a cura di Andrea Zanfi fotografie di Giò Martorana
Vivo Sicilia
è i mercati del pesce in Carlo Cambi Editore
Il pensiero, l’idea, il sogno, l’impegno, il risultato e poi... un sorriso, mentre una lieve brezza marina mi rinfresca il viso e gonfia le vele del mio domani. Tutto contribuisce a farmi sentire un giorno in piÚ libero e vivo Andrea Zanfi
Vivo Sicilia
è i mercati del pesce in
a cura di Andrea Zanfi fotografie di Giò Martorana
Carlo Cambi Editore
Vivo è I mercati del pesce in Sicilia a cura di Andrea Zanfi Testi di: Andrea Zanfi, Carmelo Lo Monte, Ignazio Marinese, Alberto Acierno, Gaetano Basile, Eliodoro Catalano, Franco Andaloro, Cinzia Taibbi Fotografie di Giò Martorana © Coordinamento editoriale e di redazione: Marco Biotti In redazione: Valentina Sardelli Segreteria organizzativa: Cinzia Taibbi Progetto grafico: Elisa Marzoli Traduzione inglese: An.se sas Fotolito e stampa: Tap Grafiche S.p.A. Carlo Cambi Editore Via San Gimignano 53036 Poggibonsi (Siena) Tel. 0577 936580 Fax 0577 974147 www.carlocambieditore.it info@carlocambieditore.it Proprietà letteraria riservata - Printed in Italy Prima edizione: marzo 2006 2006 © Copyright Carlo Cambi Editore 2006 © Copyright Andrea Zanfi ISBN 88-88482-46-6 I diritti di riproduzione, di traduzione, di memorizzazione elettronica e di adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo (compresi microfilm, cd e copie fotostatiche), nonché l’inserimento in siti internet, sono riservati per tutti i paesi. Si ringraziano: L’editore Enzo Sellerio; Raimondo Sarà per aver concesso l’intervista dalla quale nasce il testo “Tonni e tonnare”; Il Consiglio di Amministrazione ed il personale tutto della Fondazione Culturale Mandralisca di Cefalù; L’Istituto di Storia Patria di Palermo; Il Rettore del Santuario di Altavilla Milicia; Il Maestro ceramista Giacomo Alessi di Caltagirone e la sua gentile signora Giovanna; Agostino Martorana; Luigi Orlando; Gli arrostitori del mercato del Borgo Vecchio di Palermo nelle persone di Michele, Ignazio e Vito Francesco Marino della trattoria “Il Cantastorie” di Palermo; I fratelli Balistreri del ristorante “Al Faro Verde” di Porticello; Gigi Valastro e tutto lo staff del ristorante “L’ambasciata del mare” di Catania; Salvo Campisi e tutto lo staff del ristorante “Antica marina” di Catania; L’azienda “Brunetto & Bellante maestri salatori” di Aspra, nella persona di Giuseppe Brunetto; L’azienda Nino Castiglione di Trapani; Salvatore Asaro e gli operai del cantiere navale “Il carpentiere” di Mazara del Vallo; I Maestri d’ascia Gaspare e Paolo Marciante di Trapani; Il Maestro d’ascia Michele D’Amico di Trapani; L’Ittica Bottaro di Siracusa; I Fratelli Francesco e Giovanni Zizzo di Porticello; I Fratelli Domenico e Simone Zizzo di Porticello detti “I Tarzan”; La famiglia Lo Coco di Porticello detta “I Parrini”; L’antica pescheria Fratelli Tagliavia di Palermo; La pescheria Franco del Borgo Vecchio di Palermo; La pescheria di Pierino e Francesco Viola di Palermo; La pescheria dei Fratelli Sampino di Palermo; Tutti coloro che per motivi non dipendenti dalla nostra volontà non siamo stati in grado di menzionare.
Regione Sicilia
UNIONE EUROPEA
ASSESSORATO REGIONALE COOPERAZIONE, COMMERCIO, ARTIGIANATO E PESCA DIPARTIMENTO PESCA
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I mercati del pesce in Sicilia
I
In Sicilia ben sei sono i capoluoghi di provincia che si affacciano sul mare:
mercati ittici che erano riusciti a resistere a ben altre vicissitudini sono oggi
Palermo, Messina, Catania, Siracusa, Agrigento e Trapani. A queste città, dove
scomparsi lasciando un vuoto ancora di là dall’essere riempito. Basterebbe
la pesca è piuttosto diffusa, si aggiungono altri centri, talvolta identificabili
un solo esempio significativo come quello che riguarda la pesca del tonno,
con piccoli paesi o con vere e proprie cittadine che hanno, da sempre, un
per meglio comprendere quale sia il momento storico che stiamo vivendo.
saldissimo legame con il mare. È il caso di Mazara del Vallo, dove ha sede la
Oggi le barche che operano nel canale di Sicilia, infatti, spesso preferiscono
più grande flotta peschereccia d’altura italiana, di Sciacca, di Licata, Scoglitti
vendere i tonni appena pescati ai giapponesi che con le loro imbarcazioni
e Porticello, ma anche di tante altre località alle quali si vanno ad aggiungere
operano lungo tutti i 365 giorni dell’anno nel Mediterraneo e lo stesso dicasi
in questo lunghissimo elenco quei piccoli borghi marinari che punteggiano
per le aziende ittiche che allevano i tonni nelle gabbie flottanti ancorate a
le coste siciliane e quelli delle isole minori, dove forse più che da ogni altra
qualche miglio dalla costa siciliana. L’esempio del tonno ci dà la misura di
parte si respira il mare e con esso tutte quelle atmosfere che caratterizza-
quanto sia mutato il modo di commercializzare il pescato in Sicilia. Rispetto
no le attività legate alla pesca. Sicuramente non è esagerato affermare che
al consumo di questo grande pesce azzurro, i siciliani hanno sempre rispet-
intorno ad un grande o ad un piccolo porto peschereccio siciliano c’è, o c’è
tato una tradizione enogastronomia aristocratica. In Sicilia il tonno - o come
stato, un importante mercato del pesce con le sue tradizioni e la sua storia,
si usa dire dalle nostre parti, ‘a tunnina - si gusta solo a maggio e a giugno. E
con i suoi miti e i suoi riti. Da spettatori involontari assistiamo però a enormi
un motivo c’è: in questi due mesi primaverili i tonni pensano all’amore e non
cambiamenti e a una globalizzazione inarrestabile che ha coinvolto e in alcu-
a nutrirsi. Così si spostano in massa verso i luoghi della riproduzione. Ed è
ni casi stravolto tutto e tutti, compreso il mondo della pesca e con essa tutto
proprio per questo che nei secoli passati, a maggio e a giugno, in tanti punti
quel tessuto imprenditoriale e sociale che ad essa era collegato. Da questa
dell’isola, a qualche miglio dalla costa, venivano montate le tonnare. È opi-
metamorfosi non poteva sottrarsi neanche la stessa idea che avevamo fino a
nione comune che il tonno di tonnara sia più leggero e più digeribile del ton-
poco tempo fa del mercato del pesce, quella tradizionale, quell’idea che oggi
no pescato con le attrezzature moderne. Questo perché nella tonnara questo
si è modificata ed è cambiata radicalmente o addirittura, in alcuni casi e in
grande pesce azzurro viene dissanguato. L’interpretazione è corretta. Ma va
alcune aree, è stata cancellata completamente fino al punto che quei piccoli
anche detto che il tonno pescato a maggio e a giugno, sia con le tradizionali
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tonnare, sia con le tecniche di pesca moderne, è più digeribile perché è meno
tri della Sicilia dove veniva esercitata la pesca con i cosiddetti “Cianciuoli”
grasso; ed è meno grasso perché nel lungo tragitto che percorre per recarsi
(particolari reti da pesca per catturare alici e sarde), il pesce azzurro non
nei luoghi della riproduzione perde buona parte delle riserve che ha accu-
aveva grande mercato. Quando le imbarcazioni tornavano la mattina all’alba
mulato. Diverso è il discorso per i giapponesi, che per la preparazione dei loro
dopo una notte di pesca, sarde e alici venivano vendute lungo le banchine del
piatti preferiti - sushi e sashimi - prediligono un tonno ricco di grassi: da qui
porto o da venditori che giravano per le vie dei paesi con le ceste cariche di
la loro richiesta di tonno per 365 giorni all’anno. Il tonno, in Sicilia, ci ricorda
questi pesci. Anche per il pesce azzurro le tradizioni sono tante. A Sciacca, ad
antiche tradizioni: a parte la tonnara di Favignana, che è meta ogni anno di
esempio, i pescatori, non appena tornati dalla pesca, usavano accendere
tanti turisti, c’è anche una tradizione gastronomica che si è evoluta. Si può
grandi falò lungo le spiagge. Così, alle sette del mattino cominciavano ad
affermare che in ogni luogo della Sicilia dove un tempo c’erano le tonnare
arrostire sarde su spiedini improvvisati, ricavati dalle canne (gli “spiti”). Que-
ci sia un modo particolare per preparare questo pesce azzurro. Ma nel tonno
sto avveniva a giugno e a luglio, mesi in cui per lo più veniva praticata la
rosso del Mediterraneo (questo il nome del prodotto che è completamente
pesca del pesce azzurro. Così si montavano tendoni improvvisati lungo le
diverso, sotto il profilo organolettico, dai tonni cosiddetti a pinna gialla di
spiagge per ripararsi dal sole estivo che di lì a qualche ora sarebbe arrivato e
provenienza oceanica) non si è evoluto soltanto il mercato del fresco. Anche
si dava vita a grandi mangiate di sarde arrostite con pane e cipolle crude
la lavorazione di questo prodotto oggi è diversa rispetto al passato. A parte
bagnate nell’acqua di mare. Un rito a cui si univano gli abitanti delle contra-
il prodotto affumicato, che ormai da anni fa parte della nostra tradizione
de. In tanti centri dell’isola il pesce azzurro è stato per lunghi anni il legame
gastronomica, ci sono anche altri prodotti che riscuotono grande successo
che univa il mondo dei pescatori con quello dei contadini. La sarda non è mai
presso i mercati nazionali e, da qualche tempo, anche internazionali: penso
stato il pesce delle classi abbienti. Infatti, come ho già ricordato, veniva ven-
alle uova di tonno (i primi piatti preparati con le uova di tonno sono ormai
duto a poco prezzo lungo le banchine del porto o per le strade. Ad acquistare
una costante di tanti ristoranti italiani), al “salame di tonno” o, ancora, alla
le sarde, a giugno, erano anche i contadini. Le sarde, private delle interiora e
raffinata “bresaola di tonno”. Ho parlato del tonno, anche se in realtà l’evo-
della testa, venivano depositate in recipienti di legno (che spesso erano delle
luzione dei mercati riguarda un po’ tutto il pesce e, in particolare, un po’
vecchie botti aperte a metà) e ricoperte di sale. I contadini siciliani, detto in
tutto il pesce azzurro. Parlo delle alici o acciughe, delle sarde o sardine, degli
parole semplici, praticavano la salagione delle sarde, che avrebbero mangiato
sgombri e, ancora, delle aguglie, delle alacce e via continuando. Anche su
nei mesi freddi, magari in insalate con arance o limoni, cipolla cruda e olive
questo fronte sono tanti i mutamenti registrati nel corso degli anni. Rispetto
nere (erano le olive che non venivano molite perché troppo mature, che ve-
al pesce azzurro è cambiata l’idea di mercato. Fino a quarant’anni fa nei cen-
nivano conservate in grandi ceste di giunco in luoghi asciutti e cosparse di
sale; sono questi i cosiddetti “passuluna”: olive nere seccate con il sale e
rolo “cattivo”. I grassi della serie Omega 3, infatti, giocano un ruolo importan-
ravvivate nelle insalate). Oggi questo tradizionale piatto della cucina siciliana
te per il miglioramento della circolazione cardiaca, prevenendo l’insorgere di
si è evoluto, sostituendo la sarda salata con l’aringa affumicata e con olive
patologie dell’apparato cardiocircolatorio. Come si può notare, parlare dei
nere preparate in altri modi. Anche la salagione del pesce, nell’isola, vanta
mercati del pesce della Sicilia significa abbandonarsi a digressioni storiche,
un’antica tradizione (l’uso abbondante di sale deriva dal fatto che in Sicilia di
scientifiche, gastronomiche e - perché no? - anche culturali. È il caso della
cloruro di sodio, per via delle saline e delle miniere, ce n’è sempre stato tanto
“Vucciria”, forse il più noto mercato del pesce di Palermo. Oggi anche la “Vuc-
e a basso prezzo). Il pesce azzurro - per lo più sarde, alici, sgombri e qualche
ciria” è in crisi. Non è questo il luogo per affrontare le ragioni di una crisi che
volta anche aguglie - veniva acquistato appena pescato e messo sotto sale.
colpisce anche questo mercato storico di Palermo (che, a dir la verità, non si
Oggi, in alcune parti della Sicilia (penso a Sciacca), quella del pesce azzurro
caratterizza solo per la presenza di punti vendita di pesce, ma anche di altri
salato è un’industria fiorente, se è vero che le sarde e le alici salate sott’olio
prodotti). Ora, a parte i già citati problemi di questo mercato, c’è un partico-
(magari con l’aggiunta di aromi, ad esempio il peperoncino) vengono espor-
lare, in verità un po’ misterioso, che mi ha sempre incuriosito: la presenza,
tate in tutto il mondo. Del pesce azzurro - e questo in verità non riguarda
nell’area della “Vucciria”, di complessi monumentali di straordinaria bellezza,
solo la Sicilia - è cambiata la percezione da parte dei consumatori e, quindi,
dalle chiese ai palazzi alle piazze: quasi che l’attività di questo mercato (che
da parte del mercato. Anzi, diciamo che il cambiamento, rispetto al pesce
è poi il vecchio mercato del pesce di Palermo, che in linea d’aria si trova qua-
azzurro, è in corso proprio in questi ultimi anni. La scienza odierna ci dice che,
si a due passi dalla “Cala”, cioè dal porto) dovesse combinarsi con la storia e,
intanto, il pesce azzurro non è più grasso del pesce bianco (orate, spigole,
soprattutto, con l’architettura della città. È una caratteristica che a Palermo
saraghi e via proseguendo). E questo fa giustizia di un mentalità convenzio-
ho sempre notato anche in altri mercati storici: è il caso del “Capo”, al quale
nale che voleva sarde, alici e sgombri fuori dalle diete, in un tempo in cui il
si accede dalla maestosa Porta Carini. Ma alla “Vucciria” la presenza di banchi
mantenimento della linea, per motivi estetici, ma anche salutistici, sembra
per la vendita di prodotti e di complessi monumentali straordinari è più forte:
diventato centrale. Ma la scienza, oggi, ci dice, soprattutto, che il pesce az-
qualcosa che non so se definire felice simbiosi o contrasto stridente. So,
zurro, se consumato fresco, fa molto bene alla salute, in quanto il valore
però, che nel guardare la “Vucciria” a Palermo, piazza Alcalà a Catania, il
nutrizionale del pesce azzurro è elevato per ciò che riguarda l’apporto al no-
Porto Canale di Mazara del Vallo o il quartiere che dalla piazza digrada verso
stro organismo di proteine di alta qualità e, in particolare, per la presenza dei
il mare a Sciacca, il quartiere della marina a Licata, o ancora il porto di Mes-
grassi della serie Omega 3: si tratta di sostanze che la moderna scienza me-
sina, quello di Scoglitti e gli approdi di tutte le isole minori che circondano la
dica ritiene fondamentali per la riduzione nel nostro organismo del coleste-
Sicilia, ebbene, so che guardando questi paesaggi marini spettacolari non
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posso che ricordare, a me stesso e a tutti i siciliani, che la Sicilia ha ancora
stra la presenza di specie tropicali (il pesce palla, ad esempio, sta diventano
bisogno di queste testimonianze: che la Sicilia ha ancora bisogno dei mercati
una costante dei nostri mari) che possono mettere a repentaglio la biodiver-
ittici e dei mercati storici. Abbiamo bisogno dei mercati dove si vende il pesce
sità del nostro mare (tra i pesci tropicali che cominciano a colonizzare il Me-
al dettaglio. E ne abbiamo bisogno per creare una sorta di “Borsa del pesce
diterraneo possono esserci specie particolarmente aggressive e competitive
siciliano”: un luogo dove concentrare l’offerta per evitare di disperderla in
rispetto alle specie autoctone). Per non parlare dell’inquinamento. I temi e i
mille rivoli. Perché il pesce pescato nel Mediterraneo - e anche questo è noto
problemi sono tanti e non possono certo essere risolti dalla Sicilia o dall’Unio-
a tutti - ha un sapore diverso da quello pescato in altri mari: un pesce più
ne Europea. Ricordo che, su 22 Paesi che si affacciano sul bacino del Mediter-
gustoso e quasi unico, che va valorizzato insieme con le nostre tradizioni, con
raneo, solo 7 fanno capo all’Unione Europea. Ne deriva che, se vogliamo tu-
i colori e i sapori della Sicilia e con la nostra cultura. Perché non ci dobbiamo
telare il Mediterraneo, lo dobbiamo fare in collaborazione con gli altri Paesi
mai dimenticare che quando andiamo nei mercati internazionali non offria-
che si affacciano su questo mare. La gestione dei cosiddetti spazi condivisi
mo soltanto il pescato della Sicilia, il pescato del Mediterraneo: offriamo un
diventa così strategica. Una sfida all’insegna della collaborazione e della pace
pezzo di Sicilia con tutto il suo carico di miti e tradizioni culturali, comprese
tra i popoli. E credo che sia proprio questa una delle grandi scommesse del-
quelle enogastronomiche. Ma abbiamo anche bisogno di rilanciare, nel segno
l’Unione Europea per i prossimi anni. Desidero comunque ringraziare tutti
della nostra tradizione, anche i nostri mercati storici. Mi sono soffermato di
coloro che con impegno e grande spirito di collaborazione hanno permesso la
più sulla “Vucciria” perché forse lo vedo soffrire di più; ed è per questo che,
realizzazione di questa splendida pubblicazione, ineccepibile nella veste gra-
insieme con i Comuni, dobbiamo elaborare un progetto per il rilancio dei
fica, nella scelta fotografica e nei contenuti, oltre che per la scelta dei luoghi
mercati storici: per tornare a far vivere la gente in questi luoghi, ma anche
e dei momenti, finalizzati alla loro rappresentazione cartacea. Credo ferma-
mettendo i cittadini nelle condizioni di recarsi in questi mercati con facilità,
mente che tale lavoro, indispensabile per una sana ed efficace valorizzazione
con la creazione di parcheggi e servizi. Un’ultima considerazione la vorrei
e promozione delle attività di marketing dell’Assessorato che io ho l’onore di
spendere per il Mediterraneo, questa grandissima risorsa che condividiamo
guidare, rappresenti un tassello di notevole spessore culturale, sintesi a mio
con i Paesi del Nord Africa e, in generale, del mondo arabo. È chiaro a tutti che
avviso di una lunga, profonda e laboriosa ricerca etno-antropologica che ha
senza un Mediterraneo sano e tutelato dall’inquinamento, non ci sarà più
saputo “fotografare” all’interno dell’animo siciliano, regalandoci spaccati di
nulla: né pescato, né mercati storici del pesce. Oggi il Mediterraneo è un po’
vita quotidiana che difficilmente rimuoveremo dalle nostre memorie.
in affanno. Spesso il cosiddetto “sforzo di pesca” (cioè il quantitativo di pesce Carmelo Lo Monte pescato) è eccessivo. Alcune specie ittiche sono in via di estinzione. E si regi-
Assessore alla Cooperazione, Pesca e Artigianato della Regione Sicilia
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A pochi mesi dal mio insediamento presso l’Assessorato Regionale alla Coo-
A
mano e ci guidano ora in mezzo alla luce, poi al tramonto, in un turbinio di
perazione e Commercio, nella qualità di Dirigente Generale, alla guida del
colori e di ombre con sapienza e antica maestria, come antichi quadri sono i
Dipartimento Pesca, non poteva esserci occasione più importante e grati-
volti che essi fissano nelle loro pellicole prima e sulla carta dopo.
ficante che presentare una così pregiata opera editoriale sul mondo della
Gli autori hanno saputo rubare il tempo alle attività di vita quotidiana mi-
pesca.
schiandosi tra la gente dei mercati, dove i ruoli di chi compra e di chi vende
Contribuire alla nascita di una pubblicazione che mancava, e che arricchisce
si fondono in un tutt’uno, creando quadri a tinte forti il cui valore croma-
sicuramente lo spirito, ci stimola a fare meglio nell’esercizio delle proprie
tico irrompe prepotentemente fissandosi nelle nostri menti di osservatori a
funzioni.
tempo.
I due superbi autori, Giò Martorana, siciliano di nascita armato della sua in-
Grazie agli autori per aver creato un interessante abaco dove la differenza
separabile macchina fotografica e l’istrionico regista Andrea Zanfi, toscano
tra una provincia e l’altra non divide, ma contribuisce a comporre un unico
di nascita, munito di penna e scrittura sottile, hanno saputo cogliere ognu-
e straordinario carosello chiamato Mar Mediterraneo, culla di autentiche
no a modo loro, fondendosi, molti aspetti dell’anima della gente di Sicilia,
civiltà dove l’uomo è ancora al centro, artefice consapevole del suo tempo.
emblema non di un’isola, ma di un mondo a sé.
Grazie pertanto a quanti a vario titolo hanno contribuito con il loro impe-
Azioni, luoghi di mare, immagini di uomini, che del mare a sua volta si nu-
gno alla riuscita dell’opera: senza il loro prezioso contributo la stessa non
trono, stampati prima che sulla carta, nella nostra memoria, ci prendono per
avrebbe potuto vedere la luce.
Ignazio Marinese Il Dirigente Generale Dipartimento Pesca
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i sono delle atmosfere uniche e irripetibili che affascinano il curioso, il passionale, l’istintivo che, come me, ricerca nelle sfumature, nelle cromìe dei colori e nel vocìo della gente, l’anima di un luogo. Se è vero che i monumenti, le chiese, le aree archeologiche o i paesaggi incantati, rimasti immutati nel tempo, riescono a pennellare negli occhi di un viaggiatore il passato remoto di una terra, è altrettanto vero che ciò che, in definitiva, disegna l’anima di un popolo, riuscendo a ritrarne la storia e le tradizioni, sono solo e soltanto i mercati. Quell’agglomerato variopinto di elementi che lo compongono, per chi ha occhi per vedere, sa raccontare molto più di quanto si pensi. Sembra quasi che in quel labirinto di strade, cunicoli e piazzette unite e incatenate dall’accavallarsi di carretti e banchi, ricchi e opulenti, si disegni un variegato e coloratissimo tessuto che unisce, e nel contempo distingue, le classi sociali che animano la città.È per questo che quando mi trovo in giro per il mondo, dovunque io sia e a qualsiasi latitudine approdi, vado a curiosare nel mercato, dove riesco a percepire la cultura che mi circonda. Mercato quindi come scuola, come aula didattica, dove imparare a conoscere e a capire chi ti sta intorno, dove s’insegna e si disquisisce sulla quotidianità del cibo che affonda le sue origini nella tradizione popolare. Mercato come punto di riferimento, dove darsi appuntamento, dove incontrarsi e rincontrarsi di nuovo, magari rammentando le vicissitudini che ci hanno afflitto o le cause che ci hanno tenuto lontani da quel luogo familiare. Succede spesso che, come uno spettatore estraneo, mi fermi in un angolo, incuriosito, a osservare quell’affollarsi continuo che anima il mercato. All’inizio tutto appare confuso, un girovagare di mille e più persone senza senso che, curiose, si aggirano distratte, parlando e accavallando pa-
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Shiaviv’avemo “il Pesce, simbolo di cultura, di lotta e di riscatto, trova spazio nel mercato, dove i mille suoni accostati alle parole urlate, compongono la sinfonia che racconta, la genuinità del popolo siciliano” Alberto Acierno
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Shiaviv’avemo
C
Il mio mercato
Ci sono atmosfere uniche e irripetibili che affascinano il curioso, il passio-
come uno spettatore estraneo, mi fermi in un angolo, incuriosito, a osser-
nale, l’istintivo che, come me, ricerca nelle sfumature, nelle cromìe dei colori
vare quell’affollarsi continuo che anima il mercato. All’inizio tutto appare
e nel vocìo della gente, l’anima di un luogo. Se è vero che i monumenti, le
confuso, un girovagare di mille e più persone senza senso che, curiose, si ag-
chiese, le aree archeologiche o i paesaggi incantati, rimasti immutati nel
girano distratte, parlando e accavallando parole ad altre parole, ognuna del-
tempo, riescono a pennellare negli occhi di un viaggiatore il passato remoto
le quali contribuisce ad innalzare il tono di quel vociare che, infine, diventa
di una terra, è altrettanto vero che ciò che, in definitiva, disegna l’anima di
frastuono e stordisce. Gesti e rituali di una biblica Babele, che danno l’input
un popolo, riuscendo a ritrarne la storia e le tradizioni, sono solo e soltanto
ad un susseguirsi d’immagini sempre diverse e sempre più somiglianti ai
i mercati. Quell’agglomerato variopinto di elementi che lo compongono, per
fotogrammi di un film felliniano che sa raccontare, come nessun’altra cosa,
chi ha occhi per vedere, sa raccontare molto più di quanto si pensi. Sembra
quegli spaccati di vita unici che sono lì, pronti solo per essere interpretati.
quasi che in quel labirinto di strade, cunicoli e piazzette unite e incatenate
Così è quando vengo in Sicilia, ed è qui che mi piace, al mattino presto, aggi-
dall’accavallarsi di carretti e banchi, ricchi e opulenti, si disegni un variegato
rarmi per quei luoghi ancora silenziosi osservando, alle prime luci del giorno,
e coloratissimo tessuto che unisce, e nel contempo distingue, le classi so-
i “riattieri” che aprono i loro banchi e “apparecchiano” le strade di quella loro
ciali che animano la città. È per questo che quando mi trovo in giro per il
piccola città nella città, come se di lì a poco si svolgesse una festa, la loro
mondo, dovunque io sia e a qualsiasi latitudine approdi, vado a curiosare nel
festa, quella rituale e quotidiana del mercato. Come attori e comparse di un
mercato, dove riesco a percepire la cultura che mi circonda. Mercato quindi
cast cinematografico si muovono lentamente andando a prendere posizione
come scuola, come aula didattica, dove imparare a conoscere e a capire
secondo una scenografia consolidata e sperimentata. Ognuno sa benissimo
chi ti sta intorno, dove s’insegna e si disquisisce sulla quotidianità del cibo
qual’è il suo ruolo e quale sarà la parte che, di lì a poco, dovrà interpretare,
che affonda le sue origini nella tradizione popolare. Mercato come punto
ripetendola coscienziosamente, in silenzio, fra sé e sé. Piano piano, con il
di riferimento, dove darsi appuntamento, dove incontrarsi e rincontrarsi di
sorgere del sole che entra fra i palazzi, si esaltano i colori della frutta, delle
nuovo, magari rammentando le vicissitudini che ci hanno afflitto o le cause
verdure, del vasellame, delle carni e del pesce e, poco a poco, anche gli odori
che ci hanno tenuto lontani da quel luogo familiare. Succede spesso che,
diventano più intensi. Si accendono i fuochi e tutto si pervade di profumo
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di brace, di carni, di pesci arrostiti e di spezie. È così a Ballarò, alla Vucciria,
sensualmente, cercando di divincolarsi dall’abbraccio indecoroso di quello
al Capo, al Borgo Vecchio di Palermo, all’A’piscaria di Catania, alla Loggia di
straccio che, indegnamente, le cinge. È mattino e sembra che tutta la Sicilia
Trapani e a Porta Garibaldi a Marsala; è così negli altri piccoli e grandi mer-
si sia data appuntamento al mercato. Anch’io mi confondo fra quella varie-
cati, nei borghi di tutta la Sicilia: riproduzioni perfette dell’anima dell’isola.
gata folla, scoprendo che in quegli odori e in quei volti di commercianti, di
Frittole, cazzilli, pani ca’meusa, stigghiole, sfinciuni e panelle sono solo alcu-
donne, di uomini, negli sguardi degli anziani, che più di tutti sanno scegliere
ni dei cibi che è sempre piacevole gustare accanto ai “riattieri”, improvvisati
il meglio con l’attenzione di chi, pur dovendo far di conto, non si accontenta
commensali con i quali mi trovo a dividere quelle prime ore del mattino,
della mediocrità, io incomincio a conoscere questa magica terra di Sicilia.
ancor prima che inizi la loro festa, fra battute, sfottò, mugugni in un dialetto
Incuriosito, mi aggiro silenzioso fra questa gente, mentre un’antica litania
a me poco comprensibile, ma sempre più familiare. Ciak si gira! Ed ecco che,
si alza dal corale frastuono. È la voce di un pescivendolo che in lontananza
come in una saga alla quale tutti vogliono partecipare, quasi d’improvviso, il
grida: “pisci spata, tunnu, ariccìola“. Poco dopo un altro gli fa eco sgolandosi
mercato si anima. Come in un quadro di Guttuso, compaiono i grandi tonni,
con “gruncu, calamaru friscu, capuni”. Cerco di fare attenzione e di capire
tolti dal cilindro di chi sa quale mago; masse enormi di tonno accosciate
da dove provenga quel richiamo, ma all’improvviso qualcuno, vicino a me,
vicino a tranci di pesce spada, in mostra come gioielli su quei banchi, con le
grida: ”shiaviv’avemo”- e quelle parole, che mi sembrano un urlo di battaglia,
teste mozzate, adorne di lunghi fili di alghe verdi come capelli e le lunghe
le ripete forte e più volte: ”shiaviv’avemo, shiaviv’avemo”.
spade rivolte verso il cielo. Poco più in là, un mare di gamberetti color rosa
Resto folgorato da quella potenza vocale e dalla musicalità di quella parola
tenue, bagnati con rapidi gesti dai “muschiddi” che, ritmicamente, tuffano le
e sorrido a quel volto. I nostri sguardi s’incontrano; incuriosito, per qual-
mani in colorati secchi riempiti alla fontanella comune del mercato, mentre,
che istante mi osserva, ma gli sono bastati pochi secondi per comprendere
di fianco, su due cassette sovrapposte a mo’ di tavolino, s’arreda il banco di
quanto io sia un corpo estraneo a quel suo regno. I suoi occhi sono profondi,
lavoro dello “sgusciatore”. Chino, con un berretto di lana azzurro, goffamen-
il suo volto scavato dal tempo e mentre alza un grande pesce, tenendolo per
te, ma delicatamente appoggiato sulla testa, in silenzio, sguscia i gamberetti,
le branchie, osservo le sue mani storte, umide e rugose, ma, come un bimbo
ad uno ad uno. A capo basso pulisce i crostacei e minuziosamente procede
colto a curiosare dove non dovrebbe, giro lo sguardo e mi soffermo su altri
nel suo lavoro, attento a non sciupare quella preziosa carne, indifferente
sguardi, come se ricercassi in essi una storia da imprimere nella mia mente e
alle chiacchiere della loquace signora che gli è di fronte e che continua a
nella mia anima al fine di essere un po’ meno estraneo. Poco più in là, quasi
parlare con il suo berretto di lana. Poco sotto, in un’altra cassetta, avvolte
mai disposti a caso, ciuffi di erbe aromatiche colorano i banchi e insieme a
in un telo di juta bagnato, ci sono delle magnifiche aragoste che si agitano
rossi peperoncini spicca il giallo dei limoni, tanti limoni, ovunque, interi o
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tagliati a metà, che troneggiano come piccoli soli, ora sulle lunghe daghe dei pesci spada, ora tra i mucchi di cozze o tra i ricci di mare. Cerco di seguire con lo sguardo le figure più curiose, più particolari, soprattutto quelle che mi sembra si distacchino un po’ da quei mille colori, per comprendere quanto e cosa compreranno, ma di lì a poco li perdo. Così, con lo sguardo vado più in là, per rintracciarli, poi ritorno sugli attori che animano con le loro grida questa mattinata di mercato siciliano. Le mannaie aprono le carni dei grandi pesci, mentre lunghi coltelli ne spezzano altri. Incredulo osservo quei rituali, mentre annuso l’odore, a tratti pungente, del sangue dei tonnetti tranciati con colpi precisi e netti in fette, tutte uguali, mentre altri, ammucchiati nelle bagnarole di fianco a quei ceppi, sembrano guardarmi, con l’occhio argenteo che nasconde ancora in sé i misteri degli abissi marini che li cullavano fino a poche ore addietro. Mentre cammino mi torna in mente la descrizione della Sicilia vista dal mare di Guy De Maupassant che, come tanti altri, come ad esempio Goethe o Stendhal, amava profondamente questa terra: Le rive della Sicilia (...) esalano un odore così intenso di aranci in fiore, che l’intero stretto ne è profumato come una camera femminile. Ben presto (...) passiamo tra Scilla e Cariddi, le montagne si abbassano dietro di noi, e, sopra di esse, appare la cima schiacciata e nevosa dell’Etna, che sembra incappucciata d’argento al chiarore della luna piena. Quindi si sonnecchia un po’, cullati dal rumore monotono dell’elica, per riaprire gli occhi alla luce dell’alba nascente. Laggiù, di fronte a noi, ecco le isole Lipari (...). (da Viaggio in Sicilia di Guy de Maupassant)
Chissà se anche lui avrà avuto l’occasione di assistere a simili spettacoli? E mentre penso, cerco di saltare le pozze che si sono formate sul lastricato
del mercato, che ora è completamente bagnato, attraversato, qua e là, da
chiusura di un incontro non casuale al quale segue un fugace saluto per
rigagnoli nei quali scorre il sangue dei pesci che s’insinua tra le scanalature
poi proseguire chi verso un’altro banco, forse quello della frutta o quello del
delle balate e scola nella grande cloaca per tornare al mare, così da ricordare
carnezziere, e chi per rituffarsi nella sistemazione della merce nell’attesa del
a Poseidone il rito antico che qui si compie ogni giorno. Poco più in là un
prossimo avventore. Non so se tutti questi pescivendoli siano stati dei pe-
ragazzo, di non più di 12 anni, sventola fra i banchi dei ciuffi di prezzemolo
scatori; è certo che nessuno sembra conoscere meglio di loro questa regalìa
verde ramarro, così da richiamare l’attenzione su quella preziosa e indispen-
che ogni giorno arriva dal mare. Sicuramente di quei pesci conoscono tutto
sabile erbetta. Tutti hanno qualcosa da vendere e tutti hanno qualcosa da
e sanno bene quando sia la loro stagione o quali siano le feste comandate
comprare. I pescivendoli lo sanno bene che la gente non viene qui soltanto
in cui è preferibile utilizzarli. Quasi tutti hanno lo sguardo levantino di chi
per comprare il pesce, che pure vi si trova in grande quantità, di ottima
ne ha viste tante, di cotte e di crude; sguardi che infondono loro un’aria un
qualità e a buon prezzo. Insieme al pesce questa ciurma giornaliera di buon-
po’ smargiassa, tracotante come se, in ogni loro gesto, vi fosse nascosto uno
gustai cerca le storie che solo il mare sa raccontare e va da chi sa narrarle
sberleffo per chi non conosce a fondo i loro usi. All’angolo un’immagine
meglio, rivolgendosi ora a Turiddu, ex pescatore d’alghe, ora a Salvatore “il
votiva con qualche santino appeso qua e là e un rosario posto nelle mani
Cozzaro Nero” oppure scegliendo la riservatezza e la professionalità di Car-
di quella Madonna. Sembra quasi di respirare il mare, di sentirlo, ma è solo
melo che, con il suo camice bianco, sempre candido e immacolato, sceglie e
l’eco dello scroscio dell’acqua di una grande fontana poco distante, un ru-
incarta il pesce preferito per la sua fidata clientela. Ognuno ha il suo banco
more che sembra consolare il “Re pesce” che su questi banchi, per l’ultima
preferito, anche se c’è chi ogni giorno compra da uno diverso per non fare
volta, fa bella mostra di sé. Con l’animo leggero e sognante, mi trattengo
torto a nessuno. C’è chi osserva; chi incuriosito domanda; chi attende il
ancora un po’, ma si è fatto tardi e ormai si è conclusa anche questa nuova
proprio turno; altri, invece, con lo sguardo cercano il pescato pregiato e col-
lezione di “sicilianità” che, ancora una volta, il popolo di questa terra mi ha
loquiano in modo distratto con chi vuole vendere loro un’altra mercanzia.
regalato; così, fra le borse delle donne e un sorriso regalato a qualche bella
Per ognuno, però, l’importante è che alla fine in quel sacchetto vi sia un
siciliana, mi allontano. Sicuramente è un arrivederci e non un addio; poi,
pugno di gamberetti in più, una manciata di cozze, magari messe nella carta
svoltato l’angolo, mi rituffo nel caotico traffico che mi avvolge.
gialla o un ciuffetto in più di pesciolini per la frittura di paranza; un modo
Andrea Zanfi
garbato per suggellare quel rapporto fra chi vende e chi compra e dirsi “arrivederci a presto”. La moneta corre, i borsellini si aprono e si richiudono, il coperchio della cassetta, che racchiude il prezioso incasso, sbatte: è la
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Mediterraneo
P
Per molti è un punto di riferimento, un orizzonte, un confine, una culla,
settentrionali da uno meridionale e che le lente trasformazioni e i complessi
un intreccio di rotte e vie di comunicazioni o un semplice club di vacanze;
sommovimenti tettonici avvicinarono fino a creare gli attuali confini e gli
per i saraceni, fu il “mare bianco di mezzo” e per gli europei il centro del
stretti passaggi che oggi lo mettono in comunicazione con il Mar Nero e
mondo fino alla scoperta dell’America. Un mare incantato che ha legato le
con l’Atlantico. Gli stessi suoi fondali sono molto antichi, essendo costituiti
sorti di popoli e dettato le rime a poeti e scrittori che trovavano ispirazione
da una pianta sottomarina con sedimenti terrigeni e vulcanici che hanno
nel luminoso azzurro delle sue acque che finiscono per confondersi con i
dato origine prima all’abisso ionico, il più antico, con i suoi 4000 metri di
riflessi della luna piena. Inserito tra le valve di quella grande conchiglia che
profondità, e poi al Tirreno, che si è formato a partire solo da qualche mi-
disegna i confini dell’Europa e dell’Africa del Nord, dalle acque e dalle terre
lione di anni fa, alternando catene montuose a depressioni e canyon che,
che vi si affacciano, attraverso questo mare è passata la storia dei popoli
in seguito a fenomeni tellurici, hanno fatto affiorare o scomparire isole. Le
e dei paesi che tengono a definirsi unilateralmente mediterranei, ma che,
sue acque sono più calde di quelle dell’Atlantico, molto più salate e dense e
proprio grazie alla barriera naturale che esso ha saputo mantenere, si sono
le stesse maree sono deboli, rafforzandosi però in prossimità degli stretti di
trovati sempre separati e suddivisi fra paesi ricchi e arroganti e paesi pove-
Gibilterra, Messina, Euripo e Otranto.
rissimi, risultandone così una miriade di interrogativi e di problemi irrisolti, di destini contrastanti e di ataviche divisioni tra chi lasciava le sue sponde
Il Mediterraneo, prima ancora che un modo di vivere,
meridionali per vivere e chi, su quelle stesse sponde, si prodigava nel preda-
è un modo di essere
re. Del resto il Mediterraneo non è mai stato mare di pace e soprattutto non
Non vi è dubbio che un veneto, confrontandosi con un provenzale, o ma-
fu mai un mare “Nostrum” che risultò solo un’aggettivazione della protervia
gari un libanese messo a confronto con un marocchino, troverebbero assai
dell’impero romano, giacché non può esistere il possedimento di un mare
difficile intendersi sul significato della loro “mediterraneità”, giacché per
che, invece, appartiene a tutti quelli che vi si bagnano. Per molti è passione,
ognuno di loro è diversa non solo la personale concezione del tempo e il
è lavoro, è sfida, mentre per altri, e soprattutto per gli uomini di scienza, è il
modo di consumarlo, ma anche la passionalità e i punti di riferimento, gli
residuo di un antico oceano, la Tetide, che separava un gruppo di continenti
interessi, le pulsioni e la razionalità con la quale si accostano e raccontano
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questo mare. È per questa ragione che le popolazioni di questo bacino si
fantasiose che la letteratura mondiale possegga, nate dalla fantasia popola-
inventarono, nel tardo medioevo, una lingua per comunicare fra loro: il “sa-
re, ora legate ai vulcani, ora ai venti, ma sopratutto al mare. Storie racchiuse
bìr”, che divenne presto l’idioma dei marinai e dei mercanti, dei pirati e dei
nei meandri di ancestrali paure, nelle quali, più tardi, cercarono di mettere
pascià, dei religiosi e dei saracini. Una specie di esperanto, per chi andava
ordine Omero ed Esiodo, portandole nel mondo ellenico a partire dall’VIII
su e giù per il Mediterraneo, nel quale, sebbene non entrassero mai né le
secolo a.C. Un universo di divinità di terra e di mare con sembianze e senti-
usanze, né i modi di comportarsi, né le simbologie o le credenze religiose,
menti umani, raccontate dagli antichi abitatori della costa agli intrepidi ma-
venne intrecciata quella semplice cultura legata alla conoscenza del mare e
rinai di passaggio che andavano su e giù per il Mediterraneo per comprare,
alla fatica di quanti ci lavorano. Il resto è sempre stata solo diversità, e suc-
come i micenei, l’ossidiana e la pomice alle isole Eolie e che, una volta giunti
cede che, in questo bacino, tutto finisce sempre per mescolarsi e apparire
a casa, riferivano di quelle storie rendendole fantasiose e affascinanti, ar-
complesso e irrazionale, seducente e contraddittorio, ma con la Sicilia lì, in
ricchendole con quella verve che ai marinai non manca mai. Memorie orali
mezzo, ad assorbire ogni cosa per secoli. Sulle sue “spiagge dolci da toccare
che si arricchivano ad ogni viaggio e che spronavano la narrativa di poeti e
con lo sguardo, ove l’ombra si scosta dalla luce”, come le vide un poeta liba-
letterati come si deduce nel I Libro dell’Odissea, dove Omero racconta che in
nese, avvennero incontri, scambi, commistioni di razze e di religiosità, viaggi
quel tratto di mare che da Messina scivola verso l’Etna si allevavano i vitelli
e commerci, la pesca e le vicende di tante guerre e di mille paci. Luoghi dove
sacri al Dio Sole ed era sacrilegio mangiarli e per tale misfatto i compagni di
nascondersi, ritrovarsi e sposarsi; acque dove esaltare le ambizioni e le pas-
Ulisse, che ne fecero bistecche, ne pagarono le conseguenze:
sioni e dove tutto si confuse al punto di dar vita a storie inestricabili, a linStolti! Che osàro violare i sacri gue e a cucine variegate, all’arte e a musiche diverse, a un’architettura unica al Sol Iperione candidi buoi con e a una fervida letteratura; un vero e proprio modo di vivere e d’intendere la empio dente... vita fino al punto di saper creare un’eccezione culturale unica nel panorama mondiale, ma comunque sempre lontanissima dall’essere identificata come
Quel pezzo di terra siciliana si chiamò Vitulia, ma, varcato lo Stretto, di-
vera e propria civiltà mediterranea.
ventava Esperia, Ausonia, Saturnia, Enotria... e più tardi Italia. È su queste acque che navigò Ulisse, presente già nei testi micenei antecedenti l’Iliade e
Miti e leggende del Mare di Sicilia
l’Odissea, dove stavano in agguato le Sirene, splendide creature divine metà
È salendo e scendendo per quel braccio di mare che separa la Sicilia dal
donne e metà pesce dal canto melodioso, per sentirne il quale, lo stesso Ulis-
continente italiano che sono nati i miti. Storie e leggende tra le più belle e
se si fece legare all’albero della nave per non restarne incantato. Echi e suoni
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facilmente confondibili con i versi che emettevano, in dolce falsetto, le foche
La costa siciliana, da quei racconti, non è poi cambiata molto, come non lo
monache che popolavano, numerose, le grotte delle coste siciliane e calabre-
è da quando la videro i “fratelli” normanni Ruggero e Roberto d’Altavilla,
si e di cui, oggi, ne resta solo qualche esemplare. È al largo di quello stretto
giunti nell’impero del Sole, in quell’isola sognata nelle fredde notti di Con-
verso le isole Eolie, che galleggiano su un mare color cobalto, che la presenza
ches in Normandia. Mentre guardavano dal mare quella terra agognata,
di masse d’aria espulse dai crateri con violenza e le numerose grotte marine
avvenne un fatto curioso e la costa apparve sospesa nell’aria! Con stupore
avvalorano la tesi che gli antichi ritenessero l’isola di Vulcano la dimora di
infantile quei nordici conquistatori attribuirono il miraggio a un porten-
Eolo, il re dei venti. La prima di quelle isole, per chi viene da nord, è Stromboli,
to divino o alla magia della fata Morgana, ricordandosi dei racconti, uditi
un vulcano gentile, come lo definì un poeta, e un segnale luminoso che da
davanti al camino, in cui si narrava di quell’isola misteriosa e lontana chia-
millenni illumina la rotta ai naviganti ancor prima che fossero inventati i fari.
mata Sicilia. Mitologie celtiche di fate e Re che si confondono con quelle di
Fu Circe che ne parlò a Ulisse quando gli diede la rotta da seguire per evitare
Excalibur, la celebre spada che, spezzatasi, fu portata in volo dall’Arcangelo
le insidie di Scilla e Cariddi, due mostri posti a guardia dello Stretto, che per-
Michele in Sicilia, affinché il fuoco dell’Etna potesse risaldarla. E in epoca
sonificavano le maree, i violenti flussi e riflussi fra lo Ionio e il Tirreno, il cui
normanna nacque la leggenda di Cola Pesce. La raccolse l’inglese Walter
dislivello oscilla tra i venti e i cinquanta centimetri e provoca lo spostamento
Map, attorno alla fine del 1100, ma furono in tanti a parlare di quella storia
di masse d’acqua che creano enormi gorghi. Si racconta che Cariddi vivesse
di mare, fin quasi alla fine del Cinquecento. Nicola, detto Cola, era nato da
nascosta, all’ombra di un fico, sulla costa siciliana. Grassa e sempre affamata
un padre pescatore, a Capo Faro a due passi da Messina. Con i pesci ci giocò
e per questo cacciata dall’Olimpo, si era sistemata proprio lì, davanti a quel
fin da piccolo, ora gareggiando con delfini e pescispada, ora giocando a na-
mare ricco di pesce che, tre volte al giorno, inghiottiva e vomitava. Mentre in
scondino con triglie e polpi. Era la disperazione di suo padre, ributtando in
una caverna sull’alta costa calabrese stava Scilla, un mostro terrificante con
mare i pesci ancora vivi che il vecchio pescatore aveva appena pescato, ma
dodici piedi e sei lunghi colli che terminavano in sei teste mostruose, mentre
fu sua madre a maledirlo gridandogli “possa tu diventare pesce”.
dalle sei bocche si vedevano tre file di denti acuminati.
E così fu.
“Sei dei compagni, i più di man gagliardi Scilla rapimmi dal naviglio...”. Così
Sul suo corpo comparvero squame e i piedi divennero pinne.
raccontava Ulisse. Oggi Scilla non fa paura a nessuno. È una deliziosa cit-
Stava sott’acqua per ore e poi per giorni interi.
tadina che si affaccia sulla bella spiaggia delle Sirene e da dove è possibile
La sua storia finì per incuriosire il Re che volle conoscerlo.
osservare, in alto, in una grotta adiacente alla cittadina, un enorme camino
Ma quale re? Come si sa le leggende del mare non hanno né confini, né tem-
naturale, dal quale, quando soffia il libeccio, esce un urlo che fa rabbrividire.
po e così per alcuni fu Ruggero II, per altri invece Guglielmo il Buono, mentre
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per altri ancora, secondo il momento e le proprie conoscenze, fu sicuramente l’imperatore Federico II o Carlo V... Il re, dunque, venne a Messina e per metterlo alla prova lanciò in mare una coppa d’oro. Cola Pesce si tuffò e finì per raggiungere quella caverna da cui parte il fuoco dell’Etna e, presa la coppa d’oro, una volta tornato in superficie raccontò al re che una delle tre colonne su cui poggiava la Sicilia stava per crollare. Il dubbio assalì il Re: ma ci poteva mai essere fuoco in fondo al mare? Nicola lesse il dubbio sul volto del sovrano e disse: “Maestà, se non torno e questo legno e queste lenticchie verranno a galla, vuol dire che sono morto. Se questo legno sarà bruciato allora vuol dire che il fuoco c’è...”. Dopo un tempo molto lungo, emersero dal mare le lenticchie e un pezzo di legno bruciacchiato e si racconta che “Cola Pesce” stia ancora lì sotto a reggere la colonna che rischiava di cedere.
Le Colonne d’Ercole “Noi abitiamo in una piccola parte della Terra. Dal Fasi (costa meridionale del Mar Nero, n.d.a.) alle colonne d’Ercole, vivendo intorno al mare come formiche e rane attorno a uno stagno”. Così scrisse, nel Fedone, Platone, il discepolo di Socrate. Questa sua riflessione indica come tutte le civiltà mediterranee abbiano vissuto attorno alle rive di quel mare a stretto contatto gli uni con gli altri. Ma quelle colonne dove erano posizionate? Sergio Frau, noto e curioso giornalista, che nel 1999 è stato premiato per una serie di articoli sulla più antica storia del Mediterraneo, racconta che al
termine dell’epoca glaciale, all’incirca 8500-9000 anni prima della nascita
Cronache di mostri marini e avvistamenti vari
di Cristo, nasce e si sviluppa la “civiltà delle grandi pietre”, quel mistero me-
In Sicilia chi va per mare dice che il cielo è la volta della terra e poggia sul
galitico che coinvolse zone assolutamente lontane fra loro. Per riannodare
mare, che con la terra confina. Con un antico canto si raccontava, una volta,
i fili che collegarono quelle antiche civiltà, Frau parte da Malta, la quale
la creazione dell’universo: il cielo, la luna, il mare...
sicuramente, in un periodo ben preciso, si unì quasi alla Sicilia e, a suffragio Sia binirittu cu’ fici lu munnu! di questa teoria, risulta come l’isola, separata dalla costa siciliana da circa E cu lu fici lu seppi ben fari; 80 chilometri di mare, fosse già popolata 5000 anni prima di Cristo, mentre Fici lu celu cu lu circu tunnu, le isole Baleari, separate da analoga distanza dalla costa spagnola, ma con Fici la luna a crisciri e mancari; acque assai profonde, dovettero, invece, attendere un altro migliaio di anni Fici lu mari e nun si vidi funnu, prima di vedere qualche insediamento umano. Secondo il geniale giornaliFici la varca pri lu navicari. sta, la soluzione scientifica è da ricercare nel corso dell’ultima glaciazione, Fici la bedda di tuttu lu munnu: quella definita Würmiana, durante la quale si verificò l’abbassamento del Cchiù bedda di tia nun potti fari! livello dei mari, essendo una parte dell’acqua sotto forma di ghiaccio nelle calotte polari, con conseguente emersione di terre, oggi sommerse. In mol-
Il mostro, invece, è creatura mitica. Risultante di una contaminazione inna-
te cartine pubblicate da Vittorio Castellani in “Quando il mare sommerse
turale di elementi assai diversi e tale, in ogni caso, da suscitare a seconda
l’Europa”, si evince che l’odierno Canale di Sicilia, fra l’isola e la Tunisia, è
delle situazioni orrore o stupore. Per la gente di mare talvolta era un segno
disegnato come un doppio stretto: “Una tenaglia che morde in due punti”
divino, un prodigio o un avvertimento dal tema latino di “monere”, cioè
scrive Frau, il primo formato da Malta (ancora saldata alla Sicilia) e dalla
ammonire o avvisare. A San Vito Lo Capo, nei pressi di Trapani, nell’anno
Tunisia (tutt’uno con Lampedusa). L’altro – per chi vi entrava da Oriente,
1630 “fu predato un pesce di specie sconosciuta e di smisurata corporatu-
dalla Grecia – un pò più su: con una Sicilia deforme, tutta pazza, mai vista
ra... posto sul dorso d’un ben alto cavallo, da una parte toccava col capo la
prima... con Marsala, Mazara, Capo Lilibeo, Sciacca piazzate nell’entroterra,
terra e dall’altra colla coda”.
lontane lontane dal bagnasciuga...”. Tempi remoti in cui la Sicilia e la Tunisia
Sulla spiaggia di Mascali, in provincia di Catania, attorno ai primi del Sette-
erano quasi un’unica terra ed erano forse quelle stesse terre a identificare,
cento “doppo fiera tempesta si vide una macchina che sul principio, dal po-
per quei popoli, le Colonne d’Ercole.
polo vicino, si credette tartana ivi sbalzata dalla tempesta; ma poi s’osservò essere un pesce morto di smisurata grandezza che, fatto in pezzi, fu ridotto
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in olio. E le sue ossa furon da diversi curiosi riservate, e fin d’ora si vedon con istupore in Catania”. Evidentemente una balena spiaggiata... Ma più terribili ancora sono i mostri dei racconti dei marinai. I tonnaroti della tonnara di Salica “che sta in faccio alla foce del piccolo fiume Salica onde ha nome nelle riviere della terra di Furnari, in Valdemone, che guardano il mar toscano”, videro nel 1727 “pesci più grandi di ogni grosso tonno, macchiati di vari colori, a forma di serpenti deformi e spaventevoli... e più volte in detta riviera si son perduti uomini che erano in esercizio di nuotare”. Due anni dopo, sul litorale di Alcamo, nel trapanese, apparvero due “pesci cavallo”, uno dei quali finì ucciso a schioppettate e “nel ventre si ritrovò carne di tonni”. Nel 1734, dalle parti di Mazara del Vallo, invece, si arenarono dodici “smisurati pesci, sei dei quali maschi e sei femmine, ognuna di queste con mammelle bianche e capezzuolo rosso...”. Nelle sere d’inverno, davanti a un bicchiere di vino, quei mostri sicuramente prendevano “smisurata grandezza” con tanto di “bocche voraginose”, mentre si favoleggiava di certe ciurme scomparse in mare perché, forse, “sbattuta la barca da immensa coda di serpente”. Il mostro più spaventoso e originale, descritto dalla ciurma di una barca al largo delle Eolie, “avea su degli occhi come un ceffo di capelli che gl’impedirono la vista onde essi scamparono dal pericolo”. Più terrificanti ancora sono le storie che hanno per protagonisti certi mostri chiamati dai marinai “uomini e donne marini”. Un tale Ortensio Lando, “viaggiando per mare dalla Spagna verso la Sicilia” vide “un uomo marino in tal sembiante che non vi fu alcuno che non si spaventasse”. Come se non bastasse, quel favoloso, indimenticabile viaggio
fu accompagnato da “gran numero di tritoni, elefanti marini, vitelli marini,
La Fata Morgana al Faro di Messina
orche e nereidi, le quali eran con umana effigie, ma di corpo peloso”.
Personaggio della mitologia celtica, entrò nella letteratura all’inizio del XII
Ma chi erano quei mostri?
secolo con la Vita Merlini di Geoffrey of Monmouth. Il suo nome Morgain si
Sicuramente “demonj in tali apparenze, intenti a ingannare e deludere
diffuse nelle letterature romanze, soprattutto in quella francese con il nome
gli uomini...”. Nei racconti popolari non mancarono gli incontri mostruosi
di Morgane, connesso al ciclo bretone di re Artù. Morgana, la maggiore di
con risvolti “rosa”. Tale Vincenzo Belaucense raccontò al Canonico Anto-
nove sorelle, regna nell’isola Fortunata dove esercita le arti magiche. La sua
nino Mongitore che, ai tempi di re Ruggero (1095-1154), un giovane va-
leggenda subì diverse varianti diventando ora fata benefica, ora malefica.
lente marinaio, tuffatosi di notte in mare con gli amici - per rinfrescarsi,
Con il suo nome, in Sicilia, si chiama il fenomeno dovuto alla rifrazione
si suppone - “pigliò per i capelli una donna”. Ritenne, sulle prime, che
atmosferica combinata con la riflessione totale della luce. Quando il suolo è
fosse uno dei suoi compagni. Grande fu il suo stupore quando si trovò
molto riscaldato, gli strati d’aria a contatto sono più caldi e meno densi dei
tra le mani una donna nuda di rara bellezza. Interrogata, la poverina non
sovrastanti. Si determina allora una riflessione totale e quindi la formazione
profferì parola: per lo spavento? Galantemente la coprì con il suo man-
di un’immagine virtuale. Fu fenomeno che incuriosì anche gente colta. Ci
tello e se la portò a casa. Alcuni mesi dopo la sposò. E da quella unione
sembra giusto, a proposito, riportare la lettera scritta da Padre Ignazio An-
nacque pure un figlio.
gelucci della Compagnia di Gesù al Padre Leone Sanzio, prefetto del Collegio
Quella bella donna fu sempre ritenuta muta. E fin qui nulla di male. Solo
Romano, a Roma.
che, un bel giorno “ripreso da un suo compagno che avesse non una don-
“Molto Rev. in Christo Padre. La mattina dell’Assunzione della Beatissima
na ma un fantàsimo” diede mano alla spada minacciando di morte il loro
Vergine, standomi solo alla finestra, vidi cose tante e tante nuove che di
figlioletto se non avesse parlato. La poveretta disse allora: “Misero te,
rappresentarle non sono mai sazio e stanco. Parmi che la Madonna facesse
sforzandomi a favellare perdi una buona moglie. Seguiterei a esser teco
comparire in questo Faro un vestigio di Paradiso... Il mare che bagna la
se non mi avessi violentato a parlare: ma d’ora avanti non averai la sorte
Sicilia si gonfiò e diventò per dieci miglia in circa di lunghezza, come una
di più vedermi”. E scomparve improvvisamente. Il figlio crebbe e “frequen-
spina di montagna nera, e comparve un cristallo chiarissimo e trasparente
tò il mare” come il padre. Ma un giorno la “fantastica donna apparve, rapì
che parea uno specchio che con la cima appoggiasse su quella montagna di
il fanciullo portandolo seco sotto l’acque, né più furon veduti”.
acqua. In questo specchio comparve subito di colore chiaro oscuro una fila di più di diecimila pilastri d’uguale larghezza e altezza, tutti equidistanti...
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In un momento, poi, si smorzarono di altezza e si arcuarono in forma di
Meteorologia
cotesti acquedotti di Roma e restò semplice specchio il resto dell’acqua: ma
Quella nebbia densa, fetida, quasi bruma, che viene su dal mare attorno
per poco, che tosto sopra l’arcata si formò gran cornicione. E si formarono
alla metà di giugno, è chiamata della gente di mare la “lupa”. Dicono che fu
castelli reali in quantità, disposti in quella vastissima piazza di vetro e tutti
mandata a ricoprire la campagna per celarla alla vista dei saraceni quando
di una forma e lavoro. La fuga dei colonnati diventò lunghissima facciata
attaccavano le coste dell’Isola e quando, quella nebbia inzuppa i vestiti e
di fenestre in dieci file: dalla facciata si fè varietà di selve, di pini, e cipressi
cola come fosse pioggerellina, allora, proprio allora, è “scàula”. Le nuvole,
uguali e di altre varietà d’arbori. E qui il tutto disparve e il mare con un poco
quando s’intravedono grandi e basse all’orizzonte, indicano il cattivo tempo.
di vento diventò mare. Questa è quella Fata Morgana, che ventisei anni
Agli occhi dei marinai assumono figure di animali. Che di continuo, però,
ho stimato inverisimile, ed ora ho visto vera, e più bella di quel che mi si
cambiano e mutano. Sono “capiddi di magàra”, capelli di maga, i cirri che
dipinse. Di questa hor credo che sia vero che soglia comparire in varj colori
indicano la pioggia vicina quando scendono verso terra, oppure quando
volanti più vivi e belli di questi, che non ha l’arte e la natura permanente:
sono bianche e poste a tramontana è segno di grandinata in arrivo. Quando
perché chiaro oscuro simile a questi non vidi mai. Chi l’architetto e chi il
vengono da libeccio dicono che è tempo “leggero”; se da levante, allora sarà
fabro sia e con qual’arte e materia stampò in un punto le varie magnificen-
“forte” e “riempie” i vuoti con le piogge. Se la nuvola è più o meno circolare,
ze, desidero che V.R. me l’insegni. Mentre resto pregandole Iddio sempre
a destra o sinistra del sole, o si colora all’alba o al tramonto, è segno di
propizio e raccomandandomi ai suoi santi Sacrificj.
cattivo tempo nel giro di un paio di giorni: “occhiu di crapa” la chiamano.
Di Reggio 22 d’agosto 1643. Servo in Christo Ignazio Angelucci”.
Quando invece lo squarcio delle nuvole è largo e non ha figura tonda, allora
La Fata Morgana non è l’unico fenomeno osservato dalla gente di mare in Si-
si dice “testa di turcu” che segnala l’arrivo di violenti temporali che fanno
cilia. Vale la pena ricordare il meno noto miraggio che si può osservare dalle
maledire d’essere sopra una barca.
parti di Mazara del Vallo, nel trapanese: “...vedesi da Mazzara, ora all’uno, ora
Sono indizi di pioggia vicina:
all’altro dei due capi che sporgono a levante e a ponente del suo golfo. Que-
il gallo che canta di giorno in numero di volte dispari;
sto fenomeno atmosferico, pel quale vedonsi navi, bestiame, alberi e la città
il gatto che si lava la faccia con la zampa insalivata;
medesima, anche talora capovolta, in uno dei luoghi sopra detti, dove queste
i maiali che ruzzano rotolandosi nel fango;
cose veramente non esistono, dura un’ora circa, e non avviene che quando è
l’asino che scuote le orecchie;
bonaccia, e ci è rara e bassa nebbia, o allo spuntare o al tramonto del sole”.
le papere che improvvisamente cantano.
(A. Ferrari, Nuova Enciclopedia Popolare, 1867)
Pure quando la luna è “varcarola”, circondata cioè da un alone e a forma di
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barca volta in su, cosa che si può verificare nel primo e nell’ultimo quarto.
con i loro nomi. A ognuno il suo: livanti, punenti, menzujornu, tramuntana,
Chi ha la fortuna di godere della vista dell’Etna faccia bene attenzione alla
sciloccu, lìbbici, gricàli, maistrali... Uoria o anche vòria è il boreas dei latini,
cima. Se è avvolta da nubi, allora la pioggia è vicina.
il vento umido di mezzogiorno. Pujia è il vento di terra, il vento fresco. Viene
Marinai e pescatori sono certi che il lampo prenda fuoco in mezzo al mare:
dall’ebraico “puah” che sta per soffiare. Vento da contadini questo, giacché
forse perché lo hanno visto sempre finire all’orizzonte, in mare... In quanto
dicono “spàgghia cu la pujia”, cioè spaglia con il vento fresco. In italiano si
ai tuoni, le credenze sono molteplici. Si va dalle pietre impastate di zol-
chiama Uzza. La tromba marina fu sempre temutissima dalla gente di mare.
fo alle uova di marmo, fino alle palle di fuoco chiuse in grandi pentoloni.
Dragunàra, dragunèra, cura di mammadràu, rragàni, cura di dràu, sono i
Un tempo si raccontava ai bambini che si udiva il rombo del tuono quan-
nomi con cui viene indicata nelle varie zone. Difficili da tradurre certamen-
do Gesù Bambino giocava a palla con San Giovanni Battista. Oro, argento,
te, ma se ci fate caso, tutti termini che fanno riferimento al drago. Tranne
rame, lumi accesi, ulivo, noce, frassino, gatti e animali da cortile, si dice che
quel “rragàni” che deriva direttamente da uragano. Se provate a chiedere
attirino i fulmini. Appena scoppiava la tempesta, le donne, per prima cosa,
ai vecchi pescatori vi diranno che Dragunàra è una bella e giovane donna,
si toglievano gli orecchini, sopratutto i “circeddi”, ma per scongiurare dan-
rossa di capelli che, allo scoppio di ogni tempesta, si leva ignuda da terra
ni alla barca bastava qualche foglia di alloro, magari portata in tasca. Era
con le chiome al vento e la testa china sul petto. Poi, raggiunta una certa
importantissimo il vento quando si navigava a vela. Le folate che investono
altezza, gira vorticosamente su se stessa trasformandosi in vapore o fumo
improvvisamente la barca si chiamano “armata di ventu”; mentre il colpo
nerastro. Bisogna colpirla, spezzarla proprio in quel momento preciso: allora
forte e improvviso, il refolo, è il “rufuliuni”. Quando il tempo è “a bunaz-
viene giù a pezzi. Però bisogna tagliarla con gesti precisi della mano sinistra
za” tutti desideravano, quanto meno, una “vava di ventu”, bava di vento,
segnando una croce per prima cosa. C’è pure uno scongiuro che, un tempo,
o magari una “vavicedda di ventu”, quell’aura che permetteva alla vela di
conoscevano tutti i padroni di barche. Togliendosi il berretto bisogna urlare
muovere la barca. Nei modi proverbiali dei marinai il vento è sempre il ben-
forte, perché lo senta bene la Dragunàra:
venuto. Per tutti fu il “ciàtu”, il fiato dello Spirito Santo. E non avevano torto,
Lùnniri santu
visto che era forza motrice utilissima per spostarsi sull’acqua. Dicevano:
Màrtiri santu
“senza lu ventu nun vùncianu li veli” (senza vento non si gonfiano le vele)
Mèrcuri santu
con il saggio consiglio “mentri hai lu ventu ‘n puppa nàvica”. È proprio vero
Jòviri santu
che bisogna darsi da fare quando si ha il vento in poppa. In Sicilia il santo
Vènnari santu
patrono dei venti è San Marco. È lui a indirizzarli e gli uomini a chiamarli
Sàbbatu santu
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Dumìnica di Pasqua Sta cuda a mmari casca. E pri lu nommu di Maria Sta cuda tagghiata sia! Nel catanese, invece, si segnano tre croci con un coltello benedetto il cui manico deve essere metà bianco e metà nero. Nel messinese il coltello deve avere il manico tutto nero. Più giù, nel siracusano, usano la falce che va impugnata con la mano sinistra, anche se non si è mancini: deve muoversi da destra a sinistra e poi in senso inverso. Per tre volte. Fino a non molti anni fa, nel trapanese, c’erano marinai che avevano “facultàti” di tagliare trombe marine. Nella notte di Natale, al candidato prescelto, di solito assai giovane, si metteva in bocca una foglia di ulivo che doveva masticare, fino a inghiottirla, allo scoccare della mezzanotte in punto, recitando un’orazione che oggi nessuno più ricorda.
Curiosità Il Garum Nelle antiche città greche di Sicilia non mancò mai il pesce. Cibo sempre abbondante e presente nell’alimentazione giornaliera. Al mercato si trovava sempre a buon prezzo sia fresco che conservato. Al “Thermopolion” si vendeva fritto da mangiare sul posto o da portare a casa come i moderni Fast food o Take away. I pesci più apprezzati erano le anguille e le murene, oltre alle triglie, i pesci spada e i tonni, così come i polpi, le seppie, i calamari e i crostacei in genere. Pesci preparati semplicemente con ricette squisite come le anguille e le murene allo spiedo, le polpette di calamari, le triglie arrosti-
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te, gli sgombri all’uovo e il tonno fresco alla griglia con il salmoriglio. Con
delle acciughe salate, ma molto aromatico e mitigato dalla presenza delle
acciughe, sardine e sgombri, già nel V secolo a.C. si preparava una salsa di
erbette odorose. Da ricercarsi sicuramente fra timo, sedano, prezzemolo,
pesce in salamoia ed erbe aromatiche che avrà, più tardi, grande successo
finocchio, salvia, ruta, mentuccia e origano che, con il pesce, hanno sempre
nella Roma imperiale. Fu il greco “garon”, per i latini “garum”, detto anche
intrattenuto buoni rapporti.
“liquamen” in buon latino colto. Pare che prendesse nome da un non meglio precisato pescetto chiamato “gharos”. Plinio descrisse quella salsetta come
Il Baccalà
disgustosa. Non potendo lasciarci odori e sapori, gli antichi ci lasciarono le
In ogni angolo di Sicilia, sui banchi del pesce, non mancò mai il baccalà.
ricette, i modi per realizzare questa loro salsa. La più seria ci sembra quella
Che si vendeva sempre “ammollato”. Mostrava i suoi carnosi filetti come
di Gargilio Marziale, ripresa dalle Geoponiche. Si mettevano, in un vaso di
spudorate intimità. Oggi si trova in ammollo in laide bacinelle di polietilene
coccio panciuto, uno strato di erbe odorose sminuzzate, poi uno strato di
coloratissimo; una volta in graziose vaschette con lo zampillo. A seconda
pescetti già diliscati privi di testa e coda e poi ancora uno strato di sale
delle stagioni, quel biancore era interrotto da un grosso pomodoro maturo
alto due dita. Dopo aver riempito il vaso con strati alterni, si chiudeva con
oppure da un bel ravanello. Quel rosso violento serviva ad attirare l’atten-
un coperchio di legno o sughero. Sette giorni dopo si rimestava con un
zione delle massaie: era quel che oggi si dice un “window” in termini di
cucchiaio di legno e si seguitava così per venti giorni di seguito. A questo
marketing pubblicitario. Era stato scoperto, nel 1431, da Piero Querini, un
punto si strizzava in uno straccio ciò che s’era formato nel vaso: il liquido
mercante veneziano che aveva fatto naufragio alle isole Lofoten, nel nord
che ne risultava era il famoso “garum”. Ciò che restava nello straccio, simile
della Norvegia. Quel pesce essiccato permise le prime lunghissime naviga-
a una pasta di acciughe, era detto “allex” oppure “allec”, dal verbo “allectare”,
zioni atlantiche. Una scoperta determinante per la cambusa dei bastimenti
che sta per allettare. In effetti era una forma d’invito a farsi un buon calice
d’epoca: un prodotto leggero, altamente proteico e di lunga durata. Forniva
di vino. Fu quella pasta spalmata sul pane, ghiottoneria a buon prezzo, il
proteine in grado di equilibrare un’alimentazione a base di gallette, pesce
pasto dei poveracci nelle taverne e anche quello degli schiavi. Che però
salato in barile e frutta secca. In Sicilia arrivò alla metà del XVIII secolo,
bevevano acqua di fonte... Quel “liquamen”, dal prezzo carissimo, serviva
quando il pescato cominciò a scarseggiare. E in mare c’era da fare i conti
ad aggiungere sapidità ai cibi e non era frutto di putrefazione. Al contrario,
pure con la pirateria che impediva ai pescatori di allontanarsi dalla costa.
si trattava di un autolisato proteico di grande valore nutritivo, composto
Mentre conventi, monasteri e devoti osservanti riservavano ben 131 giorni
com’era di aminoacidi liberi, facilmente assimilabile dall’organismo umano.
all’anno al “mangiar di magro”. Già nei primi anni di regno di Carlo III di Bor-
Il sapore risultava certamente molto salato, l’odore forte simile a quello
bone si parlava di consistente calo del pescato. Il settore languiva e la colpa
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Cialoma AjaMola e vai avanti ajaMola ajaMola ajaMola ajaMola ajaMola ajaMola Gesu Cristu cu li Santi ajaMola ajaMola e lu Santu Sarvaturi ajaMola ajaMola e criasti luna e suli ajaMola ajaMola e criasti tanta genti ajaMola ajaMola vergini santa partorienti ajaMola ajaMola‌
fu attribuita a delfini e squali che infestavano le zone di pesca. Anche se
gymnus, un curioso pesciolino detto Ascia d’argento. Fu quella una auten-
molti ne addebitarono le colpe all’abuso di reti a maglie strettissime e il ri-
tica sorpresa per i naturalisti. A Giuseppe Mazzarelli dobbiamo, invece, il
corso a “ordegni di polvere pirica” e a certi “funesti veleni” usati da pescatori
contributo più cospicuo alla conoscenza della fauna abissale spiaggiata. Fu
disonesti. Si arrivò a invocare dal Papa un “anatema solenne” contro delfini
lui per primo a studiare Mictofidi, Vipere di mare, i piccolissimi Boccatonda,
e squali! Più laicamente sia Carlo III che suo figlio Ferdinando emanarono
il Batofilo nero, il Luccio imperiale, il Regaleo e tanti altri ancora. A questi
leggi assai severe per evitare la distruzione di flora e fauna dei fondali. E nel
bisogna aggiungere Cefalopodi e Crostacei di grandi profondità e che solo
contempo si autorizzò, già nel 1790, l’importazione di “aringhe e merluzzi
lo spiaggiamento ha consentito di conoscere. Molte specie sono reperibili in
essiccati, affumicati e salati” dal Nord Europa. E pure dalla lontanissima
particolari stagioni e con condizioni meteomarine favorevoli. Gaetano Basile
America. Baccalà viene dal basso tedesco-scandinavo “bakkel-jau”, bastone pesce; stoccafisso sta per “stock-fish” che è pur sempre un bastone pesce. Ma in inglese. In Sicilia diventarono “piscistoccu” e “baccalàru”. Quest’ultimo, precisa il dizionario siciliano, “in senso osceno sta per sesso femminile”. Se i messinesi impazzirono per lo stoccafisso, i palermitani, giusto per fare il contrario, scoprirono una vera passione per il baccalà. Fra nobili e plebei fu lotta all’ultima ricetta. Fu così che quel pesce nordico venne a concludere la sua terrena esistenza in un mediorientale tripudio gastronomico di zafferano e “passuli di zibibbu”.
La fauna abissale A causa delle particolari condizioni idrodinamiche dello Stretto di Messina, il richiamo delle acque molto profonde verso la superficie ha sempre favorito lo spiaggiamento di pesci abissali sul litorale messinese. Certamente l’aspetto mostruoso di alcuni di loro fece nascere i mostri marini più antichi. Si deve ad Atanasio Cocco, nel 1829, il primo studio scientifico su quella fauna marina assai bizzarra, con la descrizione di un Argyropelecus hemi-
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Le Origini
P
Padron ‘Ntoni rispondeva che andava a cercarsi il pane, e quando i sugheri
Macina, dei Cavalli, dell’Isolidda, dell’Uzzo, di Cala Tramontana, di Cala del
scomparivano ad uno ad uno, nel mare largo che era verde come l’erba, e le
Genovese, dell’Ucciria, d’Oriente, del Fico, di Capo Zafferano, solo per citar-
casucce di Trezza sembravano una macchia bianca, tanto erano lontane, e
ne alcune nel palermitano e nel trapanese. Nel mesolitico l’uomo preistorico
intorno a loro non c’era che acqua, si metteva a chiacchierare coi nipoti dalla
non si limitava più alla sola raccolta di molluschi lungo la linea di costa,
contentezza, che poi alla sera la Longa e tutti gli altri li avrebbero aspettati
ma catturava i pesci e nel neolitico disponeva già, con ogni probabilità, di
sulla riva, quando vedevano la vela far capolino tra i faraglioni, e sarebbero
imbarcazioni, seppure rudimentali. Purtroppo, l’archeologia non dispone di
stati a guardare anche loro la pesca che saltellava nelle nasse e riempiva il
molte informazioni dirette sugli insediamenti costieri di questa epoca: il
fondo della barca come fosse d’argento; e padron ‘Ntoni soleva rispondere
mare dà, il mare prende.
prima che nessuno avesse aperto bocca - Un quintale, o un quintale e venti-
Le specie ittiche costiere hanno rappresentato, per l’uomo preistorico, una
cinque - che non si sarebbe sbagliato di un rotolo.
risorsa alimentare aggiuntiva, più stabile della selvaggina, consentendogli
(da I Malavoglia di G. Verga)
l’abbandono del nomadismo ed il passaggio dalla caccia al sistema agropastorale. Biblos, il più grande insediamento neolitico nel Mediterraneo,
Cento o mille Barche sperte come la “Provvidenza” non lo avrebbero svuo-
aveva nella pesca la principale attività, ma altri insediamenti, che avevano
tato il mare della Trezza, di certo pensava Padron ‘Ntoni, quel mare che
nel pesce un’importante risorsa alimentare, si svilupparono un po’ ovunque
sfamava, dava ricchezza e rispettabilità, ma anche sofferenza e dolore. Quel
nel bacino. Biblos adorava il dio Crono, padre di Halieo, colui che inventò
mare antico, culla, da sempre, delle genti del Mediterraneo. L’uomo, sino
la pesca, sicché Ovidio, così come Oppiano, chiamò Halieutica la sua ope-
dalla più remota preistoria, nel paleolitico superiore, ha abitato le grotte
ra sulla pesca ed ancora oggi questa attività viene chiamata alieutica. In
costiere intessendo con il mare un rapporto intenso anche attraverso la rac-
Sicilia resti di pesci sono stati ritrovati tra i reperti della grotta dell’Uzzo
colta, a scopo alimentare, degli organismi marini che vivono nelle spiagge
a Trapani, ma più sorprendenti sono le pitture, dipinte a scopo apotropai-
e nelle scogliere. In Sicilia sono numerose le testimonianze di insediamenti
co, nella grotta di Cala del Genovese a Levanzo, tra le quali si riconosce il
umani paleolitici in ripari lungo la costa dell’isola come le grotte di Cala
tonno, spettacolare pesce attraverso il quale potrebbe essere raccontata la
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storia stessa del Mediterraneo e di cui ci hanno narrato, tra gli altri, Omero
nianza dell’utilizzazione, sin da allora, di una tecnica di pesca assimilabile
(XII a.C.), Eschilo (525 a.C.), Aristofane (455 a.C), Erodoto (500 a.C.), Arche-
allo strascico è anche mostrata da modellini lignei trovati nella tomba di
strato (350 a.C.), Teocrito (290 a.C.), Aristotele (384 a.C.), Polibio (204 a.C.),
Meketra (2000 a.C.) che mostrano due imbarcazioni in papiro che trainano
Strabone (90 a.C.), Plinio il Vecchio (23 d.C.), Plutarco (50 d.C.), Galeno (131
una rete stesa tra esse.
d.C.), Ateneo (II d.C.) ed Eliano (II d.C.). In Sicilia l’utilizzazione delle risorse
Il pesce aveva un grande rilievo nell’alimentazione dell’antico Egitto, tanto
del mare ha rappresentato un’attività rilevante sino dal VI millennio a.C.,
da essere il primo cibo a sostituire il latte nello svezzamento dei bambini e
dapprima contribuendo al processo di neoliticizzazione e consentendo lo
da essere sottoposto a varie trasformazioni; l’attività di pesca affascinava
sviluppo di importanti comunità costiere, cresciute, successivamente, anche
così tanto gli egizi da essere raffigurata anche su tombe di privati cittadini
grazie agli scambi e al commercio. La pesca, sin dall’antichità ha avuto una
dalle quali ci giungono particolareggiate informazioni tra cui quella di una
grande rilevanza iconografica. Attraverso graffiti, affreschi, dipinti, basso-
sua pratica a scopo ricreativo; pescava per diletto anche il sovrano, come
rilievi, mosaici, vasi, monete e crateri, scene di pesca sono giunte a noi da
riporta un testo frammentario della seconda dinastia (1995-1780 a.C.) che
tutte le epoche, preziose informazioni che si aggiungono alle opere sulla
racconta di una battuta di pesca tra i canneti del Fayum. Dal II millennio in
pesca di numerosi autori.
poi l’iconografia alieutica si diffonde enormemente e sono molti i reperti
Un’intensa attività di pesca era già effettuata, sotto la spinta di una pres-
custoditi nei musei mediterranei, soprattutto in Grecia ed in Sicilia. Queste
sante richiesta di mercato, dai pescatori egizi, mostrati, da documenti fi-
immagini ci mostrano tecniche di pesca sempre più evolute ed evidenziano
gurati, esercitare la pesca con vari tipi di rete su barche di papiro. Scene
una crescente importanza dei prodotti del mare nell’alimentazione e nella
di pesca con le reti sono anche rappresentate sulla tomba di Akhethotep,
cultura dei popoli. Tra i tanti reperti merita rilievo la raffigurazione del mer-
a Saquara (III millennio a.C.) dove sono rappresentate anche alcune fasi
cante di tonno su un cratere siciliota del IV secolo a.C. custodito al museo
della conservazione del pescato, mentre sulla tomba di Ti, della stessa epo-
Mandralisca di Cefalù, che ci mostra immagini non dissimili da quelle dipin-
ca, oltre ad attrezzature da pesca tecnicamente evolute e complesse, sono
te da Guttuso nella sua “Vucciria”.
raffigurate ben 50 diverse specie di pesci e le fasi della filettatura e dell’es-
Gli operosi amorini che abitano i mosaici di villa del Casale a Piazza Ar-
siccamento di alcune di queste. Le lenze sono invece preferite alle reti nelle
merina pescano, un secolo dopo Cristo, con attrezzature paragonabili, per
raffigurazioni della tomba della principessa Idut (2300 a.C.). Sono quindi
certi versi, a quelle attualmente utilizzate dalla pesca artigianale, così come
molti i sistemi di pesca noti agli antichi egizi, come ci mostrano i rilievi della
la tonnara, descritta da Oppiano in Halieutica, 60 anni prima di Cristo, è
tomba di Mereruka (2350 a.C.) che raffigurano tutti quelli in uso; testimo-
pressoché identica a quella attualmente “calata” a Favignana. Il pesce e la
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pesca vivono nell’immaginario degli antichi popoli mediterranei, curiosi di
d’occidente dell’impero; la necessità di controllare il mercato di questa pre-
conoscere le cose di mare. “Non è gravoso per me descrivere tutto ciò, né
ziosa risorsa era già viva in Grecia nel II secolo d.C., dove in Beozia gli aro-
credo che a voi dispiaccia ascoltarci”, scrive Eliano narrando di una mat-
gamomi avevano il compito di vigilare sui mercati, controllando le bilance
tanza di tonni. Sotto questa spinta le opere letterarie sulla pesca, i pesci e
ed i pesi. D’altra parte della cupidigia dei mercanti del pesce si lamentano
la loro cucina fioriscono numerose. Nella letteratura antica una posizione
gli Egizi (antichi papiri), i greci (commedia nuova) ed i romani (in Plauto).
di rilievo merita la Storia degli animali di Aristotele, un trattato di ittiologia
La rilevanza economica che la pesca ha assunto per le antiche civiltà ha
redatto, nel IV secolo a.C., con rigore scientifico; allo studio, oltre ai collabo-
presto reso necessario stabilire regole precise e spesso anche l’introduzione
ratori messi a disposizione di Aristotele da Alessandro Magno, concorrono
di tasse e diritti. In quest’ultimo aspetto si differenziava sostanzialmente il
anche i racconti dei pescatori dell’isola di Lesbo dove l’opera è stata redatta,
concetto giuridico della pesca tra i romani ed i greci, per i primi il mare è
i quali si rivelano, allora come oggi, la più preziosa fonte di informazione
res communis e le sue risorse sono res nullius, cioè il mare era del popolo
per la scienza del mare.
romano ed i pesci di chi li prendeva; in Grecia, invece, era quasi sempre
Alla pesca in età augustea è stato dedicato il trattato in versi Halieutica di
imposta una tassa per la pesca, così a Mikonos si versava un dodicesimo del
Ovidio. Pesci e animali marini occupano due volumi della Storia Naturale
valore del pescato al tesoro di Apollo e ad Efeso al santuario di Artemide.
di Plinio il Vecchio (I secolo d.C.) che cita 9 trattati greci e 18 latini di cui si
Per dirimere i conflitti tra pescatori, nell’antica Roma era spesso necessario
sono perse le tracce, e un secolo dopo l’Halieutica di Oppiano di Cilicia narra
l’intervento dei magistrati e sono numerose le sentenze giunte sino ai nostri
la pesca in 3500 versi. Della Natura degli Animali di Claudio Eliano (II secolo
giorni.
d.C.) riporta anche miti e leggende sul mare e sulla pesca. Hedyphagetica è
L’interesse per il pesce fresco, soprattutto da parte delle classi elevate, portò
un poema gastronomico di Quinto Ennio che nel III secolo a.C. tratta in versi
ad uno sviluppo anche di forme di stabulazione e coltura di prodotti marini
dei pesci e del modo di cucinarli. Sono molti gli autori che nelle loro opere
in vivai che hanno rappresentato l’antesignano dell’acquacoltura. Le più an-
gastronomiche trattando dei prodotti del mare tracciano inventari di pesci,
tiche evidenze di allevamenti ittici sono in Egitto, Grecia e Sicilia, ma l’alle-
molluschi e crostacei, tra questi rilevanti sono i testi di Archestrato di Gela
vamento di pesci trae grande sviluppo soprattutto dal II secolo d.C. quando
(IV secolo a.C.) e di Apicio (I secolo d.C.). Nell’impero romano il pesce aveva
i ricchi romani iniziarono a realizzare nelle loro villae marittimae apposite
un ruolo importante, era citato in numerosi editti che ne determinavano la
vasche costruite allo scopo. In queste piscinae loculatae il dominus allevava
qualità e ne stabilivano il prezzo, come quello di Diocleziano (III secolo d.C.),
pesci che tanto più erano rari e preziosi tanto più contribuivano al suo ap-
inciso su pietra e diffuso in greco nelle terre d’oriente ed in latino in quelle
parire. Successivamente gli allevamenti divennero commerciali, si estesero
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a stagni, lagune e al mare, dove si iniziò a coltivare le ostriche in appositi
che aveva acquisito un’enorme importanza economica nel Mediterraneo. Il
impianti (ostriaria). La necessità di disporre di pesce era sentita anche dalle
garum era il prodotto della fermentazione di pesci ad opera dei loro stessi
classi meno abbienti che non potevano permettersi il costoso pesce alle-
enzimi, in presenza di sale in funzione antisettica; era un condimento al-
vato, né, tanto meno, si potevano consentire peschiere domestiche; inoltre
tamente proteico, composto da aminoacidi liberi, immediatamente assimi-
il pesce, essendo un prodotto rapidamente deperibile, soprattutto a tem-
labili dall’organismo. Veniva preparato conservando, in particolari anfore
perature elevate come quelle mediterranee, spesso, consumato in luoghi
di circa 30 litri, pesci interi con le viscere, aromi e sale consentendone per
lontani dalle aree di pesca, non avrebbe potuto sostenere il viaggio se non
mesi la fermentazione e trattando il prodotto con tecniche diverse, spesso
conservato o trasformato. Sin dalla preistoria, salagione, essiccazione ed af-
oggetto di veri e propri segreti industriali. Il liquamen, liquido di macerazio-
fumicamento erano procedimenti noti. Immagini dell’essiccamento di pesci
ne, veniva filtrato restituendo il pregiato garum, immancabile nelle mense
sono comuni nelle rappresentazioni funebri egizie sin dal III millennio a.C.,
dei ricchi, mentre il residuato, allec, era destinato ai poveri. Venivano distinti
ma certamente l’associazione di salagione ed affumicatura offriva maggiori
vari garum in base ai prodotti di partenza. Particolarmente prezioso era il
garanzie. “Nihil utilis sale et sole” afferma Plinio nella sua Storia Naturale. Il
garum rosso o aimation realizzato con viscere e branchie di tonno; mure-
pesce salato, salsamentum e tharichos, era diffuso in tutto il Mediterraneo
ne e storioni erano usati per il muria, mentre dallo sgombro si otteneva il
antico, tanto da rendere il sale un bene prezioso ed il suo controllo essere
garum sociorum; il garum flos era un garum senza condimenti e infine il
causa di conflitti. Cartagine era il centro più importante per la commer-
garum castimoniale era realizzato utilizzando pesce con scaglie.
cializzazione di tharichos nel Mediterraneo occidentale e Bisanzio lo era
Questo prodotto è al centro di importanti traffici commerciali e sono nume-
in quello orientale. Giunto a terra, il pesce veniva squamato, decapitato ed
rosi gli insediamenti sorti per la sua produzione anche in Sicilia, tra i quali
eviscerato, quindi lavato e posto nelle cetariae, vasche nelle quali veniva
particolare interesse suscita negli archeologi quello di Isola delle Femmine.
alternato uno strato di pesce con uno di sale. Dopo una macerazione di tre
Il garum resterà presente a lungo nella tradizione gastronomica, si ha infatti
settimane, il prodotto veniva sigillato ermeticamente in anfore da trasporto
traccia di impianti produttivi sino all’Alto Medioevo. Oltre a Plinio il Vecchio,
e spedito lungo le rotte commerciali.
del garum hanno trattato numerosi autori, come Apicio nel De re coquinaria
Ma oltre al pesce, vivo, fresco e conservato, altre produzioni legate alla pe-
che con esso condisce almeno 20 diverse pietanze; Columella, in De re rusti-
sca hanno avuto grande rilevanza commerciale nel Mediterraneo: le salse
ca, cita il garum come rimedio contro la pestifera labes; Seneca, in una let-
di pesce, la porpora, il nero di seppia e le spugne. Sebbene Plinio il Vecchio
tera a Lucilio, infierisce contro il garum, definendolo, in accordo con Plinio,
lo definisca “marciume di cose putrefatte”, il garum è una salsa di pesce
“un prezioso marciume di pesci andati a male, che brucia le viscere con la
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sua acida putredine”, mentre Petronio ne parla descrivendo la cena offerta
che rientrano anche nella medicina popolare dei nostri giorni, come un con-
da Trimalchione in Satyricon. Teseo, re dell’Attica, che il mito vuole abbia
solo, brodo funebre, fatto dalla tremola (torpedine) dalle presunte proprietà
ucciso il Minotauro, era stato sin dall’infanzia addestrato ad immergersi in
energetiche e l’olio di fegato di squalo utilizzato per le ustioni. Padron ‘Nto-
mare per prendere le spugne, il cui uso, dopo opportuna lavorazione, era
ni sapeva quel che sapeva da suo padre e questi dal suo e così indietro nei
una pratica molto diffusa nell’antica Grecia tanto da essere riportato nel-
secoli e nei millenni, così avevano imparato a leggere il cielo a conoscere il
l’Iliade dove si racconta di Efesto, che si ripulisce con una spugna in attesa
mare, il mare della Trezza a cui erano attaccati come le patelle agli scogli
dell’arrivo della bella Teti, la dea del mare. Il murice, un piccolo mollusco
che solo pochi chilometri più in la il cielo ed il mare avevano altri segreti che
gasteropode, era utilizzato per la produzione della porpora, prezioso colo-
altri sapevano leggere e loro erano forestieri. I mestieri dei pescatori della
rante dell’antichità, usato per tessuti, osso e legno che ha fatto la fortuna
Trezza erano simili a quelli degli altri borghi marinari dell’isola, ma erano, al
dei commercianti fenici. Da questo animale era estratto un liquido chiaro
contempo, infinitamente diversi. Differenze minime come la grandezza della
che, esposto al sole, con l’aggiunta di aceto e sale, diventava rosso. Un altro
maglia, il peso dei piombi, il numero dei sugheri, il rapporto d’armamento ed
colore naturale utilizzato in antichità era il nero della seppia che veniva rac-
ancora il nodo dell’amo e l’esca usata consentivano di adattare reti e lenze
colto e commercializzato come inchiostro o colorante dagli antichi romani
alla natura dei fondali, al comportamento delle prede. Tutto questo i padri
ed attraverso loro introdotto in tutto il bacino del Mediterraneo. Nell’an-
l’avevano imparato giorno dopo giorno modificando i loro attrezzi da pesca
tichità, il pesce e gli animali marini avevano raggiunto un’importanza tale
e tentando di mantenerne il segreto. Mastro n’Toni non avrebbe creduto
da divenire spesso simbolizzati ed entrare nei riti religiosi. La tilapia era per
mai che le sue mani tagliate dalle lenze sarebbero state sostituite da potenti
gli antichi egizi segno di rinascita e fertilità, mentre l’Oxilino, che aveva
verricelli, quello che i suoi occhi vedevano nel cielo e nel mare lo avrebbero
inghiottito il fallo del dio Osiride, non veniva mangiato, come accade oggi
visto i sonar nei loro schermi e i suoi preziosi punti a terra sarebbero diven-
all’Oxynotus centrina, che viene chiamato pisci du malauguriu ed è rigetta-
tati coordinate su un GPS. Non immaginava che avrebbe potuto pescare
to rapidamente in mare dai pescatori siciliani non prima di avergli fatto il
come lui, più di lui, il figlio di un panettiere o un professore di scuola. Ma
segno della croce sul capo. Il delfino era associato dai romani ad Apollo e la
lui sapeva, perché lo conosceva bene, che il mare ha memoria lunga, che il
sua cattura ritenuta un sacrilegio (Oppiano), infine il pesce entra nel simbo-
mare si vendica. E adesso, che tutti possono pescare, da pescare c’è rimasto
lismo cristiano sin dalle origini, nel periodo della clandestinità, e vi permane
poco, e il pesce che riempiva a sera il fondo della sua Provvidenza oggi non
sino ad oggi. Dal sacro al mito il passo è breve e la letteratura e la tradizione
lo pesca neanche un peschereccio a strascico. Mastro n’Toni non avrebbe
sono ricche di leggende, superstizioni, credenze legate agli animali marini
mai creduto che sarebbero state inventate barche, attrezzi e strumenti ca-
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paci di svuotarglielo quel suo mare, non avrebbe nemmeno immaginato che sulla sua spiaggia si sarebbe parlata la lingua dei turisti, la sua barca avrebbe trovato ricovero tra gommoni e barche a vela, le sue reti sarebbero state strappate dallo strascico sottocosta, i suoi pesci uccisi da bombe e veleni. Quel suo mare avrebbe conosciuto chimiche insidiose capaci di vanificare la saggezza del dio Nettuno, capaci di intossicare le carni dei pesci, di bruciare l’arica. Nuovi pesci, granchi, alghe avrebbero popolato i suoi fondali, giunti nelle acque di zavorra delle navi, con l’acquacoltura o attraverso il Canale di Suez. Le stagioni non sarebbero state più uguali. I suoi pesci avrebbero condiviso il banco della pescheria con pagri brasiliani, gamberi argentini, neonata cinese, calamari senegalesi e scampi norvegesi. Ragionieri e politici sarebbero diventati i padroni del loro destino, del destino dei Malavoglia, ma questa è un’altra storia. Il nonno s’affacciò due o tre volte sul ballatoio, prima di chiudere l’uscio, a guardare le stelle che luccicavano più del dovere, poi borbottò: mare amaro. (da I Malavoglia di G. Verga) Franco Andaloro
Gli attrezzi
L
La pesca rappresenta per la Sicilia una delle principali attività produttive
tura povera e stentata e nonostante la bassa produttività, in assoluto, del
con un’enorme rilevanza economica ed occupazionale per l’Isola. La flotta
Mediterraneo, la pesca è stata la maggiore fonte di proteine nobili a basso
da pesca siciliana rappresenta il 35% della flotta nazionale e cattura il 30%
costo. Sotto altri aspetti, considerazioni analoghe valgono per gran parte
dell’intera produzione ittica nazionale. In Sicilia la natura dei fondali e la
della costa giapponese. La pesca costiera, fondata sull’armonico rappor-
disponibilità delle risorse hanno portato, salvo alcune importanti eccezio-
to delle popolazioni rivierasche con l’ambiente marino, si è sviluppata ed
ni come le marinerie di Mazara del Vallo, Sciacca, Porto Empedocle, Porto
evoluta lentamente, con l’acquisizione graduale di tecnologie minime nel
Palo e Porticello ad un maggiore sviluppo della pesca artigianale rispetto
miglioramento di natanti e di sistemi di cattura, grazie ad una conoscenza,
alla pesca a strascico ed alle altre pratiche di pesca industriale. La pesca
almeno sotto certi aspetti, dell’etologia e dell’ecologia delle prede. Nono-
artigianale rappresenta, per numero di imbarcazioni, il 70% della flotta da
stante l’evolversi delle altre pratiche del settore, la piccola pesca si presenta
pesca siciliana, ma solo il 30% in tonnellaggio. La pesca industriale e semin-
in Sicilia, ancora oggi, come un’attività profondamente tradizionale, quasi
dustriale è essenzialmente rappresentata in Sicilia dalla pesca a strascico
marginale, dove però la marginalità non indica un ruolo subalterno, anzi,
e dalle imbarcazioni a cianciolo (rete a circuizione con chiusura) di grande
essa ha permesso la cristallizzazione ed il congelamento di vecchie strut-
dimensione per la pesca del pesce azzurro e dei grandi pelagici.Il ruolo della
ture e di usi particolari, di sentimenti altrettanto peculiari, impermeabili al
pesca costiera nell’economia e nelle tradizioni della Sicilia può ricondursi
prepotente, e fin sul mare, predominante mondo degli agricoltori. Un altro
alla produttività compatibilmente più alta dell’ambiente costiero rispetto a
fondamento, non secondario, della pesca costiera è il tipo di conduzione
gran parte delle aree interne spesso aspre ed impervie.
prevalentemente familiare, l’utilizzazione diretta di una parte del pescato,
Tali condizioni incompatibili, almeno per il passato, con il nascere e lo svi-
soprattutto delle qualità di massa, per le dirette necessità degli operatori che
lupparsi di un’agricoltura ed una zootecnia paragonabili a quelle delle pia-
la fanno somigliare ad un’agricoltura di sussistenza “spontanea”, nella quale
nure continentali, hanno dove possibile, fornito un naturale impulso alla
i bassi redditi assoluti mascherano un favorevole rapporto fra produzione
pesca. Una simile analisi è valida per aree analoghe della regione mediter-
e spesa energetica. Ovviamente, l’attuale situazione economica, dominata
ranea, come la fascia dalmata o le isole greche, dove rispetto ad un’agricol-
dalla tendenza a massimizzare i profitti, ha penalizzato attività tradizio-
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nali come la pesca artigianale determinandone uno stato di crisi, tanto più
marinerie della parte occidentale e meridionale dell’isola; tale distribuzione
se costretta a coesistere con attività parallele organizzate industrialmente
è però relativa prevalentemente ai porti di sbarco, poiché in fase di pesca
come la pesca a strascico. Tale coesistenza è talvolta inevitabilmente sfo-
i M/P a strascico ed a cianciolo spaziano ovunque. La pesca artigianale in
ciata in una conflittualità, che ha rischiato più volte di divenire esplosiva, e
Sicilia è un’attività estremamente variabile nello spazio e nel tempo rispon-
che ha comunque radici antiche in Sicilia; afferma infatti Vinciguerra (1896)
dendo alle caratteristiche intrinseche di questo tipo di attività che sono la
“...tale sistema di pesca (le paranze) è specialmente ritenuto dannoso dai
flessibilità, la polivalenza e l’opportunismo. La flessibilità è la capacità dei
pescatori della costa settentrionale dell’Isola, e in particolare modo da quelli
pescatori ad adattarsi alle circostanze evolvendosi secondo fattori esterni
dei Golfi di Termini e Castellammare, che hanno già parecchie volte ricorso
favorevoli o sfavorevoli come le fluttuazioni di abbondanza delle risorse,
al Ministero di Marina e a quello di Agricoltura invocandone la completa
i costi di gestione, i meccanismi assistenziali, le innovazioni tecnologiche
interdizione”. La pesca artigianale siciliana risulta particolarmente vulne-
e le normative giuridiche. La polivalenza è la capacità di utilizzare diver-
rabile essendo fruitrice primaria dell’ambiente costiero dove è costretta a
si attrezzi e sistemi di pesca, sia contemporaneamente che variandoli nel
subire il turismo, l’inquinamento e gli altri multiformi aspetti della pressione
tempo, adattandosi all’etologia ed all’ecologia delle prede. L’opportunismo
antropica esasperata dallo sviluppo esponenziale della urbanizzazione delle
è la capacità dei pescatori di modificare la loro condotta secondo le circo-
coste che hanno portato, come in altre aree costiere italiane, ad un fenome-
stanze e subordinare le loro strategie alle congiunture. Questa capacità di
no di ipertrofia litorale tanto da giungere alla più complessa ed adeguata
adattamento al comportamento delle prede, alla natura dei fondali ed alla
accezione di fagocitazione degli spazi costieri da parte dell’uomo. Nell’area
variabilità delle condizioni meteomarine ha portato la pesca artigianale ad
costiera anche la concorrenza della pesca sportiva è sempre più schiac-
una forte diversificazione degli attrezzi e dei sistemi di pesca che possono
ciante, mentre toni drammatici assumono, per molte marinerie, la pesca ed
essere anche sostanzialmente diversi in marinerie vicine tra loro. La pesca
il bracconaggio. A questi fattori limitanti, che hanno determinato la crisi
artigianale, inoltre, proprio perché pratica antica, ha stretti collegamenti
della pesca artigianale, si aggiungono variabili occasionali e fuorvianti come
con le tradizioni alimentari locali che ha influenzato e dalle quali è stata
l’instaurazione del premio di fermo temporaneo esteso in Sicilia anche alla
influenzata. Questa condizione fa sì che pratiche di pesca vietate o limitate
pesca artigianale, che, lungi dal raggiungere gli obiettivi auspicati, ha fatto
siano difficili da contenere; è questo, ad esempio, il caso della fragaglia,
lievitare fortemente il numero dei pescatori mostrando un immagine fittizia
del rossetto, del bianchetto, delle orecchie di mare che hanno alto valore
del comparto basata su principi assistenziali ancorché produttivi. La pesca
di mercato e sono molto ricercate dai consumatori. La pesca artigianale è,
semi industriale ed industriale è quasi esclusivamente concentrata nelle
come noto, una pratica estremamente selettiva, ma questa caratteristica,
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87
normalmente positiva, può giocare anche un ruolo negativo sulle risorse
delle abitudini dei pesci e dell’ambiente gioca un ruolo determinante nel-
se impiegata irrazionalmente o addirittura illegalmente. Inserite nel tes-
l’ottenimento del risultato, ma sono soprattutto queste attività strettamen-
suto culturale delle marinerie vi sono anche talune pratiche di pesca che
te artigianali, estremamente coreografiche e polimorfe in cui è identificata
hanno valenza limitata a piccole aree, ma che assumono un importante
nell’immaginario collettivo la pesca siciliana. Tra questi antichi mestieri si ri-
ruolo economico nel complesso sistema reddituale della pesca artigianale.
cordano la pesca ai polpi con i vasi, alle boghe con le grandi nasse di vimini,
Va anche puntualizzato che con la cattiva stagione, che in Sicilia si pro-
ai cefali con le canne, alla seppia con la femminella, l’uso della sciabica da
trae da dicembre a marzo, i piccoli pescatori sono stati indotti ad adottare
spiaggia, della menaide per le acciughe, la pesca con la lampara ai polpi, la
forme di pesca rapida e con scarso investimento in attrezzi che possono
pesca con la fiocina per le aguglie, la cattura dei ricci con la manina. Queste
essere rapidamente salpati al precipitare delle condizioni meteomarine o
stesse attività di pesca erano spesso collegate anche a particolari tradizioni
addirittura abbandonati senza gravi danni economici. Questa variabilità e
quali canti, riti, cibi ed attrezzi che rappresentano le vere e proprie radici dei
diversificazione degli attrezzi e delle tecniche di pesca rappresenta l’essenza
pescatori, il genius loci delle marinerie siciliane. La scomparsa di queste atti-
stessa della pesca siciliana, e mal si adatta alla Politica Comune della Pesca
vità della pesca tradizionale sta causando un vuoto difficilmente colmabile
dell’Unione Europea che, protesa solo al contenimento dello sforzo di pe-
nella cultura dei borghi marinari che oggi appaiono sempre più anonimi ed
sca, bandisce, spesso inopportunamente e solo su basi macroeconomiche,
omologati tra loro. Questa condizione è ovviamente in antitesi con lo svi-
numerosi attrezzi tradizionali ancora in uso con conseguenze drammatiche
luppo del pesca-turismo e dell’ittiturismo protesi alla riscoperta dei valori e
ed irreversibili sulla conservazione della tradizione alieutica regionale. In
alla ricerca dell’anima dei luoghi. L’uso degli attrezzi da pesca è però anche
un’attività ancestrale, infatti, quale è la piccola pesca, dove attrezzi semplici
fortemente influenzato dalla richiesta di precisi prodotti ittici: oggi non è
sono stati lentamente modificati nel tempo dall’esperienza degli operatori,
più la pesca a fare il mercato, ma il mercato a fare la pesca. Solo sino a
una lunga interruzione dell’uso può causare la perdita di una tradizione che
pochi decenni fa, infatti, il mercato era fortemente influenzato dall’attività
veniva, essenzialmente, tramandata da padre in figlio attraverso l’apprendi-
di pesca che veniva effettuata nell’area. Attorno ad aree particolarmente
mento quotidiano di tecniche minime ma essenziali.
pescose sorgevano persino paesi come quelli sviluppati attorno alle tonnare
Inoltre, negli ultimi anni, molti altri mestieri e tradizioni della pesca sono
o alle aziende di salagione del pesce azzurro; d’altra parte la complessità
stati abbandonati perché incompatibili con la pressione antropica sulla
del trasporto, la deperibilità del prodotto e l’assenza di catene del freddo
costa o ritenuti poco produttivi o particolarmente faticosi. Sono questi i
obbligavano alla lavorazione del prodotto ittico nelle aree immediatamente
mestieri dove insiste il vero rapporto tra uomo e mare, dove la conoscenza
limitrofe ai punti di sbarco. Oggi è invece il mercato, ovvero la richiesta dei
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consumatori, a indirizzare gli operatori verso l’una o l’altra attività di pesca,
traverso cavi d’acciaio manovrati da verricelli. La dimensione della rete ed
determinando lo sforzo di pesca e lo sfruttamento delle risorse. La disponi-
il suo armamento dipendono dalla dimensione dell’imbarcazione e dal tipo
bilità delle risorse determinava, un tempo, gli usi, le abitudini ed i costumi
di fondale dove si pesca. Questa pesca è effettuata su fondali mobili (fango,
alimentari, forgiava la cultura intrecciando i saperi e i sapori del mare a quelli
sabbia o detrito) tra i 50 ed i 1000 metri di profondità. La rete viene trainata
della terra. Oggi delle 160 specie di pesci che venivano consumate in Sicilia
sul fondo ad una velocità di circa 3 nodi per un tempo variabile tra 1 e 5
sino a cinquanta anni fa ne sopravvivono, nell’uso alimentare, non più di
ore e cattura numerose specie di pesci, crostacei e molluschi. È l’attrezzo da
40 e l’80% del consumo è concentrato solamente su 10 di queste, nel nome
pesca più produttivo in assoluto, anche se in alcune aree e periodi produce
di una globalizzazione della cultura alimentare che ha raggiunto anche i
molto scarto rappresentato da specie non commerciali, senza mercato o
paesi più remoti e tradizionali della Sicilia. Inoltre il mercato vede crescere la
troppo piccole. In Sicilia, le principali specie bersaglio di questa pesca sono
presenza di pesci importati da paesi non mediterranei appartenenti sia alle
il gambero bianco (Penaeus longirostris), il gambero rosso (Aristeus anten-
stesse specie di quelli catturati in Sicilia, sia a specie affini poco distinguibili
natus) ed il gambero viola (Aristeomorpha pholiacea), il nasello (Merluccius
dal consumatore. Ad insidiare la tradizione alimentare siciliana concorrono
merluccius), la triglia rossa (Mullus surmuletus), la triglia bianca (Mullus
anche le nuove specie di pesci immigrate nel Mare Mediterraneo dal Mar
barbatus), il polpo (Octopus vulgaris) e il calamaro (Loligo vulgaris).
Rosso e dall’Oceano Atlantico, 14 delle quali sono già pescate dai pescatori siciliani. Gli innumerevoli mestieri della pesca siciliana sono riconducibili a
Le reti da posta
categorie principali quali le reti a strascico, le reti da posta, le reti derivanti,
Le reti da posta sono reti passive in quanto catturano il pesce che si impiglia
le reti a circuizione, i palangari, le lenze, le nasse e gli arpioni.
restando ferme rispetto all’acqua o al fondo. Sono tipiche reti di sbarramento, poiché vengono calate dai pescatori professionali sulle rotte dei pesci. A
Le reti a strascico
differenza di altre categorie di attrezzi da pesca, il rendimento delle catture
Sono reti trainate sul fondo da imbarcazioni di media o grande dimensione.
con le reti da posta dipende dall’approfondita conoscenza da parte del pe-
La rete è costituita da pezze di maglia diversa armate tra loro a sacco con
scatore delle aree, degli spostamenti e delle abitudini comportamentali delle
la parte inferiore appesantita da catene per strisciare sul fondo e quella su-
specie bersaglio. Ciò richiede un’alta professionalità e una lunga esperienza
periore mantenuta aperta con galleggianti. Il sacco viene mantenuto aperto
affinché questo mestiere porti un profitto tale da essere comparato con
attraverso due divergenti assicurati alle ali della rete da calamenti (grossi
altre tipologie di pesca, generalmente più redditizie, quali ad esempio lo
cavi di nylon e acciaio). I due divergenti sono collegati all’imbarcazione at-
strascico. Armando opportunamente galleggianti e piombi e giocando sulla
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loro reciproca quantità, rispettivamente sulla lima superiore o inferiore, le
parte orientale dell’area per la pesca della “arricciola” (Seriosa dumerili); la
reti da posta possono pescare in superficie, a mezz’acqua o sul fondo. Una
“alacciara” è una rete da superficie fissa adoperata da febbraio a maggio in
caratteristica di queste reti che le rende uniche tra le reti da pesca è che
tutta la Sicilia per la cattura di “alacce” (S.aurita), “vope” (B.boops) e “sauri”
esse si comportano come “reti-trappola” lasciando che siano i pesci stessi a
(Trachurus spp.); la “tratta” è antica rete pelagica adoperata “al volo” ovvero
scontrarsi con la rete e a rimanerne catturati. Le principali reti da posta sono
calata davanti a banchi di piccoli pelagici; il “bardassone” è una rete da fon-
il tremaglio e le reti da imbrocco. Il “tremaglio” tradizionale è in nylon ed è
do derivante di difficile impiego, ma di grande capacità di cattura che viene
formato da tre pezze di rete sovrapposte ed armate con diverso rapporto
utilizzata sfruttando la spinta delle correnti. È usata in alcune marinerie
di armamento sulle stesse due lime da sughero e da piombo. È l’attrezzo da
prevalentemente per la cattura delle triglie (M.surmuletus) ed in alcune aree
pesca più adoperato nell’area dalla pesca artigianale; ne esistono numero-
anche per i “pettini” (X.novacula). I “barracuda” sono reti da posta fisse che
se versioni variabili per maglia, armamento, materiale e modo di impiego.
adoperano al posto del filato il monofilo detto localmente “filo di spagna”.
Le “reti da imbrocco” sono molto usate dalla piccola pesca nell’area. Sono
Hanno la caratteristica di essere trasparenti e molto economiche, per con-
costituite da un’unica pezza di rete ed hanno una cattura praticamente mo-
tro, sono caratterizzate da una grande fragilità. Pur adoperandole, i pesca-
nospecifica e monotaglia in relazione alla maglia impiegata. Possono esse-
tori professionisti avversano questo tipo di reti sostenendo, non a torto, che
re sia fisse che derivanti e possono essere usate sul fondo o in superficie.
per la loro economicità sono adoperate, illegalmente, da un largo numero
L’estrema specializzazione fa sì che ne vengano utilizzati svariati tipi tra cui
di pseudosportivi che, pur se non abili, possono sopperire all’incapacità di
i più comuni sono: la “spatara” per la cattura del pesce spada è una rete
riparazioni e all’imperizia nell’uso riacquistandole facilmente; inoltre il peso
da superficie derivante che era molto adoperata nelle marinerie più gran-
ridotto e il volume contenuto consentono di trasportarle senza doverle la-
di prima di essere interdetta, tra molte polemiche, dall’Unione Europea; la
sciare in barca. Queste reti, che stanno avendo una grossa diffusione, pre-
“alalungara” è una rete da superficie derivante adoperata da marinerie della
sentano anche lo svantaggio di venire abbandonate sul fondo in caso di
parte occidentale dell’area, dedicata alla cattura dell’alalunga (Thynnus al-
afferratura dove continuano “a pescare” sin quando non si aggrovigliano.
lunga); la “palamitara” è una rete da superficie derivante adoperata preva-
Possono essere di maglie diverse e hanno una forte capacità di cattura verso
lentemente nei mesi invernali da molte marinerie siciliane per la cattura di
molte specie. Le “reti con vela” sono reti da fondo fisse impastellate ovvero
scomberoidi di piccola taglia: “allitteratu” (Euthynnus alletteratus), “pesan-
costituite nella parte inferiore da tremaglio ed in quella superiore armate ad
tone” o “sangusu” (Auxis rochei), “palamita” (Sarda sarda); la “ricciolara” è
imbrocco consentendo la cattura contemporaneamente di specie bentoni-
una rete da superficie fissa adoperata prevalentemente nelle marinerie della
che e pelagiche. Tremagli e reti da imbrocco possono essere calate anche in
91
“Era un vecchio che pescava da solo su una barca a vela (...). Il vecchio era magro e scarno e aveva rughe profonde alla nuca. (...) Tutto in lui era vecchio tranne gli occhi che avevano lo stesso colore del mare ed erano allegri e indomiti�. da Il vecchio e il mare di Ernest Hemingway
modo circuitante ovvero a cerchio o semicerchio per la cattura di cefali (Liza
giovani di Spicara spp.; la “sciabica per il novellame” da consumo è molto
spp., Mugil spp.), “aiole” (L.mormyrus) ed occhiate (O.melanura). Con le reti
simile a quella da spiaggia, ma con maglie molto più piccole nelle braccia
si circonda un tratto di mare e poi facendo rumore (normalmente battendo
e velo nel sacco. L’attrezzo è usato per la pesca del novellame di sardina
il remo sulla barca) si mette il pesce in fuga che rimane ammagliato; con
(S.pilchardus), di acciuga (E.enchrasicholus), di cicirello (G.cicirellus) e del
quelle pelagiche si circondano banchi di pesce. Tale tecnica è adoperata da
“rossetto” (il gobide adulto A.minuta). Tale attrezzo è impiegato durante i
pescatori molto abili e che conoscono bene le caratteristiche del tratto di
periodi autorizzati (45 giorni tra febbraio e marzo), ma spesso viene usato
mare e il comportamento delle prede.
anche nei periodi interdetti a tale pesca; lo “sciabicone per le lampughe” (Coriphaena hippurus) è una rete a circuizione senza chiusura utilizzata per
Le reti a circuizione
la pesca di questa specie attraverso l’uso di cannizzi, manufatti galleggianti
Le reti a circuizione sono reti adoperate per circondare un branco di pesci
di foglie di palma ancorati al fondo che sfruttano abitudine della lampuga
pelagici e possono essere di vario tipo, con chiusura e senza chiusura: il
ad aggregarsi sotto corpi d’ombra. Questa pesca è effettuata anche con pic-
ciancialo è una rete a circuizione con chiusura, ovvero, una volta circon-
coli ciancioli e cattura anche il fanfalo (Naucrates ductor), giovani ricciole
dato il branco, un cavo chiude la parte inferiore della rete facendone un
ed altre specie.
sacco nel quale rimane intrappolato il pescato, il ciancialo, in base alla dimensione dell’imbarcazione e della rete viene adoperato per la cattura del
I palangari
pesce azzurro e dei grandi pelagici, dall’alletterato al tonno rosso (Thunnus
Il palangaro è formato da un insieme numeroso di ami. Su un cavetto (che
thynnus); la “sciabica da spiaggia” è una rete a circuizione senza chiusu-
può essere di materiali diversi), chiamato “madre del palangaro”, sono mon-
ra ormai quasi abbandonata, essendo vietata dalle normative vigenti. Il
tati ad intervalli regolari, con spezzoni di filo detti “braccioli”; in Sicilia è
suo uso richiede, inoltre, l’impiego di molti pescatori (6-12). La sciabica da
anche chiamato “conzo” o “coffa” dal nome della cesta che lo contiene.
spiaggia cattura prevalentemente giovanili di mullidi, sparidi e altre specie
Se ne distinguono diversi tipi: il “palangaro da fondo” è utilizzato in tutte
che occasionalmente si trovano in prossimità della costa; tale fragalia è
le marinerie; il suo uso richiede una buona esperienza, ma soprattutto la
chiamata localmente “sciabbacheddu”. Le scarse catture, molto diminuite
conoscenza delle abitudini delle prede e dell’area dove viene utilizzato; in
a causa dell’antropizzazione dei litorali, non incentivano l’illegalità; la “tar-
base al tipo di ami e del filo adoperati viene utilizzato per la cattura di
tana” è una sciabica da natante di antica tradizione che è usata in alcune
specie diverse; sono in uso in Sicilia: il “conzo per merluzzi” che è di grande
marinerie stagionalmente per la pesca del “maccarruneddu” costituito da
dimensione con il trave spesso in corda trecciata, arma da 500 a 1000 metri
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è innescato con pezzi di sardina o alaccia ed è calato anche sino a 500 metri
la dimensione degli ami, del filo, per il peso e la forma del piombo, il tipo di
di profondità, cattura prevalentemente naselli (Merluccius merluccius), “ci-
esca e il modo di impiego. Sebbene sia l’attrezzo da pesca più artigianale e
polle” (Scorphaena scrofa), “gronghi” (Conger conger), “spatole” (Lepidopus
“modesto” in assoluto, la lenza è ancora molto adoperata nell’area e spesso
caudatus) e “cirenghe” (Ephinephelus aenea); il “conzo per saraghi” che è
costituisce una vera e propria risorsa per i pescatori più abili. Questo at-
di dimensione ridotta con trave in monofilo, arma 50-300 metri è innesca-
trezzo richiede un rapporto strettissimo con il “territorio” di pesca. Le lenze
to con pezzi di sardina o “cappuccetto” (Sepiola spp., Alloteutis spp.) ed è
possono essere essenzialmente da fondo, trainate, allo sbando o usate in
calato sui posidonieti o presso secche e scogliere, cattura molte specie e
movimento; innescate con esche sintetiche, morte o vive. Tutte le lenze pro-
prevalentemente Sparidae; il “palangaro derivante” che può essere calato
fessionali vengono adoperate dalla barca che può essere anche di piccola
a mezz’acqua o mantenuto in superficie per la cattura di grossi pelagici. In
dimensione spinta da un fuoribordo o addirittura a remi. Le “lenze da fondo”
Sicilia si distinguono: il “conzo per tonno”, che è di uso recente ed è stato
sono caratterizzate dall’avere un peso all’estremità che consente al trave
introdotto in Mediterraneo dalla flotta giapponese, è realizzato in treccia di
di raggiungere il fondale, la barca può essere ancorata o allo scarroccio,
nylon e può raggiungere decine di chilometri di lunghezza; il “conzo per pe-
consentendo al piombo di scivolare sul fondo pescando su un tratto più
sce spada” (X.gladius) che è di grandi dimensioni, lungo fino 10 km. può ar-
ampio. Tra queste si ricordano nell’uso professionale: il “camacio”, che è una
mare migliaia di ami. È normalmente innescato con sgombri (Scomber spp.).
lenza ad 1-2 ami di grossa dimensione calata in prossimità di tane di cernie
Lo si adopera quasi tutto l’anno. Cattura molte altre specie pelagiche oltre
(Ephinephelus spp.); si innesca normalmente con polpo (O.vulgaris, Eledone
al pesce spada quali il tonno, la verdesca (Prionace glauca), la tartaruga (Ca-
spp.) che viene spesso lessato allo scopo di resistere meglio ed odorare di
retta caretta). Una versione più piccola (quasi uguale al conzo per alalunga)
più. È adoperato nelle marinerie orientali dell’area; la “lenza per pesci porci”
è adoperato illegalmente per lo spadello; il “conzo per alalunga” (T.alalunga)
(Balistes carolinensis), che è una lenza a due ami con terminali in acciaio per
che ha il trave e gli ami più piccoli di quello per pescespada, è adoperato nei
non essere rotta dai forti denti della preda; è innescata a gambero ed usata
mesi autunnali soprattutto nella Sicilia settentrionale, viene innescato con
allo “Scarroccio”; è usata in estate; la “lenza per pettini” (Xricthys novacula),
sardine e cattura anche grandi quantità di pesce spada novello.
che è una lenza di piccolissime dimensioni che arma 3 ami innescata con cubetti di sardine o acciughe che vengono salate poco prima dell’uso per
Le lenze
meglio resistere all’acqua. Questa lenza viene utilizzata allo scarroccio su
Subito dopo l’arpione sono l’attrezzo più antico usato dai pescatori; ciò ha
fondali sabbiosi di 8-25 metri nella parte orientale dell’area. La pesca si ef-
sviluppato una tipologia infinita di varianti che si diversificano tra loro per
fettua nei mesi estivi di giorno; la “lenza per tracine” (Trachinus spp.), che è
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poco più grande della precedente, ma armata nello stesso modo. È utilizzata allo scarroccio su fondi sabbio-fangosi da 10 a 30 metri tutto l’anno; la “lenza per prai” (Sparus pagrus), che è una lenza robusta con ami di media dimensione innescati con seppia, quando possibile utilizzata viva. Questa pesca, che si effettuava tra i 30 ed i 100 metri, è oggi sempre meno praticata per la forte rarefazione della specie. Le “lenze da traino” sono lenze che vengono trainate dall’imbarcazione in movimento a bassa velocità; possono essere più o meno affondate in relazione alla preda adottando una leggera piombatura; sono dette “traina” e le più in uso sono: la “traina per ricciola”, che è una lenza robusta che monta due ami vicini, il distale per la cattura ed il prossimale per mantenere l’esca nella posizione più naturale. È adoperata in primavera presso capi, secche o relitti per la cattura della ricciola adulta che si avvicina alla costa in periodo riproduttivo. Le esche adoperate sono il calamaro, l’aguglia ed il cefalo, tutte preferibilmente vive; la “traina per spigole”, che è una lenza ad un amo leggermente piombata, innescata con morto; è adoperata di mattina e tardo pomeriggio lungo la costa anche in pochi metri di acqua; la “traina per cavagnole” (i giovani della ricciola), che è una lenza senza piombi adoperata totalmente in superficie al cui amo sono fissate piume colorate o tentacoli di calamaro, la pesca si effettua di mattina e di pomeriggio vicino alla costa o presso i “cannizzi”; la “traina per tonnetti”, che è una lenza simile alla precedente ma più robusta, è adoperata a settembre-ottobre sempre nella fascia costiera, ma più a largo; la “traina per lampughe”, che è una lenza molto simile alla precedente, adoperata da settembre a dicembre, anche se oggi è quasi abbandonata poiché l’espandersi della pesca con i “cannizzi” ferma questa specie più a largo; le “lenze
allo sbando”, che sono lenze senza piombo utilizzate con barca ferma dove
colto il pesce ed i crostacei, innescate e reimmerse) quotidianamente, le più
l’amo con il solo peso dell’esca fluttua nell’acqua in balìa delle correnti; la
utilizzate sono: le “nasse per pesce bianco”, che sono trappole di piccole
“lenza per occhiate”, che è una piccola lenza ad un amo che innesca pezzetti
dimensioni innescate con pesce azzurro e calate presso aree rocciose per la
di pesce o interiora, abbandonata alla corrente presso la costa in aree dove
cattura di sparidi e carangidi; le “nasse per boghe”, che sono nasse enormi di
questa specie è presente. La pesca si effettua tutto il giorno; la “lenza per
6 metri di dimensione che vengono usate in primavera. Queste nasse sono
tonno”, che è una lenza molto robusta che arma un amo di grande dimen-
innescate con farina di fave.
sione innescata con pesce vivo infilzato per la pelle e lasciata affondare in corrente. È una pesca storica praticata solo nello stretto di Messina da
L’arpione e la fiocina
pochissimi pescatori per la cattura del tonno gigante “allocato” (che perma-
L’arpione e la fiocina sono tra gli attrezzi più antichi utilizzati per la cattura
ne nello stretto tutto l’anno senza seguire le rotte migratorie). Le “lenze in
del pesce. In particolare l’arpione viene adoperato per catturare pesci gran-
movimento” sono le totanare o atrachi dette localmente “ontri”. Sono lenze
di, mentre la fiocina per pesci piccoli e cefalopodi. Oggi l’uso dell’arpione a
che portano legato un cestello di ami senza barbe detto “tradituri” fissato ad
livello professionale per quanto riguarda la Sicilia è grossomodo limitato
un affusto di piombo cui è legato un pezzo di pesce salato. Sono utilizzate
alla pesca del pesce spada nella provincia di Messina con le tradizionali
nell’area da tutte le marinerie per la cattura dei totani (Todaropsis sagitta-
passerelle. Per quanto riguarda l’uso della fiocina, questa può essere utiliz-
tus). La lenza viene calata nelle notti senza luna da barche che hanno legato
zata sia senza imbarcazioni nell’ambito di fondali molto bassi con la semi-
alla murata una luce “lampa”. La pesca consiste nel far salire e scendere
immersione del pescatore, oppure con lampara (fonte luminosa) di notte,
incessantemente l’attrezzo fino a quando non si blocca per essere stato
soprattutto per catturare polpi e seppie. A questa categoria di attrezzi può
“abbracciato” dai tentacoli del cefalopode.
assimilarsi anche il rampino per ricci che è un piccolo attrezzo montato all’estremità di una lunga asta generalmente di legno, per catturare ricci
Le nasse
di mare, in modo da poter raggiungere il fondo dalla stessa barca. I ricci
Le nasse appartengono alla categoria delle trappole e sono dei conteni-
sono infatti raccolti uno alla volta dal pescatore che a bordo di una piccola
tori in giunco o altro materiale con un sistema di entrata e non uscita ad
imbarcazione si posiziona sulla estrema prua e per mezzo di uno “specchio”
un’estremità o ad entrambe, in cui il pesce viene attirato con esche. Sono
li individua per poi depositarli in un contenitore posto sul fondo del mare
molto in disuso per il dilagare dello strascico sotto costa che le distrugge.
che viene raccolto prima di cambiare zona. Franco Andaloro
Nel periodo di pesca non vengono mai ritirate, ma “passate” (ritirate, rac-
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Cialoma di li Tunnari emuninni cu Maria e ajaMòla e ajaMòla San Giuseppi ‘n compagnia e ajaMòla e ajaMòla e lu tunnu è veru beddu e ajaMòla e ajaMòla carricamu ‘stu vasceddu e ajaMòla e ajaMòla e di Genuva a Portufinu e ajaMòla e ajaMòla e Livurnu signurinu e ajaMòla e ajaMòla e assummamu ‘sta safina e ajaMòla e ajaMòla e sparamu ‘sta tunnina e ajaMòla e ajaMòla as-sum-ma, as-sum-ma, as-sum-ma, as-sum-ma, ass-u-u-u-u-u-umma
Tonni e tonnare
“Dei tonni la progenie eppur del vasto Oceano, ed all’opre del mar nostro Di primavera marciano a furore Quando assillo di nozze ne li punge. Questi prendon in pria nel mare Ibero ...e quanti in la Trinacria Isola albergano... ...Come falangi d’uomini, che marcino Schierati, entrano i tonni lentamente Nuotando; altri di lor sono minori altri più vecchi, e tai di mezza etade. Ed infiniti, dentro ai lini scorrono... Or ricca preda di tonni, ed eccellente si riporta... Straordinario spettacolo per gli occhi di tutti...” (tratto da Oppiano, libro III di Halieutica, traduzione Salvini, Ediz. Antonelli, Venezia, 1884)
Tra le numerose persone conosciute durante la preparazione della presente pubblicazione, ho incontrato Raimondo Sarà, autore del volume dal “Mito all’Aliscafo” in cui egli racconta di tonni e di tonnare e largamente intrattiene sulle migrazioni e la biologia dei tonni tra leggende, tradizioni e socialità che essi hanno saputo stimolare. Gli ho chiesto quali siano stati gli aspetti che più lo hanno colpito dal punto di vista emotivo durante le sue lunghe giornate di ricerca in mare. Primo fra tutti, mi disse, quello della riproduzione, quando i tonni formano un grande cilindro costituito da corpi al cui centro sfrecciano gli animali che si riproducono...
Quante volte, nel corso dei miei studi, mi sono lasciato sedurre guardandoli
tutto formato, si apre la porta della tonnara verso la camera della morte;
girare impazziti tra le reti; quante ore ho trascorso chiedendomi il motivo dei
quando si ha la certezza che tutti i pesci siano entrati, si leva la rete. È questo
loro comportamenti, cercando di carpirne i più remoti ed intimi perché.
il momento più delicato, perché ancora la forza e la furbizia dell’uomo devo-
Da cos’era determinato quello sfrecciare di corpi all’interno del “cilindro ro-
no fare i conti con le condizioni ambientali e il nervosismo dei tonni che fino
tante” che in centinaia, girando vorticosamente, avevano costituito? A quale
a quel momento potrebbero ancora scappare dall’altrimenti fatale gabbia.
esigenza corrispondeva, che rito stavano attuando? Solo dopo lunghe osser-
Man mano che la rete si fa sempre più pesante, perché carica di splendide
vazioni, quando ormai il legno della barca aveva indolenzito il mio petto, ri-
vittime, i pescatori danno inizio ai loro canti, le CIALOME (dal termine SHA-
trassi lo sguardo da quel cilindro di vetro che mi consentiva d’osservare
LOM). Cantilene e suoni di alta valenza religiosa, con i quali, i pescatori, in-
quella camera marina dove il gioco amoroso si era fatto sempre più insisten-
vocano indistintamente, per propiziarsene l’aiuto, i Santi, Gesù Cristo e Mao-
te; di lì a poco, la natura, nella sua immensa e stupefacente meraviglia, de-
metto, come se dinanzi all’incertezza della imminente pesca tutte le religioni
cise di dare una risposta ai miei perché, rendendomi testimone dello spetta-
si uniscono e ogni Dio, al di là del nome, diventa entità, che può permettere
colo della riproduzione: una piccola nube biancastra di prodotti sessuali,
l’esito favorevole della giornata. Un ritmo incalzante che aumenta con lo
emessa e tenuta quanto più possibile, all’interno del cilindro creato dai ton-
sforzo e nel quale sono scandite parole sconosciute che servono a dettare la
ni, perché il seme non si disperdesse, intorbidò le acque. Quel luccichio ar-
cadenza dei gesti, mentre vi è la certezza che i tonni non possono più scap-
gentato di corpi scattanti nello stimolo della riproduzione era il segnale per
pare, la preghiera piano piano sfuma e degenera in un canto osceno. Passa-
i pescatori della loro presenza e l’inizio della mattanza; nel perpetuarsi della
ta la paura e l’incertezza viene fuori l’umana insolenza che abbandona il
vita trovavano la morte. Tante volte ho assistito a questo antico e significa-
sacro, ormai superfluo dopo la grazia ricevuta, per passare al profano, tes-
tivo spettacolo; sempre lo stesso: atroce e comunque appassionante. Dico
sendo le lodi di una certa “Signorina Lina”. Un canto che s’avvia con pudore,
spettacolo, perché tutto ubbidisce a determinate e precise regole che disci-
come per dare il tempo a Dio, Maometto e tutti i Santi scomodati di tornar-
plinano l’entrata in scena degli attori, con la posizione sul palcoscenico del-
sene gentilmente da dove erano venuti, e prosegue poi con fervore sempre
le comparse e le musiche di sottofondo. Immaginate la scena del quadrato
crescente man mano che i tonni sono stati pescati e le paure sono passate.
che tutte le barche in mare formano e arriva, passandovi in mezzo, la Mucia-
L’uomo represso dà sfogo alla sua trivialità per gridare la propria vittoria
ra del Rais, dalla quale, dopo aver valutato il vento, le correnti e lo stato del
sull’animale e diventa rivalsa sul padrone, mentre la bestialità umana che in
mare, con rapide indicazioni, scandite dal suono del suo fischietto, comanda
crescendo scaturisce in tutte queste diversamente intense fasi, è già insita
alla “tribù”, perché il grande natante entri esattamente al centro del Corpu.
nel termine Mattanza, che pochi sanno essere un neologismo spagnolo del
Una volta che il quadrato all’interno del quale devono passare i tonni è del
‘700; deriva infatti da MATARE; prima di quell’epoca nel palermitano si chia-
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mava ACCISA e nel messinese UCCISA; in questi originari termini, prevale
lità che l’isola, in ogni tempo, ha avuto nei commerci mediterranei o perché
maggiormente l’aspetto religioso inteso, quasi un sacrificio, come derivazio-
le tonnare siciliane erano dotate anche di impianti di salagione che hanno
ne dal latino RELIGO: tenere insieme, uniti; è l’aspetto sacrale che prevale sul
permesso loro di rifornire le flotte degli invasori sia che questi diventassero
tribale. Questa valenza religiosa e sociale con il termine mattanza, credo
residenti, sia che fossero di passaggio. Quest’organizzazione, legata alla for-
venga sminuito, ma viene mantenuto nei canti, anche nel passaggio dal sa-
tuna/sfortuna delle tante invasioni subìte dalla Sicilia, permisero a questi
cro all’osceno, sempre più incalzante, che cambia man mano che cambiano
impianti di sopravvivere. Nelle acute intuizioni e nelle furbe astuzie per cat-
le fasi della pesca: l’uomo, una volta sicuro del pescato, abbandona le Cialo-
turarlo, risaltano la prontezza e la vivacità d’ingegno mostrate dalla nostra
me e il richiamo alle religioni monoteiste per passare all’oscena celebrazione
specie nel risolvere con soluzioni redditizie, tuttora applicate in molti casi,
della Signorina Lina e della “za’ monaca n’cammisa”. Nel momento in cui si
problematiche pratiche e concettuali, legate ad un ambiente mobile e diffi-
arriva alle fasi finali di questo complesso spettacolo e prima che cali il sipa-
cile qual è il mare. Espedienti che di volta in volta hanno dato vita, nel loro
rio, un’altra grande emozione: il rais, quando si accorge che nel mare ormai
continuo divenire ed adattarsi alle diverse situazioni, a scene cruente di cat-
rosso di sangue non c’è più nemmeno un tonno ma sono tutti in barca,
tura, nelle quali come in un continuo lungometraggio si alternavano emo-
nell’assoluto silenzio, spezzato soltanto dalle urla di qualche ragazzino subi-
zioni diverse, occasioni culturali ed ancora si ripresentava, l’eterna lotta tra
to richiamato all’ordine, si leva la coppola gridando, nel silenzio assoluto
l’uomo e il mare in un catulliano “odi et amo”. Tonni e tonnare, coniugando-
“SIA LURATU U NOME DI GGESU”, mentre tutti scappellandosi rispondono
si nel tempo, sono divenuti un unico, completo e mitico produttore di benes-
“GGESU, GGESU, GGESU” come un moderno hippi hippi hurrà... un’esultanza
sere e di affrancamento per cui imprese di pesca, saline, fornaci per anfore,
che fa venire i brividi. Nei riti delle tonnare calabresi, altrettanto suggestivi,
completandosi a vicenda in un’interdipendenza proficua e funzionale, po-
si finisce gridando: “A TUTTI LI TUNNI CIRCAMU PIRDUNU”! È vero che l’uo-
tenziarono le proprie capacità produttive, sostenute in maniera sempre cre-
mo ha vinto sull’animale, ma ne cerca il perdono per averlo ucciso mentre si
scente dalle esigenze economiche e sociali delle comunità che vi si formava-
riproduce; il sacrificio del tonno garantisce la vita della specie umana e il suo
no intorno. È con lo sviluppo di produzioni ed esportazioni che si costituì, a
perpetuarsi. In questo nostro antico e grande “lago” salato che è il Mediter-
partire dal III secolo a.C. e fino alla metà del III secolo d.C., il primo, grande
raneo, il tonno è sempre stato il pesce più importante e a tutti noto; ha si-
periodo di sviluppo dell’industria tonniera in epoca storica, centrata tra le
gnificato da sempre cultura e civiltà, ma soprattutto ricchezza. Le emozioni
Isole greche, la Tunisia, la Sicilia, la Sardegna e Gibilterra e, al di là, fino a
che nel corso dei secoli i tonni hanno saputo regalarci non mancano di te-
Cotta nel sud e a Cadice a ovest. Questo periodo di splendore, però, iniziò a
stimonianze, alcune risalenti addirittura al V e IV secolo a.C.; nondimeno in
decadere durante l’impero romano in seguito a piraterie e pericoli ad esse
Sicilia queste testimonianze sono molte più che altrove; forse per la centra-
connesse; con gli arabi l’esplosione di una nuova e più forte attività tonna-
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rota che continuò sin quasi ai giorni nostri (fine ‘800). Per secoli, attorno alle
che possano tornare i tempi e le fortune di una volta, anche se credo nella
tonnare si è sviluppata l’economia dell’entroterra e grandi intuizioni, come la
capacità della natura di rinnovarsi, pur se non c’è da illudersi. Spero nella
conservazione del tonno sott’olio e la seguente nascita delle famose e tristi
meravigliosa duttilità del tonno, nella sua grande capacità di adattamento,
scatolette, hanno portato questa meravigliosa creatura sulle tavole e alla
nella constatata tendenza a ritornare nei luoghi in cui è nato. Di certo, se
portata di tutti; i loro riti, i metodi di pesca, le celebrazioni che attorno ad
questo meraviglioso ospite dovesse ancora farci la grazia della sua presenza,
esse prendevano vita hanno creato leggende da raccontare a quei giovani
non saranno più le tonnare a catturarlo; esse hanno mostrato limiti sempre
che non hanno mai visto con i loro occhi ciò che sta dietro alla scatoletta che
più macroscopici, subendo i pesanti condizionamenti di una civiltà globaliz-
arricchisce la loro veloce e pratica insalata. Già alla fine del 1800 questa
zante, consumistica, che cancella tutto quanto si pone davanti alle sue fina-
grande industria aveva iniziato a mostrare i segni di quella crisi che in molti
lità. Il tempo scorre velocemente e mai lascerà tornare indietro né recupera-
casi, come si può osservare oggi, ha portato allo spegnimento delle tonnare
re eventi e realtà che i nuovi modi di vita hanno già cancellato
e al dimenticatoio il loro mondo; rimarranno tristi cattedrali abbandonate,
definitivamente; potrà forse suggerire evolutivi programmi nel rispetto del-
adibite a musei, ristoranti, discoteche, tranne pochi impianti che vivendo con
l’ambiente in cui dobbiamo vivere e delle ben note esigenze fisiologiche del-
i finanziamenti delle regioni sembrano solo dare la caccia a ciò che è stato,
l’animale. A me è rimasto di tornare con il pensiero a ciò che è stato per la
vivendo più per folklore che per la pesca in sé. La crisi di un’industria si ha
Sicilia motivo di civiltà, di ricchezza, di evoluzione e di affrancamento; ricor-
quando viene a mancare la materia prima e questo è ciò che accadde nel
do come attraverso le tonnare siano nati intensi scambi non solo di capitali
nostro caso: le catture iniziarono a diminuire e a diventare sempre più irre-
e di merci, ma anche spostamenti di imprenditori, fornitori, tecnici e uomini
golari; contemporaneamente arrivava la crisi del collaterale settore della
colti che hanno consentito, fin dal primo Medio Evo, l’aggregazione cultura-
conservazione sott’olio, vuoi per gli altissimi costi gestionali per le lavorazio-
le dell’Isola, attraverso strutture rudimentali forse, ma di certo efficaci e ri-
ni stagionali di breve periodo, sia (direi soprattutto) per l’arrivo sui mercati di
paganti. Ma in tutto ciò, quello che più mi manca, ritornando con la memo-
tonnidi oceanici congelati o surgelati di specie affini al tonno, ma meno
ria al passato, è quella barca e quel dolore che mi feriva il petto.
pregiate non presenti nel Mediterraneo e venduti a prezzi più bassi di quelli Cinzia Taibbi
del “vero tonno rosso”. Le catture crollarono tuttavia per l’accavallarsi di altre
(da un’intervista con Raimondo Sarà)
concause: piccolo cabotaggio, sistemi di pesca con fonti luminose e di reti da posta, uso di anticrittogrammici, ecc... solo per citarne alcune delle innumerevoli. Nonostante i tanti interventi pubblici, di cui si è già detto, a sostegno delle più importanti ed ancora non “spente” tonnare, è del tutto improbabile
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La genìa dei Mariano
sbordati fuori, formavano una verdeggiante frangia lambente lo sciabordio
Alto, carnagione olivastra, bruno dai capelli fluenti alla “Tarzan” e somi-
dell’acqua che sembrava dessero un corale addio al loro mare. Alcune di
gliante all’attore John Hall, interprete del film “A sud di Pago Pago”, nelle
loro, favorite da un movimento torsionale, ottenevano la libertà, ritornan-
isole Samoa. Abitava nel Rione San Pietro, vanedda Tilareddi, cortile Arancio,
do a lasciarsi liberamente “riondeggiare” dall’ansimare delle maree. Maria-
demoliti nei bombardamenti bellici del 1942. Esperto e valente nel nuoto,
no giungeva alla banchina adiacente al mercato con il carico effondente
partecipava a gare rionali lungo le coste palermitane, sempre da vincente.
l’intenso fragrare della verzura marina: alghe verdi, ovvero Ulva lactuca e
Mancò di un manager sostenitore o di uno sponsor favorevole. Ebbe solo
Enteromorpha linza, spesso, mescolate ad alghe brune Cystoseira striata e
una curiosa e unica opportunità: l’occasione di fare la parte di contro-figura
Sargassum hornschuchi, chiamata volgarmente “racina” ossia “uva di mari”.
nel film “Lo sparviero del mare”, protagonista Errold Flynn. Fu girato a Paler-
Essendo questa alga un sargasso che continua ad allungare e svilupparsi e,
mo su di un veliero: la sua parte era tuffarsi dall’alto, dalle sartie dell’albero
strisciando sul fondo verrebbe a rovinarsi, allora ha evitato il danno pro-
di guardia, in mare. Voi già lo avete classificato nel solito e abituale scavez-
ducendo ingegnosi galleggianti simili ad acini d’uva cavi che, alternandosi
zacollo. No, in ciò vi sbagliate: Lui aveva un mestiere, anzi vantava, tanto di
lungo il “fusto”, mantengono l’alga dritta verticalmente dal fondo.
specializzazione e una vasta competenza.
I pescatori, con l’estrosa inventiva tipica dell’area palermitana, di dare sem-
Possedeva “il diritto”, acquisito nel tempo ed eternato dai suoi antenati, di
pre a tutto una propria nomenclatura dialettale, osservato che il pesce Salpa
godimento della fascia costiera, iniziando dalla zona di Romagnolo e pro-
(Boops salpa) predilige nutrirsi del “sargasso nostrano” l’appellano degna-
seguendo per lo Sperone, la Bandita e Acqua dei Corsari. L’esclusiva verteva
mente “Pisci manciaracina”.
sulla priorità della raccolta d’alghe “allignanti” lungo la scogliera sommersa
Mariano distribuiva ai vari avventori la sua fragrante messe destinata ad
delle succitate località. Occorreva che il mare fosse calmo e la visibilità del
adornare le misere spoglie, sul marmoreo obitorio del mercato, spruzza-
fondo limpida. Era conveniente rispettare un orario ed una tabella di marcia.
to dalle ipocrite false lacrime di prèfiche-imbonitori, lodanti in un ultimo,
Albeggiava e già era sul posto di lavoro. Iniziava, con un rastrello angolato,
accorato, corale addio. Prestava anche servizio a domicilio, ed in ultimo se
a falciare il manto algoso per poi adagiarlo, delicatamente, con un certo
restava alga invenduta o se minacciava mal tempo ricorreva ad una seconda
verso, sul pagliuolato del natante. Colmato il carico, si avviava, remando
raccolta. Possedeva un sotterraneo fresco ed umido, usato da sempre dai
energicamente, verso l’antico porto della Cala, dove ha sede il Mercato It-
suoi antenati per la temporanea conservazione delle alghe, impiantito con
tico di Palermo. Lo scafo traboccava carico d’alghe nel suo andare e alcune
un impalcatura “salsugginosa” ottenuta da un secolare apporto d’acqua sa-
alghe, nell’assestarsi dovuto ai sobbalzi dello scafo, con i lunghi scapi tra-
lata; anche le pareti, permeate da diuturni spruzzamenti, indispensabili per
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la vitalità delle alghe, presentavano candide riflettenti forme stalattitiche.
Il mercato ittico... “patriarcale”
Ricordo, quando ancora non era in voga il vocabolo “inquinamento” e la
Si racconta che all’inizio del 1900, alla Vucciria, viveva un certo “Don Fulip-
costa sud est di Palermo non conosceva tale fenomeno, che era quella “l’età
pu” il quale, un giorno, ebbe un’idea innovativa: trattò e convinse i pescatori
del Mariani” o se preferite “ante Mariani”. Capitò, un giorno, di non sapere
a vendergli il loro pescato e poter così avere più tempo da dedicare alla loro
come condire la pasta! Scesi a mare e raccolsi una manciata d’alghe, poi,
vera attività, la pesca, invece d‘attendere inutilmente eventuali compratori.
rientrato a casa, misi a soffriggere aglio e cipolla, mischiai le alghe tagliuz-
Accorpando il pescato della giornata, potenziali rivenditori, incominciarono
zate assieme a pochi capperi, dell’acqua e lasciai a sobbollire lentamente per
a rivolgersi solo a lui, equilibrando così il prezzo dello stoccaggio presente
diversi minuti. Ne venne fuori un intenso ma delicato brodino, carico d’umo-
nella giornata. Lui percepiva una parcella per le competenze praticate e tutti
ri, insomma, una quintessenza, un denso elisir marino. Non sono capace di
erano felici e contenti. Il tutto durò circa una ventina d’anni. Ma ecco che
dimenticare quei ricordi gustativi che rimarranno per sempre impressi nella
quando cose pubbliche sono gestite da privati destano alla “pubblica” bu-
mia memoria e che mi causano uno struggente senso di doloroso, intimo
rocrazia l’acquolina in bocca. I cronisti dell’epoca narrano che don Fulippu
logorio. Mi hanno privato, preciso, ma non soltanto me, di quella insostitui-
fu fagocitato e relegato in un ufficio fantasma, messo poi a riposo, mentre,
bile presenza umana “autoctona” della fascia costiera sud est del golfo di
intanto, nel susseguirsi degli anni, venne assunto del personale con varie
Palermo, quell’intercapedine di scogliera semi sommersa, che andava dalla
mansioni: l’oblatore d’aste, l’esperto in segnaletica gestuale degli ammic-
battigia in poi e si sviluppava nel Sopralitorale, Mesolitorale e Infralitorale,
camenti, degli assensi e dissensi per aumentare, aggiudicare o rifiutare le
sedi preferite da miriade di forme animali e vegetali, sotterrate dalla depre-
offerte. Vi fu necessità anche del personale addetto alla pesatura e quando
cata discarica. Dove sei ora Mariano? Spero che ti sarai accordato con San
la partita di pesce veniva aggiudicata, il compratore riceveva una bolletta
Pietro riguardo alla fornitura d’alga per i suoi pesci!
per il pagamento da effettuare presso la banca sita nell’ambito del mercato. In quel caos di vocii e grida apparivano dal nulla, i “trascinatura”, i quali non facevano parte del personale del mercato, ma volontari che, ad un cenno dell’acquirente, artigliavano con un lungo raffio le cassette del pesce trascinandole velocemente all’esterno, dove venivano impilate sui mucchi dei singoli compratori o direttamente sui “carrittieddi” che avevano un loro percorso fisso, ma casualmente variabile, lungo il quale era consigliabile percepire, tra il perenne rimbombo del vociare, l’urlo d’avvertimento: “A’
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vita, A’ vita” che tradotto ha il valore di “Scansati!”. Certamente si correva il pericolo di ricevere addosso u’ trascinaturi e relativa troica-cassetta. Il ghiaccio, nello sciogliersi, diluiva le mucosità che il pesce secerneva e che il continuo scalpicciare delle persone spargeva per ogni dove creando un effetto neve sui marciapiedi. A conclusione delle vendite sostavano diversi carrittieddi da “nolo”; i proprietari assicuravano il trasporto del pesce nei posti di vendita ai vari venditori. Un cane possiede quattro ossa, un secondo suo simile ne prende due, un terzo altro, simile, ne prende uno dei due rimanenti. Insomma tutti contenti! Ma l’ignaro compratore, paga il fio delle colpe altrui! Eliodoro Catalano
Arrivano le cernie bianche Si racconta che, in una brumosa mattinata, apparve, tra la foschia, una grande imbarcazione di nazionalità tunisina: era il 1961 ed essa diede fonda attraccando alla banchina prospiciente il Mercato ittico e svuotando le sue capienti stive di cernie bianche, Epinephelus aeneus, dalla pezzatura di circa 90 cm. A Palermo, per un bel pezzo, si mangiò il su citato serranide. Dicono i cronisti che quest’avvenimento spinse la marineria siciliana verso nuove fonti di pesca quali il Nordafrica. I paesi costieri: Tunisia, Algeria e Marocco, da poco indipendenti, subirono inizialmente il depauperamento dei loro banchi di pesca, confermati dal ritorno, sui nostri “banchi” di vendita, della cernia bianca in compagnia di sparidi. Finalmente poi sono state le acque territoriali e le distanze in miglia di leggi internazionali ad interrompere questo tipo di pesca. Risulta che, in certe lagune salate caratteristiche delle coste tunisine, quali ad esempio la salina trapanese, ma più vaste e profonde, sia iniziata un’acquicoltura “ruspante” dell’epinephelus. Le particolari preferenze di questo pesce per fondali sabbiosi misti a fanghi, ne agevola la sua permanenza e dimora e lo protegge dai pescatori di frodo. Solamente, però, quando abbiano raggiunto le dimensioni commerciali, esse vengono catturate. Raggiungono 1 metro di lunghezza e il peso di circa 60 kg. Raramente ora si vedono nel nostro mercato ittico. Avviene solo l’esportazione verso il nord dell’Europa. Eliodoro Catalano
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Fabbrica di cassette per pesce attigua al mercato Inserita nel vasto piazzale si trovava una fabbrica di contenitori per pescato; erano cassette in legno a misura standard di produzione artigianale di una certa durata e di una facile forma di riciclaggio. Più tardi sono apparse le prime forme in plastica, più facilmente lavabili e perciò più igieniche delle originarie cassette in legno, soggette, data la loro porosità, a restare impregnate dell’umore di precedenti pesci, per il loro continuo uso. Ora sono in auge casse in polistirolo che per le sue doti coibenti e di leggerezza è preferito nello stivaggio del pescato sotto ghiaccio. Ecco però, che, per la sua duttilità, è definito un vuoto a perdere. È noto per la sua tenace infiammabilità causata dalla composizione ottenuta da idrocarburi. Mi è capitato di osservare che il polistirolo sotto l’azione dei raggi solari si polverizzi disperdendosi per ogni dove nell’ambiente. Non erano migliori le cassette di legno? Eliodoro Catalano
Pulitura gamberi Ti occorrevano dei gamberi sgusciati, nettati del carapace? Ti dovevi rivolgere allo ZÚ Ciccio! Rivenditori per le loro pescherie, proprietari di ristoranti, ma anche privati si rivolgevano a lui. Di suo, lo ZÚ Ciccio non vendeva gamberi, stava seduto in un angolo, nell’attesa che qualcuno ricorresse ai suoi servigi di denudamento, in pubblico, dei poveri crostacei. Eliodoro Catalano
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I truccatori Mi trovai a transitare per la Vucciria ed osservai, troneggiante su di una coltre d’alghe un grosso pesce spada come intento a conviviare sdraiato, tipo “triclino”. Indugiando ad osservare parti anatomiche del pesce in questione sorsero dubbi sulla sua identità. Differenza delle pinne pettorali: acute e chiaramente con raggi spinosi e coda omocerca nel pesce spada, differenti nel pesce in questione; ed infine, la più eclatante: uno strabiliante caso di “microcefalismo” acuto! Dalle discordanze osservate, conclusi che si trattava di uno squalo, cui era stata trapiantata la testa più piccola, non proporzionata, direi offensiva, di un “ignaro” pesce spada costretto ad un cotale trapianto. Un trucco mal riuscito nonostante l’accostamento fosse stato mascherato da un accorto boa d’alghe mimetiche. Che l’idea dei trapianti sia nata dal pescivendolo della “Vucciria”? Comunque la carne di alcuni pescicani è buona da mangiare e la migliore è ritenuta quella dello Smeriglio “Lamna nasus”, chiamato vitello di mare per la sua particolare sapidità. A patto che non vi siano trucchi! Eliodoro Catalano
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U’ mircatu
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La rete è stata lanciata, le sue maglie si sono distese, i tonni vi irromperanno dentro in una notte di luna. Erodoto, I, 62, 4 (Traduzione di Fulvio Barberis)
Ma nella gloriosa isola di Sicilia, le coste di Cefalù e Tindari nutrono di gran lunga i migliori tonni. E se per caso vai ad Hipponium, nella sacra Italia, la dimora di Persefone dal bel diadema, senza dubbio là sono i migliori di tutti: a loro spetta la palma della vittoria. [Il grande tonno] Affettatelo e arrostitelo al punto giusto, con appena un pizzico di sale, e ungendolo con olio. Mangiate le fette calde, intingendole in una salsa piccante; sono una delizia perfino se vuoi mangiarle senza condimento, simili agli dèi immortali nella forma e nell’aspetto. Ma se le servi spruzzate con aceto, ne rovini il gusto. Archestrato di Gela, in Ateneo, Deipnosofisti, VII, 301-303
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L’unna du mari Appari, scumpari e Sutta li varchi fa ciuri di frunna; l’unna du mari! Ritorna, s’affunna, n’to funnu chiù funnu, ‘nto cori du munnu: l’unna du mari! Scumpari e poi ricumpari, vistuta di veli, di spuma comu nà spusa davanti all’altari; l’unna du mari! ‘nte notti sireni ascuta li peni du pescatori, poi s’allontana e scurri vicinu alla terra...! La vasa l’abbrazza E mori contenta ‘nta la rina, ch’è u letto d’amuri di l’unna du mari...!
(pescatore anonimo)
Poesia scelta e gentilmente concessa dall’amico Mimmo Targia
I pesci sui banchi del mercato
U
Un pesce è un ricordo, una data, un lutto, una femmina, un addio, un pa-
AGUGLIA – Belone belone – Aùgghia
ragone, un sapore, un’attesa, una festa. Se azzurro è bell’e dimenticato; se
V’ha nei mari di Sicilia di due maniere: una di mediocre, l’altra di maggiore
d’aprile, solo uno scherzo. Sempre, comunque, un segnalibro tra le pagine
lunghezza, chiamata imperiale vista la sua eccellenza. Può raggiungere il
del libretto d’imbarco.
metro. È pesce privo di squame, pelle verde-blu, ventre bianco-argento. Il Gaetano Basile
muso appuntito gli ha valso il nome; mostra figura di serpe e in cima ha lungo rostro acuminato. L’aluzzo è men lungo e più grosso dell’aguglia, né
Testi di:
ha il rostro come questa. Vien stimato per la qualità delle sue carni e pescasi
Castore Durante – 1596
in Palermo ed altre parti della Sicilia.
Antonino Mongitore – 1742 Marchese di Villabianca – 1775
ALALONGA – Thunnus alalunga – Alaluonga
Antonino Traina – 1868
Pesce somigliante al tonno, ma di minor corporatura, di carnagione bian-
Vincenzo Mortillaro – 1876
chissima e di ottima condizione. Soglion venire nei mari di Sicilia nello istes-
Giuseppe Pitré – 1894
so tempo dei tonni e si predano frequentemente nelle tonnare. Non supera il metro di lunghezza.
ACCIUGA – Engraulis encrasicholus – Anciove
ANGUILLA – Anguilla anguilla – Ancidda
Pesce simile alla sarda, anzi, che stimasi il maschio della sarda. Abbondan-
Son pesci simili alle murene e son da vari scrittori confuse. Si piglian queste
tissime sono in Sicilia: mangiansi salate e se ne estrae gran copia fuori dal
da pescatori artifiziosamente con accendere un gran lume alla cui fiamma
Regno, condite con sale in barili. È pesce detto anche alice: si consuma
quelle accorrendo verso il lido rimangon prese. Sono celebrate in tutto il
fresco, sotto sale, sott’olio, marinato nel succo di limone o in certe salse
mondo col nome di anguille del Faro (di Messina, n.d.a.) sì per la dilicatezza,
piccanti che soglion fare i marinai.
come per la soavità. Abbondavano nei “pantani” siciliani di Vendicari, Len-
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tini e in tutte le zone paludose dell’Isola. Si trovavano in tutte le taverne al
Si racconta che quando cade un uomo in mare il bestino non lo mangia;
venerdì, quando si rispettava il “mangiar di magro”. A coloro che trovavano
lo addenta solo quando egli esce fuori dall’acqua. Dicono i pescatori che
il piatto troppo caro l’ostessa consigliava “l’anguilla di giardino”, cioè la più
il bestino è il Diavolo. Famiglia sterminata e affamata composta da delfini,
economica zucchina.
squali, orche, balene, capodogli, foche e qualsivoglia essere vivente natante che interrompa, turbi, vanifichi le eterni leggi del mare e dei suoi abitanti.
ARAGOSTA – Palinurus vulgaris – Alaùsta Crostaceo che non manca mai sui banchi dei mercati del pesce. È ricercato
BLENNIO – Blennius bavosa – Vavùsa
crostaceo dei Palinuridi dalla carne squisita. Si pesca nelle acque tiepide:
Specie di pesciatello di scarso valore che appartiene ai Perciformi. Dimora
le migliori sono stimate quelle che si pescano nel trapanese. Un barone
fra le rocce a scarsa profondità. Lo si pesca con la canna per diletto. Ha il
siciliano rinomato tombeur de femmes trovava le sue carni “le sole adatte al
corpo allungato privo di scaglie, rivestito di abbondante muco, occhi gros-
palato di una bella signora...”
si, spesso sormontati da uno o due specie di tentacoli. La pinna dorsale è lunga, spinosa nella metà anteriore. Il suo nome italiano viene dal greco
ARINGA – Clupea sprattus – Arènga
“blènna” che sta per bava viscosa.
Ha corpo sottile in forma di lametta; la mascella superiore dentata. Le squame del ventre formano una costa acuta fatta a sega. In Mediterraneo vive
BOGA – Sparus boops – Vopa
lo spratto detto pure papalina. Si pesca nel momento della riproduzione
Piccolo pesce che frequenta le spiagge siciliane e specialmente le imboc-
quando vivono in grossi banchi vicino alle coste. Appena nate si consumano
cature dei fiumi. Ha capo piccolo e gli occhi in proporzione grandissimi, è
come bianchetti delle acciughe e sardine. Si mangiano fresche, ma sopra-
coperto di scaglie di colore cangiante olivastro mentre mantiene il ventre
tutto conservate: sotto sale e affumicate.
bianco argenteo. Si osservano sulle parti laterali del suo corpo dei tratti leggieri che sembran dorati. La carne è salubre e in primavera più ricercata.
BESTINO – Nome generico che si dava a tutti i cetacei – Mmistìnu
“Vope di marzu” dicesi delle migliori.
L’etimo siciliano viene da investire, urtare. Difatti, quando una di queste fiere del mare entra in una tonnara, guasta ogni cosa. Donde la frase “tràsiri
CALAMARO – Saepia loligo – Calamaru
lu mmistìnu nna la tunnara”, che si dice di persona bisbetica che s’ingerisce
Dagli italiani pur detto calamajo. Pesce notissimo piglia il suo nome da un
e guasta ogni accordo. O anche di prepotente fra timidi e fuggiaschi.
certo licore che ha nel seno, simile all’inchiostro.
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CASTAGNOLA – Chromis chromis – Munacedda
di Messina in gran copia intorno al mese di gennaio, di rimpetto alla Lanter-
Pesce della Famiglia dei Pomacentridi di colore oscuro e con la coda bifor-
na, nel Promontorio di Peloro, e vicino le fosse di San Giovanni dalla parte di
cuta. Da adulto non è superiore a 12 centimetri. Di solito vive in branchi
Calabria ove si presenta in enormi branchi. Dicesi Latterino in italiano.
numerosi presso le coste rocciose. Si trova al mercato a prezzo vilissimo.
Pescasi anche il rossiccio “mazzunàru di luvaru” (Aphia minuta) in italiano Rossetto, che son piccoli del pagello.
CAVALLUCCIO MARINO – Hippocampus hippocampus – Cavadduzzu marinu Non si mangia. Si lascia ad essiccare al sole. Gli si appuntano spilli e gli si
DENTICE – Dentex dentex – Dentici
legano nastri colorati per fare stregherie. Si dice che sia gran mezzo per non
Appartiene alla famiglia degli Sparidi, argenteo con riflessi azzurri o ro-
far cogliere in flagrante una donna adultera.
sati. Le sue carni sono state sempre molto apprezzate. Piglia il suo nome dalla terribile sua dentatura. Raggiunge buone dimensioni in ragione della sua età.
CERNIA – Serranus gigas – Cernia o cirenga Polyprion americanum – addottu di scogghiu Epinephelus alexandrinus – tenca o jatta
FANFANO – Naucrates ductor – Pàmpina e ‘nfànfaru
Epinephelus caninus – tincuni niuru
Lo chiamano anche pesce pilota. Ha buone carni e si pesca nell’autunno nei
Sono molte le specie presenti in Mediterraneo. In Sicilia è più frequente la
mari più caldi di Sicilia.
grigia maculata, cernia comune, che raggiunge i 60 chili di peso. Cacciata per le carni eccellenti. Da sempre. Il Cirino fa espressa menzione del pesce
GALLO MARINO – Gallus marinus – Piscis Divi Petri
cernia nel mare siciliano. Aggiunge che è diverso da quello chiamato da
Gaddu di mari o Pisci di San Petru
Ovidio Orphum. Stanno molto accorti i pescatori per strappare le spine che
È pesce pregiato presente sopratutto nei mercati di Mazara del Vallo,
hanno una in sù la schiena, ed altre due nella gorga, le punture de’ quali
Marsala e Trapani. Ben riconoscibile per il suo profilo ovale, compresso late-
sono mortali.
ralmente e segnato sui fianchi da una caratteristica macchia nera rotonda contornata di bianco. Si racconta che sia il pesce pescato da San Pietro su
CICIRELLO – Gymnammodytes cicerellus – Cicireddu
invito di Nostro Signore. Nella sua bocca venne trovata la moneta per pa-
Piccolissimo pesce assai noto, minuto e delicato, lucido e di colore d’argen-
gare il tributo a Cesare. Si trova nel Vangelo di San Matteo. Non mancherà
to, senza squame. Ha sostanza lattea e sapore soavissimo. Si pesca nei mari
mai in una zuppa di pesce in Sicilia. Nonostante l’aspetto poco accattivante
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è pesce assai ricercato per la carne soda, senza lische e di ottimo sapore. Da
LECCIA – Sconder ancia – Aricciòla
sempre ha stimolato l’estro dei cuochi e la fantasia popolare.
Nome comune di varie specie di Carangidi presenti nei mari che attorniano la Sicilia. Considerato sempre pesce nobile di mare, di color verdiccio o az-
GHIOZZO – Gobius paganellus – Gurgiuni
zurrino come la ombrina con cui ha qualche similitudine, se non che è senza
È pescitello di color verdicchio, della grandezza e fattezza del muggine, ma
scaglia ed ha la testa alquanto più aguzza. La varietà più nobile vive nello
di pancia alquanto più piena. Se ne trovano alcuni anche nelle acque dolci e
Stretto di Messina e dicesi “Aricciòla di Faru” – Gymnocephalus Messanen-
sono essi quasi bianchi. Ve ne sono in mare di diverse specie. Il “niger” detto
sis. Dicesi comunque lèccia in italiano. Si fanno catture occasionali di Leccie
“niuru” ed una specie più piccola che i pescatori chiamano “gurgiunieddu”,
del tipo “Lichia amia” detta “gibbiòla”, di Leccia fasciata – Campogramma
ma esso è detto “aphia” dagli studiosi.
vadigo – detta “stillotta” e di Leccia stella – Trachinotus glaucus – detta “sfòdiru”.
GRONGO – Murena conger – Gruncu Da adulti possono raggiungere i 3 metri di lunghezza e superare i 10 chili di
MENOLA – Sparus moena – Mìnula
peso. Le sue carni sono prelibate. Il colorito scuro che esso ha gli viene dalla
Sorta di pesce di poco pregio che abbonda nei mari di Sicilia nella primave-
natura dei suoi alimenti. Si crede, infatti, che esso si cibi dei morti che trova
ra. Si vende a prezzo assai vile per frittura.
in mare. Così si dice a Palermo. Si dice pure “ogni calata un gruncu” per dire di quelli che pronunciano una corbelleria ad ogni parola. Invece “pigghiàri
MERLUZZO – Merlucius esculentus – Mirruzzu
un gruncu” sta per fare uno sproposito.
Il merluzzo fu benedetto da Dio. Ed ecco perché: una volta un bastimento ruppe ad acqua presso Trapani. L’equipaggio presso a perire, si rivolse alla
LAMPUGA – Stromateus fiatola – Capùni
Madonna pregandola fervidamente a volerlo liberare da quel terribile fran-
Spesso con lo stesso nome è indicata la Corifena. È un pesce lungo circa 30
gente. La Madonna n’ebbe pietà: entrò nel corpo di un merluzzo e corse a
centimetri, corpo ovale fortemente compresso, con muso corto e ottuso. La
otturare il buco del bastimento, il quale, perciò, riuscì salvo. Dopo questo
pinna dorsale e quella anale presentano lo stesso sviluppo. È il pesce che
fatto il merluzzo è benedetto e porta dentro di sè l’immagine della Ma-
segna l’autunno. Conosciuto da tutti e stimato non poco in Sicilia per le sue
donna di Trapani. Così si racconta a Palermo. Altri invece vedono dentro il
parti molto gradevoli. Se ne pesca in abbondanza, in particolare nel Golfo di
merluzzo la Madonna delle Milizie di Avola. Una volta non c’era bambino
Castellammare, ove predilige le acque con l’ombra.
che non andasse a cercare nella testa del merluzzo quell’ossicino a forma
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di mandorla nella cui trasparenza si intravedeva la santa icona. I cosiddetti
MONACHINO – Labrus anthias – Munaceddu di forti
merluzzetti, delizia da frittura – Trisopterus minutus capelanus – son detti
Così chiamasi ancora dai pescatori un pescitello di mare di colore oscuric-
dai pescatori “pisci fica” ed anche “pisci sapuni”.
cio. È nel diletto di coloro che pescano con la canna lungo le rive del mare. Se preso con le reti si vende a prezzo vilissimo per frittura.
MINCHIA DI RE – Coris julis – Pizza di re Pesce mediterraneo appartenente alla famiglia dei Labridi. Si presenta come
MOTELLA – Gaidropsarus mediterraneus – Furettu
sorta di piccolo pesce striato di colori diversi. In Sicilia è stimato pesce di
È pesce simile al merluzzo con corpo allungato ricoperto di squame minute
poco pregio da brodetto o zuppa. Non se ne conosce precisamente l’etimo
e con tre barbigli intorno alla bocca. Ha carni buone, ma che non sono molto
osceno. Da altre parti è detto pure “donzella”.
apprezzate. Si vuole il suo nome derivare dal francese motelle che sta per donnola.
MOLETTO – Mugil caephalus – Ciefalu o anche Mulettu Altro nome dell’italiano muggine. Detto dai Francesi mullet, come scrive il
MURENA – Muraena helena – Murìna
Rondolezio, e forse da loro venne a noi il nome di moletto. Sono in molta
Genere di pesci della divisione degli apodi a corpo serpentiforme, liscio,
abbondanza nelle coste di Sicilia. Riportano il vanto di singolari quelli che
scorrevole. Solitamente vive in tane lungo le scogliere. Di esso è temuto il
si pescano nel porto, alla Cala di Palermo, per l’esquisito sapore e per la
morso doloroso e tenace a causa della sua dentizione. Ha carni assai squi-
grandezza. All’imperatore Federico II piacevano ad scabecem cioè fritti e
site e di alto pregio.
conservati in aceto. A “scapèce”, si dice oggi a Napoli. Le coste siciliane abbondano di diversi tipi di cefali:
NASELLO – Merluccius merluccius – Asinieddu
Mugil capito detto cefalo calamita, siciliano cefalu di caruvana.
Vive in Mediterraneo, le sue carni sono pregiate e si confonde spesso con il
Mugil auratus detto cefalo dorato, siciliano lustrinu.
merluzzo. Si pesca da febbraio a maggio quando si avvicina alle coste per
Mugil saliensis detto verzelata, siciliano pizzutu.
riprodursi. Ancorché di bassa stima è abbondantissimo sulle coste siciliane.
Mugil chelo, cefalo bosega, siciliano fimmineddu.
Credono molti che sia l’istesso che il merluzzo. Esso è di peso oncia una,
Mugil labeo, cefalo labbrone, siciliano ciefalu scuma.
mentre il merluzzo suole arrivare al peso di circa rotola tre e più. Cioè oltre due chili e mezzo. Costumasi mangiarlo bollito come pure arrostito sulla gratella.
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OCCHIATA – Sparus melanus – Ucchiata
PAGELLO – Sparus erytrinus – Lùvaru
Sorta di pesce del genere delle razze che ha gli occhi molto grossi relativa-
Pesce simile al fravolino, se non che è più grosso e di colore cinerino sul dorso.
mente alla mole del suo corpo. In italiano dicesi pure Nerocchio, Occhione
Credesi sia il pesce chiamato “rubellius” da Plinio. Questo pesce è stimatissimo
e pure Occhialone.
in Sicilia e v’è gran copia in Palermo. Non cede a molti altri pesci in bontà.
OMBRINA – Umbrina cirrosa – Umbrina
PAGRO – Pagrus pagrus – Pàuru
Perciforme assai diffuso sui fondali sabbiosi e fangosi del Mediterraneo si
Degli Sparidi assai comuni nelle acque siciliane. Ha dorso convesso, rosso o
presenta con diverse specie. Si pesca anche presso la foce dei fiumi. Ha testa
roseo, fianchi argentei a strisce e macchie variopinte. Esiste ancora nel mes-
corta e scagliosa, membrana branchiale con sei raggi. Può raggiungere i 70
sinese il rarissimo e vivace pagro azzurro – Pagrus ehrenbergi – detto pauru
centimetri e i 12 chilogrammi di peso. Stimasi carnivoro e non gregario. Ha
‘mpiriali. Ottime le sue carni. Si vuole che prenda nome dal greco “phagros”
carni pregiate.
cioè pietra da affilare, cui somiglierebbe per la sua forma.
ORATA – Sparus auratus – Orata
PALAMITA – Palamita sarda – Mpisu
Ha corpo compresso grigio dorato, azzurrognolo sul dorso con una sorta
Sorta di pesce stravagante detto anche palamito. Bisogna mangiarsi fresco
di fascia dorata sugli occhi da cui il suo nome. La migliore carne si trova
poiché se dimora dileguasi tutto il sangue. Fa parte della famiglia dei Tun-
in quella che è presa d’inverno in alto mare e non in mare morto. Il prin-
nidi: ha carni gustose ed è lungo fino a 80 centimetri.
cipato l’han quelle che son prese nei mari di Levante. Da copioso e buon nutrimento a chi la digerisce bene e accresce il coito. Nocumenti: è difficile
PASTINACA – Dasyatis pastinaca – Bugghiu
da digerire perché ha carne molto dura. Rimedi: cuocendosi in acqua e olio
È incerto l’etimo di questo pesce lungo più di un metro, dal corpo romboida-
con zaffarano, spezie, uva passa ed erbe odorate; ovvero su la graticola,
le depresso. La coda è fornita di un aculeo che inietta un muco velenoso.
mangiandola con olio e aceto marinata. È buona d’inverno nel qual tempo
Esso ha sulla coda un dardo che reca una ferita terribile. La fantasia popo-
è più saporita. Conferisce ai giovani e ai collerici; e pure a quei che molto si
lare, esagerando forse, e mischiandola con altre credenze, gli attribuisce un
esercitano e hanno gagliardo lo stomaco.
potere prodigioso. Spiccato in un venerdì di marzo, fa con la sola puntura, inaridire un membro del corpo di un uomo o di un animale. E pure un albero per grosso che esso sia. Se ne mangia la carne ben cotta sulle bragi.
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PESCE ARGENTINO – Argentina sphirena – Curunedda
PESCE SPADA – Xiphios gladius – Pisci spata
Pescitello delle nostre coste creduto della specie delle sfirene con la pelle
Ksiphias in greco è il nome del pesce spada. E dicono i suoi cacciatori che
senza scaglie, liscia, e di colore argento velato di Mavì, ossia un azzurro mol-
quei pesci il greco lo comprendono ancora ai giorni nostri. Ha il corpo affu-
to chiaro. Ha la testa che termina in una specie di becco ch’è più largo del
solato come un tubo con il dorso blu nero senza squame che può raggiun-
corpo e tutto non eccede la lunghezza del dito mignolo. I nostri pescatori gli
gere i 5 metri. È caratterizzato da un lungo prolungamento osseo all’apice
danno lo aggiunto di “lattàra” per la delicatezza della sua carne. In italiano
del muso, a forma di spada. Gli occhi hanno iride blu verdastra. È fatto per
chiamasi Pesce argentino o solamente Argentina. Sotto lo stesso nome tro-
fendere il mare a grande velocità. Vive negli abissi, in genere fra lo Stretto
vasi l’Atherina boyeri, sorta di minuto latterino che si trova anche in branchi
di Messina, le Eolie e Ustica, dove si nutre di grandi calamari. Viene in su-
che divengono prede di giovani pescatori dilettanti di lenza o retino.
perficie quando è sazio e pure fra giugno e luglio, nell’epoca degli amori. Da sempre cacciato per le sue carni squisite. È ormai raro nei mercati il “pisci
PESCE LUNA – Mola mola – Pisci Mola lanzàtu”, cioè ucciso con l’arpione. Dai buongustai è ritenuto superiore a È detto anche pesce tamburo. Della specie dei Molidi con il corpo ovale o quello catturato con le reti palamitare o con i conzi di altura. Tra le pediscoidale molto compresso lateralmente. Vive nelle acque profonde, nei sche periodiche tipiche con appositi palangri di superficie occorre ricordare pressi dello Stretto di Messina. Può superare i tre metri e se ne son pescati quelle che riguardano le forme giovanili del pesce spada che è detto dai di 900 chili. Si pesca per diletto tra maggio e settembre, ma se ne fa uso pescatori “puddiciniedda”. personale. Ciò a causa del suo sapore “selvatico”. La parte commestibile è esigua rispetto al suo peso complessivo e va estratta con abilità squartando PETTINE – Coriphena novacula e pure Blennius ocellaris – Pèttini l’animale. Ciò che rimaneva si utilizzava in passato per essere conciata sotto Così chiamano i pescatori due specie marine che si pescano lungo gli scogli. sale. Si cattura con la fiocina quando si presenta a fior d’acqua sul filo delle È facile a distinguersi il primo, dal bellissimo occhio nero circondato da correnti. È diletto di coloro che cacciano il pesce spada. un cerchio bianco di cui è ornata la sua prima pinna dorsale, che anche è PESCE PRETE – Uranoscopus scaber – Còcciu ‘mpiriali
assai più grande della seconda. L’altro “pettini” – Xyrichtys novacula - che si
Pesce con la testa tonda quasi come il ghiozzo, ma più grosso, che con voce
pesca solo in poche zone particolari, è noto per i colori arcobaleno del suo
greca chiamasi Uranoscopus, ovvero, osservatore del firmamento perché gli
corpo. In certe zone (Capo d’Orlando) è detto anche “pettini surici”. Pesce di
occhi suoi, sul capo, guardano il cielo. Dai moderni italiani esso è chiamato
poco pregio che si vende nei mercati per frittura.
Pesce prete.
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POLPO – Octopus vulgaris – Purpu
ga agli altri testacei. Ma quanto sia debole, anzi falsa, questa opinione, lo
Immancabile al mercato del pesce. Avanti di acquistarlo se ne accerta che
mostra colle ragioni, e coll’autorità di gravissimi Filosofi il Signor D. Giusep-
sia in vita tramite l’uso delle ventose dei suoi tentacoli. Una vera leccornia
pe di Gregorio nelle sue eruditissime “Dissertazioni Critico-Fisiche”, soste-
che non manca mai sulle tavole dei siciliani cucinato in vari modi. Sopratut-
nendo doversi attribuire questa mutazione ad una maggiore o minore copia
to si usa lessato in insalata. “Aviri cori a granfa di purpu” dicesi di avarissimo
d’alimento, valevole dall’intuito ad impinguare o dimagrare la famiglia tutta
del suo ed avido di quel di altrui. Dicesi oscenamente in Catania per indicare
dei crostacei. In conferma di ciò aggiungo ciò che avvenne in Palermo con
gli afflitti da omofilia.
un pescadore che avea raccolto gran copia di ricci per venderli. Interrogato se fosse vero che i ricci son pieni nel tempo di piena Luna, rispose esser fa-
RAZZA – Novacula oxyrinchus - Pìcara
vola; “perché” disse “questi ricci uguali sono stati da me raccolti nello stesso
Sorta di pesce che ha il corpo liscio coperto di una sorta di materia viscosa;
luogo e nello stesso tempo. E pure altri son pieni, altri scemi e dovrebbero
gli occhi colla pupilla nera, l’iride gialla in forma di mezza luna e orlata di
essere o tutti pieni o tutti scemi se fossero soggetti alla variazione della
bianco. La bocca sua è guarnita di molti denti acuti, la testa che finisce in
Luna”. Risposta di un semplice pescadore, ma di buona mente.
punta e la coda lunga guarnita di due piccole natatoie. Ve n’ha di diverse specie: la “pitrusa” e la “spinusa”, così dette dai pescatori. Cioè la liscia e
RONDINI DI MARE – Danichthys rondeletii – Runninuni
quella con molti ossicini tondi sparsi fra la carne. Si bollisce e si conserva in
Pesce volante non dissimile dal Rondone – Cypselurus heterusus – che si
gelatina di aceto ovvero di limone.
pesca con la luce delle lampare. Hanno fortuna al mercato come pesci da zimino.
RICCIO MARINO – Echinus miliaris – Rizza Sono i siciliani grandi mangiatori di questa specie che un tempo si prende-
SALPA – Boops salpa – Manciarracina
vano per accompagnare il pane, mangiando le uova delle femmine disposte
Perciforme sparide che assomiglia alla boga, ma lungo insino a 50 centi-
a stella all’interno del suo corpo. Ve ne sono di diverse specie: carisa escu-
metri e di peso incirca ai 2 chili. Vive in branchi in acque litorali sopratutto
lentus, a sfera cioè cidaris e a spatacu da spatagus. Abbondano in tutto il
intorno agli scogli. È pesce litofago, ma si nutre anche di certune alghe che
litorale della Sicilia. In Trapani sono maggiori dell’ordinario, e molto pieni.
sembrano racìni, da cui esso prende nome. Pesce reputato di scarso valore.
Stimano alcuni che la pienezza dei ricci e la loro scarsezza provengano dalla Luna, nel suo accrescimento o scemamento, e lo stesso credono che avven-
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SARAGO – Sparus sargus – Saracu Pesce del genere dello sparo che si trova nel Mediterraneo. Esso ha bocca provvista di dentatura tagliente, corpo appiattito e ricurvo di color bianco turchiniccio o come cerchiato di liste brune alternativamente larghe e strette. Vicino alla coda ha macchia rotonda e nera; la schiena è assottigliata in forma di taglio. La sua mole varia notabilmente, forse a seconda dell’età. È molto apprezzato per le sue carni. Nei pressi dello Stretto si pescano pure: il sarago fasciato – Dilpodus vulgaris – detto saracu monacu, il maggiore – Diplodus sargus – e pure il “pizzutu” Puntazzo puntazzo. È diventato rarissimo il “saracu farauni”, Diplodus cervinus.
SARDA – Sardina pilchardus – Sarda Della Famiglia dei Clupeidi, dal corpo compresso ai lati, di colore azzurroargenteo. Vuole acque fredde e per questo che se ne pescano tante nel versante meridionale dell’Isola, sopratutto al largo di Sciacca. Detta sardina e pure alice o sardella. La migliore è quella ch’è presa la primavera in mare arenoso e non fangoso. Presa subito cotta e mangiata è di buon nutrimento e di delicatissimo sapore. Le sarde salate risvegliano l’appetito, nettano lo stomaco dalle superfluità e però se ne concede in poca quantità ai convalescenti, nel principio del mangiare. Genera ventrosità, massime se si mangia la sua spina, e ha dell’humido. Cocendosi in un tegame o su la graticola dentro un foglio di carta con olio petrosello e pitartina, o con sale e origano, per alcuni giorni conservandosi, si rimedia ai suoi nocumenti. La sarda, ovvero sardina e sardella si conviene a tutte le etadi e complessioni, ma nella primavera. Pur che non se ne mangi in troppa quantità.
SAURO – Scomber trachurus – Sàuru
SGOMBRO – Scomber scurmus – Scurmu
Detto pure sgombro bastardo. È una sorta di pesce del genere dello sgom-
Molti anni or sono, e forse un secolo addietro, nel 1642, faceasi una pe-
bro che si prende in gran copia nel mare attorno alla Sicilia, principalmen-
scagione prodigiosa nel mare di Palermo di questi pesci. Ma accadde che i
te davanti al Golfo di Palermo, nello stesso tempo in cui si prendono gli
pescatori essendosi portati alla costumata preda de’ scormi nel giorno del-
sgombri. È poco dissimile, ma più piccolo degli sgombri veri. La sua carne,
l’apostolo San Pietro (29 di giugno) spinti dall’avidità del guadagno, senza
quantunque delicata, non è in tanta stima di molti, e tra di noi palermitani
riguardo alla solennità del Santo che venerano come lor particolare padro-
si consuma soltanto dal popolo minuto.
ne, non solo non presero alcun di questi pesci, ma per molti e molti anni seguenti non si videro più. E da tutti fu attribuito a manifesto castigo. Ma
SCORFANO – Scorpena scropha – Scròfanu da alcuni anni a questa volta se ne son predati, ma in poca quantità. Per Nome di varie specie di pesci Scorpenidi con capo grosso munito di numel’abbondanza della pesca de’ scormi sogliono i pescadori di Palermo dire alle rose spine, pelle provvista di appendici e pinne con raggi spiniformi veleniloro mogli rientrando in casa: “Abballa mugghieri ca scurmi sunnu” (Balla feri. Pesce in vista deforme, ma di ottima qualità nella Sicilia. Il Cirino riferimoglie mia che abbiamo preso sgombri)! sce l’autorità di Plinio che disse dello scorfano “Laedit dum manu tollitur”. È vero, infatti, che sia armato di spine, ma non sono tali che imprimano ferite SOGLIOLA – Solea vulgaris – Linguàta mortali. Non potrà mancare nelle zuppe che usano i pescadori assieme ad Sorta di pesce di mare molto stiacciato che vive nei fondali sabbiosi con nari altri pesci e anche crostacei. Quello rosso è detto anche Cipudda. Nelle ace bocca rivolti verso l’alto. Grigia nel superiore del corpo e bianca nell’infeque siciliane non manca lo scorfano nero, Scorpaena porcus. riore. Raggiunge la lunghezza di centimetri 50. È presente assieme ad altre SEPPIA – Sepia officinalis – Sìccia
specie, comunemente si confonde essa con la sogliola gialla - Buglossidium
Specie di pesce mollusco dal corpo ovale e depresso munito di pinne laterali per
luteum - che son pesci di buona carne e squisiti. Prende il suo nome dallo
il nuoto e di osso bianco calcareo all’interno. Occhio sporgente e assai svilup-
spagnolo “lenguado”. Dai nostri pescatori chiamasi “rùmmulu” il pesce So-
pato. Il maschio si chiama calamaro e dotato di umor nero a guisa d’inchiostro.
gliola maschio.
L’osso essiccato viene adoperato dagli orafi per gettare la minuteria dei loro lavori; come pure nei dentifrici e altri usi. Ve ne sono di diverse specie che vivono
SPARO – Sparus saxatilis – Sparagghiuni
nel Mediterraneo popolandone gli abissi. Si preferiscono anche i più piccoli di
È pesce dimorante nel Mediterraneo. Ha esso labbra semplici, denti anteriori
essa per fritture prelibate.
grossi, molari fitti ed ottusi, coperchi suoi son squamosi attorno al corpo
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ovale. Se ne pescano di molte varietà. È d’uso metterli in gratella oppure in frittura. Lo Sparurs mormyrus che si pesca sottocosta è detto dai pescatori Ajula ‘mpiriali o Gàjula.
SPATOLA – Polydon spathula – Spàtula Lo stesso che spatolaria in italiano. Pesce piatto, dal lungo corpo argenteo che pescasi attorno allo Stretto di Messina ove soggiorna in acque molto profonde. Non ha carni pregiate e vendesi a prezzo assai vile. Il suo nome derivasi dal latino “spata”, essendo il suo corpo simigliante a una lunga spada argentea. È di difficile cattura. Così si riteneva nel Settecento. Nel 1810 un ingegnoso pescatore messinese sostituì la lenza di filo con una formata di fili sottili di rame in grado di resistere ai denti taglienti del pesce. Come s’usava? “...si cala un mazzolino di 15 fili di rame con tre ami legati con il filo di intestini di capretto o pelo di Spagna. Per tendersi in mare bisogna legare il mazzolino a una cordina dai 500 ai 600 metri, secondo la profondità delle acque”. Da allora in poi il pesce finì abbondante sui banchi e fu definito “di carni bianche e delicate, a torto considerato dagli antichi di scarsa qualità”.
SPIGOLA – Dicentrarchus labrax – Spìnula Pesce della Famiglia dei Serranidi di color grigio argenteo più scuro sul dorso; il corpo è seminato di tratti e di punti neri, le sue carni sono eccellenti. Chiamasi “ragno” a Firenze, “branzino” a Venezia. Il suo nome viene dal latino “spiga” a causa delle sue pinne dorsali. Lo chiamano pure persico. Si tiene in gran conto per le sue carni pregiate. È rara oramai la spigola macchiata – Dicentrachus punctatus – detta dai nostri pescatori “buracciola”.
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SQUADRO – Squalus squatina – Squatru
TARTARUGA – Testudo – Tartùca di mari
Pesce che ha la lingua larga, liscia e terminata sul dinanzi in punta. Sul
Sono animali di mezzana natura tra gli animali e i pesci. Come le lumache.
dinanzi pure sono situate le narici ricoperte di una pelle. Presso a questo
Le migliori son quelle acquatiche marine che si pescan nei mari più caldi. Le
orlo veggonsi gli occhi piccoli con pupilla verde mare ed iride gialla. I Tur-
sue carni in zuppa son di grandissimo nutrimento e per questo si danno ai
chi fanno della pelle aspra e ruvida di questo pesce uno zigrino, di cui si
tisici ed estenuati. Della carne della tartuca cotta se ne fa anco pesto a gli
fanno le controcasse degli orologi. Serve pure a ripulire gli intagli di legno
infermi per rinfrescarli e ristorarli. Il suo fegato è assai pregiato dai ghiotti.
e di avorio. Questo pesce squamoso bisogna scorticarlo per rendersi atto a
Nocumenti: genera sangue grosso e flemmatico; fa gli uomini pigri e dor-
potersi mangiare.
miglioni e tardissimamente si digerisce. Sia allora ben cotta gettando via la prima e la seconda acqua. E sia ben apparecchiata con erbe calide, zaffarano
SQUALO – Pesci Selaci – Piscicani
e rossi d’ova. Allora sarà buona per collerici e per quei che molto si affatica-
La pesca degli squali lungo le coste siciliane fu, ed è ancora ai giorni nostri,
no. Si apparecchia in cibo da’ Padri Minimi con manicaretti squisitamente.
soltanto occasionale. Se qualche specie incappa nelle reti non si butta via.
Nel mese di maggio del 1735 ne fu presa una in Palermo, nella tonnara di
In particolare si trovano sui banchi dei mercati del pesce:
Solanto, di peso di nove cantara (Kg. 720 circa, n.d.a.). Come prodigiosa fu
Squalo volpe – Alopias vulpinus – Surci ‘mpiriali
portata nella città e messa in veduta di tutti che l’ammirarono come cosa
Palombo – Mustelus mustelus – Palummu
non mai veduta per la grandezza.
Palombo stellato – Mustelus asterias – Palummu ‘mpiriali Verdesca – Prionace glauca – Vintrisca
TONNO – Scomber tynnus – Tunnu
Gattopardo – Scyliorhinus stellaris – Attupardu
Il migliore è il giovene preso nel mese di Settembre e si deve prendere piuttosto la
Canesca – Galeorhinus griseus – Muzzòlu
carne magra che la grassa. La sua carne sana i morsi dei cani rabbiosi, il suo ventre
In genere vengono messi in vendita privi di testa e di pelle: per evitare che
ch’è grassissimo e molto desiderato nelle tavole, salato si chiama tarantello, e la
si possano facilmente identificare e possano magari impressionare l’acqui-
carne magra salata è detta tonnina. L’ova si salano e se ne fanno bottarghe come
rente. Noti con i nomi siciliani, sono in pochi a conoscerli come squali. La
quelle di cefalo le quali come tutte, eccitano l’appetito. Nocumenti: genera molto
loro carne è reputata “necessaria” nelle solenni zuppe di pesce. Per molti
escremento, tardi si digerisce, grava lo stomaco e accresce la flemma. Come ri-
pescatori sono vere leccornie se cucinati “alla ghiotta” o alla “matilotta”,
medio si cuocia su la graticola con sale e coriandro, aspergendolo continuamente
francesismo che sta per “marinara” nel trapanese.
d’oglio e aceto, con una nappa di finocchio, o un rametto di rosmarino.
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TORDO – Labrus turdus – Turdu
TRIGLIA – Mullus barbatus – Trigghia
Nome comune di varie specie di pesci della Famiglia dei Labridi. Nel Medi-
Fu in molto pregio presso gli antichi. Ritrovasi in molte parti del mare sici-
terraneo si pesca il “viridis” che raggiunge i 40 centimetri. Vive su fondali
liano. Se ne pesca in gran copia nel mare di Taormina ove son rinomate.La
di scogli o detritici ricchi di vegetazione. Le sue carni non sono pregiate e
piccola è migliore di quella grande. Va presa in luoghi sassosi e non in luoghi
viene impiegato in zuppe di pesce. Lungo le coste siciliane si possono tro-
fangosi e mari morti. È molto grata al gusto e di buon nutrimento affocata
vare anche il “rosso” e il “pavone”. Quest’ ultimo però prende nome italiano
nel vino, mangiata estingue gli appetiti venerei. E bevendosi il vino fa venir
di donzella.
in odio ogni sorte di vino; posta la triglia sovra i morsi di velenosi animali, li sana. Nocumenti. È di dura carne e tardi si digerisce; bevendosi il vino
TOTANO – Ommatostrephes sagittatus – Todanu
dove fu affocata la triglia fa l’uomo impotente e la donna sterile. Usata la
Mollusco commestibile dei Cefalopodi, di piccole dimensioni, con dieci ten-
triglia troppo spesso offende la vista. Come rimedio si cuocia su la graticola
tacoli armati di ventose, assai ricercato per fritture. È considerato come una
mangiandosi con olio e succo d’aranci, ovvero fritta si condisca con aceto,
sorta di seppia. Ma pure una diversa specie di calamaro.
spezie e zafferano. E così per molti giorni conservasi e sarà molto migliore; è buona nei tempi caldi per i gioveni e per i collerici e per quei che hanno
TRACINA – Trachinus draco – Tracina carrubbara
lo stomaco gagliardo. E pure per quei che molto si esercitano. La triglia più
Conosciuto pure come Drago marino. Il suo nome deriva da “drakaina” che
pregiata stimasi la Mullus surmuletus che nei pressi delle Lipari raggiunge
in greco indica la femmina del drago. È pesce armato di acute spine nell’uno
particolari dimensioni e sapidezza delle sue carni.
e nell’altro fianco. Ne ha in particolare due che escon dal capo le cui punture sono velenose. Eliano nota che se si piglia colla destra non si rende, ma resiste al pescadore: ma applicandosi la sinistra facilmente cede. Narra il Cirino che, per superstizione o per occulta virtù, tuttavia dura in alcuni pescadori l’uso di percuotere colla destra mano il capo della tracina. Non eccede in lunghezza di un palmo ed è frequente in Sicilia. Costumano i pescadori che sian punti dalle sue spine, adattare alla ferita un filo acceso di zolfo. Che è antidoto alla puntura. La tracina raggiata – Trachinus araneus – detta “tracina di fangu” vive invece sui fondali fangosi. Ma la sua carne è men pregiata.
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Frammenti di cronaca
“A
“A dì 10 d’ottobre 1606, giovedì la notte. Vi fu in questa città di Palermo
una gran tempesta d’acqua, vento e tuoni. E si commosse il mare con molta fortuna, onde molti vascelli e barche di pesca furon fracassate, con perdita
“Pn Salvadore Ilari Trapanese con suo equipaggio si liberò dalla prigionia degli Africani Tripolini a 6 settembre 1808 - VFGA” Ex voto dipinto su legno – Museo Pitré Palermo
di fromento e mercanzie”.
Vincenzo Auria
“Il signor Giovanni Corrao capitano del bastimento napolitano Teresina assicura che, passando nel 10 di luglio, a 20 miglia circa dal Capo San Marco
“Nel 1692, a 24 di Novembre, per la copia delle pioggie, ingrossato il fiume
presso Sciacca, vide, a un tiro di schioppo, una massa di acqua innalzarsi
Oreto superò le sponde e per l’antico letto si portò alle mura della Città di
dalla superficie del mare frammischia col fumo, di circa 60 palmi di altezza,
Palermo, e per lo fossato dirizzò il corso verso il mare. Gran copia d’acqua
portando circonferenza di quasi 200 passi. Il fumo spargeva forte odore di
stagnò sotto il baluardo di Vega, ed ivi si vide una gran copia di anguille
zolfo e il tuono facevasi sentire. Assicura di più che il giorno innanzi trovò
portate dal fiume onde accorsero molti a predarle”.
quantità di pesci morti e di scorie nere, leggiere come le pomici, galleggianti
Can. Antonino Mongitore
sul mare e sparse nel lido di Tre Fontane. Di questi pesci alcuni più grossi detti Ciregnole (Notognidion Scirenga) di peso di più di mezzo quintale,
“A 20 di agosto 1783 ...fu abbondantissima nei nostri mari di Palermo la
furono venduti in Sciacca, ma anche in Palermo. Essi furono pescati semivivi,
pescagione di qualunque sorte di pesce; e specialmente si prendeva alla
o quasi sbalorditi, presso la Secca del Corallo”.
giornata una prodigiosa quantità di quel pesciolino che comunemente
Prof. Carlo Gemmellaro – 31 luglio 1831
dicesi cicirello. Vendevasi in tutte le piazze di grascia e per tutta la città e vi furon giorni in cui n’era tanto meravigliosa la pesca, venutene piene e zeppe
“Essendo stato Capita. Vito Tantarella Con tutto il suo Copaggio nel Canale
le barche pescherecce, che arrivò a vendersi a grani due ed a grani uno, ed
di Malta Furono assaliti da gran tempesta di mare e per Grazia del SS
anche a manate e ad occhio, cioè senza pesarlo”.
Crocifisso e Nostra S. del Carmine Furono Liberi. Li 2 Febbraro 1846” Marchese di Villabianca
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Ex voto dipinto su legno – Museo Pitré Palermo
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“Una barca pescareccia con sette marinai, oltre al padron d’essa Benedetto Bruno, partiva negli ultimi giorni del valicato mese dall’Isola delle Femmine, presso Capaci, alla volta di Maretimo, da dove faceva vela più tardi, carica di pesci, diretta per Palermo. Però a poche miglia dalla terra una furiosa procella sorprese quei miseri, i quali furono tutti ingoiati dalle onde tempestose, lasciando nella più squallida miseria numerose famiglie”. Giornale Officiale di Sicilia – 22 marzo 1858
“Trapani – Da alcuni pescatori è stata pescata nel nostro porto una foca comunemente detta Bue Marino. È un mostro che pesa circa 2 quintali e mezzo, lungo circa 2 metri, e che infestava da qualche mese i nostri mari distruggendo i pesci e le reti dei pescatori”. Giornale di Sicilia – 1 novembre 1894
“Nel mare di Porticello (Palermo) sono stati trovati quintali di pesci morti in mare. Si è pensato che fossero vittime dell’inquinamento, ma invece erano surgelati. Dalla Capitaneria spiegano: “Qualcuno si è disfatto del prodotto invenduto”. Avviate le indagini per risalire ai responsabili che rischiano la denuncia penale”. Giornale di Sicilia – 29 settembre 2005
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Giò Martorana
G
Giò Martorana è nato a Palermo nel 1960. Fotografo professionista dal
Nello stesso anno viene dato alle stampe, per l’editore Sellerio, il volume
1980, è corrispondente ufficiale dell’Agenzia Gamma di Parigi.
fotografico “Volti del Mare” con una prefazione di Vincenzo Consolo.
Divide la sua attività professionale tra la fotografia di moda, il reportage,
Sue opere si trovano in vari musei e collezioni private tra cui la “Fondazione
la pubblicità ed il ritratto. Ha inoltre curato importanti campagne
Alinari” di Firenze. Ha al suo attivo diverse mostre sia in Italia che all’estero.
pubblicitarie.
Ha esposto tra l’altro alle Orestiadi di Gibellina, allo Space Museum di New
I suoi servizi sono stati pubblicati su prestigiose riviste italiane e straniere
York, al Museum of Modern Art di Miami, alla Georgetown University di
come Vogue, Elle, Marie Claire, Gentleman, Figaro Magazine, Life, Der
Washington e a Parigi per conto della Modern Art Collection presso l’Espace
Spiegel, Paris Match, G.Q., Time Magazine.
Electra della Fondation Electricité de France.
Ha lavorato per Alitalia, Hausbrandt, Tag-Heuer, Superga, Louis Vuitton,
Nel 1999, per l’attività svolta nel campo della fotografia di reportage, gli
Porsche Germania, Gruppo Valtur, Wella.
viene assegnato il premio U.N.E.S.C.O.
Nel 1994, per l’editore Sellerio pubblica il libro fotografico “Tonnara”, con
Nel marzo 2003 pubblica, per Giuseppe Maimone Editore, “La Sicilia del
testi di Jean Louis Durand.
vino”, con prefazione di Giacomo Tachis.
Nel 1997 viene scelto da William Livingston, di National Geographic, per
Nello stesso anno inizia la collaborazione con l’editore Carlo Cambi per cui
comparire nel documentario “The Italians”, quale protagonista del successo
finora ha realizzato le fotografie dei volumi “Viaggio tra i grandi vini di
dello stile italiano nel mondo insieme a Krizia e a Sergio Pininfarina,
Sicilia” (vincitore nel 2004 del premio Gourmand World Cookbook Awards
documentario prodotto dal canale satellitare americano “Discovery
come miglior libro fotografico al mondo sul vino italiano), “Friuli. Terre,
Channel”, vincitore di ben tre Emmy Awards.
uomini, vino” e “Piemonte...la signora del vino”.
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F
Franco Andaloro
Franco Andaloro è nato a Messina nel 1954 ed è biologo e naturalista. È stato curatore della materia presso l’Istituto di Zoologia dell’Università di Messina, collaboratore del Centro Sperimentale per la Pesca dell’ESPI, ricercatore dell’Istituto di Tecnologia della pesca e del Pescato del Consiglio Nazionale delle Ricerche a Mazara del Vallo; dal 1987 svolge la sua attività presso l’Istituto Centrale per la Ricerca Scientifica e Tecnologica applicata al Mare, del Ministero dell’Ambiente, dove attualmente è dirigente di ricerca e responsabile del Dipartimento Uso Sostenibile delle Risorse. Ha insegnato biologia della pesca ed ecologia presso alcuni atenei italiani. Collabora con FAO, Unione Europea, JUCN, UNESCO, ERNAIS, MAP, WWF, Legambiente, Marevivo, Mareamico, Slowfood. Attualmente si occupa dello studio delle specie ittiche attraverso un approccio ecosistemico, delle invasioni biologiche in mare e delle modificazioni della biodiversità marina indotte dai cambiamenti climatici e dalla pressione antropica, argomenti sui quali ha prodotto oltre 100 lavori sulle principali riviste scientifiche nazionali ed internazionali.
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P
Gaetano Basile
Palermitano doc, giornalista dalla penna delicata e divertente, oratore brillante, scrittore per caso come ama definirsi. Pure autore di testi teatrali. Ha iniziato con un’intensa attività giornalistica televisiva dedicata alla divulgazione di tutto ciò che è cultura siciliana. Ha scritto di Sicilia e di Palermo, ma anche di cose di cucina e di cavalli con il tono divertente e divertito proprio del grande affabulatore. Viaggiatore colto ed attento, ha al suo attivo decine di pubblicazioni in cui ha trasferito le proprie emozioni e il grande amore per i fatti e i personaggi della sua Sicilia. La prosa colloquiale, indulgente e feroce nel contempo, prescinde da stereotipi e luoghi comuni. È autore capace sempre di farsi leggere e amare da grandi e piccini, siciliani e non. Capace di raggiungere con le sue parole la parte più profonda dell’anima dei lettori. Vive e lavora a Palermo, dirige la rivista “il Pitré” e collabora con numerose testate nazionali ed estere.
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E
Eliodoro Catalano
Eliodoro Catalano, nato a Palermo il 02/02/1929. Ricercatore presso l’istituto di Zoologia dell’Università degli Studi di Palermo, oggi pensionato. Nel corso delle sue ricerche studia la fauna marina delle coste siciliane e in particolare coltiva l’interesse per le nuove specie. Più di 70 le sue pubblicazioni che spaziano dalla flora alla fauna marina, non solo siciliana, puntando l’attenzione al problema dell’inquinamento che minaccia la sopravvivenza di queste specie. Per i suoi studi e la sua dedizione al lavoro, che diventa anche passione personale, riceve nel 1968 la Medaglia d’oro durante la 10° rassegna dell’attività subacquea di Ustica, alla quale ha preso parte più volte. Nel 1960 crea nella sua abitazione il primo e unico acquario palermitano, interamente costruito e gestito con mezzi propri; in queste vasche, più di 40, alleva e cura pesci e tartarughe tipici della fauna siciliana; qui ha trovato ospitalità anche un delfino, salvato e accudito fino alla morte. L’acquario, fino al 1985, anno in cui fu dismesso, fu meta di visite di scolaresche, di studiosi internazionali e oggetto di reportages televisivi.
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R
Raimondo Sarà
Raimondo Sarà, siciliano di Milazzo, è considerato il massimo esperto mondiale sulla pesca del tonno in Mediterraneo. Inizia giovanissimo la sua attività di ricercatore presso il Centro Sperimentale per la Pesca divenendone in breve dirigente; nel giro di pochi anni forma un Gruppo di Lavoro per l’allevamento del tonno rosso. Più tardi lo troviamo fra i soci fondatori e vice presidente della Società Italiana di Biologia Marina. Nel corso degli anni è stato l’esperto per eccellenza della FAO e della ICCAT per le ricerche scientifiche sui tonni. È membro del Comitato Plancton e del Comitato Vertebrati e Cefalopodi della CIESM. Old Scientist 1996 International Commission for conservation of Atlantic Tunas (ICCAT, FAO, Isole Azzorre 1996). Nei suoi numerosi scritti ha saputo ritrovare le radici profonde di una sicilianità legata alle vicende della pesca del tonno. Scrittore attento e documentato, è riuscito a comunicare questa antica passione a diverse generazioni di studiosi. Eppure la sua prosa è scorrevole, divertente, per nulla pedante. Grazie a lui si conserverà la memoria di quegli eventi che sono stati fondamentali nella ricerca scientifica sulla vita dei tonni.
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Referenze fotografiche
Copertina: Pesci in maiolica, opera del Maestro ceramista Giacomo Alessi
60-61: Mazara del Vallo - Operai dei cantieri navali
di Caltagirone (Ct)
62-63: Mazara del Vallo - Cantieri navali
Risguardi: Tonnara di Solanto, sul fondo la costa di Termini Imerese. Olio su tela
64-65: Trapani - Maestro d’ascia
del De Albertiis (seconda metà del 1800) - Società di Storia Patria, Palermo.
68-69: Cefalù, Collezione del Museo Mandralisca - Cratere del venditore di tonno (proveniente da Lipari – prima metà del IV secolo a.C.)
5: Isola di Favignana (Tp) - Cala Rossa
72-73: Palermo - Purpissa
6-7: Isola delle Femmine (Pa) - monumento al pescatore
75: Porticello - reti stese ad asciugare
10: Palermo, mercato del Capo
76-77: Porticello - barche in uscita dal porto
14-15: Palermo, mercato del Borgo Vecchio
78: Cefalù - nasse
18: Palermo, mercato di Ballarò - Abbanniata
80-81: Porticello - si scarica il pesce
23: Catania, ‘A Piscaria
82-83: Palermo, Vergine Maria - Antica tonnara Bordonaro
24-25: Palermo, mercato del Borgo Vecchio - Arrustitina
87: Porticello - i pescatori salpano dall’approdo di S. Elia
27: Palermo, mercato del Borgo Vecchio - Michele l’arrostitore
90: Isola di Favignana - vendita del pesce
30-31: Isole di Alicudi e Filicudi (Me) - tramonto
92-93: Palermo, S. Elia - ’A cannila
34-35: Isola di Ustica (Pa) - faro di Punta Gavazzi al tramonto
96-97: Porticello - pescatore chi sacci
37: Cefalù - alba
98-99: Castellamare del Golfo (Tp) - si riparano le reti
38-39: Porticello (Pa), approdo di S. Elia
101: Isola di Ustica - imbarco delle reti
42-43: San Cusumano (Tp)
102-103: Isola di Lipari (Me) - Lippu
44-45: Mazara del Vallo - il porto al tramonto
104-105: Isola di Favignana, tonnara - in attesa dei tonni
47: Isola di Salina - barche
106-107: Isola di Favignana, tonnara - i tonni sono stretti nel coppu
48: Porticello - Nino D’Amato
108-109: Isola di Favignana, tonnara - mattanza
49: Porticello - Filippo Mannino detto U’ m’Pirusano
110-111: Trapani, tonnara di Bonagia - mattanza
50: Porticello, Festa di Maria Santissima del Lume - Discesa del quadro
115: Trapani - pesatura di un tonno
52-53: Porticello, Festa di S. Antonino (13 giugno) - U’ Triunfu
116-117: Porticello - raccoglitore di alghe
54-55: Santuario di Altavilla Milicia (Pa) - Ex voto
120-121: Porticello - mercato del pesce: scarico di un pescespada
57: Isola di Favignana, Antica tonnara Florio - Carretto per il trasporto dei
122-123: Palermo - mercato del pesce
tonni
124-125: Palermo - mercato del pesce
58-59: Mazara del Vallo - Operaio dei cantieri navali
126-127: Porticello - vendita in banchina
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128-129: Palermo - cassette al mercato della Vucciria
186-187: Catania, ‘A Piscaria
130-131: Palermo, mercato del capo - pulitura dei gamberi
188-189: Catania, ‘A Piscaria
132-133: Catania, ‘A Piscaria - ‘A valànza
190-191: Siracusa, mercato del pesce
134-135: Palermo - insegna di una pescheria
192-193: Palermo, mercato del Borgo Vecchio - U’ pùrpu vugghiùtu
136-137: Mondello (Pa) - un pescivendolo
194-195: Palermo, mercato del Borgo Vecchio - “Pescato e mangiato”
138-139: Palermo, Vergine Maria - l’Apino
196-197: Aspra (Pa) - lavorazione delle acciughe salate
140-141: Palermo, mercato del Capo - Scunzàmu
198: Palermo - sarde a beccafico
142-143: Palermo, mercato del Capo
199: Palermo, mercato di Ballarò - preparazione dell’insalata di mare
144-145: Palermo, mercato della Vucciria
201: Palermo, mercato del Capo - bancarella del “salato”
147: Catania, ‘A Piscaria
202-203: Trapani, processione dei Misteri del Venerdì Santo - Vara del ceto
148-149: Trapani, mercato del pesce
dei pescatori
150-151: Catania, ‘A Piscaria
206-207: Avola Marina (Sr) - pesci appena pescati
152-153: Palermo, mercato del Capo - ‘A Tunnina
210-211: Spàtuli
154-155: Catania, ‘A Piscaria
212: Cicàli
156-157: Catania, ‘A Piscaria
214-215: Ammaruni
158-159: Catania, ‘A Piscaria - ‘A vinnita
217: Occhiranni
160-161: Catania, ‘A Piscaria
219: Anciove
162: Àgghia
222-223: Cuòzzi
163: Catania, ‘A Piscaria - Venditore di prezzemolo
225: Sìcci
164-165: Palermo, una pescheria
226-227: Laùsti
166: Trapani, mercato del pesce
228-229: Palàmiti
167: Palermo, mercato del Capo
232-233: Nunnàta
168: Palermo, mercato del Capo
234-235: Rìzzi
169: Catania, ‘A Piscaria
236-237: Alàcci
170-171: Catania, ‘A Piscaria
238-239: Calamarìcchi
172-173: Palermo, mercato del Capo
240-241: Catania, ‘A Piscaria
174-175: Catania, ‘A Piscaria
244-245: Sciacca - Il porto
176: Trapani, mercato del pesce
246-247: Porticello - Parànza
177: Palermo, mercato del Capo
250-251: Malutempu
178-179: Catania, ‘A Piscaria
252: Isola di Favignana, tonnara - Calatu
180-181: Palermo, mercato della Vucciria - venditore di baccalà
256-257: Aci Trezza (Ct) - I faraglioni
182-183: Palermo, una pescheria
260-261: Marsala, mercato del pesce
184-185: Palermo, mercato del Capo - ‘A Tunnina
264-265: Trapani, Golfo di Bonagia - Mareggiata
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Finito di stampare nel mese di marzo 2006 presso la Tap Grafiche S.p.A. Poggibonsi (SI) - Italy
Vivo Sicilia
è i mercati del pesce in
Ci sono atmosfere uniche e irripetibili che affascinano il curioso, il passionale, l’istintivo che, come me, ricerca nelle sfumature, nelle cromìe dei colori e nel vocìo della gente, l’anima di un luogo. Se è vero che i monumenti, le chiese, le aree archeologiche o i paesaggi incantati, rimasti immutati nel tempo, riescono a pennellare negli occhi di un viaggiatore il passato remoto di una terra, è altrettanto vero che ciò che, in definitiva, disegna l’anima di un popolo, riuscendo a ritrarne la storia e le tradizioni, sono solo e soltanto i mercati. Quell’agglomerato variopinto di elementi che lo compongono, per chi ha occhi per vedere, sa raccontare molto più di quanto si pensi. Sembra quasi che in quel labirinto di strade, cunicoli e piazzette unite e incatenate dall’accavallarsi di carretti e banchi, ricchi e opulenti, si disegni un variegato e coloratissimo tessuto che unisce, e nel contempo distingue, le classi sociali che animano la città. È per questo che quando mi trovo in giro per il mondo, dovunque io sia e a qualsiasi latitudine approdi, vado a curiosare nel mercato, dove riesco a percepire la cultura che mi circonda. Mercato quindi come scuola, come aula didattica, dove imparare a conoscere e a capire chi ti sta intorno, dove s’insegna e si disquisisce sulla quotidianità del cibo che affonda le sue origini nella tradizione popolare.
Regione Sicilia
UNIONE EUROPEA
ASSESSORATO REGIONALE COOPERAZIONE, COMMERCIO, ARTIGIANATO E PESCA DIPARTIMENTO PESCA