuovi acquirenti per quelle uve, a fronte di un mercato che invece ricercava sempre più il vino siciliano; e io quel vino sicuramente sarei riuscito a farlo molto bene, vista la bellissima materia prima che le mie viti producevano e vista la qualità del vino che facevamo per nostro consumo. Fu così che decisi d’incominciare a imparare l’arte del vignaiolo. Non mi mancava nulla: da una parte c’era una terra forte e generosa, vocata da sempre alla viticoltura, dall’altra c’ero io, con la mia passionalità e la mia cocciutaggine; fra me e me pensai che questi due elementi potevano essere sufficienti per realizzare un cocktail vincente. Mi guardai intorno e con l’aiuto dell’enologo Vincenzo Bàmbina incominciai a riconvertire ai più moderni sistemi gli impianti di tutta l’area vitata aziendale che conta oggi oltre 70 ettari; dal 1996 ho cercato di produrre quantità minime di uve, così da far arrivare nella cantina di nuova costruzione un prodotto eccellente. Sì, ho voluto che anche la stessa struttura di trasformazione fosse pro-


165


Fondo Antico gettata tenendo conto dei più alti standard qualitativi e dei più avanzati sistemi operativi così da garantirmi, per il presente e per il futuro, un importante valore aggiunto nella vinificazione delle uve. Pur dovendo sostenere un impegno economico non indifferente, tutto doveva essere progettato in funzione di ciò che sarebbe stata l’azienda da lì a qualche anno, dopo aver completato il lavoro nelle vigne e aver atteso la maturità produttiva delle viti. Ho sempre creduto nei progetti a media-lunga scadenza, che, partendo da piccole cose, avessero un ampio respiro e non fossero soltanto proiettati al soddisfacimento del presente, ma puntassero alla concretezza di un futuro più sicuro; progetti come quello che mi indusse, più di dieci anni fa, a piantare due lunghissimi filari di palme da datteri, che oggi fanno bella mostra di sé e abbelliscono il viale che collega la mia casa alla nuova cantina. A darmi una mano in tutto questo, visto che io sono ancora e comunque un farmacista, c’è l’entusiasmo di Agostino Adragna che sovraintende egregiamente alla commercializzazione dei vini e a portare avanti Fondo Antico. Se qualcuno mi domandasse come mai io mi sia messo a fare vino, gli risponderei che lo faccio per business, per passione, per desiderio e voglia di misurarmi, per amore della terra, per coinvolgimento, per sentire emozioni nuove, per valorizzare ciò che ho, per respirare in spazi aperti, per sentirmi in modo diverso più vivo, per il semplice piacere di fare cose importanti, per la mia famiglia, per me stesso; ma per gli altri ha poca importanza il motivo che mi spinge a farlo, l’importante per loro è che io lo faccia, e lo faccia bene. Non è così forse?

166


Il Coro

Note Organolettiche Dal colore giallo paglierino con riflessi verdolini, il vino presenta al naso profumi di frutta

IGT Sicilia

fresca a polpa gialla e note floreali di bianco-

Zona di Produzione

spino; in bocca si aggiungono note di frutta esotica e vaniglia. Ottima sapidità e freschezza, elegante ed equilibrato.

Il Coro è un blend delle migliori uve Grillo e Chardonnay provenienti dai vigneti di proprietà dell’azienda che si trovano sul territorio del comune di Trapani.

Prima Annata

Tipologia dei Terreni

2002

I vigneti si trovano su terreni che hanno caratteristiche morfologiche con tessitura argillosa di medio impasto a un’altitudine di 150 metri s.l.m. con esposizione a sud.

Le Migliori Annate Uve Impiegate

2002

Grillo 50%, Chardonnay 50%

Sistema d’Allevamento Cordone speronato e alberello

Note Il vino dovrebbe raggiungere la maturità dopo 2 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione dovrebbe essere compreso fra i 3 e i 4 anni.

Densità di Impianto 5000 ceppi per Ha

Tecniche di Produzione Dopo la vendemmia, che avviene di solito a partire dal 10 agosto, si avvia la fermentazione alcolica che si protrae per 7-8 giorni alla temperatura di 16-18°C in tonneaux per il Grillo, in barriques di rovere francese di Allier per lo Chardonnnay. Terminata questa fase, sempre in barriques avviene la fermentazione malolattica. A questo punto viene effettuato l’assemblaggio delle partite; segue la maturazione per 6 mesi in barriques, poi il vino è messo in bottiglia per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 6 mesi. TRAPANI

Quantità Prodotta 15000 bottiglie l’anno

167


Il Canto

Quantità Prodotta 25000 bottiglie l’anno

IGT Sicilia

Note Organolettiche

Zona di Produzione

Il colore è rosso rubino profondo; al naso si

Il Canto è un blend delle migliori uve Nero d’Avola e Cabernet

percepiscono profumi molto netti di frutti

Sauvignon provenienti dai vigneti di proprietà dell’azienda che

rossi e spezie, a cui si aggiungono lievi sento-

si trovano sul territorio del comune di Trapani.

ri erbacei; al palato conferma i sentori avvertiti durante l’esame olfattivo. Rotondo e morbido, dalla struttura equilibrata,

Tipologia dei Terreni

ha un finale decisamente persistente.

I vigneti si trovano su terreni che hanno caratteristiche morfologiche con tessitura argillosa di medio impasto a un’altitudi-

Prima Annata

ne di 150 metri s.l.m. con esposizione a sud.

2001

Uve Impiegate Nero d’Avola 65%, Cabernet Sauvignon 35%

Le Migliori Annate

Sistema d’Allevamento Cordone speronato e alberello

2001

Densità di Impianto

Note

5000 ceppi per Ha

Il vino raggiunge la maturità dopo 3 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione dovrebbe essere compreso fra i 4 e

Tecniche di Produzione

gli 8 anni.

Dopo la vendemmia, che avviene di solito

L’ Azienda

dal 5 al 15 settembre, si avvia la fermenta-

L’azienda, di proprietà della famiglia Polizzotti-Scuderi dalla

zione alcolica che si protrae fra i 5 e i 7 gior-

fine dell’Ottocento, si estende su una superficie complessiva

ni alla temperatura di 26-28°C in recipienti di acciaio inox.

di 90 Ha, di cui 70 vitati e 7 dedicati all’olivicoltura. Il restan-

Contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce

te territorio vede la presenza di colture promiscue. L’enologo

che, coadiuvata da tecniche di délestage, dura 10-12 giorni

è Vincenzo Bàmbina.

sempre a temperatura controllata. Terminata questa fase, avviene la fermentazione malolattica che è fatta effettuare, parte in recipienti di acciaio inox, parte in barriques di rovere francese. A questo punto viene effettuato l’assemblaggio delle partite; segue la maturazione per 12 mesi in barriques, poi il vino è messo in bottiglia per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 6 mesi.

168

TRAPANI



Gulfi Vito Catania Durante il corso degli anni ho fatto tante cose, ho accumulato esperienza e professionalità, capacità e volontà, un forte desiderio di riscatto e un po’ di successo, facendone tesoro per la mia vita, vissuta a pieno, forse anche un po’ sfrontatamente, cercando di percepirne il senso e i cambiamenti, con capacità e acume, adattandomi ai suoi umori. Quindici anni in Francia, trasferito al sèguito di un padre che, a fronte della crisi che aveva colpito la Sicilia degli anni Cinquanta, decise di emigrare per poter dare un futuro diverso ai suoi figli. Quindici anni vissuti in una Parigi che non perdeva occasione per ricordarci di essere “diversi”, di essere italiani, uno sciovinismo che faceva crescere in noi, sempre più, il desiderio di ritornare in Italia. Mio padre Raffaele sicuramente tra noi era il più triste di tutti, quello che aveva nostalgia della sua campagna, della sua Sicilia, una terra che lo aveva visto crescere e che, pur non ripagandolo a pieno dei sacrifici fatti, era stata una leale compagna di vita.

ALTRI VINI PRODOTTI I Bianchi: Valcanziria IGT (Chardonnay 50%, Carricante 35%, Albanello 15%) Caricanti IGT (Carricante 50%, Albanello 50%) I Rossi: Neroibleo IGT (Nero d’Avola 100%) Neromàccari IGT (Nero d’Avola 100%) Nerobaronj IGT (Nero d’Avola 100%)

170

Quando anch’io decisi di tornare in Italia, dopo aver concluso la formazione scolastica superiore, mi fermai al nord, barcamenandomi in una quotidianità che mi vedeva impegnato nelle più svariate esperienze lavorative, da quella che mi condusse a divenire procacciatore d’affari per una concessionaria d’autovetture a quella che mi vide poi commercializzare prodotti chimici, fra i più svariati, con la vendita porta a porta, nelle piccole imprese della Brianza. Man mano che svolgevo quest’attività mi rendevo conto, però, che vi era un grande divario fra l’innovazione tecnologica applicata alla costruzione dei materiali e la qualità dei prodotti chimici necessari per la loro lavorazione. Da una parte venivano realizzate leghe sempre più dure e difficilissime da lavorare, dall’altra vi era una chimica che stentava a stare al passo con queste evoluzioni. Decisi di mettermi in proprio e trovarmi un buon chimico, magari in pensione, per portarlo in giro con me e sondare le problematiche che ogni giorno mi venivano sottoposte dalle aziende già mie clienti. Ricordo con piacere l’incontro che ebbi con il dottor Nobile, chimico di fama internazionale. Fu un giorno speciale che cambiò radicalmente il mio futuro, il quale mi vede oggi a capo di una piccola, ma dinamica ed efficiente industria chimica, che fornisce i suoi prodotti alle più importanti officine del mondo, fra cui la scuderia Ferrari. Nel corso di questa mia crescita, però, non mi sono mai dimenticato del valore che ha la famiglia per noi siciliani, un valore che mio padre, grande educatore, mi ha insegnato. Era inconcepibile per lui non trascorrere le festività tutti insieme, con la famiglia raccolta intorno alla tavola imbandita. Erano esplicative quelle poche parole con le quali interrompeva, in modo duro e distaccato, le conversazioni telefoniche, durante le quali mi azzardavo a comunicargli la mia impossibilità a raggiungerlo a Chiaramonte Gulfi per Natale o per Pasqua. Quando arrivavo, invece, se volevo vederlo e stare un po’ con lui, dovevo per forza di cose seguirlo in campagna e lavorare al suo fianco su quella terra che lo vedeva ogni giorno dell’anno chino a raccogliere pietre su pietre fino a quando ha potuto. Quando mi ha lasciato, ero quasi tentato di vendere i sette ettari di terra che mi toccarono nella divisione della proprietà familiare con mio fratello Salvatore. Quella mia decisione non mi faceva dor-



Gulfi mire e fortunatamente, ben presto, capii di essere attaccato a quella terra più di quanto pensassi. Quei leggeri declivi erano la rappresentazione del sacrificio, della vita e della storia di Raffaele, un padre che, silenzioso, mi aveva fatto crescere nel rispetto della natura e del lavoro; su quella terra vi erano le mie origini e gli affetti più cari. All’inizio decisi di dedicare quei pochi ettari alla coltura dell’olivo e di togliere i pochi filari di vite presenti, ma l’incontro con l’enologo Salvo Foti mi convinse delle grandi potenzialità enologiche che aveva la terra ragusana. Con lui mi trovai a condividere sia i princìpi che attraverso la ricerca conducono alla vera qualità, sia il desiderio d’innescare meccanismi che sapessero rivalutare questo territorio al quale mi sentivo particolarmente legato. Quello che mi appassionò enormemente, nelle nostre lunghe chiacchierate, fu l’analisi antropologica della viticoltura del territorio che mi conduceva alla scoperta di un terroir nuovo, insolito, del quale percepivo soltanto in parte l’esistenza, un terroir capace di dare un grande valore aggiunto al vino qui prodotto. Non so perché ho fatto questa scelta e non saprei neanche rispondere a chi oggi mi domandasse le motivazioni per le quali io mi trovo qui a Chiaramonte Gulfi a fare vino. È così e credo che non vi sia un motivo specifico del perché oggi quei pochi impianti sperimentali dell’inizio della mia attività di vignaiolo si siano trasformati in più di 100 ettari vitati, con una densità di ottomila ceppi per ettaro e con sistemi d’impianto ad alberello degni di essere annoverati fra le più avanzate sperimentazioni vitivinicole siciliane, molto più simili ai classici sistemi francesi di Chablis o del Bordeaux, che a quelli che si trovano girando in terra di Sicilia. Per adesso sto producendo solo entusiasmanti crus di Nero d’Avola, con caratteristiche e tipicità uniche nel loro genere, ma presto a questi si aggiungeranno altri prodotti, altri vini che sapranno raccontare non solo cosa è stata qui la viticoltura, ma anche come essa sarà nel prossimo futuro. Oggi mi accorgo che ogni occasione è buona per tornare in Sicilia e quando vengo mi piace girovagare per queste vigne dove mi trovo a mio agio ed è fra questi filari che vivo appassionatamente il rinascimento enologico siciliano con il desiderio che la mia azienda possa servire da stimolo a tutto il territorio di Chiaramonte Gulfi. È qui che riesco ancora a sognare. Accarezzando quei grappoli maturi cerco d’immaginare come sarà “il mio grande vino”, guardando le vigne che si susseguono cerco di pensare a come sarà la dimora cantina che stiamo costruendo, la casa di quel grande vino, e sono sicuro che tutto ciò che ho progettato per il prossimo futuro contribuirà enormemente a esaltare ancora di più il grande impegno e il tenace lavoro che oggi stiamo svolgendo nelle vigne.

172


Nerobufaleffj

Quantità Prodotta 6600 bottiglie l’anno

IGT Sicilia

Note Organolettiche

Zona di Produzione

Il vino si presenta all’esame visivo di un colo-

Nerobufaleffj è un cru di uve Nero d’Avola provenienti dal

re rosso rubino scuro, quasi impenetrabile; al

vigneto di 35 anni “Vigna Bufaleffi”, di proprietà dell’azienda e

naso emergono profumi complessi di frutti di

posto nell’omonima contrada in val di Noto, nella punta estre-

bosco, liquirizia e avvolgenti note minerali. All’esame gusta-

ma della Sicilia sud-orientale, nella zona di produzione della

tivo risulta pieno, corposo ed elegante; persistente in bocca

Doc Eloro.

per un lungo periodo.

Tipologia dei Terreni

Prima Annata

Il vigneto si trova su un terreno dalla variabilità pedologica molto particolare, evidenziata da una cromaticità del terreno che va dal nero argilloso, al bianco calcareo, al rosso sabbioso. Si estende ad

2000

un’altitudine di 50 metri s.l.m. con esposizione a sud-est.

Uve Impiegate

Le Migliori Annate

Nero d’Avola 100% 2000 - 2001

Sistema d’Allevamento Alberello

Note Il vino, che prende il nome dall’omonima contrada, raggiunge

Densità di Impianto

la maturità dopo 4 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione dovrebbe essere compreso fra i 4 e i 10 anni.

7000 ceppi per Ha

Tecniche di Produzione Dopo la vendemmia, che avviene di solito dal 15 al 25 settembre, si avvia la fermentazione alcolica che si protrae per 6 giorni alla temperatura di 30°C in tini di acciaio inox. Contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di follatura, dura altri 10 giorni, sempre a temperatura controllata. Il vino effettua quindi la fermentazione malolattica in barriques di rovere francese dove rimane 24 mesi per la maturazione. Trascorso questo periodo avviene l’assemblaggio delle partite, quindi il vino è messo in bottiglia per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 6 mesi.

CHIARAMONTE GULFI

173


Nerosanlorenzj

Note Organolettiche Dal colore rosso rubino molto concentrato, il vino rivela al naso profumi intensi di frutta

IGT Sicilia

rossa matura, spezie, grafite e note minerali.

Zona di Produzione

Al palato risultano evidenti i robusti tannini, è complesso e persistente, con note di mandorla e di vaniglia sul lungo finale.

Nerosanlorenzj è un cru di uve Nero d’Avola provenienti dal vigneto di 40 anni “Vigna San Lorenzo”, di proprietà dell’azienda e posto nell’omonima contrada in val di Noto, nella

Prima Annata

punta estrema della Sicilia sud-orientale, nella zona di produzione della Doc Eloro.

2000

Tipologia dei Terreni Le Migliori Annate

Il vigneto si trova su un terreno dalla tessitura argilloso-calcarea. È la vigna che più risente dell’influenza del mare di Marzamemi, da cui dista meno di 700 metri. L’altitudine è di

2000 - 2001

10 metri s.l.m., l’esposizione è a sud-est.

Uve Impiegate Nero d’Avola 100%

Note Su questa, come su tutte le altre etichette dei vini dell’azienda, è riportata l’immagine dell’intreccio amoroso tra Eros e Psiche, raffigurato in uno dei più bei mosaici della villa del

Sistema d’Allevamento Alberello

Casale di Piazza Armerina e che è il simbolo, insieme all’alberello siciliano, dell’azienda Gulfi. Il vino, che prende il nome dall’omonima contrada, raggiunge la maturità dopo 4

Densità di Impianto

anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione dovrebbe essere compreso fra i 4 e i 10 anni.

7000 ceppi per Ha

L’ Azienda

Tecniche di Produzione

L’azienda agricola Gulfi appartiene dal 1996 a Vito Catania,

Dopo la vendemmia, che avviene di solito dal 15

imprenditore milanese di origine ragusana. Si estende su una

al 25 settembre, si avvia la fermentazione alcolica

superficie complessiva di 100 Ha, di cui per adesso 33 sono

che si protrae per 6 giorni alla temperatura di 30°C

vitati (lo saranno quasi tutti entro il 2005); 8 ettari sono dedi-

in tini di acciaio inox. Contemporaneamente si procede alla mace-

cati all’olivicoltura. Collabora in azienda, svolgendo le fun-

razione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di follatura, dura

zioni di agronomo ed enologo, Salvo Foti.

altri 10 giorni, sempre a temperatura controllata. Il vino effettua quindi la fermentazione malolattica in barriques di rovere francese dove rimane per 24 mesi per la maturazione. Trascorso questo periodo avviene l’assemblaggio delle partite, quindi il vino è messo in bottiglia per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 6 mesi.

Quantità Prodotta 6600 bottiglie l’anno 174

CHIARAMONTE GULFI



Hauner Carlo Hauner Sicuramente c’è un disegno nella vita di ognuno di noi. Un disegno che talvolta raffigura parabole, iperboli, rette o cerchi; indelebili segni che tracciano i destini degli uomini, alcune volte in modo sfumato nascondendosi nella casualità o nel fato, altre volte risultando precisi, evidenti, puliti e chiari, quasi lapalissiani, come nel mio caso. Un filo diretto, la continuità di un progetto e di un pensiero, una filosofia di vita e un amore per il mare, il sole e il vino. Da Carlo Hauner a Carlo Hauner. Tutto era scritto a partire dal momento in cui mi fu imposto il nome di Carlo, proprio uguale a quello di mio padre, un uomo che ha riempito la mia vita più di qualsiasi altra persona e che ricordo come meraviglioso e perfetto interprete di “genio e sregolatezza”. Io, come lui, architetto e poi, come lui, vignaiolo qui a Salina, in Sicilia. Sono cresciuto fra questi vulcani verdi e su questi strapiombi a picco sul mare, mentre condividevo al suo fianco le emozioni, l’amore e il desiderio di vivere il maggior tempo possibile su questo scoglio. Sono le oltre quaranta vendemmie effettuate su quest’isola che mi fanno essere sempre più parte integrante di questa comunità, fino al punto di sentirmi oggi, più isolano degli stessi isolani. Sorrido nel vedere come i miei figli giochino con i figli dei miei amici d’infanzia e come essi stringano amicizie che rimarranno per sempre nel tempo al loro fianco. Qui sull’isola le amicizie sono una cosa seria, sono schiette, genuine e nascono spontanee, svincolate da qualsiasi subordinazione di lavoro o di interesse. Sono sentimenti duraturi, vivi, veri, come quando sono nati, e risultano più importanti che da altre parti, perché sanno sradicare i tarli delle invidie, quelli delle gelosie e tutte le tensioni che si creano nei rapporti interpersonali fra chi vive in spazi così angusti. Qui sull’isola la convivenza non è semplice per nessuno.

ALTRI VINI PRODOTTI I Bianchi: Salina Bianco DOC (Catarratto 60%, Inzolia 40%) Malvasia delle Lipari Naturale DOC (Malvasia delle Lipari 95%, Corinto Nero 5%)

176

Quando arrivammo, Salina non era toccata ancora dal turismo, qui non c’era niente e tutto si trovava in uno stato di abbandono completo. Anche la terra era stata lasciata incustodita, molti isolani erano emigrati in Australia e avevano lasciato le case e le vigne in una totale desolazione. Era in quel paradiso che Carlo mi faceva trascorrere le vacanze estive e mentre crescevo mi divertivo tantissimo. Ricordo che a quei tempi macchine e moto qui non andavano di moda, il silenzio era assoluto e la pace regnava sovrana, interrotta solo dal gran “casino” che, qualche volta, facevamo noi ragazzi. Penso che Carlo s’innamorò subito di Salina: qui tutto era troppo bello e aveva un altro gusto e poi era enorme il divario fra la qualità della vita di quest’isola rispetto a quella che conducevamo a Brescia dove vivevamo. Orizzonti infiniti, una natura unica, incontaminata; mare, sole, campagna e gente meravigliosa.



Hauner Credo che questi furono solo alcuni degli aspetti che convinsero Carlo a comprare casa qui o forse ve n’erano altri più profondi e personali: di sicuro su quest’isola la sua passione per la vela e per il mare trovò il proprio appagamento. Lo ricordo curioso, attento al mondo esterno, un grande appassionato della vita, intraprendente come pochi altri, uno che non poteva mai essere ozioso e credo che furono proprio queste sue caratteristiche che lo spinsero a ricercare le metodologie e le alchimie che racchiudeva quella stupenda Malvasia, di cui lui andava matto, e che, all’inizio di quei lontani anni Sessanta, veniva vinificata ancora solo da qualche contadino. Un vino sublime, che in pochi centilitri racchiude armonie olfattive uniche e le tradizioni di una terra che avvolge e affascina. Fu su queste emozioni che decise di divenire vignaiolo e dare inizio alla storia del vino di Carlo Hauner. Prima prese un po’ di vigna in affitto e poi incominciò a comprare la terra, metro quadrato dopo metro quadrato, dai figli di quei contadini che erano andati via da decenni, recuperando sentieri che conducevano a vigne ormai in disuso, di cui se ne intuiva solo l’esistenza, ridando vita a quell’architettura ambientale che aveva caratterizzato per secoli l’isola, riportando in auge un’agricoltura che era stata abbandonata e rinvigorendola economicamente. Sono passate molte vendemmie e Salina non è più la stessa, come del resto è cambiata un po’ tutta la Sicilia e con essa anche il modo d’interpretare il mondo del vino. Sono lontani quei tempi in cui quando si parlava del vino siciliano spuntavano i nomi di Marco De Bartoli, Hauner, Diego Planeta e pochi altri. Tutto si è trasformato e il mondo del vino oggi è solo business, immagine e poca sostanza, è marketing e tutto ruota in funzione del mercato. L’esempio di quei pionieri di allora, quelli piccoli, ma con le grandi idee, quelli che come Marco De Bartoli proponevano il Marsala “serio”, quando gli altri commercializzavano il vino per le scaloppine, non è stato seguìto e mi domando come questo sia potuto succedere. Nel suo cambiamento, la Sicilia enologica non ha ancora molti vini che sappiano caratterizzare il territorio di produzione; sono ancora pochi quelli che hanno saputo attingere alle risorse storiche e culturali della loro area di produzione. Dov’è finito il piacere sublime di fare il vignaiolo o quel piacere sottile che racchiude la sperimentazione per scoprire cosa c’è stato, cosa c’è e cosa potrebbe esserci sulla propria terra? Oggi non si attende più che il tempo giochi il suo ruolo, si corre e basta; non si pensa a lavorare le vigne con la maniacale dedizione di chi vive solo di questo o di chi cerca di trarre da esse il miglior risultato possibile; si rincorrono i bisogni di un mercato cinico, duro, che oggi ti esalta e domani ti distrugge. Dopo la morte di mio padre, io mi sforzo di continuare a fare dei vini che sappiano parlare di me e di Carlo, ma soprattutto sappiano parlare di quest’isola; questi vini cerco di farli con la stessa passione che un bimbo mette in un gioco, perché è l’unico sistema che io conosco per riuscire a fare cose importanti, belle e buone. Il vivere alla giornata non mi soddisfa più e la sindrome di Peter Pan, che mi ha contraddistinto fino a ieri, sembra che ormai mi abbia abbandonato, ma nonostante tutto io mi diverto a Salina, l’unico luogo al mondo dove potrei continuare a fare il vignaiolo. Indubbiamente sono stati importanti l’esempio e i consigli di Carlo, il quale sosteneva che le cose “belle” si raggiungono solo se si crede che esse siano importanti e per me continuare a fare dei grandi vini, qui a Salina, è diventata la cosa più importante.

178


Carlo Hauner

Quantità Prodotta 3500 bottiglie l’anno

IGT Salina

Note Organolettiche

Zona di Produzione

Vino dal colore giallo dorato brillante; si

Carlo Hauner è un blend delle migliori uve di Catarratto,

avvertono al naso profumi molto interessanti

Grillo e Inzolia provenienti dai vigneti di proprietà dell’azien-

di frutta gialla matura e fiori di agrumi, con

da che si trovano sul territorio del comune di Malfa (Salina),

note salmastre e leggermente vegetali. In bocca è fresco, sapi-

nell’area di produzione della Malvasia delle Lipari Doc.

do, in equilibrio con la morbidezza e il calore dell’alcool; di buona persistenza e grande armonia.

Tipologia dei Terreni I vigneti si trovano su terreni vulcanici a un’altitudine di 400 metri s.l.m. con un’esposizione a nord-est.

Prima Annata

Uve Impiegate

2000

Catarratto 34%, Grillo 33%, Inzolia 33%

Sistema d’Allevamento

Le Migliori Annate

Spalliera 2001 - 2002

Densità di Impianto 5000 ceppi per Ha

Note Il vino, che è un “riconoscimento” al fondatore dell’azienda

Tecniche di Produzione Dopo la vendemmia, che avviene nella prima

Carlo Hauner, come dimostra l’autoritratto in etichetta, raggiunge la maturità dopo 2-3 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 3 e i 5 anni.

decade di settembre, si procede ad una soffice pressatura delle uve e il mosto, insieme alle fecce, è posto per qualche giorno in tini di acciaio inox ad una temperatura di 6-7°C, dopo di che si avvia la fermentazione alcolica che si protrae per altri 10 giorni in ambienti termocondizionati con temperature che salgono, via via dai 16 ai 24°C, il tutto sempre in tini di acciaio inox.

SALINA

Terminata questa fase, il vino subisce una prima chiarifica e poi viene posto, parte in tini di acciaio inox e parte in barriques di rovere francese di Allier, Radoux e Cadus, in gran parte nuove, dove vi rimane 9 mesi per la maturazione. Terminato questo periodo segue l’assemblaggio delle partite e poi l’imbottigliamento per un ulteriore affinamento di 6 mesi.

179


R osso Antonello

Quantità Prodotta 6000 bottiglie l’anno

IGT Salina

Note Organolettiche

Zona di Produzione

Di colore rosso rubino tendente al granato, il

Rosso Antonello è un blend delle migliori uve di Calabrese,

vino presenta al naso profumi complessi di

Sangiovese e Corinto Nero provenienti dai vigneti di proprietà

prugna, more, mirtilli, note speziate e mine-

dell’azienda posti a Santa Marina Salina e Malfa (Salina), nel-

rali di grafite. Al palato è morbido, con tannini rotondi; caldo

l’area di produzione della Malvasia delle Lipari Doc.

ed equilibrato, conferma nettamente i sentori avvertiti all’esame olfattivo; ottima la persistenza.

Tipologia dei Terreni I vigneti si trovano su terreni vulcanici a un’altitudine di 400

Prima Annata

metri s.l.m. con un’esposizione a nord-est.

1997

Uve Impiegate Calabrese 60%, Sangiovese 30%, Corinto Nero 10%

Le Migliori Annate

Sistema d’Allevamento Spalliera

1997 - 1998 - 1999

Densità di Impianto

Note

5000 ceppi per Ha

Il vino, sulla cui etichetta è riportato un quadro di Antonello da Messina, raggiunge la maturità dopo 4-5 anni dalla vendemmia

Tecniche di Produzione

e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e gli 8 anni.

Dopo la vendemmia, che avviene di solito dopo il 15 settembre, si avvia la fermentazione alcolica che si protrae per 10-12 giorni, a seconda degli uvaggi, alla temperatura di 16-24°C in recipienti di acciaio inox. Contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura va avanti per 12-15 giorni. Terminata questa fase, al vino viene fatta effettuare la fermentazione malolattica, parte in tini di acciaio inox e parte in barriques nuove di rovere francese di Allier, Radoux e Cadus, dove vi rimane per 18 mesi. Trascorso questo periodo viene effettuato l’assemblaggio delle partite e in seguito avviene l’imbottigliamento del vino con un ulteriore affinamento che prosegue per altri 6 mesi.

180

SALINA


Malvasia delle Lipari Passito

Note Organolettiche Bellissimo colore ambrato brillante. All’esame olfattivo il vino offre un ampio e ricco bouquet

Malvasia delle Lipari DOC

Zona di Produzione La Malvasia delle Lipari Passito è prodotto dalla selezione delle

di profumi che vanno dal fruttato di fichi secchi e albicocca, al miele, alle erbe aromatiche e a note di salmastro. Al gusto risulta dolce, ma non stucchevole, caldo e di ottimo corpo; ben equilibrato, di grande armonia e grande persistenza.

migliori uve di Malvasia delle Lipari e Corinto Nero provenienti dai vigneti di proprietà dell’azienda posti nel comune di Malfa

Prima Annata

(Salina) nell’area di produzione della Malvasia delle Lipari Doc.

1968

Tipologia dei Terreni I vigneti si trovano su terreni vulcanici a un’altitudine di 350

Le Migliori Annate

metri s.l.m. con un’esposizione a sud-ovest.

1990 - 1995 - 1997 - 1999 - 2000

Uve Impiegate Malvasia delle Lipari 95%, Corinto Nero 5%

Note Sistema d’Allevamento

Il vino raggiunge la maturità dopo 4-5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 10 anni.

Spalliera

L’ Azienda

Densità di Impianto

Si deve a Carlo Hauner, architetto bresciano approdato sull’i-

5000 ceppi per Ha

sola di Salina nel 1963, il recupero e la diffusione a livello internazionale della Malvasia delle Lipari. Dopo la sua morte,

Tecniche di Produzione

avvenuta nel 1996, adesso l’azienda è condotta dal figlio, che porta il suo stesso nome e che si sta adoperando come il padre

Dopo la vendemmia, che di solito avviene dopo

nel mantenere viva la tradizione enologica su queste isole. La

il 15 settembre, e dopo l’appassimento delle uve

superficie vitata dell’azienda è di 25 Ha; i vigneti si trovano

sui “cannizzi” per 15-20 giorni, si procede a una

sull’isola di Salina e anche sull’isola di Vulcano.

pigiatura forte delle uve e il mosto ottenuto viene posto a basse

Collaborano in azienda l’agronomo Mario Falcetti e gli enolo-

temperature in tini di acciaio inox per qualche giorno prima di

gi Cesare Ferrari e Fabrizio Zardini.

avviare la fermentazione alcolica, che si protrae per oltre 10 giorni alla temperatura di 16-24°C, sempre in tini di acciaio inox. Terminata questa fase e raggiunto il grado zuccherino desiderato, viene lasciato a riposare in tini di acciaio inox posti in ambienti

SALINA

termo-controllati, dove poi rimane a maturare per 18 mesi. Segue l’imbottigliamento per un ulteriore affinamento di altri 6 mesi.

Quantità Prodotta 15000 bottiglie l’anno 181




Masseria del Feudo Grottarossa Carolina Cucurullo Pur avendo sempre vissuto qui a Grottarossa, fino a poco tempo fa non mi ero mai accorta di quanto fosse bella questa mia azienda: tutto mi scivolava addosso, ero una persona come tante altre che “guardava”, ma non “vedeva” ciò che la circondava. Ogni cosa intorno a me dialogava con la terra, con la campagna e con una quotidiana ruralità fatta ora di animali da accudire, ora di frutteti e di vigne da seguire; tutto era scandito dai ritmi delle stagioni, ma io ero cieca, non riuscivo né a capirne i contenuti, né il significato. Presa dall’università rincorrevo la gioia di una vita frenetica che m’induceva a tornare a casa solo per cambiarmi d’abito e riuscirne subito dopo, per correre ad Agrigento o a Palermo con gli amici, a rincorrere cose anche insignificanti. Succede poi che un giorno poni un freno a tutto questo e, improvvisamente e inspiegabilmente, ti fermi a pensare e a meditare su cosa vorresti essere e su cosa vorresti diventare. È così che ti scopri amorevolmente passionale nei confronti della vita, curiosa fino al punto di non credere di esserlo così tanto, alla ricerca spasmodica del vero significato delle cose, disposta a dialogare, in maniera logorroica, su tutto e con tutti. Quel giorno guardandoti intorno scopri che quello che stai cercando lo hai avuto da sempre qui in casa tua e quello che, fino a poco tempo prima, non aveva alcun significato e confusamente risultava poco leggibile, era diventato un libro aperto, immediatamente chiaro.

ALTRI VINI PRODOTTI I Rossi: Rosso delle Rose IGT (Nero d’Avola 50%, Syrah 50%)

184

In quel giorno ti accorgi di essere sempre stata parte integrante di ciò che ti circonda, ma di non essertene mai accorta, e pur avendo avuto tutto questo lì, proprio sotto il naso, non ti eri mai soffermata a pensare quanto i profumi degli alberi da frutta, del mosto, del vino, del fieno, della stalla e del latte, fossero meravigliosi. Forse non fu estraneo alla mia metamorfosi quell’evento catartico che mi costrinse ad assistere, da sola, al parto di una nostra mucca; da quel giorno in me cambiò qualcosa o forse quell’evento fu una delle concause che mi costrinsero a fermarmi e a decidere, in realtà, che il posto che stavo cercando dove diventare grande, forse, era proprio in questa masseria di Grottarossa. Veder nascere quel vitellino fu un’esperienza travolgente che mi commosse in modo enorme e ricordo che per la tensione e la gioia scoppiai a piangere: quel piccolo animale che con fatica e tenacia cercava d’alzarsi alla vita e che prendeva forza e vigore a ogni momento che passava, m’indusse a guardare in modo diverso verso la natura che mi circondava. Da quel giorno osservai con più attenzione la fioritura dei campi e degli alberi da frutto, chiedendomi cosa si dovesse fare per la potatura e l’innesto o come si potessero tenere di conto quei venti ettari di pesche e nettarine delle nostre piantagioni. Con più attenzione guardai l’invaiatura dell’uva che maturava e mi accorsi di come quei dodici ettari di vigne fossero così ben tenuti da mio padre Salvatore e da mio fratello Francesco, sempre attento, premuroso e amorevole verso la mia grande curiosità. Compresi i sacrifici che erano stati compiuti dalla mia famiglia per mantenere integra la proprietà e quale significato avesse tutto questo per mio padre. Ogni anno mi accorgevo che quei campi



Masseria del Feudo Grottarossa diventavano sempre più fioriti, quella frutta sempre più buona, il latte delle mie mucche sempre più ricercato, mentre il vino che incominciavamo a imbottigliare e a commercializzare era apprezzato e premiato. Sono passati appena cinque anni da quella mia improvvisa e brusca frenata, un periodo ancora molto limitato rispetto a quello di cui io e mio fratello necessitiamo per arrivare a fare tutto ciò che abbiamo in mente. Questi anni sono trascorsi velocemente e mi sono divertita a crescere in modo “esponenziale” rispetto agli impegni che via via assumevo, riscoprendo in quello che facevo la centralità “umana” delle mie scelte che in modo autonomo mi conducevano a valutare quale vino produrre, quale tipo di allevamento bovino condurre, quali alberi da frutta piantare. Tre aziende in una, tre persone, mio padre, mio fratello e io, e un solo modo di concepire un’impresa agricola; tre settori ben distinti nei quali cimentarsi e con i quali provare a costruire il nostro domani. Sì, era proprio in questa campagna che dovevo misurarmi con me stessa; e pensare che fino a poco tempo fa immaginavo per me una vita lontana da questa masseria, una vita dedita a fare l’avvocato a Palermo o da qualche altra parte, lontana da questo bellissimo altopiano. Visto come sono andate le cose è evidente che avevo preso la direzione sbagliata... Forse scegliendo la Facoltà di Giurisprudenza pensavo di poter trovare soddisfazione personale dietro a quella routine fatta di scartoffie, marche da bollo e aule di tribunali. Io invece avevo bisogno di altro, di qualcosa che contribuisse ad appagare il mio desiderio di vivere intense emozioni quotidiane in spazi aperti, qualcosa che mi aiutasse a sognare e mi insegnasse un’infinità di cose, più di quante forse potrò mai imparare. Oggi le mie amiche, vedendomi così serena e felice, mi ritengono una persona fortunata, perché faccio un lavoro che mi piace moltissimo; allo stesso tempo so con certezza che nessuna di esse, anche facendo lavori magari non appaganti, vi rinuncerebbe per seguirmi nella stalla a mungere le mie mucche o in mezzo alla vigna nel duro lavoro della vendemmia. A me piace ciò che faccio e quando ne parlo mi si illuminano gli occhi, ma posso assicurare che non è facile far comprendere agli altri quanto questo mestiere io me lo “senta addosso” e quanto sia così passionale la sua presenza in me. È difficile far comprendere quali emozioni provo quando degusto lo Chardonnay che ho vinificato con mio fratello. Chi non sa quale è il sacrificio di potare, raccogliere e vinificare le proprie uve, come fa a capire le emozioni sprigionate in me da quel bicchiere di vino? Diventa anche difficile raccontare l’infinità dei profumi che ci sono a Grottarossa e come ognuno di essi crei in me emozioni. Per me tutto ha contribuito a costruire un connubio perfetto fra l’amore che metto nelle cose che faccio e la professionalità che con il tempo sto acquisendo.

186


H aermosa

Note Organolettiche Colore giallo paglierino intenso, con profumi molto interessanti di pesca, ananas, frutta

IGT Sicilia

esotica matura e note di vaniglia. In bocca

Zona di Produzione

risulta ben strutturato, avvolgente, sapido e fresco; al retrogusto è decisamente persistente.

Haermosa è un’attenta selezione delle uve Chardonnay provenienti dal vigneto di proprietà dell’azienda situato in contrada Grottarossa, nel comune di Caltanissetta.

Prima Annata

Tipologia dei Terreni

2001

Il vigneto si trova su un terreno a medio impasto calcareo con giacitura pianeggiante, ad un’altitudine di 480 metri s.l.m. con esposizione a est.

Le Migliori Annate Uve Impiegate

2001 - 2002

Chardonnay 100%

Sistema d’Allevamento Cordone speronato

Note Haermosa è una delle varietà di rose che circondano il vigneto dell’azienda. Il vino raggiunge la maturità dopo 2-3 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione dovrebbe essere

Densità di Impianto

compreso fra i 3 e i 5 anni.

4000 ceppi per Ha

L’ Azienda Tecniche di Produzione

Tutto nasce da un’idea imprenditoriale di Francesco e Carolina Cucurullo, che hanno deciso di portare avanti anche

Dopo la vendemmia, che avviene di solito dal

la filiera vitivinicola all’interno dell’azienda di famiglia, della

7 al 15 agosto, seguono una pigiadiraspatura,

quale fanno parte anche l’attività cerealicola, zootecnica e

con sedimentazione statica e una veloce

frutticola. Masseria del Feudo Grottarossa si estende su una

macerazione sulle bucce di 8-12 ore a bassa temperatura.

superficie complessiva di 110 Ha, di cui 12 vitati, 2 dedicati

Terminata questa fase si procede alla pressatura e si avvia il

all’olivicoltura e 20 alla frutticoltura. Collaborano in azienda

mosto sui lieviti alla fermentazione alcolica che dura 8-10

gli enologi Nicola Centonze e Vincenzo Bàmbina.

giorni ad un temperatura di 16-18°C, parte in tini di acciaio inox e parte in barriques nuove di rovere francese di Allier, dove vi rimane 6 mesi per la maturazione. Dopo una breve sosta in tini di acciaio e una leggera chiarifica, il vino è messo in bottiglia per un ulteriore affinamento di 4 mesi. CALTANISSETTA

Quantità Prodotta 4000-5000 bottiglie l’anno 187


M aurigi Francesco Maurigi Quando feci assaggiare all’agronomo i vini contenuti in quelle due bottiglie anonime che avevo messo sul tavolo, ricordo che ebbe un’espressione interrogativa, ma in mistico silenzio sorseggiò ora il vino di una bottiglia, ora il vino dell’altra. Dopo qualche minuto, non capendo, mi domandò dove li avessi comprati. “Non li ho comprati” gli risposi, “questi vini sono il risultato della vinificazione che ho fatto io, il settembre passato, di tutte quelle uve che tu mi volevi far buttare via, ti ricordi...?” Rimase stupito e non si capacitava di come io fossi riuscito a ottenere un simile risultato con delle uve raccolte da viti che avevano appena diciotto mesi. Nel suo stupore vi era anche l’incredulità di chi sapeva benissimo che le mie conoscenze enologiche erano pressoché inesistenti. Sapevano tutti che in fatto di vinificazione ero proprio al punto di partenza, pur avendo acquisito nell’arco degli anni, da buon gourmet, una discreta conoscenza dei vini di alta qualità che si producono nel mondo. Sono cresciuto in campagna, ma pur svolgendo da sempre l’attività di imprenditore agricolo, non avevo mai avuto l’occasione di occuparmi di vinificazione, fino a quando, in quel febbraio del 1998, scendendo le scale del mio ufficio di Palermo, incontrai un amico che allora ricopriva una carica istituzionale nel mondo dell’agricoltura e a cui domandai se a fronte di una forte recessione del settore ortofrutticolo, di cui mi occupavo, vi fossero nuove e più economiche forme d’investimento per la terra. Ricordo che mi segnalò la forte ascesa del settore vitivinicolo. Non ci volle molto a convincermi che era giunta l’ora di dare una svolta operativa alle mie attività. Immediatamente mi misi alla ricerca di una quarantina di ettari di quote di reimpianti e, una volta che le ebbi trovate, iniziai l’attività di viticoltore in questa tenuta di Piazza Armerina. La mia famiglia, riferendomi particolarmente a quella materna, per tradizione aveva avuto sempre delle tenute nelle campagne siciliane, in special modo nella zona agrigentina, dove ricordo da bambino ci ritrovavamo con tutti i parenti per trascorrere parte del periodo estivo, in una grande casa antica di proprietà del nonno Luigi. Io, del resto, a pochi anni avevo già il mio cavallo e il mio cane e questi da soli erano dei forti richiami per un fanciullo che, ogni volta, non vedeva l’ora di andare in quella campagna dove avrebbe riabbracciato i suoi amici a quattro zampe. L’unica esperienza viticola di cui avevo sentito parlare era stata quella che aveva visto impegnati il nonno Luigi e suo padre, i quali impiantarono, forse fra i primi in Sicilia, l’uva “Italia”, con i relativi impianti a tendone che poi ebbero un’enorme diffusione in tutta l’isola. Quindi ero più imprenditore che vignaiolo. ALTRI VINI PRODOTTI I Bianchi: Terre di Sofia IGT (Chardonnay 100%)

188

All’inizio in molti non approvarono le mie scelte ed erano increduli (e forse lo sono tutt’ora) sui risultati che io avrei potuto ottenere impiantando delle vigne in questa zona, dove a memoria d’uomo non si era mai vista prima del 1998 nessuna vite: solo grano e fichi d’India. Le mie impressioni, confermate da importanti enologi italiani, da esperti agronomi francesi e in



Maurigi sèguito dall’Università di Milano, erano di tutt’altro parere: avevo dalla mia un’altitudine molto interessante, compresa fra i 550 e i 650 metri sul livello del mare, una notevole escursione termica fra il giorno e la notte, un’ottima ventilazione e un’esposizione eccezionale. Anche i terreni sembravano corrispondere ai canoni di qualità per la riuscita di una buona viticoltura. Perché avrei dovuto rinunciare? Solo perché nessuno aveva pensato prima a piantare qui delle viti? Andai dritto per la mia strada e fra le cose stravaganti che feci, a detta degli altri, ci fu anche quella di non mettere sulle mie terre neanche un filare di quei vitigni cosiddetti autoctoni, puntando invece sugli uvaggi internazionali di cui io andavo matto. In questo stupendo altopiano trovarono così posto il Merlot, il Cabernet, il Syrah, il Pinot Nero, il Sauvignon Blanc, il Petit Verdot e altri vitigni ancora, che, già per le loro caratteristiche intrinseche, contribuiscono a produrre vini eleganti e raffinati ai quali era solo necessario aggiungere la personalizzazione che il territorio di Piazza Armerina oggi fornisce. La verità comunque è che fondamentalmente la mentalità imprenditoriale non mi ha del tutto abbandonato e in quelle scelte vitivinicole che sembravano stravaganti vi era un occhio attento al mercato dell’uva; infatti, se il risultato finale non si fosse dimostrato all’altezza, avrei potuto sempre vendere quelle uve pregiate, ricavandone degli utili, così da portare a reddito l’azienda. Da qualunque lato la guardassi, la cosa funzionava. Quando vidi i piccoli grappoli d’uva maturi che ciondolavano da quelle giovani viti non so cosa scattò in me e, all’insaputa di tutti e senza la minima esperienza, decisi di vinificare quell’uva che secondo l’enologo e l’agronomo avrei dovuto buttare. Non avevo niente, solo un piccolo fondo dove misi una pressa e una diraspatrice comprata dopo aver fatto una telefonata, due tini arrivati sul cassone di un piccolo camioncino, e una decina di barriques che avevo visto utilizzare in qualche mio giro. Fu una cosa unica e divertentissima; aiutandomi con gli attrezzi più strani, dallo scolapasta alla tinozza per lavare i panni, dal mestolo da cucina alla pala, riuscii a portare a termine quella piccolissima vinificazione fra il divertimento di mia moglie e le risate delle mie tre figlie. Quell’evento rimase segreto a tutti per mesi; quella stanza, lontana da occhi indiscreti, non fu aperta a nessuno fino a quando non chiamai quel mio fido collaboratore e mi feci preparare una bottiglia per tipo del vino che avevamo vinificato. Ricordo che mi emozionai nel constatare che il contenuto di quelle bottiglie era buonissimo e mi precipitai immediatamente a telefonare a mia moglie per comunicarle il nostro successo. Da allora non è passato molto tempo ed è troppo presto per tirare le somme di ciò che è stato fatto, ma è altrettanto vero che oggi abbiamo una cantina assai funzionale, delle vigne che stanno arrivando a maturazione e che i nostri prodotti sono già tutti inseriti nell’elenco che Wine Spectator ha stilato dei migliori vini italiani. Ancora sono nella fase dell’effervescenza, del divertimento, del piacere di fare sempre cose nuove e migliorare quelle vecchie, vedremo poi cosa succederà, ma per essere diventato vignaiolo da così breve tempo mi posso ritenere sufficientemente contento.

190


Coste all’Ombra

Note Organolettiche Colore giallo paglierino brillante; il vino al naso si presenta in modo molto elegante con

IGT Sicilia

sentori di pesca, ananas, frutta matura, agru-

Zona di Produzione Coste all’Ombra è un cru delle uve provenienti dal vigneto

mi e nuances di miele e fiori di campo. In bocca mantiene le promesse dell’olfatto ed è morbido, armonico, di grande persistenza.

Costa a nord, di proprietà dell’azienda, posto sul territorio del comune di Piazza Armerina.

Prima Annata

Tipologia dei Terreni Il vigneto si trova su terreni di medio impasto ad un’altitudine

2001

compresa tra i 550 e i 650 metri s.l.m. con un’esposizione a nord.

Le Migliori Annate

Uve Impiegate Sauvignon Blanc 90%, Chardonnay 10%

2001 - 2002

Sistema d’Allevamento

Note

Cordone speronato

Il vino, che prende il nome dalla posizione degli impianti, raggiunge la maturità dopo 2-3 anni dalla vendemmia e il plateau

Densità di Impianto

di maturazione è compreso fra i 3 e i 6 anni.

4830 ceppi per Ha

Tecniche di Produzione La vendemmia avviene di solito dal 15 agosto al 10 settembre, segue quindi una pressione soffice degli acini con sedimentazione statica a bassa temperatura, e quindi l’inoculo mediante lieviti selezionati per dare avvio alla fermentazione alcolica che dura 10-12 giorni alla temperatura di circa 14°C in vasche di acciaio inox da 100 e da 150 hl. In acciaio il vino rimane 6 mesi per la maturazione, dopo di che viene effettuato l’assemblaggio delle partite, prima di subire in bottiglia un affinamento di altri 4 mesi.

Quantità Prodotta

PIAZZA ARMERINA

16000 bottiglie l’anno

191


Terre di Maria

Quantità Prodotta 75000 bottiglie l’anno

IGT Sicilia

Note Organolettiche

Zona di Produzione

Si presenta all’esame visivo di un bel colore

Terre di Maria è un blend delle migliori uve Cabernet

rosso rubino con riflessi violacei; al naso è

Sauvignon, Merlot, Syrah e Pinot Nero provenienti dai vigneti

intenso e persistente, con riconoscimenti di

di proprietà dell’azienda, posti sul territorio del comune di

confettura di frutta rossa, vaniglia, liquirizia, tabacco e ciocco-

Piazza Armerina.

lata. Potente, con una generale tendenza all’equilibrio; ottima la rispondenza gusto-olfattiva in bocca; molto lungo il finale.

Tipologia dei Terreni

Prima Annata

I vigneti si trovano su un terreno di medio impasto, calcareo e sabbioso, ad un’altitudine compresa tra i 550 e i 650 metri s.l.m. con un’esposizione a sud per il Cabernet Sauvignon e il

2000

Syrah e a nord per il Merlot e il Pinot Nero.

Uve Impiegate

Le Migliori Annate

Cabernet Sauvignon 40%, Merlot 25%, Syrah 25%, Pinot Nero 10% 2000 - 2001

Sistema d’Allevamento Cordone speronato

Note Il vino, che è un omaggio di Francesco Maurigi a sua figlia Maria,

Densità di Impianto

raggiunge la maturità dopo 5-6 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione dovrebbe essere compreso fra i 6 e i 12 anni.

4830 ceppi per Ha

Tecniche di Produzione Dopo la vendemmia, che avviene di solito dalla fine di settembre a metà ottobre, si avvia la fermentazione alcolica dei singoli uvaggi che si protrae per 6-10 giorni alla temperatura di 26°C in vasche di acciaio inox da 150 hl.; contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage, dura altri 10-15 giorni a temperatura controllata. Successivamente al vino viene fatta effettuare la fermentazione malolattica in barriques di rovere francese, per l’80% nuove, dove rimane a maturare 18-20 mesi. Trascorso questo periodo avviene l’assemblaggio delle partite, quindi il vino è messo in bottiglia per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 6 mesi. 192

PIAZZA ARMERINA


S aia Grande

Note Organolettiche Rosso rubino di grande consistenza; all’esame olfattivo si avvertono sentori netti e precisi di

IGT Sicilia

piccoli frutti di bosco, liquirizia, spezie, con

Zona di Produzione Saia Grande è un blend delle migliori uve Syrah, Merlot e

note di tabacco e pepe nero. In bocca è decisamente ampio, complesso, con tannini importanti e un finale molto persistente.

Pinot Nero provenienti dai vigneti di proprietà dell’azienda, posti sul territorio del comune di Piazza Armerina.

Prima Annata

Tipologia dei Terreni I vigneti si trovano su un terreno di medio impasto, calcareo e

2001

sabbioso, ad un’altitudine compresa tra i 550 e i 650 metri s.l.m. con un’esposizione a sud.

Le Migliori Annate

Uve Impiegate Syrah 45%, Merlot 45%, Pinot Nero 10%

2001

Sistema d’Allevamento

Note

Cordone speronato

Il vino prende il nome da un appezzamento di terreno dove c’è un canale di sgrondo, chiamato dialettalmente “saia”. Raggiunge la

Densità di Impianto

maturità dopo 4-5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione dovrebbe essere compreso fra i 5 e gli 8 anni.

4830 ceppi per Ha

L’ Azienda

Tecniche di Produzione

L’azienda agricola Budonetto si trova a Piazza Armerina, in

Dopo la vendemmia, che avviene di solito nel

provincia di Enna e appartiene al conte Francesco Maurigi dal

mese di settembre, si avvia la fermentazione

1988. Si estende su una superficie complessiva di circa 200

alcolica che si protrae, a seconda degli uvaggi,

Ha, di cui 15 vitati e 5 destinati all’olivicoltura. Il restante ter-

dai 10 ai 12 giorni alla temperatura di 26°C in vasche di acciaio

ritorio è occupato da altre colture. Collaborano in azienda l’a-

inox da 150 hl.; contemporaneamente si procede alla macera-

gronomo Lucio Brancadoro e l’enologo Giovanni Rizzo.

zione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage, dura 10-13 giorni a temperatura controllata. Successivamente al vino viene fatta effettuare la fermentazione malolattica in vasche di acciaio inox dove rimane a maturare 4 mesi, prima di essere assemblato e messo in bottiglia per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 4-6 mesi.

Quantità Prodotta

PIAZZA ARMERINA

22000 bottiglie l’anno 193




M ilazzo Giuseppe Milazzo

ALTRI VINI PRODOTTI I Bianchi: Selezione di Famiglia IGT (5 diversi cloni di Chardonnay 82%, Inzolia 18%) I Rossi: Duca di Montalbo IGT (Nero d’Avola 50%, Nerello Cappuccio 25%, Inzolia rossa 25%) Milazzo Spumante Metodo Classico (Chardonnay 70%, Inzolia verde 30%) Federico II Rex Sicilie Spumante Metodo Classico (3 diversi cloni di Chardonnay 87%, Pinot bianco 13%)

196

“Vivitilu sicuru: l’Eccellenza, l’Eccellenza” (“Bevetelo tranquillamente: l’Eccellenza, l’Eccellenza”). Così mia nonna Maria Costanza esortava gli acquirenti ad assaggiare il suo vino, in modo che potessero comprenderne le grandi qualità. In quel “l’Eccellenza, l’Eccellenza…” vi era la sicurezza di una vecchia cantiniera che era certa di aver adempito scrupolosamente ad ogni fase del lungo processo produttivo che dall’uva della vigna conduceva a quel bicchiere. Vi era la saggezza di una metodologia sperimentata e consolidata nel tempo che aveva determinato il valore dei vini realizzati; tutto era stato fatto secondo coscienza e secondo la tradizione appresa durante gli anni trascorsi al fianco di mio nonno Giuseppe; e tutto questo rendeva quel vino “genuino” e privo di grandi difetti. La qualità del vino di nonna Maria era conosciuta un po’ ovunque nella zona e in molti facevano a gara per venire a vendemmiare nelle sue terre, in un’epoca in cui questo significava solo essere ripagati con un buon pranzo e con un fiasco di vino al giorno. Il suo ricordo è sempre stato vivo in me ed è forte ancora l’emozione che provai nel vedere il suo nome su una bottiglia di vino su un tavolo in un locale di Hannover, sorseggiato con gusto e raffinatezza da un gruppo di ragazze tedesche. Avevo dato al mio primo prodotto proprio il suo nome, nella speranza che lei mi guardasse da lassù e mi seguisse nella mia nuova avventura di vignaiolo, cominciata quasi per caso solo nel 1987. Avevo appena iniziato a imbottigliare, ricordo benissimo che era l’inverno del 1992, e ritrovarmi così lontano da casa, davanti a un avvenimento inaspettato e così emozionante, ma che sembrava così naturale per quelle tre ragazze, mi commosse enormemente. Non pensavo che le mie bottiglie avessero percorso tanta strada e fossero arrivate così lontano dalla mia Sicilia. In quel momento pensai che i sacrifici profusi in tutti quegli anni stavano per avere la loro gratificazione e con gli occhi lucidi, trattenendo a malapena un pianto liberatorio, capii che mi stavo chiamando definitivamente fuori da quell’incubo nel quale ero precipitato alla metà degli anni Ottanta, quando, lavorando come rappresentante di armi per aziende statali come la Breda, l’OtoMelara e la Beretta, mi ritrovai in carcere con l’accusa di traffico di armi da guerra. Accuse ingiustificate, per le quali sono stato assolto e in parte anche risarcito, ma che hanno provocato in me sgomento e incredulità e, riflettendo sulla mia storia, non ho mai capito come ci possano essere uomini che, pur ricoprendo cariche giuridiche importanti, certe volte interpretano la legge in modo insindacabile secondo cattivi e ottusi giudizi. La mia vita da quel momento cambiò radicalmente e, anche se in seguito tutto si risolse in una bolla di sapone, io non fui più lo stesso. Quelle accuse infamanti mi scossero nel profondo dell’anima e fu solo nella campagna di nonna Maria che trovai rifugio per cercare di rimarginare quelle ferite che ancora oggi, dopo quasi vent’anni, mi porto addosso. In quella campagna trovai quiete e serenità e compresi che la terra è una buona amica e che non ti tradisce: ti dà per quello che riceve e, a differenza degli uomini, ti rispetta e ti ripaga sempre degli sforzi che tu fai per lei. Fu così che piano piano incominciai a entrare in sintonia con la vite, con la vigna e poi con il vino.



Milazzo La tradizione di famiglia era costruita sulla laboriosità di agricoltori come mio nonno e mio padre, e io che pensavo invece di esserne uscito involontariamente, mi ritrovai a perseguire gli stessi scopi e le stesse gesta. All’inizio, viste le modeste dimensioni dell’azienda che mi era rimasta dopo la divisione dell’eredità con le mie sorelle, pensai che forse sarebbe stato meglio produrre solo delle ottime uve da vino, di altissima qualità, che, una volta vendute a buoni prezzi, mi avrebbero consentito di esimermi dall’investire troppi soldi nell’attività enologica, di cui conoscevo poco o nulla. Il mio mondo era la vigna; lì sapevo esprimermi meglio: era in quei filari che mi rasserenavo, e gli studi sugli impianti, sui vitigni, sull’esposizione, sull’invaiatura e su ogni singola fase vegetativa della vite, mi appassionavano enormemente. Provai a fare, per primo in Sicilia, degli impianti di Chardonnay a tendone con ottimi risultati; per altre uve provai sesti d’impianti più fitti e per altre ancora ritornai ai vecchi “alberelli” dei nonni. Dopo qualche anno in cui le mie uve andavano a ruba nei mercati nazionali e internazionali, mi resi conto delle loro grandi potenzialità e di che cosa quelle aziende, mie clienti, sapessero estrarre dai grappoli d’uva agrigentina che avevo venduto loro. Non immaginavo che quel mio Chardonnay racchiudesse simili profumi, o che il mio Nero d’Avola contribuisse a vini così ben strutturati. Fu così che decisi d’incominciare a vinificare le mie uve, all’inizio coadiuvato da persone esperte e da grandi enologi italiani e francesi, mentre oggi mi trovo molto bene con risorse professionali ricercate sull’isola, capaci di fornirmi sempre consulenza di altissimo profilo tecnico. Per primo provai a spumantizzare, nel 1974, il mio vino secondo il metodo classico, e fui il primo a sperimentare il taglio dell’Inzolia con lo Chardonnay, poi divenuto tanto di moda. Da quegli anni Ottanta ne è passato di tempo e i risultati ottenuti oggi sono sotto gli occhi di tutti: i miei vini e i miei spumanti ricevono plausi e riconoscimenti ovunque e sono presenti sui mercati di mezza Europa. Tutto ciò mi gratifica e contribuisce a rasserenare il mio animo e a darmi la voglia di continuare tutt’ora ad investire in ricerche clonali e microvinificazioni sull’Inzolia, sul Nero d’Avola e su altre varietà siciliane, oggi quasi scomparse. Nel tardo pomeriggio, quando tutti sono andati via, con le forbici nel taschino cammino silenzioso per i filari come a voler controllare una per una le mie viti, tagliando ora una foglia, ora un ramo di troppo e, basta che non si dica in giro, mi trovo spesso a parlare con loro, tanto so che loro mi capiscono.

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M aria Costanza Bianco

Quantità Prodotta 80000 bottiglie l’anno

IGT Sicilia

Note Organolettiche

Zona di Produzione

Vino dal colore giallo paglierino con riflessi

Maria Costanza Bianco è un blend di vini delle migliori uve

verdolini; profumi intensi di agrumi e frutti

Inzolia bianca e Chardonnay provenienti dai vigneti di pro-

tropicali a cui si aggiungono anche essenze

prietà dell’azienda posti sul territorio del comune di

fiorite molto originali e delicate. In bocca è asciutto, armoni-

Campobello di Licata.

co e con una bella acidità che richiama la parte aromatica percepita al naso.

Tipologia dei Terreni I vigneti si trovano su terreni di struttura argillosa su matrice

Prima Annata

calcarea poco profonda ad un’altitudine di 370 metri s.l.m. con un’esposizione a nord-ovest / sud-ovest.

1991

Uve Impiegate Chardonnay 60%, Inzolia bianca 40%

Le Migliori Annate Sistema d’Allevamento

1995 - 2000 - 2001 - 2002

Tendone e spalliera

Densità di Impianto 4400-6600 ceppi per Ha

Note Il vino è un omaggio alla nonna di Giuseppe Milazzo, la signora Maria Costanza. Raggiunge la maturità dopo 2-3 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 3 e i

Tecniche di Produzione

5 anni.

Dopo la vendemmia, che di solito avviene a partire dal 10 agosto, e una pressatura soffice degli acini interi, si avvia la fermentazione alcolica del mosto sulle fecce che dura 15 giorni ad una temperatura compresa tra i 15 e i 18°C, parte in recipienti di acciaio inox termo-condizionati, parte in barriques di rovere francese. Dopo un leggero filtraggio, il vino viene rimesso nei contenitori per la maturazione che prosegue per 8-10 mesi. Alla scadenza del 6 mese avviene l’assemblaggio delle partite e la maturazione prosegue in acciaio inox. Segue l’imbottigliamento per un ulteriore affinamento di altri 6 mesi. CAMPOBELLO DI LICATA

199


M aria Costanza Rosso

Note Organolettiche Colore rosso rubino scuro, con riflessi violacei; profumi molto intensi di frutta rossa

IGT Sicilia

matura, con note interessanti di liquirizia e

Zona di Produzione Maria Costanza Rosso è una selezione delle migliori uve di

menta fresca. In bocca ripropone ancora una forte concentrazione fruttata e risulta di grande struttura, con tannini pronunciati, ma armonici; decisamente lungo e persistente il finale.

Nero d’Avola provenienti dai vigneti di proprietà dell’azienda posti nel comune di Campobello di Licata.

Prima Annata

Tipologia dei Terreni

1991

I vigneti, che si trovano in un’area collinare in lieve pendenza con suolo dalla struttura prevalentemente argillosa, profondo e ben dotato in sostanza organica, sono collocati ad un’altitudine di 370 metri s.l.m. con un’esposizione a sud.

Le Migliori Annate

Uve Impiegate

1993 - 1995 - 1998 1999 - 2001

Nero d’Avola 100%

Sistema d’Allevamento Tendone e spalliera

Note Il vino, che non è stato prodotto nel 1994, è anch’esso un omaggio alla signora Maria Costanza, nonna di Giuseppe

Densità di Impianto

Milazzo; raggiunge la maturità dopo 5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 10 anni.

4400-6600 ceppi per Ha

L’ Azienda

Tecniche di Produzione

L’azienda, di proprietà di Giuseppe Milazzo dal 1960, si esten-

Dopo la vendemmia, che avviene di solito a

de su una superficie complessiva di 72 Ha, di cui oggi 52 vita-

partire dal 10 agosto e si protrae fino alla prima

ti. Collaborano in azienda come consulenti esterni l’agronomo

decade di ottobre, si avvia la fermentazione

Pierluigi Donna e l’enologo Cesare Ferrari, come dipendenti

alcolica che dura 10-12 giorni ad un temperatura che viene fatta

l’agronomo Massimo Messina e l’enologo Rosario Aiello.

variare di molti gradi centigradi in contenitori di acciaio inox. Contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce che dura 16-18 giorni. Successivamente al vino viene fatta effettuare la fermentazione malolattica in tini di acciaio inox, e per il 70% in barriques nuove di rovere francese dove rimane dai 12 ai 24 mesi per la maturazione. Trascorso questo periodo, il vino è messo in bottiglia per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 12 mesi.

Quantità Prodotta 40000 bottiglie l’anno 200

CAMPOBELLO DI LICATA



Morgante Giovanni, Antonio e Carmelo Morgante

ALTRI VINI PRODOTTI I Rossi: Nero d’Avola IGT (Nero d’Avola 100%)

202

Da una parte avevamo un po’ di terra e dall’altra non avevamo più voglia di proseguire gli studi dopo il conseguimento della maturità scientifica e allora che fare? Che cosa potevano fare due giovani siciliani del sud della Sicilia? Nostro padre Antonio, che appartiene alla generazione di siciliani che ha vissuto la seconda guerra mondiale e con essa la fame e le mille difficoltà di una terra dove allora come oggi niente è facile, decise, dandoci grande fiducia, di metterci alla guida dell’azienda agricola di famiglia. Forse perché, avendo avuto dei genitori anziani, era stato costretto a occuparsi del mantenimento della famiglia fin da giovanissimo o forse perché conosceva bene i suoi figli, fatto sta che, nonostante la nostra giovane età, ritenne che eravamo in grado di guidare l’azienda agricola anche tra le enormi problematiche e le mille difficoltà che caratterizzavano l’agricoltura agrigentina di quegli anni. Eravamo giovanissimi e inesperti, ma vogliosi di comprendere quanto e dove questa nostra scommessa ci avrebbe portato, consci comunque che l’essere nel profondo Sud della Sicilia non ci avrebbe facilitato. Qui la terra è arsa dal sole e le zolle sono aride e infuocate; una terra senza acqua, dove tirare su una vite è difficile ed è fonte di grandi sacrifici. Sapevamo che il paese dove vivevamo, Grotte, non ci avrebbe agevolato in questa nostra avventura, visto che non vi era un contesto culturale da cui attingere e non potevamo contare su altre esperienze con cui confrontarci. Basti pensare che solo negli anni ’50-’60, qui le case non avevano rubinetti, le strade non possedevano l’illuminazione, non esistevano le fognature e, peggio ancora, chi lavorava in campagna aveva una pessima reputazione, perché era considerato come il più misero fra i miseri, quello che si ammazzava di fatica per un pezzo di pane, sempre chino fra i filari di una vigna: insomma, colui che era costretto, sotto la calura estiva, ad abbandonare la campagna già alle dieci del mattino, sfibrato dal caldo e dalla fame. È in questa cultura che noi siamo cresciuti, è in questo habitat così difficile che abbiamo deciso di farci venire i calli sulle mani e divenire vignaioli, con gli amici che ci prendevano in giro e che ancora oggi ci considerano dei contadini, con quel significato dispregiativo che solo qui in Sicilia accompagna questa parola. Siamo cresciuti in un ambiente dove l’imprenditoria agricola non esisteva e quello che siamo riusciti a imparare lo abbiamo sperimentato sulla nostra pelle o carpendo con gli occhi, a qualche vecchio, i segreti e le mille sfaccettature del mestiere di vignaiolo e di cantiniere. Qui nessuno ci ha insegnato nulla. In questo nostro processo di crescita abbiamo affrontato scelte importanti come quella di puntare sui vitigni autoctoni, meccanizzando, trasformando piano piano tutto quello che era possibile trasformare nei sistemi della filiera produttiva, cercando di sfruttare nel migliore dei modi quella tecnologia che ci veniva in soccorso e che in qualche modo ha modificato l’approccio al vino, un po’ in tutto il mondo. Oggi sentirsi chiamare vignaioli o contadini non ci dispiace, anzi ci gratifica, perché forse, come non mai, ci sentiamo più vicini ai nostri colleghi toscani e piemontesi. Zitti zitti in questi anni abbiamo lavorato sodo per costruire qualcosa e crescere imprenditorialmente, cercando di smussare non solo le difficoltà naturali che questa terra presenta ogni anno, ma anche le pro-



Morgante blematiche operative che i piccoli e piccolissimi appezzamenti, sparsi nel raggio di 30 chilometri intorno a Grotte e che determinano qua e là i mille confini dei 200 Ha della nostra proprietà, richiedono ogni giorno. Interventi necessari e importanti, di cui una vigna ha bisogno e che siamo chiamati inderogabilmente a fare, con minuzioso e certosino lavoro, su quei piccoli appezzamenti di terreno i quali hanno caratteristiche morfologiche, climatiche e logistiche completamente differenti le une dalle altre. Quando iniziammo, eravamo consci dei sacrifici che ci attendevano; oggi siamo fieri di quei sacrifici, perché, a differenza di altri coetanei, abbiamo saputo ascoltare i consigli di nostro padre; siamo stati capaci umilmente di abbracciare il duro lavoro della terra e interpretare il mondo del vino senza lasciarci inebriare. Il richiamo della terra per noi è stato forte, ma gli effetti di quella melodia silenziosa che incanta li abbiamo riscontrati non solo su di noi, ma anche su alcuni nostri compaesani, che sono dapprima partiti per andare a lavorare nelle industrie del Nord, per poi tornare dopo trent’anni a zappettare l’orto o la vigna che avevano lasciato. Guardando queste persone, noi ci convinciamo sempre di più che, avendo fatto questa scelta di vita, siamo stati nel giusto e ci siamo inseriti di diritto in quella nuova generazione di siciliani che non è voluta emigrare abbandonando le proprie origini, ma che ha cercato invece di misurarsi con la vita per contribuire a cambiare un po’ la propria terra. Sappiamo di essere persone semplici che non si possono permettere voli pindarici o fantasie sui generis in questo mondo del vino che alterna, da sempre, periodi di vacche grasse a periodi di vacche magre. Per noi di importante c’è solo quel piccolo cliente che ci stima e ci rispetta per il prodotto che ogni anno gli offriamo; lui è la cosa più importante che abbiamo e sappiamo che solo tramite lui possiamo continuare a fare ancora i vignaioli qui a Grotte, nel sud della Sicilia.

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Don Antonio

Note Organolettiche Dal colore rosso rubino impenetrabile con sfumature violacee, rivela al naso grande

IGT Sicilia

varietà e intensità di profumi tra cui more,

Zona di Produzione Don Antonio è una selezione delle migliori uve Nero d’Avola

spezie, vaniglia, liquirizia e cacao. Al palato risulta altrettanto complesso e persistente, con un’aggiunta di nuances minerali sul lunghissimo finale.

provenienti dai vigneti di circa 30 anni, di proprietà dell’azienda, posti sul territorio dei comuni di Grotte e Racalmuto, in

Prima Annata

provincia di Agrigento.

1998

Tipologia dei Terreni I vigneti si trovano su terreni calcareo-argillosi di medio impasto a un’altitudine di 450-500 metri s.l.m. con un’esposizione a sud.

Le Migliori Annate

Uve Impiegate

1998 - 1999 - 2000

Nero d’Avola 100%

Sistema d’Allevamento Guyot

Note Il nome “Don Antonio” è un omaggio di Carmelo e Giovanni Morgante a loro padre. Il vino raggiunge la maturità dopo 4 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso

Densità di Impianto

fra i 5 e gli 8 anni.

3500 ceppi per Ha

L’ Azienda Tecniche di Produzione

L’azienda appartiene alla famiglia Morgante da più di 5 generazioni e si estende su una superficie complessiva di 200 Ha,

Dopo la vendemmia, che avviene di solito a partire

di cui 30 vitati. Il restante territorio vede la presenza di semi-

dalla seconda metà di settembre, si avvia la fermen-

nativi, mandorleti e colture promiscue. Collaboratore esterno

tazione alcolica che si protrae per 20 giorni alla

dell’azienda è l’enologo Riccardo Cotarella.

temperatura di 29°C in serbatoi di acciaio inox. Contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage, dura anch’essa 20 giorni a temperatura controllata. Terminata questa fase, al vino è fatta effettuare la fermentazione malolattica nei serbatoi di acciaio inox, poi viene messo in barriques di rovere francese di Allier e Tronçais dove rimane 12 mesi per la maturazione. Trascorso questo periodo, avviene l’imbottigliamento per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 6 mesi. GROTTE

Quantità Prodotta 35000 bottiglie l’anno 205


M urana Salvatore Murana Vorrei che fosse scritto: “Tutto passa e dell’uomo che passa non resta altro che la traccia del suo passare, ma se durante il suo passare, l’uomo riesce a trasformare la propria traccia in solco, dovrà poi passare molto tempo prima che quel solco ritorni a essere traccia”.

ALTRI VINI PRODOTTI I Bianchi: Pantelleria Bianco Gadì DOC (Moscato di Alessandria 100%) E’ Serre IGT (Catarratto 100%) I Rossi: Talìa IGT (Nero d’Avola 60%, Merlot 20%, Cabernet Sauvignon 20%) Criccio Rosso IGT (Nero d’Avola 80%, Carignan messo in appassimento al sole 20%) Moscato di Pantelleria Mueggen DOC (Moscato di Alessandria 100%)

206

Da vent’anni sto lavorando per tracciare su quest’isola il mio solco, in modo che altri, a partire da mia figlia, possano continuare sulla traccia che ho delineato, magari incidendo, se gli sarà consentito, un loro canyon. È forte in me il pensiero foscoliano della perpetuazione della memoria che mi ha indotto in questi anni a lavorare affinché il vino dell’isola di Pantelleria parlasse un po’ di me e nel frattempo fosse il più conosciuto fra quelli prodotti sulle piccole isole del Mediterraneo. Ho lavorato affinché il passito fosse, insieme ai dammusi, ai campi di margherite e al vento, l’emblema di questo territorio e che la sua presenza sulle tavole dei ristoranti o sugli scaffali di ogni enoteca italiana aiutasse a comunicare questo. È stato un lavoro difficile, condotto quasi in solitudine per tantissimi anni, in compagnia di pochissimi produttori; un lavoro che in qualche modo vedo essere servito prima di tutto da stimolo alla rinascita dell’intero comparto vitivinicolo di Pantelleria, che oggi ha generato l’apertura di nuove cantine e l’arrivo sul mercato di nuove etichette di passito, ma per adesso l’importante è vedere rifiorire la vite su questi terrazzamenti. In questi anni far conoscere il passito, portarlo alle fiere e alle manifestazioni enologiche internazionali, almeno per me ha significato abbattere quell’isolamento in cui era caduta Pantelleria, contribuendo a portare sempre più gente su quest’isola. Era importante che, insieme a quanto stavamo facendo, si sviluppasse anche una nuova cultura enologica che tenesse conto dell’importanza di dover proteggere e valorizzare ciò che ci era stato tramandato, difendendo, da una parte il patrimonio genetico del sistema viticolo dell’isola, l’architettura, le aree marine, tutto l’ambiente insomma, mentre dall’altra era altrettanto importante che vecchi o nuovi vignaioli si adoperassero per recuperare quegli appezzamenti di terra da sempre vocati alla coltura della vite. Dovevamo rimpinguare la superficie vitata presente sull’isola, raddoppiata in una decina d’anni, ma, ahimè, solo un quarto degli oltre 4500 ettari di viti presenti agli inizi degli anni Cinquanta del secolo passato. Abbiamo stimolato, incoraggiato, aiutato chi voleva recuperare anche una sola vite; sapevamo che da soli non ce l’avremmo mai fatta, ma la nostra è stata una scommessa che abbiamo portato avanti contro gli scettici isolani che non credevano più possibile il recupero di questa nostra agricoltura, ormai allo sfascio. Piano piano si sono aggiunte nuove forze e il nostro impegno è divenuto meno arduo, anche se sempre difficile e ancora oggi complesso. È comunque un impegno che non ci consente di abbassare minimamente la guardia, nella consapevolezza che ciò che è stato fatto fin qui è solo una piccolissima parte di quello che ci attende nel futuro. È verso il futuro che io intendo muovermi, come del resto ho sempre fatto, giocando d’anticipo e cercando di modificare nell’immaginario collettivo l’approccio al nostro vino, incrementando l’interesse che suscita e intrecciando la sua forza comunicativa con il più complesso e affascinante



Murana “sistema Sicilia”, progettando un “bere Sicilia” forte e capace di contribuire un po’ nella crescita del sistema economico dell’Isola. Oggi la gente della nostra terra incomincia a muoversi e qui si respira una nuova aria che anche noi vignaioli stiamo percependo; è importante per tutto il sistema vitivinicolo sapere che non è più necessario “produrre per distruggere”. Anche qui a Pantelleria le cose stanno cambiando e ne è testimonianza il fatto che, da pochi produttori che eravamo, oggi siamo cresciuti e mi auguro che si possano aggiungere presto altri, al fine di fare insieme, oltre a vini di altissima qualità, tanto di quel “baccano” da far conoscere sempre più l’isola in tutto il mondo. Parlo così perché dopo vent’anni ho incominciato a delineare il mio “solco”, ma so di essere il signor “nessuno” o tutt’al più un unico e semplice “figurante” che attraversa il palcoscenico della vita. Io ho tutto e allo stesso tempo non ho niente; non ho niente su quest’isola e non voglio avere niente, tranne i miei sogni ai quali non rinuncio e che non condivido con nessuno. Io non ho neanche le chiavi dello stesso dammuso, chiamato Mueggen, dove sono poste le vigne; qui è tutto aperto e della mia stessa casa non ho le chiavi e non ne ho bisogno per entrare nella cantina: quello che io posseggo è il rispetto della gente dell’isola e l’amore che nutro per questo scoglio. Ho solo molto lavoro da fare. Devo difendere gli ettari di vigneti di questa splendida isola, sapendo che ne rimangono altri 7000 da impiantare; devo difendere sia il dammuso caduto, sia gli altri 4300 ancora in piedi; devo salvaguardare gli oltre 8000 chilometri di muro a secco che delimitano e disegnano, in un suggestivo rincorrersi, ogni pezzo di terra di quest’isola: insomma, mi devo adoperare per non lasciarmi rubare il fascino che ancora suscita in me questo territorio con le sue pietre nere, i suoi colori accesissimi, gli immensi prati di margherite, il verde delle viti e il cielo che, di notte, qui raggiunge una luminosità unica. Quando un uomo ha tutto questo, di che cos’altro ha bisogno? Si deve rendere conto di essere fortunato a vivere qui e che non è stato poi una grande disgrazia essere nati panteschi. È proprio nelle serate di luna piena, fra il chiarore del cielo e il buio della notte, mentre il silenzio ti avvolge e ti protegge, proprio quando le foglie delle viti cangiano e passano dallo scuro più profondo all’argento, che ti rendi conto che il mare che ti circonda è un valore aggiunto rispetto al grande patrimonio che questa terra ti mette a disposizione. È in quelle serate che ti accorgi ancora di più di quanta Pantelleria vi sia in un bicchiere di passito; portando al naso quel bicchiere che stai stringendo fra le mani, riesci a scoprire un’isola intera: ci senti i profumi dei fichi, dell’uva appassita, ci senti i fichi d’india, il maestrale e lo scirocco, la stella polare e l’Africa, ci trovi il caldo e sfacciato sole e la forza di questa terra che ogni anno riesce a compiere il suo miracolo. Il mio compito di vignaiolo è quello di riuscire a rimanere spettatore più che attore, cercando d’interferire il meno possibile in quello che le vigne mi hanno donato, assecondando e accompagnando il vino nel suo percorso naturale per poter riuscire a inserire in quel bicchiere di Passito che si degusterà a Londra o a Parigi, a New York o a Milano, come sempre, la mia Isola.

208


Khamma Moscato Passito di Pantelleria

Segue l’imbottigliamento per un ulteriore affinamento che dura 4-6 mesi.

Bianco Dolce DOC

Zona di Produzione

Quantità Prodotta 20000 bottiglie l’anno

Khamma è un cru delle uve selezionate provenienti dal vigneto di proprietà dell’azienda, posto nell’omonima contrada che

Note Organolettiche

si trova sull’isola di Pantelleria.

Il vino si presenta di un colore ambrato concentrato; al naso i profumi sono molto persi-

Tipologia dei Terreni

stenti di confettura di pesca e albicocca, spe-

Il vigneto si trova su terreni di origine vulcanica ricchi di

zie dolci, vaniglia e cannella. Al gusto risulta ben strutturato,

pomice mista a sabbia con sassi affioranti ad un’altitudine

elegante, morbido, con una forte concentrazione fruttata; al

compresa tra i 120 e i 350 metri s.l.m. con un’esposizione

retrogusto è molto lungo e persistente.

nord / nord-est e est / sud-est.

Uve Impiegate

Prima Annata

Moscato d’Alessandria (Zibibbo) 100% 1991

Sistema d’Allevamento Alberello pantesco

Le Migliori Annate

Densità di Impianto

1999 - 2000

2500 ceppi per Ha

Tecniche di Produzione

Note La scelta aziendale è quella di legare quanto più possibile le

Dopo la vendemmia, che avviene di solito dal

produzioni al territorio. Khamma è il luogo dove ha sede l’a-

15 agosto al 30 settembre, i grappoli selezio-

zienda, nonché il secondo centro abitato dell’isola. Il vino rag-

nati vengono posti ad appassire al sole su

giunge la maturità dopo 4-5 anni dalla vendemmia e il plateau

stenditoi di pietra per 20-30 giorni e girati manualmente più

di maturazione è compreso fra i 5 e i 10 anni.

volte. L’uva poi viene spremuta delicatamente e il mosto è fatto fermentare insieme a mosto di uva non appassita, raccolta in una seconda fase per poter dare avvio alla fermentazione alcolica che si protrae per 40 giorni alla temperatura di 28°C in recipienti di acciaio inox. Contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di follatura manuale, si protrae anch’essa per 40 giorni a temperatura controllata. Terminata questa fase, e raggiunto il grado alcolico desiderato, il vino è posto in barriques di rovere, in

Isola di PANTELLERIA

gran parte nuove, dove vi rimane 18 mesi per la maturazione. 209


Martingana Moscato Passito di Pantelleria

Quantità Prodotta 15000 bottiglie l’anno

Bianco Dolce DOC

Note Organolettiche

Zona di Produzione

Colore ambrato brillante; profumo complesso

Martingana è un cru di uve selezionate provenienti dal vigne-

di frutta candita, fichi secchi, miele, datteri e

to di 70 anni, di proprietà dell’azienda, posto nell’omonima

spezie. All’esame gustativo riemergono netti i

contrada che si trova sull’isola di Pantelleria.

sentori avvertiti al naso e il vino risulta pieno, dolce, ampiamente aromatico senza essere stucchevole. Retrogusto lun-

Tipologia dei Terreni

ghissimo e assai persistente.

Il vigneto si trova su terreni di origine vulcanica ricchi di pomice mista a sabbia ad un’altitudine di 150 metri s.l.m. con

Prima Annata

un’esposizione a sud / sud-est.

1984

Uve Impiegate Moscato d’Alessandria (Zibibbo) 100%

Le Migliori Annate

Sistema d’Allevamento Alberello pantesco

1995 - 1998 - 1999 - 2000

Densità di Impianto

Note

2500 ceppi per Ha

Il nome del vino è legato alla contrada di provenienza delle uve, dove infatti esiste uno scoglio a forma di vela di nave

Tecniche di Produzione

punica. Raggiunge la maturità dopo 4-5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 15 anni.

Dopo la vendemmia, che avviene di solito dal 15 agosto al 15 settembre, i grappoli selezionati vengono posti ad appassire al sole su stendi-

L’ Azienda

toi di pietra per 20-30 giorni e girati manualmente più volte.

L’azienda, di proprietà della famiglia Murana dal 1800, si esten-

L’uva poi viene spremuta delicatamente e il mosto è fatto fer-

de su una superficie complessiva di 20 Ha, di cui 15 vitati e 2

mentare insieme a mosto di uva non appassita, raccolta in una

dedicati all’olivicoltura. Svolge le funzioni di agronomo lo stes-

seconda fase per poter dare avvio alla fermentazione alcolica

so Salvatore Murana, mentre l’enologo è Luciano Parrinello.

che si protrae per 40 giorni alla temperatura di 28°C in recipienti di acciaio inox. Contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di follatura manuale, si protrae anch’essa per 40 giorni a temperatura controllata. Terminata questa fase, e raggiunto il grado alcolico desiderato, il vino è posto in barriques di rovere, in gran parte nuove, dove vi rimane 24 mesi per la maturazione. Segue l’imbottigliamento per un ulteriore affinamento che dura 6 mesi. 210

Isola di PANTELLERIA



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Palari Salvatore Geraci Siamo all’anno zero. Siamo proprio al punto di partenza in cui noi tutti dobbiamo comprendere che questa Sicilia può e deve dare molto di più, cominciando dalle grandi opportunità che il suo territorio, vocato da sempre all’agricoltura e al turismo, offre. Non so se ci saranno concesse altre opportunità, ma è sicuro che questo millennio può delineare nuovi percorsi per un futuro diverso da quello che fino a oggi ha vissuto questa terra. Uno scossone al territorio credo lo stiano dando quegli attenti e sagaci imprenditori vitivinicoli che sono stati gli artefici, forse più di altri, del suo risveglio. Questo è un settore dove si percepisce un gran fervore, inusuale, e che rischia lo “stordimento”, un po’ per le mille attenzioni che il mercato gli ha riservato e un po’ per la stessa euforia che lo ha contagiato; un settore che oggi, più che mai, deve sentire il bisogno d’imporsi un momento di riflessione per calibrare delle risposte alla richiesta di trasparenza voluta dal mercato. Credo si debba lavorare tutti insieme per costruire delle metodologie di controllo utili alla valorizzazione di ogni singola realtà vitivinicola di quest’isola, così da rispettare, nella pluralità degli interessi, delle sicure opportunità di sviluppo, evitando di assistere alla mercificazione esagerata che oggi avviene dei vini marchiati Sicilia, costruiti prima in cantina che in vigna, solo per soddisfare un mercato sempre più umorale. Un’attenta riflessione deve coinvolgere tutta la filiera che va dal produttore alle istituzioni, fino al sistema socio-culturale della Sicilia. È chiaro che a tutti fa piacere essere attori della storia del proprio territorio; è gratificante vedersi come produttore siciliano di vino su riviste e giornali di mezzo mondo, ma l’esserlo deve risultare impegnativo e il tutto non può limitarsi a una foto, a una semplice degustazione, a una medaglia o a tre bicchieri, oggi presi e domani persi. Qui c’è da riscrivere interamente il concetto con il quale il sistema e l’imprenditoria si accostano al territorio e quale futuro possono e devono costruire intorno a esso. Discutere su questo non è cosa semplice, richiede tempo e cultura, dedizione, passione, rispetto degli altri e del futuro dei propri figli. Ma in tutto questo l’imprenditore non può essere lasciato da solo: c’è bisogno del supporto di enti, associazioni, oltre che del contributo di un sistema creditizio capace di agevolare lo sviluppo dell’imprenditoria siciliana in equilibrio con il sistema ecologico ambientale. È ora di cominciare a scoprire il significato della parola terroir e del rapporto che lega un vignaiolo alla propria terra sulla quale riesce a fare impresa. Come dicevo, siamo a un punto di partenza, all’anno zero di un nuovo rinascimento del vino siciliano, dal quale si diramano strade che conducono su direttrici diverse, forse tutte valide, ma oggi poco compatibili fra loro. Da una parte l’intùito commerciale dei grandi gruppi enologici, entrati prepotentemente sul mercato con vini che fanno del rapporto qualità-prezzo la loro arma vincente, dall’altra le piccole aziende, come la mia, che possono puntare solo all’eccellenza produttiva. Due mondi e due modi

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Palari d’interpretare la comunicazione, il marketing, il mercato, il controllo e le regole del gioco. Io credo che esistano grandi opportunità per tutte e due le scuole di pensiero; esse però devono decidere di darsi regole precise capaci di garantire, a tutta la pluralità degli interessati, la possibilità di emergere. Questa è una terra di grande fascino, che sente in maniera netta e decisa le stagioni; una terra dove la vite trova il suo habitat naturale, dove non esistono muffe, dove la grandine è un fenomeno rarissimo; una terra sempre ventilata, dove ogni vendemmia è una festa entusiasmante per noi produttori. Questa è un’isola-continente con caratteristiche pedoclimatiche variegate, dove esiste un levante e un ponente, un nord e un sud; un’isola che ha saputo fino a oggi fornire solo un assaggio delle sue grandi potenzialità che ancora a molti sono sconosciute. Nel vino poi, questo connubio risulta molto più amplificato; infatti, se pensiamo come i francesi, con “uve d’argento” riescano a fare “vini d’oro”, risulta incomprensibile come noi, che abbiamo invece “uve d’oro”, riusciamo a fare solo “vini d’argento”. L’alba dell’anno zero è arrivata e con lei il momento di iniziare a remare tutti in una sola direzione, verso una casa comune che identifichi chi siamo e cosa stiamo facendo. Del resto, forse, io parlo proprio così perché nelle cose che faccio metto passione e amore, elementi emotivi, sensoriali, importanti e utili che in qualche modo contribuiscono al superamento di quelle difficoltà e di quei rischi che ci riserva oggi il complesso e articolato mondo enologico. Ricordo che il mio desiderio di fare vino prende spunto dalla voglia di proseguire una piccola tradizione familiare, con l’intento, però, di fare vino meglio di quanto lo facesse mio nonno. Con solo sette ettari di vigna mi ero costruito come modello aziendale quello di un grande Bourgogne, Romanée Conti, e volevo che il mio vino avesse tutte le chances per divenire importante come quello prodotto dall’azienda francese. Per cercare di raggiungere questo traguardo ho attinto allo spirito curioso che da sempre mi ha contraddistinto, che mi ha portato a collaborare con le riviste più importanti del settore enologico e che mi ha stimolato a percorrere le vie del vino di mezza Europa. Volevo che il mio vino appagasse il mio perenne desiderio di ricerca della qualità nelle cose che mi circondano e, da appassionato cultore del piacere fine a se stesso, volevo che fosse proprio beddu. Volevo che il mio vino sapesse raccontare la mia terra, sapesse rappresentarla e in qualche modo contribuisse ad esaltarla. Non so se ci sono riuscito o se ci riuscirò mai, ma, in ogni modo, so che la tenacia non mi manca e quindi...

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R osso del Soprano

Quantità Prodotta 20000 bottiglie l’anno

IGT Sicilia

Note Organolettiche

Zona di Produzione

Dal colore rosso rubino, rivela al naso profu-

Rosso del Soprano è un cru delle uve provenienti dall’omoni-

mi di frutti di bosco, amarena e note di tabac-

mo vigneto di proprietà dell’azienda posto sul territorio del

co. In bocca è morbido, equilibrato e di buona

comune di Messina, nell’area di produzione della Doc Faro.

struttura. Finale con ottima rispondenza gusto-olfattiva.

Tipologia dei Terreni

Prima Annata

Il vigneto si trova su terreni terrazzati di natura prevalentemente sabbiosa ad un’altitudine di 450 metri s.l.m. con esposizione sud / sud-est.

1995

Uve Impiegate

Le Migliori Annate

Nerello Mascalese 50%, Cappuccio, Nocera, Acitana e Calabrese 50%

1996 - 1998 - 2000

Sistema d’Allevamento

2001 - 2002

Alberello

Densità di Impianto 6500 ceppi per Ha

Note Il vino, che prende il nome dal toponimo dialettale di Santo Stefano Briga (Soprano), raggiunge la maturità dopo 4 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i

Tecniche di Produzione

4 e gli 8 anni.

Dopo la vendemmia, che avviene di solito dalla fine di settembre ai primi di ottobre, si effettua la fermentazione alcolica che si protrae per 10-12 giorni ad una temperatura compresa fra i 28° e i 30°C in recipienti di acciaio inox coibentati. Contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, dura anch’essa 10-12 giorni, sempre a temperatura controllata. Terminata questa fase, il vino effettua la fermentazione malolattica in barriques di rovere francese di Allier e Tronçais di 2°

MESSINA

passaggio, dove vi rimane 12 mesi per la maturazione. Terminato questo periodo, viene effettuato l’assemblaggio delle partite e il vino è messo in bottiglia per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 12 mesi.

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Faro Palari

Quantità Prodotta 20000 bottiglie l’anno

Faro DOC

Note Organolettiche

Zona di Produzione

Il vino si presenta di un colore rosso rubino

Faro Palari è un cru delle uve provenienti dall’omonimo

tendente al granato; al profumo è complesso,

vigneto di proprietà dell’azienda posto sul territorio del comu-

con note spiccate di frutta rossa matura quali

ne di Messina, nell’area di produzione della Doc Faro.

la mora e l’amarena e speziate di cannella e vaniglia. Al gusto ripropone le sensazioni avvertite al naso e risulta decisamente

Tipologia dei Terreni

lungo, strutturato, con tannini avvolgenti e di elegante finezza.

Il vigneto si trova su terreni terrazzati di natura prevalentemente sabbiosa ad un’altitudine di 450 metri s.l.m. con espo-

Prima Annata

sizione sud / sud-est.

1990

Uve Impiegate Nerello Mascalese 50%, Cappuccio, Nocera, Acitana e Calabrese 50%

Le Migliori Annate

Sistema d’Allevamento Alberello

1992 - 1996 - 1998 2000 - 2001 - 2002

Densità di Impianto 6500 ceppi per Ha

Note Il vino, che prende il nome dall’omonimo vigneto, raggiunge

Tecniche di Produzione

la maturità dopo 4-5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 10 anni.

Dopo la vendemmia, che avviene di solito dalla fine di settembre ai primi di ottobre, si effettua la fermentazione alcolica che si pro-

L’ Azienda

trae per 10-12 giorni ad una temperatura compresa fra i 28° e i

L’Az. Agr. Palari è da sempre proprietà della famiglia Geraci.

30°C in recipienti di acciaio inox coibentati.

Salvatore Geraci ha iniziato questo nuovo percorso dal 1990. La

Contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce

superficie complessiva è di 7 Ha, tutti vitati. Svolge le funzioni

che, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, dura

di agronomo e di enologo Donato Lanati.

anch’essa 10-12 giorni, sempre a temperatura controllata. Terminata questa fase al vino viene fatta effettuare la fermentazione malolattica in barriques di rovere francese di Allier e Tronçais nuove, dove vi rimane dai 12 ai 18 mesi per la maturazione. Terminato questo periodo, viene effettuato l’assemblaggio delle partite, poi il vino è messo in bottiglia per un ulteriore affinamento di 12-18 mesi.

218

MESSINA



Pellegrino Michele Sala, Paola Alagna, Pietro Alagna, Caterina Tumbarello, Massimo Bellina

Nella mia famiglia abbiamo sempre avuto proprietà terriere con molti ettari di vigneto, per cui la viticoltura entrava giornalmente nella nostra vita, determinando i ritmi di una quotidianità che si scandiva attraverso il ripetersi delle vendemmie, seguendo un calendario che invece di partire dal primo gennaio e terminare il trentuno dicembre, andava da settembre a settembre. Anche la scelta di laurearmi in Agraria non fu del tutto casuale, anzi fu influenzata, non solo dalla presenza di quegli ettari di vigna di nostra proprietà, ma anche dal fatto di vivere in un’area, questa del trapanese, che da sola rappresentava e rappresenta più del 50% dell’intera superficie vitata della Sicilia. Quando poi conobbi mia moglie Doretta, figlia del Cavaliere del Lavoro Benedetto Tumbarello, Presidente delle cantine Pellegrino, nonché Presidente dell’Istituto Bancario Siciliano, mi si aprirono ulteriori opportunità professionali che si andavano ad aggiungere alle responsabilità che la famiglia Sala, la mia famiglia, mi aveva affidato. Era il 1982 e qui a Marsala si stava vivendo il colpo di coda di una delle più gravi crisi del settore enologico che io ricordi. A quei tempi, intorno alla città vi erano più o meno duecento aziende vinicole e calcolo tale numero sommando aziende importanti, medie, piccole e cantine sociali. In pochi anni ci fu una decimazione spaventosa e si venne a creare un graduale svuotamento del sistema imprenditoriale viticolo del territorio, che aveva retto, quasi da solo, l’economia locale per un paio di secoli. Le conseguenze, facili da immaginare, segnarono profondamente il processo di crescita di quest’area. È solo da circa 10 anni infatti che il sistema ha iniziato ad invertire questa tendenza negativa.

ALTRI VINI PRODOTTI I Bianchi: Grillo IGT (Grillo 100%) Chardonnay Delia Nivolelli DOC (Chardonnay 100%) I Rossi: Duca di Castelmonte Syrah IGT (Syrah 100%) Duca di Castelmonte Cabernet Sauvignon Delia Nivolelli DOC (Cabernet Sauvignon 100%) Marsala Vergine DOC Vintage 1980 (Grillo 100%)

220

Mio suocero, avendo solo due figlie, Doretta e Caterina, ed essendo impegnato su molti fronti imprenditoriali, pensò bene di affidarsi anche a forze giovani, quali in quel periodo eravamo io e mia cognata Caterina per l’attività vitivinicola, e mio cognato Benedetto Renda per il settore bancario; la stessa cosa fece in quel momento anche il Dottor Pietro Alagna, comproprietario della Carlo Pellegrino con la figlia Paola Alagna ed il genero Massimo Bellina. L’apporto di noi giovani poteva essere la molla in grado di portare un nuovo fervore all’interno delle attività affidateci, con l’intento, in particolare, di dare maggiore slancio e vitalità al marchio Pellegrino, che già per molti versi aveva contribuito a sviluppare direttamente non solo i destini economici di Marsala, ma anche del suo vino, esportandolo nel mondo. Ci buttammo nel lavoro con grande dinamismo e voglia di fare e gli effetti di quella nuova ventata di ottimismo iniziarono a farsi sentire subito: ci fu la riqualificazione di comparti che, partendo dalla riconversione delle aziende agricole, interessavano il settore commerciale, per arrivare a quello della trasformazione. Quest’ultimo, in particolare, a quei tempi vedeva negli stabilimenti storici della Pellegrino solo la presenza del ciclo produttivo del vino Marsala, mentre la vinificazione di grandi masse di uva prodotte nei trecento ettari di proprietà era affidata alle cantine sociali della zona; ne conseguiva l’impossibilità di avere sotto controllo il ciclo produttivo di alcuni prodotti di maggior pregio.



Pellegrino Il nostro entusiasmo, ricordo, contagiò un po’ tutti all’interno dell’azienda e da quegli anni incominciò una trasformazione profonda destinata a dare grandi frutti. Ammodernammo le cantine, le vigne e l’immagine dell’azienda: furono azioni che man mano andarono tutte a compimento e ci fecero sentire la necessità di rinnovare e potenziare la nostra rete commerciale che oggi ci consente di promuovere i nostri prodotti in moltissimi paesi del mondo. Impegni economici rilevanti che non si sono ancora conclusi e che solo negli ultimi anni, attraverso nuove iniziative di carattere strutturale, si possono quantificare superiori a dieci milioni di euro. Investimenti però, che ci hanno condotto ad avere oggi una completa autonomia di trasformazione delle uve, con una nuova cantina di vinificazione a Marsala, capace di soddisfare i nostri bisogni più importanti relativi al vino Marsala e ai vini da tavola, ed un’altra, moderna, a Pantelleria, che ha contribuito a portare a livelli di eccellenza gli standard qualitativi del passito. Indubbiamente fu il nostro entusiasmo a dare una svolta significativa alla nostra azienda, senza però dover fare a meno della tradizione, della storia e delle esperienze del passato, tutti fattori che ci hanno aiutato nel superare indenni quel periodo di crisi in cui si trovava l’economia cittadina e che ci consentono oggi di guardare al futuro con grande serenità e ottimismo. In questo momento, sulla spinta della forte innovazione che sta investendo molti settori economici, assistiamo a degli spunti intellettivi ed ai picchi di una creatività imprenditoriale che hanno condotto molti a investire nel vino, gettandosi in un mercato che a loro è sembrato potesse produrre grappoli d’oro. La realtà è un’altra cosa e spero che le nuove generazioni se ne accorgano in tempo; questa euforia collettiva che ha colpito il settore enologico siciliano può essere molto pericolosa. Noi, d’altronde, continuiamo per la nostra strada, sapendo che l’arma migliore a nostra disposizione è la storia; storia che è dalla nostra parte e che ci consente di avere la tranquillità di poter conseguire i risultati senza doverli rincorrere. Sappiamo che il tempo è il nostro miglior alleato, perché noi apparteniamo a quella schiera di cantinieri che sanno cosa voglia dire invecchiare il Marsala per decenni in grandi botti, e sanno attendere che arrivi a compimento il ciclo che lo porterà a diventare un grande vino. Chi sa attendere così tanto sa anche quale è l’importanza del tempo. Io personalmente ho sempre fatto tesoro della tradizione che si respira fra queste grandi botti, convinto che “U futuru avi un cori anticu” (“il futuro ha un cuore antico”), di cui bisogna captare i battiti e saperli interpretare. Credo che questa sia la chiave di lettura su cui costruire delle serie opportunità di crescita per il futuro della Sicilia e dei suoi figli, i quali sembra che abbiano deciso di rimanere su questo territorio e provare a realizzare qui i loro sogni.

222


Duca di Castelmonte Gorgo Tondo

Quantità Prodotta 80000 bottiglie l’anno

IGT Sicilia

Note Organolettiche

Zona di Produzione

All’esame visivo il vino si presenta di un bel

Duca di Castelmonte Gorgo Tondo è un blend delle migliori

colore giallo paglierino; al naso i profumi

uve di Grillo e Chardonnay provenienti dai vigneti di proprietà

sono intensi di frutta tropicale e floreali, con

dell’azienda posti sul territorio del comune di Mazara del Vallo.

note speziate di vaniglia. Al palato è morbido, caldo ed equilibrato, confermando nettamente i sentori avvertiti all’esame

Tipologia dei Terreni

olfattivo; ottima la persistenza.

I vigneti si trovano su terreni di medio impasto tendente allo sciolto con buona fertilità a un’altitudine di 20 metri s.l.m.

Prima Annata

con un’esposizione a nord-est.

2000

Uve Impiegate Grillo 50%, Chardonnay 50%

Le Migliori Annate

Sistema d’Allevamento Controspalliera

2002

Densità di Impianto

Note

4000 ceppi per Ha

Il nome del vino deriva dal luogo dove sono impiantati i vigneti, denominato Gorghi Tondi. Raggiunge la maturità dopo 2-3

Tecniche di Produzione

anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione dovrebbe essere compreso fra i 3 e i 5 anni.

Dopo la vendemmia, che avviene di solito dal 10 al 20 agosto per lo Chardonnay e dal 5 al 10 settembre per il Grillo, e dopo diraspatura delle uve, si portano gli acini alla temperatura di 8-10°C per 12 ore; quindi si procede a una pressatura soffice con conseguente defecazione statica in serbatoi coibentati alla temperatura di 10°C che dura 3-4 giorni. Terminata questa fase si inoculano lieviti selezionati e si avvia la fermentazione alcolica che si protrae per 20 giorni alla temperatura di 16°C, parte in recipienti di acciaio inox, parte in barriques nuove di rovere francese di Allier a media tostatura per maturazione di circa 4

MARSALA

mesi. Trascorso questo periodo viene effettuato l’assemblaggio delle partite e, dopo qualche settimana di riposo in recipienti di acciaio inox, il vino viene imbottigliato per un ulteriore affinamento di 4 mesi. 223


D uca di Castelmonte Nes

Note Organolettiche Dal giallo ambrato con riflessi dorati, all’esame olfattivo offre un ampio spettro di profu-

Passito di Pantelleria DOC

Zona di Produzione

mi fra cui albicocca, miele, frutta secca e vaniglia. Convincente anche in bocca; intenso, persistente, morbido e armonico. Molto lungo il finale.

Il Passito di Pantelleria Nes è prodotto dalla selezione delle migliori uve di Moscato d’Alessandria provenienti dai vigneti di proprietà dell’azienda che si trovano nell’isola di Pantelleria,

Prima Annata

nella zona di produzione del Pantelleria Doc.

1998

Tipologia dei Terreni I vigneti si trovano su terreni vulcanici a un’altitudine di 100300 metri s.l.m. con un’esposizione a nord e a sud.

Le Migliori Annate

Uve Impiegate

2000 - 2001

Moscato d’Alessandria (Zibibbo) 100%

Note Sistema d’Allevamento Alberello pantesco

Nes, che in ebraico significa “prodigio”, raggiunge la maturità dopo 3 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 3 e i 6 anni.

Densità di Impianto 2500 ceppi per Ha

L’ Azienda L’azienda, fondata nel 1880 è oggi di proprietà delle famiglie

Tecniche di Produzione

Tumbarello e Alagna, eredi del fondatore, e dispone attualmente di tre unità operative: la cantina storica di Marsala e le

Dopo la vendemmia, che di solito avviene dal 1

due cantine di vinificazione di Misilla e di Pantelleria. La

al 28 settembre, segue l’appassimento delle uve

superficie vitata complessiva delle aziende agricole di proprie-

su graticci posti al sole per circa 20 giorni.

tà è di 296 Ha. Collaborano in azienda l’agronomo Enzo

Terminata questa fase si procede alla pressatura delle uve il cui

Corazzina, gli enologi Gaspare Catalano e Enrico Stella con

mosto viene vinificato, con percentuali del 30%, insieme al mosto

la consulenza di Giorgio Marone.

fresco, ricavato dalla pressatura delle uve raccolte in sovrammaturazione. Così facendo si avvia la fermentazione alcolica che si protrae per almeno 20 giorni alla temperatura di 18-20°C in tini di acciaio inox da 150 hl, fino all’ottenimento della gradazione alcolica desiderata. Raggiunto questo obiettivo il vino è lasciato riposare, sempre in recipienti in acciaio inox, per 8 mesi, prima di essere imbottigliato e proseguire un ulteriore affinamento di 2 mesi.

Quantità Prodotta 30000 bottiglie l’anno 224

Isola di PANTELLERIA



P laneta Alessio, Francesca, Santi Planeta Non so se Diego Planeta avesse avuto già nella sua mente un disegno prestabilito per il nostro futuro; se così fosse, sarebbe da annoverare fra i più grandi chiaroveggenti della Sicilia! Certamente fu la sua grande passione per la terra, che lo aveva coinvolto, fin dalla giovane età, ad aiutarlo in quel progetto vitivinicolo che alla metà degli anni Ottanta lo indusse a ridisegnare i lineamenti di quest’azienda che ci vede oggi tutti e tre impegnati; fu quella viticoltura così coinvolgente e così universale che lo stregò, fino al punto di dargli la forza per trasferire il suo entusiasmo a tutti quelli che lo circondavano, così da indurre, alcuni fra di loro, come noi, a proseguire la strada da lui tracciata. Sempre con le orecchie tese, con lo sguardo vigile su cosa stava accadendo intorno a lui, sempre pronto a percepire il cambiamento e a prevenirlo con geniali intuizioni o con semplici sfumature migliorative tese a migliorare l’azione intrapresa, così da potersi muovere più agevolmente in quel mercato enologico nel quale operava. Furono quel suo modo garbato di non imporsi mai e il suo esempio forte e deciso a farci da guida quando ci trovammo liberi di decidere le strade da intraprendere per il nostro futuro, consapevoli che le migliori scelte avvengono solo dopo aver avuto più opportunità di discernimento.

ALTRI VINI PRODOTTI I Bianchi: La Segreta Bianco IGT (Grecanico 60%, Chardonnay 20%, Viognier 10%, Sauvignon Blanc 5%, Fiano 5%) I Rossi: La Segreta Rosso IGT (Nero d’Avola 60%, Merlot 20%, Syrah 20%) Burdese IGT (Cabernet Sauvignon 100%) Merlot IGT (Merlot 100%) Syrah IGT (Syrah 100%) Cerasuolo di Vittoria DOC (Nero d’Avola 60%, Frappato 40%)

226

Quando abbiamo iniziato la nostra avventura, nei primi anni ’80, era impensabile che un’azienda agricola siciliana potesse aver bisogno al suo interno di figure professionali come quelle che oggi interpretiamo noi, qui, nell’azienda dei Planeta. Nella quasi totalità, le aziende vitivinicole di allora si presentavano sul mercato o con uve di buona qualità o con vini sfusi venduti a cisterne, e per fare questo non avevano certo bisogno di dover coniugare l’uva o quei vini al marketing o a particolari tecniche di comunicazione. Quelli erano altri tempi, momenti di un’altra Sicilia, forse quella di chi non aveva occhi per guardare e che oggi si meraviglia dei risultati ottenuti da chi ha saputo andare oltre i propri orizzonti. Se non si ha una visione più ampia e non si sa cosa succede al di là dei confini della propria regione, non si può certamente crescere e migliorare, tutt’al più si potrà arrivare a pensare di essere migliore del proprio vicino... Le scelte effettuate da noi Planeta sono sempre state molto accurate, pensate e ragionate; e questo, non solo per costruire un raffronto tecnico enologico con i migliori produttori di Toscana, Francia, California o Australia, cercando di carpire le motivazioni che ne hanno determinato il successo, ma anche per superare quel gap d’immagine di un terroir che ancora oggi questa Sicilia non sa proporre. Sapevamo che non era sufficiente fare degli ottimi vini: dovevamo raggiungere gli stessi alti livelli qualitativi, magari mantenendo anche un buon rapporto qualità-prezzo. Erano i primi anni Novanta; quei vitigni alloctoni come il Merlot, il Cabernet Sauvignon e lo Chardonnay piantati da Diego, stavano raggiungendo un sufficiente grado di maturazione e proprio da quelle uve incominciarono a venir fuori vini che non erano paragonabili a quelli di altre parti del mondo, perché avevano la loro personalità, il loro carattere e nei loro profumi e nella loro salinità vi era il sole e il mare di questa terra: insomma, sapevano e sanno di Sicilia.



P laneta La curiosità suscitata da quei vini ci procurò un grande entusiasmo e confermò che eravamo sulla giusta strada. Furono quei primi successi che ci fecero comprendere quanto l’ampliamento o lo sviluppo di un progetto vitivinicolo dipendesse essenzialmente dagli individui che in esso si impegnano; Planeta necessitava di persone qualificate che ricoprissero ruoli strategici, in possesso di professionalità tali da poter innescare meccanismi tecnici, comunicativi e informativi utili al successo dell’azienda. E quindi cosa ci poteva essere di meglio se non ricercare quelle risorse umane nell’ambito della stessa famiglia? In quegli anni incominciammo a comprendere quale fosse il gusto, il piacere e il significato di fare vino, a capire il fascino che racchiudeva il progettarlo e quali miriadi di varianti interagissero fra di loro per renderlo unico. Ogni singola fase era un percorso mentale e strategico su cui intavolare fra di noi una costruttiva discussione. Ogni cosa dipendeva in gran parte dalle nostre capacità e questo ci entusiasmava: a partire dalla scelta del terreno, dei vitigni e poi su su, fino al minuzioso lavoro svolto in cantina, per finire alla comunicazione che intorno a quel prodotto avremmo dovuto costruire. Un’evoluzione continua, affascinante, unica, che unisce la terra alla mente, l’imponderabilità del tempo alla razionalità del pensiero, in una grande sfida, bella e intrigante, dove sentiamo che le nostre personalità si stanno esprimendo al massimo. È con questo gusto che progettammo d’impiantare il Fiano, un vitigno della zona di Avellino, e rammentiamo ancora come in molti si meravigliarono, prima delle nostre scelte e poi dei risultati che ottenemmo. Con il solito “gusto” decidemmo di dar vita, nelle vicinanze di Noto, al progetto che ci vede impegnati, già da quattro anni, nella valorizzazione dei vitigni autoctoni, e soprattutto nello sviluppo e nella selezione di un Nero d’Avola unico, capace di rappresentarci in modo egregio, divenendo magari anche il nostro fiore all’occhiello. Ancora oggi, con il solito impegno, stiamo costruendo un percorso enologico che vedrà operative quattro diverse aziende, ognuna delle quali posta nelle più interessanti aree vitivinicole della Sicilia: quattro punti cardinali di un continenteisola, capaci di offrire vini diversi e unici; prodotti particolari che fondano la loro tipicità proprio sulla diversità dei terreni da cui provengono, dando al tempo stesso anche l’opportunità, a chi vorrà venire a trovarci in Sicilia, di cimentarsi in un tour enologico di alto valore, storico e ambientale. Noi siamo i Planeta, il “clan” dei Planeta e per noi l’importante è fare cose di rilievo e avere sempre come punto di riferimento standard qualitativi di altissimo livello. Noi sappiamo che per capire cosa c’è da migliorare nella nostra filiera produttiva dobbiamo sempre misurarci con il mercato dei grandi vini del mondo, e non ha importanza se in questi anni, sul nostro esempio, sono nate delle aziende fotocopia della nostra: l’importante è che sempre più persone inizino a comprendere cosa significa progettare un vino, perché è proprio in conseguenza di questi movimenti spontanei che si creano cultura e interesse per il territorio e si agisce per costruire sullo stesso un futuro diverso. Non sappiamo cosa faranno gli altri, sicuramente il clan dei Planeta sa cosa fare nei prossimi vent’anni: certamente continuerà sulla direttrice tracciata prima da Diego e poi da Santi, Alessio e Francesca.

228


C hardonnay

una leggera chiarifica il vino è imbottigliato per un’ulteriore affinamento di altri 4 mesi.

IGT Sicilia

Quantità Prodotta Zona di Produzione

150000 bottiglie l’anno

Lo Chardonnay è una selezione delle migliori uve provenienti dai vigneti Ulmo e Dispensa, di proprietà dell’azienda e posti

Note Organolettiche

sul territorio dei comuni di Menfi e Sambuca di Sicilia.

Vino dal colore giallo oro con riflessi verdi; profumi intensi di frutta esotica matura,

Tipologia dei Terreni

agrumi, vaniglia e note di salmastro. Di gran-

Il vigneto Ulmo si trova su terreni di tessitura media, con sche-

de impatto in bocca, asciutto, elegante, dall’ottima freschezza

letro abbondante costituito da ciottoli, debolmente calcareo e

e sapidità. Lunga la persistenza aromatica.

con frazioni di terreni scuri e vegetali, mentre il vigneto Dispensa si trova su terreni di media profondità, mediamente calcarei con argille miste e grigio-scure, di una tessitura mode-

Prima Annata

ratamente fine dove lo scheletro è poco presente; sono collocati ad un’altitudine compresa tra i 100 e i 250 metri s.l.m. con un’esposizione a nord-ovest.

1994

Uve Impiegate

Le Migliori Annate

Chardonnay 100%

1994 - 1995 - 1996 - 2000

Sistema d’Allevamento

2001 - 2002

Guyot e cordone speronato

Densità di Impianto 3800-4500 ceppi per Ha

Note Il vino raggiunge la maturità dopo 3 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 3 e i 6 anni.

Tecniche di Produzione La vendemmia avviene di solito dal 5 al 15 agosto, seguono poi la pigiadiraspatura, una pressatura soffice e la sedimentazione statica a bassa temperatura con una veloce macerazione sulle bucce che dura 8-12 ore. Terminata questa prima fase, si avvia la fermentazione alcolica alla temperatura di 20°C, per 15 giorni, il 50% in barriques nuove, il 50% in barriques di 1 anno di rovere francese di Allier; qui il vino rimane a maturare 10 mesi,

MENFI

durante i quali subisce periodici bâtonnages. Trascorso questo periodo viene effettuato l’assemblaggio delle partite e dopo 229


C ometa

Quantità Prodotta 30000 bottiglie l’anno

IGT Sicilia

Note Organolettiche

Zona di Produzione

Colore giallo paglierino carico con riflessi

Cometa è una selezione delle migliori uve Fiano provenienti

verdi; profumi molto interessanti di pesca e

dai vigneti Dispensa e Gurra, di proprietà dell’azienda e posti

agrumi, con note minerali e di spezie dolci. In

sul territorio del comune di Menfi.

bocca risulta di spessore e grande struttura, avvolgente ed equilibrato con una forte concentrazione fruttata; al retrogu-

Tipologia dei Terreni

sto è molto lungo e persistente.

Il vigneto Dispensa si trova su terreni di media profondità, mediamente calcarei con argille miste e grigio-scure, di una

Prima Annata

tessitura moderatamente fine dove lo scheletro è poco presente, mentre il vigneto Gurra si trova su terreni calcarei e molto argillosi; sono collocati ad un’altitudine di 100 metri s.l.m. con

2000

un’esposizione a nord-ovest.

Uve Impiegate

Le Migliori Annate

Fiano 100% 2000 - 2001

Sistema d’Allevamento Cordone speronato

Note La cometa è uno degli elementi dello stemma di famiglia. Il

Densità di Impianto

vino raggiunge la maturità dopo 3 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 3 e i 6 anni.

4500 ceppi per Ha

Tecniche di Produzione La vendemmia avviene a partire dall’ultima settimana di agosto; seguono poi la pigiadiraspatura, una pressatura soffice e la sedimentazione statica con una veloce macerazione sulle bucce che dura 10 ore a bassa temperatura. Terminata questa fase si procede alla soffice pressatura delle vinacce e si avvia il mosto sulle fecce alla fermentazione alcolica che si protrae per 20 giorni, il 50% in vasche di acciaio inox alla temperatura di 15°C, il 50% in barriques nuove di rovere francese di Allier alla temperatura di 20°C. Effettuata la fermentazione, il vino continua a maturare negli stessi recipienti per altri 5 mesi, prima di essere assemblato, chiarificato e imbottigliato per un ulteriore affinamento di altri 4 mesi. 230

MENFI


Santa Cecilia

Quantità Prodotta 100000 bottiglie l’anno

IGT Sicilia

Note Organolettiche

Zona di Produzione

Colore rosso porpora con riflessi violacei; al naso

Santa Cecilia è una selezione delle migliori uve Nero d’Avola

rivela profumi complessi di confettura di frutta

provenienti dal vigneto Ulmo posto sul territorio del comune di

rossa, nocciola, spezie, liquirizia e tabacco; otti-

Sambuca di Sicilia (Ag) e del vigneto Buonvini, posto sul terri-

ma la struttura in bocca, morbido ed equilibrato; molto lunga la

torio del comune di Noto (Sr) entrambi di proprietà dell’azienda.

persistenza aromatica con nuances minerali sul lungo finale.

Tipologia dei Terreni

Prima Annata

Il vigneto Ulmo si trova su terreni di tessitura media, con scheletro abbondante costituito da ciottoli, debolmente calcareo e con frazioni di terreni scuri e vegetali, mentre il vigneto Buonvini si

1997

trova su terreni molto calcarei, dalla tessitura fine con frazione argillosa di colore chiaro, con scheletro abbondante e di piccole dimensioni; entrambi sono collocati ad un’altitudine compresa

Le Migliori Annate

tra i 200 e i 250 metri s.l.m. con un’esposizione a nord-ovest.

1997 - 2000 - 2001

Uve Impiegate Nero d’Avola 100%

Note Sistema d’Allevamento Cordone speronato

Il nome del vino è parte del cognome dei produttori: Planeta di Santa Cecilia. Raggiunge la maturità dopo 4-5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione dovrebbe essere compreso fra i 5 e gli 8 anni.

Densità di Impianto 3800-5000 ceppi per Ha

L’ Azienda Le aziende, di proprietà della famiglia Planeta si sviluppano su

Tecniche di Produzione

quattro territori dell’isola: Sambuca di Sicilia, Menfi, Noto e Vittoria. La superficie complessiva è di 600 Ha, di cui 350 vita-

Dopo la vendemmia, che avviene a partire dal

ti e 80 dedicati all’olivicoltura. Collabora in azienda come

20 settembre, si avvia la fermentazione alcolica

agronomo ed enologo Carlo Corino.

che dura 12 giorni alla temperatura di 28°C in recipienti di acciaio inox da 150 hl., mentre contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, si protrae anch’essa per 12 giorni. Terminata questa fase al vino viene fatta effettuare la fermentazione malolattica in barriques nuove di rovere francese di Allier, dove il vino rimane 12 mesi per la maturazione, a cui segue l’imbottigliamento e un ulteriore affinamento di altri 6 mesi.

NOTO

231




Pollara Vincenzo, Lea e Pippo Pollara “Figghiu miu, a ghiri a sturiari, p’aviri un pezzu di carta e ghiritinni a travagghiari n’ta l’ufficiu, o’ municipiu, a’ banca, o’ cuntinenti, un ciagghiri a travagghiari n’campagna... n’campagna si travagghia e a vita è dura” (“Figlio mio, devi andare a studiare, per avere un pezzo di carta e andartene a lavorare in ufficio, in comune, in banca o al Nord, ma tu non devi andare a lavorare in campagna, lì si fatica e la vita è dura...”). La campagna, vissuta come ultima opportunità di sostentamento, come rifugio dei disperati e degli stolti, dove è risaputo che sotto il padrone si hanno infinite tribolazioni e pochi denari. Chi ha letto Il Gattopardo di Tomasi Di Lampedusa, sa bene di che cosa stiamo parlando. Le cose da allora non sono poi cambiate molto.

ALTRI VINI PRODOTTI I Bianchi: Principe di Corleone Alcamo Bianco DOC (Catarratto 80%, Damaschino 20%) Principe di Corleone Inzolia Bianco IGT (Inzolia 100%) I Rossi: Principe di Corleone Nero d’Avola IGT (Nero d’Avola 100%)

234

Quei racconti che coinvolgevano il principe di Salina sembrano perdersi nell’immagine di una Sicilia lontana, ma non è così: guardandosi intorno, le cose non sono poi così mutate da allora qui a Corleone, come del resto in gran parte della Sicilia. Qui la terra è vissuta da molti con disprezzo, con rifiuto e con sufficienza o distacco e non sappiamo se questi atteggiamenti dipendano dal fatto che, chi non ne ha e non ne ha mai avuta, non riesce a dare alla terra il suo valore o non riesce ad attribuirle quel giusto significato sociale, storico, imprenditoriale che nei secoli ha sempre ricoperto su quest’isola, anzi... In quel rifiuto vi è, indubbiamente, sia la volontà di scostarsi il più possibile, non solo dai valori che la terra rappresenta, ma anche da quel passato, duro e difficile, con il quale sicuramente tutti a Corleone si devono confrontare; un passato nel quale hanno avuto almeno un nonno, se non addirittura il padre, che dalla terra ha tratto, con fatica, la sopravvivenza della propria famiglia. Rispetto alle altre zone della Sicilia, qui, su queste alture di Corleone, tutto è ancora più amplificato e sembra complicarsi per chi vuole fare imprenditoria agricola. In questa terra si difende cocciutamente l’ettaro sul quale da vent’anni non si semina più niente, per paura che qualcun altro vi si arricchisca o si guardano in cagnesco tutti coloro che cercano di allargare i propri orizzonti; qui non è facile niente, tanto meno determinare le cause per le quali, nelle nuove generazioni non si sia radicato il millenario rapporto che lega l’uomo alla terra. Non sappiamo se a ciò abbiano contribuito le memorie storiche di chi, lavorando in campagna sotto il “padrone”, non ha mai visto gratificato il proprio sudore; non capiamo quanto l’assistenzialismo, perpetuato per anni con altri fini, abbia orientato le nuove generazioni verso facili guadagni, per cui oggi molti si trovano “parcheggiati” in un limbo produttivo, fuori da qualsiasi schema economico di mercato, e dal quale certamente non potranno sentirsi perennemente protetti. Anche l’immagine di Corleone all’inizio non è che ci abbia poi fornito un grande aiuto nella promozione dei nostri vini... Nell’immaginario collettivo questa è la terra del “Padrino”, una raffigurazione cinematografica nella quale per anni i mass-media di tutto il mondo hanno sguazzato; una rappresentazione con stereotipi distanti dalla realtà, come quello del contadino che a cavallo del suo ciuccio, con la coppola in testa,



Pollara colorava con la sua presenza la campagna corleonese, accompagnato, in quel suo proseguire ondeggiante, dalle musiche di Nino Rota. Con fatica le cose stanno cambiando, anche a sèguito di tutto il fervore imprenditoriale che si respira sull’isola. In questa zona crediamo che fra i promotori di questo fervore si debba nominare nostro padre Leoluca, che ha saputo testardamente proseguire la nostra tradizione familiare di vignaioli, ha voluto orgogliosamente ampliare i nostri orizzonti e intelligentemente stimolare ognuno dei suoi tre figli, affinché si impegnasse, con le sue specifiche competenze professionali, in questa cantina del “Principe di Corleone”. Sempre attivo, sempre attento ai cambiamenti degli usi e dei costumi, fino al punto di aprire, nel 1990, uno dei primi agriturismi della Sicilia, una struttura che ancora oggi conduce in modo egregio, con nostra madre, con il piglio di un ventenne e la saggezza di un settantaseienne. È la nostra scuola di vita, è un insegnamento costante, forte; lui è un uomo che ancora oggi ci stimola, non ci fa mai abbassare la guardia e ci aiuta a lavorare in armonia, affinché ogni singola nostra personalità possa contribuire a far crescere quello che lui ha seminato. Ci ha insegnato a guardare avanti, a considerare l’impegno lavorativo come la cosa più importante, ci ha insegnato a comprendere che solo con i sacrifici si ottengono i risultati e a fregarcene se gli altri alle cinque del pomeriggio se ne stanno gia al bar del paese a disquisire su quella cosa o sul chi... o sul come... “U viristi chi fici Don...?”, “... U sintisti chi ci rissi?” (“Hai visto che ha fatto Don…?”, “...Hai sentito che ci disse...?”). Tutti discorsi che lasciano il tempo che trovano. Noi siamo fiduciosi e ci sembra che la musica qui in Sicilia stia cambiando e ci auguriamo che sia una musica utile per questa terra, che ha solo bisogno di cose concrete, come lo è la cantina “Principe di Corleone”. È la scommessa con la vita fatta da noi tre fratelli Pollara, che abbiamo creduto e crediamo ancora fortemente che il vino siciliano possa ritornare ad essere, così come lo è stato per migliaia di anni, un valido strumento di crescita per quest’angolo di Sicilia.

236


Principe di Corleone Cabernet Sauvignon

Quantità Prodotta 40000 bottiglie l’anno

IGT Sicilia

Note Organolettiche

Zona di Produzione

Dal colore rosso rubino molto concentrato, il

Principe di Corleone Cabernet Sauvignon è una selezione

vino rivela al naso profumi piuttosto persi-

delle migliori uve provenienti dai vigneti di proprietà dell’a-

stenti di frutta rossa matura, spezie e note di

zienda e posti sul territorio del comune di Monreale, nella

liquirizia. Al palato risulta di grande corpo, con tannini evi-

zona di produzione della Doc omonima.

denti e discreta complessità. Nuances di vaniglia sul lungo finale.

Tipologia dei Terreni I vigneti si trovano su un terreno di medio impasto tendente

Prima Annata

all’argilloso ad un’altitudine di 350 metri s.l.m., con un’esposizione a nord.

1996

Uve Impiegate Cabernet Sauvignon 100%

Le Migliori Annate Sistema d’Allevamento

1998 - 2000

Spalliera

Densità di Impianto 4000 ceppi per Ha

Note Il vino raggiunge la maturità dopo 3-4 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 4 e i 10 anni.

Tecniche di Produzione

L’ Azienda

Dopo la vendemmia, che avviene di solito a

L’azienda agricola appartiene dal 1959 a Pippo, Vincenzo e Lea

partire dal 25 agosto, si avvia la fermentazio-

Pollara. Si estende su una superficie complessiva di 54 Ha, di

ne alcolica che si protrae per 18-20 giorni alla

cui 45 vitati e 1 dedicato all’olivicoltura. Il restante territorio

temperatura compresa tra i 24 e i 28°C in tini di acciaio inox.

vede la presenza di colture promiscue.

Contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce

Svolge le funzioni di agronomo ed enologo Vincenzo Pollara.

che, coadiuvata da tecniche di délestage, dura 12-14 giorni. Sempre nei recipienti di acciaio inox il vino effettua la fermentazione malolattica, quindi viene messo in barriques di rovere francese di Allier dove rimane 12 mesi per la maturazione. Trascorso questo periodo, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 6 mesi.

CORLEONE

237


Pupillo Antonino Pupillo

ALTRI VINI PRODOTTI I Bianchi: Cyane IGT (Moscato bianco 100%) I Rossi: Re Federico IGT (Nero d’Avola 85%, Cabernet Sauvignon 15%)

238

Ricordo che all’imbrunire io e mio padre ci sedevamo qui a Targia sotto il grande ficus e, pur essendo alla fine della sua lunga giornata lavorativa, trascorsa fra mille impegni e pur dando evidenti segni di stanchezza, Sebastiano trovava spesso il tempo di raccontarmi delle belle storie che molte volte ricalcavano la vita o le avventure di qualche nostro antenato. La sua gioviale e convincente narrativa attingeva alle sue memorie e coinvolgeva le mie fantasie e ricordo che l’ascoltavo, affascinato dal suo modo di esporre le cose. Spesso quei suoi racconti mi seguivano anche dopo cena, in camera mia, sotto quelle lenzuola che mi vedevano sprofondare in lunghi sonni pieni di sogni che al mattino si dissolvevano nel nulla. Quei racconti avevano il fascino e la concretezza di farmi sentire crescere l’orgoglio di essere un membro della famiglia Pupillo, ma con l’orgoglio crescevano anche le responsabilità e sempre più diveniva chiaro il significato di parole come il possesso e il dovere, la correttezza, l’onestà e il rispetto, tutte doti che creavano un distinguo fra mio padre Sebastiano e gli altri uomini che conoscevo. In tutti quei racconti e in quegli aneddoti vi erano delle bellissime storie che io ascoltavo con curiosità. Era chiaro che secondo lui io dovevo, non solo apprendere la storia della famiglia tramite la tradizione orale, ma anche capire la vita attraverso gli eventi del passato. Ogni tanto mi piaceva farmi raccontare la storia di Don Sebastiano Antonio Pupillo, un mio avo, il quale a metà dell’Ottocento aveva avuto una bellissima storia d’amore con la baronessa Eloïsa Barresi, poi diventata sua moglie. Una bellissima e giovane nobildonna siciliana che s’innamorò pazzamente di Don Sebastiano, che si dice fosse anch’esso un bellissimo ragazzo, e da questi si lasciò rapire, di notte, su un cavallo bianco, realizzando una “fujatina” siciliana, alla quale poi le famiglie si trovarono costrette a porre immediatamente rimedio. Mentre i racconti di mio padre proseguivano, il viale di Targia si popolava sempre più degli uomini che, dopo essere tornati dai campi ed essersi lavati e rifocillati, insieme alla famiglia si mettevano fuori di casa, al fresco, a fumare o a chiacchierare con i vicini, mentre i loro figli, quelli che durante la giornata erano stati i miei compagni di giochi, chiassosamente popolavano le ombre sempre più nere della sera. Nell’azienda vivevano quasi cento famiglie e Targia a quei tempi assomigliava a un piccolo paese, dove si percepiva un’atmosfera magica da cui tutti si allontanavano mal volentieri. Noi ragazzi attendevamo la fine della scuola, che si trovava anch’essa all’interno della fattoria, per dare libero sfogo al nostro desiderio di vivere un po’ più da vicino quella libertà notturna, anelata per tutto l’inverno. Era in una di quelle splendide serate d’inizio estate, a fine maggio, proprio nel giorno dell’Ascensione, che si svolgeva la Festa della famiglia di Targia. Era la festa che aveva voluto mio padre, personaggio positivo, affascinante e assolutamente affabile. Ai mille colori delle bouganvilles faceva da contorno il vocìo stanco dei contadini che, a sera, vivevano il viale che conduceva al nostro castello come una seconda casa. In questa occasione tutte le famiglie erano chiamate a ritrovarsi intorno al fuoco per mangiare, insieme con il Barone mio padre, i prodotti della campagna, i capretti, i galletti alla brace, i biscotti fatti in casa e… vino, tanto vino.



Pupillo Un momento di solenne convivialità che vedeva tutti seduti intorno a un grande e lungo tavolo e anche noi ragazzi stavamo compitamente a tavola fino alla fine della cena. Era la festa degli operai e la loro festa doveva essere rispettata da tutti, a partire dalla mia famiglia che, con a capo mia madre, si adoperava affinché tutto riuscisse nel migliore dei modi: falò che si accendevano, carni che si cuocevano lentamente al fuoco, pifferi che suonavano, nenie e ninne nanne che qua e là riempivano gli attimi dei silenzi, mentre il vino scorreva felicemente fra i commensali. Momenti splendidi di un’adolescenza che ricordo sempre piacevolmente. Erano atmosfere emozionanti, magiche, e gli stessi attori, personaggi di quell’opera popolare, erano unici e siciliani veri. Dopo gli studi alla facoltà di Agraria di Pisa compresi che non si sarebbe potuto continuare a sostenere l’impegno verso la campagna solo dal punto di vista del semplice mantenimento della proprietà; la terra, come del resto in altre parti d’Italia, poteva e doveva dare reddito e facendo mio questo principio cercai delle soluzioni alternative che potessero aiutarmi a ridare stimolo a Targia. Ritenevo che alla lunga ortaggi e agrumeti non fossero sufficienti da soli a quell’auspicato rilancio; io volevo dare una forte caratterizzazione al territorio di Targia e pensai che la viticoltura fosse un mezzo per raggiungere il mio scopo. Ricordo volentieri quelle lunghe chiacchierate che seguirono al primo incontro con il vecchio Carlo Hauner; esse furono per me decisive e mi convinsero che la viticoltura poteva essere una strada giusta per ridare a questo luogo lo splendore dei tempi passati. Nel 1992, fra le numerose scelte enologiche che avrei potuto intraprendere, decisi di ridare vita alla DOC del Moscato di Siracusa, una denominazione d’origine che, pur essendo stata costituita nel 1973, non aveva mai visto nascere un solo bicchiere di vino regolamentato da quel disciplinare. Sono passati appena dieci anni e penso di aver intrapreso la strada giusta, visti anche i risultati che incominciano ad arrivare, e spero proprio con essi di poter riportare Targia ai vecchi splendori, così da ricominciare quanto prima a fare “la Festa delle famiglie” che mi piaceva molto.

240


Pollio

Quantità Prodotta 10000 bottiglie l’anno

Moscato di Siracusa DOC

Note Organolettiche

Zona di Produzione

Il vino si presenta di un bel colore giallo

Pollio è una selezione delle migliori uve di Moscato bianco

ambrato; i profumi sono intensi e variegati, in

provenienti dai vigneti di proprietà dell’azienda situati sul ter-

prevalenza di frutta candita, confettura di

ritorio del comune di Siracusa, nella zona di produzione del-

albicocche con note di vaniglia e cannella; in bocca è morbi-

l’omonima Doc.

do, molto aromatico, abbastanza sapido ed equilibrato.

Tipologia dei Terreni

Prima Annata

I vigneti si trovano su terreni calcarei a livello del mare con un’esposizione a nord-est.

1997

Uve Impiegate Moscato bianco 100%

Le Migliori Annate Sistema d’Allevamento

2000 - 2001

Spalliera

Densità di Impianto 4000 ceppi per Ha

Note Il vino prende il nome da Pollio, il re degli Argivi che governò a Siracusa prima dell’arrivo dei Romani. Egli aveva portato dalla Tracia un’antichissima vite dalla quale si produceva un

Tecniche di Produzione Le uve, vendemmiate con una leggera sovra-

vino “dolce, di grato odore e soavissimo”. Il vino raggiunge la maturità dopo 3 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 3 e i 6 anni.

maturazione, già a partire dai primi di agosto, vengono pressate in modo molto soffice e il mosto ottenuto, a contatto sulle fecce, viene portato ad una temperatura di 0°C per 12 ore; dopo aver effettuato una prima chiarifica, si procede alla fermentazione alcolica del vino che si protrae per 7 giorni alla temperatura controllata di 14°C in recipienti di acciaio inox termo-condizionati. Terminata questa prima fase, il vino viene messo a riposare in tini di acciaio termo-condizionati a 14°C per 3-4 mesi e, dopo una leggera chiarifica, è imbottigliato per un ulteriore affinamento di 3 mesi. SIRACUSA

241


S olacium

Note Organolettiche Bel colore giallo dorato con brillanti riflessi ambrati; al naso colpiscono sentori netti e

Moscato di Siracusa DOC

Zona di Produzione Solacium è una selezione delle migliori uve di Moscato bianco pro-

puliti di fichi secchi, confettura di albicocche, miele, con note di spezie dolci e fiori. All’esame gustativo risulta dolce, caldo, morbido, abbastanza fresco e sapido; equilibrato e di grande persistenza aromatica al retrogusto.

venienti dai vigneti di proprietà dell’azienda situati sul territorio del comune di Siracusa, nella zona di produzione dell’omonima Doc.

Prima Annata

Tipologia dei Terreni I vigneti si trovano su terreni calcarei a livello del mare con

1997

un’esposizione a nord-est.

Uve Impiegate

Le Migliori Annate

Moscato bianco 100% 2001 - 2002

Sistema d’Allevamento Spalliera

Note Il vino prende il nome dal castello, cuore dell’odierna azienda,

Densità di Impianto 4000 ceppi per Ha

fatto costruire da Federico II di Svevia e che veniva definito Solacium della Targia. Raggiunge la maturità dopo 3-4 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 4 e gli 8 anni.

Tecniche di Produzione Dopo la vendemmia, che avviene di solito dopo

L’ Azienda

la metà di agosto, con uve in sovrammaturazio-

L’azienda Agricola Pupillo, di proprietà della famiglia Pupillo

ne e in parte appassite dal residuo zuccherino di

dal 1908, si estende su una superficie complessiva di 140 Ha,

oltre 100g/litro, si procede alla pressatura e il mosto ottenuto,

di cui 18 vitati, 5 dedicati all’olivicoltura e oltre 100 destinati

posto a contatto sulle fecce, viene portato a una temperatura di

alla coltivazione di ortaggi precoci.

0°C per 12 ore; quindi si effettua una prima chiarifica e si proce-

In azienda l’agronomo è lo stesso Antonino Pupillo, l’enologo

de immediatamente dopo alla fermentazione alcolica del vino

è Antonino Tranchida.

che si protrae per 7 giorni alla temperatura controllata di 14°C in recipienti di acciaio inox termo-condizionati. Terminata questa fase, il vino viene posto a riposare in tini di acciaio termo-condizionati a 14°C per 3-4 mesi e dopo una leggera chiarifica è messo in bottiglia dove subisce un ulteriore affinamento di 3 mesi.

Quantità Prodotta 18000 bottiglie l’anno 242

SIRACUSA



R allo Andrea Vesco Venendo da una dimensione temporale “cattolica”, quasi sempre siamo portati a vivere in modo diverso il tempo, rispetto a chi, pagano, con la terra ha un rapporto più intenso. Questi, più di altri, si trovano a vivere una visione più circolare. Per noi il tempo è lineare e in questa sua linearità gioca un ruolo importante la fede, che in ogni caso ci pone davanti ad un inizio e ad una fine. È proprio questo paradigma che ci trova poco sensibili alla ritmicità della natura e alla ciclicità legata alla terra, alla campagna, alle tradizioni, alle usanze e alle credenze popolari che accompagnano il lavoro nei campi. È nel lavoro della terra che l’uomo diventa artefice, interprete vitale e non solo semplice spettatore del tempo in cui è stato generato. Chi vive l’anno agricolo si trova a fare dei calcoli che determinano le semine e i raccolti secondo periodi ciclici in un perpetuo e reiterato ripetersi e rigenerarsi all’infinito.

ALTRI VINI PRODOTTI I Bianchi: Carta d’Oro Alcamo DOC (Catarratto 100%) Vesco Bianco IGT (Chardonnay 50%, Inzolia 50%) Gruali IGT (Grillo 100%) I Rossi: Nero d’Avola IGT (Nero d’Avola 100%) Vesco Rosso IGT (Cabernet Sauvignon 50%, Nero d’Avola 50%) Alaó IGT (Nero d’Avola 100%)

244

Terminati gli studi di filosofia, dopo aver valutato diverse opzioni, m’iscrissi a un master di marketing aziendale. Devo ammettere che all’inizio degli anni Novanta il mio approccio con il mondo del vino era ancorato solo a quei piacevoli ricordi che mi riconducevano all’azienda di famiglia, ad Alcamo, dove, tra le frequenti apparizioni fra le vigne e gli insegnamenti di mio nonno Andrea, imparai ad apprezzare il lavoro, la vite ed il vino. Devo dire anche che un’altra persona contribuì alla mia “iniziazione” enologica e costui fu Enzo Fazio delle cantine Fazio. Quando poi nel 1996 la mia famiglia, nella persona di mio zio Francesco, rilevò quest’azienda, si trovò di fronte a una situazione tutt’altro che facile; oltre agli immobili e a un marchio storico, ormai dall’immagine obsoleta, non esisteva nient’altro: né una pressa, né un torchio. Dovendo ricominciare tutto quanto da zero, Francesco ritenne che io, suo nipote, di poco più giovane di lui, potessi essere una buona spalla insieme a cui affrontare la scommessa che aveva deciso di vincere. Fu così che, richiamato da Milano, entrai definitivamente nel mondo del vino. Oggi mi confronto quotidianamente con le mille sfaccettature che questo universo racchiude, studiando ora quali possano essere le strategie da attuare nell’azienda agricola di famiglia per migliorare la produzione, ora operando insieme a tecnici qualificati all’interno delle cantine Rallo per migliorare, nella massima semplicità, quello che arriva dalla terra. In poco tempo siamo riusciti a ritornare completamente operativi. E non è stato semplice. Ho riconvertito in biologico gli oltre settanta ettari di vigneto di nostra proprietà; abbiamo installato nelle cantine sistemi tecnologicamente all’avanguardia nel controllo delle temperature e dell’ossigeno, al fine d’intervenire chimicamente il meno possibile nelle singole fasi produttive di trasformazione. Abbiamo affrontato impegni economici di rilievo e molti rischi imprenditoriali, anche sotto l’aspetto dell’attendibilità di una leadership messa a rischio davanti ai propri collaboratori, proprio per le scelte particolari, applicate nelle vigne e in cantina, in una Sicilia dove “il nuovo” è sempre visto con diffidenza.



R allo Parole e ancora parole, spese per convincere le vecchie maestranze a compiere gesti inusuali, apprensione per la produzione: tutto questo ti pone sotto la stretta osservazione di chi, per decenni, ha fatto in modo diverso e ora è lì, pronto ad aspettare che tu raccolga solo muffa. Forse sarà per la mia giovane età, ma comunque sento forte il peso di questo confronto generazionale, nonostante sia convinto che la strada intrapresa è l’unica percorribile e senta forte il bisogno di appagare il desiderio di tutela e di salvaguardia dell’ambiente che mi circonda. Anche io sento di essermi già appassionato ai ritmi che regolano i tempi della campagna, perché mi stimola quel loro ciclico ripetersi che mi consente di poter intervenire e agire, così da chiudere ogni anno il cerchio operativo che da una vendemmia conduce a un’altra vendemmia. Da un dottorato di ricerca alla Facoltà di Filosofia alla produzione di vino il salto è enorme e posso assicurare che non è stato semplice; oggi però mi trovo bene, mi piace quello che faccio e cerco d’interpretare il mio ruolo, non solo attraverso i numeri e le strategie di marketing, ma anche attraverso un più stretto contatto con la terra e con i suoi ritmi, grazie al mio desiderio di misurarmi con uomini e cose. Una filosofia di vita che mi conduce a osservare attentamente tutto quello che mi succede intorno così da poter disegnare il cerchio del mio tempo.

246


Marsala vergine Soleras Riserva

Note Organolettiche Colore giallo oro con riflessi ambrati. Al naso offre note di frutta secca, liquirizia e catrame.

Bianco Secco Liquoroso DOC

Zona di Produzione

In bocca è asciutto, caldo perfettamente equilibrato; lungo e persistente al retrogusto.

Marsala vergine Soleras Riserva è una selezione delle migliori uve Grillo, Catarratto e Inzolia provenienti dai vigneti di

Prima Annata

proprietà dell’azienda posti sul territorio del comune di Marsala.

Rallo iniziò la propria attività nel 1860

Tipologia dei Terreni I vigneti si trovano su terreni argillosi e franco-sabbiosi ad

Le Migliori Annate

un’altitudine media di 150 metri s.l.m. con un’esposizione in prevalenza a ovest.

Non essendo un millesimato, è un vino che

Uve Impiegate

esula dai classici parametri dei Vintage, per cui diventa impossibile stabilirne le migliori annate.

Grillo 70%, Inzolia 20%, Catarratto 10%

Sistema d’Allevamento

Note Plateau di maturazione compreso fra i 20 e i 30 anni.

Alberello e controspalliera

L’ Azienda

Densità di Impianto

L’azienda, di proprietà della famiglia Vesco dal 1996, si esten-

2500 ceppi per Ha

de su una superficie complessiva di 70 Ha, di cui 60 vitati. Collaborano in azienda l’agronomo H. Tsolakis e l’enologo

Tecniche di Produzione

Gaspare Vinci.

Dopo la vendemmia, che avviene dalla fine di agosto alla metà di settembre, si avvia la fermentazione alcolica che si protrae per 15 giorni circa alla temperatura di 16°C in recipienti di acciaio inox. Terminata la fermentazione il vino viene alcolizzato e trasferito nelle botti di rovere dove rimarrà a invecchiare per almeno 20 anni. Prima dell’imbottigliamento il vino subisce due chiarifiche e un filtraggio brillantante. L’affinamento in bottiglia dura circa 3 mesi. MARSALA

Quantità Prodotta 6000 bottiglie l’anno

247


S ettesoli Diego Planeta Quando nacqui, quinto di sette figli, ero sicuramente predestinato ad avere un futuro ben preciso che prevedeva o un mio impegno nella campagna, oppure, sulla base del mio nome, Diego, voluto espressamente dalla nonna Francesca e appartenuto a un mio avo Arcivescovo di grande lustro, un’eventuale carriera ecclesiastica. Nel mio futuro non vi è stata nessuna veste purpurea, ma, come si usava qui in Sicilia, assieme ai mobili meno buoni, alle carrozze vecchie e alle cose più “scarse”, mi toccò una vita da semplice amministratore delle proprietà terriere della famiglia Planeta. Qui da noi la campagna a quei tempi era vista come un luogo non bello da vivere, era un luogo dove si andavano a espiare le proprie sofferenze e le proprie colpe o, tutt’al più, vi si trascorreva giusto il tempo per ritirare le gabelle dovute e scapparne subito dopo. Quella era l’epoca in cui la nobiltà difendeva la proprietà in termini sia di riforma agraria, sia di banditismo e il motto prevalente era “resistere” contro tutto e contro tutti. Della produzione si occupavano i “gabellotti”, i mezzadri, mentre l’obiettivo delle baronìe era solo quello di resistere e nulla più. Io credo di essere riuscito in questo obiettivo affidatomi più di cinquant’anni fa e del mio operato ne sono testimonianza le proprietà che, oggi come allora, determinano i nostri possedimenti. Ricordo che nel 1959 fui mandato proprio a occuparmi di tutto questo, ma non era facile farlo; basti pensare che per venire da Palermo a Menfi ci volevano tre ore buone di macchina, mentre per percorrere “l’infinito tragitto” per andare a Vittoria occorrevano almeno sei ore. In quei lunghi spostamenti spesso riflettevo su ciò che stavo facendo e pensavo che dovevo essere stato proprio considerato il meno buono di tutti i miei fratelli se mi era toccato un simile destino e deducevo che forse, per la mia famiglia, quello di demandarmi all’amministrazione della campagna era stato gioco forza: lì forse avrei arrecato meno danno che da altre parti! Certo, a vent’anni non ci volle poi molto per appassionarmi a ciò che stavo facendo: spazi aperti, autonomia... Ma vi era anche un interessante rovescio della medaglia e fu proprio in conseguenza di questo che, dopo essermi diplomato in Enologia, decisi d’iscrivermi alla facoltà di Agraria.

I Bianchi: Mandrarossa Chardonnay IGT (Chardonnay 100%) Mandrarossa Fiano IGT (Fiano 100%) Mandrarossa Grecanico IGT (Grecanico 100%)

Mentre mi occupavo principalmente della proprietà di Vittoria, la situazione nella zona di Menfi stava precipitando; eravamo alla metà degli anni Sessanta e la commercializzazione del vino Marsala ebbe un crollo pauroso, trascinandosi dietro tutta l’economia dell’area del trapanese, la quale cadde in una crisi profonda che causò lo spopolamento delle campagne e l’emigrazione di gran parte delle forze produttive della zona. Le uve rimanevano nei filari, il vino non si vendeva più e come reazione a tutto questo e forse come ultimo disperato tentativo di non abbandonare la terra, nacque un patto, voluto fortemente da mio padre Vito, che sanciva la nascita fra i produttori di una cooperativa che vede oggi più di 2300 soci.

I Rossi: Mandrarossa Merlot IGT (Merlot 100%)

Quello fu un patto storico per la terra di Sicilia sulla quale da sempre vige la cultura del “dire” più che quella del ”fare”.

ALTRI VINI PRODOTTI

248



S ettesoli Ricordo che quelli erano momenti di forte tensione sociale tra i produttori, i grandi latifondisti e i piccoli “coltivatori diretti”, tra i braccianti e i mezzadri, tra comunisti e anticomunisti e in mezzo a tutto questo il “barone”, mio padre, non è che poi fosse visto in maniera molto popolare. Di fatto, però, a Menfi si costruì un fortissimo blocco fra chi era riuscito a sopravvivere alla grande crisi. Per la mia piccola esperienza di enologo fui chiamato prima a collaborare e dopo, passati pochi anni, a prendere le redini di quella cooperativa che tengo ormai fra le mie mani da oltre trent'anni. Man mano che vivevo la realtà e avendo anche allargato i miei orizzonti peregrinando un po’ per il mondo, mi resi conto che qui in Sicilia la cultura del vino era inesistente. Mi accorsi che qui mancava, come del resto tutt’oggi ancora manca, una cultura enologica propria, quella capace di costruire un distinguo, una caratterizzazione precisa del “prodotto Sicilia”. A quei tempi gli unici enologi che circolavano per le cantine erano quelli del nord, che ebbero sì il merito di rendere bevibili i nostri vini, ma facendo ciò li “denudarono” di tutte quelle peculiari caratteristiche che il sistema pedoclimatico di questa terra sa conferire a qualsiasi produzione agricola. Era chiaro che dovevamo andare oltre e cambiare, perché da questo dipendeva la nostra sopravvivenza e per ottenerla era necessario smettere di lavorare nella cantina e incominciare a capire le potenzialità di questa vigna di Sicilia e con essa acculturare gli uomini che la coltivavano. Era necessario incominciare a parlare di terroir a tutti, responsabilizzando ogni elemento della folta schiera dei soci. Dovevamo comprendere che il potenziale produttivo che avevamo in mente di raggiungere, oggi raggiunto, ci avrebbe indotto a raffrontarci non più con la Puglia o con la Toscana, ma con l’Australia, la California o il Cile. Erano quelli i nostri mercati di riferimento, quelli dei grandi numeri, che bisogna saper guardare negli occhi e saper interpretare per non lasciarsi né intimorire, né escludere. Per fare questo era necessario lavorare in autonomia e troncare qualsiasi rapporto con chi aveva interessi a finanziare operazioni d’altro genere. Non fu facile far comprendere ai soci quanto fosse deleterio il confidare nei facili guadagni che dava la distillazione; quei finanziamenti sarebbero prima o poi finiti, e dopo? Così è stato, ma se si deve dare un merito a quei finanziamenti questo va ricercato nel modo in cui gli stessi hanno contribuito al sostentamento di un’economia agricola storicamente fragile; la loro colpa maggiore è però di averlo fatto forse per troppo tempo, arrivando così a rendere l’imprenditoria agricola ancora più debole nei confronti del mercato, quindi facilmente attaccabile e incline a essere controllata con meccanismi talvolta non troppo trasparenti di sussistenza e sudditanza politica. Dopo trent’anni devo assicurare che i risultati si incominciano seriamente a vedere, non solo all’interno della cantina, ma su tutto il territorio di Menfi che ha compreso che la Cantina Settesoli è un patrimonio da difendere al pari del territorio dove la stessa attinge le uve. Oggi vedo con soddisfazione che all’interno dell’area produttiva siciliana vi è una grande euforia e una rinnovata effervescenza imprenditoriale; forze nuove, giovani promettenti che si stanno affacciando intelligentemente sul mercato e per i quali mi auguro grandi riconoscimenti. L’unica mia perplessità è che questi giovani non si facciano ubriacare dal vino, poiché non li vedo attenti all’osservazione della storia enologica di questa terra che invece potrebbe illuminarli. Una cronistoria piena di troppi alti e bassi per lasciarsi andare a facili ottimismi, momenti di un passato neanche molto lontano che meritano almeno una riflessione attenta, perché possono fornire un valido insegnamento, sia per non lasciarsi trasportare dall’euforia, forse più dannosa delle stesse crisi, sia per non farsi deprimere dai primi insuccessi.

250


Mandrarossa Bendicò

Quantità Prodotta 62000 bottiglie l’anno

IGT Sicilia

Note Organolettiche

Zona di Produzione

Colore rosso rubino tendente al granato; pro-

Mandrarossa Bendicò è un blend delle migliori uve Nero

fumi intensi di frutta rossa matura e note di

d’Avola, Merlot e Syrah provenienti dai vigneti di proprietà dei

tabacco, spezie e cacao. Al palato risulta di

soci della cooperativa posti sul territorio del comune di Menfi.

grande corpo, avvolgente, con tannini morbidi ed equilibrati e conferma piacevolmente le sensazioni avvertite al naso.

Tipologia dei Terreni I vigneti si trovano su terreni sabbiosi rossi di medio impasto ad

Prima Annata

un’altitudine di 250 metri s.l.m. con un’esposizione a sud-est.

1999

Uve Impiegate Nero d’Avola 60%, Merlot 30%, Syrah 10%

Le Migliori Annate

Sistema d’Allevamento Cordone speronato

2000 - 2001

Densità di Impianto

Note

4200 ceppi per Ha

Il nome del vino deriva dal romanzo Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa: Bendicò era infatti il grosso

Tecniche di Produzione Dopo la vendemmia, che avviene di solito dal

alano nero del Principe Don Fabrizio. Il vino raggiunge la maturità dopo 3-4 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 4 e gli 8 anni.

20 agosto al 10 settembre, si avvia la fermentazione alcolica che dura circa 8 giorni in vasche di acciaio inox ad una temperatura di partenza di 20°C; con il proseguo, la temperatura viene lasciata salire fino a 25°C, mentre si procede alla macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage, si protrae per altri 4-6 giorni. Terminata questa fase e dopo un leggero filtraggio, si ha l’avvio della fermentazione malolattica che, come per il successivo affinamento, viene effettuata in barriques di rovere francese. Qui il vino matura circa 14 mesi prima dell’assemblaggio, quindi segue l’imbottigliamento per un ulteriore affinamento di 3-5 mesi.

MENFI

251


Menfi Mandrarossa Vendemmia Tardiva

Note Organolettiche Colore giallo paglierino con riflessi dorati; al naso rivela profumi intensi di confettura di

Bianco Dolce DOC

Zona di Produzione

pesche e note erbacee; molto piacevole in bocca, dove risulta morbido ed equilibrato; decisamente lunga la persistenza aromatica con nuances salmastre sul finale.

Menfi Mandrarossa Vendemmia Tardiva è una selezione delle migliori uve Grecanico raccolte tardivamente e provenienti dai vigneti di proprietà dei soci della cooperativa posti sul ter-

Prima Annata

ritorio del comune di Menfi.

2000

Tipologia dei Terreni I vigneti si trovano su terreni di medio impasto ad un’altitudine di 250 metri s.l.m. con un’esposizione a nord-sud.

Le Migliori Annate Uve Impiegate

2000 - 2001

Grecanico 100%

Sistema d’Allevamento Cordone speronato

Note Mandrarossa è una contrada vocata per la coltivazione della vite nel territorio del comune di Menfi. Il vino raggiunge la maturità dopo 2-3 anni dalla vendemmia e il plateau di matu-

Densità di Impianto

razione è compreso fra i 3 e i 6 anni.

4200 ceppi per Ha

L’ Azienda Tecniche di Produzione

La Cantina Settesoli di Menfi è stata fondata nel 1957 ed è formata da oltre 2300 soci. Il presidente è Diego Planeta. Questa

Dopo la vendemmia, che avviene in presenza di

cantina cooperativa, una delle più grandi d’Europa, possiede

sovramaturazione delle uve intorno all’ultima

6200 ettari vitati di proprietà. Collaborano in azienda l’agrono-

decade di ottobre, si procede alla diraspapigiatu-

mo Filippo Buttafuoco e gli enologi Domenico De Gregorio e

ra delle uve che sono immediatamente raffreddate alla tempera-

Carlo Corino.

tura di 8-10°C per circa 12 ore. Terminato questo periodo si procede alla pressatura soffice con una breve decantazione del mosto; subito dopo, con l’immissione dei lieviti, si avvia la fermentazione alcolica che si protrae per 20 giorni alla temperatura di 16-18°C in recipienti di acciaio inox. Trascorsa questa fase il vino è posto a maturare per 6 mesi, sempre in acciaio, prima di essere imbottigliato e subire un ulteriore affinamento di 2 mesi. MENFI

Quantità Prodotta 20000 bottiglie l’anno 252



S olidea Solidea e Giacomo d’Ancona

ALTRI VINI PRODOTTI I Bianchi: Ilios IGT (Moscato d’Alessandria 100%) Moscato di Pantelleria DOC (Moscato d’Alessandria 100%)

254

Avevo sì e no cinque o sei anni quando mio padre Antonio mi portava con sé in cantina, non per incominciare a imparare quali fossero i procedimenti da lui attuati per vinificare quel passito che avrebbe venduto l’anno successivo ai turisti di passaggio, ma solo per lavare quella montagna di bottiglie, d’ogni forma e colore, che erano state conservate o raccolte nell’estate appena conclusa. Quelle giornate vedevano impegnata tutta la famiglia; ogni componente era coinvolto e non c’era scampo per nessuno! L’imbottigliamento doveva essere ossequiato da tutti i D’Ancona, perché quel vino rappresentava il suggello del grande lavoro che mio padre aveva svolto per tutto l’anno ed era una giusta gratificazione per lui averci accanto. Arrivavo sì e no al lavandino e, pur avendo un grembiule di plastica impermeabile che strusciava per terra, ricordo che quasi subito mi ritrovavo completamente bagnato. Era però un lavoro noioso, che mi vedeva impegnato nell’asportare le etichette dalle bottiglie che per tutta la notte erano state tenute a bagno. L’unica cosa divertente era giocare con l’acqua. In quella cantina si respirava un profumo intenso di fichi e mandorle tostate che inebriava tutto e ogni paesano che passava di lì, entrava in cantina per assaggiare il vino di mio padre, il quale era rinomato sull’isola per il grande passito che riusciva a fare ogni anno. Pantelleria era ormai da tempo ricaduta nei grandi silenzi che ne contraddistinguevano gli inverni; sembrava essere in letargo, forse nell’attesa dell’inizio della nuova stagione turistica che l’avrebbe rivitalizzata, ma anche frastornata, per qualche mese. Tutto questo succedeva un po’ di tempo fa, quando ancora qui si interpretava il vino come alimento e non come elemento da gustare o piacevole compagno dei cibi; ricordo che mio padre ci diceva sempre che “un bicchiere di passito ha il valore nutrizionale di un uovo fresco”, ed era per questo che forse non si arrabbiava, quando, pensando di non essere visto, qualcuno di noi provava ad assaggiarne un goccio. Credo che il profumo di quel vino mi sia entrato subito dentro, nel profondo; se così non fosse non si spiegherebbe come mai, a differenza di molti amici di infanzia che hanno lasciato l’isola e la loro terra incolta, io sia rimasto ancorato a questo meraviglioso scoglio di Pantelleria a proseguire il minuzioso lavoro di cui questa campagna necessita e che mio padre mi ha insegnato. Sì, deve essere successo proprio questo, perché, se così non fosse, non si comprenderebbe come io abbia scelto di frequentare l’istituto di enologia di Marsala e di come ormai da oltre vent’anni non possa fare a meno di impegnarmi per tutto l’anno nella cura di quelle viti sparse un po’ ovunque sull’isola in una miriade di pezzetti e terrazzamenti da 20 o da 40 are. Non si capirebbe lo spirito di abnegazione che mi spinge ad alzarmi tre o quattro volte a notte per controllare i graticci sui quali le mie uve appassiscono e per proteggerle dalle eventuali piogge improvvise o dalla troppa umidità notturna; con l’aiuto di mia moglie Solidea, ogni giorno giro, rivolto e controllo queste uve grappolo per grappolo, in un lavoro certosino di tutela del prodotto che, di lì a poco, entrerà in cantina. Se non avessi questa enorme passione, forse neanche io comprenderei il motivo che mi spinge a lavorare ogni metro quadrato della terra sulla quale ho piantato le viti. Un impegno profuso non solo



S olidea verso le mie proprietà, ma anche verso quelle di quei contadini panteschi che da oltre trent’anni forniscono le loro uve alla mia famiglia; vignaioli che sono rimasti soli e, raggiunta la vecchiaia, fanno sempre più fatica a seguire le loro vigne, che invece per me sono così importanti; e così sono costretto ad andare a prenderli a casa, portarli nelle loro terre e talvolta anche ad aiutarli nei lavori, dalla potatura alla vendemmia. È per questo che qualche volta, quando torniamo a casa da quelle poche degustazioni alle quali partecipiamo, io e Solidea rimaniamo un po’ esterrefatti dalla facilità con la quale in questi ultimi anni sono proliferate le etichette di Passito di Pantelleria. Io e lei, conoscendo le enormi fatiche che facciamo per fare il vino su quest’isola, dove non c’è acqua, dove ogni metro quadrato di terra si deve lavorare quasi a mano e dove è sempre più difficile mettere insieme le uve per fare le nostre trentamila bottiglie, non capiamo come altri riescano a soddisfare “famelici” bisogni commerciali e ci domandiamo, senza avere una risposta, da dove arrivino tutte queste etichette di passito. Sarà forse per il fatto che noi piccoli artigiani del vino non ci identifichiamo in questo bailamme commerciale del business ad ogni costo, ma è altrettanto vero che non ci sentiamo neanche troppo salvaguardati da chi, per autorità o competenza, è chiamato a controllare. Vorrei capire con quali strumenti, questi produttori commercianti del vino non presenti sull’isola si sono potuti scatenare e avventare sul Passito di Pantelleria, incuranti delle conseguenze che potrebbero arrecare alle tradizioni enologiche di quest’isola, il tutto con il solo scopo di poter vendere un litro di vino in più, da aggiungere a quei milioni di bottiglie che già commercializzano. Ma a chi interessano i piccoli artigiani del vino come siamo noi? Forse solo a qualcuno del settore o a coloro che riescono a distinguere e a valutare le diversità fra i passiti oggi in commercio. Sì, deve essere proprio così, perché solo in questo modo si spiegano i “tre bicchieri” che abbiamo ottenuto dal Gambero Rosso, un riconoscimento che ci ha gratificato, non tanto sotto l’aspetto della visibilità, ma soprattutto come ricompensa dei sacrifici che quotidianamente siamo chiamati a fare, per proporre, alla fine, una bottiglia di Passito di Pantelleria che ha il diritto, come poche altre, di essere chiamato così.

256


Passito di Pantelleria Solidea

Quantità Prodotta 15000 bottiglie l’anno

Passito di Pantelleria DOC

Note Organolettiche

Zona di Produzione

Bellissimo colore giallo dorato con riflessi

Il Passito di Pantelleria Solidea è prodotto dalla selezione

ambrati. All’esame olfattivo il vino offre un

delle migliori uve di Moscato d’Alessandria provenienti dai

complesso ventaglio di profumi tra cui si

vigneti di proprietà dell’azienda posti nell’isola di Pantelleria.

avvertono ben distinti uva passa, miele d’acacia, datteri e note di salmastro. Dolce, morbido, equilibrato e persistente in

Tipologia dei Terreni

bocca. Molto lungo al retrogusto.

I vigneti si trovano su terreni vulcanici di medio impasto originati dallo sgretolamento di rocce basaltiche, ad un’altitudine

Prima Annata

compresa tra i 70 e i 130 metri s.l.m. con un’esposizione a sud.

1998

Uve Impiegate Moscato d’Alessandria (Zibibbo) 100%

Le Migliori Annate

Sistema d’Allevamento Alberello pantesco

1998 - 2000 - 2001

Densità di Impianto

Note

2500 ceppi per Ha

Il vino è stato dedicato da Giacomo d’Ancona a sua moglie Solidea; raggiunge la maturità dopo 3-4 anni dalla vendemmia

Tecniche di Produzione

e il plateau di maturazione è compreso fra i 4 e gli 8 anni.

Dopo la vendemmia, che avviene di solito dalla metà di agosto alla fine di settembre,

L’ Azienda

segue l’appassimento delle uve al sole, per un

L’azienda agricola Solidea nasce nel 1998 ed è a carattere stretta-

periodo che varia dai 21 ai 35 giorni, durante il quale sono gira-

mente familiare. Gli ettari vitati di proprietà sono poco più di 2.

te manualmente più volte. Dopo la pressatura delle uve si

Svolge le funzioni di agronomo e di enologo Giacomo

avvia la fermentazione alcolica che si protrae per circa 80 gior-

d’Ancona, mentre sua moglie Solidea si occupa della parte

ni alla temperatura di 20-22°C in recipienti di acciaio inox,

commerciale.

fino al raggiungimento del grado alcolico desiderato. Terminata questa fase, il vino viene lasciato riposare ancora per qualche mese in tini di acciaio inox prima di fargli effettuare un leggero passaggio in barriques di rovere francese per 2 mesi. Terminato questo periodo si procede all’imbottigliamento per un affinamento che si protrae per altri 6 mesi.

Isola di PANTELLERIA

257




S padafora Francesco Spadafora Lavoro in campagna da quando avevo 21 anni e posso affermare che mi sono sempre trovato bene nel seguire i ritmi dettati dalle stagioni e lo scorrere del tempo che determina le semine e i raccolti. Gli amici mi prendevano in giro, forse non riuscendo a capire quanto per me fosse importante dedicarmi alle attività che richiedevano le due aziende di famiglia, quella posta nel centro della Sicilia a Mussomeli e questa di Monreale. Fin da allora trovavo bellissimo starmene in campagna e vivere il piacevole contatto che si creava fra me e la terra, come se questa fosse la cosa più rassicurante che potesse accadermi. Non aveva importanza se ero da solo o in compagnia; ciò che mi stava a cuore era immergermi nel lavoro dei campi, nelle vigne e nelle stalle, dove andavo ogni mattina a governare i bovini, assistendo, quando capitava, anche al parto di una mucca. Questo mondo, ieri come oggi, mi rilassava e mi rasserenava e non so se questo fosse dovuto ai grandi silenzi o ai coloratissimi tramonti che vivevo, ma so che tutto contribuiva a rafforzare la mia armonia interiore che magicamente si poneva in equilibrio con ciò che mi circondava. Non ci fu nessuno che mi spinse in questa direzione e di sicuro non ci furono forzature di nessun genere che mi costrinsero verso la professione di agricoltore; d’altronde, credo che non ve ne sarebbero potute essere, dato che provenivo da una famiglia nobile, alla quale non sono mai mancati i mezzi economici; nel tempo mi furono offerte altre possibilità di lavoro, con l’opportunità di poter fare svariate scelte, all’apparenza meno faticose e forse anche più interessanti di questa, ma verso cui non nutrivo un minimo d’interesse.

I Bianchi: Schietto Chardonnay IGT (Chardonnay 100%)

Credo che la colpa di questo passionale approccio all’agricoltura la debba ricercare nel mio carattere e nella mia sensibilità, caratteristiche che mi hanno spinto quattro anni fa addirittura a lasciare Palermo, divenuta ormai triste e noiosa, per venire ad abitare definitivamente qui a Virzì, nella mia campagna. Oggi, il vivere così intensamente la terra mi ha convinto ancora di più della magia di questo luogo; qui percepisco belle sensazioni che solo spazi e orizzonti così aperti riescono a darmi; Virzì è un luogo unico nel quale ho scoperto il reale valore qualitativo della mia vita. Su queste colline ondulate vivo una colorata solitudine, arricchita ora dalle sfumature cromatiche di una campagna mai statica, ora dalle chiacchiere di quella schiera multietnica di amici che mi viene a trovare da tutto il mondo. Tutto intorno è un immenso giardino e io godo nel guardarlo dalla grande vetrata del mio appartamento; un giardino composto da centinaia e centinaia di piante di viti che si allungano fino all’orizzonte, vigne che nel loro processo vegetativo colorano ogni cosa; viti che ondeggiano quando sono sferzate dai venti o che nei momenti di forte libeccio sembrano bussare ai vetri di casa.

I Rossi: Rosso Virzì IGT (Syrah 80%, Nero d’Avola 20%) Schietto Syrah IGT (Syrah 100%)

È nelle giornate invernali che riesco a vivere meglio la mia campagna con i profumi della terra bagnata e quel forte brusìo che il vento alza al suo passare fra le vigne. È nel caldo estivo che assaporo il piacere di fare “l’agricolo”; è proprio in quel contatto, proprio quando cammino sulle zolle arse dal sole fra i miei filari, che mi sento bene e felice.

ALTRI VINI PRODOTTI

260



S padafora Solo chi vive a contatto con la natura può percepire queste cose, ma non è facile descrivere e farle comprendere agli altri; come spiegare gli stati d’animo provocati dalla mutevolezza del tempo, o come raccontare le emozioni che si hanno nel palpare un grappolo d’uva per assaporarne la maturazione, o la magia della vendemmia o quella racchiusa nell’acino che si trasforma in vino? È qui che mi sento vivo, sereno e tranquillo e nella mia scelta di vivere a Virzì non credo si possano riscontrare né le paure di un fuggitivo, né, tanto meno, il desiderio di trovare un rifugio sicuro da parte di un lupo solitario. Chi mi conosce bene sa che il mio amore per la campagna viene da lontano e che l’ho sempre ritenuta lo strumento ideale per il raggiungimento dell’equilibrio perfetto fra le mie attese e i miei reali bisogni. In questo habitat, impegnarmi a fare del vino e cercare anche di farlo bene è diventato per me importante e quasi la conseguenza logica e naturale delle scelte che mi hanno condotto a Virzì. Il vino è stato per me il miglior libro di scuola che io abbia avuto e il farlo, lo strumento didattico per eccellenza con il quale sono cresciuto. Il vino mi ha insegnato cosa sia l’attesa e con essa la pazienza, cosa siano i sogni, lo sperimentarsi, la passione, il gusto, il piacere e il dialogare con i propri sensi; mi ha fatto comprendere quanto ogni mio piccolo intervento, nella vigna o in cantina, contribuisse a migliorarlo e faccio tesoro di tutti i suggerimenti che mi sono piovuti addosso su come farlo, così da poter continuare a crescere e appagare il bisogno che ho di misurarmi con le cose che mi circondano. In ogni caso per me l’importante è vivere nella massima serenità e tranquillità facendo ciò che mi piace; fare dei grandi vini mi diverte e il fatto, poi, che ci stia riuscendo, mi entusiasma.

262


Don Pietro

Quantità Prodotta 45000 bottiglie l’anno

IGT Sicilia

Note Organolettiche

Zona di Produzione

Colore rosso rubino intenso; aromi complessi

Don Pietro Rosso è un blend delle migliori uve di Cabernet

di confettura di frutta rossa, spezie, vaniglia e

Sauvignon, Merlot e Nero d’Avola provenienti dai vigneti di

leggere note minerali. Sapore armonico,

proprietà dell’azienda posti in località Virzì nel territorio del

rotondo, persistente; bella struttura e tannini morbidi. Molto

comune di Monreale.

equilibrato.

Tipologia dei Terreni

Prima Annata

I vigneti si trovano su terreni collinari a granulometria sabbioso-argillosa, ad un’altitudine di 250 metri s.l.m. con un’esposizione a nord-ovest.

1993

Uve Impiegate

Le Migliori Annate

Cabernet Sauvignon 50%, Merlot 30%, Nero d’Avola 20%

1993 - 1997 - 2000 - 2001

Sistema d’Allevamento Cordone speronato

Note Densità di Impianto 2500 ceppi per Ha

Il vino, dedicato a Don Pietro dei Principi di Spadafora, padre di Francesco, raggiunge la maturità dopo 4-5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 7 anni.

Tecniche di Produzione Dopo la vendemmia, che avviene di solito a metà settembre, si avvia la fermentazione alcolica che si protrae per 10-12 giorni alla temperatura di 25-28°C in vasche di cemento. Contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, va avanti per 8 giorni. Terminata questa fase, sempre nelle vasche di cemento, al vino è fatta effettuare la fermentazione malolattica. Dopo la fermentazione, l’85% del vino rimane nei tini per 12 mesi per un graduale affinamento, mentre il 15% è messo per lo stesso periodo in barriques nuove di rovere francese di Allier e Tronçais.

MONREALE CONTRADA VIRZÌ

In seguito viene effettuato l’assemblaggio delle partite, quindi il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 6 mesi. 263


S ole dei Padri

Note Organolettiche Colore rosso rubino molto concentrato. All’esame olfattivo il vino rivela sentori com-

IGT Sicilia

plessi di frutti di bosco, spezie, vaniglia,

Zona di Produzione

tabacco e cacao. Molto convincente anche in bocca dove, oltre ai sentori percepiti al naso, affiorano note di pepe e cannella;

Sole dei Padri è una selezione delle migliori uve Syrah prove-

lunghissimo il finale per un vino di grande struttura e perso-

nienti dai vigneti di proprietà dell’azienda posti in località

nalità.

Virzì nel territorio del comune di Monreale.

Tipologia dei Terreni

Prima Annata

I vigneti si trovano su terreni di media collina a granulometria sabbiosa, ad un’altitudine di 400 metri s.l.m. con un’esposizio-

2000

ne a nord-ovest.

Uve Impiegate

Le Migliori Annate

Syrah 100% 2000

Sistema d’Allevamento Cordone speronato

Note Sole dei Padri si può considerare un nome di fantasia. Il vino rag-

Densità di Impianto

giunge la maturità dopo 4-5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione dovrebbe essere compreso fra i 5 e i 10 anni.

5000 ceppi per Ha

L’ Azienda

Tecniche di Produzione

L’azienda, di proprietà di Francesco Spadafora dal 1988, si esten-

Dopo la vendemmia, che avviene di solito tra

de su una superficie complessiva di 180 Ha, di cui 100 vitati e 12

la fine di agosto e i primi di settembre, si

dedicati all’olivicoltura, mentre il restante territorio vede la pre-

avvia la fermentazione alcolica che si protrae

senza di pascoli.

per 10-12 giorni ad una temperatura compresa tra i 28 e i 32°C

Svolge le funzioni tecniche in azienda lo stesso Francesco

in vasche di cemento.

Spadafora.

Contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, va avanti per 15-20 giorni. Terminata questa fase, al vino è fatta effettuare la fermentazione malolattica in barriques nuove di rovere francese, dove rimane a maturare per 12 mesi. Segue l’imbottigliamento per un ulteriore affinamento che dura altri 10 mesi.

Quantità Prodotta 2500 bottiglie l’anno 264

MONREALE CONTRADA VIRZÌ



Tasca D’Almerita Lucio, Lucio e Giuseppe Tasca d’Almerita

La mia storia è la Sicilia. Sembra una banalità, ma è da qui che voglio partire. Le radici, la tradizione e la cultura della mia famiglia, che fanno parte della storia siciliana, mi hanno condizionato e non poco. Ricordo che nel periodo adolescenziale ero un ribelle alla ricerca del “sogno” della libertà e di ciò che mi piaceva; e tutto questo l’avevo sotto ai miei piedi, qui a Regaleali, nell’entroterra siciliano, un grande progetto iniziato da mio nonno e proseguito da mio padre, fatto di natura, lavoro e persone vere. Ne è passato di tempo da quando mi sono laureato in Agraria presso l’università di Piacenza, dove ho conosciuto mia moglie Luisa, con la quale condivido la vita e i nostri due splendidi figli. Ne è passato di tempo da quando ho cominciato a girovagare per tutta l’Italia, sempre sotto l’influenza dell’azienda familiare, per conoscere la realtà vitivinicola nazionale e per confrontare le varie filosofie di produzione. Sono state l’esperienza e soprattutto l’umiltà che ho messo nell’apprendere, che mi hanno fatto crescere, trasformandomi da ragazzo a uomo.

ALTRI VINI PRODOTTI I Bianchi: Regaleali Bianco IGT (Inzolia 33%, Catarratto 33%, Varietà Tasca 33%) Leone d’Almerita IGT (prevalentemente Catarratto 70%, Chardonnay 30%) Nozze D’oro DOC (Inzolia 50%, Varietà Tasca 50%) I Rossi: Regaleali Rosso IGT (Nero D’Avola 100%) Cygnus IGT (Cabernet Sauvignon 25%, Nero D’Avola 75%) Camastra IGT (Merlot 25%, Nero D’Avola 75%)

266

La tenuta di famiglia era vissuta per sei mesi l’anno solo da mio nonno Giuseppe, l’unico “punto fisso” sul territorio oltre ad alcuni suoi stretti collaboratori, ai quali va dato il merito di aver passato la loro vita a costruire tutto quello che oggi è lì, ben visibile. Fu proprio il nonno che mi avvicinò ai valori della terra, ai valori delle tradizioni; fu lui che mi fece amare questa proprietà e m’insegnò a rispettarla. Di lui ho un ricordo fantastico. Nella mia vita il nonno ha ricoperto un ruolo importante, poiché cercava con ogni mezzo e in ogni occasione di trasferirmi la sua saggezza, le sue esperienze, la sua eredità culturale, quella che non si trova scritta in nessun libro di scuola, quella che ti fa comprendere il valore degli uomini e delle cose che ti circondano. A me, che portavo il suo stesso nome, diceva spesso “tu sei il mio stammhalter, quello che porterà in sé il mio spirito”. Lui riteneva che la forza di un uomo si misurasse dalla sua correttezza morale, che doveva essere ricercata, non solo al suo interno, ma principalmente attraverso il rispetto che egli stesso trasferiva alle cose e alle persone che lo circondavano. Era questo il cardine e il punto di forza con il quale la mia famiglia si era insediata su questa terra ed era con questo principio che poi aveva messo forti e profonde radici. L’esempio e l’insegnamento sono concetti di sostanza più che di forma; qui, nel feudo di Tasca d'Almerita, la carica umana, il valore dell’uomo e il suo spessore non si sono mai misurati sulla base delle cariche onorifiche o su quelle del ceto sociale, ma sul contributo che ognuno ha dato e dà alla causa comune.



Tasca D’Almerita Questo concetto costituiva il principio che animava il nonno Giuseppe. È con questo stesso spirito che affronto la mia quotidianità, ricercando il bello nel “gioco della vita”, la “bellezza del gioco”, insomma, come la chiamo io, così da riuscire a darmi un ruolo nella vita e dare a questa un significato e uno spessore. È in questo gioco che mi adopero per ricercare l’equilibrio fra il quanto dover essere protagonista nell’azienda di famiglia o il come contribuire, invece, a un suo serio ed equilibrato sviluppo controllando i risultati economici delle scelte. Vorrei che anche l’ambiente che ci circonda partecipasse al “bello del gioco” e fosse in grado di sviluppare progetti con finalità grandiose come quella di riuscire a rendere quest’area uno fra i principali poli produttivi vitivinicoli della Sicilia. La “bellezza del gioco” sta nel sognare le piccole e le grandi cose; sta nel saper valorizzare la tradizione orale, investendo in essa e cercando di mettere in equilibrio il passato con il presente, per un futuro migliore. La “bellezza del gioco” sta nel creare l’armonia fra chi lavora e vive il Feudo Tasca d’Almerita, fra chi vive Regaleali e chi produce sul territorio, così da dare a tutti un valore aggiunto alla qualità della vita, a partire proprio dalla nostra volontà di proibire la caccia su tutti e 500 gli ettari di proprietà, un’iniziativa che oggi consente a chiunque di osservare in questa oasi la nidificazione di molte specie date ormai per scomparse. Un altro esempio è il forte desiderio di dare nuovo impulso all’apicoltura, alla pastorizia, alla coltura dei mandorli e degli alberi da frutta per la realizzazione di prodotti artigianali di altissimo livello. È questa la “bellezza del gioco”, il mio ruolo, lo spessore che voglio dare alle cose che faccio. Quello che mi diverte è il voler costruire cose importanti, ma piacevoli, per questa piccola comunità che vive intorno a me qui a Regaleali.

268


C hardonnay

Note Organolettiche Vino dal colore giallo dorato con riflessi verdognoli; profumi intensi di banana, ananas,

Contea di Sclafani DOC

Zona di Produzione

frutta esotica in generale, burro fuso e vaniglia. Di grande impatto in bocca: caldo, avvolgente, ben strutturato, sapido e dall’acidità equilibrata.

Lo Chardonnay è un cru prodotto con le uve provenienti dal vigneto denominato S. Francesco, di proprietà dell’azienda, e posto nel comune di Sclafani Bagni, nell’area di produzione

Prima Annata

dell’omonima Doc.

1989

Tipologia dei Terreni I vigneti si trovano su terreni compatti di medio impasto tendenti all’argilloso, ad un’altitudine compresa tra i 500 e i 550

Le Migliori Annate

metri s.l.m. con un’esposizione a ovest / sud-ovest.

1989 - 1991 - 1992 - 1993

Uve Impiegate

1995 - 1999 - 2001

Chardonnay 100%

Sistema d’Allevamento Doppio guyot

Note In vino raggiunge la maturità dopo 4 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 4 e gli 8 anni.

Densità di Impianto 3000 ceppi per Ha

Tecniche di Produzione La vendemmia avviene dopo la prima settimana di settembre. Trascorso un breve periodo si effettua una soffice pressatura e si avvia il mosto sulle fecce alla fermentazione alcolica che si protrae per 15 giorni ad una temperatura compresa tra i 15 e i 18°C. Il passaggio seguente è in barriques di rovere francese di Allier e Tronçais da 225 lt. per il 70% nuove e per il 30% di secondo passaggio, dove rimane per 8 mesi, trascorsi i quali si procede all’assemblaggio delle partite. Quindi il vino viene messo in bottiglia per un ulteriore affinamento di 12 mesi.

REGALEALI

Quantità Prodotta 25000 bottiglie l’anno 269


Cabernet Sauvignon

Quantità Prodotta 39000 bottiglie l’anno

Contea di Sclafani DOC

Note Organolettiche

Zona di Produzione

Colore rosso rubino intenso con riflessi gra-

Il Cabernet Sauvignon è un cru prodotto dalle uve provenien-

nato; profumi interessanti di frutti di bosco

ti dal vigneto Colline di S. Francesco, di proprietà dell’azienda

maturi, vaniglia e pepe nero a cui si aggiun-

e posto nel comune di Sclafani Bagni, nell’area di produzione

gono intense note balsamiche. Di grande spessore all’esame

dell’omonima Doc.

gustativo, risulta ben strutturato, con tannini pronunciati e avvolgenti; al retrogusto è lungo e molto persistente.

Tipologia dei Terreni Il vigneto si trova su un terreno di medio impasto tendente

Prima Annata

all’argilloso, ad un’altitudine compresa tra i 550 e i 650 metri s.l.m. con un’esposizione a sud / sud-ovest.

1988

Uve Impiegate Cabernet Sauvignon 100%

Le Migliori Annate Sistema d’Allevamento

1990 - 1992 - 1993 - 1994

Guyot e cordone speronato

1995 - 1999 - 2000 - 2001

Densità di Impianto

Note

3000 ceppi per Ha

Il vino raggiunge la maturità dopo 5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 10 anni.

Tecniche di Produzione Dopo la vendemmia, che avviene di solito a partire dalla metà di settembre, si avvia la fermentazione alcolica che dura 12-16 giorni ad una temperatura di 26-28°C in vasche di acciaio inox, mentre contemporaneamente si procede anche alla macerazione sulle bucce che si protrae per il solito periodo. Trascorso questo periodo il vino è posto in barriques di rovere francese di Allier e Tronçais, per l’80% nuove e per il 20% di secondo passaggio, dove effettua la fermentazione malolattica e dove rimane circa 12 mesi. Trascorso questo periodo di maturazione il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 12 mesi.

270

REGALEALI


R osso del Conte

Note Organolettiche Colore rosso rubino impenetrabile; profumi complessi di confettura di frutta rossa, spezie, tabac-

Contea di Sclafani DOC

Zona di Produzione

co e cioccolato; di grande struttura in bocca, ma allo stesso tempo assai elegante ed equilibrato; tannini evidenti, ma dolci e morbidi; molto lunga la persistenza aromatica.

Rosso del Conte è prodotto con le uve di Nero d’Avola provenienti dai vecchi vigneti di S. Lucio, S. Anna, Ciminnita e Case Vecchie, di proprietà dell’azienda e posti nel comune di

Prima Annata

Sclafani Bagni, nell’area di produzione dell’omonima Doc.

1970

Tipologia dei Terreni I vigneti si trovano su terreni compatti di medio impasto con reazione alcalina ad un’altitudine di 500 metri s.l.m. con un’esposizione a sud / sud-est.

Le Migliori Annate

Uve Impiegate

1970 - 1977 - 1980 - 1983 - 1990 1994 - 1997 - 1999 - 2000

Nero d’Avola 100%

Sistema d’Allevamento Guyot

Note Sul finire degli anni ’60 il conte Tasca decise di creare una riserva particolare di Regaleali rosso, capace di maturare come i grandi rossi internazionali. Una sfida vinta nel 1970 e perpetuata nelle annate

Densità di Impianto 4000 ceppi per Ha

successive. Il vino raggiunge la maturità dopo 5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 12 anni.

Tecniche di Produzione

L’ Azienda

Dopo la vendemmia, che avviene di solito dalla

La storia dell’azienda inizia nel 1830, quando i fratelli Don Lucio e

fine di settembre alla metà di ottobre, si avvia

Don Carmelo Mastrogiovanni Tasca acquistarono l’ex feudo

la fermentazione alcolica che dura 15 giorni

Regaleali, circa 1200 ettari nelle campagne di Sclafani, al confine

alla temperatura di 26-28°C in vasche di acciaio inox, mentre

della provincia di Palermo con quella di Caltanissetta.

contemporaneamente si procede anche alla macerazione sulle

Attualmente la proprietà si estende su una superficie complessiva

bucce che si protrae per il solito periodo. Successivamente il vino

di 500 Ha, di cui 360 vitati e 20 dedicati all’olivicoltura. Svolge le

è posto in barriques di rovere francese di Allier e Tronçais da 225

funzioni di agronomo Giuseppe Tasca. L’enologo è Luigi Guzzo.

lt., per l’80% nuove e per il 20% di secondo passaggio; qui viene fatta effettuare la fermentazione malolattica e il vino vi rimane per la maturazione 12 mesi, trascorsi i quali è imbottigliato per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 12 mesi.

REGALEALI

Quantità Prodotta 80000 bottiglie l’anno 271




Tenuta Barone La Lumìa Salvatore e Nicolò La Lumìa

ALTRI VINI PRODOTTI I Bianchi: Sogno di Dama IGT (Inzolia 100%) Halykàs IGT (Inzolia da uve sovramature 100%) I Rossi: Delizia del Conte IGT (Nerello Mascalese 70%, Frappato 30%)

274

La storia di quest’azienda è collegata direttamente a quella della terra di Licata, una volta tutta inserita nei possedimenti della Corona di Federico II, il quale si dice amasse mangiare bevendo il “Grecisco”, un vino la cui produzione è certamente da ricollegare a quella di questo territorio da sempre vocato alla viticoltura. Anche la storia della mia famiglia è parte integrante di questa terra, dove approdò al seguito di Re Martino intorno al 1300. Una storia che parte da lontano e che ci ha riservato momenti di gloria e momenti di enorme difficoltà, durante i quali però noi La Lumìa non distogliemmo mai l’attenzione dalla nostra principale vocazione di vigili custodi della terra che ci era stata tramandata. Sì, la terra, un bene prezioso da cui, come diceva il nonno, non bisogna né allontanarsi, né perdere il contatto, perché essa rappresenta la grandezza di una famiglia e le fortune di una casata sono legate a lei a doppio filo e deve essere seguìta e gestita in prima persona, altrimenti non se ne ricava neppure il sostentamento. Da Don Totò a suo figlio, mio nonno Ignazio, a mio padre Antonino fino ad arrivare a me, per tutta la famiglia è stata una continua lotta per il mantenimento di ciò che avevamo in termini di patrimonio terriero, ma nonostante tutti gli sforzi, con molta tristezza e dolore la proprietà subì un forte ridimensionamento nel corso del XX secolo, epoca in cui gradualmente è stata prima spezzettata fra i vari eredi e poi assottigliata dai continui salassi attivati, ora dalla riforma fondiaria, ora da impellenti e fantomatiche opere pubbliche, poi mai realizzate. Senza vendere un solo metro quadrato di terra la proprietà è passata dai 3000 ettari dell’inizio del Novecento, quando era ancora in auge Don Ignazio, deputato del Regno d’Italia, agli attuali 400 ettari e poco più di quest’inizio secolo, quello mio e di mio figlio Salvatore, giovane enologo. Non sono lontani quei tempi e io mi ricordo ancora bene quando, solo cinquant’anni fa, questa proprietà di Licata da sola contava più di 1500 ettari. Rammento che fu proprio in quegli anni che avvenne lo smembramento e successivamente ricordo benissimo che perdemmo anche il più bel terreno che avevamo qui a Licata, quello che andava da Torre di Gaffe a Foce della Gallina, laddove sbarcarono gli americani durante la seconda guerra mondiale. Nel frattempo io, dopo essermi preso la maturità classica nel collegio dei Gesuiti di Mondragone ed essermi laureato alla facoltà d’Agraria di Palermo, avevo incominciato a prendere contatto con la realtà agricola di ciò che restava delle proprietà di famiglia. Al mio arrivo trovai l’azienda bisognosa di sostanziali cambiamenti che in qualche modo potessero contribuire a farle recuperare un po’ dello smalto perduto rispetto a quando, all’inizio del secolo, con Don Totò, era considerata fra le aziende modello della Sicilia. Mi raccontavano che per quei tempi il mio bisnonno aveva idee geniali in agricoltura e che per seguire tutti i processi produttivi sulle sue terre, impiantò, a sue spese, una linea telefonica privata che gli consentiva di poter comunicare con le varie tenute sparse sul territorio di Licata; inoltre installò, sempre qui fra il 1892 e il 1900, una linea d’imbottigliamento per il vino, esempio raro nella Sicilia d’allora. L’azienda gestita da mio padre non è che andasse poi molto male, certamente aveva un impronta un



Tenuta Barone La Lumìa po’ obsoleta, più impostata alla sua sopravvivenza che al suo sviluppo, ma lui era restìo a qualsiasi cambiamento: era il tipo che nell’incertezza trovava più saggio rimandare qualsiasi decisione al giorno successivo piuttosto che prendere una decisione che non dava totali garanzie. Mio padre, a differenza di me, non amava molto la campagna, anzi si sentiva “prestato” all’agricoltura e ogni tanto lo rimarcava; ricordo che soprattutto nei momenti di maggior tensione rimpiangeva il non aver voluto dare ascolto alla propria passione di seguire la più brillante carriera di magistrato. Io, invece, amavo la campagna ed ero inoltre un grande decisionista e poi alla mia giovane età avevo bisogno di imparare e volevo farlo in fretta, poiché ci avrebbe già pensato da sola la campagna a impormi limiti temporali ferrei che non mi sarei potuto esimere dal rispettare... Come si sa, qui i tempi da sempre li dettano le vendemmie, le semine e le potature. Questi due diversi modi di interpretare il lavoro mi posero presto in contrasto con mio padre e davanti alla mia risoluta fermezza di abbandonare la proprietà se non avessi avuto spazi operativi concreti, ricordo che non trovò di meglio che prendere la decisione di affidarmi un podere della tenuta di 150 ettari, dove ora vivo, sul quale avrei sì potuto fare qualsiasi sperimentazione, ma a patto di non contare minimamente sul suo aiuto nel futuro. Quel suo aut aut per me fu una grande sfida e quella sua determinazione mi dette una forte carica che ancora oggi mi scorre dentro. Il riuscire a costruire questa azienda, dove c’era poco o nulla, centrando anche alcuni obiettivi, fu una seria scommessa anche per le mie capacità. Fin da quando era vivo nonno Ignazio io avevo il desiderio di fare il vignaiolo e volevo farlo a modo mio, scoprendo se e come, qui a Licata, vi fossero delle reali opportunità per fare dei grandi vini, possibilmente convincendo anche gli scettici che non credevano che questa terra potesse dare grandi risultati. Ancora non conosco il valore degli obiettivi sin qui raggiunti: di sicuro so che in tutto questo tempo non sono mai venuti meno l’entusiasmo e la voglia di lavorare nelle vigne ricercando il mio terroir e con esso il mio grande vino. Oggi ho in più una grande risorsa da mettere sul campo e questa risorsa è mio figlio, che spero mi aiuti a fare il “nostro” vino, quello più “bello”, il migliore che quest’azienda è in grado di produrre, così da ripagarmi di tutti i sacrifici che non mi sono stati risparmiati per il semplice fatto di essere il Barone La Lumìa.


Don Totò

Quantità Prodotta 6000 bottiglie l’anno

IGT Sicilia

Note Organolettiche

Zona di Produzione

All’esame visivo il vino offre un colore rosso

Don Totò è un selezione delle migliori uve di Nero d’Avola

rubino molto compatto con riflessi violacei;

provenienti dai vigneti di proprietà dell’azienda posti nel terri-

al naso rivela profumi di mora, prugna, vani-

torio del comune di Licata.

glia e note minerali. In bocca è complesso ed elegante, di buona struttura; al retrogusto è molto lungo e persistente.

Tipologia dei Terreni I vigneti si trovano su terreni di medio impasto di origine ges-

Prima Annata

soso-solfifera molto ricchi di scheletro, ad un’altitudine di 7090 metri s.l.m., con un’esposizione a sud.

1997

Uve Impiegate Nero d’Avola 100%

Le Migliori Annate Sistema d’Allevamento

1998 - 2001

Guyot

Densità di Impianto 3300 ceppi per Ha

Note Don Totò La Lumìa fu il fondatore del casato a Licata. Il vino raggiunge la maturità dopo 4-5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 10 anni.

Tecniche di Produzione Dopo la vendemmia, che avviene di solito dal 20 agosto alla fine di settembre, si avvia la fermentazione alcolica del mosto che si protrae per circa 12 giorni alla temperatura di 24°C in recipienti di acciaio inox termo-condizionati. Contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage con drenaggio minuzioso delle bucce, dura 12 giorni a temperatura controllata. Terminata questa fase, al vino è fatta effettuare la fermentazione malolattica in barriques di rovere francese di Allier, per un 30% nuove e il restante di secondo e terzo passaggio, dove vi rimane per circa 8-12 mesi, trascorsi i quali è imbottigliato per un ulteriore affinamento che prosegue per 8 mesi. LICATA

277


Nikao

Quantità Prodotta 8000 bottiglie l’anno

IGT Sicilia

Note Organolettiche

Zona di Produzione

Il vino si presenta di un bel colore rosso rubi-

Nikao è una selezione delle migliori uve di Nero d’Avola pro-

no con profumi molto ampi di fichi secchi,

venienti dai vigneti di proprietà dell’azienda posti nel territo-

confettura di frutta rossa e note speziate; in

rio del comune di Licata.

bocca è dolce, ma non stucchevole; morbido, suadente, molto aromatico ed intenso.

Tipologia dei Terreni I vigneti si trovano su terreni di medio impasto di origine ges-

Prima Annata

soso-solfifera molto ricchi di scheletro, ad un’altitudine di 7090 metri s.l.m., con un’esposizione è sud.

1997

Uve Impiegate Nero d’Avola passito 100%

Le Migliori Annate Sistema d’Allevamento

1997 - 1998

Guyot e cordone speronato

Densità di Impianto 3300 ceppi per Ha

Note Nikao è un nome di fantasia. La radice del nome Nicolò deriva dal greco “vincitore”. Il vino raggiunge la maturità dopo 3-4 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 4 e i 10 anni.

Tecniche di Produzione Dopo la vendemmia tardiva, che avviene di

L’ Azienda

solito a partire dai primi di settembre, si pro-

L’azienda agricola, di proprietà della famiglia La Lumìa dal

cede alla selezione dei grappoli che vengono

1881, si estende su una superficie complessiva di 150 Ha, di

posti ad appassire al sole su graticci per una decina di giorni.

cui 40 vitati e 6 dedicati all’olivicoltura. Il restante territorio

Trascorso questo periodo l’uva raccolta tardivamente in vigna

vede la presenza di colture promiscue.

viene lavorata con l’uva appassita e con il mosto ottenuto si

Svolge le funzioni di agronomo Nicolò La Lumìa, mentre l’e-

avvia, in recipienti di acciaio inox, la fermentazione alcolica

nologo è Salvatore La Lumìa.

che si protrae per circa 30 giorni alla temperatura che dai 32°C, scende via via fino a 20°C. Terminata questa prima fase e ottenuta la gradazione alcolica desiderata di 13,5°, il vino viene posto in barriques di rovere esauste, dove vi rimane per circa 8 mesi, al termine dei quali è nuovamente posto in tini di acciaio dove effettua la fermentazione malolattica. Il vino, dopo un leggero filtraggio, è messo in bottiglia dove subisce un ulteriore affinamento di altri 6 mesi. 278

LICATA



Tenuta Rapitalà Laurent e Hugues Bernard de la Gatinais Come passa il tempo... Dopo i sessant’anni mi sono accorto di quanto io abbia mutato, nei confronti del tempo, ottica e punto d’osservazione. Prima era diverso, lo sentivo al mio fianco come un amico, guardavo avanti e ogni giorno era stracolmo d’impegni e di progetti per il futuro; oggi invece lo sento un po’ come un nemico, questo tempo, e mi guardo indietro e ogni giorno è pieno di pensieri rivolti a quelle semplici cose che non ho né mai fatto, né mai avuto il tempo di fare; mi accorgo di aver messo molto spesso in secondo piano quegli accadimenti che coinvolgono la sfera personale, avendo la preoccupazione che potessero intralciare il mio lavoro e in qualche modo ritardare l’arrivo del mio futuro. Spesso mi trovo a ricordare, insieme con quello che avrei potuto fare, anche quello che ho fatto ed è qui che la memoria mi riporta a trentacinque anni addietro, quando decisi di abbandonare la mia carriera di ufficiale della marina mercantile francese e di sposare mia moglie Gigi, all’anagrafe Luigia, una splendida donna siciliana di cui sono ancora oggi innamoratissimo, e con la quale ho passato il tempo divertendomi e facendo due splendidi figli.

ALTRI VINI PRODOTTI I Bianchi: Casalj IGT (Catarratto 70%, Chardonnay 30%) I Rossi: Nuhar IGT (Nero d’Avola 70%, Pinot Nero 30%)

280

Passare dalle onde del mare alle vigne non fu semplice, ma soprattutto non fu semplice entrare in sintonia con quella Sicilia di oltre trent’anni fa, che aveva una mentalità molto diversa da quella di oggi, particolare, lontana dai miei stereotipi, dalla mia cultura; una mentalità che solo ora, dopo tanto tempo, penso di aver compreso fino in fondo. Ricordo che alla fine degli anni Sessanta per me non fu facile: da una parte dovevo frequentare a Napoli l’università, alla quale mi ero iscritto, perché, non conoscendo una parola della lingua italiana, avevo ritenuto utile incominciare almeno a comprenderla un po’; dall’altra parte vi era questa campagna, quella della famiglia di mia moglie, che usciva dal disastroso terremoto del 1968 e che doveva essere ricostruita per intero, sia strutturalmente, sia concettualmente. Oltre ai gravosi spostamenti di allora fra Palermo, Napoli e Alcamo, ricordo la grande difficoltà che io avevo proprio a inquadrare l’argomento Sicilia, troppo complesso, troppo articolato e variegato; non era facile, in poco tempo e per un francese, conoscere fatti, uomini e abitudini. Fu un impatto violento e problematico che all’inizio un po’ mi scoraggiò, ma in mio aiuto vennero sia il mio status di straniero, che i siciliani rispettavano, sia mia moglie Gigi, che mi aprì le porte della “società” palermitana di allora, ancora oggi difficile da interpretare. Sì, credo che la famiglia mi aiutò molto, ma un po’ mi agevolò anche quella mia mentalità di uomo di mare acquisita negli anni trascorsi in Marina, perché si sa, su una nave, pur nella differenza gerarchica delle responsabilità, ci si sente tutti molto uniti; quando sei imbarcato, non è che prendi una tempesta meno forte perché sei comandante o mozzo: in quelle circostanze siamo tutti uguali. Quella era stata una bella scuola di vita, che mi aveva fortificato e dato molto e che mi aiutò nei



Tenuta Rapitalà contatti umani e nelle relative scelte di come inquadrare i rapporti interpersonali che mi spinsero a essere sempre operativo e ad avere un forte spirito di partecipazione in tutte quelle cose che quotidianamente coinvolgevano e che ancora oggi coinvolgono i lavori in azienda. Nella linea d’imbottigliamento ero uno dei tanti, come lo ero nei campi a potare, a legare le viti o a vendemmiare, oppure, quando si faceva colazione al mattino, io ero uno di loro, forse ancora straniero fra i siciliani, ma era bello prendere a uno un pezzo di cacio o un pezzo di pane e a un altro una cipolla o un pomodoro: io ero felice nella mia spontaneità ed essi, a loro volta, sentivano che il conte Hugues de la Gatinais non era il padrone, ma uno di cui ci si poteva fidare. È stato così che, anno dopo anno, sono riuscito ad essere accettato dai siciliani, mentre io, sempre più, ho compreso cosa significa esserlo e da osservatore “straniero”, dopo trentacinque anni passati in Sicilia, forse conosco i difetti, le sfumature caratteriali e i grandi pregi, ancor più di quanto non li conoscano gli stessi siciliani. È in questa Sicilia che sono prima cresciuto e poi invecchiato ed è in questa calda e assolata campagna che dal 1971 sto cercando di fare dei grandi vini capaci di parlare un po’ di questa terra, che ti avvolge, ti attrae o ti respinge, che non lascia indifferente nessuno: piace o non piace. Qui tutto è estremamente forte, basta fermarsi a guardare i colori della terra, dei fiori e delle viti per capire come non esistano le mezze misure o le sfumature dei grigi. Sono colori accesi, forti, netti, precisi quelli di Sicilia; questa è una terra calda, dura, che trasferisce la sua potenza a tutti i suoi frutti e, come è immaginabile, anche al vino. Oggi c’è mio figlio Laurent che segue questa azienda, c’è il Gruppo Italiano Vini che ci dà una mano in cantina e forse è giunto il momento di “passare la mano” e pensare definitivamente a fare insieme a Gigi tutte quelle cose che abbiamo sempre rimandato. Voglio godermi la mia terza giovinezza e per questo voglio chiedere a Dio di concedermi un po’ più di tempo; credo sia lecito alla mia età domandarlo, anche per avere il semplice piacere di fermarsi e godere di quello che ho fatto, magari guardando crescere i miei due nipotini, le mie 400 palme e i miei fiori e, caso mai, trovando anche il tempo per vedere un po’ di più questa Sicilia, di cui sono innamorato, e ricominciare anche a viaggiare un po’. Voglio proprio vedere se ci riesco.

282


C onte Hugues Bernard de la Gatinais Grand Cru

Note Organolettiche Il vino si presenta di un colore giallo dorato con riflessi verde-oro, con un bouquet di pro-

IGT Sicilia

fumi decisamente ampio che rivela frutta eso-

Zona di Produzione Conte Hugues Bernard de la Gatinais Grand Cru è una sele-

tica, fiori bianchi, vaniglia e spezie. Al gusto risulta morbido e pieno, con evidenti richiami di aromi mediterranei; ampia struttura e finale lungo e persistente.

zione delle migliori uve Chardonnay provenienti dai vigneti dell’azienda che si trovano sul territorio del comune di Camporeale.

Prima Annata

Tipologia dei Terreni

1992

I vigneti si trovano su terreni argillosi e sabbiosi situati a un’altitudine di 450 metri s.l.m. con un’esposizione a nord.

Le Migliori Annate

Uve Impiegate Chardonnay 100%

2001

Sistema d’Allevamento

Note

Guyot

Il vino, la cui prestigiosa bottiglia porta in rilievo l’antico stemma nobiliare della famiglia de la Gatinais, raggiunge la

Densità di Impianto

maturità dopo 3 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 3 e i 6 anni.

5000 ceppi per Ha

Tecniche di Produzione Dopo la vendemmia, che avviene di solito dal 15 al 20 agosto, e una pigiatura soffice con decantazione statica del mosto fiore a freddo, si avvia la fermentazione alcolica che si protrae per 14 giorni alla temperatura di 15-16°C, iniziando in recipienti di acciaio inox termo-condizionati e continuando, a due terzi della stessa, in barriques nuove di rovere francese dove vi rimane per 812 mesi. Durante questo periodo il vino è sottoposto a periodici bâtonnages. Quindi il vino viene posto nuovamente nei tini di acciaio e dopo una leggera chiarifica è imbottigliato per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 3 mesi. CAMPOREALE

Quantità Prodotta 40000 bottiglie l’anno 283


Solinero

Note Organolettiche Il vino si presenta di un colore rosso rubino profondo e rivela all’esame olfattivo profumi

IGT Sicilia

ampi e persistenti, soprattutto di frutta rossa

Zona di Produzione Solinero è un selezione delle uve Syrah provenienti dai vigne-

matura, viola e spezie. Dal sapore asciutto, di grande struttura e rotondità, offre al palato tannini dolci ed eleganti; molto lunga la persistenza in bocca.

ti di proprietà dell’azienda posti sul territorio del comune di Camporeale.

Prima Annata

Tipologia dei Terreni I vigneti si trovano su terreni tendenzialmente argillosi ad

2000

un’altitudine di 350 metri s.l.m. con un’esposizione a nord.

Uve Impiegate

Le Migliori Annate

Syrah 100% 2000 - 2001

Sistema d’Allevamento Guyot

Note Densità di Impianto 5000 ceppi per Ha

Il vino, il cui nome deriva dal sole nero impresso in etichetta, raggiunge la maturità dopo 4-5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione dovrebbe essere compreso fra i 5 e i 10 anni.

Tecniche di Produzione Dopo la vendemmia, che avviene in leggero ritardo, a fine settembre, si avvia la fermentazione alcolica che si protrae per 14 giorni ad una temperatura compresa tra i 25 e i 32°C in tini di acciaio inox da 50 hl. Contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura procede per altri 6-8 giorni, sempre a temperatura controllata. Terminata questa fase, al vino è fatta effettuare la fermentazione malolattica in barriques di rovere francese di Allier usate, di 2° e 3° passaggio, dove vi rimane per 12 mesi prima di essere assemblato e imbottigliato per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 4-5 mesi.

Quantità Prodotta 7000 bottiglie l’anno 284

CAMPOREALE


H ugonis

Note Organolettiche Dal colore rosso rubino cupo, presenta ampie e complesse sensazioni olfattive, con ricono-

IGT Sicilia

scimenti di frutta rossa matura, spezie, tabac-

Zona di Produzione Hugonis è un blend delle uve Cabernet Sauvignon e Nero

co e note minerali. Di grande corpo e consistenza in bocca, risulta ben strutturato, con tannini importanti, ma al tempo stesso molto eleganti.

d’Avola provenienti dai vigneti di proprietà dell’azienda che si trovano sul territorio del comune di Camporeale.

Prima Annata

Tipologia dei Terreni

1999

I vigneti sono posti su terreni argillosi ricchi e forti ad un’altitudine compresa tra i 300 e i 400 metri s.l.m. con un’esposizione a nord.

Le Migliori Annate

Uve Impiegate

2000 - 2001

Cabernet Sauvignon 60%, Nero d’Avola 40%

Sistema d’Allevamento

Note In etichetta sono riportati i segni del casato di Hugues Bernard conte de la Gatinais: il sigillo e il contro-sigillo di Hugonis

Guyot

Bernardi, un cavaliere in armatura da combattimento con due

Densità di Impianto

leoni. Il vino raggiunge la maturità dopo 5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 10 anni.

5000 ceppi per Ha

L’ Azienda

Tecniche di Produzione

L’origine del toponimo Rapitalà è di origine araba: Rabidh-

Dopo la vendemmia, che di solito inizia intor-

Allah (Fiume di Allah), dal nome del torrente che scorre tra i

no alla metà di settembre, si procede alla vinifi-

vigneti. Nel 1968 Hugues Bernard conte de la Gatinais sposa

cazione separata di ciascun uvaggio. La fermen-

Gigi Guarrasi e inizia nella tenuta la ricostruzione con criteri

tazione alcolica si protrae per circa 12-14 giorni alla temperatu-

moderni dell’antica cantina, distrutta dal terremoto del

ra compresa tra i 25 e i 32°C in recipienti di acciaio inox da 50 hl.

Belice, e la riconversione varietale dei vigneti. Dal 1999 l’a-

Contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce

zienda, che si estende su una superficie complessiva di 175

che, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura manuale,

Ha, di cui 120 vitati, è condotta in joint-venture tra la fami-

dura altri 10-12 giorni a temperatura controllata. Terminata que-

glia de la Gatinais e la GIV Sud. Collaborano in azienda gli

sta fase ogni singolo vino effettua la fermentazione malolattica

enologi Marco Monchiero e Silvio Centonze.

in barriques nuove di rovere francese di Allier, dove vi rimane 1418 mesi per la maturazione. Trascorso questo periodo viene effettuato l’assemblaggio delle partite, quindi il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 6-7 mesi.

CAMPOREALE

Quantità Prodotta 26000 bottiglie l’anno 285




Valle dell’Acate Gaetana Jacono Una cosa che ha contribuito a farmi crescere è stata la curiosità. Una curiosità stimolante, unita sempre a un forte desiderio di raffrontarmi e di misurarmi con gli altri, che ha interessato tutto e tutti, cercando in ogni cosa le emozioni, le sensazioni o gli stimoli per crescere. Certamente la prorompente vitalità e la gioia di vivere che oggi mi contraddistinguono si sono sviluppate in conseguenza del mio continuo desiderio di conoscere, di approfondire, di guardare cosa mi accadeva intorno, di andare oltre i confini che m’imprigionavano. Mi piaceva annusare il profumo del mondo, controllare cosa accadeva al di là di quel sano e genuino provincialismo del profondo sud, che vent’anni fa, per una ragazza esuberante com’ero io, sembrava quasi impossibile da sopportare; troppo restrittivo per gli spazi di cui io avevo bisogno e per le cose che io desideravo fare. Prima l’università, con la mia iscrizione alla facoltà di Medicina, con il grande sogno rimasto nel cassetto di specializzarmi in Pediatria, poi il passaggio alla facoltà di Farmacia e il successivo impiego, sempre a Milano, in una multinazionale farmaceutica che svolgeva ricerca e sperimentazione. Ma tutto mi rimaneva stretto, angusto, tutto troppo ripetitivo. La mia insofferenza investiva anche il lavoro e sempre più spesso, quando tornavo in Sicilia, mi rifugiavo in questa campagna amica, alla ricerca del tempo dei miei giochi e della spensieratezza. Era strano che una ragazza, che aveva fatto di tutto per fuggire, trovasse sollievo nel pensiero dolce della sua terra. Era strano, ma vero; ed era anche vero che quando ero lontana spesso mi assaliva la nostalgia e, per non sentire la distanza, cercavo di ricordare i momenti di gioia e di felicità che quella campagna mi aveva regalato da bambina, quando vi trascorrevo non solo le mie vacanze scolastiche, ma tutti gli altri momenti liberi che la scuola mi lasciava. I ricordi di quei giochi, durante i quali dimenticavo l’ora e la fame, mi servirono, piano piano, a rivisitare i miei concetti di “casa” e di “appartenenza”, i quali subito dopo venivano accantonati per continuare ad affrontare la vita con la sfrontatezza di chi si sta giocando una splendida scommessa.

ALTRI VINI PRODOTTI I Bianchi: Inzolia IGT (Inzolia 100%) I Rossi: Il Moro IGT (Nero d’Avola 100%) Cerasuolo di Vittoria DOC (Nero d’Avola 60% Frappato 40%) Il Frappato IGT (Frappato 100%)

288

Con il passare del tempo mi sentivo cambiare dentro, mi sentivo più forte e ancora più intraprendente, ma contemporaneamente sentivo mancarmi, ad ogni giorno che passava, i valori della famiglia che a casa mia si respirano forti ancora oggi: mi mancavano la campagna e le tradizioni di questa grande terra di Sicilia. Vivevo un conflitto, ancora irrisolto, fra il sentirmi orgogliosamente siciliana e il fascino degli ampi orizzonti e dell’internazionalità che solo una città come Milano sa offrirmi. Sapevo che l’essere stata tanto tempo oltre quello Stretto, l’aver conosciuto il mondo, aperto gli orizzonti e guardato oltre, mi aveva cambiata e questo lo notò subito anche mio padre, quando incominciai a parlare di vino con lui. Volevo trasferirgli le mie impressioni, il mio desiderio di costruire un’azienda moderna, con un respiro più internazionale, e ricordo che, fra un viaggio e l’altro, lui rimaneva sempre più sorpreso, sia di questo mio grande interessamento per la campagna e per il vino, sia di quelle mie arroganti



Valle dell’Acate disquisizioni su come si dovessero interpretare i nuovi segnali che giungevano dal mercato del vino e di come lo stesso si stesse muovendo velocemente. Da quelle lunghe chiacchierate sembra sia passato tantissimo tempo e, pur avendo ottenuto quello che desideravo, spesso mi sono fermata a riflettere su quel suo accondiscendente assenso. Come mai un uomo deciso, forte, che ha sempre condotto le aziende di famiglia con grande sagacia aveva accettato il mio consiglio? Con il passare degli anni ho compreso che le sue titubanze iniziali, riferite ora alla decisione di imbottigliare tutto il vino prodotto, ora a quella di riqualificare l’intero comparto vitivinicolo dell’azienda, erano dovute alla sua conoscenza degli enormi sacrifici a cui io sarei andata incontro in questo lavoro. E con l’amore che solo un grande padre può avere verso una figlia, cercava di dissuadermi dall’affrontarli. Un gesto d’amore vero, che mi ha fatto sentire ancora più vicina a lui, alla mia famiglia. Ma ci sono anche altri eventi che mi stanno coinvolgendo emotivamente, molto più di quanto pensassi o di quanto succedeva in passato. Ce n’è stato uno dolcissimo, non molto tempo fa, che ha visto come protagonista mio fratello, il quale, alla mia ennesima partenza avvenuta dopo un lungo periodo trascorso qui in Sicilia nella casa paterna, proprio mentre ero ancora all’aeroporto, mi raggiunse con un messaggio telefonico. Con quelle poche parole mi comunicava la sua tristezza nel constatare che la nostra casa, dopo la mia partenza, si era abbuiata, spenta, privata della luce con la quale la mia vitalità l’aveva riempita in quel soggiorno. Ancora oggi, pensando a questo, mi commuovo. In certi momenti arrivo anche a pensare che se da una parte è vero che l’esuberanza e la cocciutaggine usate nell’affrontare le cose mi hanno consentito di vivere la mia vita come desideravo, dall’altro lato, forse, questo mio carattere non ha consentito agli altri di avvicinarsi a me come avrebbero voluto. Ho la consapevolezza che la mia irrequietezza non è un osso facile da digerire per nessuno, come del resto non lo è il vivermi accanto. Un continuo movimento, una rincorsa perenne, la ricerca costante di emozioni nelle cose che faccio; il richiedermi e il chiedere sempre di più, sono tutti elementi caratteriali che, sono sicura, non agevolano nessuno. È bello però svegliarsi una mattina e scoprire, forse anche un po’ scioccamente, di essere amata per ciò che sei; è piacevole constatare come le persone più care oggi mi abbiano capito molto più di quanto pensassi e che per di più sono anche disposte a starmi accanto nel viaggio che mi vede sempre di più impegnata a fare il vino nella mia Valle dell’Acate.

290


B idis

Quantità Prodotta 6000 bottiglie l’anno

IGT Sicilia

Note Organolettiche

Zona di Produzione

Vino dal colore giallo paglierino carico con

Bidis è un blend delle migliori uve Chardonnay e Inzolia pro-

profumi intensi di fiori bianchi di agrumi a

venienti dai vigneti di proprietà dell’azienda posti in contrada

cui si aggiungono anche suadenti essenze di

Bidini, sul territorio del comune di Acate, nell’area di produ-

frutta esotica matura e mandorla. In bocca emergono note

zione del Cerasuolo di Vittoria Doc.

tipicamente mediterranee con freschezza e sapidità evidenti, ma ben bilanciate da adeguata morbidezza.

Tipologia dei Terreni I vigneti dello Chardonnay si trovano su terreni giallo ocra di

Prima Annata

medio impasto inframezzati da tufi calcarei, quelli dell’Inzolia sono rossi, con buona presenza di ferro e silicio; si trovano a un’altitudine di 240 metri s.l.m. con un’esposizione a sud.

1994

Uve Impiegate

Le Migliori Annate

Chardonnay 60%, Inzolia bianca 40%

1994 - 1997 - 1999

Sistema d’Allevamento

2000 - 2001

Cordone speronato

Densità di Impianto 3800-4500 ceppi per Ha

Note Bidis è un antico stanziamento siracusano del VI secolo nella valle del Dirillo. Il vino raggiunge la maturità dopo 3 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 3 e i 5 anni.

Tecniche di Produzione Dopo la vendemmia, che avviene di solito dal

L’ Azienda

10 agosto al 15 settembre, e una pressatura

L’azienda, di proprietà della famiglia Jacono dal 1850, si esten-

soffice delle uve, la temperatura del mosto

de su una superficie complessiva di 100 Ha, di cui 85 vitati.

fiore viene abbassata a 5°C per circa 10 ore per poi lasciarla

Gli agronomi in azienda sono Giuseppe Jacono e Ottavio

risalire e dare avvio alla fermentazione alcolica che si protrae

Ferreri, gli enologi Giuseppe Romano e Antonino Di Marco.

8 giorni per l’Inzolia e 10 giorni per lo Chardonnay ad una temperatura compresa tra i 15 e i 18°C, in recipienti di acciaio inox termo-condizionati. Dopo una breve decantazione naturale, lo Chardonnay viene messo in barriques nuove di rovere francese dove rimane 12 mesi; in seguito avviene l’assemblaggio delle partite e quindi si procede all’imbottigliamento per far effettuare al vino un ulteriore affinamento di altri 6-9 mesi.

ACATE

291


292




I vitigni siciliani I BIANCHI Carricante Il nome a questo uvaggio sembra sia stato attribuito dai viticoltori di Viagrande, nel catanese. Diffusosi particolarmente sui versanti est e sud dell’Etna, tra i 950 e i 1050 metri s.l.m., nelle contrade più elevate dove il Nerello Mascalese difficilmente matura o in vigneti più bassi con lo stesso Nerello Mascalese o con la Minnella Bianca, entra nella costituzione dell’Etna Bianco DOC e dell’Etna Bianco DOC Superiore, per un 80%. Il Carricante, specialmente nella zona dell’Etna, dà vini contraddistinti da un’elevata acidità fissa, da un pH particolarmente basso, da un notevole contenuto in acido malico e da una notevole longevità.

Catanese Bianco Un tempo assai coltivato, specialmente nel trapanese, il suo utilizzo oggi è poco frequente, soprattutto perché facilmente attaccabile dalla Peronospora. Solo negli ultimi anni si sta cercando di ripristinarlo con qualche clone presente nel trapanese, al fine di riprendere questa cultivar che risulta interessante per la produzione di vini bianchi autoctoni.

Catarratto Meglio sarebbe dire “i Catarratti”, poiché in seno a questa cultivar si distinguono almeno due grandi cloni e tutta una serie di sottocloni dai nomi molto pittoreschi: Catarratto Ammantidatu, Catarratto Fimminedda, Catarratto Bagascedda, Catarratto Mattu, Lucido, Extralucido, etc... Vitigno diffuso principalmente nella provincia di Trapani, dove è la varietà quantitativamente più importante e dove ha trovato la sua massima diffusione, rientra nella produzione del vino Marsala DOC e in altre DOC siciliane come Alcamo, Contea di Sclafani, Contessa Entellina e Monreale. La grande variabilità e i diversi cloni di uve danno origine a vini completamente diversi fra loro che variano anche a seconda delle zone di produzione e delle altitudini.

È tra i vitigni internazionali più coltivati in Sicilia. Nelle zone più calde della costa occidentale dell’isola matura precocemente, nei primi giorni di agosto; sull’Etna circa un mese dopo. Viene spesso vinificato in barrique dando un vino di grossa struttura e morbidezza con note vanigliate e di burro, dal colore giallo paglierino intenso.

dolce. Questo uvaggio rientra, oltre che nella produzione del vino Marsala, in altre DOC della Sicilia occidentale quali Alcamo, Contea di Sclafani, Delia Nivolelli e Monreale. Bisogna sfatare la credenza che sia solo un vino atto a produrre Marsala; se vinificato in modo idoneo e con un controllo adeguato della resa per ceppo, riesce a dare vini da tavola interessanti e fini, oltre che di buona struttura e profumi.

Damaschino

Inzolia o Ansonica

Si pensa che il nome Damaschino tragga le sue origini dalla città di Damasco e che la sua introduzione in Sicilia si possa far risalire alla dominazione araba sull’isola. Nella Sicilia occidentale, nel 1868, viene citato dal Mendola; sappiamo inoltre della sua diffusione a Menfi e paesi vicini, così come nell’agro marsalese ove - secondo quanto afferma nel 1872 il Nicolosi - “[…] per vini leggeri e profumati il Damaschino forma gran parte di quel territorio”. Viene sostituito dal Catarratto solo perché quest’ultimo produce mosti più zuccherini. Ne nascono vini fini dal sapore neutro e delicato.

L’Inzolia o Ansonica, come è chiamato in Toscana, è una varietà di uva presente in Sicilia da tantissimo

Chardonnay

Grecanico Bianco (Grecanico Dorato, Garganega del Veneto) Questo vitigno, di grande interesse enotecnico, fornisce un’uva che dà un vino di norma non maderizzante, di gran profumo, fine, morbido ed armonico; un vino di gran pregio che si pone tra i più alti valori enotecnici siciliani. Questo vino si presta al taglio con altri vini siciliani quali il Catarratto e l’Inzolia, conferendo un pregio al vino derivato, al quale apporta una nota miglioratrice. Il Grecanico siciliano è sinonimo della Garganega veneta; quest’ultima, tuttavia, risulta più produttiva.

Grillo Importante vitigno che si è diffuso nel trapanese e in quasi tutta la Sicilia occidentale soprattutto per il valido contributo fornito alla produzione del Marsala. L’uva si presenta con un grappolo medio, di forma cilindrica o conica e con un acino medio, sferoide con buccia gialla dorata, di consistenza croccante ed assai

295



tempo. Questo vitigno, diffuso soprattutto nelle province di Agrigento, Palermo e Caltanissetta, rientra nei disciplinari di diverse DOC dell’isola, a partire da quella di Monreale a quella di Alcamo, dalla DOC della Contea di Sclafani a quella della Contessa Entellina o Delia Nivolelli, Menfi e Sciacca.

Malvasia Anche le Malvasie sono una famiglia di uve che si presentano a bacca bianca e rossa. La Malvasia più famosa, quella che ha riscontrato il maggiore successo, in Sicilia è coltivata a Salina, nelle isole Eolie; si tratta della Malvasia di Lipari, l’uva da cui si ottiene l’omonimo vino da dessert.

Minnella Uva divenuta ormai rara che si trova soprattutto nei vecchi vigneti in consociazione con il Nerello Mascalese e il Carricante. Il nome Minnella o Minnedda Janca le è stato attribuito dai viticoltori etnei per l’originale forma dell’acino somigliante ad una minna, cioè ad un seno. La Minnella, che può contribuire alla realizzazione dell’Etna DOC per un massimo del 10%, matura tra la seconda e la terza decade di settembre, in anticipo rispetto agli altri vitigni autoctoni etnei. È adoperato principalmente negli uvaggi di vini dell’Etna, ma dà anche un ottimo vino da pesce.

Moscati I Moscati sono una famiglia di uve di colore sia bianco che nero, da sempre presenti nell’area mediterranea. Alcune varietà sono utilizzate esclusivamente per la vinificazione di vini da dessert come il Moscato bianco di Siracusa ed il Moscato bianco di Noto, altre come uva da tavola, altre ancora per la preparazione di uva passa. A quest’ultima famiglia appartiene lo Zibibbo o Moscato di Alessandria, esclusivo dell’isola di Pantelleria. Lo Zibibbo è un’uva aromatica a triplice attitudine (appassimento, da tavola e da vinificazione), ad acino grosso, che matura nell’isola di Pantelleria da fine luglio a metà settembre.

I ROSSI Alicante o Grènache Nero Vitigno di origine spagnola, coltivato pure in Sicilia con il nome di Alicante. Ne risultano presenti in Sicilia circa 200 ettari. Col nome di Cannonau è diffuso in Sardegna. Il vitigno è presente nelle zone più alte della Sicilia alle falde dell’Etna.

Cabernet Sauvignon Se lo Chardonnay è la regina dei vitigni bianchi nel mondo, il Cabernet Sauvignon è il re dei rossi del globo e proprio in Sicilia, negli ultimi anni, ha avuto una diffusione notevole, vinificato da molte aziende sia in purezza che in concomitanza con altri uvaggi. La grande importanza è dovuta al fatto che, per le elevate temperature e la solarità dell’ambiente pedoclimatico, non manifesta evidente la componente erbacea come esprime generalmente in tantissime regioni del Nord Italia o in altri continenti.

Frappato di Vittoria È molto probabile che la sua origine sia ragusana, in particolare del Vittoriese, dove sembra sia coltivato almeno dal XVII secolo. Vinificato in purezza dà vini con buona acidità, poco tannici e profumati, nei quali predomina, di solito, la nota aromatica di marasca. Entra nella costituzione della DOC del Cerasuolo di Vittoria con una percentuale minima del 40%, contribuendo a rendere più profumati ed eleganti uvaggi come il Nero d’Avola.

Merlot Dal sud ovest della Francia alla Sicilia, regione dove si sta diffondendo soprattutto nella parte occidentale; qui matura precocemente, alla fine di agosto e ai primi di settembre, dando dei vini molto aromatizzati. Interessanti le colture presenti sull’Etna e quelle della zona di San Giuseppe Jato. Anche questo vitigno, come il Cabernet Sauvignon, se portato a maturazione elevata perde le sue caratteristiche di vegetale riuscendo a dare vini molto

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concentrati in alcool, tannini e polifenoli, oltre che dal colore molto intenso; ciò ne fa un vino di grande importanza, oltre che nella produzione varietale, come vino da blend.

Nerello Cappuccio Il Nerello Cappuccio o Mantellato, meglio conosciuto in Sicilia come Mantiddatu niuru o Niureddu Ammantidatu, è un grande vitigno autoctono della zona etnea; il suo nome subisce ulteriori variazioni del tipo Mantello proprio in conseguenza della forma della pianta coltivata ad alberello. Questo vitigno, insieme al Nerello Mascalese, entra nella costituzione della DOC Etna Rosso, in misura del 20% e, insieme al Nocera e al Nerello Mascalese, oltre ad altri vitigni minori, nella produzione della DOC Faro. Vinificato in purezza dà vini da medio invecchiamento. Se si fa produrre con rese per ceppo alquanto basse, riesce a dare vini molto concentrati nel colore e con polifenoli talmente elevati da raggiungere valori simili ai tanto decantati Cabernet Sauvignon.

Nerello Mascalese Il Nerello Mascalese o Niureddu Mascalisi, o più semplicemente Niureddu, è indubbiamente il vitigno principe della zona etnea che ha subìto un’attenta selezione clonale avviata parecchie centinaia di anni fa dagli stessi viticoltori. È un vitigno che, se vinificato bene, dà origine a grandi vini rossi da invecchiamento in cui predominano sensazioni olfattive di fiori, tabacco e spezie, insieme ad una tipica e gradevole tannicità.

Nero d’Avola Il Nero d’Avola, detto anche Calabrese, si può considerare il vitigno a bacca rossa più tipico e oggi forse più interessante della Sicilia. Il sinonimo Calabrese è una “italianizzazione” dell’antico nome dialettale siciliano del vitigno “Calavrisi”, che letteralmente significa “uva di Avola” o “uva venuta da Avola”. Diffusosi forse per primo nelle province di Siracusa e

Ragusa, negli anni si è esteso un po’ a tutta la Sicilia, tranne che sull’Etna. Questo vitigno dà origine a grandi vini rossi in cui le selezioni olfattive di frutta rossa, anche dopo lunghi anni, rappresentano la componente più importante e caratteristica, ma la grande diversità delle aree produttive di Ponente o Levante, del Nord o del sud dell’isola caratterizzano molto il Nero d’Avola lì prodotto. Entra nella costituzione della DOC del Faro o in quella del Cerasuolo di Vittoria e di altre DOC siciliane di più recente costituzione.

Nocera Questo vitigno autoctono della provincia di Messina un tempo era diffusissimo, mentre oggi, purtroppo, è ridotto a pochi ettari e soppiantato ormai, oltre che dai vitigni etnei Nerello Mascalese e Cappuccio, dai più conosciuti vitigni nazionali ed internazionali. Il Nocera, considerato nella produzione del Faro DOC insieme al Nerello Mascalese e al Nerello Cappuccio, ha grappolo lungo, mediamente serrato, con acino medio di forma ellissoidale dal colore grigio-bluastro. L’uva è molto dolce e ha un’ottima acidità. Il vino è di colore rosso intenso, profumato, caldo, tannico e ricco di estratto.

Syrah Il nome di questo uvaggio ha forte analogia con la città persiana di Schiraz, ma ci sono altri che sostengono la similitudine con Siracusa (J. P. Vidal). Solo recentemente è stato introdotto in Sicilia, dove matura più tardi rispetto al Merlot e all’incirca nello stesso periodo del Nero d’Avola. Il Syrah ha grappoli medi, con acini piccoli ovoidali di colore nero violetto che lo rendono molto simile al Nero d’Avola. Profumo intenso di gelso, mirtilli e frutta fresca. Ottimo vino da taglio per tale caratteristica di giovinezza, che riesce a infondere nei vari blend cui spesso dà origine.

Perricone Il Perricone, chiamato anche Pignatello nel trapanese, o Tuccarino in altre parti della Sicilia, è poco diffuso e sembra non riscontrare più particolare interesse tra i viticoltori, anche se rientra in alcune importanti DOC siciliane come quella della Contea di Sclafani o del Marsala per il tipo Rubino, sia in uvaggio che in purezza. Ha grappolo lungo, spesso lunghissimo (fino a 33 centimetri), cilindro-conico, di media compattezza.

Petit Verdot Vitigno che negli ultimi anni ha cominciato ad assumere grande importanza per il suo alto contenuto di polifenoli e sostanze coloranti da impiegare nei tagli di vini preparati per lunghi affinamenti.

299


Finito di stampare nel mese di Dicembre 2003 presso la Tap Grafiche S.p.A.



Viaggio

tra i grandi vini di Sicilia Dovevo scoprire la Sicilia, ma nel prendere però questa decisione mi preoccupava il modo con il quale io mi raffronto da sempre con il mondo del vino. Un modo un po’ atipico, molto diverso da quello comunemente usato da altri, sempre orientati verso la diagnostica che determina le caratteristiche organolettiche del prodotto vino: analisi interessanti e doverose, ma per me, poco coinvolgenti. Pur partendo dall’importanza di ciò che una bottiglia racchiude, mi sono sempre sforzato, in questi anni, di conoscere le motivazioni che spingono qualcuno a realizzare un certo prodotto e scoprire cosa vi sia dietro a quei contenitori di vetro: tutto questo mi stimola e mi arricchisce. Questo mio personale modo di raffrontarmi con il mondo del vino, così coinvolgente, fatto di contatti umani, d’emozioni, sempre supportato da un dialogo diretto e schietto con l’imprenditore, poteva rendere il mio lavoro più difficile su quell’isola che non conoscevo? Cosa avrei potuto scoprire che non fosse già risaputo? Mi stavo organizzando per andare a conoscere una regione nelle cui vene scorrono storia, arte, cultura, oltre al sangue dei mercanti fenici, greci e arabi. Cosa avrei trovato lì? Commercianti o vignaioli? Cosa avrei potuto carpire a quegli uomini per i quali la riservatezza è un mito?


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