iSupertuscans

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Andrea Zanfi

Carlo Cambi Editore



Andrea Zanfi

Carlo Cambi Editore


Collana “I grandi vini d'Italia”: iSupertuscans Viaggio tra i grandi vini di Sicilia Friuli. Terre, uomini, vino Piemonte. La Signora dei Vini

iSupertuscans ® di Andrea Zanfi Coordinamento di redazione: Marco Biotti Direzione tecnico-grafica: Roberto Francini Progetto grafico: Elisa Marzoli Fotografie di Andrea Fadini, Elisa Gianni, Giò Martorana, Roberto Perilli Still-life: Carlo Gianni Querciabella pp. 278 Foto di Walter Prina – Copyright © 2002 Agricola Querciabella S.p.A. Foto di pag. 87 – Copyright © Massimo Pacifico – Firenze La foto di pag. 43 appare nel presente volume per gentile concessione della Banfi S.p.A. Le foto di pp. 317-318 appaiono nel presente volume per gentile concessione dei Tenimenti d’Alessandro Traduzione inglese: Maresa Moglia, An.se sas Fotolito e stampa: Tap Grafiche S.p.A. Carlo Cambi Editore Via San Gimignano 53036 Poggibonsi (Siena) Tel. 0577 936580 Fax 0577 974147 www.carlocambieditore.it info@carlocambieditore.it Proprietà letteraria riservata - Printed in Italy Prima edizione: dicembre 2002 Seconda edizione riveduta e corretta: ottobre 2005 2002-2005 © Copyright Carlo Cambi Editore ISBN 88-88482-40-7 I diritti di riproduzione, di traduzione, di memorizzazione elettronica e di adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo (compresi microfilm e copie fotostatiche), nonché l’inserimento in siti internet, sono riservati per tutti i paesi.


Indice 7 Nota alla seconda edizione di Andrea Zanfi 9 Prefazione di Flavio Tattarini 11 iSupertuscans di Andrea Zanfi 15 La parola agli enologi 19 Ritratti di Vignaioli in Toscana: 20 24 30 34 38 42 48 54 60 64 70 74 78 82 88 94 98 102 106 110 114 120 124 128 132 138 142 146 150 156 160 164 168 172 176 180 186

Agricola San Felice Antinori Avignonesi Badia a Coltibuono Badia di Morrona Banfi Barone Ricasoli - Castello di Brolio Biondi Santi Ca’ Marcanda Capannelle Casa Emma Castellare di Castellina Castello d’Albola Castello dei Rampolla Castello del Terriccio Castello di Ama Castello di Fonterutoli Castello di Gabbiano Castello di Monsanto Castello di Poppiano Castello di Querceto Castello di Volpaia Castello Vicchiomaggio Cennatoio Intervineas Ciacci Piccolomini d’Aragona Cima Col d’Orcia Dei Fattoria Casa Sola Fattoria Corzano & Paterno Fattoria di Fubbiano Fattoria Le Pupille Fattoria Montellori Fattoria Petrolo Fattoria Poggiopiano Fattoria Viticcio Fèlsina

192 198 202 206 214 218 222 228 234 240 246 250 254 258 264 268 272 278 284 288 292 296 302 306 310 316 320 326 332 338 342 346 352 356 360 364 368 374 378 384 388 394 398 404 408 414

Fontodi Graetz Bibi Grattamacco Guicciardini Strozzi - Fattoria di Cusona I Giusti & Zanza Il Colombaio di Cencio Isole e Olena La Brancaia Le Macchiole Marchesi De’ Frescobaldi Monte Bernardi Montevertine Morisfarms Petra Podere La Cappella Podere Poggio Scalette Poliziano Querciabella Riecine Rocca di Castagnoli Rocca di Montegrossi San Fabiano Calcinaia San Giusto a Rentennano Sassotondo Satta Michele Tenimenti Luigi d’Alessandro Tenimenti Ruffino Tenuta Caparzo Tenuta dell’Ornellaia Tenuta di Argiano Tenuta di Capezzana Tenuta di Ghizzano Tenuta di Nozzole Tenuta di Trinoro Tenuta di Valgiano Tenuta Poggio Bonelli Tenuta San Guido Tenuta Sette Ponti Tenute del Cabreo Terrabianca Tua Rita Varràmista Vecchie Terre di Montefili Villa Cafaggio Villa La Selva Villa Vignamaggio 5



Nota alla seconda edizione di Andrea Zanfi

È con molta soddisfazione che mi accingo a

scrivere queste annotazioni alla seconda edizione del volume iSupertuscans che ricalca, con novità e spiacevoli eliminazioni, la rassegna dei grandi vini di Toscana, i quali, con il loro ingresso sul mercato, hanno determinato un momento di crescita importante per tutta l’enologia nazionale e che oggi continuano a rappresentare il fiore all’occhiello di grandi e piccole aziende di questa regione. Avrei potuto avallare l’ipotesi di una secca e asciutta ristampa della prima edizione, in considerazione del grande successo riscontrato sia in termini di copie, con oltre 5.000 volumi venduti in 18 mesi, sia di critica, con riconoscimenti nazionali e internazionali, ma ho voluto “rivitalizzare” l’iniziativa editoriale scandagliando nuovamente la produzione regionale di questi grandi vini, verificando se vi fossero giudizi da rivedere nell’elenco delle precedenti aziende inserite o se invece vi fossero delle nuove realtà da prendere in considerazione, cercando, nel frattempo, di aggiornare gli elenchi delle “migliori annate”, stilati per ogni vino, anche in considerazione delle disastrose vendemmie del 2002 e 2003. Così è stato e credo che da questo lavoro sia uscito un volume che mantiene intatto il suo fascino con un restyling accattivante, più moderno rispetto alla precedente edizione e più in sin-

tonia con gli standard della collana “I grandi vini d’Italia”, che sta creando un’immagine importante intorno al mondo del vino nazionale, fotografando, per la gioia di tutti gli appassionati, il momento storico della produzione enologica di questo inizio di secolo nelle più importanti regioni a spiccata vocazione vitivinicola. Ma più che soffermarmi sui risultati della prima pubblicazione o prolungarmi sulle peculiari caratteristiche della nuova edizione, voglio spendere due parole sull’importanza che ha assunto per me questo libro in termini di crescita professionale e come elemento di raffronto fra il mio lavoro e ciò che era proposto dal panorama editoriale nazionale di settore, indicandomi le direttrici sulle quali avrei dovuto operare per il futuro. Il risultato ottenuto è stato un punto di partenza dal quale prendere spunto per migliorare ogni elemento che aveva composto quel puzzle. Un banco di prova che mi è servito come fucina di idee, un trampolino di lancio, un punto fermo sul quale ho costruito un processo di crescita importante che è ancora in via di realizzazione e che mi ha portato a conoscere i vari modi di rapportarsi con il mondo del vino. Un mondo strano, composito, fatto di mille cose e di figure che rincorrono il tempo, il mercato, i distributori, gli agenti e i giornalisti; un mondo dove si evidenziano figure contrap-

poste: contadini, vignaioli, wine maker, vigneron che vanno dietro a tutto quello che fa business, o figure di poeti, filosofi, oracoli delle tradizioni, della storia e della vita del territorio, semplici appassionati del loro lavoro. Ognuno con le proprie debolezze, il proprio orgoglio, la propria arroganza. Un viaggio bellissimo che mi ha portato nuovamente a girovagare, filosofeggiando, un po’ per la Toscana alla scoperta delle passioni che si nascondono dentro guru, fachiri, maghi, saggi e alchimisti che fanno vino. Tutto mi è servito per dare nuovo slancio alle idee che, partendo dal censimento della produzione enologica di alta qualità di questa regione, vorrei che in qualche modo contribuissero a stimolare un ragionamento più complesso e articolato su questi Supertuscans che in qualche modo, spero, possa condurre sia le aziende, sia gli organi competenti a dare maggiore identità a questi vini che sono ancora in grado di valorizzare il movimento enologico di questa regione in funzione proprio di una loro ventennale presenza sul mercato; presenza che meriterebbe, oggi più che mai, una maggiore attenzione e magari un riconoscimento attraverso un marchio del tipo “Vini Cru di Qualità Prodotti in Toscana” (VCQPT), un’idea in grado di raggrupparli e rappresentarli tutti. Ho sempre sostenuto che i grandi vini qui censiti sono nati dal sagace intuito di ottimi produttori che erano riusciti a trarre il meglio dal loro sistema pedoclimatico, dagli impianti e dai vitigni che avevano a disposizione. Raramente però quei vini sono stati figli di un profondo ragionamento in grado di porli in simbiosi con il territorio circostante. Sono il frutto invece di necessità e opportunità che si sono via via venute a creare nel tempo dalla viva richiesta che il mercato faceva di una sempre maggiore qualità nei prodotti enologici; bisogni e occasioni che hanno determinato scelte vitivinicole talvolta radicali rispetto alla tradizione enologica dell’area di riferimento in cui iSupertuscans erano prodotti, divenendo punti di riferimento e integrandosi perfettamen-

te nel panorama enologico della Toscana nel quale oggi devono essere inseriti di diritto al pari di altri vini blasonati. Quelle eseguite da quei pionieri sono state scelte di fondo, difese certe volte con intransigenza, come se per loro avesse maggior valore utilizzare nella vinificazione più o meno Sangiovese o più o meno Cabernet, Merlot o Syrah, invece di cercare di comprendere il reale rapporto che quei vitigni avrebbero avuto nel tempo con il loro sistema-territorio. Scelte enologiche che hanno avuto il merito di tracciare un solco e una storia importante che oggi sarebbe sciocco, se non addirittura stupido, disconoscere e gettare al vento in funzione di una diatriba dialettica che vede contrapporsi i vitigni autoctoni a quelli definiti internazionali. Secondo me, oggi i Supertuscans rappresentano ancora una grande chance per la Toscana che invece continua ad affidare però, principalmente, la sua immagine enologica alle sue DOC e alle sue DOCG, ormai svuotate di significato dalla pochezza legislativa che ad ogni tirar di vento le ha modificate e storpiate secondo stupide esigenze di cartello facendole assomigliare sempre più a sbiadite rappresentazioni e ambasciatrici di vecchie e obsolete normative dei tempi che furono. Quando arriverà a compimento quel lento processo di rinnovamento dei vigneti, iniziato intorno alla metà degli anni ‘90 con selezioni clonali specifiche e migliorative rispetto a quelle esistenti, sicuramente la Toscana enologica potrà contare su un nuovo impulso e su nuova linfa, ma nel frattempo credo sia giusto potenziare e non delegittimare un così articolato movimento enologico come quello dei Supertuscans, scaturito, unico caso al mondo, da un consenso popolare. Durante l’attesa che tutto si trasformi, quale potrebbe essere il futuro di questi vini? Credo che sia un grande errore disconoscere il merito che hanno avuto questi Supertuscans e per me sarebbe ancora più grave non provare a stimolare la loro crescita in termini di immagine e di qualità con queste mie opere.

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Prefazione di Flavio Tattarini

care alla tradizionale famiglia del Sangiovese o con l’utilizzazione di vitigni cosiddetti internazionali (Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Merlot, Syrah…).

Un’altra fatica editoriale, preziosa, dell’in-

stancabile Andrea Zanfi, che arricchisce il patrimonio di informazione e documentazione sui vini di qualità, sulle aziende ed il territorio della splendida regione Toscana. Questa volta i “Supertuscans”, veicoli preziosi di innovazione e sperimentazione della qualità, che hanno conquistato con le punte di eccellenza una posizione forte sul mercato mondiale e contribuito a determinare la crescita ed il consolidamento dell’immagine del vino di qualità non solo toscano, ma anche nazionale. La forza del lungo percorso dei “Supertuscans” sta infatti nella lungimiranza e nel coraggio di scegliere vie innovative nella tradizione toscana, che hanno avuto “nobili casate”, grandi, ma anche piccole e medie aziende. Vie innovative che hanno modificato, ampliandola, la base ampelografica con la ricerca di nuovi vitigni autoctoni da affian-

La scelta di nuovi percorsi non ha tuttavia mai rinunciato ad un elemento che è rimasto stabile, e che ha contribuito non poco al valore aggiunto delle produzioni in generale ed anche per i Supertuscans, e cioè lo stretto legame con il territorio, con la sua storia, le sue tradizioni, l’ambiente, il paesaggio agrario, la cultura. Anche la scelta di vitigni innovativi non ha mai rinunciato alla particolarità che poteva derivare dal rapporto con il terroir toscano, non c’è stata mai inclinazione alla produzione di vini omologabili sul piano internazionale. È anche per questo che si è vinta la sfida dell’immagine e del mercato. Se il Sassicaia non è un “normale” Cabernet, è certamente dovuto al fatto che il rapporto con il territorio di Bolgheri ha consentito una più alta ed inimitabile espressione delle potenzialità, della ricchezza, dell’energia dei vitigni che lo producono!! Questa innovazione non solo ha dato grandi vini, veri e propri gioielli, ma, in certe aree, ha influito positivamente nel rapporto con le produzioni a Denominazione di origine, contribuendo al loro miglioramento, e in certi casi alla loro nascita. La “singolarità” degli uni ha rafforzato la “coralità” degli altri, evitando i rischi di dannose contrapposizioni ed oggi molte aziende si misurano con questo tipo di scelta per ampliare il carnet dell’offerta e per dare forza al loro impegno di ricerca della qualità, che non è mai raggiunta una volta per tutte, ma sempre in progress.

La scelta della qualità e l’alto valore simbolico di alcuni di questi vini hanno determinato una chiara influenza anche nell’orientamento del gusto e nell’approccio al consumo e possiamo dire certamente che una delle cause che ha spinto e sta spingendo il vino da bene di consumo di base-alimento, a valore di status, a tendenza, a vero e proprio bene culturale, in parte, si deve anche a questo tipo di produzioni ed all’effetto positivo che hanno innescato nell’immaginario… Il vino non più bevanda rozza ed antica, ma moderna e capace di produrre suggestioni, emozioni, piacere e gioia di vivere in molti momenti ed abbinamenti della vita quotidiana e in un nuovo rapporto con il territorio, l’ambiente proiettato ad uno stile di vita capace di garantire salubrità e benessere fisico e spirituale. Innovazione e qualità, valorizzazione del territorio e nuovi modelli di sviluppo rurale, stile di vita: è chiaro il ruolo che hanno avuto Istituzioni e Aziende nell’affrontare, con determinazione, questo percorso non esente da rischi ed incertezze. Giusto, pertanto, è il riconoscimento che Andrea Zanfi tributa alla saggezza dei produttori, alla grande professionalità dei loro tecnici e degli enologi, che con queste scelte si sono misurati contribuendo, non poco, alla crescita a livello internazionale del peso e del prestigio, sempre più indiscusso, dei vini di qualità Made in Italy. Buona degustazione!!!

Flavio Tattarini Pres. Ente Nazionale Vini Enoteca Italiana

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iSupertuscans di Andrea Zanfi

Era tanto tempo che avevo nella penna que-

sto libro, ma ogni volta che mi ripromettevo di affrontare tale progetto editoriale ero assalito da paure e remore dovute un po’ al blasone di alcuni vini, osannati in tutto il mondo, e un po’ all’importanza dei “vignaioli”, conosciuti ovunque. Le mie erano paure che trovavano conferme e giustificazioni anche nel fatto che nessun altro, fino a oggi, aveva provveduto a colmare una lacuna editoriale che perdurava da più di quindici anni, scrivendo un saggio o un libro su questi grandi vini che, con il loro ingresso sul mercato, avrebbero dovuto segnare un momento importante per tutta l’enologia mondiale. Mi domandavo quali difficoltà e quali insidie nascondeva un simile progetto e quali conoscenze richiedeva un’opera così particolare. Di una cosa ero certo: se fossi arrivato un giorno a scrivere un libro così, non mi sarei impegnato nella descrizione pedissequa dei più bravi

della classe o nella spasmodica ricerca dell’esaltazione del prodotto “vino” fine a se stesso. I miei interessi, volti da sempre verso l’uomo inteso nella sua interezza e nella sua globalità, mi hanno portato ad approfondire le mie conoscenze enologiche interpretandole e osservandole proprio come espressioni comportamentali che all’uomo afferiscono e che dall’uomo dipartono. È proprio in questo universo enologico che l’uomo detta i tempi e i modi delle sue azioni; è in esso che interagisce con la natura, è in esso che si sperimenta e si mette alla prova, che valuta le sue possibilità di successo e scommette sulle proprie capacità. Sì, doveva essere proprio “l’uomo” l’elemento che poteva creare il collante di un simile e complesso universo che vedeva citati nel volume così tanti personaggi e così tanti vini, intorno ai quali giornalisti di tutto il mondo avevano provveduto a sciorinare fiumi di parole e votazioni secondo un loro sindacabile giudizio. Erano le peculiari caratteristiche dei vignaioli che mi avrebbero consentito, forse, di non essere banale nel libro che avrei scritto; forse i loro racconti e le loro storie mi avrebbero condotto a comprendere cosa c’è davvero dietro e dentro a quei meravigliosi vini. Che cosa avevo dalla mia parte? Una grande conoscenza del territorio toscano, una discreta panoramica sulla produzione vinicola, una grande passione e un desiderio infinito di curiosità. Quali vini avrei dovuto scegliere? Non potevo assumermi completamente la responsabilità di divenire “censore” di un vino, ma dovevo rimanere il più possibile neutrale, al di sopra del giudizio che altri, nel tempo, avevano espresso in termini

qualitativi su quei prodotti classificandoli nel gotha dei “Supertuscans”. Un altro mio grande problema era anche l’utilizzo di quel neologismo inglese; infatti, da buon “etrusco” come io sono, per la pubblicazione avrei preferito utilizzare un titolo italiano. Avevo una forte perplessità anche sul fatto che molti non conoscono il significato di questa parola e poi era molto lontano dal mio pensiero quel modo di fare anglosassone, di estrema classificazione di ogni cosa, anche di ciò che non è classificabile. Certamente avrei fatto molta più fatica a coniare un altro termine e, forse, non ve ne era nessun altro che avesse una simile completezza da poter racchiudere in sé un messaggio del genere. Del resto, ci doveva pur essere stato un motivo per cui gli statunitensi non avevano coniato un termine che identificasse i “Superveneto” o i “Superpiemonte”, ma un “Supertuscan” sì... Quante domande si andavano sommando una all’altra, domande che mi affollavano la mente, come quella che riguardava il come e il perché erano nati questi vini; domande alle quali la mia penna aveva voglia di dare risposte. Fra questa moltitudine di quesiti ve ne erano alcuni che sembravano insolubili. Vi era, per esempio, quello che riguardava la strategia che aveva innescato la deflagrazione iniziale: era stato lo scoppio di una scintilla isolata a dare il via al successivo processo d’affermazione collettivo di questi vini? Oppure era stata una più lenta evoluzione che aveva visto nel tempo singole strategie divenire forza dirompente sul mercato? Quali stimoli vi erano alla base di un simile movimento? I Supertuscans erano stati un valido strumento proletario per far emergere il piccolo sul grande produttore? O era stato il semplice piacere di appassionati vignaioli di percorrere nuove strade enolo-

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giche ad aver dato il “la”? Dubbi e domande alle quali ho cercato di dare risposte che spero scoprirete fra le righe di questi miei brevi racconti sui vignaioli di Toscana. Quando sono partito con questo progetto, io pensavo che la causa scatenante del fenomeno dei Supertuscans dovesse da me essere ricercata nella fervida mente di questi personaggi che avevano rivolto, doverosamente, da buoni vignaioli, le loro grandi potenzialità creative verso il loro vino, riuscendo a realizzare, nel corso di pochi decenni, prodotti unici, inimitabili, capaci di carpire l’attenzione degli amanti del buon bere di tutto il mondo. Io immaginavo tutti loro come dei grandi ricercatori e sperimentatori, alchimisti della vite e del vino, i quali, dopo aver percorso tutte le strade percorribili che istituzionalmente erano concesse loro dalle DOC e dalle DOCG, all’inizio degli anni Ottanta avevano ritenuto doveroso evolversi, attraverso le IGT, per cavalcare le nuove frontiere della conoscenza e della scienza ed entrare nella storia del futuro. Parlando con loro ho scoperto, invece, che i Supertuscans sono nati negli anni Settanta dalle ceneri della più grande disfatta enologica che il mondo vitivinicolo toscano abbia subìto, una débacle storica che aveva avuto come regìa l’ignoranza degli stessi attori di oggi, i quali, chiusi nella propria torre d’avorio, erano rimasti osservatori inerti del grande processo di ricerca qualitativo che si era messo in moto in tutto il mondo enologico. Sordi, ciechi e muti, alla fine si ritrovarono a bersi i milioni di litri di vino prodotto che nessuno voleva più neanche in regalo... È questa la storia che leggerete seguendo le vicende dei personaggi che, senza remore, ammettono delle grandi verità lungo l’arco

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degli ultimi trent’anni; leggendo come si raccontano, noterete delle metamorfosi meravigliose, comprenderete come degli anonimi bruchi siano divenuti delle meravigliose farfalle o come dei contadini siano diventati prima vignaioli e poi “vinattieri” riscoprendo l’antica arte fiorentina che contraddistingueva chi aveva arte a lavorar la terra e a vender vino. Potrete comprendere come sia stato possibile creare un nuovo “rinascimento enologico” toscano, un Rinascimento che, come cinquecento anni fa, mette anche questa volta al centro dell’universo il pensiero dell’uomo e che vede il vignaiolo, oggi, al centro del mondo del vino. Nel corso del libro scoprirete personaggi unici che sembrano usciti dalle vecchie storie popolari, imprenditori, figli d’arte, giornalisti, pubblicisti, agronomi e semplici vignaioli, marchesi e conti, principi e vassalli. Qui troverete la storia dell’enologia toscana, che propone, a ogni “ritratto”, uomini che l’uno all’insaputa dell’altro hanno cercato di superarsi e di accrescere le proprie conoscenze tecniche in una continua evoluzione copernicana che li ha coinvolti e appassionati tutti, coadiuvati da una terra che li ha aiutati e che, a prescindere dall’indirizzo enologico che ognuno di loro ha intrapreso, li ha saputi ripagare con frutti unici. Sarete accompagnati per mano da vecchi e nuovi vignaioli nel viaggio che vi condurrà alla scoperta delle radici del loro divenire; noterete le sfumature personali che hanno suggerito loro scelte vitivinicole importanti, talvolta radicali. Scelte che in fondo rispecchiano la loro personalità e che sono difese con intransigenza come se la loro immagine dipendesse dall’aver utilizzato più o meno Sangiovese o più o meno Cabernet. Scelte enologiche che ancora oggi non rap-


presentano la Toscana, la cui immagine è affidata principalmente alle DOC e alle DOCG, ma che sicuramente esprimono il terroir sulle quali sono state applicate. Rinascimento delle idee e dei concetti, quindi; una vera rivoluzione del territorio più che un’evoluzione; rivoluzione che dopo trent’anni, pur avendo esaurito la spinta iniziale, ha innescato meccanismi importanti nell’enologia di questa regione. La comparsa dei Supertuscans ha cambiato indubbiamente il corso della storia enologica toscana nella quale si è modificata ogni singola fase d’approccio al problema “vite” e “vino”. Trent’anni di storia. Dobbiamo riconoscere che questo è un periodo molto breve, ma intenso, in cui i fatti hanno superato i pensieri. Un brevissimo tempo in cui sono stati osannati i nuovi filosofi e i nuovi scienziati del “buon bere”, più che i contadini e i vignaioli; un tempo che ha contribuito, comunque, ha costruire una maggiore coscienza d’attenzione verso il prodotto. In questi anni vi è stata un’evoluzione generale del comparto vitivinicolo che ha coinvolto grandi e piccoli produttori, i quali,

attraverso l’impegno e l’ingegno, sono riusciti a porsi all’attenzione internazionale con questi grandissimi vini, anche se in alcuni casi è bene parlare di vini solo “virtuali”, visto l’esiguo numero di bottiglie prodotte. Oggi c’è bisogno che questo patrimonio culturale non vada perso e con esso si possa costruire per il futuro, eventualmente con una stilistica operativa che sia in grado di rappresentare tutti i Supertuscans, creando punti di riferimento precisi che sappiano identificare sempre più la loro toscanità. Spero che leggendo questi ritratti possiate comprendere come i sogni si siano trasformati in realtà e come essi siano stati, per questi vignaioli, degli splendidi compagni di viaggio. Da parte mia ho solo cercato di fotografarli per riproporveli come io li ho veduti; ho cercato di raccontarvi la storia di un movimento vitivinicolo, non solo attraverso un racconto, ma anche attraverso il vino, così da potervi consentire di scoprire in quelle bottiglie e in quelle sfumature cromatiche, sensoriali e sensuali, i ritratti dei vignaioli toscani.

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La parola agli enologi I Supertuscans hanno assolto a due compiti che poi sono risultati fondamentali per l’enologia, per la viticoltura toscana e per l’affermazione dei vini toscani nel mondo. Hanno fatto capire le potenzialità enologiche del nostro territorio e hanno consentito ai vini di lunghissima tradizione, tra i quali quelli del Chianti Classico, di individuare un percorso di crescita qualitativo poi realizzato.

Renzo Cotarella

I Supertuscans sono vini di qualità superiore, che nella realtà chiantigiana devono esprimere un carattere ben deciso, grande eleganza e finezza; le sensazioni gustolfattive, mai invadenti, troppo dense e concentrate, si devono armoniosamente fondere per donare un quadro d’insieme di gran classe. Sono vini destinati a durare negli anni, aumentando nel tempo la loro piacevolezza e la capacità di trasmettere emozioni.

Maurizio Alongi

I Supertuscans sono la “Formula 1” della Toscana enologica, dove tutte le tecniche viticole ed enologiche sono spinte al massimo per valorizzare il terroir con passione e fantasia. Chiaramente poi tutti i vini ne risentono in positivo; con la spinta dei Supertuscans, sia la viticoltura che l’enologia toscana negli ultimi anni si sono affermate ovunque.

Nicolò d'Afflitto

I Supertuscans esprimono diverse filosofie a seconda del contesto in cui vengono valutati. Se penso alla storia, alla loro nascita, credo che abbiano permesso ai produttori più orgogliosi di uscire da una situazione di immagine e di qualità veramente compromessa. Sono stati la scialuppa di salvataggio che ha permesso, al Chianti prima, e a tutta la Toscana poi, di abbandonare quella nave che stava ormai affondando, che era la viticoltura, intenta solo a riempire le cantine senza preoccuparsi di cosa si metteva dentro le botti. Oggi che la nostra enologia ha raggiunto la "terra ferma" e che le varie denominazioni riescono ad esprimere vini di grande spessore legati al territorio, i Supertuscans rappresentano comunque un’opportunità per esprimere, anziché il territorio, lo stile, la personalità e la filosofia del produttore e dell’enologo. Rappresentano dunque un laboratorio per tentare nuove strade che non siano alternative alle denominazioni, ma complementari. Credo che nel mercato ci sia spazio per entrambe le tipologie senza che necessariamente ci debba essere una forte contaminazione tra di esse (oculato uso dei vitigni non tradizionali). Altro fondamentale compito svolto dai Supertuscans è quello di dare la possibilità a produttori di aree emergenti di farsi conoscere e di collocarsi nella fascia dei produttori di qualità.

I Supertuscans rappresentano la ricerca della massima espressione di un territorio.

Leonardo Bellaccini

Vittorio Fiore

Carlo Ferrini I Supertuscans sono vini che esprimono la libera interpretazione del potenziale qualitativo di una data area produttiva della Toscana (terroir), da parte di tecnici e produttori che hanno ritenuto di poter trovare nuove proposte produttive al di fuori delle “gabbie” normative costituite dai Disciplinari di Produzione dei vini a DOC e a DOCG, così come sono stati e vengono proposti dalla ufficialità.

I Supertuscans sono stati una molla essenziale al nuovo modo di concepire il vino da parte del consumatore italiano; • Sono il simbolo della creatività e della capacità innovativa dei produttori toscani sempre ispirati da una cultura vinicola orientata all’alta qualità. • Sono la prova della vocazione delle terre di Toscana a produrre grandi vini anche diversi da quelli delle antiche tradizioni. • Sono la dimostrazione che quando si è vicini al consumatore e se ne avvertono le esigenze è il produttore stesso che si impone regole di disciplina e qualità nella produzione. • Sono una fuga in avanti rispetto al sistema legislativo che regola i vini di origine italiani che, auspicabilmente, dovrà adeguarsi a nuove esigenze.

Ambrogio Folonari Con il termine “Supertuscans” amo pensare a dei vini che esprimono nel nome del territorio l’internazionalità qualitativa del vino, dei vini che con la loro eleganza ed equilibrata concentrazione riescono a comunicare una collinare passione enoica.

Andrea Giovannini Secondo me i “Supertuscans” sono nati principalmente per uscire dai rigidi schemi dei disciplinari delle DOC e DOCG che limitano l’utilizzo di vitigni alternativi a quelli tradizionali, permettendo il raggiungimento di una qualità di vino che alcuni mercati importanti richiedono.

Giorgio Marone

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I Supertuscans rappresentano la volontà di proporre quanto di meglio può offrire un territorio in termini di qualità, senza i freni imposti in passato da disciplinari di produzione arcaici e fatti male (basti pensare che fino a pochi anni fa nel Chianti era prevista l’aggiunta del Trebbiano e a Montalcino era obbligatorio invecchiare il vino per 3 anni in legno). Man mano che i vari disciplinari vanno ad aggiornarsi secondo i canoni della qualità, credo che molti Supertuscans potranno rientrare nei ranghi delle varie DOC e DOCG. Per cui i Supertuscans sono stati i precursori della qualità e se oggi la Toscana è considerata la regione italiana più interessante per i vini di qualità, il merito è indiscutibilmente dei Supertuscans.

Fabrizio Moltard

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La filosofia che sostiene lo sviluppo del progetto Petra è quella comune al gruppo Terra Moretti: generare valore nel territorio attraverso un pensiero di qualità. Nei vini di Petra, questo valore si identifica con la sincerità e la naturalità. La nostra viticoltura non sarà mai aggressiva, bensì completerà il disegno della natura.

Francesca Moretti


Potrebbe sembrare una contraddizione, per uno come me che ha da sempre creduto nel Chianti Classico, parlare a sostegno dei “Supertuscans”. Ma lo spirito che mi ha indotto negli anni ’80 a produrre questa tipologia di vini, non scalfisce assolutamente il mio rispetto per la DOCG, ma si integra perfettamente nella valorizzazione di questo territorio. Per farmi capire prendo in prestito da Wittgenstein il concetto di “famiglia”. Egli utilizza l’esempio del gioco: quali sono le caratteristiche che lo contraddistinguono? È qualcosa che si fa esclusivamente in due? No, esistono anche i giochi di squadra. Lo si fa solo per vincere? No, perché è un gioco anche il girotondo. È qualcosa che richiede un notevole impegno fisico? No, perché ci sono anche i giochi da tavolo. E così via. In pratica chiamiamo “gioco” tante cose diverse e vediamo in esse una rete complessa di somiglianze che si incrociano a vicenda. Ecco cosa sono per me i “Supertuscans”: una vasta tipologia di vini, diversi per origine e varietà, che attraverso dei legami complessi devono ricondurre il degustatore a riconoscere il terroir toscano e quindi a mettere in rilievo la genesi comune con il Chianti Classico, il Brunello, il Nobile, ecc, ecc.

Marco Pallanti

I Supertuscans rappresentano, sia storicamente che in proiezione, la voglia di uscire dalla mediocrità del vino da commercio, la volontà di affermazione di un territorio, la Toscana, che, più di ogni altro in Italia, ha orgogliosamente e tenacemente lottato per l’affermazione della propria immagine. A chi obbietta che esulano dalla tradizione vorrei chiedere se il Chianti nel fiasco, degli anni ‘70, confezionato da imbottigliatori industriali, lontani anni luce dalla terra e da chi la coltivava, rappresentava meglio la storia e la tradizione toscana... Il perseguimento dell’eccellenza passa attraverso la sperimentazione e perciò attraverso la varietà; il raggiungimento dell’eccellenza richiede in seguito la selezione! Negli anni ‘80 i Supertuscans erano costretti ad uscire da denominazioni create ad hoc per la produzione industriale, adesso questo non è più necessario o addirittura controproducente; i Supertuscans devono rappresentare il meglio della produzione Toscana, un concentrato di toscanità, perciò essere etichettati come DOC, per garantire il massimo ritorno d’immagine sul territorio, lasciando l’IGT ai vini più semplici. Personalmente credo che un vero Supertuscan possa nascere solo da una viticoltura rigorosa, fanatica e senza compromessi; in cantina qualsiasi aggiunta (o sottrazione) diminuisce soltanto il carattere territoriale del vino a favore dell’appiattimento. Con uve di qualità è il territorio che recita da protagonista, all’uomo, il ruolo di gregario!

“Supertuscan” E se ci fosse un “super” di troppo? gli altri tuscans, dai Chianti al Brunello, non possono aspirare a diventare anch’essi “super”? Noi a Ca’ Marcanda vorremmo riuscire a produrre dei buoni “tuscans” in grado di evidenziare nei nostri vini i caratteri della costa toscana che più ci affascinano: eleganza che rifugge l’esibizione, profumi arruffati e mescolati dal vento, luminosità e solarità, freschezza delle brezze notturne, sonorità dell’aria. A Bolgheri c’è tutto questo e molto di più. Se solo sapremo interpretarlo...

Guido Rivella I Supertuscans sono stati un’opportunità per dare libertà alla creatività anche in enologia: i vecchi disciplinari di produzione con le loro strette regole, non solo impediscono l’utilizzo di certi vitigni, ma addirittura in certi casi arrivano ad obbligare l’inserimento di uve bianche nell’uvaggio di alcuni vini rossi, oltre a codificare i tempi e le modalità di affinamento in legno. Perché rimanere prigionieri della tradizione quando questa finisce per essere vissuta solo come un vincolo, anziché uno spunto di riflessione e osservazione da cui partire per immaginare e sognare qualcosa di nuovo e di grande?

Supertuscans come “fuga” dalla tradizione... No di certo!!! Supertuscans come espressione possibile di un territorio, la Toscana, che a livello di uve rosse sa esaltare la qualità di vini a valenza internazionale e porli all’attenzione e a confronto con analoghe tipologie provenienti da tutto il mondo.

Bruno Trentini I Supertuscans sono Toscani col carattere di noi Toscani: forti ed amichevoli, sinceri ed ironici, raffinati di antica stirpe e scanzonati fino a sfiorare la volgarità, inimitabili senza superbia. Il Sangiovese è un vitigno che quando ha voglia di essere grande..., solo Dio è più grande! Non dovendo pagare a caratteri particolari e marcanti la propria grandezza è amichevole con i vitigni che lo accompagnano nei Supertuscans, ma preferisce quelli di seconda generazione Toscana, con accento già meno varietale. Il Sangiovese è amichevolmente Supertuscan.

Paolo Vagaggini

Gabriella Tani

Francesco Saverio Petrilli

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Ritratti di Vignaioli in Toscana


Agricola San Felice Quando una persona si trova immersa in una realtà variegata e articolata com’è quella di San Felice, diventa estremamente difficile descrivere le diverse sfaccettature che regolano l’attività aziendale. Indubbiamente c’è bisogno di soffermarsi un attimo per capire e comprendere fino in fondo le motivazioni che hanno spinto la proprietà a operare in un senso o nell’altro, in quanto si tratta di azioni che con il tempo hanno contribuito, passo dopo passo, a collocare quest’azienda nell’elenco delle più importanti realtà vitivinicole della Toscana. Mi piace definire San Felice con il cliché di “grande laboratorio a cielo aperto”: 710 Ha, con 180 Ha di vigneto; un laboratorio che ha saputo plasmare, modificare e interagire con il territorio nel quale è stato collocato. Questo laboratorio, aperto dall’attuale proprietà nel 1978, fin dall’inizio vide uomini, mezzi e risorse finanziarie orientarsi verso l’obiettivo di un innalzamento qualitativo della produzione della tenuta. Erano anni difficili, anni in cui tutta l’agricoltura stava attraversando un grande e profondo momento di crisi ed è in questo contesto, in questo trend negativo, che assume una rilevanza storica e strategica la visione lungimirante della proprietà, che proprio negli anni bui investì, non solo nel potenziamento di tutta la filiera agricola, ma anche nella ristrutturazione e nella rivalutazione di tutto il patrimonio immobiliare e soprattutto nel borgo medioevale di San Felice, con la realizzazione di un agriturismo e di un albergo che dal 1992 fa parte della catena dei Relais Château International. Erano anni dove non era facile intravedere e riscontrare in giro una decisionalità manageriale così spiccata e forte nei confronti della terra e soprattutto del vino. Quindi vino e ospitalità sono stati i due pilastri operativi sui quali si sono mossi e hanno interagito tutti i direttori e le figure professionali che hanno operato a San Felice. Fu proprio con Enzo Morganti, primo direttore della tenuta, che si aprì forse uno dei più interessanti fronti operativi dell’azienda, quello scientifico, riferi-

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to proprio all’attività di ricerca e sperimentazione della viticoltura, un fronte avviato in collaborazione con l’Università di Firenze. Ricerca e sperimentazione rivolte principalmente al miglioramento genetico del Sangiovese ricercando quei biotipi che nel nostro ambiente danno i migliori risultati. Lo studio si è esteso anche alle densità degli impianti e alle forme di allevamento: il tutto solo ed esclusivamente per comprendere e valorizzare al meglio il terroir che San Felice aveva a disposizione. L’altro aspetto, certamente non secondario rispetto alla ricerca scientifica, fu la rivalutazione del patrimonio viticolo della Toscana che interessava direttamente il germoplasma della vite. Infatti, su alcuni appezzamenti di terra della tenuta vennero impiantate oltre 300 varietà diverse rinvenute dai ricercatori dell’Università di Firenze su tutto il territorio regionale e dalle quali abbiamo oggi ottenuto nuove e importanti indicazioni. San Felice è proprio un laboratorio intorno al quale ci misuriamo e con il quale cresciamo, dove la continua ricerca della qualità ci vede proiettati verso il futuro. Siamo comunque anche noi, come del resto molti altri viticoltori toscani, nella trepida attesa di verificare i risultati del duro lavoro fin qui svolto. In questi anni abbiamo dovuto principalmente operare con degli impianti e degli uvaggi che erano stati concepiti per fare “quantità”, mentre da non più di un decennio i vigneti sono stati progettati per fare “qualità”; comunque è solo oggi che gli stessi incominciano a raggiungere un equilibrio vegetativo perfetto, un equilibrio al quale hanno contribuito un’infinità di piccoli processi operativi cui ogni vignaiolo ha dato corso, a partire dalla selezione clonale fino ad arrivare agli impianti che oggi presentano, sull’esempio di altre regioni del mondo, nuove densità e nuovi tipi di potatura. Tutto questo però non si avvale ancora di un background storico da cui poter attingere per comprendere con certezza le risultanze, quindi è giustificata l’attesa per le cose che verranno e noi del “laboratorio” di San Felice, siamo convinti che alcuni di questi risultati si raccoglieranno nei prossimi decenni.


Giovanni Battista Gorio - Leonardo Bellaccini


AGRICOLA SAN FELICE Giovanni Battista Gorio

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Vigorello IGT Toscana Zona di produzione Vigorello è una cuvée di uve prodotte nei vigneti “Capanno di Gosto”, “Vigna del Mugelli” e “La Casa” (quest’ultimo dal 1999), di proprietà dell’Agricola San Felice a Castelnuovo Berardenga, nella zona di produzione del Chianti Classico DOCG.

Tipologia dei terreni I vigneti sono situati su terreni di medio impasto ricchi di scheletro e di argille di origine calcareo-marnosa con tessitura mista derivante dalla disgregazione dell’alberese e del galestro; si trovano a un’altitudine compresa fra i 380 e i 400 metri s.l.m. e hanno un’esposizione a sud-est / sud-ovest.

Contemporaneamente si avvia anche la macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, prosegue per altri 12-15 giorni per il Sangiovese e 8-10 giorni per il Cabernet Sauvignon. Terminata questa fase viene effettuato l’assemblaggio del vino che viene messo in barriques, per un 50% nuove e il resto di secondo e terzo passaggio; qui effettua la fermentazione malolattica e vi rimane per un periodo di 18-20 mesi. Dopo una breve sosta in tini di acciaio e dopo l’assemblaggio delle partite, è imbottigliato per un ulteriore affinamento di 12 mesi.

Quantità prodotta 58000 bottiglie l’anno

Uve impiegate Sangiovese 45%, Cabernet Sauvignon 40%, Merlot 15%

Sistema d’allevamento Guyot e cordone speronato

Densità di impianto

Note organolettiche Il vino si presenta di un colore rosso rubino carico e con un bouquet complesso dove si percepiscono note di violetta e frutti di bosco. Il corpo è pieno, rotondo e ben strutturato, sapido, con tannini morbidi; al retrogusto è molto lungo e persistente.

4000 - 5500 ceppi per Ha

Prima annata Tecniche di produzione La vendemmia si avvia di solito verso il 15 di settembre per il Sangiovese e prosegue poi fino ai primi giorni di ottobre per il Cabernet Sauvignon. Conclusa la vendemmia, gli uvaggi, separatamente, parcella per parcella, effettuano la fermentazione alcolica che procede per 6-8 giorni alla temperatura controllata di 30°C, in recipienti termocondizionati di acciaio inox.

1968

Le migliori annate

1985 - 1988 - 1990 1997 - 1999 - 2000

Sauvignon. La percentuale di Cabernet, che nel 1979 fu del 10%, è andata via via aumentando e dal 1997 si è stabilizzata al 40%. Vigorello deriva dal latino vigor, nome che indica forza, energia e carattere. Il vino raggiunge la maturità dopo 5-6 anni dalla vendemmia, mentre il plateau di maturazione e compreso fra i 5 e i 15 anni.

L’azienda L’Agricola San Felice, di proprietà della RAS, ha una superficie complessiva di 710 Ha, di cui 180 vitati e 18000 piante di olivo, mentre il restante territorio vede la presenza di colture promiscue e boschi. Dal 2003 la San Felice ha incorporato l'azienda Perolla, di proprietà RAS dai primi anni ‘80. Il responsabile tecnico e l’enologo è Leonardo Bellaccini, coaudiuvato da Carlo Salvinelli e Roberta Pugliese.

Altri vini I Bianchi: Perolla Belcaro Vermentino Maremma Toscana IGT (Vermentino 85%, Sauvignon Blanc 15%) I Rossi: Il Grigio Chianti Classico DOCG Riserva (Sangiovese 100%) Poggio Rosso Chianti Classico DOCG Riserva (Sangiovese 90%, Colorino 10%)

Note Mentre nelle prime annate il vino veniva realizzato con utilizzo del solo Sangiovese, a partire dal 1979 è stato aggiunto il Cabernet

Vin Santo del Chianti Classico DOC (Trebbiano Toscano 75%, Malvasia del Chianti 25%)

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Antinori C erte volte, nella mente, cerco d’immaginarmi come poteva essere la mia

Firenze alla fine del XIV secolo. A quei tempi le professioni e i mestieri erano regolati dalle congregazioni delle Arti, e l’imprenditoria fiorentina si classificava in Arti minori, Arti mediane e Arti maggiori. In quelle splendide vie del centro storico, e in particolare nei pressi del mercato, in cui oggi si aggirano frotte di turisti incuriositi, doveva esserci un brulichìo di attività e un vocìo di gente che andava e veniva in un continuo scambio di merci e di idee. È documentato che già dal 1385 Giovanni di Piero Antinori, mio diretto ascendente iscritto all’Arte Fiorentina dei Vinattieri, proponeva ai fiorentini il vino delle sue terre. Infatti, lungo i secoli, almeno uno degli Antinori si è adoperato in quest’arte, con una continuità e una documentazione che è unica e atipica nel suo genere, rispetto a quella di altre famiglie storiche. Ci sono stati in famiglia vescovi, avvocati o altri che hanno svolto le più svariate professioni, ma vi è sempre stato comunque uno di famiglia che inspiegabilmente si è impegnato nell’antica Arte del Vinattiere, seguendo le orme di Giovanni di Piero Antinori. Devo dire che anch’io, come mio padre Niccolò, mi sono sempre sentito attratto dal mondo del vino, fin da quando ero ragazzo e ho proseguito in questa professione fino al punto di impegnarmi, in questi ultimi trent’anni, a elevarla ai livelli che le competono, sia in termini sociali che professionali. Non è stato, però, così semplice come potrebbe far supporre la nostra lunga storia di famiglia e l’euforia che oggi attraversa il mercato del vino. Nel 1960, quando entrai a lavorare in azienda, il vino era considerato un prodotto povero, di massa, e ben presto mi resi conto di quanto fosse difficile operare in un mondo dove esisteva una grande concorrenza che vedeva nel Chianti Classico il nome dei Ricasoli, essere il punto di riferimento, e nel Chianti generico il nome di Ruffino, rappresentare un colosso internazionale. A quei tempi esistevano poche regole: per sopravvivere si faceva molta fatica e non bastava il costante impegno per evitare grandi frustrazioni. Avevo, infatti, appena terminato l’università quando compresi che l’unica arma con la quale noi Antinori potevamo cercare di contrastare queste due

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grandi realtà era una forte dinamicità imprenditoriale abbinata a un deciso innalzamento qualitativo della produzione. Nella nostra organizzazione vi erano troppe cose che non andavano: dalle cantine, che dopo i danni subiti durante la seconda guerra mondiale non avevano più visto gli antichi splendori, alle nostre proprietà, che erano state lasciate per troppo tempo senza un programma di sviluppo che potesse in qualche modo rigenerare quel patrimonio che avevamo avuto in eredità. Un esempio era lo stato di abbandono in cui si trovavano i vigneti della tenuta di Santa Cristina, dove oggi produciamo il Tignanello, vigneti nei quali mio padre aveva piantato del Cabernet con delle marze acquistate, con regolare documento, da un vivaista, un certo Giulio Ferrari, quello stesso che poi si mise, quasi per scherzo, a fare un po’ di spumante... Nel momento del nostro maggiore sforzo di modernizzazione scoppiò la crisi del settore vitivinicolo toscano e in pochi anni ci trovammo ad affrontare un’emergenza alla quale nessuno era preparato. Era chiaro a tutti che la situazione richiedeva un esame di coscienza che portasse a costruire un nuovo “rinascimento” del vino. Uno dei grandi padri di questo rinascimento fu Giacomo Tachis, il nostro enologo. Con lui decidemmo di comprendere perché altre aree non risentivano di quella crisi e fu particolarmente stimolante andare in giro per il mondo a scoprire cosa stesse accadendo. In un nostro viaggio in Francia conoscemmo Emile Peynaud, professore universitario a Bordeaux e grande filosofo del vino, che divenne un meraviglioso maestro, e in America venimmo a conoscenza dei “pionieri” californiani che con il loro spirito da cercatori d’oro stavano cavalcando una nuova enologia. Apprendemmo molto da questi viaggi e di conseguenza, una volta tornati, apportammo cambiamenti in molti settori, ma soprattutto cambiai il mio approccio alle problematiche aziendali alle quali detti un solo punto di riferimento: la qualità. Nel 1971 uscimmo con il Tignanello. Il resto è storia di ieri, fatta di nuove scommesse, di nuove sfide, molte delle quali vinte, ma io sono un uomo che non dimentica la sua storia e ricordo alle mie figlie che l’Arte del Vinattiere non è un’arte facile.


Piero Antinori


ANTINORI Piero Antinori

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Solaia IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

Solaia è un cru di uve selezionate provenienti dal vigneto omonimo di 10 ettari posto sul terreno dell’azienda Tignanello che si trova nelle vicinanze di Mercatale Val di Pesa, nel comune di Tavarnelle Val di Pesa, nella zona di produzione del Chianti Classico DOCG.

Dopo la raccolta delle uve, che avviene tra metà settembre e metà ottobre, i pigiati mantenuti separati per varietà vengono inviati ai tini di rovere da 50hl dove ha luogo contemporaneamente la fermentazione alcolica, ad una temperatura massima di 30°C, e la macerazione. La permanenza in questi tini è variabile da varietà a varietà: 15-20 giorni per il Sangiovese e 20-25 giorni per il Cabernet. Al termine i vini vengono introdotti in barriques nuove di Allier e Tronçais mantenendo separate le varietà per lo svolgimento della fermentazione malolattica che termina entro l'anno. I vini sono quindi assemblati e reintrodotti in barriques dove rimangono per 14 mesi. Si procede quindi all'imbottigliamento e ad un successivo affinamento per 12 mesi.

Tipologia dei terreni Il vigneto si trova su terreni che derivano da marne pleistoceniche con calcare e scisto, ad altezze che variano dai 320 ai 400 metri s.l.m. con esposizione e sud.

Uve impiegate Cabernet Sauvignon 75%, Sangiovese 20%, Cabernet Franc 5%

Sistema d’allevamento

Prima annata

1978

Le migliori annate

1985 - 1990 - 1994 - 1997 1998 - 1999 - 2000 - 2001 Note Il vino, che prende il nome dall’omonimo vigneto e che non è stato prodotto nelle annate 1980, 1981, 1983, 1984 e 1992, raggiunge la maturità solo dopo 5-6 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 6 e i 15 anni.

Cordone speronato

Quantità prodotta Densità di impianto

90000 bottiglie l’anno

5400 ceppi per Ha

Note organolettiche Il vino si presenta di un colore rosso rubino molto intenso, con spiccate note fruttate e profumi complessi erbacei e speziati. Al gusto è ben strutturato, potente, con una buona tessitura tannica; al retrogusto è molto lungo e persistente.

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Tignanello IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

Tignanello è un cru delle migliori uve selezionate provenienti dal vigneto omonimo di 47 ettari posto sul territorio dell’azienda Tignanello che si trova nelle vicinanze di Mercatale Val di Pesa, nel comune di Tavarnelle Val di Pesa, nella zona di produzione del Chianti Classico DOCG.

Cordone speronato

Dopo la raccolta delle uve, che avviene tra metà settembre e metà ottobre, i pigiati, mantenuti separati per varietà, vengono inviati ai tini di rovere da 50hl dove ha luogo contemporaneamente la fermentazione alcolica, ad una temperatura massima di 30°C, e la macerazione. La permanenza in questi tini è variabile da varietà a varietà: 15 giorni per il Sangiovese e 20 giorni per il Cabernet. Al termine i vini vengono introdotti in barriques nuove di Allier e Tronçais, per un 50% nuove e il resto di secondo passaggio, mantenendo separate le varietà per lo svolgimento della fermentazione malolattica che termina entro l'anno. I vini sono quindi assemblati e reintrodotti in barriques dove rimangono per 14 mesi. Si procede quindi all'imbottigliamento e ad un successivo affinamento per 12 mesi.

Densità di impianto

Quantità prodotta

5400 ceppi per Ha

330000 bottiglie l’anno

Tipologia dei terreni Il vigneto si trova su terreni che derivano da marne pleistoceniche con calcare e scisto, ad altezze che variano dai 320 ai 400 metri s.l.m. con esposizione a sud-ovest.

Uve impiegate Sangiovese 80%, Cabernet Sauvignon 15%, Cabernet Franc 5%

Sistema d’allevamento

Note organolettiche Il vino si presenta di un colore rosso rubino con lievi riflessi granata e con profumi complessi e note floreali fini di viola, frutti di bosco e spezie. Al gusto risulta ben strutturato, morbido, di buon corpo ed eleganza, con un leggero sentore di legno al palato; al retrogusto è persistente.

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Prima annata

1971

Le migliori annate

1985 - 1990 - 1995 - 1997 1998 - 2000 - 2001 Note Tignanello, in origine Chianti Classico Riserva, deve il nome all’omonimo vigneto. Viene prodotto solo nelle annate migliori e non è stato imbottigliato nel 1972, 1973, 1974, 1976, 1984 e 1992. La caratteristica del territorio conferisce al vino una grande longevità. Raggiunge la maturità solo dopo 5-6 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 6 e i 15 anni.


Guado al Tasso Bolgheri DOC Superiore Zona di produzione

Tecniche di produzione

Guado al Tasso è una cuvée delle migliori uve provenienti dai vigneti posti nella tenuta omonima situata nelle vicinanze del paese di Bolgheri nella Maremma livornese, nella zona di produzione del Bolgheri DOC.

Dopo la raccolta delle uve, che avviene all'inizio di settembre per il Merlot e da metà settembre in avanti per il Cabernet, i pigiati, mantenuti separati per varietà, vengono inviati in serbatoi di acciaio inox termocondizionati dove ha luogo contemporaneamente la fermentazione alcolica, ad una temperatura massima di 30°C, e la macerazione. Al termine i vini vengono introdotti in barriques nuove di Allier e Tronçais mantenendo separate le varietà per lo svolgimento della fermentazione malolattica che termina entro l'anno. Le varietà vengono quindi assemblate e reintrodotte in barriques dove rimangono per 14 mesi. Si procede quindi all'imbottigliamento e ad un successivo affinamento per 12 mesi.

Tipologia dei terreni I vigneti si trovano su terreni che hanno caratteristiche morfologiche con tessitura rocciosa leggermente calcarea e si trovano a un’altitudine media di 55 metri s.l.m. con un’esposizione a sud.

Uve impiegate Cabernet Sauvignon 60%, Merlot 30%, Syrah e altri vitigni a bacca rossa 10%

Sistema d’allevamento Cordone speronato

Quantità prodotta Densità di impianto

140000 bottiglie l’anno

5000 ceppi per Ha

Prima annata

1990

Le migliori annate

1990 - 1995 - 1997 - 1998 1999 - 2000 - 2001 Note Il vino, che prende il nome dall’omonimo podere, raggiunge la maturità dopo 5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione dovrebbe essere compreso fra i 5 e i 15 anni.

L’azienda Complessivamente le aziende Antinori si estendono su una superficie vitata di circa 1500 Ha. Con riferimento alle aziende interessate ai vini indicati, Tignanello ha una superficie di 350 Ha, di cui 147 destinati alla viticoltura, mentre Guado al Tasso si estende su una superficie complessiva di 1000 Ha, di cui 300 destinati alla viticoltura. L’agronomo è Claudio Pontremolesi, l’enologo Renzo Cotarella.

Note organolettiche Il vino, di colore rosso rubino, con riflessi di straordinaria vivacità si presenta con un bouquet intensamente fruttato in cui prevalgono la ciliegia e il ribes, con sentori di tostato, caffè e cioccolato scuro. Al gusto risulta ben strutturato, elegante, morbido, con una forte concentrazione fruttata; al retrogusto è molto lungo e persistente.

Altri vini I Bianchi: Vermentino Bolgheri DOC - Tenuta Guado al Tasso (Vermentino 100%) I Rossi: Badia a Passignano Chianti Classico DOCG Riserva (Sangiovese 100%) Pian delle Vigne Brunello di Montalcino DOCG (Sangiovese 100%)

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Avignonesi M io padre, Ettore Falvo, racconta sempre che il suo grande amore per il vino

lo aveva indotto già alla fine degli anni Sessanta, prima ancora di sposare mia madre Adriana Avignonesi, a cercare di migliorare la produzione vitivinicola della sua azienda, La Selva, dove vi sono oltre 90 Ha di vigne. In quei tempi, quando il vino costava poco più di niente e le informazioni sulle caratteristiche clonali degli uvaggi erano pressoché nulle, risultava molto difficile intraprendere migliorìe profonde non avendo alcun punto di riferimento al quale rivolgersi e, fra le altre cose, neanche la stessa ricerca scientifica italiana aveva avviato processi di sperimentazione con i quali confrontarsi. Tutto era lasciato alla casualità, alla cocciutaggine e alla buona volontà di uomini come mio padre che hanno sempre affrontato le sfide che proponeva il mondo del vino con grande passionalità e con una forte dedizione per il lavoro. Le sue furono piccole sperimentazioni, più che vere e proprie strategie produttive, ma pur sempre iniziative che ebbero comunque il merito di consolidare in lui la certezza che l’unica áncora di salvezza, per chi avesse avuto intenzione di continuare a fare il vignaiolo, era l’innalzamento qualitativo della produzione vinicola, la quale non poteva esimersi dall’azionare in modo forte e deciso anche un’attenta analisi e riqualificazione del settore vivaistico allora inesistente. Fu comunque alla metà degli anni Settanta, alla morte di mio nonno Geo Avignonesi, grande appassionato del Vin Santo, e solo dopo l’accorpamento fra le aziende La Selva e I Poggetti, quest’ultima ereditata da mia madre, e poste entrambe sotto un’unica direzione, che si avviò un lento ma graduale lavoro di rinnovamento degli oltre 170 ettari vitati; un lavoro che ci vede tutt’ora impegnati nell’intento di mantenere un equilibrio perfetto fra viti giovani e viti vecchie. Fu proprio in quell’occasione che vennero studiati i tempi dei reimpianti che vedono un rinnovo degli allevamenti non inferiore ai 6 ettari annui, limite che consente l’utilizzo di uve provenienti dai vigneti che hanno un’età media compresa fra i 15 e 25 anni. Da allora ne è passato di vino nelle botti, e anche noi, come la maggior parte delle grandi aziende, ci siamo piano piano trasformati adeguandoci ai mutamenti del mercato. Non abbiamo, però, dimenticato la tradizione, la storia del territorio a cui apparteniamo e la ricerca che ci vede impegnati oggi, in colla-

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borazione con la facoltà di Agraria dell’Università di Firenze, in un progetto di studio di oltre 95 uvaggi autoctoni, di cui 35 già catalogati. Tutto questo per controllare, negli anni, quali di essi si adattino meglio al nostro terroir, la cui conoscenza è la più efficace arma di crescita che l’azienda possegga, capace di consolidare il presente e di creare il futuro. Ma Ettore non si è limitato soltanto a questo; infatti, alla ricerca scientifica delle varietà clonali, ha affiancato lo studio di una particolarissima tipologia d’impianti denominata Settonce, risalente al periodo romano del II secolo d.C., che vede la sistemazione delle viti in unità di forma triangolare, le quali, unite fra loro, ne vanno a formare un’altra maggiore di forma esagonale, con l’intento di ottimizzare la ventilazione e l’equilibrio vegetativo delle viti. Io, man mano che crescevo, assistevo a tutto questo con molta curiosità, ma anche con la consapevolezza che ciò che mi circondava mi andava stretto, e che soprattutto in esso non volevo essere minimamente coinvolta. “Voglio essere libera di vivere la mia vita” - mi dicevo, e volevo viverla lontano da questo luogo, da questa storia, da questa terra, da Montepulciano, da questo vino che, pur piacendomi, sentivo quasi come una cosa non mia. “Bollori” giovanili, indubbiamente, che conducono, forse anche giustamente, a ricercare strade diverse che si dimostrano nel tempo dure e spigolose, ma che però, a ogni passo ti fanno crescere. Fu così che fra le molte università che avrei potuto scegliere frequentai quella di Veterinaria; fu così che appena ebbi la possibilità fuggii a Londra, dove, dopo diverse esperienze lavorative, finii, guarda caso, a lavorare al Hotel Ritz come wine buyer di quella struttura. Qui, oltre a conoscere mio marito Nico Pannevis, mi riaccostai al vino non più con ribellione, ma in modo rispettoso e con equilibrio, cercando di comprenderne tutte le sfumature e le forze che esso racchiude. Compresi tramite quell’esperienza cosa vi fosse dietro a una bottiglia di vino e, come per incanto, mi furono chiare tutte le parole e tutti i sacrifici di mio padre. È vero che la saggezza non si trova mai dietro l’angolo, “bisogna cercarla” dicono i saggi, e io sono dovuta andare a Londra per trovarne un po’, ma lì, oltre a questa, ho compreso soprattutto dove fosse il mio posto: qui accanto a mio padre.


Elena Falvo


AVIGNONESI Elena Falvo

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Desiderio Cortona DOC Zona di produzione Desiderio è una cuvée ottenuta da un’attenta selezione delle uve di Merlot e Cabernet Sauvignon raccolte nelle aziende La Selva e La Lombarda, di proprietà della società Avignonesi, poste nella zona di produzione del Cortona DOC.

Tipologia dei terreni I vigneti si trovano su terreni con una tessitura di medio impasto con riaffioramenti argillosi, a un’altitudine di 320 metri s.l.m. con esposizione a sud.

L’azienda razione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, prosegue per altri 4-6 giorni. Terminata questa fase i vini effettuano la fermentazione malolattica in barriques di Allier e Tronçais nuove, dove rimangono per 18 mesi. Finito l’invecchiamento e una breve sosta in tini di acciaio dove viene effettuato l’assemblaggio delle partite, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento che prosegue per 9 mesi.

L’azienda La Selva, che è parte integrante dell’aziende di proprietà della famiglia Falvo, ha una superficie complessiva di 98 Ha di cui 70 destinati alla viticoltura, mentre i restanti ettari vedono la presenza di boschi e colture promiscue. La Lombarda ha una superficie di 20 Ha, tutti vitati. Collaborano in azienda l’agronomo Giovanni Bianchi e l’enologo Paolo Trappolini.

Quantità prodotta

Altri vini

50000 bottiglie l’anno

Uve impiegate Merlot 85%, Cabernet Sauvignon 15%

Note organolettiche

Densità di impianto

Di colore rosso rubino con evidenti riflessi viola, il vino ha profumi molto intensi, speziati di pepe, cannella e vaniglia, con note fruttate di ciliegia matura e mora. Al palato risulta avvolgente; in bocca si mantiene potente per un lungo periodo.

7158 ceppi per Ha per il Merlot, 2500 ceppi per Ha per il Cabernet Sauvignon

Prima annata

Sistema d’allevamento Cordone speronato alto per il Cabernet Sauvignon e alberello per il Merlot

Tecniche di produzione Dopo la vendemmia, che avviene per ogni uvaggio con tempi diversi secondo la maturazione degli stessi, ma che, in ogni caso, parte dopo la metà di settembre per il Merlot e ai primi di ottobre per il Cabernet, si avvia la fermentazione alcolica che procede separatamente per le due varietà e si protrae per 15-20 giorni, in ambienti termocondizionati alla temperatura di 28°C in piccoli tini di rovere. Contemporaneamente si procede alla mace-

1988

Le migliori annate

1988 - 1990 - 1997 1999 - 2000 - 2001

I Bianchi: Il Marzocco Cortona DOC (Chardonnay 85%, Sauvignon Blanc 15%) I Rossi: Rosso di Montepulciano DOCG (Prugnolo gentile 85%, Canaiolo nero 15%, Mammolo 5%) Nobile di Montepulciano DOCG (Prugnolo gentile 85%, Canaiolo nero 15%, Mammolo 5%) Vin Santo (Trebbiano, Malvasia, Grechetto) Vin Santo Occhio di Pernice (Prugnolo gentile 100%)

Note Desiderio è il nome del toro chianino del peso di 16,73 q., capo nucleo della Fattoria Le Capezzine dal 1884 al 1889. Il vino raggiunge la maturità solo dopo 4-5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 12 anni.

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Badia a Coltibuono Per me è spontaneo dire che sono nata in mezzo al vino. Quest’affermazione potrebbe sembrare scabrosa detta da un’altra donna, ma se a esternarla è una che come me è vissuta in una famiglia che fa del vino da sempre, c’è poco da scandalizzarsi: è vero! Il mio rapporto con il vino è stato buono anche durante la mia adolescenza e questo piacevole idillio non si è mai interrotto. Ricordo ancora quando, nel periodo estivo, goliardicamente noi ragazzi giravamo per le cantine delle nostre famiglie, io con i rampolli Ricasoli, Mazzei e Martini Cigala. Con i motorini, dopo aver girovagato tutto il giorno, finivamo le nostre serate alla ricerca di una bottiglia di vino, nascosta dai nostri genitori in qualche angolo sperduto, ma non introvabile, ora a casa dell’uno o nella cantina dell’altro. È fin da quei tempi che considero il vino come un piacere della vita e anche con il passare degli anni credo di non essermi discostata mai troppo da questo semplice giudizio. Non ho mai considerato il vino un “affare” o come una delle occasioni imprenditoriali più importanti che potessero accadermi. Il vino è uno strumento ideale per conoscere e legare nuove amicizie, è un coagulante, è un argomento di conversazione: è socializzante, intrigante e avvincente. Negli ultimi anni ho girato molto e mi sono via via resa conto di quanto il vino sia sempre stato presentato in maniera veramente troppo seriosa e pesante. Per me il vino è semplicità e divertimento, è allegria e gioia, non solo per chi lo beve, ma anche per chi lo produce. A testimonianza di questo nella nostra famiglia vi è un principio cardine, quello della “sostenibilità”, che significa lavorare senza intaccare il patrimonio storico e di esperienze che ci è stato tramandato. Inserisco il vino, quindi, fra gli aspetti più semplici della vita e devo dire che lo giudico semplicemente buono o meno buono, e quello buono è solo quello che mi piace, quello che mi fa passare una serata piacevole, che ravviva l’atmosfera e mi mette in comunicazione con gli altri e credetemi che tutto questo non è semplicistico.

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Molti accostano al vino un valore numerico, un punteggio, dei voti, alcuni espressi in bicchieri, altri in grappoli e altri ancora in centesimi. Pensieri legittimi per chi fa un’altra professione, ma che spero non condizionino più di tanto il piacere che accomuna la totalità delle persone nel voler bere un buon bicchiere di vino. Sono solo votazioni e numeri attribuiti da quei personaggi che dalle loro cattedre o dalle loro scrivanie danno giudizi e sparano sentenze. Io per questi non voglio perdere il gusto e il piacere del buon bere e credo che tutto debba essere riportato negli argini della logica, nei parametri del buon senso e nei valori da attribuire alle cose, perché il vino è un semplice e naturale elemento che, dopo l’acqua, è il più bevuto al mondo. Oggi troppi uomini dettano le regole di questo gioco, sempre più complesso, regole tristi che spesso distorcono, che tendono ad allineare tutti e che relegano il vino a semplice strumento rappresentativo del produttore, più che a emerito elemento socializzante del suo territorio di provenienza. Spero che le cose cambino, i tempi si stanno evolvendo, e soprattutto noi donne abbiamo preso coscienza che il vero benessere nel bere un bicchiere di vino, con moderazione e intelligenza, proviene dal piacere e dalle sensazioni che lo stesso trasmette, niente di più e niente di meno. Il vino riesce a rompere la barriera fra la razionalità e l’irrazionalità, riesce a stimolare; è un amplificatore sensoriale ed è proprio per questo che lo considero molto più vicino all’universo femminile che a quello maschile. A Badia a Coltibuono vogliamo continuare a fare dei grandi vini che accompagnino perfettamente il cibo e con esso creino piacevoli sensazioni. Per fare questo applichiamo al nostro saper fare regole semplici che si basano principalmente sull’esperienza accumulata e tramandata in centinaia di anni, sulla tutela e la selezione massale delle nostre viti e sulla protezione dell’ambiente. Siamo certi che quando la natura è in perfetta sintonia con l’ambiente, l’intervento dell’uomo deve essere ridotto al minimo. È una strada diversa che a noi piace però percorrere.


Emanuela Stucchi Prinetti


BADIA A COLTIBUONO Emanuela Stucchi Prinetti

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Sangioveto di Coltibuono IGT Toscana L’azienda

Zona di produzione Questo vino è prodotto dalla selezione delle migliori uve della tenuta Badia a Coltibuono di Gaiole in Chianti inserita nell’area del Chianti Classico DOCG.

filtraggio, è imbottigliato per un ulteriore affinamento che prosegue per 10 mesi.

Quantità prodotta 22200 bottiglie l’anno

Tipologia dei terreni I terreni che ospitano il Sangiovese hanno caratteristiche morfologiche di tessitura calcarea, con abbondante scheletro e si trovano ad un’altitudine di 350 metri s.l.m. e un’esposizione a sud-ovest.

Uve impiegate Sangiovese 100%

Note organolettiche Di colore rosso rubino intenso, il vino si presenta con forti sentori fruttati con prevalenza di ciliegia marasca ben integrata con la nota di vaniglia. Al palato è molto strutturato ed equilibrato con una componente tannica evidente, ma non fastidiosa; al retrogusto è persistente e pulito.

Da circa un secolo e mezzo la famiglia Stucchi Prinetti lega il suo nome e la sua storia a Badia a Coltibuono. Era infatti il 1846 quando un antenato, il banchiere fiorentino Michele Giuntini, acquistò la bella struttura romanica e i poderi circostanti. La tenuta è composta oggi da 800 ettari, di cui 70 dedicati alla viticoltura e 20 dedicati all’olivicoltura, mentre nei restanti vi sono coltivazioni promiscue e boschi. In azienda collabora l’agronomo Claudio Marenghi, mentre il settore enologico è seguito direttamente da Maurizio Castelli.

Altri vini Sistema d’allevamento

Prima annata

Cordone speronato

1980

Densità di impianto

Le migliori annate

6000 ceppi per Ha

Tecniche di produzione Dopo la vendemmia, che avviene fra la fine settembre e i primi di ottobre, si procede alla fermentazione alcolica che si effettua per circa 6-8 giorni alla temperatura controllata di 28°C in recipienti termocondizionati di acciaio inox. La macerazione sulle bucce, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, prosegue per altri 18-24 giorni. Terminata questa fase il vino effettua la fermentazione malolattica in barriques di Allier, solo per il 25% nuove, dove vi rimane per 12 mesi. Terminato questo invecchiamento, il vino è assemblato in tini di acciaio e dopo un breve periodo e un leggerissimo

1982 - 1985 - 1988 - 1990 1995 - 1997 - 1999 - 2000

I Rossi: Chianti Classico - Chianti Classico DOCG Riserva (Sangioveto 90%, Canaiolo 10%) Vin Santo

Note San Zoveto poi divenuto Sangioveto era il nome comunemente dato, in questa zona, al Sangiovese. Il Sangioveto di Coltibuono nasce come un omaggio a quella tradizione medioevale che era orientata verso la produzione di vini di grande purezza. L’età media dei vigneti dai quali si raccoglie il Sangiovese è di 45 anni e sono tutti circondati da boschi secolari. Il vino è da affinare per un lungo periodo in bottiglia così da esaltarne le grandi potenzialità. Raggiunge la maturità solo dopo 56 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 6 e i 12 anni.

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Badia di Morrona Tutte le volte che mi aggiro per queste terre non riesco a pensare a quante storie avrebbero da raccontarmi gli olivi, i cipressi e le mura di Badia Morrona, proprietà dei conti Bulgaro fra il 1089 e il 1109, e poi una delle quattro Badie dei conti di Fucecchio, assegnata ai Monaci Benedettini già nel 1120 e ininterrottamente di proprietà della Chiesa fino alla costituzione del Regno d’Italia, nel 1870. Quasi mille anni di storia convulsa, tumultuosa, ricca d’eventi; storia che ha visto queste colline pisane osservatrici degli eventi, più che protagoniste. Qui si ha l’impressione, godendo della quiete odierna, che il tempo si sia fermato e a questo giudizio contribuisce molto l'andamento dolce dei declivi appena accennati dei campi che in estate si colorano ora del giallo del grano, ora del biondo del granturco, i cui confini sono delineati l’uno o l’altro con il verde delle viti e degli olivi o della macchia mediterranea. Com’è distante la mia Genova... Come sono distanti i miei impegni lavorativi... Ma pur cercando di scordarmi di tutto e di tutti, quando vengo qui basta un niente per riportarmi con i piedi per terra, alla realtà di una tenuta che con i suoi 500 ettari ormai non può più essere considerata una semplice casa di campagna, dove ritrovarsi per qualche fine settimana con gli amici. Oggi Badia è una realtà che richiede impegno e dedizione, soprattutto nel settore vitivinicolo, perché se è vero che qui da sempre si produce del vino è altrettanto vero che soltanto da dieci anni abbiamo incominciato a fare un lavoro di miglioramento dei vigneti, una selezione clonale del nostro patrimonio genetico e una riqualificazione di tutta l’intera filiera produttiva vitivinicola, che gradatamente ci sta conducendo alla creazione di vini di qualità. Sono ormai diversi anni che alla famosa domanda “che mestiere fai?” mi rimane difficile non indicare, fra le mie competenze più specifiche, anche quella di vignaiolo, con sorpresa non solo dei miei interlocutori, ma anche mia, perché non so come la cosa sia accaduta..., ma è accaduta. In ogni modo la sorpresa maggiore rimane il sapere che lo svolgimento di questa mia affascinante professione avviene su un territorio che è, da sempre, più conosciuto come “gra-

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naio” della Toscana che per il vino che vi si produce. Oggi, se qualcosa sta cambiando nel panorama agricolo del territorio, il merito è anche della nostra famiglia, visto che insieme a mio padre Egidio seguo ormai direttamente questo percorso con una passione che non ci riconoscevamo. Ricordo quando nel 1990 decidemmo di cambiare le sorti produttive della tenuta insieme ad un enologo trentino, Corrado Dalpiaz, con il quale l’azienda è stata profondamente riorganizzata sotto l'aspetto vitivinicolo. A quei tempi avevamo, sulla carta, circa 65 ettari, tenuti malissimo da un fattore che non credeva minimamente che in questa zona si potessero realizzare grandi divagazioni sul tema vino. I vigneti, che a programma ultimato arriveranno a circa 80 ettari, via via vengono reimpiantati, passando dai 2500 ceppi agli attuali 6000 per Ha, inserendo nuovi vitigni, come il Cabernet Sauvignon, il Cabernet Franc, il Merlot, il Syrah, ma soprattutto abbiamo cercato di valorizzare il Sangiovese, che raggiunge la sua massima espressione nel nostro VignAalta. Adesso è venuto anche il momento di mettere mano alla costruzione di una nuova cantina, perché quella attuale, dove nel corso degli anni abbiamo comunque investito in tecnologia, non è più in grado di sopportare i carichi di lavoro che la nuova tipologia produttiva comporta. È tanta la strada che abbiamo percorso dal 1990. Alla fine dello scorso anno abbiamo operato una scelta di grande cambiamento, che, dopo un così lungo periodo, era necessaria. Oggi la conduzione enologica dell’azienda è affidata al Dott. Giorgio Marone, uno dei più preparati professionisti del panorama nazionale, che è coadiuvato da un tecnico interno, Arrigo Depaoli, che, tanto per non cambiare troppo, è anche lui trentino e diplomato alla scuola di S. Michele all’Adige. Con questi professionisti e con quelle risorse umane che ci sono rimaste accanto per tutti questi anni, io e la mia famiglia siamo sicuri che non potremmo che migliorare ciò che fino a oggi abbiamo fatto, nella piena convinzione che il nostro operato è stato solo un piccolo passo nel mondo dell’enologia e un piccolo assaggio delle grandi possibilità che offre questa terra con la quale dobbiamo crescere.


Filippo Gaslini Alberti


BADIA DI MORRONA Filippo Gaslini Alberti

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N’antìa IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

N’Antìa è indubbiamente il vino sperimentale dell’azienda che nasce da un’attenta selezione delle uve provenienti dal vigneto di Acquaviva, che si trova nel comune di Casciana Terme, di proprietà della tenuta di Badia di Morrona a Terricciola (PI).

Dopo la vendemmia, che avviene fra il 10 e il 15 settembre, per il Merlot e agli inizi di ottobre per gli altri uvaggi, si procede alla vinificazione in tini da 50 quintali, separatamente per ogni uvaggio. La fermentazione alcolica si protrae per 10-12 giorni a temperature controllate di 28°C. La macerazione sulle bucce, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura prosegue per altri 6-8, mentre per il Merlot si protrae di qualche giorno, sempre a temperatura controllata e coadiuvata da tecniche di délestage e follatura. Terminata questa fase, il vino è posto in barriques di Allier, quasi tutte di primo passaggio, in percentuali che variano a seconda del vitigno; qui, effettuata la fermentazione malolattica, il vino vi rimane per 16 mesi, durante i quali viene travasato ogni 4 mesi. Terminata la maturazione in legno, il vino viene imbottigliato e affinato per 12 mesi in locali termocondizionati; il vino non è filtrato.

Tipologia dei terreni Il vigneto si trova su un terreno che ha una tessitura di medio impasto, franco-sabbioso-argilloso con un’esposizione sud-est, a un’altitudine di 120 metri s.l.m.

Uve impiegate Sangiovese 40%, Cabernet Sauvignon 40%, Merlot 20%

Sistema d’allevamento Cordone speronato basso

Densità di impianto 5680 ceppi per Ha

Le migliori annate

1994 - 1997 - 1999 Note Il nome deriva da una “crasi” toscana: N’Antìa invece che “In Antica”. Il vino raggiunge la maturità solo dopo 4-6 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 6 e i 12 anni.

L’azienda L’azienda, di proprietà della famiglia Gaslini Alberti dal 1939, si estende su una superficie di 500 Ha, di cui circa 75 dedicati alla viticoltura e 18 dedicati all’olivicoltura. Sul restante territorio sono presenti colture promiscue, cereali e boschi di macchia mediterranea. All'interno dell’azienda si trova la Badia di Morrona, oggi casa padronale, che risale al 1000, molto ben tenuta, ma non visitabile. Presenti in azienda buone strutture agrituristiche. Collaborano l’enologo Giorgio Marone e l’agronomo/enologo Arrigo Depaoli.

Quantità prodotta 18000 bottiglie l’anno

Altri vini

Note organolettiche

I Bianchi: La Suvera IGT (Chardonnay 100%)

Di colore rosso rubino con riflessi violacei intensi, il vino si presenta con profumi ampi e concentrati di confettura di frutta rossa, note balsamiche e speziate. Al palato è intenso, caldo, avvolgente, con tannini morbidi e si mantiene in bocca per un lungo periodo.

I Rossi: Chianti DOCG I Sodi del Paretaio (Sangiovese 85%, Colorino e Canaiolo 15%) VignAalta IGT (Sangiovese 100%)

Prima annata

1991

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Banfi Q

uarant’anni fa, quando ci affacciammo per la prima volta in Italia, qui a Montalcino, alla ricerca di un terreno sul quale costruire il nostro sogno, Banfi era già una delle più importanti imprese d’importazione di vino esistenti sul territorio degli Stati Uniti. Mio padre Giovanni, che era nato da genitori italiani nel Connecticut, aveva vissuto la sua adolescenza in casa della zia Teodolinda Banfi, a Milano. Donna di servizio del cardinale Achille Ratti, divenuto successivamente papa Pio XI, dedicò amorevoli attenzioni al “babbo” al fine di non fargli mancare troppo l’amore dei genitori. Quando tornò in America nel lontano 1919, all’età di 19 anni, decise di creare una società d’importazione e per riconoscenza la battezzò con il nome di quella dolce donna che gli era stata accanto per tutti quegli anni. All’inizio si occupò solo dei vini italiani, ma già a quei tempi le strategie aziendali si orientavano al soddisfacimento del cliente finale, che giudicava i vini italiani duri e di qualità incostante; vini che trovavano spazio quasi esclusivamente sulle tavole dei tanti emigrati, ma non arrivavano al grande pubblico. A quei tempi, e fu così per molti anni ancora, la qualità era demandata ai cugini francesi che avevano in mano la quasi totalità del mercato medio-alto della ristorazione americana. Così “Banfi” si mise a importare in America le più grandi firme dell’enologia francese con le quali strinse rapporti in esclusiva che durano ancora oggi a distanza di così tanti anni. Dopo la mia laurea in Economia e Commercio viaggiai molto per l’Europa, passando dalla Provenza alla Borgogna, fino ad approdare di nuovo in Italia, dove trovai una produzione vinicola orientata essenzialmente sulla quantità e non sulla qualità. Io sapevo, assaggiando qua e là il vino, che il territorio italiano, e in special modo quello toscano, poteva dare dei risultati eccezionali e inoltre eravamo convinti, come “Banfi”, che dovevamo valorizzare le nostre importazioni di vino italiano negli Stati Uniti. Alla fine degli anni ‘60 incominciammo a importare del Lambrusco, studiato dai nostri enologi per il mer-

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cato americano, perché sapevamo di cosa aveva bisogno il nostro consumatore. Facemmo un vino senza aggiunta di zuccheri, con solforosa molto bassa, un vino da 9 gradi alcolici, con degli zuccheri non fermentati e un po’ di frutto residuo e lavorato secondo il metodo charmat. Fu subito un grande successo: 150 milioni di casse di vino all’anno importate. Con questa operazione abbiamo fatto assaggiare il vino a milioni di americani, molti dei quali fino a 35 anni or sono non ne conoscevano neanche l’esistenza, ma soprattutto il loro palato era abituato solo alla birra o alla Coca Cola. L’incontro poi, con giovani, intelligenti e brillanti professionisti italiani fu determinante per la realizzazione del mio progetto; infatti era nelle mie intenzioni dar vita ad un’azienda che producesse vini d’alto livello per il mercato americano che gradatamente si stava abituando al buon bere. Ricordo ancora che i miei collaboratori italiani di allora, dopo aver ascoltato attentamente il progetto Banfi, mi dissero: “per fare quello che ci chiedi ci vogliono due cose: la tua fiducia e molti soldi”. Abbiamo lavorato sodo in questo territorio di Montalcino, unico al mondo per tradizione e cultura vinicola, e francamente oggi sono soddisfatto di ciò che abbiamo realizzato, ma non credevo di arrivare a simili traguardi e a questi risultati. Oggi il Castello Banfi, adagiato fra i fiumi Ombrone e Orcia, è una bella realtà che conta circa 3000 ettari, di cui 850 a vigneto specializzato. Questa è la testimonianza di quanto impegno abbiamo profuso in questi anni per questa terra, alla quale mi sento particolarmente legato; tutto questo non è solo business, ma un dovuto atto d’amore verso un territorio e verso quelle persone che in questi anni mi hanno ripagato in modo splendido. Quando mi domandano quali dei vini che commercializziamo io ami di più, rispondo che io adoro bere esclusivamente i buoni vini, quelli di qualità; e qui a Montalcino ne facciamo di buoni vini, che mi avvicinano sempre più a questo territorio e mi convinco che venire qui è stata una delle migliori scelte che io potessi fare nella mia vita.


John e Cristina Mariani


BANFI

John Mariani

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Summus Rosso DOC Sant’Antimo Zona di produzione

Densità di impianto

Note organolettiche

Summus è un vino ottenuto dalla selezione delle uve provenienti dai vigneti di proprietà della Banfi S.p.A. a Montalcino nella zona collinare a sud del Comune.

Sangiovese 4100 ceppi per Ha; Cabernet Sauvignon 2100 ceppi per Ha; Syrah 2100 ceppi per Ha

Tipologia dei terreni

Tecniche di produzione

Il vino si presenta di un colore rosso rubino molto intenso e con dei profumi complessi, con spiccate note varietali sia del Cabernet, sia del Syrah. Al gusto è ben strutturato, potente con una buona tessitura tannica; al retrogusto è molto lungo e persistente.

I terreni che ospitano il Sangiovese hanno caratteristiche morfologiche di tessitura franco-argillosa, calcarea con abbondante scheletro e si trovano a un’altitudine di 250 metri s.l.m., con un’esposizione a sud; i terreni che ospitano il Cabernet Sauvignon hanno caratteristiche morfologiche con tessitura sottile, limosi con breccia e ciottoli e si trovano a un’altitudine di 130 metri s.l.m., con un’esposizione sud-ovest; i vigneti che ospitano il Syrah hanno caratteristiche morfologiche di tessitura francoargilloso-calcarea e sono posti a un’altitudine di 120 metri s.l.m., con un’esposizione sud-ovest.

Dopo la vendemmia, che avviene per ogni uvaggio con tempi diversi secondo la maturazione degli stessi, e che in ogni caso inizia alla metà di settembre e si protrae per tutto ottobre, si effettua la fermentazione alcolica che procede separatamente per ogni varietà e va avanti fra i 4-8 giorni alla temperatura di 15-16°C in recipienti termocondizionati di acciaio inox. La macerazione sulle bucce, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, prosegue invece per altri 10-18 giorni a temperature controllate comprese fra i 28 e i 30°C. Terminata questa fase, i vini, separatamente e senza bisogno di alcuna chiarifica, effettuano la fermentazione malolattica in barriques di Allier nuove e di secondo passaggio, dove vi rimangono per 12 mesi. Trascorso questo periodo è effettuato l’assemblaggio delle partite e il vino è nuovamente rimesso in barriques dove vi rimane per altri 8 mesi, Dopo una breve sosta in tini d’acciaio inox, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 12 mesi.

Uve impiegate Sangiovese 45%, Cabernet Sauvignon 40%, Syrah 15%

Sistema d’allevamento Cordone speronato

Prima annata

1985

Le migliori annate

1990 - 1995 - 1997 1999 - 2000 - 2001 Note Il Sangiovese è prodotto da uve ricavate da una selezione clonale fatta direttamente in azienda. Vino ottimo sia giovane, sia dopo un buon invecchiamento.

Quantità prodotta 60000 bottiglie l’anno

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Excelsus Rosso DOC Sant’Antimo L’azienda

Zona di produzione Excelsus è un vino ottenuto dalla selezione delle uve provenienti dai vigneti di proprietà della Banfi S.p.A. a Montalcino nella zona collinare a sud del Comune.

Tipologia dei terreni I terreni che ospitano il Cabernet Sauvignon hanno caratteristiche morfologiche con tessitura franco-argilloso-calcarea e si trovano a un’altitudine di 220 metri s.l.m. con un’esposizione sud / sud-est; i vigneti che ospitano il Merlot hanno caratteristiche morfologiche di tessitura franco-sabbiosa, calcarea con abbondante scheletro arrotondato e sono posti a un’altitudine di 170 metri s.l.m., con un’esposizione sud-ovest.

mocondizionati di acciaio inox. La macerazione sulle bucce, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, prosegue invece per altri 10-12 giorni a temperature controllate comprese fra i 28-30°C. Terminata questa fase, i vini, separatamente e senza alcuna chiarifica, effettuano la fermentazione malolattica in barriques di Allier nuove dove vi rimangono per 14 mesi. Durante questo periodo è effettuato l’assemblaggio delle partite, dopo di che il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 12 mesi.

Quantità prodotta 25000 bottiglie l’anno

Uve impiegate

Note organolettiche

Cabernet Sauvignon 60%, Merlot 40%

Densità di impianto

Il vino si presenta di un colore rosso rubino profondo con riflessi granata e con dei profumi complessi con le note caratterizzanti del Cabernet e del Merlot. Al gusto risulta ben strutturato, elegante, morbido, fine; al retrogusto è molto lungo e persistente.

Cabernet Sauvignon 4100 ceppi per Ha; Syrah 4100 ceppi per Ha

Prima annata

Sistema d’allevamento Cordone speronato

1993

Tecniche di produzione Dopo la vendemmia, che avviene per ogni uvaggio con tempi diversi secondo la maturazione degli stessi, e che inizia di solito il 20 di settembre per il Merlot e il 10 ottobre per il Cabernet, si effettua la fermentazione alcolica che procede separatamente per ogni varietà e si protrae fra i 2 e i 4 giorni alla temperatura di 16°C in recipienti ter-

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L’azienda, di proprietà della Banfi S.p.A., si estende per circa 3000 Ha, di cui 850 vitati e 60 dedicati all’olivicoltura. Il restante territorio vede la presenza di boschi e di colture promiscue. All’interno dell’azienda esistono una taverna, un ristorante, un’enoteca e un punto vendita. Collaborano in azienda come agronomo Maurizio Marmugi e come enologo Rudy Buratti.

Altri vini I Bianchi: S. Angelo (Pinot Grigio 100%) Serena (Sauvignon Blanc 100%) Fontanelle (Chardonnay 100%) I Rossi: Brunello di Montalcino DOCG (Sangiovese 100%) Brunello di Montalcino DOCG Poggio Alle Mura (Sangiovese 100% da selezione clonale Banfi) Brunello di Montalcino DOCG Poggio All’Oro Riserva (Sangiovese 100%) Cum Laude IGT (Sangiovese 25%, Cabernet Sauvignon 30%, Merlot 30%, Syrah 15%)

Le migliori annate

1993 - 1995 - 1997 1999 - 2001 Note Vino longevo che si consiglia di bere dopo diversi anni dalla vendemmia, ma che comunque a ogni stagione offre grandi sensazioni.

Moscadello di Montalcino DOC (Moscato bianco 100%)



Barone Ricasoli - Castello di Brolio Potete credermi che portarsi sulle spalle un fardello di quasi mille anni di storia non è un compito molto semplice. È dal 1141 che i Ricasoli si aggirano per queste terre del Chianti e da un così lungo tempo hanno a che fare con la tutela e la protezione di questo meraviglioso territorio; e questo è testimoniato dal Castello di Brolio, dove io sono nato. Certamente quando si è fanciulli non si pone molta attenzione al fatto che i giochi si stiano svolgendo fra mura che hanno visto incontrarsi marchesi, baroni e principi, guerrieri e contadini, e che, generazioni dopo generazioni, hanno tramandato le leggende e gli aneddoti dei tempi che furono. Nato alla metà degli anni cinquanta, appartengo a una generazione che non ha mai gradito di essere imbrigliata da regole ferree, già scritte; quindi, dopo aver trascorso qui la mia giovinezza, ho ritenuto che questa tradizione e questa storia non mi appartenessero molto. Il mio futuro doveva essere lontano da queste mura così possenti e dovevo ricercare la mia gratificazione personale in altre cose, certamente non nella terra o nella vigna, ma nella creatività e nell’espressione comunicativa della fotografia. Fu così che aprii uno studio fotografico pubblicitario. Con il passare degli anni il legame con la terra e con la storia dei Ricasoli incominciò a farsi sentire, dentro di me, sempre più forte. Ogni volta che tornavo, la mia mente si fermava, sempre più, sia a valutare quei momenti angoscianti che stava vivendo la nostra campagna e tutta l’agricoltura in generale, sia a ricordare i miei bei momenti passati a Brolio. Mio padre stava invecchiando ed era rimasto da solo alla guida di un’azienda che aveva pochissime possibilità di sopravvivenza, se fosse continuata, per molto ancora, la crisi del mercato del vino. I canoni amministrativi con i quali era gestita l’azienda non corrispondevano più a quelli che il mercato imponeva; la situazione era molto preoccupante. Avevamo, alla fine degli anni ottanta, da una parte delle vigne vecchissime e non più adatte a essere coinvolte in qualsiasi operazione di rinnovamento, dall’altra una strozzatura venutasi a creare nel tempo nella commercializzazione dei prodotti a marchio Ricasoli; infatti essi erano gestiti da un’altra società, della quale avevamo solo una piccola quota azionaria, e questa società, attraverso un contratto capestro e quan-

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to mai limitativo, ci costringeva da una parte a conferirgli, in esclusiva, tutto il vino prodotto e dall’altra a rimanere impotenti davanti al declino qualitativo del marchio di famiglia, avvenuto negli anni, indubbiamente, per una totale assenza di qualsiasi strategia posta a suo sostegno. Dovevo prendere una decisione e la dovevo prendere molto velocemente vista la situazione. Il dilemma era: lasciare che definitivamente la mia famiglia sparisse dal mondo enologico nazionale o risolvere il problema alla radice, estirpando tutte le cause negative e modificando tutto il modificabile. Optai per la seconda soluzione, con grande piacere di mio padre, ma per far questo volli la massima autonomia decisionale. In poco più di un anno e mezzo, attraverso un’operazione strategica di alto livello manageriale e finanziario, riuscii prima ad acquistare per intero la società commerciale, che oltre a gestire il marchio aveva in esclusiva la vendita di tutti i prodotti vitivinicoli delle aziende Ricasoli, comprese quelle del Castello Brolio, poi riuscii a finanziare tutta la filiera produttiva della società a partire dalle vigne, con programmi che ci vedono impegnati dal 1994 a reimpiantare completamente tutti i nostri 230 Ha di vigneti alla media di 30 Ha l’anno, fino ad arrivare all’ammodernamento tecnologico delle cantine. Come un architetto, ridisegnai in poco tempo le aree operative aziendali, modificai le linee guida strategiche che puntarono all’innalzamento della qualità, cambiai i tasselli portanti dell’impalcatura manageriale dell’azienda mutando la squadra, inserendo giovani e persone dinamiche che avessero, come me, il desiderio di riportare prima possibile il marchio Ricasoli agli onori che gli competono. Tutto questo non è stato semplice e, a tutt’oggi, ritengo che a fronte del breve periodo in cui è stato avviato il rinnovamento, il progetto “Brolio” sia solo all’inizio del suo svolgimento. Ci vorranno forse altri dieci anni prima di riuscire a vedere questo luogo e i suoi vini posizionati nel gradino che da sempre la storia gli ha assegnato una storia che sento oggi appartenermi come non mai e che non mi appesantisce nel mio veloce procedere; una storia che non mi ha fatto perdere l’umiltà e l’abnegazione con la quale, senza compromessi, mi sto dedicando al vino.


Francesco Ricasoli


BARONE RICASOLI - CASTELLO DI BROLIO Francesco Ricasoli

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Casalferro IGT Toscana Note

Zona di produzione Casalferro nasce dalla selezione di grandi uve prodotte nelle vigne dell’azienda del Castello di Brolio di proprietà del barone Ricasoli, posti sui pendii collinari a sud-est di Gaiole in Chianti, nella zona di produzione del Chianti Classico DOCG.

Tipologia dei terreni I vigneti sono situati su terreni che derivano da formazioni plioceniche del sedimento toscano, con tessitura di medio impasto comprensiva di aree sia calcaree, sia sabbioso-argillose; si trovano a un’altitudine compresa fra i 300 e i 350 metri s.l.m. e hanno un’esposizione a sud / sud-ovest.

aperto. Contemporaneamente si avvia la macerazione sulle bucce, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, che prosegue per altri 10-14 giorni per il Sangiovese e 8-10 giorni per il Merlot. Terminata questa fase, ogni parcella effettua la fermentazione malolattica in barriques, nella quasi totalità nuove, nelle quali rimane per un periodo di 18 mesi. Terminato l’invecchiamento è effettuato l’assemblaggio delle partite e dopo un leggero filtraggio, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento di 4 mesi.

Casalferro nasce con l’utilizzo del solo Sangiovese. Dal 1997 è stato inserito il Merlot. Casalferro prende il nome dall’omonimo vigneto dove è a tutt’oggi presente del Sangiovese proveniente dalle antiche vigne di Brolio. Il vino raggiunge la maturità dopo 5-6 anni dalla vendemmia, mentre il plateau di maturazione, viste le caratteristiche che qui sprigionano questi uvaggi, dovrebbe essere compreso fra i 5 e i 15 anni.

Quantità prodotta

La tenuta del Castello di Brolio, di proprietà della Famiglia Ricasoli ha una superficie complessiva di 1200 Ha, di cui 230 dedicati alla viticoltura e 26 dedicati all’olivicoltura, mentre il restante territorio vede la presenza di colture promiscue e boschi. La proprietà si estende sui comuni di Gaiole in Chianti e Castelnuovo Berardenga. Collaborano in azienda come consulenti l’enologo Carlo Ferrini e l’agronomo Massimiliano Biagi.

130000 bottiglie l’anno

Uve impiegate Sangiovese 80%, Merlot 20%

Sistema d’allevamento Cordone speronato

Densità di impianto 3500 ceppi per Ha nei vecchi impianti, 5500 ceppi per Ha (e più) nei nuovi impianti.

Tecniche di produzione La vendemmia si avvia di solito verso il 10 di settembre per il Merlot e prosegue poi alla fine dello stesso mese e nei primi di ottobre per il Sangiovese. Terminata la vendemmia, le uve, separatamente, parcella per parcella, effettuano la fermentazione alcolica che procede per 4-6 giorni a temperature controllate in tini di acciaio a cielo

Note organolettiche Il vino si presenta di un colore rosso rubino carico, con un bouquet complesso dove si percepiscono note di violetta e frutti di bosco Il corpo è pieno, rotondo, ben strutturato, sapido, con tannini morbidi; al retrogusto è molto lungo e persistente.

Prima annata

L’azienda

1993

Altri vini

Le migliori annate

I Bianchi: Torricella IGT (Chardonnay 100%)

1995 - 1997 - 1999 2000 - 2001

I Rossi: Castello di Brolio Chianti Classico DOCG (Sangiovese)

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Biondi Santi Sicuramente il mio è un nome molto conosciuto, un nome indissolubilmente legato alla storia del vino. Ma non è solo un nome, è molto di più: è storia, è tradizione, è un grande amore e una passione enorme che prima i miei avi, poi mio nonno e mio padre, mi hanno trasmesso nel sangue per questo prodotto, per questa terra: sono ben 7 generazioni di Brunello!! È da quando sono nato che ho avuto in bocca il sapore del vino; addirittura raccontano che mio nonno Tancredi, per la preoccupazione che io potessi divenire astemio come mia madre Maria Floria, corrompeva la balia affinché in qualche modo e all’insaputa di tutti mi facesse assaggiare qualche goccia di vino, abitudine che io, del resto, ho mantenuto con i miei figli. La cultura e la tradizione della mia famiglia mi hanno spinto a frequentare la facoltà di Agraria ed Enologia ed a proseguire nell’attività che da circa 200 anni ci vede in prima linea sia nella viticoltura che nell’enologia non solo ilcinese e italiana, ma anche mondiale. Certamente ai miei avi devo, oltre all’amore e la passione per il mestiere di vignaiolo, anche questo mio temperamento libero, ribelle, un po’ anticonformista e sicuramente innovativo, che accompagna la mia vita. E’ lo stesso temperamento che ha consentito al mio bisnonno Ferruccio, continuando gli studi del padre Jacopo e del suo bisnonno Clemente, di tipizzare già nel 1833 il famoso Brunello di Montalcino, esattamente come lo conosciamo oggi. Con questi personaggi alle spalle devo dire che non è una cosa facile appartenere alla storia; ciò richiede tempo, ambientazione, crescita interiore. Non è stato semplice trovarsi davanti al difficile compito di traghettare al futuro un passato così importante che in qualche modo ti appartiene. Quando ti senti definitivamente al timone dell’azienda di famiglia ti rendi conto che non sono le vigne, le terre o le proprietà a rappresentare “la storia”, ma sono, invece, le azioni, il successo e le tradizioni della tua famiglia che hanno contaminato tutto intorno a te e ti trovi a condividere la tua storia con quella dello stesso Brunello. Sai che chi ti ha preceduto ha dato lustro al suo lavoro nella campagna e nelle vigne fino al punto che, oggi, ti trovi ad essere l’unica famiglia italiana ad avere un clone di Sangiovese che porta il suo nome - BBS11. A questo va aggiunta poi la storia in un piccolo paese come

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Montalcino che, come in molti altri piccoli paesi, è stata fatta dagli uomini che hanno contribuito a farlo crescere e a renderlo famoso: è ciò che hanno fatto gli uomini della mia stirpe; in più, se si aggiunge l’onere coscienzioso del dover fornire un contributo tangibile alla causa, come hanno fatto tutti i miei predecessori, forse appare un po’ chiaro a tutti cosa voglia dire, “appartenere” alla storia. E’ stato molto importante per me entrare nel mondo del vino guidato dal grande entusiasmo e dalla grande esperienza di mio nonno Tancredi e di mio padre Franco e poter attingere al loro immenso bagaglio di nozioni ed esperienze accumulate attraverso gli anni. Ma la mia indole ribelle, la mia voglia di innovazioni, dopo un po’ di anni, mi condusse a perseguire altre strade e a realizzare altri vini. Scostarsi dal consolidato, dal certo, da quel Brunello Biondi Santi che è entrato nella leggenda vitivinicola mondiale, poteva significare assumersi un rischio enorme, ma io avevo voglia di fare altre cose, avevo voglia di fare un vino che rinnovasse il lustro delle passate generazioni. Potete immaginare quando, nel 1991, feci uscire la prima annata del “Sassoalloro” come potessi fremere nell’attesa di una verifica certa dell’impatto che lo stesso avrebbe avuto sul mercato dove, un altro vino con il nome Biondi Santi, completamente diverso dal Brunello, ma che fondava le sue radici enologicamente nello stesso vitigno, stava cercando di affermarsi. Fu il suo grande successo a sancire il mio definitivo ingresso nella storia della famiglia Biondi Santi e la mia voglia di stabilire un legame tra la tradizione e l’innovazione mi spinse poi a creare lo Schidione: una esatta e rigorosa selezione del sangiovese del Greppo unita a quei vitigni della nuova frontiera dei grandi vini Toscani a base Merlot e Cabernet Sauvignon. Con questi vini avevo intrapreso la strada sulla quale la mia creatività, la mia professionalità, il mio amore per il vino e la mia vanità di vignaiolo potevano essere pienamente soddisfatte. Tutti vini ai quali ho cercato di dare una forte personalità, in modo che fossero lo specchio fedele sia del terroir delle nostre aziende, come Villa Poggio Salvi, Il Greppo o Il Castello di Montepò, sia del carattere del vignaiolo che li produce, che fossero cioè schietti, sinceri e veri come me.


Jacopo Biondi Santi


BIONDI SANTI Jacopo Biondi Santi

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Sassoalloro IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

Sassoalloro è una cuvée delle migliori uve provenienti sia dai vigneti del Castello di Montepò posti nel comune di Scansano, sia da quelli posti nel comune di Montalcino.

Dopo la vendemmia, che di solito avviene alla fine di settembre, si avvia la fermentazione alcolica del mosto che procede per 6-8 giorni alla temperatura di 23-24°C in recipienti termocondizionati di acciaio inox; contemporaneamente si procede anche alla macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, si protrae per altri 19-22 giorni a temperatura controllata. Terminata questa fase, dopo la separazione del vino dalle bucce e una decantazione naturale, per mantenimento della temperatura, si avvia la fermentazione malolattica. Fra la fine di dicembre e l’inizio del mese di gennaio il vino, senza alcuna chiarifica, viene inserito in barriques di legni non tostati delle foreste di Tronçais, dove vi rimane per 14 mesi. Trascorso questo periodo e dopo una breve sosta in tini di acciaio inox e un leggero filtraggio, il vino è imbottigliato per un affinamento di 4 mesi.

Tipologia dei terreni I vigneti sono posti su terreni che hanno una tessitura galestrosa di origine eocenica; si trovano a un’altitudine compresa fra i 300 e i 400 metri s.l.m. con un’esposizione a ovest / sud ovest.

Uve impiegate Sangiovese grosso 100% selezione BBS11 del Greppo

Sistema d’allevamento Cordone speronato singolo

Densità di impianto 5400 - 6200 ceppi per Ha

Prima annata

1991

Le migliori annate

1993 - 1995 - 1997 1998 - 2000 - 2001 Note Il vino, che prende il nome da un grosso masso di origine erratica presente nell’azienda, non è stato prodotto nelle annate 1992 e 1996; raggiunge la maturità solo dopo 4-5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 20 anni. Le vigne hanno una età media compresa fra i 15 e i 25 anni.

Quantità prodotta 200-250000 bottiglie l’anno

Note organolettiche Il vino si presenta di un colore rosso rubino tendente al violetto, con profumi complessi, fruttati, freschi con sentore di mammola. Al gusto è ben strutturato e presenta un piacevole mariage fra la consistente struttura e il legno; potente, ha una buona tessitura tannica; al retrogusto è molto lungo e persistente.

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Schidione DOC dell’Etruria Centrale Le migliori annate

Zona di produzione Schidione è una cuvée delle migliore uve di Sangiovese Grosso, Cabernet Sauvignon e Merlot prodotte nei vigneti del Castello di Montepò posti nel comune di Scansano nell’area di produzione del Morellino di Scansano DOC.

Tipologia dei terreni I terreni che ospitano il Sangiovese hanno caratteristiche morfologiche di tessitura galestrosa di origine eocenica, con abbondante scheletro e si trovano a un’altitudine compresa fra i 300 e i 400 metri s.l.m. con un’esposizione a ovest / sud-ovest; i terreni che ospitano il Cabernet Sauvignon hanno caratteristiche morfologiche simili a quelli dove è posizionato il Sangiovese e sono posti a un’altitudine compresa fra i 300 e i 400 metri s.l.m. con un’esposizione sud, mentre quelli che ospitano il Merlot hanno caratteristiche morfologiche di tessitura che va da franca a franco-argillosa; si trovano a un’altitudine compresa fra i 200 e i 350 metri s.l.m. con un’esposizione est / nord-est.

maturazione degli stessi, e che in ogni caso inizia alla metà di settembre e si protrae per gran parte del mese di ottobre, si avvia la fermentazione alcolica che procede separatamente per ogni varietà e si protrae fra i 4-6 giorni alla temperatura di 28°C, in recipienti termocondizionati di acciaio inox; contemporaneamente si procede anche alla macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura per ogni singolo uvaggio, prosegue invece per altri 1016 giorni sempre a temperature controllate. Terminata questa fase, i vini, separatamente e senza alcuna chiarifica, si avviano alla fermentazione malolattica. Fra la fine di dicembre e i primi di gennaio i vini vengono posti in barriques delle foreste di Tronçais di media tostatura dove vi rimangono per 24 mesi. Trascorso questo periodo è effettuato l’assemblaggio delle partite e dopo una sosta di 6 mesi in tini d’acciaio inox il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 4 mesi.

Uve impiegate Sangiovese 40%, Cabernet Sauvignon 40%, Merlot 20%

Quantità prodotta

1993 - 1995 - 1997 - 1998 Note Lo Schidione, antico nome medioevale toscano dello spiedo usato per arrostire la selvaggina, dà il nome al vino, che non è stato prodotto nel 1996 e che raggiunge la maturità solo dopo 5-6 anni dalla vendemmia; il plateau di maturazione è compreso fra i 6 e i 20 anni. L’età media dei vigneti è compresa fra i 20 e i 25 anni.

L’azienda La Biondi Santi S.p.A., guidata da Jacopo Biondi Santi, commercializza e cura l’immagine di tre importanti aziende: Il Greppo, Poggio Salvi ed il Castello di Montepò. Complessivamente le sopra citate aziende si estendono su una superficie complessiva di 1050 Ha, di cui 123 vitati e 40 dedicati all’olivicoltura. Il restante territorio vede la presenza di boschi e di colture promiscue. Collabora, come consulente esterno per le aziende Villa Poggio Salvi e Castello di Montepò, l’enologo Vittorio Fiore.

15-30000 bottiglie l’anno

Altri vini Sistema d’allevamento

Note organolettiche

Cordone speronato

Il vino, di un colore rosso rubino con riflessi granata, al naso si presenta elegante e complesso con note speziate e di vaniglia. Al gusto risulta ben strutturato, potente, carnoso; al retrogusto è persistente.

Densità di impianto 5400 - 6200 ceppi per Ha

Tecniche di produzione Dopo la vendemmia, che avviene per ogni uvaggio con tempi diversi a secondo la

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Prima annata

1993

I Rossi: Morellino di Scansano DOC Riserva (Sangiovese 92%, Cabernet Sauvignon 8%) Brunello di Montalcino DOCG (Sangiovese 100%) Villa Poggio Salvi Brunello di Montalcino DOCG Tenuta Il Greppo (Sangiovese 100%) Montepaone IGT (Cabernet Sauvignon 100%)



Ca’ Marcanda Non è una favola, né tanto meno un’avventura da raccontare intorno al caminet-

to acceso nelle sere d’inverno e neanche il barlume di un fulmine improvviso che, squarciato il cielo, illumina la notte di chi si è attardato per strada; no, posso assicurare che la mia presenza in Toscana non è stata né un semplice capriccio, né lo sciocco desiderio di un vigneron deciso a misurare all’estremo le proprie capacità. Per me, venire in queste terre baciate dal sole, dal mare e dal maestrale non ha significato volersi misurare con l’onnipotenza cieca di chi cerca nuove fibrillazioni alla roulette della vita, né tanto meno il cieco e improvviso desiderio di mettersi a correre verso l’ignoto, né sperimentare la caparbia cocciutaggine di un vecchio contadino piemontese che è sempre stato convinto di poter migliorare con il proprio lavoro ogni cosa, compresi i molti interrogativi che il futuro ci riserva. Venire in Toscana è stata una scelta ponderata, voluta e calcolata, affrontata con la serenità e la tranquillità di chi si sente spalleggiato e sostenuto da una grande famiglia la quale ha contribuito a costruire la storia del vino in Piemonte e che ha coltivato e dato forza alle proprie radici infondendo sicurezza e condividendo il mio desiderio di provare a esportare l’esperienza su nuove terre. Devo dire, però, che in tutto questo ha giocato un ruolo importante un concetto più semplice, un po’ metafisico, che è accomunabile e identificabile con il desiderio umano di voler scrutare sempre nuovi orizzonti andando oltre gli stessi, alla ricerca di quei punti di osservazione dai quali è possibile scrutare meglio il futuro e ciò che esso ci riserva. Sì, devo assicurare che è stata proprio questa umana passione a spingermi oltre le vigne e i confini che compongono il paesaggio delle mie Langhe. Ho voluto scoprire e comprendere quale fascino avessero gli altri orizzonti che mi erano sconosciuti e quali fossero le chiavi di lettura che gli stessi mi avrebbero riservato. Per fare questo ho analizzato meticolosamente e scrupolosamente valutato più soluzioni e più possibilità fino a prendere la decisone di costruire quel nuovo percorso che mi avrebbe portato in Toscana. Nel profondo del mio animo sentivo però anche il desiderio di appagare quel bisogno innato che appartiene a noi “langhetti” di sfidare il destino, magari non giocando d’azzardo come qualche mio lontano parente o come alcuni amici, ma muovendomi nel mio habitat, quel mondo vinicolo nel quale sono cresciuto e che conosco molto bene. È così che ho incominciato a toccare e annusare quei terreni fertili sui quali avrei dovuto piantare le nuove viti, cercando di comprendere quanto gli stessi fossero in grado di assorbire l’onda d’urto di quella grande forza vitale che mi caratterizza e mi alimenta giornalmente e che a molti può sembrare genialità mentre ad altri semplice pazzia. È così che mi sono messo alla ricerca di quell’humus capace di rappresentare l’ideale sunto di ciò che desideravo, sul quale far crescere le nuove radici della storia della famiglia Gaja. Una nuova terra che sapesse ospitarmi per interpretarla al meglio e fecondarla con ciò che avevo acquisito nella mia vita da vignaiolo passata fra le viti del mio Piemonte.

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Ma dove avrei potuto trovare ciò che cercavo? Quali segnali avrei dovuto captare e quali input avrei dovuto decodificare per decidere al meglio? Da un lato avrei potuto scegliere di andare a piantare le mie radici fatte di esperienza, tradizioni, storia, passione, lungimiranza e grande dedizione al lavoro, in terreni nuovi, originali, affascinanti, ancora esotici sotto l’aspetto enologico, magari adoperandomi nella ricerca in zone ancora vergini pronte a recepire il concetto che abbiamo noi Gaja della vite; questo travaso però mi sembrava non solo presuntuoso, ma anche molto rischioso, anche se economicamente vantaggioso. Dall’altro lato invece avrei potuto scegliere una terra le cui tradizioni enologiche fossero parte integrante della sua stessa storia, una terra che avesse radici culturali viticole importanti e così ben consolidate che certamente mi avrebbero avvantaggiato in questa nuova esperienza, magari aiutandomi ad innestare, piano piano, in quella sua storia la mia, acquisita negli oltre cento anni di tradizione enologica della famiglia Gaja. Mio nonno mi ha insegnato a guardare non solo il cielo, ma anche i segnali e i mutamenti che arrivano dal mercato cercando di interpretarli al meglio. Mi ha insegnato ad ascoltare per imparare, mi ha fatto comprendere quanto fosse inutile rimanere per troppo tempo nelle posizioni acquisite e fare ciò poteva essere un grande errore soprattutto per chi, come noi, ha sempre cercato di anticipare un po’ l’evoluzione dei tempi. Sapevo anche che ormai era veramente difficile chiedere più di quanto ci avessero già concesso quei cento ettari di vigneti fra i più importanti cru del Piemonte, posti fra Barbaresco e Serralunga d’Alba, scelti e acquisiti in cent’anni dalla famiglia Gaja. Quindi la scelta non poteva che ricadere sulla Toscana che fin da subito mi sembrò la terra ideale, la madre del Rinascimento, quella che più di ogni altra racchiude in sé gran parte dei tesori artistici italiani, la terra dell’artigianato per antonomasia, quell’artigianato di qualità a me caro, poiché, da sempre, mi sento un buon artigiano del vino, uno di quelli veri, uno consapevole, fino in fondo, di non essere esperto in niente, ma di conoscere tutto del proprio mestiere. Tutti questi ragionamenti assumevano un significato particolare per me e forse furono proprio questi a farmi scegliere. Del resto con una storia alle spalle come quella della mia famiglia mi sembrò che la Toscana fosse l’unica regione in grado di accogliere chi, come me, ha avuto la fortuna e la straordinaria opportunità di amalgamare uomini e progetti. È qui che mi sono fermato, con due aziende, fra la costa della Maremma e Montalcino, dividendomi fra il Piemonte e questa Toscana che a distanza di anni ho scoperto più difficile da conquistare di quanto mi aspettassi. Una “signora terra” con un carattere forte, con vitigni duri come il Sangiovese, una terra molto più aspra di quanto pensassi, dalla quale può nascere una storia più impegnativa di quanto immaginassi. Chi mi conosce bene sa che non mi piacciono le cose facili; e per questo sono certo di riuscire nel mio progetto così da aggiungere altre perle alla collana dei vini di prestigio che oggi la famiglia Gaja produce.


Angelo Gaja


CA’ MARCANDA Angelo Gaja

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Magari IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

Il vino è un blend prodotto dalla vinificazione delle migliori uve di Merlot, Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc provenienti dai vigneti dell’azienda, posti a Bolgheri, nel comune di Castagneto Carducci, che hanno un’età media di circa 7 anni.

Dopo la vendemmia, che avviene di solito da fine agosto a fine settembre, a seconda dei vitigni, si procede diraspapigiatura delle uve raccolte e i pigiati ottenuti, singolarmente si avviano alla fermentazione alcolica che si protrae per circa 15-20 giorni in recipienti di acciaio inox termocondizionati, ad una temperatura compresa fra i 18 e i 28°C; contemporaneamente si procede anche alla macerazione sulle bucce durante la quale vengono effettuati frequenti délestage e follature. Terminata questa fase, viene effettuato l’assemblaggio delle varie partite e il blend è posto in barrique di rovere francese di media tostatura a grana fine per un 35% nuove e il restante di secondo passaggio, dove effettua la fermentazione malolattica e in cui rimane per 12 mesi. Terminata la maturazione in legno, il vino, dopo un breve periodo di stabilizzazione, è imbottigliato per un ulteriore affinamento di altri 6 mesi prima della commercializzazione.

Tipologia dei terreni I vigneti, che si trovano su terreni di pianura, in parte sabbiosi con zone ricche di limo, argilla e altre di calcare e scheletro, sono posizionati ad un’altitudine media di 70 metri s.l.m. con esposizione a sud/sudovest.

Uve impiegate Merlot 50%, Cabernet Sauvignon 25%, Cabernet Franc 25%

Sistema d’allevamento Controspalliera con potatura a cordone speronato

Prima annata

2000

Le migliori annate

2000 - 2001 Note

Il vino, che prende il nome dall’espressione italiana, con significati diversi, ma tutti in chiave di speranza, come ad esempio “se soltanto fosse vero”, raggiunge la maturità dopo 5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione dovrebbe essere compreso fra i 5 e i 12 anni.

L’azienda L’azienda, di proprietà della famiglia Gaja dal 1996, si estende su una superficie complessiva di 150 Ha, di cui 100 vitati e i restanti occupati da seminativi e boschi. Collaborano in azienda l’agronomo Mauro Poli e l’enologo Guido Rivella.

Altri vini Quantità prodotta

Densità di impianto

100000 bottiglie

5500 ceppi per Ha

Note organolettiche Di colore rosso rubino intenso con riflessi porpora, il vino si presenta all’esame olfattivo con note spiccate di ribes nero, mora e ciliegia a cui si sovrappongono sentori equilibrati di vaniglia, cannella e liquirizia. In bocca ha un’entratura potente, equilibrata ed elegante con tannini setosi e rotondi; armonioso, lungo e persistente, chiude con note di chicchi di caffè.

I Rossi: Promis IGT Toscana (Merlot 55%, Syrah 35%, Sangiovese 10%) Camarcanda Bolgheri Rosso Doc Superiore (Merlot 50%, Cabernet Sauvignon 40%, Cabernet Franc 10%)

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Capannelle S ono americano, cresciuto in Kentucky e orgoglioso di appartenere a quella

ristretta schiera di statunitensi che discendono dai vecchi e originari coloni arrivati dall’Inghilterra fin dal 1645. Ho la fortuna, a differenza di moltissimi miei connazionali, di poter viaggiare molto per controllare le mie imprese che operano nei più disparati campi commerciali. Muovendomi quasi di continuo, devo seguire gli interessi della mia catena d’alberghi, all’interno della quale si contano già cinquanta strutture ricettive tutte di grande charme e di altissimo prestigio, sparse un po’ in tutto il mondo, o quelli della mia compagnia di navigazione che opera su tutti gli oceani, per finire alla compagnia ferroviaria che ha come suo fiore all’occhiello lo storico Orient Express. Viaggi che si susseguono a viaggi come quelli stagionali che devo affrontare per andare a controllare i 1.000 ettari della piantagione di uva da tavola in Brasile o quelli effettuati per visitare la piantagione di banane della Costa d’Avorio o quelli per i campi di tabacco del Maryland. Un continuo movimento attraverso i cieli e i mari di tutto il mondo cercando per quanto sia possibile di passare l’inverno in Africa meridionale, la primavera in America Centrale, l’estate in Inghilterra o in Italia e l’autunno nel Sud Est Asiatico, dividendomi fra questi luoghi e la burocrazia dei consigli d’amministrazione e le riunioni che devo tenere negli uffici di Londra e New York. Pur non essendo più giovane, sento ancora forte il desiderio di misurarmi e di progettare altre importanti iniziative per le mie aziende, cercando di ragionare su quali potranno essere i futuri scenari che questa globalizzazione ci riserverà. In me non è mai venuto meno lo spirito avventuriero dei miei avi, spirito che mi ha sempre contraddistinto e che ha contagiato i miei figli, con i quali oggi condivido le scelte aziendali e valuto le migliori soluzioni per consolidare ciò che ci appartiene. Posso assicurare che il mio non è stato un timone facile da governare, ma la cosa non mi risulta gravosa, anzi, forse ora più che mai mi diverto a far muovere agevolmente il mio gruppo sui mercati, attraverso iniziative e nuovi progetti, così da ottenere altri successi. È in quest’ottica, e nel desiderio di voler costruire delle sinergie fra le mie aziende, che ho deciso di produrre vino, sia per i miei alberghi, sia per il mio piacere personale. Fu così che anni addietro decisi di mettermi alla ricerca di un’azienda vitivinicola di alto prestigio. Ero indeciso all’inizio fra la zona del Bordeaux e quella del Chianti e ricordo che ci volle un po’ di tempo per comprendere le ragioni interiori che mi spinsero alla scelta che ho compiuto. Feci diversi viaggi in Francia e in Italia e più ragionavo sulla cosa, facendo sopralluoghi, più mi sentivo attratto dalla Toscana.

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La mia riflessione iniziale partiva dalla consapevolezza di quanto fosse importante la parola “Toscana”: un nome conosciuto da tutti e usato da molti, i quali, pur non essendoci mai venuti, sanno comunque dove sia e che cosa essa rappresenti. Credo di non poter essere smentito affermando che sono in molti a conoscere il valore intrinseco della storia di questa regione come luogo di origine del Rinascimento e patria di artisti come Dante, Giotto e Michelangelo. La storia di questa terra è palpabile e riconoscibile da chiunque, raccontata silenziosamente dagli affreschi delle sue mille chiese o urlata dal vento che soffia fra i merli dei suoi castelli oppure leggibile sulle pietre scolpite delle sue secolari fattorie, una storia narrata sui libri di scuola di tutto il mondo. Come si fa a ignorare il fascino delle sue bellezze architettoniche o non godere della qualità dei vini e della vita che qui si respira! Presto mi convinsi che Capannelle era l’azienda che cercavo per il raggiungimento del mio obiettivo. Compresi la bontà dell’affare soprattutto quando incominciai a rendermi conto non solo delle grandi potenzialità vitivinicole che essa offriva, ma anche del meraviglioso paesaggio che da qui godevo. Furono sicuramente i tramonti a farmi decidere e furono i colori cangianti del Chianti a farmi scegliere la Toscana. È in quest’area che ho voluto dare avvio al progetto di un’importante azienda vitivinicola in grado di fare dei grandi vini per la famiglia Sherwood. Ricordo che all’inizio avevamo un vigneto molto piccolo, di pochi ettari, mentre oggi, dopo anni di buona amministrazione e oculati investimenti, si è triplicata la superficie vitata dove si producono dei buoni vini e oggi Capannelle è divenuto anche un piccolo Relais Château dove il senso dell’ospitalità è conforme allo standard qualitativo dei miei migliori hotel. Un’altra perla di questo piccolo e splendido angolo di Toscana dove vengo sempre volentieri a rilassarmi. È comunque il vino l’anima di questa azienda, un prodotto che, per la sua complessità, mi incuriosisce molto ed esercita la mia fantasia. Qui ritrovo il senso di tutto ciò che rappresenta la genialità costruttiva dell’uomo, la sua volontà di trasformare la materia e la sua concretezza. Percezioni che io avverto ogni volta che stappo una bottiglia del mio vino scoprendo che per farlo non sono necessari solo i dollari, ma servono soprattutto una grande terra e delle persone che sanno come lavorarla. Sono questi gli elementi che creano un distinguo fra un vino e un “grande” vino ed io con molta soddisfazione sono contento del connubio che qui ho saputo creare e ne ho la conferma guardando i risultati che Capannelle ha saputo raggiungere.


James Sherwood


CAPANNELLE James Sherwood

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50&50 Vino da tavola di Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

Il 50&50 è un vino frutto di una “joint-venture” tra le aziende Capannelle e Avignonesi. Il Sangiovese viene prodotto dall’azienda Capannelle, mentre il Merlot proviene dall’azienda Avignonesi di Montepulciano.

Dopo la vendemmia, che avviene di solito a metà ottobre, si avvia la fermentazione alcolica che si protrae per 15 giorni ad una temperatura compresa tra i 18 e i 25°C in tini troncoconici di rovere, coadiuvata da tecniche di délestage; contemporaneamente si procede anche alla macerazione sulle bucce che dura 10 giorni, sempre a temperatura controllata. Terminata questa fase il vino svolge la fermentazione malolattica in barrique nuove di rovere francese a grana fine e tostatura media dove rimane 18 mesi per la maturazione e, dopo un breve periodo di stabilizzazione, il vino è messo in bottiglia per un ulteriore affinamento che si protrae per altri 18 mesi.

Tipologia dei terreni I vigneti si trovano su terreni di medio impasto, strutturati, con forte presenza di galestro ad un’altitudine di 400 metri s.l.m. con esposizione a sud-est.

Uve impiegate Sangiovese 50%, Merlot 50%

Prima annata

1988

Le migliori annate

1988 - 1990 - 1997 1998 - 2000 - 2001 Note Il vino raggiunge la maturità dopo 5-6 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 6 e i 15 anni.

Sistema d’allevamento Cordone speronato

Quantità prodotta 21000 bottiglie

Densità di impianto 4000 ceppi per Ha

Note organolettiche Il vino si presenta all’esame visivo di un colore rosso rubino intenso con sfumature violacee, mentre al naso risulta penetrante, con profumi netti e puliti di frutti di bosco, vaniglia, tabacco, caffè e nuances floreali. In bocca è pieno, ampio e denota una grande struttura; al palato si riavvertono le peculiari caratteristiche percepite al naso con tannini equilibrati e eleganti; molto persistente al retrogusto.

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Solare IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

Il Solare è una selezione delle migliori uve Sangiovese e Malvasia Nera provenienti dai vigneti dell’azienda, posti nel comune di Gaiole in Chianti, che hanno un’età media di 15 anni.

Dopo la vendemmia, che avviene di solito a metà ottobre, si avvia la fermentazione alcolica che si protrae per 15 giorni ad una temperatura compresa tra i 18 e i 25°C in tini troncoconici di rovere, coadiuvata da tecniche di délestage; contemporaneamente si procede anche alla macerazione sulle bucce che dura 10 giorni, sempre a temperatura controllata. Terminata questa fase il vino svolge la fermentazione malolattica in barrique nuove e di secondo passaggio di rovere francese di Allier, Nevers e Tronçais dove rimane 18 mesi per la maturazione e, dopo un breve periodo di stabilizzazione, il vino è messo in bottiglia per un ulteriore affinamento che si protrae per altri 18 mesi.

Tipologia dei terreni I vigneti si trovano su terreni di medio impasto, strutturati, con forte presenza di galestro ad un’altitudine di 400 metri s.l.m. con esposizione a sud-est.

Uve impiegate Sangiovese 80%, Malvasia Nera 20%

Sistema d’allevamento Cordone speronato

Quantità prodotta Densità di impianto

20000 bottiglie

4000 ceppi per Ha

Note organolettiche Di colore rosso rubino intenso con riflessi porpora, il vino si presenta all’esame olfattivo con note spiccate di ribes nero, mora e ciliegia a cui si sovrappongono sentori equilibrati di vaniglia, cannella e liquirizia. In bocca ha un’entratura potente, equilibrata ed elegante con tannini setosi e rotondi; armonioso, lungo e persistente, chiude con note di chicchi di caffè.

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Prima annata

1996

Le migliori annate

1996 - 1997 - 1998 - 1999 Note Il nome “Solare” vuole rappresentare un nuovo vino, una felice sorpresa nel panorama vinicolo, spesso carente di nuove idee. Il vino raggiunge la maturità dopo 4-5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 10 anni.

L’azienda L’azienda vitivinicola, creata nel 1975, dal 1997 è di proprietà di James B. Sherwood e si estende su una superficie complessiva di 20 Ha, di cui 14 vitati, 2 dedicati all’olivicoltura e i restanti occupati da boschi. Collabora in azienda, svolgendo le funzioni di agronomo ed enologo, Simone Monciatti.

Altri vini I Bianchi: Chardonnay Igt Toscana (Chardonnay 100%) I Rossi: Chianti Classico Docg Riserva (Sangiovese 95%, Canaiolo e Colorino 5%)



Casa Emma Al termine della giornata lavorativa continuo ancora oggi ad aver bisogno di fermarmi a controllare, per l’ultima volta, la mia terra. Mentre salgo quelle scale che mi portano in casa, mi volto ancora ripensando se, fra le mille cose che mi hanno vista impegnata dalle prime ore dell’alba all’imbrunire, ve ne siano alcune di quelle importanti che abbia in qualche modo dimenticato di fare. È in quei pochi minuti durante il crepuscolo, quando ormai tutte le ombre sono sparite e cala l’oscurità, che io trovo il momento giusto per raccogliere quelli che dovevano essere i miei quotidiani propositi e mentalmente spunto nel notebook della mia memoria ciò che ho fatto, cosa ho tralasciato di fare e cosa inesorabilmente mi attenderà l’indomani. In pochi secondi scorro velocemente tutta la giornata che è passata vedendomi indaffarata fra mille cose, ora nella vigna, ora nella cantina, ora nel bosco o nel parco botanico e poi di nuovo nella vigna, in un continuo andare e venire, come pervasa da un moto perpetuo che mi ha condotto a controllare ogni pianta e ogni foglia delle mie piante, ogni tino e ogni botte della mia cantina; ed è proprio su quelle scale che, voltandomi e facendo ruotare lo sguardo in direzione della terra che circonda Casa Emma, riesco a tirare le somme, positive o negative della giornata appena conclusasi. Il sole è tramontato, la notte avanza e l’oscurità avvolge tutto e crea un nuovo silenzio e io, chiudendomi la porta di casa alle spalle, sempre più spesso mi ritrovo, ultimamente, a pensare ai trent’anni passati su questa terra. Trent’anni sono proprio una vita! Chi oggi passa lungo la strada provinciale e si sofferma a guardare l’azienda non può neanche immaginare la mole di lavoro che ho fatto per arrivare a presentarla così com’è oggi, curata, con vigne perfette e con annessi stabili e casa: degna di essere vissuta. Solo io conosco veramente i grandi sacrifici che mi hanno portato a ridisegnare ogni angolo di questa terra e di questa casa, facendo apparire oggi l’in-

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sieme come se fosse sempre esistito, quasi imperturbabile allo scorrere del tempo. Spesso la memoria mi riporta a quando arrivai qui nel 1973 e mi trovai davanti a una casa colonica che stava per crollare e su una terra dura da lavorare con molto bosco e molti sassi. Venendo da una famiglia umile, contadina, sapevo benissimo cosa fosse la fatica nei campi e quanto fosse bassa la terra. In tutti questi anni non mi sono mai tirata indietro davanti all’impegno di renderla produttiva e tutto questo mi ha portato a conoscere ogni zolla di queste vigne, perché l’ho zappata questa terra, palmo a palmo, giorno dopo giorno, vivendoci accanto per quasi tutto l’anno. Dopo trent’anni ormai per me assume un significato importante questo quotidiano ed epidermico contatto con la mia terra e con questo ambiente dal quale recepisco una miriade di sensazioni che mi arricchiscono e mi rigenerano ogni giorno. Sono sensazioni che non è facile raccontare, perché sono complesse e si fondono tra loro; intaccano la memoria, le emozioni, i sentimenti; partono da lontano, dalle esperienze adolescenziali avute sulla terra dei miei genitori e coinvolgono e attraversano le mie passioni e il mio amore per la terra, per le cose concrete che essa sa darti, per quel meraviglioso mestiere del contadino che io ho deciso d’abbracciare per gran parte della mia vita, vivendo i colori e i profumi di questo Chianti. Sono tutte percezioni sensoriali di una donna che vive la terra con una solitudine più interiore che fisica; per questo mi è sempre rimasto difficile parlarne anche con mio marito Giuseppe; o con mio figlio Alessandro; non è facile far comprendere a chi non la vive direttamente, cosa significhi assistere all’esplosione della natura a primavera, al germogliare della vita, alla gioia che dona un’ottima vendemmia o alle angosce che provoca un temporale di mezza estate. A me non riesce parlarne e per questo, molte volte taccio e fra me e me, a sera, guardo Casa Emma e mi dico che quello che oggi è qui, è in gran parte merito della testardaggine di una genuina e semplice donna “contadina” come me.


Fiorella Lepri


CASA EMMA Fiorella Lepri

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Soloio IGT Colli della Toscana Centrale Zona di produzione

Tecniche di produzione

Soloìo è un cru di uve provenienti da un vigneto collocato nell’azienda di Casa Emma posta nel comune di Barberino Val d’Elsa, nell’area di produzione del Chianti Classico DOCG.

Dopo la vendemmia, che avviene di solito nell’ultima settimana di settembre, si procede per 14-20 giorni alla fermentazione alcolica del mosto con temperature intorno ai 30°C in piccoli tini di acciaio inox. Contemporaneamente si avvia la macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, prosegue per altri 10 giorni. Terminata questa fase, il vino effettua nei tini di acciaio la fermentazione malolattica prima di essere messo in barriques di Allier nuove, dove vi rimane per 15-16 mesi. Terminato l’invecchiamento, il vino è messo per un breve periodo in tini di acciaio per l’assemblaggio e dopo un leggero filtraggio si procede a un affinamento in bottiglia di 12 mesi.

Tipologia dei terreni Il vigneto si trova su terreni che hanno una tessitura di medio impasto con una ricca componente di scheletro e galestro; posto a un’altitudine di 420 metri s.l.m., ha un’esposizione a sud-ovest.

Uve impiegate Merlot 100%

Sistema d’allevamento Guyot e Cordone speronato

Quantità prodotta Densità di impianto

7000 bottiglie l’anno

3800 ceppi per Ha

Prima annata

1993

Le migliori annate

1994 - 1997 - 1999 - 2000 Note Soloìo, nome di fantasia, raggiunge la maturità solo dopo 4-5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 12 anni.

L’azienda L’azienda Casa Emma, di proprietà della signora Fiorella Lepri si estende su una superficie complessiva di 34 Ha di cui 21 destinati alla viticoltura specializzata, mentre 3 sono destinati all’olivicoltura. Nei restanti terreni è presente il Parco botanico del Chianti che si estende per 5 ettari, ed il bosco. Collabora in l’azienda l’enologo Carlo Ferrini.

Note organolettiche Di colore rosso rubino intenso con evidenti riflessi viola, il vino presenta profumi fruttati di mora e lampone bilanciati con note speziate di cannella e vaniglia. Al palato risulta avvolgente, di grande spessore; in bocca si mantiene potente per un lungo periodo.

Altri vini I Rossi: Chianti Classico DOCG (Sangiovese 90%, Canaiolo 5%, Malvasia Nera 5%) Chianti Classico DOCG Riserva (Sangiovese 95%, Malvasia Nera 5%) Vin Santo del Chianti Classico (Malvasia Bianca 70%, Trebbiano 30%)

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Castellare di Castellina E’

“... da cento anni che, per noi francesi, vitigni come il Cabernet Sauvignon, il Cabernet Franc, il Merlot e lo Chardonnay non hanno più segreti. Sappiamo tutto di loro; quindi se volete fare qualche cosa di veramente interessante e personalizzante vi consiglio di puntare sul vostro vitigno principe, il Sangioveto, che ha delle grandi potenzialità ancora a voi sconosciute, quindi...”. Così Emile Peynaud, uno dei più grandi enologi del mondo, il vero filosofo del vino nel XX secolo, sentenziava per Castellare. Era il 1980 ed erano appena trascorsi pochi mesi dall’acquisto dell’azienda, quando ebbi l’opportunità, con l’amico Luigi Veronelli e grazie alla cortesia di Edmond Rothschild, maggiore singolo azionista di Château Lafite, di avere un incontro con il professore di Bordeaux, già consulente qualche anno prima di Antinori, per decidere su quali vitigni puntare a Castellare di Castellina. Seguendo il consiglio netto e chiaro di Peynaud e con l’aiuto del Prof. Attilio Scienza e dell’Università degli Studi di Milano, piantai una vigna sperimentale con 30 cloni diversi di Sangioveto e sovvenzionai due borse di studio di dottorato di ricerca sulla materia, al fine di determinare quali sarebbero state le reali potenzialità di questo vitigno nella terra del Chianti. Sono passati più di venti anni da allora e posso affermare che solo adesso incominciamo a saperne abbastanza sul Sangiovese, chiamato nel Chianti Sangioveto. In questi anni questa nostra ignoranza è stato un grande segno di debolezza nei confronti dei nostri cugini francesi e lo è stato soprattutto guardando i brillanti risultati avuti da questo vitigno. Pur nell’osservare il ritardo con il quale ancora oggi affrontiamo la sperimentazione e la conoscenza del Sangioveto, nutro grandissima fiducia su questo vitigno fino al punto di credere che il Sangioveto possa competere da pari a pari con il Cabernet, il Merlot e gli altri uvaggi internazionali e sono convinto che non è più un sogno gareggiare con i francesi che hanno il vantaggio di avere alle spalle oltre 100 anni di studi e di ricerche, gap che occorre colmare. È provato che nessun uvaggio, sia esso Cabernet, Merlot o Syrah, può esprimere nella sua completezza l’immagine della Toscana come il Sangioveto, anche se a fronte delle sue potenzialità fanno riscontro difficoltà d’utilizzo, oggettive e sogget-

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tive, ma difficoltà che una volta risolte potrebbero fornirci enormi opportunità. Sono i risultati internazionali che ci hanno già sorriso e che fanno ben sperare per il futuro e sono sicuro che il Sangioveto sia la nostra arma migliore, quella che risulterà vincente e che, bene o male, fino a oggi ci ha fornito la giusta personalità per distinguerci sul mercato globale. Trovo sciocco l’appiattimento dei valori e ritengo un errore enorme il desiderio che hanno quasi tutti di far assomigliare il proprio vino a quello di un altro o, ancor peggio, di orientare le proprie scelte enologiche al solo soddisfacimento del mercato. Si sta rischiando di perdere le radici e le tradizioni e di farci coinvolgere in una corsa che non produrrà nessun vincitore: il tutto per rincorrere il soddisfacimento di un mercato che oggi ti sorride, ma che nel prossimo futuro potrebbe premiare solo chi è rimasto fedele a se stesso e chi è fuori dal coro. È con questo concetto che mi sono avvicinato al mondo del vino, nella convinzione di dover fare cose che non avrebbero dovuto mutare gli equilibri che io, arrivando, avevo trovato. Tutt’al più, avrei dovuto contribuire a non disperdere quelle tradizioni che hanno reso unica questa mia Toscana, dove, ancora oggi, è possibile percepire il vero significato della parola “terra”. Noi toscani spesso attribuiamo alle cose un senso poetico del tutto unico, particolare, ma al contempo riteniamo che, per rispettarle, si debba dare loro un valore che non può essere solo sentimentale, che indubbiamente non sarebbe sufficiente al loro funzionamento, ma anche concreto. È per questo che decisi fin dal primo momento di fare di Castellare anche un progetto imprenditoriale vero, ed è per questo che continuo ancora oggi a investire in questa azienda, perché ritengo che la mia terra, la mia vigna e il mio vino valgano tantissimo e so cosa significa la loro cura in termini d’immagine e di profitto. Il vino comunque ti può stregare, ti può coinvolgere, afferrarti per mano e condurti lontano dagli obiettivi che ti eri prefisso; io sono riuscito ad evitarlo, perché credo di non mancare di senso della realtà e, come i contadini, guardo le cose concrete; da sempre attribuisco ai miei sogni il giusto valore e cerco, per quanto mi è possibile, di coniugarli alla quotidianità, sapendo quale grande contributo forniscono nello smuovere la staticità delle cose.


Paolo Panerai


CASTELLARE DI CASTELLINA Paolo Panerai

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I Sodi di San Niccolò IGT Toscana Zona di produzione I Sodi di San Niccolò è un’attenta cuvée di uve Sangioveto e Malvasia Nera provenienti dai vigneti dei Poderi Castellare di Castellina nel comune di Castellina in Chianti, terreni posti nella zona di produzione del Chianti Classico DOCG.

Tipologia dei terreni I vigneti si trovano su terreni che hanno caratteristiche morfologiche di profonda tessitura calcarea, franco-argillosa, con una buona ritenzione idrica e una forte escursione termica; a un’altitudine di 350-400 metri s.l.m. con un’esposizione a sud / sud-ovest.

vino effettua la fermentazione malolattica in acciaio prima di essere messo in barriques di Allier, Tronçais, Nevers, Limousin e Vosges, per l’80% nuove, dove vi rimane per 18 mesi. Concluso l’invecchiamento ed effettuato l’assemblaggio delle partite, il vino viene lasciato riposare per qualche mese in tini d’acciaio e dopo una leggera chiarifica è imbottigliato per un ulteriore affinamento di 12 mesi.

L’azienda Quantità prodotta 20-40000 bottiglie l’anno

Note organolettiche Uve impiegate Sangiovese 85-90%, Malvasia Nera 10-15%

Sistema d’allevamento Guyot capovolto

Densità di impianto dai 2500 ai 7000 ceppi per Ha nei nuovi impianti

Di colore rosso rubino intenso, con marcati riflessi granata, il vino si presenta con sentori fruttati di viola, mammola e marasca; man mano che si apre si avvertono note speziate. Al palato è molto strutturato, di corpo, con tannini maturi; al retrogusto risulta di lunga persistenza.

Prima annata

1979

Tecniche di produzione Dopo la vendemmia, che avviene nella prima settimana di ottobre, si procede alla fermentazione alcolica che si effettua per 6-8 giorni circa alla temperatura controllata di 28°C in recipienti termocondizionati di acciaio inox. Contemporaneamente si avvia la macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, prosegue per altri 18-20 giorni. Terminata questa fase, il

trovano vicino alla Chiesa del 1300 di San Niccolò, posta sulla proprietà di Castellare hanno dato il nome a questo vino. I Sodi di San Niccolò è stato imbottigliato in quasi tutte le annate tranne che nel 1984, 1989 e 1992. Vino molto longevo, raggiunge la maturità solo dopo 5-6 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 6 e i 15 anni.

Le migliori annate

1980 - 1985 - 1986 - 1990 1995 - 1997 - 1998 - 1999 Note La parola “sodi” veniva usata dai contadini toscani per descrivere quei terreni che dovevano essere lavorati a mano essendo troppo duri e troppo ripidi per permettere l’utilizzo dei buoi; quindi i “sodi” che si

I Poderi di Castellare a Castellina, di proprietà di Paolo Panerai, si estendono per 47 Ha complessivi, di cui 22 destinati alla viticoltura, 12 destinati all’olivicoltura, mentre i rimanenti 15 Ha sono destinati a colture promiscue e boschi. Collaborano con l’azienda l’enologo Maurizio Castelli e l’agronomo Alessandro Cellai.

Altri vini I Rossi: Chianti Classico Vigna Il Poggiale Riserva (Sangiovese 90%, Colorino 5%, Ciliegiolo 5%) Coniale IGT (Cabernet Sauvignon 100%) Poggio ai Merli (Merlot 100%) Vin Santo del Chianti Classico San Niccolò (Malvasia 60%, Trebbiano 40%)

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Castello d’Albola M i dedico alla viticoltura da sempre, fin da quando, da piccolo, vendemmia-

vo sul colle di San Marco a Gambellara, paesino di viticoltori fra Vicenza e Verona, dove la mia famiglia possiede della terra coltivata a vigna. Terra e vigna, vigna e vino: il leitmotiv della mia vita. Sono stati questi i miei piacevoli compagni di viaggio, con i quali ho instaurato un rapporto chiaro, fondato sul grande rispetto che nutro per loro. Da sempre so con esattezza cosa mi concedono a fronte del mio lavoro. Del mio grande legame con il vino trovavo, fino a pochi anni fa, nel longevo zio paterno Domenico il capo spirituale, l’interprete massimo di questo rapporto che ha piacevolmente modificato il destino della nostra famiglia. La sua era una semplice, ma importante filosofia di vita, dettata dal motto di “seminare per raccogliere”, e di “dare per ricevere”. Un’efficace filosofia, che nel tempo ha caratterizzato il lavoro della famiglia Zonin, in questo lungo viaggio fra terra, vite e vino che ci ha portati a entrare nella storia vitivinicola italiana. Già dal 1921 lo zio cominciò ad allargare i suoi “confini”, decidendo di comprare prima dell’altra uva, da aggiungere a quella che producevamo, e poi dell’altro vino, al fine di aumentare la commercializzazione dei prodotti Zonin. Prima della seconda guerra mondiale, l’azienda era già ben consolidata sul mercato dell’Italia settentrionale, ma fu nell’immediato dopoguerra che si espanse conquistando quote di mercato sempre più ampie che crebbero maggiormente con l’ingresso graduale nella “grande distribuzione”. Io arrivai in azienda molto giovane, quando mio zio, che non aveva figli e voleva garantire la continuità manageriale dell’azienda, pensò che io potessi proseguire la sua opera. Era il 1957; lavoravo e studiavo per laurearmi in giurisprudenza, e non fu per me facile entrare in sincronia con il meccanismo aziendale che aveva anni d’avviamento e che stava funzionando molto bene; certamente non si sarebbe fermato ad attendermi, il suo trend di crescita era inarrestabile e già agli inizi degli anni ‘60 i vini Zonin erano presenti nei mercati di mezza Europa. Raddoppiai i miei sforzi e gradatamente riuscii a entrare nei meccanismi e a capirne il funzionamento.

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Uomini come noi però, che erano nati in campagna, non potevano fare a meno di sentire il forte richiamo esercitato dalla terra: era il cordone ombelicale che non si era mai reciso e che richiamava alle origini. Io, forse più di tutti, sentivo forte questo richiamo e ritenni che l’azienda dovesse trasferire le proprie capacità manageriali in aziende agricole che fossero capaci di garantirle un prodotto e una qualità certa. Era il 1961 quando comprammo la prima nostra azienda in Friuli, poi ne seguì una in Toscana, dove oggi ne abbiamo quattro, poi arrivò quella del Piemonte, quella della Lombardia e per finire quelle in Sicilia e in Puglia, per un totale odierno di 1800 ettari vitati, sparsi nelle più belle zone DOC e DOCG d’Italia e tutti inseriti nelle più belle aziende storiche del loro territorio. In questo lavoro di crescita, che ci vede interpreti primari dei nuovi dettami della qualità totale, non ci siamo dimenticati degli impegni morali che da sempre ci legano alla terra. Ecco perché predichiamo ai nostri collaboratori che fare il contadino, piantare una vite, zappare o svinare, potare o pressare le vinacce, richiede passione e amore, un’applicazione quotidiana e una metodologia filosofica di comportamento, una forza mentale più che tecnica. Tante volte, quando sono arrivato in un luogo, ho trovato una campagna spoglia e povera della più grande delle risorse: l’uomo. Sono gli uomini che forniscono l’humus alla terra e senza il loro sostegno non si fanno né le aziende, né i grandi vini. È per questo che, comprata un’azienda, ho iniziato da un punto fermo, proteso a far riscoprire il mestiere del contadino a chi ne aveva dimenticato il valore o a farlo amare a chi non ne conosceva il significato. Trovavo aziende e terre abbandonate che avevano bisogno di ricostruire il millenario legame che avvicina l’uomo alla terra e per far questo ho pensato che potesse essere interessante ristrutturare le case delle tenute e arredarle con ogni confort moderno per fornirle in comodato d’uso gratuito ai collaboratori. Con questo semplice espediente le terre si sono ripopolate e le vigne sono ritornate a essere vissute quotidianamente da chi ne ha la responsabilità, e il bello è scoprire nel tempo che tutti hanno ben compreso quanto sia importante “dare per ricevere”.


Gianni Zonin


CASTELLO D’ALBOLA Gianni Zonin

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Acciaiolo IGT Toscana Note Zona di produzione Acciaiolo è un vino ottenuto dalla selezione delle uve provenienti dal vigneto omonimo e dal vigneto Il Vignale di proprietà della Castello d’Albola sulle colline che si trovano nella parte a nord del comune di Radda in Chianti, nella zona del Chianti Classico DOCG.

Tipologia dei terreni Il vigneto dove si coltiva il Sangiovese è l’Acciaiolo, in località Madonnino di Capaccia, ed è posto su terreni che hanno caratteristiche morfologiche con tessitura argilloso-calcarea, ricchi di scheletro, e si trovano a un’altitudine di 400 metri s.l.m., con un’esposizione sud e una pendenza del 30%; il vigneto dove si coltiva il Cabernet Sauvignon è Il Vignale ed è posto su terreni che hanno le stesse caratteristiche degli altri, ma a un’altitudine di 500 metri s.l.m. con un’esposizione a sud.

ni alla temperatura di 28°C in recipienti termocondizionati di acciaio inox orizzontali. Contemporaneamente la macerazione sulle bucce prosegue, invece, per altri 1416 giorni a temperature controllate, comprese fra i 28 e i 30°C. Terminata questa fase, i vini, separatamente e senza alcuna chiarifica, effettuano la fermentazione malolattica in barriques di Allier (80%), Nevers e Vosges (10% cad.), di primo, secondo e terzo passaggio, e qui vi rimangono per circa 14 mesi. Terminato l’invecchiamento, il vino subisce un affinamento di 6 mesi in tini d’acciaio, durante i quali viene effettuato l’assemblaggio delle partite; poi segue un ulteriore affinamento di altri 6 mesi in bottiglia.

Quantità prodotta 13000 bottiglie l’anno

Uve impiegate

Note organolettiche

Sangiovese 60%, Cabernet Sauvignon 40%

Di colore rosso rubino dai luminosi riflessi granata, il vino si presenta con ampie note di viola, marasca e piccoli frutti di bosco con un fondo di vaniglia. Dal sapore asciutto, sapido, ripropone al palato le sensazioni avvertite al naso.

Sistema d’allevamento Cordone speronato

Densità di impianto 3500 ceppi per Ha

Il vino prende il nome dall’omonimo vigneto Acciaiolo, il più vecchio dell’azienda. Le uve vengono sempre raccolte con una sovramaturazione. Il vino raggiunge la maturità solo dopo 4-5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 12 anni, ma può invecchiare anche più a lungo.

L’azienda La fattoria del Castello d’Albola, di proprietà della famiglia Zonin dal 1979, si estende su una superficie complessiva di 900 Ha, di cui 157 destinati alla viticoltura e 20 destinati all’olivicoltura. La restante superficie vede in gran parte la presenza di boschi. Collaborano in azienda l’agronomo Luca Cavallaro e l’enologo Alessandro Gallo.

Altri vini I Bianchi: Chardonnay IGT Le Fagge (Chardonnay 100%) I Rossi: Chianti Classico DOCG (Sangiovese 90%, Canaiolo 10%) Chianti Classico DOCG Riserva (Sangiovese 90%, Canaiolo 10%) Chianti Classico DOCG Le Ellere (Sangiovese 100%)

Prima annata Tecniche di produzione Dopo la vendemmia, che avviene di solito dal 2 al 10 ottobre, si effettua la fermentazione alcolica che procede separatamente per ogni uvaggio e si protrae per 8-10 gior-

1988

Vin Santo (Trebbiano toscano 50%, Malvasia del Chianti 50%)

Le migliori annate

1988 - 1990 - 1995 - 1998 1999 - 2000 - 2001

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Castello dei Rampolla Q uesto è il mio posto e oggi di questo sono convinta, perché con il passare

degli anni ho scoperto quanto sia radicato in me l’amore per questa terra. Dopo essermi allontanata ed essere ritornata tantissime volte in questa casa, così ricolma di storia e tradizioni che spesso sentivo gravose, e dopo aver assaporato un po’ di quella “stanzialità” che si acquisisce con gli anni, mi sono accorta di quanto questa Conca d’oro di Panzano per me sia importantissima. Non c’è mai stata nessun’altra parte del mondo che ho conosciuto, capace di mettermi così profondamente in correlazione con la natura circostante, con l’ambiente, l’aria e la terra. L’attaccamento a tutto questo, io e mio fratello Luca, lo dimostriamo quotidianamente applicando piccole, ma sostanziali regole che sono orientate alla protezione e alla tutela dell’ambiente. Regole semplici, quelle dettate dal buon senso, che hanno consentito, con il passare del tempo, a molti altri prima di noi di godere di questo stupendo territorio che riteniamo doveroso tramandare alle generazioni future. Ma non è un vincolo forte solo con il tangibile, quello che ci lega a quest’azienda, è un vincolo anche con quel passato, con quelle memorie che fino a pochi anni fa sentivo pesanti da “indossare”, con la tradizione e con quel vino che qui si produceva già dal 1739. Vino per il quale mio padre Alceo, da grande trasformista della terra quale era, si attivò in queste terre nel Chianti, dopo le sue esperienze come agronomo in varie parti del mondo, come quella avuta alla guida di una piantagione di caffè in Brasile. Con il suo ingegno modificò, spianò, sradicò e mise in dubbio tutti i concetti vitivinicoli fino a quel momento utilizzati nella zona, effettuò nuovi impianti aumentando i sesti con numeri impensabili per quei tempi, utilizzò potature differenti e importò vitigni francesi, anch’essi innovativi per tutto il territorio di Panzano. Grandi opere d’ingegneria ambientale e d’agronomia, alla continua ricerca di quell’equilibrio che deve esistere fra la vite e la terra, tutto per ottenere dei grandi risultati enologici. Per me è la vite e non il vino il segreto di tutto, è il suo rapporto diretto che ha con la terra che la rende magica, ineguagliabile,

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unica e che le permette di fare “il grande vino”. È la pianta che io amo maggiormente, è meravigliosa; quando ne metto una in terra sono felice, mi sembra quasi di benedire il suo cammino; come una giovane figlia, per crescere e divenire robusta, matura, adulta, so che avrà bisogno delle mie attenzioni e del mio amore, che io le concedo volentieri perché mi ripagherà del mio sforzo. Io sto bene in mezzo alle fronde delle vigne, sotto gli olivi e passo più volentieri il mio tempo fra i filari che in cantina. Il vino, per me, è la chiusura del cerchio, è la punta di una piramide, il compimento visibile del lavoro svolto, e ritengo, per questo, che meriterebbe la giusta collocazione sulla scala dei valori che rappresentano il saper fare di un’azienda. Troppo frastuono oggi si vive intorno al suo “fare” e al suo “divenire”, rispetto al grande silenzio che accompagna il lavoro della terra; troppe parole spese al vento in questi ultimi anni, troppi interessi che rischiano di creare confusione fra la qualità reale e l’improvvisazione. È di tutto questo che ogni tanto mi sento stufa; è questo vocìo che m’infastidisce, perché è molto più bello comprendere il fruscìo delle foglie, palpare i grappoli e vederne la loro maturazione, osservare i colori che la vite man mano assume con il trascorrere delle stagioni. Così mi arricchisco ed entro in equilibrio con quello che mi circonda; entro in contatto con la grandezza rinascimentale dell’uomo e con la responsabilità di chi ha deciso di dialogare con la natura, comprendendola e facendola capire anche a quei bambini che frequentano la mia scuola estiva, qui in azienda. Ma non vorrei essere fraintesa; io amo il vino, ma allo stesso dò il peso che è giusto attribuirgli. Gradirei intorno a “lui” un po’ più di silenzio, così da riuscire a comprenderne meglio le sfumature, i segreti o addirittura, perché no, anche a conoscere chi c’è dietro quella bottiglia di vino. Io, quando assaggio i vini del Castello dei Rampolla, so che sono il risultato dell’impegno di mio padre e della mia famiglia. Dentro a quei profumi, alle sensazioni che sprigionano, ritrovo Alceo, ritrovo la sua metamorfosi che lo ha portato pian piano ad assomigliare sempre di più a quei vini che da duri e imbevibili, con il tempo, si sono trasformati in delicati e amabili.


Maurizia Di Napoli Rampolla


CASTELLO DEI RAMPOLLA Maurizia Di Napoli Rampolla

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D’Alceo IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

D’Alceo è un cru ottenuto dalla selezione delle uve, prodotte nel vigneto omonimo di 9 Ha di proprietà dell’azienda Santa Lucia in Faulle sulle colline che si affacciano sulla Conca d’Oro di Panzano, nel comune di Greve in Chianti.

Dopo la vendemmia, che avviene per ogni uvaggio con tempi diversi secondo la maturazione degli stessi, e che inizia di solito il 20 di settembre e si conclude il 10 ottobre, si effettua la fermentazione alcolica che procede separatamente per ogni varietà e si protrae fra i 4 e i 6 giorni alla temperatura di 26-30°C in recipienti termocondizionati di lamiera smaltata. La macerazione sulle bucce, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, prosegue invece per altri 10-12 giorni a temperature controllate comprese fra i 28 e i 30°C. Terminata questa fase, i vini, separatamente e senza alcuna chiarifica, effettuano la fermentazione malolattica in barriques di Allier di secondo passaggio, dove vi rimangono per 12-16 mesi. Durante questo periodo è effettuato l’assemblaggio delle partite, dopo di che il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 6-8 mesi.

Tipologia dei terreni I terreni che ospitano il d’Alceo hanno caratteristiche morfologiche di tessitura profonda franco-argillosa, con una buona ritenzione idrica e si trovano a un’altitudine di 360 metri s.l.m. con un’esposizione a sud / sud-est.

Uve impiegate Cabernet Sauvignon 85%, Petit Verdot 15%

Sistema d’allevamento Alberello e cordone verticale

Prima annata

1996

Le migliori annate

1996 - 1997 - 1999 2000 - 2001 Note Vino di grande longevità che si consiglia di lasciar affinare per un lungo periodo prima di assaporarne a pieno la grandiosità. Il vino raggiunge la maturità solo dopo 6-7 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 7 e i 15 anni. L’azienda sta trasformando l’attività verso l’agricoltura biodinamica.

Densità di impianto La vigna ha una densità che varia dagli 8500 ai 10000 ceppi per Ha

Quantità prodotta 14-16000 bottiglie l’anno

Note organolettiche Il vino si presenta di un colore rosso rubino, con lievi riflessi granata e con i profumi caratterizzanti del vitigno principe, il Cabernet. Fine, elegante, al gusto è ben strutturato, morbido; al retrogusto è persistente con sentori di frutti di bosco a bacca rossa e note speziate.

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Sammarco IGT Toscana Zona di produzione Sammarco è ottenuto dalla selezione delle uve, prodotte nei vigneti di proprietà dell’azienda Santa Lucia in Faulle sulle colline che si affacciano sulla Conca d’Oro di Panzano, Firenze.

Tipologia dei terreni I terreni che ospitano i vigneti hanno diverse caratteristiche morfologiche e variano, da quelli poco e moderatamente profondi con tessitura franco-sabbiosa, argilla con una buona ritenzione idrica, a quelli profondi calcarei e pietrosi posti a un’altitudine media di 300 metri s.l.m., con un’esposizione a sud / sud-ovest.

Uve impiegate Cabernet Sauvignon 95%, Sangiovese 5%

Sistema d’allevamento Guyot, con capo a frutto a circa 80 cm. dal suolo

Densità di impianto 4000 ceppi per Ha

Tecniche di produzione Dopo la vendemmia, che avviene per ogni uvaggio con tempi diversi secondo la maturazione degli stessi, e che inizia di solito il 20 di settembre e si conclude il 15 ottobre, si effettua la fermentazione alcolica che procede separatamente per ogni varietà e si protrae fra i 2 e i 4 giorni alla temperatura di 26-30°C in recipienti termocondizionati

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Note di lamiera smaltata da 219 Hl. La macerazione sulle bucce, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, prosegue invece per altri 10-12 giorni, secondo l’uvaggio, sempre a temperature controllate comprese fra i 28 e i 30°C. Terminata questa fase, i vini, separatamente e senza alcuna chiarifica, effettuano la fermentazione malolattica in barriques di Allier di secondo passaggio per il Cabernet e in botti da 30 Hl per il Sangiovese; la maturazione si protrae per 12-16 mesi. Durante questo periodo è effettuato l’assemblaggio delle partite, dopo di che il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 6-8 mesi.

Il vino non è stato prodotto nelle annate 1984, 1987, 1989, 1992. Il vino raggiunge la maturità solo dopo 5-6 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 6 e i 12 anni.

L’azienda L’Azienda Agricola Santa Lucia in Faulle si trova nella vallata che si apre a sud di Panzano ed è di proprietà della famiglia Di Napoli Rampolla dal 1739. L’azienda, ora condotta da Maurizia e Luca Di Napoli Rampolla, si estende su 128 Ha, di cui 35 vitati. Ormai da 10 anni il Castello dei Rampolla applica sull’intera superficie vitata l’agricoltura biodinamica. Collabora con l’azienda l’enologo Giacomo Tachis.

Quantità prodotta 20-25000 bottiglie l’anno

Altri vini prodotti

Note organolettiche

I Rossi: Chianti Classico DOCG (Sangiovese 95%, Cabernet Sauvignon 5%)

Il vino si presenta di un bel colore rosso rubino. Al naso offre principalmente sentori di more e ribes, ma anche vaniglia e caffè tostato. In bocca rivela equilibrio e grande finezza.

Prima annata

1980

Le migliori annate

1985 - 1990 - 1996 1997 - 1999 - 2001

Trebianco Vendemmia tardiva (Sauvignon Blanc 60%, Chardonnay 25%, Traminer 15%)



Castello del Terriccio Ogni volta che osservo dalla veranda di casa la parte sottostante della tenuta

del Terriccio, quella che guarda il mare, non finisco mai di meravigliarmi della grande bellezza che ha questa terra. Tramonti unici, con un sole rosso che si tuffa nel mare, proprio di fronte; una terra, questa del Terriccio, fertile, rigogliosa, prepotente, esuberante e potente come poche altre. Nel 1830, Lapo di Ricci definiva il Terriccio come fattoria che “segna oggi il confine di Maremma e abbandonato gradatamente gli usi maremmani va a divenire una vasta fattoria toscana”; ed è proprio con questo spirito e con questo ben preciso concetto che ho inteso operare, in questi anni. Il compito principale, prefissato fin dal momento del mio ingresso, avvenuto nel 1975, è stato quello di rivalutare questa grande tenuta, cercando di identificare il Terriccio con quell’immagine di “fattoria toscana” di cui parlava quasi due secoli prima il Ricci. Una terra che da oltre mille anni vede alternarsi proprietà che hanno avuto il grande merito di preservare, generazione dopo generazione, questo territorio da qualsiasi speculazione che potesse in qualche modo modificare l’equilibrio che nei secoli si è venuto a costituire. Certamente non potevo essere io a cambiare quelle regole che avevano assecondato in modo perfetto, in questi secoli, ogni singola componente del biosistema che regolava il Terriccio. Ritenni, dopo esserne diventato proprietario, di proseguire il lavoro di chi mi aveva preceduto, di chi aveva accudito e protetto questa terra in modo perfetto, preservandola nella sua più completa integrità, consentendo alla stessa di ripagare con abbondanti raccolti i suoi custodi. Fu così che cercai di migliorare dove vi era necessità e di trasformare dove vi era l’opportunità, mantenendo rigorosamente vive quelle regole naturali che lo

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stesso territorio sembrava si fosse spontaneamente dato. Nella logica della conservazione e della salvaguardia, come prima cosa decisi di trasformare la parte strettamente agricola in azienda biologica, escludendo i vigneti, per i quali è bastato l’aiuto della morfologia dei terreni e la dislocazione separata di questi impianti rispetto alle coltivazioni seminative del Terriccio. Ritenni poi indispensabile collocare il territorio ad area faunistica venatoria protetta; oggi, per me, è fonte di felicità e gioia incontrare fagiani, starne, lepri, cinghiali e daini e un’infinità d’uccelli migratori che da anni trovano protezione nelle terre o sul lago dell’azienda. Aria pulita quindi, dove anche i miei cavalli e i miei cani trovano la gioia di vivere. Insieme a questi importanti interventi, doverosi sia sotto l’aspetto tecnico, sia sotto quello morale, ho dato corso a un lento, ma graduale ripopolamento di quelle decine e decine di strutture abitative che sono presenti nella tenuta, non trasformandole in agriturismo, come avrebbe voluto qualche politico benpensante, ma lasciandole in uso alle famiglie che operano all’interno dell’azienda stessa, coinvolgendole così nella salvaguardia e nella tutela di questo comune e meraviglioso habitat, patrimonio di tutti. Famiglie splendide e collaboratori che si sono lasciati conquistare, come me, dalla grande personalità di questa terra. Insieme abbiamo saputo mantenere viva quella salutare e intelligente mentalità contadina che nel procedere predilige sempre la politica dei piccoli passi, dove a ogni azione deve far riscontro sempre un risultato, nella logica della stretta economia agricola che rende la tenuta autonoma, autosufficiente, e dove ogni risultato è il solo frutto del duro lavoro svolto. Questo è il Terriccio ed è questo ciò che troverà chi verrà dopo di me.


Gian Annibale Rossi di Medelana


CASTELLO DEL TERRICCIO Gian Annibale Rossi di Medelana

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Tassinaia IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

Tassinaia è un vino ottenuto da un’attenta selezione delle migliori uve di Cabernet Sauvignon, Merlot e Sangiovese provenienti dai vigneti di proprietà del Castello del Terriccio, posti sui pendii collinari, proprio alle spalle di Vada, nel comune di Castellina Marittima, nella zona di produzione del Montescudaio DOC.

Dopo la vendemmia, che avviene di solito dalla prima settimana di settembre all’inizio di ottobre, secondo la maturazione degli uvaggi, si procede alla fermentazione alcolica separata dei vini che si protrae per 6-7 giorni, a una temperatura non superiore ai 30°C in tini di acciaio inox. Contemporaneamente si avvia la macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche leggere di délestage e follatura, prosegue invece per altri 12-15 giorni, secondo gli uvaggi, sempre a temperature controllate di 30°C. Terminata questa fase, ogni varietà e ogni parcella, senza alcuna chiarifica, è messa in barriques di rovere francese, per un 50% nuove, nelle quali si conclude la fermentazione malolattica. I vini rimangono nel legno per un periodo di 14 mesi prima che venga effettuato l’assemblaggio; dopo di che il vino subisce un primo affinamento in tini d’acciaio e poi è messo in bottiglia per un ulteriore affinamento di altri 5 mesi.

Tipologia dei terreni I vigneti si trovano su terreni pedocollinari che hanno caratteristiche morfologiche composite con tessitura argillosa e sabbia e con presenza di zone calcaree dove vi è la presenza di galestro; si trovano a un’altitudine di 50 metri s.l.m. e hanno un’esposizione sud / sud-est.

Uve impiegate Sangiovese 33%, Cabernet Sauvignon 33%, Merlot 33%

Sistema d’allevamento

Prima annata

1994

Le migliori annate

1997 - 1998 - 2000 Note Il vino, che prende il nome da una collina posta all’interno della tenuta, raggiunge la maturità solo dopo 5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 10 anni, ma dovrebbe garantire possibilità d’ulteriore maturazione.

Cordone speronato

Quantità prodotta Densità di impianto

100000 bottiglie l’anno

5500 ceppi per Ha

Note organolettiche Il vino si presenta di un colore rosso porpora e con dei profumi complessi, con note di frutti di bosco maturi. Al gusto è ben strutturato, potente; al retrogusto è molto lungo e persistente.

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Lupicaia IGT Toscana Note

Zona di produzione Lupicaia è una cuvée delle uve di Cabernet Sauvignon e Merlot provenienti dai vigneti, di proprietà del Castello del Terriccio, posti sui pendii collinari proprio alle spalle di Vada, nel comune di Castellina Marittima, nella zona di produzione del Montescudaio DOC.

Tipologia dei terreni I vigneti si trovano su terreni pedocollinari che hanno caratteristiche morfologiche composite, con tessitura argillosa, sabbiosa e con terre ricche di rame e di ferro, dilavati dalle colline ove esistevano le miniere etrusche; i vigneti si trovano a un’altitudine di 50 metri s.l.m. e hanno un’esposizione sud / sud-est.

coadiuvata da tecniche leggere di délestage e follatura, prosegue invece per altri 1214 giorni a una temperatura controllata di 30°C. Terminata questa fase, ogni parcella, senza alcuna chiarifica, è messa in barriques di rovere francese, in gran parte nuove, nelle quali si conclude la fermentazione malolattica e dove il Merlot rimane 16 mesi e il Cabernet 18 mesi, prima che sia effettuato l’assemblaggio. Terminato l’invecchiamento, il vino subisce un leggero affinamento in tini d’acciaio prima di essere messo in bottiglia per un ulteriore affinamento di altri 6 mesi.

Quantità prodotta 30000 bottiglie l’anno

Uve impiegate

Note organolettiche

Cabernet Sauvignon 90%, Merlot 10%

Di colore rosso porpora intenso, il vino si presenta con un forte impatto aromatico con note di frutti di bosco maturi che s’intrecciano con note di tabacco e di vaniglia. Al palato risulta potente, armonioso, avvolgente; di grande morbidezza, ha un retrogusto molto persistente.

Sistema d’allevamento Cordone speronato

Densità di impianto 6700 ceppi per Ha

Tecniche di produzione Dopo la vendemmia, che avviene di solito dal 5 al 10 settembre per il Merlot e dal 15 al 20 settembre per il Cabernet Sauvignon, si procede alla fermentazione alcolica del mosto che si protrae fra i 4 e gli 8 giorni a temperature che non superano i 32°C in tini di acciaio inox. Contemporaneamente si avvia la macerazione sulle bucce che,

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Prima annata

1993

Le migliori annate

1993 - 1995 - 1997 1998 - 1999 - 2000

Il vino che prende il nome da un torrente presente nella tenuta, raggiunge la maturità dopo 5-6 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 6 e i 12 anni.

L’azienda Il Castello del Terriccio, di proprietà di Gian Annibale Rossi di Medelana, si estende su una superficie complessiva di 1700 Ha, in un unico corpo aziendale, di cui 50 dedicati alla viticoltura, 60 dedicati all’olivicoltura e il restante vede la presenza di colture promiscue e boschi. Collaborano in azienda gli agronomi Carlo De Paoli e Vittorio Ballini. Carlo Ferrini è l’enologo consulente dei vini rossi, Giovanni Passoni è l’enologo consulente dei vini bianchi.

Altri vini I Bianchi: Con Vento IGT (Sauvignon blanc 100%) Rondinaia IGT (Chardonnay 100%) I Rossi: Capannino IGT (Sangiovese 95%, Merlot Cabernet Sauvignon 5%)



Castello di Ama “

Raison de vie”

Questa è la ragione della mia vita: lavorare e occuparmi di questa azienda che ha rappresentato per me l’essenza e il significato più intrinseco della parola vino. È stato questo lo stimolo che mi ha fatto rimanere al Castello di Ama per tutti questi anni. È stato sempre chiaro in me, fin dal mio primo anno universitario alla facoltà di Agraria di Firenze, che il mio grande sogno, terminati gli studi, era quello di trovare una bella azienda nel Chianti dove lavorare per anni su un progetto serio e costruttivo. Tutto questo si è avverato e sono vent’anni che da agronomo ed enologo mi occupo di queste terre, vent’anni passati alla ricerca di quella qualità “totale” capace da una parte di personalizzare e caratterizzare i vini prodotti e dall’altra di potersi sposare con queste vigne e con questo clima. Sono stati anni durante i quali solo il culto del lavoro ha trovato spazio e mi ha aiutato, sia nell’applicazione di quel minuzioso programma avviato oltre quindici anni fa, sia a formarmi sotto l’aspetto professionale e personale. Ricordo ancora quando nel 1982 con l’aiuto dell’amico Carlo Ferrini approdai ad Ama e di come fu stimolante la conoscenza di Gian Vittorio Cavanna, uno dei quattro proprietari a quei tempi, il quale aveva già in mente come sarebbe dovuta divenire nel corso degli anni questa azienda. Un progetto preciso in grado di modificare radicalmente il concetto del vino prodotto; un progetto che si basava sulla volontà ferrea di dimostrare che anche su queste terre era possibile fare dei grandissimi vini. Cavanna aveva bisogno solo di un interprete per l’applicazione della sua filosofia e sembrò chiaro a entrambi che con me lo aveva trovato. Mi chiese la totale disponibilità a dedicarmi unicamente ad Ama concedendomi contemporaneamente la possibilità di frequentare i corsi di specializzazione dell’Università di Bordeaux. Per me fu un’azione di full-immersion nel mondo del vino che, con mia sorpresa, scoprii diverso da come immaginavo; le mie poche conoscenze didattiche si dimostrarono obsolete, arcaiche e tutto quello che avevo osservato e

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imparato nel mio breve stage formativo nella cantina del Consorzio del Chianti era da dimenticare. Furono anni passati a stretto contatto con Patrick Leon, direttore tecnico di Château Mouton-Rothschild; fu con lui che tutte le mie conoscenze sul vino furono stravolte. Con un mentore come lui mi si aprirono orizzonti nuovi di cui ancora oggi non riesco a percepire i confini; mi si prospettarono sistemi operativi che davano risultanze matematiche infinite; tutto il bagaglio culturale in mio possesso in materia fu sovvertito, modificato e ricostruito. Era chiaro che tutto quello che imparavo in Francia lo trasferivo nel progetto del Castello di Ama, adattandolo però e forgiandolo su questa terra. Ecco quindi che, pur inserendo dei nuovi vitigni, si avviò lo studio e la valorizzazione del Sangiovese; inoltre fu fatto un meticoloso lavoro di parcellizzazione dei terreni al fine di scegliere quelli più adatti alla valorizzazione degli uvaggi piantati; fummo tra i primi ad adottare i nuovi sistemi dell’allevamento con densità maggiori e potature “a lira” per equilibrare le rese e coniugarle con quello che questa terra dona. Nel 1988 poi, con l’arrivo di Lorenza Sebasti, mia moglie, le cose migliorarono ancora di più; infatti in lei riscontravo quelle peculiari caratteristiche professionali che ci completavano, ma soprattutto riscontravo in lei una forza interiore che a poco a poco ha dato corpo e carattere a questa azienda. Furono momenti di grande confronto che ci videro impegnati entrambi negli esercizi obbligatori di ginnastica enologica per la creazione dei nostri crus, confronti che ancora oggi continuano nel massimo rispetto delle reciproche competenze e che ci vedono proseguire, insieme, sul lungo cammino alla ricerca della qualità totale. Quando ripenso a Cavanna, che purtroppo non c’è più, quando guardo Lorenza e i nostri tre figli, ritengo di essere un uomo che ha poco da lamentarsi, perché ho una bella famiglia e ho il grande vantaggio di amare una donna con la quale condivide il sogno più bello della sua vita: il Castello di Ama.


Marco Pallanti


CASTELLO DI AMA Marco Pallanti

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L’Apparita IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

L’Apparita è un cru di uve provenienti dal vigneto omonimo, in località Vigneto Bellavista, che si trova nell’azienda Castello di Ama, posta sulle colline a nord di Gaiole in Chianti nell’area di produzione del Chianti Classico DOCG.

Dopo la vendemmia, che avviene dal 10 al 20 settembre, si procede per 6-8 giorni alla fermentazione alcolica del mosto con temperature intorno ai 32-34°C. Contemporaneamente si effettua la macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, prosegue per altri 16-18 giorni. Terminata questa fase il vino è posto in barriques di Allier nuove, dove vi rimane per 15 mesi e dove effettua la fermentazione malolattica. Durante questo periodo viene effettuato l’assemblaggio delle partite. Terminato l’invecchiamento, il vino viene messo per un breve periodo in tini di acciaio, prima di procedere a un affinamento in bottiglia di 10 mesi.

Tipologia dei terreni Il vigneto è situato su terreni che hanno una tessitura argilloso-calcarea, di medio impasto con una buona componente di scheletro e galestro, ed è posto a un’altitudine di 470 metri s.l.m. con un’esposizione nord-sud.

Uve impiegate Merlot 100%

Sistema d’allevamento Lira aperta

Quantità prodotta

Prima annata

1985

Le migliori annate

1987 - 1988 - 1990 - 1992 1998 - 1999 - 2000 Note Il vino, che prende il nome dall’omonimo vigneto, raggiunge la maturità solo dopo 45 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 10 anni.

L’azienda L’azienda, di proprietà della Castello di Ama S.p.A., si estende su una superficie complessiva di 250 Ha, di cui 90 destinati alla viticoltura specializzata, e 40 destinati all’olivicoltura.

8-10000 bottiglie l’anno

Altri vini

Densità di impianto 3000 ceppi per Ha

Note organolettiche Di colore rosso rubino con evidenti riflessi viola, il vino ha profumi molto intensi, speziati di pepe, cannella e vaniglia, con note fruttate di ciliegia matura e mora. Al palato risulta avvolgente, di grande spessore; in bocca si mantiene persistente per un lungo periodo.

I Bianchi: Al Poggio IGT (Chardonnay 85-90%, il resto Pinot grigio e Malvasia bianca) I Rossi: Castello di Ama Chianti Classico DOCG (Sangiovese 85-90%, il resto Malvasia nera, Merlot e Canaiolo) Rosato IGT (Sangiovese 100%)

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Castello di Fonterutoli “

È dè dare, a di 16 dicembre 1398, fiorini 3, soldi 26, denari 8 a Piero di Tino

Riccio, per barili 6 di vino di Chianti...che li detti e pagammo per lettera a Ser Lapo Mazzei” (archivio Datini) Questo è il primo documento storico in cui è menzionata la parola “vino” di Chianti, ma è anche il documento che attesta chiaramente da quanto tempo i Mazzei facciano vino e se già allora era pagato cosi bene, forse era ben chiaro anche a quei tempi, la grande qualità che lo contraddistingueva. È alla nipote di Ser Lapo Mazzei, Madonna Smeralda, andata in sposa a Piero di Agnolo da Fonterutoli, che si deve l’onore di averci tramandato la proprietà del Castello di Fonterutoli, proprietà passata dal 1435 fino a oggi attraverso 23 generazioni, anzi con me e mio fratello Francesco, siamo già alla 24ª. Francamente nella mia giovinezza non credevo che quest’albero genealogico, definito da mio padre come una robusta e generosa pianta di vite che da sempre ha ricoperto di frutti la nostra famiglia, potesse in qualche modo condizionare il mio destino. Avevo fatto di tutto per non accostarmi alla tradizione che ci vedeva legati come viticci alla terra, alla vite, al vino. Avevo scelto una formazione che non avesse nessun riferimento con quest’ambiente frequentando il liceo classico; poi mi iscrissi all’università e alla facoltà di Economia e Commercio. Non contento, subito dopo essermi laureato ero andato a lavorare a Milano in una finanziaria di livello internazionale, salendo tutta la scala gerarchica concessami, fino a raggiungere il grado di direttore commerciale in Italia, immerso in un lavoro che spesso mi conduceva piacevolmente anche a Parigi. Tutto faceva presagire altri fini e altri sbocchi per il mio futuro, ma, come sappiamo, le cose cambiano quasi d’improvviso e fu proprio così che andò per me.

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Mio padre Lapo mi chiese alla fine degli anni ‘80 di seguire per conto della famiglia la compravendita di una vecchia proprietà confinante con il castello, che era stata da noi venduta subito dopo la guerra. Ci tenevamo molto a ritornare in possesso di quell’appezzamento di terra, era un legame affettivo, ma per me non si trattò solo di un atto legale o di una semplice consulenza: l'evento coincise con il mio riappropriarmi del territorio e dell’ambiente. Quel contatto fu fatale, ma ancora di più lo fu la percezione totale dell’importanza di appartenere a quell’albero genealogico; per la prima volta ebbi chiaro il valore della tradizione di famiglia. Mi sentii coinvolto come non lo ero mai stato e oltre a ritornarmi alla mente i racconti, le leggende e i personaggi che avevano arricchito la storia della nostra famiglia, con gesti e azioni degne di plauso, mi dedicai alle vendemmie, alle cantine, alla vendita dei prodotti sia sul mercato nazionale che internazionale: un lavoro per il quale ero particolarmente portato. Le mie memorie si risvegliarono e mi fecero prendere coscienza di quanto e di come tutto a Fonterutoli mi appartenesse non solo sotto l’aspetto patrimoniale, ma anche sotto l’aspetto spirituale e compresi che appartenere alla storia ha un significato solo se uno si adopera per tramandarla. Fu così che decisi di rimanere. Sono passati diversi anni, l’azienda oggi naviga in acque commerciali tranquille, si è ampliata e i vini prodotti si stanno affermando sempre più sui mercati internazionali e noi siamo convinti che Fonterutoli costituisce oggi la sfida dei Mazzei nel nuovo millennio; certamente un sicuro punto di partenza dal quale muoversi per scrivere delle nuove pagine di storia della nostra famiglia che dovranno parlare questa volta anche di Filippo e Francesco Mazzei.


Filippo Mazzei


CASTELLO DI FONTERUTOLI Filippo Mazzei

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Siepi IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

Siepi è un cru ottenuto dalla selezione delle uve migliori provenienti dal vigneto omonimo posto nei territori dell’azienda Castello di Fonterutoli di proprietà dei marchesi Mazzei e situato sulle colline che si trovano nella parte a sud del comune di Castellina in Chianti, nella zona di produzione del Chianti Classico DOCG.

Dopo la vendemmia, che parte di solito dalla prima settimana di settembre per il Merlot e dalla terza per il Sangiovese, si procede alla fermentazione alcolica degli uvaggi che procede separatamente per ognuno di essi e si protrae fra i 4 e gli 8 giorni alla temperatura di 32°C in recipienti termocondizionati. Contemporaneamente si procede anche alla macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, si protrae per altri 10-12 giorni. Terminata questa fase i vini effettuano, separatamente e senza alcuna chiarifica, la fermentazione malolattica in piccoli fusti di rovere francese di primo passaggio, dove vi rimangono per 16 mesi. Terminato l’invecchiamento, il vino subisce un affinamento in tini d’acciaio durante i quali viene effettuato l’assemblaggio delle partite, prima di essere imbottigliato per un ulteriore affinamento di 6-8 mesi.

1992

Quantità prodotta

Altri vini

Tipologia dei terreni Il vigneto Siepi è ubicato su terreni che hanno caratteristiche climatiche e pedologiche molto particolari e presentano una tessitura argilloso-calcarea; posto a un’altitudine di 260 metri s.l.m. ha un’esposizione sud / sud-ovest.

Uve impiegate Merlot 50%, Sangiovese 50%

Sistema d’allevamento

Prima annata

Le migliori annate

1995 - 1996 - 1997 1998 - 1999 - 2001 Note Il vino prende il nome dall’omonimo vigneto e raggiunge la maturità solo dopo 4-5 anni dalla vendemmia, mentre il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 12 anni.

L’azienda L’azienda del Castello di Fonterutoli, di proprietà dei marchesi Mazzei dal 1435, si estende su una superficie complessiva di 500 Ha, di cui 70 destinati alla viticoltura e 15 destinati all’olivicoltura. La restante superficie vede in gran parte la presenza di boschi e altre colture promiscue. Collabora in azienda l’enologo Carlo Ferrini.

Cordone speronato

Densità di impianto 4500 ceppi per Ha nei vecchi impianti, 6800 ceppi per Ha nei nuovi impianti

30000 bottiglie l’anno

Note organolettiche Di colore rosso rubino dai luminosi riflessi granata, si presenta con ampie note di viola, marasca e piccoli frutti di bosco con un fondo di vaniglia. Dal sapore asciutto, elegante, ripropone al palato le sensazioni avvertite al naso.

I Rossi: Chianti Classico DOCG Castello di Fonterutoli (Sangiovese 90%, Cabernet Sauvignon 10%) Chianti Classico DOCG Fonterutoli (Sangiovese 100%) Poggio alla Badiola IGT di Toscana (Sangiovese 75%, Merlot 15%, Cabernet Sauvignon 10%) Tenuta Belguardo IGT Maremma Toscana (Cabernet Sauvignon 70%, Sangiovese 20%, Merlot 10%)

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Castello di Gabbiano Non è possibile parlare del Castello di Gabbiano senza immergersi in questa terra e nella sua storia, che vedeva già nel lontano 1124 l’antica famiglia di banchieri fiorentini dei Bardi dare alla tenuta l’indirizzo vitivinicolo costruendo le cantine con strutture a volta. Successivamente esse furono poi ampliate e integrate nel complesso architettonico del castello dalla famiglia Soderini, che vide tra i suoi massimi esponenti Pier Soderini, eletto Gonfaloniere a vita della città di Firenze nel 1502 e amico intimo di Amerigo Vespucci e di Michelangelo, da lui stesso raccomandato al Papa. Aggirandomi per queste campagne e guardando l’antica struttura del castello, le sue torri merlate e le mura e girando lo sguardo a 360° gradi, mi domando come potesse essere, a quel tempo, questa terra. Certamente quando la dirigenza della Beringer Blass Wine Estates decise d’investire e comprare questa tenuta in Toscana, di cui importava i vini in America, forse non comprendeva fino in fondo cosa significasse “comprare la storia”, o forse invece sapeva benissimo cosa stava facendo, poiché a quelle aziende produttrici di vino che già possedeva in Australia, Nuova Zelanda e California, mancava proprio questo: la storia. Oggi ho la fortuna di dirigere un’azienda di 102 ettari, accorpati intorno al castello, e un’altra piccola tenuta di 20 ettari chiamata Cerbaiola, poco distante, nel comune di Tavarnelle Val di Pesa. Su queste terre, come quasi mille anni fa, sono stato incaricato di provare a fare del buon vino, non più con qualche filare, ma con 70 ettari di vigneto in produzione, che stiamo cercando molto rapidamente di convertire in specializzato nell’arco di un paio d’anni. Quando mi aggiro fra i filari di Sangiovese che ricoprono quasi il 70% dell’intera area vitata, di Cabernet e di Merlot, o fra questi storici olivi che sembrano “appoggiati” alle dolci colline, mi rendo conto di quanto sia importante per me questa scommessa e quanto sia cambiata la mia vita da quando mi sono trasferito qui in Toscana. Penso a tutto il tempo trascorso fuori dall’Italia, i miei 20 anni in Svizzera e i miei 10 anni in America, e a quanto questo mio passato appartenga proprio a un altro spazio temporale. Quando sei immerso nel “mercato” e decidi di parlare o acquistare

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del vino, come un Supertuscan, tuffi il naso dentro un bicchiere, assapori e cerchi di carpire i suoi linguaggi, ti sforzi di comprendere i segreti che hanno stimolato quel vignaiolo; quando invece un Supertuscan decidi di farlo, tuffi l’anima nella terra, le mani fra i filari, lo sguardo nelle zolle e verso il cielo, nella speranza che quello che stai facendo sia guardato con occhio benevolo dal tempo e con intelligenza e sagacia da chi ne parlerà o l’acquisterà. Tutte le scelte che riguardano un vino sono complesse e articolate: prima di tutto, in ottica di marketing c’è da decidere il “nome”; nel caso di “Bellezza” si è trattato di un nome di facile interpretazione, comprensibile a tutti e conosciuto in tutto il mondo; c’è da decidere poi su quali parametri ti devi raffrontare per fare un “grande” vino; devi scegliere i vitigni da utilizzare per la sua realizzazione e comprenderne gli umori rispetto al territorio che possiedi; soprattutto se utilizzi il Sangiovese, devi capire come questi vitigni ti asseconderanno, come si evolveranno nel tempo, di cosa avrai bisogno, nell’immediato e nel futuro, per esaltarli, come ti staranno accanto e quali spazi e garanzie di continuità ti concederanno. O dietro a una scrivania o in mezzo ai campi, sia che tu parli di marketing o di vino, è necessario possedere la scienza del sapere che, guarda caso, si appoggia spesso alla tradizione dei risultati ottenuti e alla semplicità del linguaggio usato per tramandarli o per farli propri. Noi volevamo fare un vino che sapesse interpretare i valori della sua terra d’origine, un vino che tenesse conto della tradizione, che desse un forte messaggio, capace di fornire un’alta qualità e una forte personalità, come sostiene il nostro enologo Giancarlo Roman. Volevamo che “Bellezza” ci consentisse di interagire, che fosse una “bellezza in movimento”, protagonista e partecipe delle mutazioni che stiamo attivando da poco nella vigna, nella cantina e nella nostra mente. Abbiamo intrapreso un viaggio veramente interessante che ci conduce alla ricerca della qualità del prodotto e crediamo fortemente che la storia di questo territorio ci aiuterà a lasciare un piccolo segno del nostro passaggio.


Ivano Reali


CASTELLO DI GABBIANO Ivano Reali

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Bellezza IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

Note

Bellezza è un vino ottenuto da un’attenta cernita delle uve Sangiovese provenienti dai vigneti della Tenuta del Castello di Gabbiano a Mercatale Val di Pesa.

Dopo la vendemmia che avviene dalla fine settembre ai primi di ottobre, si procede alla fermentazione alcolica che si effettua per 4-6 giorni circa alla temperatura controllata di 28°-32°C in recipienti termocondizionati di acciaio inox mentre la macerazione sulle bucce, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, prosegue per altri 16-18 giorni. Terminata questa fase il vino effettua la fermentazione malolattica in acciaio prima di essere messo in piccole botti di rovere dove vi rimane per 12 mesi. Poi è assemblato e rimesso nuovamente in barriques di Allier, per un 40% nuove, per un 40% di secondo passaggio e per un 20% di terzo passaggio, dove vi rimane per altri 24 mesi. Terminato questo lungo invecchiamento il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento che prosegue per 6 mesi.

Vino che già alla sua prima uscita ha notevolmente impressionato, ma che la nuova proprietà sta migliorando ad ogni annata, man mano che il lavoro svolto in vigna incomincia a dare i suoi frutti. Il vino dovrebbe raggiungere la maturità solo dopo 5-6 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione dovrebbe essere compreso fra i 6 e i 12 anni.

Tipologia dei terreni I vigneti che ospitano il Sangiovese si trovano su terreni che hanno una tessitura ricca di scheletro, alberese e argilla e si trovano a un’altitudine di 250 metri s.l.m. con un’esposizione sud / sud-est.

Uve impiegate Sangiovese 100%

Sistema d’allevamento Misto: in parte capovolto toscano e in parte cordone speronato

Densità di impianto 3400 ceppi per Ha

Quantità prodotta

L’azienda La fattoria Castello di Gabbiano, di proprietà della Beringer Blass Italia si estende per 102 Ha di cui 55 destinati alla viticoltura e 20 destinati all’olivicoltura, mentre il rimanente è dedicato a colture promiscue e boschi. Collaborano con l’azienda l’agronomo Liliano Sani e l’enologo Giancarlo Roman.

17000 bottiglie l’anno

Altri vini Note organolettiche Di colore rosso rubino intenso, con marcati riflessi granata, il vino si presenta con sentori fruttati di marasca, floreali di viola e speziati. Al palato è strutturato, di corpo, ha tannini consistenti, ma maturi; al retrogusto risulta di buona persistenza.

Alleanza (Sangiovese 50%, Merlot 40%, Cabernet Sauvignon 10%) Chianti Classico DOCG - Chianti Classico DOCG Riserva (Sangiovese 100%) Chianti Gabbiano DOCG (Sangiovese 95%, Canaiolo 5%) Gavius IGT (Sangiovese / Merlot)

Prima annata

1997

Le migliori annate

1997 - 1999 - 2000 - 2001

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Castello di Monsanto Per una come me, che è cresciuta accanto a un padre che ha un’innata passione per il vino, non è stato difficile innamorarsi del mestiere di vignaiola. Eppure, riflettendoci bene, la cosa non è poi stata così scontata; infatti, durante la mia gioventù mi ero ripromessa infinite volte che non avrei dovuto, mai e poi mai, lasciarmi condizionare dagli interessi familiari e avrei dovuto percorrere strade diverse che fossero il più lontano possibile da quelle che la storia di famiglia proponeva. Queste mi avrebbero dovuto vedere o inserita nell’azienda tessile di Varese o nell’azienda vitivinicola di Monsanto, qui nel Chianti. Un giorno però, alla conclusione dei miei studi, rammento che, fermandomi a riflettere, non riuscii a dare delle risposte logiche, chiare e precise al mio ostinato e categorico rifiuto di seguire le aziende di famiglia, verso una delle quali, quella vinicola, nutrivo molto più di un forte attaccamento e di un grande fascino. Non doveva essere solo la scusa per non voler lavorare accanto a mio padre a costringermi a rinunciare a ciò che mi attraeva particolarmente: il vino. Sapevo benissimo che la campagna mi piaceva, anzi l’adoravo, come del resto amavo tutto il processo produttivo che si sviluppava annualmente intorno al mondo del vino; mi entusiasmavano quei segreti che sono racchiusi dietro alle meravigliose sensazioni che un bicchiere di vino riesce a sprigionare. Era chiaro che con questa passione non potevo continuare a mentirmi e fu proprio dando retta alla mia indole che nel 1989 entrai a lavorare a tempo pieno in questa tenuta. Avevo poco più di 20 anni e per conquistare il rispetto degli altri collaboratori e soprattutto di mio padre, ricordo che incominciai facendo di tutto, dalla magazziniera all’imbottigliatrice, dalla vendemmiatrice alla potatrice: quello che la “gavetta” imponeva mi trovò presente, per anni. Fu proprio in questo periodo che fra le molteplici attività in cui ero coinvolta scoprii una forte predisposizione e un interesse sempre maggiore nei confronti della viticoltura. Fu

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meraviglioso scoprire quanta creatività consente la vite, la molteplicità dei frutti che la stessa ti dona dopo averla seguìta, curata ed educata per anni; è una pianta stupenda, è originale nel suo processo vegetativo, è la raffigurazione massima della potenza della natura, è energia, e non so, forse perché sono donna, ma ogni anno io accosto la sua evoluzione alla stessa procreazione materna. È a mio padre Fabrizio che devo la capacità di valutare e di ragionare sul vino; è lui che mi ha insegnato a comprenderne le variazioni e i meccanismi che ne regolano le evoluzioni, ma pur acquisendo tecniche e metodologie, sono sempre rimasta legata alla mia idea che vede il vino come uno stupendo amplificatore sensoriale al quale accostarsi piacevolmente senza remore o sudditanze, con tranquillità, perché produce ebbrezza, conoscenza e spontaneità. Questa sua complessità e questa sua capacità d’aggregazione sono un meraviglioso regalo della natura, natura nella quale io spesso mi rifugio, lontano da tutto e da tutti, in un angolo solitario del Castello di Monsanto, dove riesco a percepirne l’energia, l’equilibrio che, qui, ha saputo costruire con la terra, il cielo e con me. In queste mie fughe cerco un abbraccio simbolico con la natura, un riparo; credo che questo sia il mio modo più semplice per avvicinarmi a qualcosa di molto superiore e non mi fa paura, né mi rimane difficile abbandonarmi completamente alla sua contemplazione; mi sforzo di percepire i suoi linguaggi e i suoi mutamenti, forse con l’unico obiettivo di arrivare a scoprire sempre più, non i suoi segreti, ma i miei, quelli più profondi. Indubbiamente è tra queste colline, fra le mura di questo Castello, nei grappoli della vite o nell’odore del mosto che io trovo la “mia natura”, l’essenza delle cose ed è in essa che ricerco la mia serenità. Forse è questo il mio modo, molto personale, di fare la vignaiola nel Chianti.


Laura Bianchi


CASTELLO DI MONSANTO Laura Bianchi

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Nemo IGT Toscana L’azienda

Zona di produzione Nemo è un cru d’uve provenienti dal vigneto Il Mulino dell’azienda Castello di Monsanto, posto sulle colline a sud del comune di Barberino Val D’Elsa, nell’area di produzione del Chianti Classico DOCG.

zione malolattica. Terminato l’invecchiamento, il vino è messo per un breve periodo in tini di acciaio prima di procedere a un affinamento in bottiglia di 12 mesi.

Quantità prodotta Tipologia dei terreni Il vigneto è situato su un terreno alluvionale proveniente dallo sgretolamento dei suoli galestrosi situati a monte e ha una tessitura di medio impasto; è posto a un’altitudine di 280 metri s.l.m., con un’esposizione sud-ovest.

25000 bottiglie l’anno

Note organolettiche

Cabernet Sauvignon 100%

Di colore rosso rubino scuro, il vino si presenta con sentori di frutti di bosco maturi neri e rossi, con note speziate e, man mano che tende ad aprirsi, di tabacco. Al palato risulta avvolgente, elegante, equilibrato, di grande finezza; persistente in bocca per un lungo periodo.

Sistema d’allevamento

Prima annata

Uve impiegate

Guyot

1982

Densità di impianto

Le migliori annate

4000 ceppi per Ha

Tecniche di produzione Dopo la vendemmia, che avviene di solito all’inizio di ottobre, si procede per 6-8 giorni alla fermentazione alcolica del mosto con temperature intorno ai 28°C, in tini di acciaio tronco-conici. Contemporaneamente si avvia anche la macerazione sulle bucce, che, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, prosegue per altri 14-18 giorni. Terminata questa fase, il vino è posto in barriques di Allier nuove, dove vi rimane per 18 mesi e dove completa la fermenta-

Il Castello di Monsanto, di proprietà della famiglia Bianchi, ha una superficie complessiva di 206 Ha: 72 sono destinati alla viticoltura specializzata, mentre 20 sono destinati all’olivicoltura. Il restante territorio vede la presenza di boschi e colture promiscue. Collabora in azienda, come consulente, l’enologo Andrea Giovannini.

1982 - 1985 - 1988 1990 - 1993 - 1995 1997 - 1999 - 2001

Altri vini I Bianchi: Fabrizio Bianchi Chardonnay (Chardonnay 100%) I Rossi: Chianti Classico DOCG Il Poggio Riserva (Sangiovese 90%, Canaiolo e Colorino 10%) Fabrizio Bianchi Sangiovese IGT (Sangiovese 100%) Vin Santo La Chimera (Trebbiano 50%, Malvasia Bianca 50%)

Note Nemo, il vino, che prende il nome dalla parola latina “nemo”, in italiano “nessuno”, non è stato prodotto nelle annate 1987, 1989, 1991, 1992. Le caratteristiche peculiari del territorio gli consentono una grande longevità; infatti raggiunge la maturità solo dopo 5-6 anni dalla vendemmia e il suo plateau di maturazione è compreso fra i 6 e i 15 anni.

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Castello di Poppiano Sono sempre stato attratto dalla terra e dalla campagna. La scelta di laurearmi in Scienze Agrarie fu vista, a suo tempo, con qualche perplessità in casa: agli inizi degli anni Sessanta poteva apparire una via senza prospettive. La nostra agricoltura era completamente allo sbando e stava attraversando un periodo di grandissima difficoltà. La fine della mezzadria, che per lunghi secoli aveva scandito la vita e l’economia della campagna fiorentina, costituiva un cambiamento epocale: il mondo agricolo era in una situazione di totale disorientamento. L’agricoltura, che durante l’epoca mezzadrile era stata spesso vissuta dai proprietari come un semplice, talvolta lontano, strumento di reddito, improvvisamente diveniva un impegno lavorativo duro e difficile. Sopravvivere in agricoltura in quel periodo significava impegnarsi in grosse e costose trasformazioni ed acquisire una mentalità nuova, imprenditoriale, ben diversa da quella ancestrale. Era una sfida e io l’accettai. Le mie scelte, come quelle di tanti altri agricoltori, furono in un primo tempo orientate al mantenimento dell’esistente, mentre si cercava affannosamente una via d’uscita dalla crisi che attanagliava le nostre campagne. Poi, una volta individuata la linea da seguire, iniziai a lavorare in termini progettuali alla ricostituzione ed allo sviluppo della mia azienda, la più storica e tradizionale dei Guicciardini: il Castello di Poppiano. Mi impegnai con la costanza che mi caratterizza fin dall’adolescenza. Soprattutto grazie a mia madre che, rimasta vedova quando ero ancora bambino, mi ha maternamente fatto anche da padre e mi ha inquadrato la vita, insegnandomi come affrontarla nei suoi veri valori. Ho ricevuto un’educazione semplice, senza fronzoli, che non disconosceva le origini della mia famiglia, né la lunga storia che avevamo alle spalle: uno “status” che crea non tanto diritti, quanto doveri morali e materiali, costituendo un valido supporto nei momenti difficili e creando punti di riferimento sicuri. Dopo essermi laureato, al fine di rendermi economicamente indipendente e non sottrarre risorse finanziarie alla ricostituzione post-mezzadrile della azienda del Castello di Poppiano, ho svolto per molto tempo attività di consulenza in campo agroeconomico per una importante società di progettazione a livello internazionale impegnata in lavori di pianificazione di programmi di sviluppo in paesi emergenti. Compresi subito di essere stato fortunato, perché, per un giovane che si affacciava al mondo del lavoro, conoscere realtà nuove, lontane ed interessanti era un’esperienza estremamente valida e, a quei tempi, non così facile ed usuale come oggi. Questa attività contribuì sostanzialmente al completamento della mia formazione professionale e all’impostazione metodica del lavoro che svolgevo per far

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rinascere il Castello di Poppiano. Al ritorno dai soggiorni di lavoro all’estero, con un orizzonte che si stava sempre più allargando, inconsciamente capivo sempre più quanto fosse importante per me il patrimonio storico e culturale che ritrovavo tornando a casa. A ogni rientro scoprivo che le mura, le cantine e le torri del Castello di Poppiano, per me erano sempre più attraenti e incominciavo sempre più a percepire in quel cortile, dove avevo trascorso la mia adolescenza, spesso giocando a calcio con i figli dei contadini, la grande energia che si sprigionava da quelle mura. Era bello e rassicurante rivedere quel portone che si apriva e ogni volta tutto mi appariva diverso, più vivo, più importante, in una parola, più “unico”. Sicuramente tutto questo contribuì alla mia maturazione dandomi da un lato una prospettiva più ampia della realtà che mi circondava qui nel Chianti, e dall’altro la misura vera del valore che aveva per me Poppiano, il Castello, il borgo che lo circonda, le terre e le sue genti. Questo crescendo di percezioni, prima epidermiche poi sempre più profonde, mi ha arricchito portandomi in simbiosi con quelle mura che, silenziose testimoni del tempo, sono divenute le più severe osservatrici del mio operare. Così, poco a poco,è cresciuto in me quello che mia moglie “Titti” chiama il “gene-P”, il gene di Poppiano, che, combinandosi con il mio carattere, mi ha fatto concentrare sul mio lavoro nei vigneti e nell’oliveto, affiancato da Titti che si è dedicata alla qualità del nostro Laudemio. Contemporaneamente mi sono impegnato nella valorizzazione della nostra denominazione tradizionale, il Chianti Colli Fiorentini e del suo Consorzio. Il lavoro mi assorbe talvolta fin troppo e, senza che me ne accorga, purtroppo mi trovo a togliere spazio ad altri valori importanti come le amicizie e gli affetti a cui tengo molto. Di questo mi dispiace. Questa è ormai la mia vita e guardandomi indietro è con soddisfazione che vedo compensato l’impegno che in decenni mi ha consentito il recupero e la valorizzazione dell’azienda del Castello di Poppiano, concedendomi, non appena è stato economicamente possibile grazie al lavoro svolto qui a Poppiano, il “Sogno Maremmano”, un progetto da affiancare alla tradizione, come segno tangibile della possibilità di creare qualcosa di nuovo, dopo tanti anni passati a tenere in piedi con difficoltà la nostra realtà storica. Un sogno che in pochi anni ci ha condotto a realizzare “Massi di Mandorlaia” una nuova azienda nel “Morellino di Scansano”, nata grazie a quel “gene-P” e all’energia che scaturisce dal mio passato che, ancora alla mia età, mi dà l’entusiasmo e la volontà di continuare oltre il mantenimento dell’esistente, relegando in secondo piano il trascorrere del tempo.


Ferdinando Guicciardini


CASTELLO DI POPPIANO Ferdinando Guicciardini

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Tricorno IGT Colli della Toscana Centrale Zona di produzione Il vino è un blend prodotto dalla vinificazione delle migliori uve Sangiovese, Cabernet Sauvignon e Merlot provenienti dai vigneti di proprietà dell’azienda, posti nel comune di Montespertoli, le cui viti hanno un’età media di 15 anni.

Tipologia dei terreni I vigneti, che si trovano su terreni di medio impasto con abbondante scheletro ben drenato, sono posizionati ad un’altitudine compresa tra i 180 e i 300 metri s.l.m. con esposizione a sud/sud-est.

vengono posti in barrique prevalentemente di rovere francese di Allier e Nevers, di media tostatura a grana fine per un 50% nuove e il restante di secondo passaggio, dove rimangono per 18-24 mesi. Dopo questo lungo periodo di maturazione si procede all’assemblaggio delle varie partite e il blend ottenuto è imbottigliato per un ulteriore affinamento che dura un minimo di 3 mesi prima di essere commercializzato.

Quantità prodotta 20000 bottiglie l’anno

Uve impiegate

Note organolettiche

Sangiovese 40%, Cabernet Sauvignon 35%, Merlot 25%

Dal colore rosso rubino profondo con riflessi porpora, il vino si presenta all’esame olfattivo con percezioni olfattive armoniose ed eleganti, con lievi sentori vanigliati e balsamici che si arricchiscono di note speziate di cuoio e cioccolato, le quali lasciano poi spazio ad accenni fruttati di more e prugne. In bocca è corposo, pieno e ha un’entratura piacevole con una fibra tannica di ottima trama, fine e sottile. Lungo il finale, chiude con note di mandorla amara.

Sistema d’allevamento Controspalliera con potatura a cordone speronato semplice

Densità di impianto 4500 ceppi per Ha

Tecniche di produzione Dopo la vendemmia, che avviene di solito dal 10 settembre al 20 ottobre, a seconda dei vitigni, si procede alla diraspapigiatura delle uve e i pigiati ottenuti si avviano separatamente alla fermentazione alcolica che si protrae per circa 16 giorni ad una temperatura di 27-28°C in recipienti di acciaio inox; contemporaneamente si procede anche alla macerazione sulle bucce che dura 15-20 giorni durante la quale vengono effettuati frequenti délestage e follature. Dopo aver svolto la fermentazione malolattica, i vini

Prima annata

1987

dopo 4-5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 12 anni.

L’azienda Il Castello di Poppiano, che appartiene alla famiglia Guicciardini da nove secoli, ha intorno a sé una proprietà agricola che si estende su una superficie complessiva di 265 Ha, di cui 125 vitati, 47 destinati all’olivicoltura e i restanti occupati da boschi e seminativi. Svolge le funzioni di agronomo Ferdinando Guicciardini, mentre collabora in azienda l’enologo Paolo Bartalucci con la consulenza esterna di Giorgio Marone.

Altri vini CASTELLO DI POPPIANO I Rossi: Chianti Colli Fiorentini “Riserva” (Sangiovese 90%, Colorino, Cabernet Sauvignon, Merlot 10%) Chianti Colli Fiorentini “Il Cortile” (Sangiovese 85%, Canaiolo 5%, Colorino, Cabernet Sauvignon, Merlot 10%) Toscoforte - IGT Colli della Toscana Centrale (Sangiovese 90%, Syrah 10%) Syrah - IGT Colli della Toscana Centrale (Syrah 90%, Sangiovese 10%)

Le migliori annate

1987 - 1988 - 1990 - 1993 - 1995 1998 - 1999 - 2000 - 2001

Vinsanto della Torre Grande - IGT Colli della Toscana Centrale (Malvasia 100%)

Note

MASSI DI MANDORLAIA (Scansano) Morellino di Scansano DOCG “Mandorlaia Riserva” (Sangiovese 85%, Alicante, Cabernet Sauvignon, Merlot 15%)

Il vino, il cui nome deriva dalla trasposizione sulla bottiglia dello stemma di famiglia (tre corni da caccia), raggiunge la maturità

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Castello di Querceto Se si pensa per un attimo a quali emozioni si sprigionano dalla degustazione di un vino, la sua volatilità, la sua persistenza in bocca, il suo sapore caldo e pieno, si scopre, in quei brevi attimi colmi di palpiti emotivi, cosa vi sia dietro a quel bicchiere. Tutto contribuisce a rinnovare nella mente i ricordi, che conducono ora a un frutto, ora a un fiore, ora a delle spezie. Sono percezioni che si rigenerano a ogni assaggio e che una volta accantonate vanno ad affollare la memoria delle cose passate, delle cose vissute, le quali, se richiamate, ritornano per incanto dentro a quel vino. Le percezioni e le sensazioni sono evidenti e forti fino al punto che si arriva a scoprire che dentro a quel bicchiere si può trovare anche l’immaginario; così, dopo un po’, in esso scopri il terroir e, secondo ciò che la tua memoria possiede, rivedi, chiudendo gli occhi, valli, colline, lembi di scogliera, canyons, semplici viti o distese di terra. Quando decisi di ritornare in Toscana, fu questo il mio primo obiettivo: accostarmi alla terra che aveva visto prima mio nonno Carlo e poi mio padre Tito sacrificarsi con passione in questa meravigliosa vallata di alta collina nel Chianti dove si trova il Castello di Querceto. Lavorando a Milano, come ingegnere in una grande azienda, davanti a quei tecnigrafi spesso la mia mente volava verso il castello, dove avevo trascorso l’estate della mia adolescenza tra mille giochi, tra boschi e vigne, fino a settembre, quando era tempo di vendemmia e ricominciavamo le scuole. Guardando fuori dalle finestre dell’ufficio milanese, immerso nei miei pensieri, ogni tanto sentivo riaffiorare in bocca e nel naso i sapori e i profumi del mosto, del vino e della terra e con essi percepivo sempre più forte il richiamo

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della Toscana, anche perché non riuscivo ad accettare l’idea di perdere definitivamente quel mondo a me così caro, cosa che sarebbe certamente successa se non fossi intervenuto per salvare l’azienda di famiglia prima che questa imboccasse un declino irreversibile. All’inizio pensavo di seguire le attività del castello stando a Milano; volevo che l’impegno non fosse a tempo pieno, ma orientato più verso un’azione di mantenimento che di sviluppo; volevo che fosse un’attività tranquilla cui dedicarmi solo nei fine settimana. Non pensavo che quei pensieri, espressi intorno a un tavolino e quelle lunghe chiacchierate con mia moglie, basate sui ricordi, mi avrebbero portato a lasciare Milano per dedicarmi completamente a Querceto; non pensavo di trovare qui la mia seconda vita; non credevo che la nuova professione di vignaiolo mi avrebbe visto intraprendere gli studi di enologia o che il vino mi avrebbe potuto stregare e fatto innamorare di questa terra. Qui volevo fare dei vini che suggerissero ad altri quelle emozioni che mi avevano stimolato in passato. Per far questo ho recuperato la memoria, la storia di queste terre e ho lavorato sul territorio, piantando il Sangiovese dove i miei vecchi lo avevano piantato, migliorando ciò che c’era, investendo senza però mai modificare troppo l’esistente. In questi anni ho cercato di concatenare ogni azione a quella precedente con il risultato che oggi mi trovo ad avere una lunga catena che è fatta da un insieme di anelli, uno dei quali è costituito dalle vigne, un altro dalla cantina, un altro ancora dalla barriccaia e poi ancora un altro dall’agriturismo; una catena, insomma, ben salda al ceppo dei miei ricordi, ancorata a terra con determinazione e che tiene al guinzaglio il mio futuro.


Alessandro Franรงois


CASTELLO DI QUERCETO Alessandro Franรงois

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La Corte IGT Colli della Toscana Centrale Zona di produzione

Tecniche di produzione

La Corte è un cru prodotto dalla selezione delle migliori uve di Sangiovese provenienti dal vigneto omonimo inserito nell’azienda del Castello di Querceto posta nel comune di Greve in Chianti, nell’area di produzione del Chianti Classico DOCG.

Dopo la vendemmia, che avviene fra la fine di settembre e la metà di ottobre, si avvia la fermentazione alcolica, che si protrae per circa 6-8 giorni alla temperatura controllata di 28°C in recipienti termocondizionati di acciaio inox da 200 hl. Contemporaneamente si è provveduto ad attivare anche la macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage, follatura e ossigenazione, è proseguita per altri 14-16 giorni. Terminata questa fase, il vino effettua la fermentazione malolattica e solo a febbraio dell’anno successivo alla vendemmia è posto in barriques di Allier, per 1/3 nuove, dove vi rimane per 12 mesi. Terminato questo invecchiamento, il vino è assemblato e dopo un breve periodo di sosta in tini di acciaio e un leggerissimo filtraggio, è imbottigliato per un ulteriore affinamento che prosegue per 10 mesi.

Tipologia dei terreni Il vigneto si trova su terreni che hanno una tessitura composita di scisti policromi, a un’altitudine compresa fra i 440 e i 470 metri s.l.m., con un’esposizione a ovest.

Uve impiegate Sangiovese 100%

Sistema d’allevamento Cordone speronato basso

Densità di impianto

Le migliori annate

1982 - 1985 - 1988 - 1990 1995 - 1997 - 1999 - 2000 Note Il vino, che prende il nome dall’omonimo vigneto, raggiunge la maturità solo dopo 56 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 6 e i 15 anni.

L’azienda Le proprietà del Castello di Querceto, della famiglia François, si estendono intorno alla dimora storica per circa 200 Ha, di cui 65 vitati e 10 destinati all’olivicoltura; i terreni restanti vedono la presenza di boschi e colture promiscue. In azienda collabora l’agronomo Giacomo Grassi e l’enologo Giovanni Cappelli.

Altri vini

7575 ceppi per Ha

Quantità prodotta 20000 bottiglie l’anno

Note organolettiche Di colore rosso rubino intenso, il vino si presenta con forti sentori fruttati con prevalenza di ciliegia marasca ben integrata con la nota di vaniglia. Al palato è molto strutturato ed equilibrato; al retrogusto è persistente e pulito.

Prima annata

1978

I Rossi: Chianti Classico DOCG Castello di Querceto Riserva (Sangiovese 92%, Canaiolo 8%) Chianti Classico DOCG Il Picchio Riserva (Sangiovese 92%, Canaiolo 8%) Cignale IGT (Cabernet Sauvignon 90%, Merlot 10%) Il Querciolaia IGT (Sangiovese 65%, Cabernet Sauvignon 35%) Il Sole di Alessandro IGT (Cabernet Sauvignon 100%) Vin Santo (Malvasia 80%, Trebbiano 20%)

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Castello di Volpaia Tutto incominciò un po’ per scherzo molti anni fa, ma certo non immaginavo,

nel 1966, di vedere un giorno i risultati che oggi ho sotto gli occhi. Rammento ancora quando mio padre mi donò questa azienda, allora molto diversa da oggi; i poderi erano ancora gestiti a mezzadria e gli ettari vitati erano appena 12, rispetto agli attuali 45, dei 360 che compongono la superficie totale della proprietà. Ciò nonostante, si produceva quasi la stessa quantità di vino che facciamo oggi, a dimostrazione di come nel tempo sia mutata la filosofia e la struttura produttiva aziendale. Io abitavo, come tutt’oggi, a Milano e avevo una famiglia da mandare avanti, con figli e marito, ma fu proprio grazie al suo aiuto e a quello di mio padre che sono riuscita a occuparmi di Volpaia. Furono anni di sacrifici, dove misi in tutto quello che facevo tanta passione e tanto amore. A distanza di anni devo dire che Volpaia mi ha ripagato in maniera splendida di quanto le ho dato, gratificandomi in mille modi, ed evitandomi la sensazione di “emptynest”, come dicono gli americani, che prende molte donne della mia età, quando i figli crescono e lasciano la casa materna. La mia presenza saltuaria si è, nel tempo, trasformata in quotidianità, con viaggi da Milano sempre più frequenti e soggiorni in azienda sempre più lunghi. Una presenza che man mano ha fatto aumentare in me il desiderio di sperimentare e migliorare quello che stavamo facendo. Alla crescita dell’azienda corrispondeva una mia crescita professionale, una conoscenza maggiore delle mie possibilità, una nuova capacità di pianificazione e di gestione.

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In questo attento lavoro di miglioramento credo di essere riuscita a coinvolgere anche le 18 persone del mio team che, oltre ad abitare a Volpaia, lavorano con lo stesso mio grande impegno. Con loro sono riuscita a far rivivere questo borgo del 1200, vincendo la scommessa di conservare dentro gli antichi fabbricati del centro storico non solo le abitazioni dei nostri collaboratori, ma anche strutture produttive sempre più moderne e tecnologiche. Insieme abbiamo condotto ogni area produttiva dell’azienda verso un graduale, ma costante miglioramento qualitativo, a partire dal vino, con un enorme lavoro in vigna, in cantina e sui mercati internazionali. A questo “core business” aziendale abbiamo via via aggiunto un piccolo acetificio di qualità, un frantoio oleario, una poliedrica attività agrituristica, un ristorante e una scuola di cucina. È stato indubbiamente il vino a farci crescere e a farci conoscere, e verso questo prodotto, nutro un profondo amore e una grande passione che mi conducono a un approccio fondato su due diversi atteggiamenti che spaziano da quello piacevole, conviviale, di puro godimento, a quello critico e tecnico della mia professione di vignaiola. Sulla nostra terra e nei nostri vigneti produciamo principalmente vini rossi che si identificano con le tre tipologie di Chianti Classico e con il Supertuscan Balifico. Nel momento in cui tutti dichiarano di voler fare qualità, io credo di aver imparato che la qualità si raggiunge solo con una costante tensione al miglioramento, con un crescente rispetto per il territorio e con l'umiltà di non sentirsi mai "arrivati".


Giovannella Stianti


CASTELLO DI VOLPAIA Giovannella Stianti

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Balifico IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

Note

Balifico è un vino ottenuto dalla selezione delle uve di “Sangioveto” (come viene chiamato in queste zone il Sangiovese) e Cabernet, provenienti dal vigneto Balifico del Castello di Volpaia a Radda in Chianti.

Il vino, che non è stato prodotto nell’annata 1992, raggiunge la maturità solo dopo 5-6 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 6 e i 12 anni.

Sistema d’allevamento

La vendemmia è effettuata per ogni uvaggio con tempi diversi secondo la maturazione degli stessi. La vinificazione avviene con lieviti autoctoni in tini di acciaio inox alla temperatura di 28º-30ºC. Durante la fermentazione alcolica che dura 6-8 giorni e la successiva fase di macerazione delle bucce, che si protrae per ulteriori 14 giorni, vengono effettuati numerosi délestages e follature. Dopo la svinatura, i vini svolgono la fermentazione malolattica in tini di acciaio inox, quindi vengono assemblati e travasati in barriques, in parte nuove, in parte di secondo passaggio, dove evolvono per 15-18 mesi. Al termine di questo periodo il Balifico viene imbottigliato con una filtrazione larga e lasciato in bottiglia per almeno 6 mesi prima di essere messo in commercio.

Capovolto toscano per il Sangiovese, cordone speronato per il Cabernet Sauvignon.

Quantità prodotta

Altri vini

Tipologia dei terreni Il vigneto è posto su terreni originati dal disfacimento dell’arenaria, e ha una tessitura sabbiosa e limosa ricca di scheletro. Si trova in una zona con escursioni termiche medie, a un’altitudine compresa fra i 400 e i 450 metri s.l.m. con un’esposizione a sud-est.

Uve impiegate Sangiovese 65%, Cabernet Sauvignon 35%

L’azienda L’azienda agrituristica, di proprietà della signora Stianti, ha una superficie complessiva di 390 Ha, di cui 45 dedicati alla viticoltura, e 12 all’olivicoltura. Negli altri ettari sono presenti boschi e colture promiscue. Oltre alle splendide cantine, la Fattoria dispone di un frantoio, di un acetificio per la produzione di aceti di vino, invecchiati e aromatici, e di un piccolo ristorante. La direzione tecnica dell’azienda è affidata a Lorenzo Regoli con la consulenza dell’enologo Riccardo Cotarella.

13-20000 bottiglie l’anno

Densità di impianto 5000 ceppi per Ha per il Sangiovese, 6600 ceppi per Ha per il Cabernet Sauvignon.

Note organolettiche Il vino si presenta di un colore rosso rubino intenso, con riflessi viola scuri e con dei profumi complessi di confettura matura e una leggera sfumatura erbacea. Al gusto è molto strutturato, vellutato; al retrogusto risulta molto persistente.

I Bianchi: Bianco Val d’Arbia DOC da uve Trebbiano, Malvasia Chardonnay e Sauvignon I Rossi: Chianti Classico Riserva DOCG (Sangioveto 90%, Merlot, Syrah e Pinot nero 10%) Chianti Classico Riserva Coltassala DOCG (Sangioveto 95%, Mammolo 5%)

Prima annata

1985

Vinsanto del Chianti Classico DOC da uve Trebbiano e Malvasia

Le migliori annate

1985 - 1986 - 1990 1995 - 1997

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Castello Vicchiomaggio Non so se definirmi un piemontese trapiantato in Toscana o un italo-inglese con la passione del Chianti. Le mie origini piemontesi e la mia cultura londinese non è che poi condizionano più di tanto la mia grande passione per il vino, nata al fianco di mio padre Federico che, trasferitosi a Londra nel 1912, fra il 1950 e il 1970 divenne il più importante importatore di vini italiani della Gran Bretagna. Nato a Londra, fin da piccolo mi trovai immerso nel mondo del vino e indubbiamente tutto questo contribuì a formare in me delle forti convinzioni per il mio futuro. Forse sarà quel sangue piemontese che scorre in me, o forse la grande passione che mio padre metteva nel suo lavoro, ma tutto ha contribuito a farmi amare la terra, la vite, il vino. Questa grande passione, che coinvolgeva tutta la famiglia, condusse, prima mio padre a comprare in Toscana nel 1964 il Castello di Vicchiomaggio, che, oltre a comprendere un meraviglioso maniero medioevale costruito fra il X ed il XIV secolo, aveva anche 150 ettari accorpati, e dopo portò il sottoscritto, nel 1967, a lasciare Londra e a frequentare la scuola di enologia ad Asti. Non so se fu l’acquisto del castello o dei 30 ettari di vigne che avevamo già in azienda a farmi decidere d’intraprendere la professione del vignaiolo, ma sono sicuro che contribuirono enormemente a convincermi, sia l’atmosfera che si respira nelle nostre bellissime cantine medioevali, situate nei sotterranei del castello, sia gli aromi e i sapori del vino di questa terra del Chianti che mi ha stregato e mi ha convinto che doveva essere la mia dimora, il mio presente e il mio futuro. In tutti questi anni, alcuni dei quali non certamente facili, mi è stata molto di

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aiuto la mentalità un po’ inglese che ancora oggi mi porto dentro, quel serioso distacco che ho nell’osservare e valutare le cose, la flemma ragionata nell’affrontarle, la fatalità realista e concreta nell’osservare la vita: tutte caratteristiche che si sposano perfettamente con i ritmi e gli eventi che influenzano la viticoltura. Certo, da quegli anni le cose qui sono cambiate: abbiamo reimpiantato le vigne e modernizzato la cantina, abbiamo ristrutturato il castello riportandolo agli antichi splendori, abbiamo attivato e rivitalizzato l’ambiente e, forse, fra i primi in Toscana con la formula dell’agriturismo; abbiamo aperto un ristorante e ampliato i mercati internazionali con la produzione di nuovi vini e il miglioramento di quelli da sempre in produzione, ma, dietro l’insegnamento paterno, abbiamo cercato di cambiare il meno possibile quelle risorse umane che hanno consentito nel tempo, a questa azienda, di crescere nella logica della continuità che vede i vecchi “collaboratori” sostituiti dai figli. Anche nella scelta degli uvaggi siamo rimasti fedeli alla tradizione che pone il Sangiovese principe indiscusso di queste terre, con una presenza del 90% sull’intera superficie vitata. Anni di storia intorno a queste mura e anni di storia della famiglia Matta intorno al Sangiovese: tutti elementi che in questo tempo mi hanno accompagnato come fedeli amici. Qui sono cresciuto, sia in termini professionali, sia umani; qui mi sono sposato ed è qui che sono nati i miei quattro figli, nella certezza che anche loro, un domani, troveranno nel Castello di Vicchiomaggio un valido compagno di viaggio per la loro vita, perché, comunque vadano le cose, “lui” sarà sempre qui, esposto alle intemperie, osservatore del lento trascorrere del tempo, vendemmia dopo vendemmia.


John Matta


CASTELLO VICCHIOMAGGIO John Matta

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Ripa delle More IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

Note

Ripa delle More è il frutto di una scelta selezionata delle migliori uve provenienti dal vigneto omonimo, posto sui pendii collinari di Greve in Chianti nella zona di produzione del Chianti Classico DOCG.

Il vino prende il nome dall’unione di due parole: “ripa”, che in Toscana vuol dire collinetta, e “more”, frutti spontanei molto diffusi nella zona di Greve in Chianti. Il vino nasce come Sangiovese in purezza. Dal 1998 è stato aggiunto un 10% di Cabernet Sauvignon. Il vino raggiunge la maturità solo dopo 5-6 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 6 e i 15 anni.

Cordone speronato

Dopo la vendemmia, che avviene di solito nei primi 10 giorni di ottobre, si effettua la fermentazione alcolica che si protrae per 6-10 giorni alla temperatura di 26°C in recipienti termocondizionati di acciaio inox. In contemporanea la macerazione sulle bucce, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, è effettuata manualmente e prosegue per altri 12-14 giorni. Terminata questa fase, il vino, senza alcuna chiarifica, effettua la fermentazione malolattica in barriques nuove di Allier, dove rimane per 18 mesi, periodo durante il quale viene effettuato l’assemblaggio delle partite. Dopo la maturazione, il vino è imbottigliato, senza filtraggio, per un ulteriore affinamento di altri 12 mesi.

Densità di impianto

Quantità prodotta

5000 ceppi per Ha

15000 bottiglie l’anno

Tipologia dei terreni I vigneti sono posti su terreni che hanno tessitura calcareo-argillosa e si trovano a un’altitudine di 300 metri s.l.m., con un’esposizione a sud / sud-est.

Uve impiegate Sangiovese 60%, Cabernet Sauvignon 30%, Merlot 10%

Sistema d’allevamento

L’azienda L’origine del castello è medioevale (con il nome di Vicchio dei Longobardi); l’architettura attuale risale invece al periodo rinascimentale. L’azienda si estende per una superficie complessiva di 152 Ha di cui 32 dedicati alla viticoltura e 25 dedicati all’olivicoltura; il resto vede la presenza di 60 Ha di boschi e colture promiscue. Collaborano in azienda l’enologo Giorgio Marone e l’agronomo Piero Masi.

Note organolettiche Di colore rosso rubino, il vino presenta al naso aromi molteplici e complessi con note di ribes, more e vaniglia. Di grande morbidezza ed eleganza in bocca, con tannini vellutati ed equilibrati.

Prima annata

1983

Altri vini Ripa delle Mandorle IGT (Sangiovese 80%, Cabernet Sauvignon 20%) Chianti Classico Riserva DOCG La Prima (Sangiovese 90%, Canaiolo 5%, Colorino 5%) Chianti Classico Riserva DOCG Petri (Sangiovese 90%, Canaiolo 5%, Cabernet 5%)

Le migliori annate

1990 - 1995 - 1997 - 1999

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Cennatoio Intervineas Avete’n voi li fiori e la verzura/ e ciò che luce od è bello a vedere”

Così raccontano che Guido Cavalcanti sognava la sua donna riversa in mezzo ai fiori, proprio qui al “Cennatoio”, che doveva essere la dimora della sua eterna malinconia. Più in basso c’era il carcere delle “Stinche Alte” della Repubblica di Firenze e da quassù, dove il bosco nascondeva, sembra partissero i messaggi dei compagni, degli amici e dei parenti per i carcerati; segnali che si ripetevano giornalmente; erano cenni di speranza e d’amore che con il tempo s’identificarono con questo luogo, il Cennatoio, il posto dal quale si poteva intravedere o mandare un cenno di speranza. Quando io e mia moglie Gabriella, decidemmo di comprare questa tenuta, composta da 43 Ha, poco conoscevamo di questa storia di disperazione e di speranza; lavoravamo in un mondo rumoroso, industriale, quello delle concerie di pellame, ma un luogo così incantato ci sembrò ideale per trascorrere momenti di completo relax lontani dagli impegni lavorativi. Qui era tutto splendido, da quassù si godeva un paesaggio unico, uno stupendo e tipico panorama del Chianti con colline ricolme di vigneti e oliveti, castelli, chiese e boschi di querce. Trent’anni fa ci siamo lasciati conquistare da tutto questo e da allora di tempo ne è passato prima di riuscire a staccarci definitivamente dal vecchio impegno lavorativo di famiglia e dedicarci completamente alla campagna, alla vigna, al vino, che conoscevamo più come consumatori che come produttori. Devo affermare che “l’avventura” nel mondo del vino, iniziata solo 10 anni fa, era il 1992, è stata molto più dura di quanto potessi immaginare e, oggi, posso dire che l’unica cosa saggia fatta a suo tempo è stata quella di essermi affidato a un enologo serio, la dottoressa Gabriella Tani, che è riuscita a guidarci in questo mondo, all’inizio sconosciuto. Qui tutto era precario: dalla poca vigna esistente, circa 10 ettari, che era ridotta in malo modo, alla cantina, del tutto obsoleta e poco adatta a garantire quella produzione di qualità che avevamo intenzione di intraprendere. Volevamo fare tutto, bene e subito, ma il momen-

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to non era dei migliori e il vino si vendeva ancora a cifre irrisorie rispetto agli sforzi intrapresi. Ricordo che seguivamo gli insegnamenti della dottoressa Tani alla lettera: facemmo i lavori in cantina, cominciammo a rivedere i vecchi concetti di allevamento della vigna e incominciammo a comprendere cosa significasse per la vendemmia e per il vino prodotto, il grandissimo lavoro svolto durante l’anno. Ma sembrava che il mercato non si accorgesse di noi e dei nostri sforzi, così decidemmo di provare ad andare al Vinitaly, dove, ricordo, portammo molto vino che facemmo assaggiare a tanti, anzi a tantissimi. Credo che così facendo creammo molta attenzione su di noi; i prodotti piacquero, molti incominciarono a interessarsi di noi, sia i giornali, sia la ristorazione che gli importatori; fu bello perché ci classificarono subito fra le più gradite sorprese della manifestazione; l’anno successivo ci accordarono addirittura la Gran Medaglia d’Oro della fiera e l’anno dopo ancora i tre bicchieri del Gambero Rosso. La cosa ci esplose in mano, i vini, i nostri vini, quelli con il nostro marchio e con le etichette disegnate da mia moglie, incominciarono a essere visibili, a viaggiare su strade nuove, strade internazionali che non credevamo mai di riuscire a percorrere, come del resto non credevamo che il nostro “Etrusco”, in quegli anni, potesse essere classificato tra i migliori Sangiovese di Toscana. Oggi sembra tutto così lontano, ricordi datati che faccio fatica a rammentare. Sono passati appena dieci anni e la memoria confonde i ricordi che si accavallano ai pensieri e alle preoccupazioni per la prossima vendemmia, per i prossimi impianti, per il prossimo vino e per il prossimo catalogo. Ogni tanto, parlando con mia moglie, sempre così attenta, creativa, precisa e affabile, gli confido le mie preoccupazioni su quanto dobbiamo ancora fare per migliorarci o per mantenere ciò che abbiamo raggiunto, ma il pensiero corre a mio figlio Emiliano e sorrido pensando a lui, perché so che da ora in avanti sarà al nostro fianco e potremo contare su forze nuove che avranno il tempo di godere dei frutti fin qui ottenuti.


Leandro Alessi


CENNATOIO INTERVINEAS Leandro Alessi

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Etrusco IGT Toscana Zona di produzione Etrusco è un vino ottenuto da un’attenta selezione delle uve effettuata nella Tenuta di Cennatoio a Panzano in Chianti nella parte collinare a sud del Comune di Greve in Chianti.

Tipologia dei terreni I vigneti si trovano su terreni che hanno caratteristiche geologiche provenienti da arenarie oligoceniche del ceppo toscano e una tessitura ricca di scheletro. La zona ha escursioni termiche fra il giorno e la notte molto elevate e i vigneti si trovano a un’altitudine di 500 metri s.l.m. con un’esposizione sud / sud-ovest.

Uve impiegate Sangiovese Grosso 100%

Sistema d’allevamento Cordone speronato

Densità di impianto 4000 ceppi per Ha

Tecniche di produzione

Note

Dopo la vendemmia, che avviene a fine settembre, si procede alla fermentazione alcolica dell’uvaggio, fermentazione che si protrae per 8-10 giorni circa, alla temperatura controllata di 28°-30°C, in recipienti termocondizionati di acciaio inox. La macerazione sulle bucce, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, continua per altri 15 giorni, anch’essa a temperatura controllata. Terminata questa fase, il vino effettua la fermentazione malolattica con lieviti selezionati sempre in contenitori di acciaio inox, e solo successivamente è messo in barriques di rovere da 300 lt, dove vi rimane per 16 mesi. Dopo l’assemblaggio delle partite, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento di 6 mesi.

Etrusco prende il nome dall’Anno degli Etruschi, che si svolse nel 1985, proprio il primo anno di produzione, anche se il vino fu imbottigliato per la prima volta solo successivamente. Vino molto longevo, raggiunge la maturità solo dopo 5-6 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 6 e i 12 anni.

Quantità prodotta

Altri vini

16000 bottiglie l’anno

I vini prodotti in azienda sono 11, fra cui un Vin Santo tradizionale secco (Uvae) e un Vin Santo rosso Occhio di Pernice, entrambi DOC del Chianti Classico.

Note organolettiche Di colore rosso rubino intenso, il vino si presenta con un profumo spiccato, caratteristico, con note vegetali di frutta secca. Man mano che si apre i toni ricordano il cuoio, la vaniglia, la liquirizia. Al palato è molto strutturato, armonioso, con uno splendido equilibrio tra acidità e tannini.

Prima annata

1990

Le migliori annate

1995 - 1997 - 1999 2000 - 2001

L’azienda L’azienda, di proprietà di Leandro, Gabriella e Emiliano Alessi dal 1971, ha una superficie complessiva di 45 Ha, di cui 10 dedicati alla viticoltura. Collaborano in azienda l’enologa Gabriella Tani e l’agronomo Davide Picci.

I Rossi: O’Leandro Chianti Classico Riserva DOCG (Sangiovese grosso 95%, Cabernet Sauvignon 5%) Arcibaldo (Sangiovese grosso 50%, Cabernet Sauvignon 50%) Mammolo (Merlot 100%) Rosso Fiorentino (Cabernet Sauvignon 100%) Sogno dell’Uva (Cabernet Sauvignon 50%, Merlot 50%)

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Ciacci Piccolomini d’Aragona Q

uell’atrio del palazzo vescovile dei Conti Ciacci Piccolomini d’Aragona era il luogo preferito dei nostri giochi. Era fra quelle mura storiche e imponenti, fra quei saloni e lungo quello scalone che portava ai piani nobili che noi ragazzi giocavamo a nascondino. Ogni tanto, quando facevamo confusione e la caciara superava il consentito, il Conte si arrabbiava e, prendendoci per il colletto della camicia, ci sbatteva fuori a giocare per strada. Ogni tanto perdevo mia sorella che si rifugiava, appena poteva, nel giardino il cui ingresso era rigorosamente proibito quando c’era in casa la Contessa; io, fra ortensie, bouganville e alberi di vario genere, la spiavo impastare pazientemente dei biscotti di terra e acqua che, dopo aver fatto finta di cuocere dentro delle scatoline di vario genere, li offriva come vere e proprie prelibatezze ai suoi numerosi bambolotti disposti a semicerchio intorno a lei. Da maschietto non comprendevo quale gusto vi fosse in quelle stucchevoli effusioni che lei riservava ai pupazzi, come del resto non capivo neanche a cosa servissero quei suoi lunghi soliloqui con i quali, scimmiottando una sdolcinata mammina, cercava di convincere i bambolotti della bontà e della genuinità del dolce pranzetto che aveva preparato loro. Rammento che loro tacevano e non mi sembravano entusiasti di quelle cose che lei preparava. Del resto come dar loro torto? Anch’io al loro posto avrei avuto la solita reazione! A quei tempi Castelnuovo dell’Abate offriva poco e anche dopo quarant’anni non offre molto ai pochi ragazzini presenti in paese, ai quali rimangono come parco giochi la strada e i campi circostanti. Quando sei piccolo, il paese di Montalcino sembra lontanissimo, mentre quando sei un po’ più grandicello è lontano da raggiungere in bicicletta e poi, a che servirebbe andarci? Anche lì i divertimenti non abbondano più di tanto. È fra queste strade, in questo piccolo paese dove ancora vige l’usanza di lasciare la chiave nel buco della serratura dell’uscio di casa, che io e mia sorella siamo cresciuti, fra gente semplice, onesta, respirando fin da piccoli i profumi del vino che si preparava nelle cantine storiche del palazzo. La nostra adolescenza è corsa felice e spensierata, con un Conte e una Contessa che ci adoravano e ci facevano da nonni quando erano presenti, con una madre premurosa e silenziosa, custode attenta del focolare della famiglia e un padre come punto di riferimento che, fortunatamente, ha sempre lavorato e ragionato più da fattore e contadino che da imprenditore, anche dopo aver ricevuto in eredità le proprietà dei Conti Ciacci Piccolomini. La sua è stata una vita dedicata alla terra, cui accudiva in prima persona, controllando ogni cosa: dai campi seminativi ai boschi, fino alle vigne, verso le quali aveva un’attenzione maniacale al punto di andare a controllare quasi giornalmente ogni filare, uno per uno, così da osservare la crescita e i bisogni delle sue viti.

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Siamo cresciuti nel momento di maggior interesse del mercato nei confronti del vino e in special modo dei vini storici come il Brunello che produciamo, respirando un’euforia contagiosa, ma avendo accanto un padre che è sempre voluto stare con i piedi ben ancorati per terra. Sicuramente, larga parte di quello che siamo oggi lo abbiamo ricevuto dalle persone che ci sono state accanto, che ci hanno amato più di quanto immaginassimo e che ci hanno consentito di crescere gradatamente insegnandoci a vivere e a camminare con le nostre gambe. Figure diverse, modi di pensare diversi, due stili di vita contrapposti che si intrecciavano fra loro e collaboravano affinché noi prendessimo il meglio di ognuno. Da una parte la nobiltà del Conte e della Contessa, che con i loro insegnamenti, con i loro modi di fare signorili e nobili ci seguivano e ci suggerivano quei piccoli accorgimenti che sarebbe stato utile per noi tenere in certe occasioni, dall’altra nostra madre, che con l’esempio, l’amore e la dedizione ci ha aiutato a comprendere il valore dei ruoli all’interno della famiglia e al suo fianco un grande uomo come mio padre che ci educava con il suo personale e originale sistema della tirata d’orecchie e del sorriso, del rimbrotto subito sdrammatizzato con una barzelletta, della “risciacquata di capo” cui far seguire un incoraggiamento. Lui è stato il nostro faro, spontaneo, sincero, schietto, uno che all’apparenza non dava spazio a nessuno e non voleva che tu andassi a cercarlo da altre parti; dovevi essere intelligente e avere pazienza, così da comprendere quanto il tempo giocasse un ruolo decisivo nel raggiungimento di grandi risultati. Lui era uno che aveva forte il senso della famiglia, che non si prendeva mai troppo sul serio fuori dell’ambito lavorativo, con un grande senso del rispetto degli altri; era uno che si metteva sempre in discussione, pur non accettando facilmente le critiche degli altri, convinto com’era di aver fatto onestamente la migliore cosa che le circostanze proponessero. È stata di certo la figura più importante della nostra vita e ora che non c’è più ne sentiamo forte la mancanza, ma a noi piace ricordarlo con un sorriso e come un padre che ha cercato fino all’ultimo di trasferirci le sue conoscenze. Il suo più grande insegnamento è stato quello di dare importanza al sentiero che aveva tracciato e nel seguirlo abbiamo deciso e promesso di farlo insieme, convinti entrambi che rimanendo su questa via avremmo trovato gli strumenti e le risorse per migliorare il nostro presente. È così che in questo nostro cammino, qualche volta spedito e alcune volte più titubante, non ci siamo dimenticati né di chi eravamo, né da dove venivamo; abbiamo compreso che ricordare nostro padre ci è utile nei momenti difficili, come è utile e importante ricordare gli insegnamenti di tutte le persone care che ci hanno voluto bene, così da trovare in loro la forza di continuare a far fiorire questa terra a loro tanto cara.


Paolo - Lucia Bianchini


CIACCI PICCOLOMINI D’ARAGONA Paolo e Lucia Bianchini

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Ateo IGT Toscana Note

Zona di produzione Ateo è un vino ottenuto dalla selezione delle uve provenienti dai vigneti di proprietà dell’azienda Ciacci Piccolomini d’Aragona a Castelnuovo dell’Abate, nel comune di Montalcino, nella zona collinare sud del territorio comunale, quella che declina verso il fiume Orcia.

Tipologia dei terreni I terreni che ospitano i vigneti dei vari uvaggi che compongono il vino hanno caratteristiche morfologiche di tessitura di galestro, con abbondante scheletro di medio impasto e si trovano a un’altitudine compresa fra i 250 e i 360 metri s.l.m. con un’esposizione a sud / sud-est.

Uve impiegate Sangiovese 50%, Cabernet Sauvignon 25%, Merlot 25%

nati di acciaio inox e tini di cemento con l’aggiunta di lieviti selezionati. La macerazione sulle bucce, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, prosegue invece per altri 14-18 giorni a temperature controllate. Terminata questa fase, i vini, separatamente e senza alcuna chiarifica, effettuano la fermentazione malolattica in tini di acciaio inox. Tra la fine di febbraio e i primi di marzo il Sangiovese è posto in botti di rovere da 20 a 85 hl, il Cabernet e il Merlot in barriques di Allier nuove e di secondo passaggio. Tutti i vini rimangono a contatto con il legno per 12 mesi. Trascorso questo periodo è effettuato l’assemblaggio delle partite e, dopo una breve sosta in tini d’acciaio inox e un breve filtraggio, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 6 mesi.

Quantità prodotta Sistema d’allevamento

30000 bottiglie l’anno

Cordone speronato

Note organolettiche Densità di impianto 4200 ceppi per Ha

Tecniche di produzione Dopo la vendemmia, che avviene per ogni uvaggio con tempi diversi secondo la maturazione degli stessi, e che in ogni caso inizia dopo la metà di settembre e si protrae fino al 15 ottobre, si effettua separatamente per ogni varietà la fermentazione alcolica che va avanti per 4-8 giorni alla temperatura di 28-30°C in recipienti termocondizio-

Il vino si presenta di un colore rosso rubino intenso e con dei profumi complessi, dalle spiccate note varietali, fruttate e balsamiche. Al gusto è ben strutturato, potente, con una buona tessitura tannica; al retrogusto è molto lungo e persistente.

Prima annata

1989

Curiosità sul perché del nome Ateo. Il 1989 non fu un anno favorevole alla produzione del Brunello e quindi l’azienda creò questo vino, chiamandolo così perché non si era “creduto” nel Brunello e in qualche modo era stata sfatata la “religione” che ne prevedeva l’annuale produzione. Il vino raggiunge la maturità solo dopo 5-6 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 6 e i 12 anni.

L’azienda A Castelnuovo dell’Abate sorge la tenuta Ciacci Piccolomini D’Aragona che custodisce il patrimonio storico in uno splendido palazzo risalente al XVII secolo. L’azienda ha un’estensione di circa 200 Ha, di cui 35 coltivati a vigneto e 40 a oliveto; i restanti ettari sono suddivisi fra seminativi, boschi e pascoli. L’azienda partecipa al programma europeo di “lotta integrata” che consente di ridurre al minimo l’uso di prodotti chimici. Collaborano in azienda l’agronomo Paolo Bianchini e l’enologo Paolo Vagaggini.

Altri vini Rosso di Montalcino DOCG Vigna della Fonte (Sangiovese grosso 100%) Brunello di Montalcino DOCG Vigna di Pianrosso (Sangiovese grosso 100%) Fabius IGT (Syrah 100%)

Le migliori annate

1995 - 1997 - 1999

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Cima C i sono delle zone, come quella in cui io vivo, dove sembrava che il tempo

non trascorresse mai, dove ogni pietra, ogni terrazzamento e ogni olivo rimanevano immobili, inattaccabili, imperturbabili osservatori del cambiamento dei tempi. Tutto, qui nelle colline del Candia, sembrava non lasciasse presagire un futuro diverso da quello che si era istituzionalizzato dal dopoguerra; una situazione di stallo in cui chi ne soffriva maggiormente era l’economia agricola del territorio, forse anche per colpa della miriade di piccole imprese familiari che componevano la sua ossatura produttiva, che, con poche migliaia di metri quadrati di terra coltivabile, non riuscivano a produrre né reddito, né benessere. Tutto era fermo; anche la tecnologia trovava difficoltà a entrare nei meccanismi produttivi, e chi faceva vino, lo faceva principalmente per uso e consumo proprio o, tutt’al più, per l’amico dottore o per l’avvocato del paese. Coloro che erano avvezzi a quei vini venivano quassù lasciando la villa del mare per prendere il vino del “contadino”, quello schietto, come dicevano, senza conservanti o altre schifezze, e aveva poca importanza se lo stesso vino a febbraio fermentava in bottiglia, o già a giugno era imbevibile e improponibile: l’importante era mantenere viva la tradizione orale che i vecchi tramandavano. Anche mio padre all’inizio sosteneva che il mutare l’ordine delle cose conduceva “a sapere cosa si lascia, ma a non sapere cosa si trova” e che quindi era meglio lasciare le cose come stavano, giacché quel vino che producevamo era tutto venduto o consumato nella trattoria di famiglia. Io, che invece mi guardavo attorno, mi rendevo conto che la viticoltura stava viaggiando a dei ritmi spaventosi e che per noi si stavano concretizzando delle opportunità che non potevamo lasciarci sfuggire. Avevo il desiderio di misurarmi, comprendere come mai in queste zone si era perso il gusto e la memoria di fare grandi vini, volevo che si venisse a riscoprire la terra del Candia e far apprezzare come qui si potevano fare grandi cose. Per far questo ho incominciato a “correre”, a pren-

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dere le redini della proprietà, a stravolgere i vecchi concetti di lavorazione in vigna e in cantina, ho ricominciato a credere che questa terra potesse dare dei frutti sui quali costruire un futuro. Nel 1994 avevamo 9 ettari di vigneto e il vino prodotto era per l’80% bianco e per il 20% rosso; il vino era commercializzato all’interno della nostra trattoria e in vigna avevamo un’accozzaglia varietale di vitigni, fra cui il Merlot, messo subito dopo la guerra, il Sangiovese, il Masseretta e il Vermentino Nero. Oggi abbiamo più di 30 Ha di vigneto specializzato dove, con selezioni massali, abbiamo conservato e migliorato la produzione di quei vitigni che si sarebbero persi; abbiamo impiantato i vigneti nuovi a 9500-10000 ceppi per ettaro, con distanze fra vite e vite di 35-40 cm. x 180 cm.; abbiamo uno staff tecnico che ci segue continuamente; abbiamo aumentato la produzione di uve a bacca rossa fino ad arrivare alla parità produttiva con quella bianca. Dai soli due vini che facevamo siamo passati agli attuali otto, fra cui il “Montervo”, il “Romalbo”, il “Massaretta”, il Vermentino tradizionale e quello barriccato, considerato da Veronelli uno fra i migliori del Mediterraneo, ai quali si aggiungerà presto un Vermentino Nero in purezza veramente unico nel panorama toscano. Abbiamo salvaguardato e migliorato il territorio, quintuplicato la produzione del vino, investito nella cantina e nella vigna, creando anche occupazione, e tutto questo è successo in pochissimo tempo. È vero, sono passati appena 8 anni dalla prima riunione operativa che abbiamo fatto con l’enologo Alberto Antonini e gli altri collaboratori. Se mi guardo indietro mi sembrano tanto lontani quei momenti, tanto che la mia memoria fa un’enorme fatica a rammentarne i contenuti; si guarda al futuro, a quello che verrà, a quello che vorremo essere noi fra qualche anno, nella consapevolezza che il tempo è dalla nostra parte, perché sono sicuro che miglioreremo molto ciò che di buono è già stato fatto.


Aurelio Cima


CIMA

Aurelio Cima

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Montervo IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

Note

Montervo è indubbiamente il vino di punta dell’Azienda Agricola Cima di Massa Carrara. Le vigne sono collocate nella zona DOC del Candia.

Dopo la vendemmia, che avviene nella prima settimana d’ottobre, si effettua, in piccoli recipienti termocondizionati d’acciaio inox, la fermentazione alcolica che si protrae per 6-8 giorni alla temperatura di 28°C. La macerazione sulle bucce, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, prosegue invece per altri 14-16 giorni a temperatura di 28°C. Terminata questa fase il vino è messo in barriques nuove e seminuove, dove effettua la fermentazione malolattica e rimane per 18 mesi, periodo durante il quale è travasato e assemblato. Terminata questa fase, il vino è lasciato riposare per un mese circa prima di essere imbottigliato, senza alcun filtraggio; in bottiglia prosegue l’affinamento per altri 6 mesi.

Il vino prende il nome da Monte Libero, sottozona del Candia, che con un po’ di fantasia è stato trasformato in Montervo. E’ un vino che risulta longevo e può essere gustato anche dopo molti anni dall’imbottigliamento, ma ad ogni stagione è in grado di offrire interessanti sensazioni.

Quantità prodotta

Altri vini

Tipologia dei terreni I vigneti sono posti su terreni che hanno principalmente una tessitura mista d’arenaria e argilla, un’esposizione a sud-ovest, e un’altitudine di 100-150 metri s.l.m.

Uve impiegate Merlot 100%

Sistema d’allevamento Guyot

L’azienda L’azienda, di proprietà della famiglia Cima dal 1988, ha una superficie complessiva di 35 Ha, di cui 30 di vigneto. La produzione maggiore spetta agli uvaggi a bacca bianca fra cui è da segnalare l’ottimo vermentino; inoltre l’azienda e proprietaria del ristorante omonimo che si trova proprio sopra alle vecchie cantine.

Densità di impianto 10000 ceppi per Ha

9000 bottiglie l’anno

Note organolettiche Di colore rosso rubino con evidenti riflessi viola, il vino ha profumi molto intensi, speziati di pepe, cannella e vaniglia, con note fruttate di ciliegia matura e mora. Al palato è molto pieno, avvolgente, di grande spessore; in bocca si mantiene potente per un lungo periodo.

Prima annata

1998

I Bianchi: Candia DOC (Vermentino 85%, Albarola 15%) Vermentino DOC (Vermentino 100%) Vermentino vendemmia tardiva (Vermentino 100%) I Rossi: Romalbo (Sangiovese 85%, Massaretta 15%) Massaretta (Massaretta 100%) Anghigi (Sangiovese 100%) Vermentino Nero (Vermentino nero 100%)

Le migliori annate

1998 - 1999

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Col d’Orcia Il secolare rapporto della mia famiglia con il vino e l’esempio di mio padre hanno fatto sì che il produrre vino sia divenuto per me una scelta di vita, rivolta principalmente alla qualità. Una passione che mi ha portato a percorrere nuove strade, nell’ottica di migliorare ciò che già esisteva e di sperimentare nuove frontiere, nella certezza che qualsiasi prodotto io avessi realizzato sarebbe stato sempre e in ogni modo figlio della terra, che è madre del vino, così come l’uomo ne è il padre. Sapevo che la terra, come madre, se amata, curata e vezzeggiata, mi avrebbe contraccambiato con frutti meravigliosi, ma sapevo anche che io, il padre, pur mettendo in tutto ciò la stessa passione, lo stesso amore e la stessa scienza, avrei potuto fare solo, sempre e comunque, figli diversi, vini diversi, a seconda della latitudine e della longitudine in cui la procreazione fosse avvenuta. È di questa diversità che io mi sono innamorato; è nell’accettazione delle singole peculiarità che contraddistinguono i vini che produco, che mi perdo; sono queste piccole, ma importanti e basilari differenze, che mi fanno comprendere fino in fondo quali siano i limiti e gli eccessi attraverso i quali posso interagire con la terra. Così, per me, è divenuto importante conoscerla per lavorarla; per me è divenuto fondamentale comprenderne le origini e capire quali sono i vitigni a lei graditi, oppure come essa si rapporta nel tempo e con il tempo, quali silen-

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ziose relazioni abbia con le nuvole e con il cielo e quanto si possa essere sicuri della sua fedeltà. Tutto questo è scienza, memoria, studio e tradizione, vocazione e applicazione; tutto ti conduce a comprendere quanto sia importante saper scegliere la “madre giusta”, incline, vocata alla procreazione dei tuoi vini, i quali saranno sempre e ugualmente figli, seppur diversi tra loro. Mio padre Alberto Marone Cinzano aveva percepito questo, anche se non ebbe la fortuna di vedere concretizzata questa intuizione che su questa terra di Montalcino indica la via da seguire in termini d’innovazione e di qualità; ciò che poi è stato da me realizzato in Col D’Orcia insieme a Edoardo Virano. “Terra vocata alla produzione di grandi vini rossi” – diceva mio padre, “terra fertile” - dove il Sangiovese, il Cabernet, il Merlot, il Syrah si sono da subito presentati con caratteri unici, diversi, mediterranei, solari, diversi da quelli riscontrati in altre parti del mondo; caratteri capaci di esprimere potenza e al contempo classe e personalità: vini che ovunque bevuti sprigionano delle emozioni. È questo il grande desiderio che ogni vignaiolo come me ha: sapere che i suoi vini, “i suoi figli” sprigionano emozioni e sono apprezzati e goduti pienamente per l’identità e la tipicità che hanno saputo acquisire dal matrimonio fra il saper fare e il terroir.


Francesco Marone Cinzano


COL D’ORCIA

Francesco Marone Cinzano

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Olmaia IGT Toscana Note

Zona di produzione L’Olmaia è una cuvée di uve provenienti dai vigneti Bozzolino e Giardino posti nell’azienda Col D’Orcia che si trova nella parte a sud del comune di Montalcino, nell’area di produzione del Brunello di Montalcino DOCG.

I vigneti, impiantati nel 1984, sono situati su terreni che hanno una tessitura francoargillosa, marnosa pesante, mediamente calcarea, ma ricca di scheletro; sono posti a un’altitudine di 350 metri s.l.m. con un’esposizione sud / sud-ovest.

ad essere completamente sospesi nelle ultime giornate di macerazione (dopo 20-25 giorni). Dopo la svinatura, il vino è posto in barriques di Allier nuove, dove effettua la fermentazione malolattica e in cui rimane successivamente per circa 18 mesi. Durante questo periodo viene effettuato l’assemblaggio delle partite e al termine dell’invecchiamento il vino è messo per un breve periodo in tini di acciaio, dove una leggera chiarifica al bianco d’uovo smussa i tannini più ruvidi. Dopo l’imbottigliamento, l’affinamento in bottiglia si protrae per almeno 12 mesi.

Uve impiegate

Quantità prodotta

Cabernet Sauvignon 100%

20000 bottiglie l’anno

L’azienda, di proprietà del Conte Francesco Marone Cinzano, si estende su una superficie complessiva di 540 Ha, di cui 143 sono destinati alla viticoltura specializzata e 30 all’olivicoltura. Il restante territorio vede la presenza di boschi e colture promiscue. Collaborano con l’azienda l’agronomo Giuliano Dragoni e gli enologi Pablo Harri e Maurizio Castelli.

Sistema d’allevamento

Note organolettiche

Altri vini

Cordone speronato

Di colore rosso rubino brillante con riflessi violacei, il vino ha profumi molto intensi, caratterizzato dalla composizione varietale su un fondo di mora, cannella e vaniglia. Al palato risulta avvolgente, carnoso; di grande spessore, il retrogusto è lungo, potente ed elegante.

Tipologia dei terreni

Densità di impianto 3000 - 5000 ceppi per Ha

Tecniche di produzione Dopo la vendemmia, che avviene di solito nella seconda metà di settembre, si avvia la fermentazione alcolica del pigiato che prosegue per 8-10 giorni con temperature controllate che si aggirano intorno ai 28-30°C. Contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura. Nei primi 7-8 giorni vengono effettuati 2 rimontaggi giornalieri e 2 délestages, mentre nei giorni successivi si diminuiscono i rimontaggi fino

Prima annata

1989

Le migliori annate

1990 - 1994 - 1995 1997 - 1999 - 2000

Il vino, che prende il nome dalla sua vicinanza ad un bosco dove vi sono molte piante di olmi, raggiunge la maturità solo dopo 4-5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 15 anni.

L’azienda

I Bianchi: Chardonnay Ghiaie Bianche (Chardonnay 100%) I Rossi: Rosso di Montalcino DOC (Sangiovese 100%) Brunello di Montalcino DOCG (Sangiovese 100%) Poggio al Vento Brunello di Montalcino DOCG Riserva (Sangiovese 100%) Pascena Moscadello di Montalcino Vendemmia Tardiva (Moscato bianco 100%)

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Dei Quando mio nonno Alibrando, nel 1973, acquistò l’azienda di Martiena, essa comprendeva anche una ventina di ettari di vigneti, distesi, per la maggior parte, intorno alla villa padronale e al suo grande giardino. Il luogo era bellissimo, come lo è tutt’oggi, posizionato ai piedi del paese di Montepulciano, isolato, tranquillo, avvolto per 180° dalle colline che declinano verso il lago Trasimeno. Ricordo che consideravo quella casa il più bel luogo dove poter trascorrere le vacanze e non vedevo l’ora che terminassero le lezioni scolastiche per trasferirmi lì e dar così sfogo alla grande voglia di giocare che avevo accumulato dentro per tutto l’inverno. In azienda, oltre alla bella villa, allo stupendo giardino e alle vigne ben curate, vi erano solo delle rimesse per gli attrezzi agricoli; mancava completamente il luogo dove si potesse in qualche modo vinificare, anche perché per anni non vi era stato nessuno in famiglia che fosse interessato o avesse avuto voglia di mettersi a fare il vignaiolo. Nei primi anni vendevamo le uve a terzi; ma in seguito, considerando le caratteristiche dei terreni nei quali sorgevano i nostri vigneti e la qualità delle uve qui raccolte, ritenemmo opportuno dedicarci noi stessi alla vinificazione allo scopo di affrontare il mercato. La decisione fu presa nel 1985. Da soli, senza l’aiuto di nessun tecnico, vinificammo una piccola quantità del nostro prodotto prendendo in affitto una bella cantina antica nel centro storico di Montepulciano. Ricordo che aspettavamo quel vino come si potrebbe aspettare un figlio che deve nascere e grande fu la gioia quando constatammo che il nostro prodotto riscuoteva subito un grande successo; e ci rendemmo conto che quell’annata

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1985 sarebbe risultata una delle migliori del secolo. Dopo quella prima esperienza fu subito chiaro che non potevamo più tornare indietro: “il dado era tratto”. Eravamo partiti con l’entusiasmo che sprona i principianti ed esso cresceva sempre più dentro di noi, facendoci sentire ad ogni vendemmia sempre più vignaioli. Settembre diventò un appuntamento importante per tutta la famiglia: era, infatti, in quell’occasione che ci ritrovavamo intorno alla vigna per la vendemmia, che assumeva sempre più il rito di riunione familiare, di ritorno a casa per chi era lontano, come spesso lo ero io. Con il passare degli anni le cose mutarono e io con loro. Nel 1989 mio padre cominciò a costruire la cantina funzionale e modernamente attrezzata nel cuore dei nostri vigneti; io nel ’91 lasciai la mia carriera teatrale e presi la decisione di tornare a casa per dedicarmi a quella terra e a quelle vigne dalle quali ero stata stregata. Per anni non provai nostalgia del mondo che avevo lasciato e per il quale avevo studiato; trovavo e trovo, infatti, nel mondo della musica e in quello del vino qualche elemento comune: sinfonie che inebriano i nostri sensi e scatenano emozioni. Trovavo meraviglioso questo accostamento e con passione, per anni, mi sono sforzata di comprendere quelle alchimie sensoriali che spiegano come nascono i profumi e come vengono sollecitate percezioni gustative da un bicchiere di vino buono, cosa che ancora oggi rimane per me un po’ misteriosa. Sono passati anni da allora e le cose si sono modificate e plasmate al mutare dei tempi e io, per quanto mi è possibile, cerco sempre di rimanere fedele alla sinfonia che questa campagna sprigiona.


Maria Caterina Dei


DEI

Maria Caterina Dei

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Sancta Catharina IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

Sancta Catharina è un cru di uve Prugnolo gentile (Sangiovese), Cabernet Sauvignon, Syrah e Petit Verdot, selezionate nel vigneto Martiena di proprietà dell’azienda Dei, posta nel Comune di Montepulciano nell’area di produzione del Nobile di Montepulciano DOCG.

Guyot

Dopo la vendemmia, che avviene per ogni uvaggio con tempi diversi secondo la maturazione degli stessi, e che inizia di solito dopo il 20 di settembre e si conclude dopo la metà di ottobre, si effettua la fermentazione alcolica dei mosti che procede separatamente per ogni uvaggio e si protrae fra i 4 e i 6 giorni a temperature che sono lasciate libere, ma sempre inferiori ai 35°C in recipienti termocondizionati di acciaio inox. Contemporaneamente si procede anche alla macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, invece prosegue fra i 12 e i 18 giorni a temperature controllate. Terminata questa fase, i vini, separatamente e senza alcuna chiarifica, effettuano la fermentazione malolattica in barriques di Allier nuove e di secondo passaggio, dove vi rimangono per 12 mesi. Durante questo periodo è effettuato l’assemblaggio delle partite, dopo di che il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 6 mesi.

Densità di impianto

Quantità prodotta

4700 ceppi per Ha

4000 bottiglie l’anno

Tipologia dei terreni Il vigneto è posto su terreni che hanno una tessitura di arenaria proveniente dal disfacimento di roccia tufacea, profonda e povera di materia organica; si trovano a un’altitudine di 350 metri s.l.m. con un’esposizione sud-est.

Uve impiegate Cabernet Sauvignon 30%, Syrah 30%, Prugnolo gentile (Sangiovese) 30%, Petit Verdot 10%

Sistema d’allevamento

Note organolettiche

Prima annata

1993

Le migliori annate

1994 - 1997 - 2000 Note Il vino, il cui nome è un omaggio a Santa Caterina, patrona di Siena, non è stato prodotto nell’annata 1999; raggiunge la maturità solo dopo 5-6 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 6 e i 12 anni.

L’azienda L’Azienda Agricola Dei si estende su una superficie di 90 Ha, di cui 46 vitati. La restante superficie vede la presenza di boschi e colture promiscue. Collabora con l’azienda l’enologo Nicolò d’Afflitto.

Altri vini I Rossi: Nobile di Montepulciano DOCG (Sangiovese 85%, Canaiolo 10%, Mammolo 5%) Nobile di Montepulciano DOCG Riserva (Sangiovese 85%, Canaiolo 10%, Mammolo 5%)

Il vino si presenta di un colore rosso rubino, con lievi riflessi granata e con i profumi caratterizzanti del vitigno principe, il Cabernet. Fine, elegante, al gusto è ben strutturato, morbido; al retrogusto è persistente con sentori di frutti di bosco a bacca rossa e note speziate.

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Fattoria Casa Sola Noi genovesi siamo conosciuti da sempre come un popolo di grandi navigatori e, agli occhi di tutti, siamo più identificabili come marinai che come contadini, ma alla fine poi, chissà come mai, amiamo la terra e la rispettiamo molto più di altri italiani. Sarà forse perché la terra ci manca e quella poca che c’è l’abbiamo rosicchiata alle montagne e al mare, sarà perché racchiude in sé, sia il fascino della concretezza a noi cara, sia il senso più stretto e tangibile della proprietà delle cose, altro elemento per noi importante. Il mio amore per la campagna, la terra, la natura in genere, sono sicuro che nacque durante la mia adolescenza, mentre facevo quei giochi all’aria aperta, in mezzo ai campi, con i miei fratelli, cugini e amici, nella tenuta pisana della nostra zia Maria, in Toscana, a cavallo fra la fine degli anni ’40 e gli inizi degli anni ‘50. Il tempo ti porta a crescere e a lasciar andare i giochi. Negli anni mi trovai immerso nella professione di costruttore che mi vide con i miei fratelli avviare un’attività per la realizzazione, in particolare, di case per le vacanze. Nella metà degli anni ’60, mio padre Giovanni, notaio per il Monte dei Paschi a Genova, incominciò a prendere in seria considerazione l’ipotesi di comprare una tenuta in Toscana; poiché per la sua professione gli capitavano spesso occasioni immobiliari che sembravano, sulla carta, interessanti, fu così che ci lasciammo prendere tutti quanti dal desiderio di riavvicinarci alla terra, e quale terra migliore se non quella di Toscana? Andare da Genova a Barberino Val d’Elsa, in quegli anni, non era cosa semplice, anzi rammento che era un’avventura che richiedeva un’intera giornata, perché la viabilità era in condizioni inimmaginabili. Pensammo che in ogni caso una simile decisione doveva essere presa collegialmente da tutta la famiglia e fu così che partimmo in 14: mamma, papa, fratelli, cognate e nipoti, tutti insieme. Quando arrivammo a Casa Sola, dimenticammo in un solo istante le fatiche del viaggio e ci sciogliemmo come neve al sole davanti a uno spettacolo della natura unico. In questo luogo non c’era e non c’è alcun inquinamento visivo, per chilometri lo sguardo si perde dentro boschi, vigne e ancora boschi, e non si trovano

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ostacoli fino alle lontanissime torri di San Gimignano che si scorgono all’orizzonte. Qui non c’era e non c’è nessun inquinamento acustico, il silenzio regna sovrano a tal punto che all’inizio, in alcuni momenti, incuteva quasi paura. Tutto l’ambiente contribuiva a infonderci un forte senso di serenità e quiete. Era quello che cercavamo, Casa Sola era perfetta e come più tardi la definì un mio amico francese «je ne sais pas ce que veux dire “Casa Sola”, peut-être maison unique, peut-être maison du soleil, mais peut importe, en tous cas le séjour à Casa Sola est merveilleux». Casa Sola era una “Casa Unica” e fin da quel momento decidemmo che quella sarebbe stata “Casa Nostra”. Più tardi, circa nel 1985, lasciai l’attività imprenditoriale e mi trasferii definitivamente per fare a tempo pieno il vignaiolo nel Chianti. Il salto qualitativo della mia vita fu enorme: qui avevo altri spazi, altre atmosfere, una dimensione umana con il lavoro e con la quotidianità che mi poneva in equilibrio con ciò che mi circondava. Previa consultazione familiare con mia moglie Claudia e i miei due figli Matteo e Anna, allora bambini, iniziammo così una nuova e affascinante sfidaavventura. Cominciai con il rinnovare i vecchi vigneti con nuovi specializzati secondo le indicazioni ambiziose del programma del “Chianti Classico 2000” del Consorzio del Gallo Nero; quindi, forte delle mie precedenti esperienze in ristrutturazioni edilizie, diedi inizio alla ristrutturazione del podere “Montarsiccio”, splendida casa colonica in cima ad una collina circondata da cipressi, trasformandola in un “agriturismo di charme chiantigiano” arredata con quel gusto caratteristico che solo mia moglie Claudia poteva realizzare. Dopo fu la volta delle cantine, ampliate e attrezzate di tutto punto con ovviamente anche le barriques di rovere francese. Un lungo impegno, durato 20 anni, che ci ha visto muovere in perfetta sincronia con le vendemmie e con i risultati che le stesse portavano. Dopo tanto tempo sono convinto di aver intrapreso la strada giusta, perché la qualità della mia vita è migliorata insieme a quello che io faccio, a partire dal vino.


Giuseppe Gambaro


FATTORIA CASA SOLA Giuseppe Gambaro

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Montarsiccio IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

Note

Montarsiccio è un cru ottenuto dalla selezione delle uve migliori provenienti dal vigneto Montarsiccio, di proprietà della Fattoria Casa Sola, posto sulle colline che si trovano nella parte sud del comune di Barberino Val d’Elsa, nella zona di produzione del Chianti Classico DOCG.

Il nome del vino nasce dall’omonimo vigneto. Il vino raggiunge la maturità solo dopo 56 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 6 e i 12 anni.

Cabernet Sauvignon 65%, Merlot 20%, Sangiovese 15%

Dopo la vendemmia, che avviene di solito dal 15 settembre al 10 ottobre, si effettua la fermentazione alcolica che procede separatamente per ogni uvaggio e che si protrae fra i 4 e i 6 giorni alla temperatura controllata di 28°C in recipienti termocondizionati di acciaio inox. In contemporanea si procede alla macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage, rimontaggi e follatura, si protrae per 8-12 giorni. Dopo la svinatura inizia la fermentazione malolattica e al termine si effettua l’assemblaggio delle partite; quindi il vino viene posto ad invecchiare in barriques di Allier, per il 50% nuove e il restante di terzo passaggio, per 22-24 mesi. Terminato l’invecchiamento, il vino subisce un affinamento in bottiglia per altri 8-12 mesi.

Sistema d’allevamento

Quantità prodotta

Cordone speronato

5000 bottiglie l’anno

Densità di impianto

Note organolettiche

3300 ceppi per Ha nei vecchi vigneti, 5900 ceppi per Ha nei nuovi vigneti

Di colore rosso con venature porpora, il vino si presenta con ampie note di viola, marasca e piccoli frutti di bosco neri e maturi, con fondo di vaniglia. Dal sapore asciutto e sapido, ripropone al palato le sensazioni avvertite al naso.

Tipologia dei terreni Il vigneto Montarsiccio è posto su terreni che hanno caratteristiche morfologiche con tessitura scisto-marnosa e galestro, con forte presenza di scheletro e si trova a un’altitudine di 330 metri s.l.m. e ha un’esposizione a sud-est / sud-ovest.

Uve impiegate

L’azienda La fattoria Casa Sola, di proprietà dei Gambaro dal 1965, si estende su una superficie complessiva di 120 Ha, di cui 25 destinati alla viticoltura e 40 destinati all’olivicoltura. La restante superficie vede in gran parte la presenza di boschi e altre colture promiscue. Collaborano in azienda l’enologo Giorgio Marone e l’agronomo Valerio Barbieri.

Altri vini I Rossi: Chianti Classico DOCG (Sangiovese 90%, Canaiolo 4%, Cabernet Sauvignon 4%, Merlot 2%) Chianti Classico Riserva DOCG (Sangiovese 90%, Cabernet Sauvignon 7%, Merlot 3%) Vin Santo (Malvasia del Chianti – Trebbiano Toscano)

Prima annata

1994

Le migliori annate

1995 - 1997 - 1999

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Fattoria Corzano & Paterno Nessuno in famiglia avrebbe mai pensato di dedicarsi così intensamente alla

campagna, al vino, agli animali...; eravamo così lontani da questo mondo... e invece è successo! Tutto ha inizio, potrebbe aprirsi così il nostro film, quando mio zio Wendelin Gelpke, svizzero come tutta la mia famiglia, già dalla metà degli anni Sessanta viveva a Firenze dove svolgeva la sua professione d’architetto. Erano anni in cui in quella città si viveva un risveglio culturale importante; mio zio con il suo lavoro era in contatto con moltissime persone ma, con il tempo, aveva stretto un buon rapporto d’amicizia soprattutto con i marchesi Niccolini e, ci raccontava, furono proprio loro che, interpellatolo per avere dei consigli su come frazionare l’azienda di Corzano che dovevano vendere, si lasciò, dopo essere stato stregato dal luogo, convincere ad acquistare la fattoria. L’azienda era abbandonata e improduttiva da anni, ma per lo zio questo aveva poca importanza: il suo fu amore a prima vista. Si sapeva che amava la terra, la campagna e la vigna, ma la sua decisione di acquistare i 70 Ha di terreno con tre case coloniche, completamente da ristrutturare, fu definita da tutti un’idea un po’ bizzarra. Indubbiamente la magia che si respira ancora oggi su questa terra per lui fu un irrefrenabile impulso che lo condusse a modificare non solo la sua vita, ma anche quella di tutta la nostra famiglia. Era chiaro anche per lui che non avrebbe potuto far fronte, da solo, alla miriade di cose impellenti di cui l’azienda necessitava e quindi in suo soccorso arrivammo tutti noi. Impiantammo immediatamente 5 Ha di vigna e anche se giovanissimo (avevo infatti appena compiuto dodici anni), ricordo benissimo quanto questa avventura coinvolse completamente tutti i membri della famiglia: ci sentivamo tutti contadini e un po’ vignaioli. Per me era un’esperienza nuova, emozionante e allo

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stesso tempo sconvolgente, poiché ero passato in così poco tempo dalla Svizzera all’Italia e dalla città alla campagna. Poi con gli anni crebbe in me sempre più l’amore per questo ambiente, per il lavoro della campagna e per tutto quello che ruotava intorno al vino; fu così che appena terminati gli studi superiori m’iscrissi alla scuola di viticoltura ed enologia in Svizzera. In azienda c’era bisogno di qualcuno che si occupasse di questo settore, giacché lo zio, pur avendo tanta buona volontà, aveva conoscenze solo superficiali del mondo enologico. Qui all’inizio mancava tutto; non vi era niente che potesse assomigliare a una cantina, non vi erano attrezzature: tutto era fatiscente e ciò che esisteva era completamente obsoleto e poi non vi era una benché minima cultura sulla vite e sul significato di terroir. Pur proseguendo nell’evoluzione agricola sentivamo però che alla fattoria mancava un elemento indispensabile, perché si potesse attribuirle tale nome: mancavano gli animali. Non si poteva, e ancora oggi non si può, concepire, per noi, un’azienda agricola senza animali, convinti come siamo che solo la zootecnia chiude il cerchio naturale produttivo di un’azienda. Fu così che acquistammo le prime 50 pecore sarde da latte, che con il passare del tempo sono divenute 600 e ci hanno consentito di realizzare un nostro caseificio che con la sua produzione di alta qualità, ha affiancato e superato quella vinicola facendo crescere molto la Fattoria di Corzano & Paterno. Anno dopo anno sono sempre più convinto di aver intrapreso il più bel lavoro del mondo. Alzandomi al mattino trovo ancora, dopo trent’anni, la gioia di apprezzare questa terra, di lavorarci sopra e di crescere con lei, con la certezza di scoprire le sue grandi potenzialità non ancora espresse, respirando un’atmosfera che non mi ha mai tradito, che non mi stanca mai, ma che, soprattutto, meravigliosamente tiene unito, ancora in modo perfetto, ogni anello che compone la catena di questa mia famiglia.


Aljoscha Goldschmidt


FATTORIA CORZANO & PATERNO Aljoscha Goldschmidt

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Il Corzano IGT Toscana Note

Zona di produzione Corzano è una cuvée delle migliori uve Sangiovese, Merlot e Cabernet Sauvignon dell’azienda; gli uvaggi sono raccolti esclusivamente su terreni di proprietà della Fattoria Corzano & Paterno, posta sulle colline che si trovano nella parte sud del comune di San Casciano Val di Pesa, nella zona di produzione del Chianti dei Colli Fiorentini DOCG.

Dal 1987 fino al 1992 il vino è stato prodotto con il solo utilizzo del Sangiovese; dal 1993 è utilizzato il Cabernet e solo dopo la vinificazione del 1995 vi è stato aggiunto il Merlot. Il vino, che non è stato prodotto nel 1992, prende il nome dall’azienda omonima e raggiunge la maturità solo dopo 4-5 anni dalla vendemmia, mentre il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 10 anni.

Sangiovese 45%, Cabernet Sauvignon 40%, Merlot 15%

temperatura di 25-28°C in recipienti termocondizionati di acciaio inox. Contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura leggere, prosegue, invece, per altri 12-14 giorni a temperature controllate comprese fra i 28 e i 30°C. Al termine i vini vengono posti in barriques, per 1/3 nuove, 1/3 di secondo passaggio e 1/3 di terzo passaggio, dove effettuano la fermentazione malolattica e dove vi rimangono per 13 mesi. In questo periodo, due o tre mesi prima di togliere il vino dalle barriques, viene effettuato l’assemblaggio delle partite. Terminato l’invecchiamento, il vino subisce un leggero affinamento in tini d’acciaio prima di essere imbottigliato per un ulteriore affinamento di 12 mesi.

Sistema d’allevamento

Quantità prodotta

Altri vini

Cordone speronato

12000 bottiglie l’anno

Tipologia dei terreni I vigneti sono posti su terreni di tessitura argilloso-calcarea, con forte presenza di scheletro e si trovano a un’altitudine di 330 metri s.l.m. con un’esposizione a sud-ovest.

Uve impiegate

Densità di impianto

Note organolettiche

3000 ceppi per Ha nei vecchi impianti di Sangiovese, mentre nei nuovi impianti, che interessano tutti e tre gli uvaggi, si raggiungono i 6600 ceppi per Ha

Di colore rosso con venature porpora, il vino si presenta con ampie note di viola, marasca e piccoli frutti di bosco neri maturi. Dal sapore asciutto, sapido ripropone al palato le sensazioni avvertite al naso.

Tecniche di produzione Dopo la vendemmia, che avviene di solito dal 15 settembre al 20 ottobre, a seconda della maturazione delle uve dei singoli uvaggi, si effettua la fermentazione alcolica che procede separatamente per ogni uvaggio e che si protrae fra i 4 e i 6 giorni alla

L’azienda La fattoria Corzano & Paterno, di proprietà della famiglia Gelpke, si estende su una superficie complessiva di 145 Ha, di cui 15 destinati alla viticoltura e 10 destinati all’olivicoltura. La restante superficie vede la presenza di pascoli, boschi e altre colture promiscue. Aljoscha Goldschmidt svolge in azienda le mansioni di enologo e agronomo.

I Bianchi: Il Corzanello IGT (Trebbiano e Malvasia 60%, Chardonnay 40%) I Rossi: Chianti Classico DOCG Terre di Corzano (Sangiovese 85%, Canaiolo 15%) Chianti Classico DOCG Riserva I Tre Borri (Sangiovese 100%)

Prima annata

1987

Vin Santo (Trebbiano, Malvasia)

Le ultime annate

1995 - 1997 - 1998 - 1999

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Fattoria di Fubbiano E ro molto piccolo, ma trovavo divertente districarmi fra costruzioni e giocattoli meccanici o elettrici che regolarmente smontavo e modificavo secondo la mia fantasia. Un giorno, intrecciando due fili elettrici, che avrebbero dovuto far funzionare una cosa strana che mi ero prodigato a ideare e che, secondo le mie fantasie, sarebbe stata di grande aiuto per chiunque l’avesse utilizzata, presi una forte scossa elettrica che mi fece gridare dal dolore e, contemporaneamente, trasalire dallo spavento. In casa quell’improvviso grido non passò inosservato e mia madre, che era abituata ai miei silenziosi giochi, arrivò cercando di comprendere cosa mai fosse capitato. Strozzando in gola il pianto per il dolore, ricordo che la fissai con un’espressione angelica, cercando con ogni mezzo di tranquillizzarla sul fatto che non era successo niente di cui lei dovesse preoccuparsi. Tacqui per non farmi portar via quei giochi cui tenevo molto; sapevo bene che se le avessi raccontato la verità, mi avrebbe fatto smettere di giocare con quegli strumenti. In seguito, riflettendo su quell’episodio, mi convinsi del fatto che ognuno ha un ruolo da svolgere nella vita, anche se, in molti casi, gli altri non ne comprendono il fine. Sicuramente per me è stato importante dare sfogo fin dall’adolescenza a tutto quello che riguarda la fisica e la meccanica, passione che molto più tardi mi condusse a scegliere di laurearmi alla prestigiosa facoltà di Fisica dell’Università Eth di Zurigo. Era destino che mi dilettassi nella progettazione e realizzazione di oggetti che potessero essere utili a molti e certamente il campo degli strumenti medici per la cardiologia, che oggi contribuiscono a salvare vite umane e coadiuvano il lavoro di molte équipes mediche di tutto il mondo, è quello nel quale mi sono realizzato meglio. Oggi, con oltre 500 dipendenti e con più di 28 società sparse per tutto il mondo, non è venuto meno il piacere a proseguire su quella strada iniziata spontaneamente con quei miei giochi di fanciullo. Continuo a progettare cercando di trovare il giusto equilibro fra l’impegno lavorativo e le mie passioni che sono la famiglia, il volo in aliante e oggi la campagna. Trovo interessante la teoria di chi sostiene che la storia di un uomo assomiglia molto alla coperta che egli ha saputo tessere con le proprie azioni. Più o meno larga, fine o pesante, colorata e sgargiante: comunque una coperta che ha richiesto un minuzioso lavoro che conduce, giorno dopo giorno, all’appagamento del proprio essere, fino a sentirsi protetti e al riparo grazie a ciò che si è

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riusciti a realizzare nella vita. Così, sotto quella coperta ci rifugiamo nei momenti difficili e, al tepore delle memorie e dei ricordi, troviamo gli stimoli per superare le difficoltà e prefiggerci nuovi traguardi da raggiungere. Ogni tanto, ancora oggi, faccio così. Mi nascondo sotto le coperte come quando ero fanciullo e avevo paura; allora mi sembravano sempre corte e insufficienti a proteggermi, oggi, anche se non ho più paura mi piace scaldarmi al tepore dei miei ricordi nei quali trovo la serenità che ho cercato e rincorso per sessant’anni. Nella mia vita ho avuto la fortuna di aver intrecciato e tessuto fili importanti per la mia coperta. Fili colorati e splendidi, come quello che ho utilizzato con Eva, donna e moglie meravigliosa, o quelli, luccicanti e coloratissimi, che ho realizzato per le mie quattro splendide figlie, Angela, Claudia, Romana e Stephanie. No, non mi posso lamentare: ho una coperta che scalda e mi copre abbastanza, ma non mi sono ancora stancato di costruirne, ogni giorno, un altro pezzo, magari progettando nuovi strumenti, aprendo nuove filiali o nuove società per il mondo, provando, come feci tantissimi anni fa, a ricostruire un aliante che mi portò, con un’emozione indescrivibile, in alto nel cielo a imitare il volo degli uccelli. Quel silenzio mi rimbomba spesso nella mente e avendo difficoltà oggettive a riprovare quelle splendide sensazioni, ho pensato di riassaporare quella libertà in questa campagna Toscana, fra questi viti e questi olivi. Sono diverse le emozioni che sento fra questi filari e sotto gli olivi, ma il senso di libertà è lo stesso, come è lo stesso il senso fisico del distacco dalla quotidianità fatta di ufficio e riunioni. Anche i silenzi che qui si respirano sono gli stessi che percepivo quando ero in volo. Quello che fa la differenza e che mi entusiasma è che qui c’è sempre qualche cosa di manuale da fare e ciò mi conduce a riscoprire il piacere di una manualità semplice, fatta di piccoli ingranaggi, motori, bulloni, chiodi, legno e ferro di cui è stata piena la mia adolescenza. Qui c’è sempre qualche cosa da smontare o da rimontare e poi c’è da fare il vino e poco dopo c’è da fare l’olio e poi, via via, mille altre cose. Qui mi sento libero, molto più libero di quanto pensassi e questa libertà mi dà una grande serenità, più di qualsiasi altra cosa. Devo dire che per me la fattoria di Fubbiano non è un’azienda agricola fine a se stessa, è molto di più: è un volo mentale, una libera interpretazione di ciò che sarà il mio nuovo lembo di coperta, quello che sto tessendo e con il quale riscalderò la mia storia di uomo libero.


Alfred Schiller


FATTORIA DI FUBBIANO Alfred Schiller

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I Pampini IGT Toscana L’azienda

Zona di produzione I Pampini è un vino ottenuto da un’attenta selezione delle migliori uve provenienti dai vigneti posti in località Teto, di proprietà della Fattoria di Fubbiano, che si trova nel comune di Capannori, nella zona di produzione dei vini delle Colline Lucchesi DOC.

Tipologia dei terreni I vigneti si trovano su terreni che presentano una tessitura argilloso-calcarea, con una buona dose di scheletro, in una zona ventilata a un’altitudine di 300 metri s.l.m., con un’esposizione a sud-ovest.

secondo passaggio, dove rimane per 12 mesi. Alla conclusione di questo periodo, il vino viene assemblato e trasferito in botti di rovere da 12 Hl. per ulteriori 12 mesi. Terminato l’invecchiamento, dopo un breve passaggio nei tini e un leggero filtraggio, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento di 6 mesi.

Quantità prodotta

La Fattoria di Fubbiano, di proprietà di Alfred Schiller dal 2002, ha una estensione complessiva di 45 Ha, di cui 20 dedicati alla viticoltura e 10 dedicati all’olivicoltura; il restante territorio vede la presenza di boschi e giardini. Negli oliveti pascolano 15 cavalli aveglinesi. Il direttore è Marco Corsini. Collaborano in azienda l’agronomo Sauro Corsini e l’enologo Bruno Trentini.

8000 bottiglie l’anno

Altri vini Note organolettiche I Bianchi: Bianco di Fubbiano Colline Lucchesi DOC (Trebbiano 60%, Greco, Grechetto e Malvasia del Chianti 35%, Vermentino 5%)

5000 ceppi per Ha

Di colore rosso rubino intenso, il vino si presenta al naso con sentori di piccoli frutti neri di bosco; inoltre la piccola ma importante percentuale di Teroldego dona al vino profumi molto particolari di spezie. Al palato presenta una forte personalità: caldo, di grande spessore, di corpo, con tannini maturi in equilibrio con il legno; prolungata la persistenza in bocca.

Tecniche di produzione

Prima annata

I Rossi: San Gennaro Colline Lucchesi DOC (Sangiovese 60%, Canaiolo e Ciliegiolo 30%, Merlot 10%) Villa di Fubbiano Colline Lucchesi DOC (Sangiovese 70%, Canaiolo e Ciliegiolo 30%)

Le migliori annate

Vin Santo Colline Lucchesi DOC (vitigni a bacca bianca iscritti nel disciplinare).

Uve impiegate Sangiovese 90%, Teroldego 10%

Sistema d’allevamento Guyot

Densità di impianto

Dopo la vendemmia, che avviene di solito alla fine di settembre, si procede alla fermentazione alcolica che si protrae per 6-8 giorni alla temperatura di 25°C, in recipienti di cemento termocondizionati. Contemporaneamente ai avvia la macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, prosegue per altri 8-10 giorni alla temperatura di 30°C. Terminata questa fase, il vino, senza alcuna chiarifica, effettua la fermentazione malolattica in barriques di Allier, nuove e di

1995

1998 - 1999 - 2000 Note Il vino, che prende il nome dai ricciolini vegetativi che la vite rampicante utilizza, raggiunge la maturità solo dopo 4-5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione dovrebbe essere compreso fra i 5 e i 10 anni.

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Fattoria Le Pupille C erto devo ammettere che il passaggio da New York alla Maremma non è stato indolore, ma nonostante tutto devo ringraziare l’amore per mia moglie Elisabetta che mi ha convinto a lasciare tutto e mi ha dato la forza di trasferirmi qui. Oggi questa terra la sento mia, mi è entrata dentro e mi appartiene molto di più di quanto si possa immaginare. Qui ho conosciuto persone meravigliose, straordinarie, disponibilissime e aperte, contrariamente a quanto si possa pensare; persone che mi hanno aiutato a integrarmi sia in un territorio difficile come questo, sia in un mondo complesso come quello del vino. È stata Elisabetta che ha saputo trasmettermi gran parte del suo amore per queste terre “libere” di Maremma. È dal ’94, in pratica, da quando ci conosciamo, che lei non ha fatto altro che farmi scoprire, gradatamente, le piccole e grandi cose che rendono unico questo lembo di Toscana, che nonostante le grandi pressioni storiche subìte, ha mantenuto inalterato il suo DNA, senza modificarlo minimamente, indifferente a tutte quelle influenze che oggi prepotentemente cercano nuovamente di aggredirlo. La Maremma è forte, ben strutturata e solida e sono sicuro che nessuna cosa potrà mai cambiarla. Questo suo modo d’essere si percepisce dal valore attribuito, qui, alla modernità, altrove sbandierata come simbolo globalizzante; qui a ogni angolo si percepiscono l’uomo, i suoi gesti, il suo lavoro; un uomo “anarchico”, che ha saputo prima di tutto plasmare questa calda terra e poi miracolosamente, con la poca acqua a disposizione, ha saputo renderla produttiva; uomini che da sempre hanno un filo diretto con le zolle e una scarsa propensione all’innovazione, furbi e geniali come solo i contadini possono esserlo. Sono sicuro che al mondo non vi è nessun altro luogo che mi avrebbe convinto a fermarmi e a farmi condurre una vita “stanziale”. Ma è il grande rapporto di simbiosi che vivo con Elisabetta che mi ha fatto comprendere come questa terra potesse essere il grande scrigno dei miei sogni di

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vignaiolo. Io che fin dalla mia adolescenza ho amato il vino, che mi è stato accanto come un compagno di viaggio per tutta la vita, avevo trovato finalmente una terra dove poter esprimere questa mia passione. Qui fare il vignaiolo, neanche molti anni fa, era molto difficile; avevamo contro la storia e la tradizione. Oggi le cose sono un po’ cambiate, il vino di Maremma ha acquisito estimatori in tutto il mondo e sono sicuro che le cose migliori dovranno ancora arrivare; intorno vi è fermento, frenesia, voglia di fare. Sono lontani i momenti difficili della mia adolescenza di orfano che mi vedevano tutti i giorni far di conto con il mio misero bilancio, ma, nonostante questo, la passione per il vino mi conduceva a mettere da parte i soldi per comprarmi, ogni tanto, una buona bottiglia. Ricordo perfettamente, ancora oggi, i profumi e gli aromi di una bottiglia di Barolo regalatami, in un’occasione particolare, da Silvio Lucatoni, proprietario di un’enoteca romana. Avevo poco più di 17 anni e dopo aver gustato quel “nettare” mi ritrovai sul treno diretto ad Alba, in Piemonte, per scoprire cosa vi fosse dietro a quella bottiglia di vino. Con il tempo poi ho scoperto non cosa vi fosse “dietro”, ma “dentro” a quella bottiglia di vino: ho scoperto il significato di essere vignaiolo, le sue passioni, la sua voglia di fare, la storia del suo territorio, il suo terroir. È qui in Maremma che ho cercato di costruire il mio terroir, di ampliare le mie conoscenze e, accanto a Elisabetta, ho cercato di modificare e ingrandire ciò che lei aveva egregiamente avviato; insieme poi abbiamo dato il meglio di noi stessi per migliorare la Fattoria le Pupille fino ad arrivare al punto di non saper più distinguere l’azienda, la casa e la famiglia, perché per entrambi questo è un luogo magico che ci unisce e ci completa: è un luogo che doveva essere per noi proiettato verso la conservazione di ciò che avevamo trovato per poter trasmettere ai nostri cinque figli un ambiente da amare.


Stefano Rizzi


FATTORIA LE PUPILLE Stefano Rizzi

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Saffredi IGT Toscana Note

Zona di produzione Saffredi è una cuvée delle uve provenienti da un vigneto di proprietà della Fattoria Le Pupille posto sulle colline intorno al paese di Pereta nel comune di Magliano in Toscana. nella zona di produzione del Morellino di Scansano DOC.

Tipologia dei terreni Il vigneto che è posto su terreni che hanno una caratteristica morfologica ricca di scheletro con tessitura sassosa, si trova a un’altitudine di 250 metri s.l.m. e ha un’esposizione a sud-ovest.

invece per altri 15-20 giorni a temperatura libera. Al termine si effettua l’assemblaggio delle partite e senza alcuna chiarifica il vino effettua la fermentazione malolattica in barriques di Allier, per l’80% nuove e il restante di secondo passaggio dove vi rimane per 18 mesi. Terminato l’invecchiamento, il vino subisce un affinamento in tini d’acciaio prima di essere imbottigliato per un ulteriore affinamento di 8 mesi.

Quantità prodotta 26000 bottiglie l’anno

Uve impiegate Cabernet Sauvignon 50%, Merlot 35%, Alicante 15%

Note organolettiche

Il Guyot è utilizzato sul Cabernet Sauvignon e il cordone speronato è utilizzato sul Merlot

Di colore rosso con venature porpora, il vino si presenta con ampie note di viola, marasca e piccoli frutti di bosco neri e maturi, con un fondo di vaniglia. Dal sapore asciutto e sapido ripropone al palato le sensazioni avvertite al naso.

Densità di impianto

Prima annata

Sistema d’allevamento

3700 ceppi per Ha

1987

Tecniche di produzione Dopo la vendemmia, che avviene di solito dal 15 al 30 settembre, si effettua la fermentazione alcolica che procede separatamente per ogni uvaggio e che si protrae fra gli 8 e i 12 giorni alla temperatura di 30°C in recipienti termocondizionati di acciaio inox. Contemporaneamente la macerazione sulle bucce, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, prosegue

Le migliori annate

1987 - 1990 - 1995 1997 - 1999 - 2000 - 2002

Il vino, che prende nome dal suocero di Elisabetta, non è stato prodotto nel 1996 e raggiunge la maturità solo dopo 5-6 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 6 e i 12 anni.

L’azienda La fattoria Le Pupille, di proprietà di Elisabetta Geppetti dal 1995, si estende su una superficie complessiva di 420 Ha, di cui 60 destinati alla viticoltura e 12 destinati all’olivicoltura. La restante superficie vede la presenza di altre colture promiscue e boschi. Collaborano in azienda l’enologo Christian Le Sommer e l’agronomo Marco Pierucci.

Altri vini I Bianchi: Poggio Argentato IGT (Traminer 60%, Sauvignon Blanc 40%) I Rossi: Morellino di Scansano DOC (Sangiovese 85%, Alicante, Malvasia Nera 15%) Morellino di Scansano DOC Poggio Valente (Sangiovese 96%, Alicante 4%) Solalto (Traminer, Sauvignon Blanc e Sémillon in parti uguali)

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Fattoria Montellori P

“ odere de Montelloli seu quod dicitur castrum Rabiti et quod fuit quondam Rabiti in provincia Vallis Arni et ipsum castrum positum super ipso podere et in quo podere sunt terre vineate et in parte campie et prata...”. Così menzionava l’inventario dei beni lasciati in eredità da Bonifazio del fu Rabito della famiglia Liene di Lucca il 31 maggio del 1293. Già a quei tempi questa terra era ricca di vigneti e la viticoltura aveva raggiunto livelli qualitativi molto interessanti tanto da porla all’attenzione degli amanti del buon bere. Non so quali furono le cause, ma con il passare del tempo queste caratterizzazioni territoriali si dissolsero a favore di aree circostanti che non potevano vantare tradizioni simili alle nostre. Appena laureato entrai a collaborare con mio padre, curando gli aspetti commerciali dell’azienda di famiglia, e andando per il mondo mi resi subito conto delle difficoltà che le nostre etichette incontravano nel promuovere il loro territorio d’appartenenza, di cui nessuno conosceva l’aspetto vitivinicolo. Di questo mi rammaricavo, ma non mi lasciavo intimidire; io che ho sempre fatto grandi scommesse con la vita, mi sentivo stimolato: era la sfida del “piccolo” contro i “giganti”, del “conosciuto” contro “l’anonimo”. Per avere uno spiraglio di vittoria dovevo comprendere quali fossero le armi migliori per stimolare la curiosità del mercato nei nostri confronti, quali erano gli strumenti enologici migliori per noi e quale chiave utilizzare per far quadrare il cerchio aziendale. Questa grande voglia di crescere, ricordo, mi condusse presto a scontrarmi con mio padre, il quale, credo, si era un po’ “seduto” sull’acquisito. Per prima cosa modificai l’approccio aziendale ai vini rossi, poco amati da mio padre, che prediligeva i bianchi, a differenza di me che invece li ritenevo strategici per la nostra visibilità; poi modificai l’approccio alla vigna e alla vinificazione, mi aggiornai, mi guardai intorno. Con mio padre fu, in quegli anni, un logico e amorevole scontro generaziona-

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le, impostato soprattutto sulla visione del futuro, sulle scelte che giornalmente ci trovavano su posizioni diverse, ora riguardanti la vite, ora la cantina. Uno scontro salutare, benefico, di crescita, all’interno del quale non vi furono né vinti né vincitori, ma solo un padre che, una volta confortato dai risultati del figlio che si dimostrarono non casuali, ma il frutto di un ragionamento non del tutto astruso, finì per rilassarsi e per contribuire alla causa comune. Sono passati diversi anni da allora ed oggi l’azienda si estende su una superficie di 120 Ha, di cui 55 dedicati a vigneti, dai quali si ricava un’ampia gamma di prodotti enologici. La scelta di produrre diverse tipologie di vino non è stata semplicemente dettata dal nostro sfizio creativo, bensì dalla varietà e dall’ubicazione dei nostri terreni, posti a latitudini e ad altitudini diverse. Alcuni si trovano vicino a Cerreto Guidi, dove è presente il 65% dell’intera area produttiva di Montellori, altri sul Montalbano, a 500 metri d’altezza, dove sono collocati i vigneti a bacca bianca, altri ancora proprio nelle vicinanze di Empoli, composti da pietre e sassi, dove sono allevati i vitigni come il Cabernet e Merlot: insomma, tutti terreni a spiccata vocazione vitivinicola. Ma non siamo stati bravi solo noi. In questo percorso di crescita ci siamo affidati prima a personaggi come D’Attoma, Mori, d’Afflitto e oggi ad Andrea Paoletti, e ognuno di essi ha dato o sta dando un forte contributo tecnico e professionale. Credo comunque che dopo tanti anni abbiamo trovato la quadratura del cerchio: sappiamo con esattezza le potenzialità dei nostri territori e la qualità dei nostri uvaggi, abbiamo arricchito le nostre conoscenze, abbiamo costruito il nostro personale terroir; purtroppo non siamo ancora riusciti a comprendere cosa sia meglio fare per valorizzare l’area vitivinicola intorno a Fucecchio. Io non ho ancora vinto questa sfida, ma ci è riuscito il mio vino, il solo a rendersi visibile, più per merito delle sue enormi potenzialità che per il contributo d’immagine che quest’area gli ha fornito.


Alessandro Nieri


FATTORIA MONTELLORI Alessandro Nieri

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Salamartano IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

Salamartano nasce da un’attenta selezione delle uve provenienti dal vigneto di Villanova che si trova vicino a Empoli, di proprietà della Fattoria Montellori di Fucecchio (FI).

Dopo la vendemmia, che avviene per ogni uvaggio con tempi diversi secondo la maturazione degli stessi, e che inizia di solito il 15 di settembre per il Merlot e i primi di ottobre per il Cabernet, si effettua la fermentazione alcolica, che procede separatamente per ogni varietà e si protrae fra i 4 e i gli 8 giorni alla temperatura di 28°C in recipienti termocondizionati d’acciaio inox. La macerazione sulle bucce, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, prosegue invece per altri 12-14 giorni a temperature controllate comprese fra i 28 e i 30°C. Terminata questa fase, i vini, separatamente e senza alcuna chiarifica, effettuano la fermentazione malolattica in barriques di Allier e Nevers, per l’80% nuove, il resto di secondo passaggio; qui vi rimangono per 12-14 mesi. Durante questo periodo è effettuato l’assemblaggio delle partite; terminata la maturazione, e a seguito di un leggero filtraggio, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 12-15 mesi.

Tipologia dei terreni Il vigneto si trova su un terreno conoide alluvionale, che ha una tessitura ricca di sassi e ciottoli, un’esposizione a sud e un’altitudine di 80 metri s.l.m.

Uve impiegate Cabernet Sauvignon 50%, Merlot 50%

Sistema d’allevamento Cordone speronato

Densità di impianto 5000 ceppi per Ha

Quantità prodotta 20000 bottiglie l’anno

Prima annata

1992

Le migliori annate

1993 - 1995 - 1997 1999 - 2001 Note Salamartano deriva dal nome dato alla stanza delle armi del castello di Fucecchio (Sala di Marte). Il vino raggiunge la maturità solo dopo 5-6 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 6 e i 15 anni.

L’azienda L’azienda, di proprietà della famiglia Nieri dal 1895, ha un’estensione complessiva di 120 Ha, di cui 55 dedicati alla viticoltura. Responsabile dei vigneti e della cantina è Marco Razzauti. Collabora in azienda come agronomo ed enologo Andrea Paoletti.

Altri vini I Bianchi: Mandorlo (Chardonnay 60%, Marsanne, Roussanne, Clairette, Viognier 40%) Sant’Amato (Sauvignon blanc 100%)

Note organolettiche Di colore rosso rubino con riflessi violacei intensi, il vino presenta dei profumi ampi e concentrati di confettura di frutta, con note speziate di vaniglia e caffè. Al palato è intenso, elegante, avvolgente; di gran morbidezza, con tannini morbidi; si mantiene in bocca per un lungo periodo.

I Rossi: Chianti DOCG (Sangiovese 100%) Moro IGT (Sangiovese 80%, Malvasia Nera 10%, Cabernet Sauvignon 10%) Dicatum (Sangiovese 100%) Vin Santo (Trebbiano Toscano 100%)

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Fattoria Petrolo Quando si parla d’arte, si disquisisce sui meccanismi e sul piacere che regolano la creatività dell’uomo. Io, seguendo la prospettiva rinascimentale che proietta l’uomo al centro dell’universo, mi sono immerso nel mondo del vino. A distrarmi dai miei quadri e dalle mie poesie furono gli sguardi intelligenti, ambiziosi e sognanti di uomini come Sergio Manetti, Alceo Di Napoli Rampolla e Nicolò Incisa, che mi aprirono la via della viticoltura. Ho ancora presenti i loro volti che s’illuminavano quando parlavano del fascino della vendemmia, dei profumi del mosto, del piacere di stappare una vecchia bottiglia e scoprirci dentro il lavoro duro fatto nella vigna o i piccoli accorgimenti o l’alchemico lavoro dell’enologo nella cantina. Il loro amore verso quella materia era grande; erano rimasti stregati e affascinati dalle opportunità creative che il vino offre, dalle fantasie che dalla vigna si trasferivano dentro la bottiglia: erano sedotti dalla “liquefazione” delle loro idee. Dopo aver frequentato questi amici, incominciai ad capire molto di più, prima insieme a mio nonno e poi con mia madre Lucia, quello che stava avvenendo su queste nostre terre, che si trovano proprio sul confine fra il Chianti Classico e il Chianti dei Colli Aretini. Terre, ricche di galestro e arenaria nella parte alta e argilla e ghiaia nella parte bassa, poste ad altitudini diverse, con un habitat ideale per produrre grandi vini. Era questo il pensiero di Giulio Gambelli e prima con il suo lavoro, e ora con quello di Carlo Ferrini, coadiuvato da Carlo Nesterini, si è sviluppata, tutt’intorno, una serie di allevamenti di vigne che hanno visto l’esaltazione del Sangiovese nella parte più a monte, e la valorizzazione del Merlot nella parte più a valle, con impianti sia nuovi, sia vecchi: tutti elementi questi che ci consentono di guardare al futuro con molto ottimismo. Io, ancora oggi, dopo diverso tempo, girovagando per i 30 ettari del vigneto, seguo con attenzione il lavoro degli altri per cercare di comprenderne i gesti

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e la ritualità, cercando di carpire loro, se possibile, i segreti, ma, a distanza di anni, mi sorprendo sempre davanti alle intuizioni e alla genialità di chi sa ritmare i tempi del vino. Ogni tanto mi estranio da tutto questo e guardo i “film” che mi conducono ora al “Galatrona” ora al “Torrione”, i vini di casa, quelli che ci rappresentano, che vanno ai concorsi, per i quali abbiamo lavorato un anno, abbiamo sudato, imprecato e pregato, sperato e goduto nelle stagioni migliori. Perché tutto sembra proprio la sequenza di un film che anno dopo anno si ripete, ma mai uguale, sempre con una colonna sonora diversa che crea, a ognuno, sensazioni diverse. Il vino è stato per me uno strumento di crescita all’interno del quale la mia creatività ha trovato ampio spazio, applicazione e soddisfazione. Ma la curiosità mi spinge oltre le pareti di casa, mi porta a misurare il nostro operato con il mondo vitivinicolo. Così ho il desiderio di curiosare, annusare e fotografare il mondo, interpretando il vino e il terroir di altri vignaioli. Acquisendo un po’ di esperienza, piano piano, ho scoperto che lo stappare una bottiglia di vino di un altro produttore poteva essere un affascinante viaggio verso nuove esperienze sensoriali, poteva aiutarmi a comprendere i segreti che celava una cantina. È in quel bicchiere di vino che si trovano i parametri del mio saper fare e, più vai a fondo e più giri, più scopri tanti grandi vignaioli. Sono stimoli, sono impulsi nuovi che infiammano nuove sfide con te stesso, con le idee che hai applicato, con il tuo territorio. Ritengo, in ogni modo, di essere fortunato, perché rispetto ad altri vignaioli, io, dalla mia parte, ho questa terra del Chianti, che non può essere comparabile a vigne o cantine, ma che è figlia della storia, è integrata nell’arte, è madre del Rinascimento; tutti valori che noi abbiamo sigillato dentro a una bottiglia di vino.


Luca Sanjust


FATTORIA PETROLO Luca Sanjust

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Galatrona IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

Galatrona è indubbiamente il vino di ricerca dell’azienda e nasce da un’attenta selezione delle uve di Merlot, provenienti dal vigneto di Feriale, posto nella zona sud dell’azienda, inserito nella zona del Chianti dei Colli Aretini, proprio al confine con il Chianti Classico, di proprietà della Fattoria di Petrolo a Mercatale Valdarno (AR).

Dopo la vendemmia, che di solito avviene fra 10 al 15 settembre, si effettuano delle macrovinificazioni separate in tini di cemento termocondizionati, dove si svolge prima la fermentazione alcolica dell’uvaggio per 4-6 giorni, ad una temperatura che non supera mai i 28°C; poi la macerazione sulle bucce, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, prosegue per altri 710 giorni. Terminata questa fase, il vino è messo in barriques di Allier, nuove, dove effettua la fermentazione malolattica e dove vi rimane per 18 mesi, durante i quali, il vino, è travasato e assemblato. Terminato l’invecchiamento e dopo una breve sosta in tini di cemento, il vino è imbottigliato, dopo un leggero filtraggio, per un ulteriore affinamento che prosegue per 6 mesi in locali termocondizionati.

Tipologia dei terreni Il vigneto si trova su un terreno che ha una tessitura di medio impasto, tendenzialmente argillosa, un’esposizione a sud-est a un’altitudine di 300 metri s.l.m.

Uve impiegate Merlot 100%

Sistema d’allevamento Cordone speronato a 50 cm da terra

Quantità prodotta Densità di impianto

4500 bottiglie l’anno

4500 ceppi per Ha - 6666 per Ha

Note organolettiche Di colore rosso rubino intenso tendente al granato, il vino si presenta con un profumo ampio e avvolgente con note di frutti di bosco maturi. Al palato è molto armonioso, avvolgente; di gran morbidezza, si mantiene in bocca per un lungo periodo.

Prima annata

1994

Le migliori annate

1997 - 1999 - 2000 - 2001 Note Il vino prende il nome dalla torre innalzata nel medioevo su basi di epoca romana. Le caratteristiche peculiari, con buona dose di tannini dolci e polifenoli abbondanti, rendono questo vino adatto all’invecchiamento. Il vino raggiunge la maturità solo dopo 5-6 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 6 e i 15 anni.

L’azienda L’azienda, di proprietà della famiglia Sanjust Bazzocchi dal 1947, si estende attualmente su 272 Ha, di cui 31 a vigneto specializzato, 19 a oliveto, 10 a seminativo e la restante superficie a bosco. La fattoria offre delle ottime strutture ricettive fra le quali spicca la villa padronale del 1700 immersa in uno stupendo parco. Cantina e frantoio sono aperti per visite guidate. Collaborano in azienda come agronomo Carlo Nesterini e come enologo Stefano Guidi che si avvalgono della collaborazione agronomica ed enologica di Carlo Ferrini.

Altri vini I Rossi: Torrione (Sangiovese 100 %) Vin Santo

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Fattoria Poggiopiano “

Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare” raccontano i vecchi saggi, nel divul-

gare la tradizione orale, quella popolare, dove si nascondono sempre le verità della vita con le quali spesso ci scontriamo. È a questa conclusione che sono arrivato un giorno, quando da chirurgo mi sono voluto sperimentare anche come vignaiolo. Si fa presto a dirlo, come quando in una serata fra amici, davanti a un buon bicchiere di vino e magari alla domanda: “Perché non ti metti, anche tu, a produrre del vino?” rispondi “Eh! Perché no?”. Affermazione grossa, detta così, che in quella situazione poteva avere come unico significato quello di non far languire la conversazione... Il problema maggiore è stato però che io, pur non avendo alle spalle nessun gruppo industriale o alcuna potenza economica, pur essendo privo di una qualsiasi storia di famiglia che mi potesse accostare, in qualche modo, anche lontanamente, al mondo del vino e pur non sapendo minimamente da che parte si iniziasse, a quella domanda ho dato sèguito e mi sono messo a fare il vignaiolo. Devo riconoscermi sia una dose di pazzia, sia il forte desiderio, un po’ incosciente, di interpretare il mio personale sogno americano del “self-made man”. Era il 1993 quando, da solo, incominciai. Un tempo insignificante, se si ragiona in termini enologici, sufficiente appena per incominciare l’approfondimento della materia, per capire le regole, il quando, il come e il perché della miriade di cose che accadono dentro e intorno a quel mondo. Erano passati pochi anni da quando avevo comprato questa piccola casa nella campagna intorno a San Casciano Val di Pesa e nel contratto, come optional, mi ero ritrovato anche proprietario di 6-7 ettari di terra su cui vi erano dei vecchi vigneti dai quali ogni anno, un operaio tutto fare, raccoglieva dell’uva che veniva vinificata nel massimo rispetto della tradizione. Il vino che ne usciva era un buon vino da tavola, senza troppe pretese, che racchiudeva in sé dei sapori e dei profumi che anche a un profano come me sembravano degni di nota. È proprio assaggiando quel semplice vino che nacque la mia scommessa. Un’azienda vinicola nata per caso, ecco cosa siamo. Potrebbe essere il titolo del nostro film che andrebbe girato intorno alle mille difficoltà che io e mio fratello Stefano, senza l’aiuto del quale non avrei potuto far niente, abbiamo tro-

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vato per dar corpo a questo sogno che ci ha portato oggi ad avere dei risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Un’altra grande difficoltà che abbiamo dovuto affrontare e superare è stata quella di decidere fin dal primo momento di non accontentarsi di fare del vino, ma di provare con tutte le nostre forze, da subito, a fare un “grande” vino. Il problema maggiore era capire a quale cosa dare la priorità e, non avendo conoscenze in materia, ritenni indispensabile non addentrarmi in nessuna sperimentazione, ma di rivolgermi a un professionista che credesse nelle potenzialità di questo territorio e che avesse fiducia nella mia testardaggine. In questo gioco coinvolsi l’amico ed enologo Luca D’Attoma, al quale cedetti il compito di traghettarmi in questo viaggio nel mondo del vino e, seguendolo in tutto e per tutto, incominciai a rivedere il lavoro in vigna senza stravolgerlo, ma solo correggendo e intervenendo sull’esistente. Un buon stimolo mi fu dato da mio padre Giuseppe, che in questo suo passatempo ha ritrovato la voglia di lottare contro una grave malattia, mentre un forte contributo operativo mi fu dato da mio fratello che si buttò quasi immediatamente, anima e corpo, nella professione di vignaiolo, mestiere nuovo anche per lui, ma come ex rappresentante di prodotti per l’enologia, almeno aveva un’infarinatura tecnologica maggiore della mia. Dopo tre anni, alla prima vendemmia che racchiudeva in sé il serio lavoro svolto in vigna, arrivarono i primi risultati: i tre bicchieri del Gambero Rosso, al quale seguirono altri riconoscimenti che, grazie a Dio, non furono solo estemporanei, ma si sono ripetuti quasi a ogni presentazione dei nostri vini. Mi rendo conto che tutto questo potrebbe essere normale per chi fa il vino da sempre, ma per noi, che siamo nati ieri, che siamo vignaioli per caso, devo assicurare che stentiamo a credere a quello che ci sta succedendo. Viviamo un sogno che necessita di sacrifici, di un quotidiano impegno: un sogno dal quale non vogliamo più svegliarci. Siamo agli inizi del nostro viaggio, il difficile è ripetere a ogni vendemmia l’exploit dell’anno precedente; l’impegno a rimanere in cima alla piramide c’è, e se rimaniamo uniti, come lo siamo adesso, sono sicuro che riusciremo in questa impresa e se poi un anno non dovessero arrivare i tre bicchieri, pazienza...


Stefano Bartoli


FATTORIA POGGIOPIANO Stefano Bartoli

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Rosso di Sera IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

Rosso di Sera è prodotto dalla selezione delle Uve di Sangiovese e Colorino provenienti dai vigneti di proprietà della fattoria di Poggiopiano, posti nelle vicinanze del paese di San Casciano Val di Pesa e inseriti nell’area di produzione del Chianti Classico DOCG.

Dopo la vendemmia, che avviene dalla fine settembre ai primi di ottobre, si procede alla fermentazione alcolica di ogni singola partita degli uvaggi raccolti, secondo tipologia e data della raccolta, che si effettua per 4-6 giorni con la tecnica della criomacerazione in soluzioni di CO2 in piccoli recipienti termocondizionati fino a temperature di 6-7°C. Quando la temperatura risale, a partire dai 14-16°C, si effettua la macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, prosegue per altri 15 giorni sempre a temperature controllate, molto basse rispetto alla media. Terminata questa fase, ogni singola partita effettua la fermentazione malolattica in barriques di Allier, solo in parte nuove, e qui vi rimane per 15-18 mesi. Terminato questo invecchiamento, ogni partita viene messa nei tini e dopo 1 mese viene effettuato l’assemblaggio delle partite, proprio poco prima dell’imbottigliamento. Il vino subisce un affinamento in bottiglia di 6 mesi.

Tipologia dei terreni I vigneti si trovano su terreni che hanno una tessitura di medio impasto con una presenza di scheletro e argilla, un’altitudine di 320 metri s.l.m. e un’esposizione nord-est e sud-ovest.

Uve impiegate Sangiovese 90%, Colorino 10%

Sistema d’allevamento Cordone speronato

Densità di impianto In alcuni casi 5500 ceppi per Ha, in altri, più recenti, 9000 ceppi per Ha

Prima annata

1995

Le migliori annate

1995 - 1997 - 1999 - 2000 Note Nome di fantasia quello che identifica questo vino, che racchiude in sé alcuni messaggi evocativi come i colori e il fascino di un tramonto. Il vino raggiunge la maturità solo dopo 5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 10 anni.

L’azienda L’azienda, di proprietà di Alessandro Bartoli dal 1993, si estende su una superficie complessiva di 30 Ha di cui 25 dedicati alla viticoltura. Collabora in azienda, come enologo, Luca D’Attoma.

Altri vini I Rossi: Chianti Classico DOCG (Sangiovese 100%)

Quantità prodotta 20000 bottiglie l’anno

Note organolettiche Di colore rosso rubino scuro, il vino si presenta con sentori fruttati di marasca ben integrati con la nota di vaniglia. Al palato risulta pieno, molto strutturato e con una componente tannica armonica; al retrogusto è persistente e pulito.

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Fattoria Viticcio Erano anni difficili, anni cupi nei quali si assisteva a un esito inarrestabile che dalla campagna portava la gente verso le città; erano momenti in cui comprare un pezzo di terra costava molto più di quanto la stessa rendesse e anche il vino, con delle grandi quantità e una pessima qualità, non era esente dal trend negativo che accompagnava tutte le produzioni agricole. Viticcio, ricordo, rispecchiava perfettamente questa realtà. Eravamo agli inizi degli anni ’60 quando visitammo per la prima volta l’azienda: davanti a noi avevamo due case fatiscenti che cadevano a pezzi e che avevano visto l’ultimo intervento di ristrutturazione forse negli anni successivi alla seconda Guerra Mondiale, periodo al quale doveva risalire la costruzione del bagno, fuori della casa, sul terrazzino. Intorno alle case vi erano 38 ettari complessivi sui quali ne spiccavano 2 di vigna risalenti agli inizi degli anni ’40. Non so né il motivo né il perché, ma fu proprio in quel momento che mio padre Lucio decise di comprare l’azienda. Nell’opera di ristrutturazione e ammodernamento l’aiutò molto la sua professione d’ingegnere; fu così che, gradatamente, le cose cambiarono aspetto a partire dalla casa, che divenne molto bella, per finire poi alla terra che, finalmente, divenne remunerativa. Mio nonno aveva trasmesso a mio padre l’amore per la terra e per il vino e con lo stesso amore mio padre incominciò a costruire prima una cantina, avveniristica per quei tempi, e poi, con un’opera d’ingegneria ambientale, trasformò la vigna. Come in tutte le cose però, un conto è tirare su un muro o un terrazzamento oppure costruire un canale di sgrondo, e un conto è fare un grande vino, soprattutto quando il “fare”, in questo caso, non è supportato né dall’esperienza, né dal “saper fare”, ma solo dal “sentito dire”. Inoltre, a quei tempi, anche il disciplinare del Chianti Classico non è che contribuisse molto ai salti qualitativi, anzi imbrigliava qualsiasi opportunità di sviluppo e sperimentazione. Comunque, man mano che la vendemmie si susseguivano, io crescevo dentro a questo mondo e sia i tempi della mia adolescenza, sia quelli della mia gioventù, nonché quelli del periodo universitario mi videro assiduamente presente nella campagna e nelle vigne di Viticcio. Spesso mi succedeva di assistere alle conversazioni del babbo con quei collaboratori che seguivano l’azienda e le loro chiacchierate mi affascinavano, poiché a ogni loro parola la mia mente correva all’evento che l’aveva prodotta. Dopo la laurea in Economia e Commercio, trovai più passionale dedicarmi

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all’azienda che all’applicazione dei miei studi. Di comune accordo con mio padre intrapresi un viaggio formativo che mi condusse alla scoperta sia del mondo enologico francese, sia di quello d’oltreoceano. Con l’occhio attento di chi ruba il mestiere con gli occhi, scoprii cose meravigliose, cose per me uniche e mi si aprì davanti un mondo inimmaginabile, dove tutte le azioni che io e mio padre mettevamo in pratica per realizzare il nostro “mediocre” vino erano sbagliate, tutte da buttare. Tornai a casa con l’entusiasmo che solo un giovane possiede, ricco di innumerevoli idee e di una gran voglia di fare. Fu al mio ritorno che decisi di provare a fare un nuovo vino, il mio vino, il “Prunaio”, e ricordo che per farlo impiantammo una nuova vigna di Sangiovese, andando addirittura a Montalcino a prendere le barbatelle di una selezione clonale di alto livello. Era il 1980 e, come si sa, in enologia “non ci vuole fretta”; ci vollero, infatti, cinque anni prima di vendemmiare la prima uva decente da destinare a quel vino progettato ben cinque anni prima. Ricordo che aspettavo con ansia l’esito di questo lungo lavoro, ma il risultato non fu clamoroso, anche se, ripensandoci, non fu neanche completamente negativo. Indubbiamente avevamo troppi fattori che giocavano a nostro sfavore: da una parte le difficoltà pedoclimatiche che presenta un vitigno come il Sangiovese, dall’altra la nostra inesperienza, sia nella vinificazione, sia nell’invecchiamento del vino. Capimmo che non potevamo più continuare a fare tutto da soli e con l’arrivo dell’enologo Vittorio Fiore, le cose cambiarono subito, con poche, ma sostanziali modifiche, riuscimmo a portare il vino della vendemmia del 1986 fra i migliori 100 vini del mondo. Con il passare degli anni sono arrivati altri vini e altri successi e in tutto questo tempo una delle cose più importanti che io ho imparato è che i grandi risultati in enologia si ottengono con l’applicazione di una maniacale attenzione ai particolari che intervengono e interagiscono sulla filiera produttiva. Sono i particolari che creano la differenza fra un “buon” vino e un “grande” vino; è per questo che nel mio lavoro di vignaiolo, oggi più di allora, metto puntiglio, cocciutaggine, perfezionismo e autocritica, perché so che il puntiglio serve a migliorarsi, la cocciutaggine mi dà la forza per raggiungere i grandi risultati, il perfezionismo, invece, è l’unica arma che mi consente di mantenere i risultati ottenuti, mentre l’autocritica non mi fa mai sentire all’apice della piramide, anzi mi costringe a misurarmi con gli altri e a far tesoro degli errori commessi, perché si sa che “niente viene per niente”.


Alessandro Landini


FATTORIA VITICCIO Alessandro Landini

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Monile IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

Note organolettiche

Monile è una cuvée delle migliori uve di Cabernet Sauvignon e Merlot provenienti dai vigneti della Fattoria Viticcio posti sulle colline a nord di Greve in Chianti, nella zona di produzione del Chianti Classico DOCG.

Dopo la vendemmia, che avviene di solito dal 20 settembre al 5 di ottobre, si effettua la fermentazione alcolica che procede separatamente per il Cabernet Sauvignon e il Sangiovese in piccoli serbatoi di acciaio inox con l’impiego di lieviti naturali e si protrae fra i 4 e i 6 giorni a una temperatura non superiore ai 28°C. Contemporaneamente la macerazione sulle bucce, coadiuvata da leggere tecniche di délestage e follatura, prosegue invece per altri 24-28 giorni. Terminata questa fase, ogni varietà e ogni parcella, senza alcuna chiarifica, è messa in barriques di rovere francese, per un 1/3 nuove, 1/3 di secondo passaggio e 1/3 di terzo passaggio, nelle quali si conclude la fermentazione malolattica. I vini rimangono nel legno per un periodo di 16-18 mesi prima che sia effettuato l’assemblaggio. Terminato l’invecchiamento, il vino subisce un affinamento in tini d’acciaio prima di essere imbottigliato per un ulteriore affinamento di altri 4 mesi.

Di colore rosso carico con riflessi violacei, il vino si presenta con eleganti note di prugna unito a mora con sentori più evoluti e speziati. Al sapore risulta potente, complesso, asciutto, di grande pienezza, con tannini morbidi; al palato ripropone le sensazioni avvertite al naso mentre al retrogusto risulta persistente.

Tipologia dei terreni I vigneti sono posti su terreni che presentano una tessitura calcarea di medio impasto, ricca di galestro; si trovano a un’altitudine di 350 metri s.l.m. e hanno un’esposizione a sud / sud-est.

Uve impiegate Cabernet Sauvignon 80%, Merlot 20%

Sistema d’allevamento Cordone speronato

Densità di impianto 6000 ceppi per Ha

Quantità prodotta 12000 bottiglie l’anno

Prima annata

1988

Le migliori annate

1990 - 1995 - 1997 1999 - 2001 Note Il vino, che prende il nome dai preziosi gioielli ornamentali con i quali le popolazioni usano ornarsi il collo e i polsi, non è stato prodotto nelle annate 1989, 1992 e 1996. Fino alla vendemmia 1999 le uve impiegate erano Cabernet Sauvignon (80%) e Sangiovese (20%). Per le caratteristiche degli uvaggi utilizzati il vino raggiunge la maturità solo dopo 5-6 anni dalla vendemmia, mentre il plateau di maturazione è compreso fra i 6 e i 12 anni.

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Prunaio IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

Note

Prunaio è un vino che nasce dalla selezione delle migliori uve di Sangiovese provenienti dal vigneto omonimo di proprietà della Fattoria Viticcio posta sulle colline a nord di Greve in Chianti, nella zona di produzione del Chianti Classico DOCG.

Dopo la vendemmia, che avviene dal 1 al 10 di ottobre, si procede alla fermentazione alcolica per 6-8 giorni con la selezione di lieviti naturali ad una temperatura di 28°C. Contemporaneamente si avvia la macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura prosegue per altri 25 giorni. Terminata questa fase, il vino prosegue la fermentazione manolattica in barriques, in parte nuove, dove matura per 15-18 mesi. Terminato l’invecchiamento il vino è assemblato e dopo un breve periodo è imbottigliato per un ulteriore affinamento di 6 mesi.

In Toscana, nei terreni sassosi ricchi di pietre nascevano solo i rovi, chiamati “pruni” e il territorio dove sono state fatte le vigne era pieno di pruni e sassi ed è così che è stato assegnato il nome alla vigna del prunaio che dà il nome al vino. Prunaio non è stato imbottigliato negli anni 1987, 1989, 1991, 1992 e 1994. Vino molto longevo, raggiunge la maturità solo dopo 5-7 anni dalla vendemmia, mentre il plateau di maturazione è compreso fra i 7 e i 15 anni.

Tipologia dei terreni I vigneti si trovano su terreni che hanno una tessitura calcarea di medio impasto, ricca di galestro; si trovano a un’altitudine di 350 metri s.l.m. e hanno un’esposizione a sud / sud-est.

Uve impiegate Sangiovese 100%

Quantità prodotta 20000 bottiglie l’anno

Sistema d’allevamento Cordone speronato

Densità di impianto 6000 ceppi per Ha

Note organolettiche Di colore rosso rubino carico, profondo, luminoso, il vino si presenta con forti sentori fruttati con prevalenza di ciliegia marasca matura ben integrata con la nota di pepe e cannella. Al palato risulta morbido, setoso, ben strutturato ed equilibrato con una componente tannica evidente, ma armonica; al retrogusto è persistente.

Prima annata

1985

Le migliori annate

1986 - 1990 - 1995 1997 - 1999 - 2001

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L’azienda La fattoria agrituristica di Viticcio, di proprietà della famiglia Landini dal 1960, si estende su una superficie complessiva di 50 Ha, di cui 30 vitati e 4 dedicati all’olivicoltura. I restante territorio è per gran parte ricoperto da boschi. Collabora con l’azienda il gruppo Matura s.r.l. e in particolare l’enologa Gabriella Tani.

Altri vini Chianti Classico DOCG (Sangiovese 100%) Chianti Classico DOCG Riserva (Sangiovese 80%, Merlot 20%) Chianti Classico DOCG Beatrice Riserva (Sangiovese 80%, Merlot 10%, Cabernet Sauvignon 10%)



Fèlsina Da quando mi sono trasferito in Toscana, Fèlsina ha segnato le tappe della mia

vita. È nella cappella della Fattoria, acquistata nel 1966 da mio suocero Domenico Poggiali, che nel 1976 ho sposato Gloria, ed è da allora che ho iniziato a seguire le vicende agricole dell’azienda, vivendole ogni giorno sempre più da vicino, ogni giorno con rinnovato entusiasmo, stregato da un mondo che mi affascinava sempre più, fino a che, nel 1982, decisi di dedicarmi esclusivamente alla viticoltura. Furono molteplici i fattori che dettero il via alla storia di quest’azienda, non ultimo il sostegno di Gino Veronelli, che nutriva grandi speranze sulle potenzialità di questo territorio. Fu lui che volle l’incontro con il genio della grafica e grande architetto Silvio Coppola che realizzò nel 1968, fra le altre cose, l’etichetta e il marchio di Fèlsina. Fu un importante sodalizio quello che si costituì con quest’artista, che fu capace con il suo lavoro e la sua verve creativa, non solo di rendere importante l’immagine del nostro vino, ma anche quella di un territorio come quello di Berardenga, che era posto ai margini del movimento enologico chiantigiano, ma che indubbiamente, come luogo etrusco e storicamente importante, attendeva una rivincita adeguata all’altezza della millenaria tradizione. Quella realizzazione grafica per noi fu un vero e proprio manifesto, un elemento comunicativo che facemmo immediatamente nostro; l’idea era geniale, giacché metteva in risalto prima il territorio e poi la fattoria e i suoi prodotti. Fummo folgorati da questa semplice intuizione che agli occhi di oggi può sembrare logica e scontata, ma che posso assicurare, più di trent’anni fa risultò molto innovativa e affascinante. Quella comunicazione era una sfida che da

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allora abbiamo accettato facendo coniugare gli interessi dell’azienda con l’impegno, la salvaguardia e la valorizzazione del territorio circostante. Fatto il marchio, tracciata la filosofia “guida” da seguire, dovevamo produrre un vino che fosse l’espressione di quel connubio che volevamo costruire fra noi, le vigne e il territorio. Era una situazione stimolante che ci dette l’impulso per crescere sia agronomicamente che enologicamente. L’aspetto mediatico ha avuto sicuramente una grande importanza per noi, ma soprattutto un effetto psicologico, di forte stimolo, di trascinamento. La vera svolta vitivinicola avvenne all’inizio degli anni Ottanta con l’arrivo in azienda di Franco Bernabei. Dopo un paio di anni, con lui alla guida del settore enologico, uscirono, infatti, i nostri migliori vini, come il Fontalloro e il vigneto Rancia. Con Franco Bernabei decidemmo di puntare sul Sangiovese e di lavorare sulle vigne, sulla selezione clonale, sulle vinificazioni, al fine di condurre questo vitigno, negli anni, a esprimersi sempre meglio così da rivelarne il vero carattere. In questo lavoro di crescita ci ha fornito una mano concreta questa terra che ha risposto adeguatamente alle nostre sollecitazioni e del resto non poteva che essere così: all’altezza della sua millenaria tradizione come espressione dell’identità di terra. Immagine e sostanza, modernità e tradizione: sono questi i binomi linguistici che a distanza di oltre trent’anni raccontano la storia di Fèlsina e caratterizzano questa fattoria, la quale ha segnato la storia del vino nella “Berardenga” e non solo...


Giuseppe Mazzocolin


FĂˆLSINA

Giuseppe Mazzocolin

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Maestro Raro IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

Note organolettiche

Maestro Raro è un cru di uve provenienti dal vigneto di circa 2 Ha posto nella proprietà della Fattoria di Fèlsina sulle colline a nord-est di Siena, nel comune di Castelnuovo Berardenga a sud della zona di produzione del Chianti Classico DOCG.

Dopo la vendemmia, che avviene di solito tra la fine di settembre e i primi di ottobre, si effettua la fermentazione alcolica che si protrae fra i 4 e i 6 giorni alla temperatura compresa fra i 28° e i 30°C in recipienti termocondizionati di acciaio inox. La macerazione sulle bucce, coadiuvata da tecniche di follatura automatica, prosegue invece per altri 14-16 giorni a temperature controllate di 28°C. Terminata questa fase, il vino effettua la fermentazione malolattica sempre in recipienti di acciaio inox, dopo di che, tra la fine di marzo e i primi di aprile dell’anno successivo alla vendemmia, il vino viene messo a maturare in barriques di rovere francese per 50% nuove, dove vi rimane per 14-18 mesi. Terminato questo lungo periodo, il vino viene nuovamente posto in tini di acciaio inox per l’assemblaggio delle partite e dopo circa un mese il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento di 8-10 mesi.

Il vino si presenta di un colore rosso rubino intenso, con profumi di vaniglia e frutti di bosco rossi maturi. Fine, ben strutturato, risulta morbido con un retrogusto persistente dove riaffiorano le percezioni avute al naso, ma con l’aggiunta di note speziate.

Tipologia dei terreni La vigna è posta su terreni che appartengono al macigno di arenarie quarzose, hanno una tessitura di argille scagliose, sabbie stratificate, alberese misto a pillole alluvionali e si trovano a un’altitudine compresa fra i 320 e i 420 metri s.l.m., con un’esposizione sud-ovest.

Uve impiegate Cabernet Sauvignon 100%

Sistema d’allevamento Guyot semplice

Densità di impianto 3600 ceppi per Ha nei vecchi impianti, mentre nei nuovi impianti si sono raggiunti i 5600 ceppi per Ha

Quantità prodotta 8000 bottiglie l’anno

Prima annata

1987

Le migliori annate

1988 - 1990 - 1991 - 1993 1995 - 1997 - 1999 Note Il vino prende il nome dai mastri artigiani chiamati dai discenti “maestro” e ormai divenuti “rari”, ma il nome è anche ricollegabile a un personaggio musicale tratto dalla letteratura tedesca dell’Ottocento inventato da Schumann. Maestro Raro raggiunge la maturità solo dopo 5-6 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 6 e i 12 anni.

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Fontalloro IGT di Toscana Note

Zona di produzione Fontalloro è una cuvée di uve provenienti dai vigneti di proprietà della Fattoria di Fèlsina sulle colline poste a nord-est di Siena, nel comune di Castelnuovo Berardenga a sud della zona di produzione del Chianti Classico DOCG.

Tipologia dei terreni Le vigne sono poste su terreni che appartengono al macigno di arenarie quarzose con una tessitura di argille scagliose, sabbie stratificate, alberese misto a pillole alluvionali e si trovano a un’altitudine compresa fra i 320 e i 420 metri s.l.m., con una esposizione a sud-ovest.

tura controllata di 28°C. Terminata questa fase, il vino effettua la fermentazione malolattica sempre nei recipienti di acciaio inox, dopo di che, tra la fine di marzo e i primi di aprile dell’anno successivo alla vendemmia, il vino viene messo a maturare in barriques di rovere francese per l’80% nuove, dove vi rimane per 20 mesi. Terminato questo lungo periodo, viene nuovamente posto in tini di acciaio inox per l’assemblaggio delle partite e dopo circa un mese il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento di 10-12 mesi.

Quantità prodotta 35000 bottiglie l’anno

Uve impiegate Sangiovese 100%

Sistema d’allevamento Guyot semplice

Densità di impianto 2800-3200 ceppi per Ha nei vecchi impianti, 5600 ceppi per Ha in quelli nuovi

Note organolettiche Di colore rosso rubino intenso, il vino si presenta con forti sentori di ciliegia marasca matura ben integrati con note di vaniglia. Al palato è molto strutturato con una componente tannica equilibrata, mentre al retrogusto è persistente e pulito.

Prima annata Tecniche di produzione Dopo la vendemmia, che avviene di solito tra la fine di settembre e i primi di ottobre, si effettua la fermentazione alcolica che si protrae fra i 4 e i 6 giorni alla temperatura compresa fra i 28° e i 30° C in recipienti termocondizionati di acciaio inox. La macerazione sulle bucce, coadiuvata da tecniche di follatura automatica, prosegue invece per altri 10-12 giorni alla tempera-

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1983

Le migliori annate

1983 - 1985 - 1986 - 1988 1990 - 1993 - 1997 - 1998 1999 - 2000 - 2001

Fontalloro è un toponimo corrispondente a un vigneto di Fèlsina. Il vino non è stato prodotto nelle annate 1989, 1991, 1992; raggiunge la maturità solo dopo 5-6 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 6 e i 15 anni.

L’azienda Dagli anni ’90 tutto il comparto viticolo è stato trasformato e lavorato secondo un progetto di ricerca e sperimentazione che vede nel Sangiovese il vitigno di elezione. La Fattoria di Fèlsina, di proprietà della famiglia Poggiali, si estende su 470 Ha di cui 72 vocati alla viticoltura e altri 100 dedicati all’olivicoltura, mentre i restanti vedono la presenza di colture promiscue e boschi. Collabora in azienda, come consulente, Franco Bernabei.

Altri vini I Bianchi: I Sistri (Chardonnay 100%) I Rossi: Chianti Classico DOCG Berardenga (Sangiovese 100%) Chianti Classico DOCG Rancia Riserva (Sangiovese 100%) Vin Santo (Malvasia con una piccola percentuale di Sangiovese).



Fontodi È

da oltre quattrocento anni che la famiglia Manetti, nella propria fornace di Impruneta, modella e cuoce la terra del Chianti e arrivare un giorno a coltivarla è stato un doveroso tributo da versare ad un territorio che ci ha dato molto; è stata la logica conseguenza del rapporto che si è instaurato fra noi e questa terra. Divenire vignaioli non è stato un compito facile. Siamo giunti alla viticoltura nel 1968, quando mio zio Domiziano e mio padre Dino decisero che era giunto il momento di consolidare il nostro legame con questa terra del Chianti; fu così che acquistarono questa azienda agricola di Fontodi, a Panzano. È da quando ho memoria che vedo la mia famiglia legata a questo territorio e devo dire che il nostro è un rapporto inscindibile che, generazione dopo generazione, ci ha impastato sempre di più a queste zolle, a questa creta, a questa terra. È proprio in questo rapporto, nel quale indubbiamente abbiamo più preso che dato, che noi Manetti ci sentiamo realizzati, ed è su di esso che abbiamo costruito la nostra storia; è nella terra che troviamo lo sfogo alla nostra creatività, al nostro bisogno di realizzare e di concretizzare i nostri sogni. Lavoro a Fontodi dal 1979, ma fin dall’inizio mi resi subito conto di quanta energia possedevano queste terre di Panzano, di come tutta la viticoltura, dalla vigna fino al vino, assumesse in questi luoghi un significato diverso, coinvolgente, epidermico, quasi viscerale. Capii che questa realtà poteva e doveva essere parte integrante della mia vita, la mia primaria scelta, quella sulla quale costruire tutto il resto; compresi che per vivere questa mia storia avrei dovuto necessariamente divenirne protagonista, altrimenti avrei rischiato di essere schiacciato dalla storia di Fontodi; inoltre dedussi che con il sacrificio, l’intelligenza, la lungimiranza e un po’ di fortuna, potevo contribuire a far crescere quest’azienda e rendere così meno gravosa la mia storia a Fontodi. Decisi di divenire vignaiolo, ma per farlo dovevo crescere, apprendere, accul-

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turarmi in materia di vigna e vino. Così mio fratello e io prendemmo la valigia e incominciammo a girare il mondo in direzione sia di quelle aree da sempre indicate come patria dell’enologia mondiale, come per esempio la Francia, sia verso quelle aree emergenti del nuovo continente, come la California, che sembrava possedere una marcia in più, nuove e interessanti metodologie produttive e nuove tecniche enologiche che la stavano portando alla ribalta mondiale, mentre fino a pochi anni addietro era completamente sconosciuta. Quando ritornammo dai nostri viaggi, dopo diversi mesi, avevamo la mente piena di soluzioni tecniche, di innovazioni da apportare, sia alla vigna, sia alla cantina. Eravamo completamente immersi nel nuovo, sentivamo di aver dentro il futuro e ci sentivamo pronti ad affrontare tutte le sfide che si fossero presentate davanti a noi, ma devo affermare che a questa trasformazione culturale contribuì moltissimo il nostro enologo Franco Bernabei, che ci fece comprendere in modo chiaro, preciso e ordinato l’applicazione pratica della tecnica. Sono passati diversi anni, ma ancora a Fontodi cerchiamo di migliorare l’ordine della conduzione di questa azienda perché nel mondo dell’enologia non si finisce mai d’imparare e non ci si deve mai sentire appagati. Qui a Fontodi tutto è una continua e nuova sperimentazione di ciò che è stato sperimentato, perché ci vogliamo sempre migliorare. A distanza di anni il nostro rapporto con la terra del Chianti si è sempre più consolidato, anche attraverso la continua ricerca di quell’equilibrio perfetto che stiamo ancora cercando, fra il nostro terroir e il nostro Sangiovese. È una ricerca alla quale abbiamo dedicato gli ultimi trent’anni della nostra attività di vignaioli, dove i sacrifici e le sconfitte si sono alternati alle soddisfazioni, con l’unico intento di ottenere con il Sangiovese la nostra completa realizzazione, perché è con questo vitigno che abbiamo deciso di continuare a scrivere la storia della famiglia Manetti.


Giovanni Manetti


FONTODI

Giovanni Manetti

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Flaccianello IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

Note

Flaccianello è un cru di uve di Sangiovese che provengono dal vigneto omonimo, posto proprio sotto la pieve di San Leolino nelle vicinanze dell’abitato di Panzano, di proprietà della fattoria di Fontodi e inserito nell’area di produzione del Chianti Classico DOCG.

Dopo la vendemmia, che avviene dal 5 al 15 ottobre, si procede alla fermentazione alcolica che si protrae per 4-6 giorni a temperatura controllata. In contemporanea s’avvia la macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, prosegue per altri 15 giorni. Terminata questa fase, il vino effettua la fermentazione malolattica in barriques di Allier solo in parte nuove, dove vi rimane per 16-18 mesi. A conclusione di questo invecchiamento è effettuato l’assemblaggio delle partite, dopo di che il vino subisce un affinamento in bottiglia di 10 mesi.

Il vino prende il nome dall’omonimo vigneto e nelle annate 1984, 1989 e 1992 non è stato prodotto. Lo stemma riprodotto in etichetta rappresenta la croce longobarda posta sull'altare della Pieve di S. Leolino. L’età media dei vigneti è molto elevata; infatti, più della metà degli stessi supera i 30 anni. Il vino raggiunge la maturità solo dopo 5-7 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 6 e i 12 anni.

Tipologia dei terreni Il vigneto si trova su terreni che hanno una tessitura di medio impasto con una presenza d’argilla e una buona componente di scheletro e galestro, ed è posto ad un’altitudine di 400 metri s.l.m., con un’esposizione sud / sud-ovest.

Quantità prodotta Uve impiegate

60000 bottiglie l’anno

Sangiovese 100%

Note organolettiche Sistema d’allevamento Guyot semplice

Densità di impianto In alcuni casi si hanno 3500 ceppi per Ha, in altri, i più recenti, 6000 ceppi per Ha

Di colore rosso rubino scuro, il vino si presenta con sentori fruttati di marasca ben integrati con la nota di vaniglia. Al palato risulta pieno, molto strutturato e con una componente tannica armonica; al retrogusto è persistente e pulito.

Prima annata

1981

Le migliori annate

1982 - 1985 - 1990 - 1995 1997 - 1999 - 2000 - 2001

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Case Via Syrah IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

Note

Il Case Via Syrah è prodotto dalla selezione delle uve di Syrah provenienti dal vigneto di proprietà della fattoria di Fontodi; il vigneto è situato nella Conca d’Oro di Panzano e i terreni sono inseriti nell’area di produzione del Chianti Classico DOCG.

Dopo la vendemmia, che avviene fra il 29 settembre e il 5 ottobre, si procede per 4-6 giorni alla fermentazione alcolica del mosto in piccoli recipienti termocondizionati con temperature intorno ai 28°C. Contemporaneamente si effettua la macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, prosegue per altri 12-16 giorni. Terminata questa fase, il vino viene posto in barriques di Allier, solo in parte nuove, dove vi rimane per 12 mesi e dove effettua la fermentazione malolattica. Terminato questo invecchiamento, viene effettuato l’assemblaggio delle partite; poi si procede a un affinamento in bottiglia per 10 mesi.

Il nome del vino è stato semplicemente suggerito dal vigneto di provenienza e dall’uvaggio utilizzato. Il vino raggiunge la maturità solo dopo 4-5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 10 anni.

Tipologia dei terreni Il vigneto si trova su terreni che hanno una tessitura di medio impasto con una presenza di argilla e una buona componente di scheletro e galestro, ed è posto a un’altitudine di 450 metri s.l.m., con un’esposizione a sud.

Uve impiegate

20000 bottiglie l’anno

Il nome Fontodi trae origine dal latino Fons odi, idioma presente nella storia di questo territorio che identificava già un territorio dove si praticata la coltivazione della vite. L’azienda, di proprietà della famiglia Manetti dal 1968, si estende su una superficie complessiva di 120 Ha, di cui 67 dedicati alla viticoltura e 20 dedicati all’olivicoltura. Collabora in azienda, come enologo, Franco Bernabei.

Note organolettiche

Altri vini

Di colore rosso rubino scuro, il vino si presenta con note speziate e con un leggero sentore di vaniglia. Al palato risulta tipico, fine, ben strutturato e d’estrema eleganza; al retrogusto è persistente, oltre che pulito.

I Bianchi: Meriggio (Pinot bianco 60%, Sauvignon Blanc 40%)

Syrah 100%

Quantità prodotta Sistema d’allevamento

L’azienda

Guyot semplice

Densità di impianto 5700 ceppi per Ha

Prima annata

1990

I Rossi: Chianti Classico DOCG Vigna del Sorbo Riserva (Sangiovese 90%, Cabernet Sauvignon 10%)

Le migliori annate

1990 - 1993 - 1995 - 1997 1999 - 2000 - 2001

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Vin Santo (Malvasia bianca + Sangiovese)



Graetz Bibi Posso assicurare che sono cambiate molte cose, ma solo ora che mi stai facendo riflettere e mi soffermo a pensare al mio recente passato, mi rendo conto di quanta strada io abbia percorso in questi dieci anni da neo-vignaiolo toscano. Sì, mi sento un po’ orgoglioso di come sono andate le cose e mi sento gratificato nell’essere riuscito a comporre il puzzle della mia vita che sembrava difficilissimo da mettere insieme. Avrei potuto diventare anch’io un “artista”, etichetta che contraddistingue da generazioni ogni membro della mia famiglia. Del resto mi sembrava doveroso seguire le orme familiari; infatti, dopo il liceo artistico mi ero iscritto all’Accademia di Belle Arti forse perché mio padre era scultore e anche mio nonno Wilhelm Rasmussen lo era stato in Norvegia, come del resto anche altri membri della famiglia. Ricordo che da piccolo in casa non c’era l’usanza di essere gratificati per un “10” in matematica o in storia, ma per qualsiasi disegno che uno facesse su un foglio di carta, ma sentivo che essere artista non era la mia vocazione; non mi interessava chiudermi tutto il giorno in uno studio a disegnare o a scolpire, né volevo che il mio futuro fosse solo quello di semplice “custode” del Castello di Vincigliata, quello di famiglia qui a Fiesole, sopra Firenze, dove io abito. Del resto, devo ammettere che fino a dieci anni fa non era neanche nei miei pensieri arrivare a mettere in piedi un’azienda vitivinicola di quindici ettari, giacché la stessa contava appena due ettari di vigneto, utilizzati principalmente per fare il vino per casa. Riuscire in questo è stata veramente una cosa unica e ti posso assicurare che non è stato facile per chi, come me, aveva dalla sua soltanto la testarda cocciutaggine e la grande presunzione di costruire un progetto enologico che desse i risultati che poi ha dato.Bisogna darsi molto da fare per ottenere simili traguardi, in considerazione soprattutto del fatto che tutto è iniziato per gioco, quasi alla ricerca di una mia autogratificazione e per una scommessa fatta con me stesso, di voler riuscire in un lavoro che non conoscevo e al quale mi ero appassionato dopo che il nostro vecchio fattore era andato in pensione. Trovandomi ad avere tutta l’azienda sulle mie spalle e a scoprire quanto

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lavoro vi fosse in quelle vigne per cambiare e dare una svolta qualitativa alla produzione vitivinicola. Visto che tutto aveva il sapore di un piacevole sacrificio, valeva la pena che lo stesso desse anche delle soddisfazioni, magari sperimentando o provando a imbottigliare il vino prodotto, così da ricercare in esso quelle percezioni sensoriali che mi piacevano tanto e che scoprivo dentro le bottiglie dei grandi produttori vicini. L’entusiasmo e l’euforia dell’inizio, accompagnati dall’irruenza che metto sempre nelle cose che faccio, mi consentirono di scoprire che per fare vino non c’è bisogno della sola passione o dell’amore o solo del piacere di farlo: c’è bisogno soprattutto di dedizione e di un impegno costante. Sono passati degli anni e posso assicurare che fare il vino non è stato quel gioco semplice che credevo all’inizio e forse è per questo che oggi, con più cognizione di causa, capisco quanti abbiano abbandonato la campagna. Ma io sono una “testa matta” e mi piace giocare con la vita ricercando in essa un sano divertimento utile a stimolarmi e a crescere ed è per questo che sono sempre entusiasta di trovarmi a fare il vignaiolo, soprattutto perché sono convinto che dopo i primi anni le cose stiano cambiando in meglio. Credo di essere stato costretto un po’ a trasformarmi, a modificare il mio approccio alle cose e a diventare un po’ più concreto, un po’ meno sognatore e creativo, anche se ti posso assicurare che nel cassetto di sogni e di progetti ne ho a decine, come quello che mi vede lavorare alacremente, da qualche anno, su un vino particolarissimo che ho chiamato Bugìa, un’Ansonica della Costa d’Argento che produco all’Isola del Giglio. Devo riconoscere che cambiano molto le cose quando sei chiamato a rispondere in prima persona e a far quadrare i conti, soprattutto quando hai deciso con grande determinazione di condurre quest’avventura da solo senza l’aiuto di nessuno. Quando parti senza un adeguato supporto economico, senza esperienza né a livello commerciale, né a livello bancario, in seguito scopri quale sia realmente il peso dei momenti difficili e dai maggiore risalto alle gratificazioni che arrivano dal tuo lavoro e che adesso incominciano a essere molte.


Bibi Graetz


GRAETZ BIBI Bibi Graetz

200


Testamatta IGT Toscana Note

Zona di produzione Il vino è un blend prodotto dalla vinificazione delle migliori uve Sangiovese, Colorino, Canaiolo, Moscato Nero e Malvasia Nera provenienti da vigneti posti nel comune di Fiesole, le cui viti hanno un’età media di 30 anni.

vengono praticate dalle 2 alle 8 follature manuali quotidiane. Dopo la svinatura e un breve periodo di decantazione, i vini sono rimessi nuovamente nelle stesse barrique alle quali è stato rimesso il fondo e qui svolgono la fermentazione malolattica rimanendo per 16-18 mesi. Terminata la maturazione, si procede all’assemblaggio delle partite e il blend ottenuto, dopo un breve periodo di stabilizzazione e senza alcuna filtrazione, è messo in bottiglia per un ulteriore affinamento di altri 6 mesi prima di essere messo in commercio.

Il vino raggiunge la maturità dopo 5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 15 anni.

L’azienda

Sangiovese 70%, Colorino 15%, Canaiolo 12%, Moscato Nero e Malvasia Nera 3%

Quantità prodotta 16000 bottiglie l’anno

Di proprietà di Bibi Graetz dal 1999, l’azienda agricola è gestita da Bibi e si estende su una superficie complessiva di circa 25 Ha. 4 sono gli ettari vitati di proprietà a cui si aggiungono 10,5 gestiti in conduzione diretta, 8 destinati all’olivicoltura e i restanti occupati da boschi. Svolge le funzioni di agronomo lo stesso Bibi Graetz, mentre quelle di enologo sono affidate ad Alberto Antonini.

Sistema d’allevamento

Note organolettiche

Altri vini

Controspalliera con potatura a cordone speronato e guyot

Dal colore rosso rubino profondo quasi impenetrabile, il vino si presenta all’esame olfattivo con note complesse di gelsi neri, mirtilli, mentre fanno da sfondo sensazioni vanigliate e piacevolissime sfumature terziarie di cuoio e cioccolato. In bocca ha un’entratura potente, piena, che lascia spazio ad un fruttato di mora e marasca; di grande struttura, evidenzia una fibra tannica elegante e una bella sapidità che contribuisce a fornirgli lunghezza e persistenza oltre ad una grande longevità.

Tipologia dei terreni I vigneti, che si trovano su terreni di medio impasto con presenza di argille e galestri, sono posizionati ad un’altitudine media di 250 metri s.l.m. con esposizione a sud.

Uve impiegate

Densità di impianto variabile

Tecniche di produzione Dopo la vendemmia, che avviene di solito a partire dalla seconda decade di ottobre, si procede alla diraspapigiatura delle uve e i pigiati ottenuti, separatamente per ogni vitigno, si avviano alla fermentazione alcolica che si protrae per 15-18 giorni ad una temperatura che non supera mai i 29°C in barrique di rovere francese di media tostatura a grana fine alle quali è stato tolto il fondo; contemporaneamente si procede anche alla macerazione sulle bucce durante la quale

I Rossi: Grilli del Testamatta IGT Toscana (Sangiovese 70%, Colorino 15%, Canaiolo 12%, Moscato Nero 1,5%, Malvasia Nera 1,5%) Casamatta IGT Toscana (Sangiovese 100%)

Prima annata

2000

Le migliori annate

2000 - 2001 - 2003

201


Grattamacco Ho sempre avuto una grande passione per il vino, ma credo che fu proprio la positiva e costruttiva esperienza nella mia enoteca a Bergamo che mi arricchì enormemente e mi aprì al mondo dell’enologia. Questa esperienza gradatamente contribuì a far nascere in me la convinzione che quel bancone della vineria era ormai stretto per me e che avrei potuto dedicarmi alla viticoltura. Con il tempo, questo desiderio di muovermi all’interno di un mondo complesso e affascinante come quello del vino, e di sperimentare in esso le mie conoscenze della vigna e della cantina, aumentavano sempre di più. Il percorso mi sembrava del tutto naturale ed era il compimento ideale di quell’esperienza come esercente. Se era vero che tutto aveva avuto inizio dalla semplice degustazione di un bicchiere di vino, era altrettanto vero che adesso, in quello stesso bicchiere mi sarei voluto tuffare volentieri, per capirne i segreti e comprendere il perché della miriade di sfaccettature e note cromatiche che lo stesso racchiudeva. È così che un giorno, alla ricerca di una piccola azienda con la quale iniziare a dar sfogo a questo desiderio, approdai a Grattamacco. Fu amore a prima vista, perché da una parte avevo questa meravigliosa terra di Castagneto Carducci e dall’altra il mare, con i suoi meravigliosi tramonti sull’Isola d’Elba. Non rimaneva che fermarsi, perché quello che avevo trovato era il posto desiderato per tutta la vita. Incominciai a produrre un po’ di vino bianco e un po’ di rosso, nella convinzione che questa mia avventura a Grattamacco doveva assomigliare a una di quelle mie piacevoli escursioni in mare, dove abitualmente navigavo a vista, tranquillo, senza rotte rigide, senza orari, né troppe regole, nella convinzione che quello che non avrei fatto nell’immediato l'avrei potuto fare l’indomani. Mi sarebbe piaciuto veleggiare alla ricerca di una sufficiente autogratificazione, con il timone in una mano e un bicchiere del mio Vermentino nell’altra. Non so comunque cosa accadde, se fu la passione che mi prese la mano, o furono le grandi potenzialità che offriva questo territorio ai vini rossi che mi affascinarono, ma anch’io mi ritrovai a correre e tutto, piano piano, mutò. Già il “Sassicaia” stava uscendo dell’anonimato e stava diventando quel fenomeno che è tutt’oggi. Veronelli aveva rivoluzionato l’ambiente del vino italiano, la barrique diventava uno strumento di cantina, i piccoli produttori facevano cose meravigliose. Era ora di muoversi.

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Fu così che nel 1982 uscii con la prima annata del Grattamacco. A quei tempi, quest’area non aveva una grande reputazione vitivinicola; i “fenomeni” produttivi che si erano manifestati, erano interpretati dalla critica generale più come delle eccezioni che confermavano la regola, che come bandiere di un movimento qualitativo collettivo del territorio; perciò i vini di Grattamacco fecero molta fatica a entrare sul mercato. Ben presto mi accorsi che non potevo più continuare a fare tutto da solo e anche se i risultati erano buoni, non erano certo paragonabili agli standard della concorrenza menzionata. E allora? Cosa fare? Prima l’enologo, poi i grandi cambiamenti nella vigna, poi i costanti miglioramenti in cantina, una continua sperimentazione e l’affinamento dei risultati fino ad arrivare ad integrare le conoscenze con la scienza. Con il tempo i risultati incominciarono a giungere e con essi aumentava il mio impegno. Con la mia piccola azienda, che poteva essere paragonata alla mia barca ormeggiata a San Vincenzo, non mi trovavo più a navigare di bolina con vento leggero; senza accorgermene ero finito in un campo di regata impegnativo, a regatare in una competizione dove non mi sarei mai voluto iscrivere, con regole dettate dal mercato con cui mi dovevo confrontare, in balìa di un vento forte che mi spingeva verso la ricerca dell’eccellenza assoluta, sia nel campo produttivo che in quello enologico. E pensare che io ero venuto qui per stare tranquillo e che non era mia intenzione gareggiare ad oltranza. Quando conobbi Claudio Tipa, della Collemassari S.p.A., capii immediatamente la sua passione per il vino, la sua voglia di coinvolgersi direttamente nel lavoro, la sua capacità manageriale. E così gli ho affidato volentieri il timone di questa piccola barca che si chiama Grattamacco. Sono sicuro di aver fatto la scelta migliore nel fidarmi di lui e sono oltremodo certo che Claudio saprà non solo valorizzare, ancora di più, questa azienda, ma saprà muoverla e renderla più forte anche sulle rotte più difficili. Per gare competitive ci vogliono i Competitor; per affrontare queste sfide c’è bisogno di chi sa leggere e interpretare le sfumature, sa cogliere le opportunità. Per capirlo e fidarmi di lui mi è bastato guardarlo negli occhi, perché sono gli occhi lo specchio dell’anima; sono stati sufficienti un cenno, una stretta di mano, uno sguardo al cielo per partire, io fiducioso delle sue capacità e lui sicuro dei propri mezzi, sapendo entrambi che la barca "Grattamacco" può ancora dare molto, perché siamo solo all’inizio della sua grande storia vitivinicola.


Piermario Meletti Cavallari - Claudio Tipa


GRATTAMACCO

Piermario Meletti Cavallari

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Grattamacco IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

Grattamacco è un vino ottenuto dalla selezione delle uve migliori provenienti dai vigneti del podere Grattamacco gestito dalla Collemassari S.p.A., posti sulle colline che guardano il mare nel dorsale nord del comune di Castagneto Carducci, nella zona di produzione del Bolgheri DOC.

1982

Cordone speronato e archetto

Dopo la vendemmia, che avviene di solito intorno alla metà di settembre, si effettua la fermentazione alcolica, separatamente per ogni uvaggio, che si protrae fra i 6 e gli 8 giorni, a temperatura non controllata, in piccoli tini di legno di rovere da 10 quintali. Contemporaneamente si avvia la macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di follatura, si effettua sui lieviti e prosegue, invece, per altri 24-27 giorni. Terminata questa fase, si procede alla fermentazione malolattica che avviene in tini di acciaio inox, terminata la quale i vini sono posti in barriques di Allier, solo per il 50% nuove e per 50% di secondo passaggio; qui vi rimangono per 18-20 mesi, periodo durante il quale avviene l’assemblaggio delle partite. Alla conclusione dell’invecchiamento, il vino subisce un affinamento in tini d’acciaio prima di essere imbottigliato per un ulteriore affinamento di altri 6 mesi.

Densità di impianto

Quantità prodotta

Altri vini

6000 ceppi per Ha

35000 bottiglie l’anno

Tipologia dei terreni I vigneti sono posti su terreni che hanno caratteristiche morfologiche con tessitura calcarea, ricca di scheletro, localmente alcalina e si trovano a un’altitudine di 180 metri s.l.m., con un’esposizione a nordovest.

Uve impiegate Cabernet Sauvignon 65%, Merlot 20%, Sangiovese 15%

Sistema d’allevamento

Note organolettiche Di colore rosso con venatura di porpora, il vino si presenta con ampie note di viola, marasca e piccoli frutti di bosco neri maturi, con fondo di vaniglia. Dal sapore asciutto, leggermente sapido, si propongono al palato le sensazioni avvertite al naso.

Prima annata

Le migliori annate

1988 - 1990 - 1993 - 1995 1997 - 1999 - 2000 - 2001 Note Il vino, che prende il nome dall’azienda, raggiunge la maturità solo dopo 6-7 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 6 e i 15 anni.

L’azienda Il podere Grattamacco, gestito dalla Collemassari S.p.A. dal 2002, si estende su una superficie complessiva di 30 Ha, di cui 11 destinati alla viticoltura e 4 all’olivicoltura. La restante superficie vede in gran parte la presenza di boschi. Collabora in azienda l’enologo Maurizio Castelli.

I Bianchi: Bolgheri Bianco (Vermentino 100%) I Rossi: Bolgheri Rosso (Sangiovese 50%, Cabernet Sauvignon 50% )

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Guicciardini Strozzi È dal 1424 che la tenuta di Cusona è entrata a far parte del patrimonio della

famiglia Guicciardini, portata in dote, per un matrimonio, dai Bardi. Una tenuta che da sempre è stata segnalata come esempio da seguire: efficiente, classica nella sua impostazione, produttiva e organizzata, affinché fosse in grado di auto finanziarsi. Nei secoli, in ogni modo, notevoli vicissitudini hanno accompagnato la proprietà, ma devo riconoscere che ogni membro della famiglia che mi ha preceduto alla guida dell’azienda si è impegnato per tramandarla ai posteri nel migliore dei modi. Io, del resto, finché era vivo mio padre, seguivo la campagna con molto distacco, impegnato come ero nel mio ruolo di docente di Diritto Internazionale dell’Università di Firenze; quindi tutto quello che succedeva su queste terre mi vedeva più come semplice osservatore che come attore. Lo stesso dicasi per mio fratello Roberto, destinato ad una brillante carriera di regista. Quando nel 1961 morì mio padre Piero, per la prima volta presi coscienza del reale impegno che Cusona necessitava per la mia famiglia; un impegno che non era riconducibile solo all’aspetto amministrativo, ma soprattutto a quello morale, sia nei confronti di un territorio che ci vedeva da seicento anni porci a sua tutela, sia nei confronti di quelle famiglie e di quei collaboratori che confidavano nella solidità di questa struttura per il loro futuro. Negli anni che seguirono toccai con mano quali grandi sacrifici erano stati necessari per far sì che la villa, le terre e tutto il resto giungessero fino a noi e mi resi conto che anch’io avrei dovuto adoperarmi per fare altrettanto. Rimodernai questa fattoria che fino allora era stata condotta come una classica fattoria mezzadrile con l’intento di preservarla più che di svilupparla. Fu la fine degli anni Sessanta che segnò l’inizio del processo di rinnovamento per tutta l’azienda, un processo che non si è più arrestato e che ancora oggi mi vede impegnato, insieme a mio fratello e a mia moglie, in quest’opera di ammodernamento e di ampliamento. Ciò che avevo trovato era un’azienda stanca, poco incline alla meccanizzazione che in quegli anni incombeva come unico strumento possibile per

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- Fattoria di Cusona

incrementare le produzioni e aumentare i redditi delle aziende agricole. Ricordo che feci ridisegnare tutte le geometrie dei campi, incominciando a estirpare le vecchie vigne che si trovavano nella parte pianeggiante della tenuta, trasferendole in collina e reimpiantandone di nuove con sistemi diversi, più idonei a una riqualificazione della produzione vinicola, ma soprattutto incominciammo a guardarci intorno per comprendere meglio come il mercato agricolo si stesse muovendo nel medio e nel lungo periodo, abitudine che non ho mai più abbandonato. Sapevo che non essendo più un semplice spettatore non avevo molti margini di errore. Con il passare degli anni presi sempre più coscienza del profondo legame che unisce da sempre i Guicciardini a Cusona e del gran rispetto che noi abbiamo avuto per questa terra e io certamente non potevo esimermi dal valutare ogni singolo elemento e ogni occasione che potesse in qualche modo migliorare quello che già esisteva. Con il tempo sono diventato, come i miei avi, il custode di ciò che la famiglia mi ha incaricato di preservare e negli anni devo riconoscere che mi sono, dapprima appassionato e poi innamorato di questa campagna, di questa terra, dei prodotti che Cusona dona e in particolare mi sono innamorato della vigna e del vino che con il suo fascino, con la creatività e la passionalità che ogni anno riesce a rinnovare, mi ha davvero stregato. Dopo tanti anni guardo le cose con un’altra esperienza, con l’occhio vigile degli anni migliori, con la sagacia e l’intùito che si acquisiscono con gli anni. Non mi sono accontentato quindi di ciò che avevamo ereditato e sono voluto andare oltre ai confini che mi erano stati affidati; così l’azienda si è ulteriormente ampliata e oggi ci sono altre piccole “Cusona” in Toscana, nella Maremma, nel Monteregio, a Bolgheri e a Scansano, nelle quali spero di trasferire l’esperienza acquisita in quarant’anni passati in questa meravigliosa fattoria, affinché sia possibile proseguire e arricchire la dinastia dei vini dei principi Guicciardini Strozzi che presto saranno affidati alla cura delle mie figlie Natalia e Irina e dei miei nipoti Piero e Tuccio, che, ne sono certo, hanno assimilato questa cultura della terra e della tradizione familiare.


Girolamo Strozzi Guicciardini


GUICCIARDINI STROZZI - FATTORIA DI CUSONA Girolamo Strozzi Guicciardini

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Millanni IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

Millanni è una cuvée di uve selezionate provenienti dai vigneti della Fattoria di Cusona, posta sul territorio di San Gimignano nella zona di produzione della Vernaccia di San Gimignano DOCG.

Dopo la vendemmia, che avviene per ogni uvaggio con tempi diversi a seconda della maturazione degli stessi, e che in ogni caso inizia dopo la metà di settembre e si protrae fino al 15 di ottobre, si procede per ogni varietà alla fermentazione alcolica che prevede un tempo operativo compreso fra i 4 e gli 8 giorni alla temperatura di 32°C in recipienti termocondizionati d’acciaio inox. Contemporaneamente si avvia la macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, si prolunga per altri 10-12 giorni, sempre separatamente; le partite effettuano la fermentazione malolattica nei tini di acciaio prima di essere messe, nel febbraio successivo, a maturare in barriques di Allier nuove e di secondo passaggio dove vi rimangono per 12 mesi. Trascorso questo periodo è effettuato l’assemblaggio e il blend ottenuto, dopo un leggero filtraggio, è imbottigliato per un ulteriore affinamento di 6 mesi.

Tipologia dei terreni I terreni che ospitano il Sangiovese hanno caratteristiche morfologiche di tessitura franco-argillosa, calcarei con poco scheletro e si trovano a un’altitudine di 200 metri s.l.m., con un’esposizione a sud; i terreni che ospitano il Cabernet Sauvignon hanno caratteristiche morfologiche con tessitura sottile, limosa, con caratteristiche alluvionali e si trovano a un’altitudine di 220 metri s.l.m. con un’esposizione sud-est; i vigneti che ospitano il Merlot hanno caratteristiche morfologiche di tessitura franco-argillosa, calcarei e sono posti a un’altitudine di 220 metri s.l.m. con un’esposizione sud-est.

Prima annata

1994

Le migliori annate

1995 - 1997 - 1999 - 2001 Note Il vino, che fu realizzato nell’occasione della commemorazione dei mille anni di storia di Cusona, raggiunge la maturità solo dopo 5-6 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione dovrebbe essere compreso fra i 6 e i 15 anni.

Uve impiegate Sangiovese 60%, Cabernet Sauvignon 30%, Merlot 10%

Quantità prodotta

Sistema d’allevamento

Note organolettiche

A seconda degli uvaggi e dell’età delle viti, sono presenti in azienda sistemi di allevamento che contemplano sia il Guyot semplice, sia il cordone speronato.

Il vino si presenta di un colore rosso rubino molto intenso, con dei profumi complessi e spiccate note di frutti rossi e di vaniglia. Al gusto è ben strutturato con sapori di ciliegia; potente, presenta una buona tessitura tannica; al retrogusto è molto lungo e persistente.

Densità di impianto Sangiovese 4000 ceppi per Ha; Cabernet Sauvignon 5000 ceppi per Ha; Merlot 5000 ceppi per Ha.

18000 bottiglie l’anno

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Sòdole IGT Toscana Zona di produzione Sòdole è una cuvée delle migliori uve di Sangiovese prodotte nei più vecchi vigneti della Fattoria di Cusona posta sul territorio di San Gimignano, nella zona di produzione della Vernaccia di San Gimignano DOCG.

Tipologia dei terreni I terreni che ospitano il Sangiovese hanno caratteristiche morfologiche con tessitura franco-argillosa, calcarei con poco scheletro e si trovano a un’altitudine di 200 metri s.l.m. con un’esposizione a sud.

tuare la fermentazione malolattica e solo successivamente, nel febbraio dell’anno successivo, è posto in barriques di Allier, solo in parte nuove, per la maggior parte di secondo e terzo passaggio, dove vi rimane per 10-12 mesi. Trascorso questo periodo è effettuato l’assemblaggio delle partite e solo dopo una breve sosta in tini d’acciaio inox il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 12 mesi.

Quantità prodotta 36000 bottiglie l’anno

Uve impiegate

Note organolettiche

Sangiovese 100%

3500 ceppi per Ha

Il vino si presenta di un colore rosso rubino con lievi riflessi granata e con dei profumi complessi con fini note floreali di viola, frutti di bosco e spezie. Al gusto risulta ben strutturato, morbido, di buon corpo, elegante, con un leggero sentore di vaniglia al palato; al retrogusto è persistente.

Tecniche di produzione

Prima annata

Sistema d’allevamento Guyot semplice

Densità di impianto

Dopo la vendemmia, che avviene di solito alla prima settimana di ottobre, si avvia la fermentazione alcolica che si protrae fra i 4 e i 6 giorni alla temperatura di 28-30°C in piccoli recipienti termocondizionati d’acciaio inox. Contemporaneamente si effettua la macerazione sulle bucce delle masse vinose, che, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, prosegue per altri 10 giorni sempre a temperature controllate. Terminata questa fase al vino è fatta effet-

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1983

Le migliori annate

1985 - 1990 - 1995 1997 - 1999 - 2001 Note Il vino prende il nome del podere sul cui terreno insistono gli impianti di sangiovese più vecchi della tenuta. È prodotto con uvaggi provenienti da vigneti che hanno oltre trent'anni; raggiunge la maturità solo

dopo 5-6 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 6 e i 15 anni. Vino classico, fra i più “toscani” prodotti a Cusona.

L’azienda La Fattoria di Cusona, di proprietà della famiglia Guicciardini Strozzi, si estende su una superficie complessiva di 530 Ha di cui 75 vitati e 10 dedicati all’olivicoltura. Il restante territorio vede la presenza di boschi, colture cerealicole e colture promiscue. Collaborano in azienda come consulente esterno Vittorio Fiore e come enologo interno Ivaldo Volpini.

Altri vini I Bianchi: Vernaccia di San Gimignano DOCG Perlato (Vernaccia 90%, Chardonnay 10%) Vernaccia di San Gimignano DOCG Riserva (Vernaccia 100% passata in barriques) I Rossi: Chianti Colli Senesi DOCG Titolato (Sangiovese 90%, Canaiolo 5%, Colorino 5%) Vermentino di Toscana Luna Verde (Vermentino 100%) Vin Santo di San Gimignano DOC (Trebbiano 60%, Malvasia 30%, altri vitigni 10%)





I Giusti & Zanza Forse chi non è andato mai in barca non conosce il fascino che suscita il vento che gonfia la vela, quel silenzioso fruscìo che ti consente di procedere spedito o lento, nell’estenuante attesa che finisca la “bonaccia”; su questo momento idilliaco regna sovrano il silenzio e gli unici rumori che percepisci sono quelli di un gabbiano che a poppa richiama la tua attenzione, o la tua voce, mentre parli delle cose più strane, dei tuoi sogni, delle tue manie o delle tue passioni. Così Paolo Giusti e Fabio Zanza, nei trent’anni passati a “regatare” da grandi amici davanti alla costa apuana, di discorsi ne hanno fatti tanti, ma in tutto questo parlare l’unica cosa d’interessante che li appassionava entrambi erano le chiacchiere intorno al mondo del vino. Dopo essere stati a cena discutevano da buoni gourmet di cosa avevano mangiato, ma soprattutto di cosa avevano bevuto, appassionandosi sempre di più al piacere di descrivere le emozioni che quell’incontro sensoriale con il vino aveva trasmesso loro: era una palestra olfattiva che a loro piaceva frequentare. Fu così che nacque l’idea di prendere un vigna per allargare i loro interessi e provare a fare due o tre ettolitri di vino da invecchiare in qualche barriques, così da poter dire: “questo vino lo abbiamo fatto noi!”. In queste loro elucubrazioni li seguiva Sandro Sangiorgi, giornalista e un tempo responsabile della didattica dello Slow Food-Arcigola, il quale, invece di sconsigliarli e cercare di tranquillizzare i loro ardori, magari mostrando anche l’altra faccia della medaglia, infiammava ancor di più le loro aspirazioni. Comunque, la nascita reale del progetto dell’azienda avven-

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ne con la conoscenza di Stefano Chioccioli e fu con lui che essi passarono dai progetti teorici al lavoro vero e proprio nei campi. Era il 1995 ed è da precisare che entrambi erano entrati più dentro un bicchiere di vino che fra i filari di una vigna: la loro, più che conoscenza, era passione. Fu così che Paolo e Fabio furono presi da questa grande avventura e, percorsi dall’adrenalina che solo una grande passione può trasmettere, acquistarono l’azienda in Fauglia, che si prestava alla sperimentazione dell’idea di trasferire un po’ di Bordeaux in Toscana, impiantando vitigni francesi, sperimentando le stesse densità di piantagione, fino a 10000 ceppi per Ha, utilizzate in Francia, cercando di realizzare bassissime rese per ceppo, ottime maturazioni sulle uve e di conseguenza grandi concentrazioni sui vini ottenuti; agevolati in questo da terreni sabbiosi, asciutti e semipianeggianti ben esposti e con l’orografia giusta. Tecniche nuove in aree nuove, dove il lavorare su vigneti così stretti, dove annualmente si verificano delle forti anticipazioni sulla maturazione delle uve dovute più che altro al clima caldo e all’influenza diretta della costa che si trova a pochi chilometri di distanza, richiedeva una grande dedizione al lavoro di vignaioli. Il loro sogno si era avverato; ma dopo tutto questo, la vera sfida deve ancora iniziare e la stessa consiste nell’esprimere nei vini quella commistione fatale, composta da varie entità fondamentali, come il vigneto, il clima, il terreno e l’uomo, che va sotto il nome di Terroir. Forse qualcuno si troverà un giorno ancora a raccontare la storia di due sognatori.


Paolo Giusti


I GIUSTI & ZANZA Paolo Giusti

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Dulcamara IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

Dulcamara è una cuvée delle migliori uve provenienti dai vigneti dell’azienda I Giusti & Zanza, che sono posti sulle prime colline sulla sinistra del fiume Arno, di fronte alla costa tirrenica, a Fauglia, in provincia di Pisa.

Dopo la vendemmia, che avviene per ogni uvaggio con tempi diversi secondo la loro maturazione, dal 5 al 7 settembre per i precoci e dal 3 al 5 ottobre per il Cabernet Sauvignon, parte la fermentazione alcolica che procede separatamente per ogni varietà e si protrae fra i 4 e i 6 giorni con temperature che aumentano dai 14°C fino ai 27°C in vasche di cemento vetrificato. Contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage, rimontaggi e brevi, frequenti e delicate follature, prosegue per altri 12-14 giorni a temperature controllate comprese fra i 27° e i 30°C. Terminata questa fase, i vini, separatamente e senza alcuna chiarifica, effettuano la fermentazione malolattica in tonneaux da 300 hl nuovi, dove rimangono per la maturazione che varia dai 12 ai 18 mesi a seconda del vino. Quasi al termine di questo periodo è effettuato l’assemblaggio delle partite, dopo di che il vino è posto a riposare ancora per un po’ nei tini di acciaio e poco dopo imbottigliato per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 6-8 mesi.

Tipologia dei terreni I vigneti sono posti su terreni che hanno caratteristiche morfologiche di tessitura alluvionale ricca di sabbie e ghiaia, con una buona capacità drenante; si trovano a un’altitudine di 100 metri s.l.m. e hanno un’esposizione nord / nord-ovest.

Uve impiegate Cabernet Sauvignon 40%, Cabernet Franc 30%, Merlot 30%

Sistema d’allevamento Cordone speronato

Densità di impianto 10000 ceppi per Ha

Prima annata

1996

Le migliori annate

1997 - 2001 Note

I proprietari, appassionati di lirica, hanno voluto dare al vino il nome di un personaggio de “L’Elisir d’amore” di Gaetano Donizetti. Dulcamara è appunto un farmacista che vende “l’elisir d’amore della regina Isotta”. Da ricordare tra l’altro che nell’Ottocento tutti gli elisir erano a base di vino rosso. Il vino raggiunge la maturità solo dopo 5-6 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione dovrebbe essere compreso fra i 6 e i 12 anni.

L’azienda L’Azienda I Giusti & Zanza, di proprietà delle famiglie Giusti e Zanza, si estende su 35 Ha, di cui 15 vitati. Collabora con l’azienda l’agronomo e enologo Stefano Chioccioli.

Altri vini Quantità prodotta 10000 bottiglie l’anno

Note organolettiche

I Rossi: Belcore IGT (Sangiovese 80%, Merlot 20%) Perbruno IGT (Syrah 100%)

Il vino si presenta di un colore rosso rubino, con lievi riflessi granata e con note floreali e di frutti di sottobosco rossi, maturi. Pieno, ben strutturato, complesso; al retrogusto riaffiorano i sentori percepiti al naso; persistente.

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Il Colombaio di Cencio Vi sono molti modi di affrontare la vita e io, per molto tempo, sono riuscito a tenerla “su una punta di matita” e la cosa è stata emozionante e di grande soddisfazione. Per un periodo ha voluto dire realizzarmi professionalmente come grafico, ha significato acquisire esperienze internazionali nel design di elementi d’arredo, nella moda o arrivare a progettare etichette per il vino, sviluppare la campagna pubblicitaria di un divano o di un mobile, disegnare arredamenti per casali e ville, trovandomi ogni volta a sporcare un foglio di carta bianco con un’idea o con un sogno. Sì, per molto tempo il mio è stato un mondo vissuto in punta di matita, come potrebbe fare un poeta che, con i suoi versi, riesce a comunicare ad altri le sue emozioni più intime e le sue idee più profonde. Con la matita in mano ho disegnato di tutto, facendo viaggi metafisici importanti, prendendo per mano coloro che avevano avuto fiducia nelle mie doti creative o magari impastando, con i colori o con i chiari e gli scuri, migliaia e centinaia di migliaia di fogli di carta, così da dare vita alle fantasie degli altri oppure calcando il tratto per marcare la mia visione delle cose. Quella matita correva veloce e con lo scorrere su quei fogli rendeva concreti i sogni che divenivano realtà, si sviluppavano nuove idee che avrebbero cambiato il presente e con loro, senza accorgermene, cambiavo anch’io. Per me non aveva importanza cosa io disegnassi: mi bastava che quel bozzetto o quel lavoro finito rappresentassero l’evoluzione di un concetto, di una filosofia, di un pensiero creativo. Ogni volta era una sfida fra me e i miei limiti e fra me e gli altri, nel convincimento, sincero, che quello che io avevo disegnato per loro fosse la panacea dei loro problemi comunicativi. Poi arrivò l’era del computer. Quando fu utilizzato ovunque e il mondo del design incominciò a sopravvalutare quello strumento di lavoro io compresi che la mia “arte grafica”, quella giocata in punta di matita ormai aveva segnato il suo tempo, sostituita da un’altra “arte grafica”, diversa, anonima, più appiattita sui quei valori umani che a me davano spunti, per cui bisognava essere dei grandi conoscitori dei programmi più che esercitare il tratto e la sensibilità della mano. Decisi che non mi sarei piegato a quel mezzo meccanico presuntuoso e invadente e che avrei cercato fortuna altrove lasciando, se fosse stato necessario, anche quell’arte che mi aveva dato tante soddisfazioni e mi aveva costruito come uomo. Da Firenze mi trasferii a Greve in Chianti dove iniziai a ristrutturare e ad arredare ville e case. Fu così che incontrai Werner Wilhelm con il quale strinsi una sincera amicizia. Ricordo che un giorno mi convocò a casa sua e mi confidò l’idea

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di realizzare un’azienda vitivinicola in una nuova proprietà che aveva appena acquistato, ma avrebbe dato l’assenso a quel progetto solo a condizione che io avessi lasciato il mio lavoro e mi fossi dedicato anima e corpo alla cantina con tutti gli annessi e connessi, a partire dalla sua stessa costruzione fino ad arrivare alla realizzazione dei vigneti - che non esistevano - per giungere, in un futuro che non sarebbe poi stato così lontano, anche alla commercializzazione del vino che avremmo prodotto. Rimasi un po’ perplesso, ma la proposta mi sembrò molto propositiva e dopo qualche giorno accettai. È stato così che mi sono avvicinato al vino, convinto di poter costruire una nuova sfida e con essa soddisfare il mio innato desiderio di voler andare a curiosare sempre dietro l’angolo. Non confidai in quel momento a Werner quanto fossi legato per tradizione familiare al mondo del vino e quanto fossi attratto dallo stesso per le mie saltuarie frequentazioni con molti amici produttori che già si stavano distinguendo nel settore e ai quali avevo disegnato alcune etichette per i loro vini. Ricordo che con i lavori iniziò uno dei periodi più belli della mia vita, un momento di grande fervore creativo. Qui non c’era niente e dovevo tener conto di costruire e decidere tutto, a partire dalla forma stessa della cantina, ai materiali da utilizzare per realizzarla, fino ad arrivare agli arredi. Fu un periodo nel quale la mia matita incominciò a scorrere veloce su quei fogli bianchi; la sera disegnavo particolari, dettagli, piccoli accorgimenti e l’indomani magari li modificavo. Fu un periodo di grande crescita umana e professionale che mi vide da una parte dare libero sfogo al mio desiderio di disegnare e realizzare oggetti, avendo spazi da riempire con cose belle, dall’altro acquisire quelle cognizioni tecniche necessarie per fare un’importante azienda vitivinicola cercando di comprendere da quali elementi si partisse per fare un grande vino. Sinceramente per molto tempo tutto mi sembrò molto complicato, confuso, duro, difficile, ma contemporaneamente affascinante, unico, singolare. A distanza di anni posso affermare che quella è stata un’esperienza indimenticabile, unica, che mi ha dato una grande energia e molta serenità e consapevolezza nei miei mezzi. Quando la favola è arrivata alla sua conclusione il sipario si è chiuso e si è aperto un nuovo atto su altre scene che riguardano una quotidianità più concreta, più razionale, fatta di vendemmie e di bottiglie che si devono commercializzare. Oggi uso di rado la mia matita e sempre meno sporco i fogli di carta per il mio lavoro, ma non è detto che la riprenda in mano presto, magari per far giocare mio figlio o per soddisfare qualche altro sogno nel cassetto.


Jacopo Morganti


IL COLOMBAIO DI CENCIO Jacopo Morganti

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Il Futuro IGT Toscana Zona di produzione Prima annata

Sangiovese 40%, Cabernet Sauvignon 40%, Merlot 20%

non supera mai i 32°C in tini di legno troncoconici o in acciaio inox termocondizionati; contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce che dura altri 4 giorni durante la quale vengono effettuate delle tecniche di délestage e follatura. Al termine di questa fase si procede alla svinatura e dopo un breve periodo di decantazione i vini vengono posti in barrique di rovere francese di Allier e Tronçais, di media tostatura a grana fine per un 80% nuove e il restante di secondo passaggio, in cui effettuano la fermentazione malolattica e dove rimangono per 24 mesi. Dopo questo lungo periodo di maturazione, si procede all’assemblaggio delle varie partite ed il blend ottenuto è imbottigliato per un ulteriore affinamento che prosegue per almeno 6-8 mesi prima della commercializzazione.

Sistema d’allevamento

Quantità prodotta

Altri vini

Controspalliera con potatura a cordone speronato semplice

50000 bottiglie l’anno

Il vino è un blend prodotto dalla vinificazione delle migliori uve Sangiovese, Cabernet Sauvignon e Merlot provenienti dai vigneti di proprietà dell’azienda, posti nel comune di Gaiole in Chianti, che hanno viti con un’età che varia dagli 8 ai 25 anni.

Tipologia dei terreni I vigneti, che si trovano su un terreno di medio impasto galestroso, con alberese e ricco di scheletro, sono posizionati a un’altitudine compresa tra i 350 e i 420 metri s.l.m. con un’esposizione variabile da sudovest a ovest.

Uve impiegate

Note organolettiche Densità di impianto 6950 ceppi per Ha

Tecniche di produzione Dopo la vendemmia, che di solito inizia verso la metà di settembre per il Merlot e prosegue in ottobre per il Sangiovese e il Cabernet Sauvignon, si procede alla diraspapigiatura delle uve raccolte e singolarmente i vari pigiati sono avviati alla fermentazione alcolica che si protrae per 2225 giorni ad una temperatura massima che

Di un colore rosso rubino intenso molto cupo con riflessi violacei, il vino si presenta all’esame olfattivo con ricchi profumi del sottobosco che si vanno ad aggiungere a quelli di confettura di frutta rossa che, via via, si aprono a note vegetali e minerali. Al gusto risulta caldo, morbido, di bella struttura, con un contenuto tannico vigoroso ben presente, di rilievo, che conferisce carattere al vino; lungo e di grande persistenza, conferma in bocca le piacevoli sensazioni olfattive.

1995

Le migliori annate

1995 - 1997 - 1999 - 2001 Note Il vino, che prende un nome di fantasia, raggiunge la maturità dopo 5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra 5 e 15 anni.

L’azienda Di proprietà di Werner Wilhelm dal 1994, l’azienda agricola si estende su una superficie complessiva di 133 Ha, di cui 25 vitati e il resto occupato da olivi e boschi. Collaborano in azienda l’agronomo Laura Bernini e l’enologo Paolo Vagaggini.

I Bianchi: Sassobianco IGT Toscana (Chardonnay 60%, Sauvignon 30%, Malvasia 10%) I Rossi: Chianti Classico DOCG I Massi del Colombaio (Sangiovese 95%, Merlot 5%)

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Isole e Olena L a mia famiglia aveva un po’ di terra a Lessona, vicino a Gattinara, in Piemonte, e credo che quel luogo abbia influito molto su di me; la vigna, il contatto con la terra e con i suoi frutti mi hanno molto condizionato e avvicinato a un mondo che racchiude in sé l’essenza del lavoro dell’uomo. Ricordo che da piccolo i miei giocattoli erano i modellini dei trattori e degli scavatori e non le macchinine; inoltre, spesso mi trovavo a parlare con le piante dei fagioli e delle zucchine che, per gioco, avevo seminato nell’orto, con l’ingenuità di un ragazzino a cui avevano raccontato che era necessario amare le piante se si desiderava farle crescere bene e in fretta. In quella campagna le mie vacanze estive correvano velocissime e poi c’era il ritorno in città, la scuola e poi l’Università… Nel frattempo mio padre Francesco, alla fine degli anni Cinquanta aveva acquistato quest’azienda di Isole e Olena, in Toscana, composta da due poderi che complessivamente ricoprivano una superficie di 310 ettari, con 33 ettari a vigneto e 6000 piante di olivo. La mia famiglia, più volte all’anno, dopo una giornata completa di viaggio, veniva nel Chianti, che allora era molto diverso da come si puo osservare oggi. Ripensando a quegli anni rammento con molto rammarico che questa terra era molto più vissuta di adesso, forse meno bella, ma indubbiamente si percepiva, ovunque, una ruralità più schietta, più partecipata e più genuina: l’uomo era più vicino alla terra di quanto lo sia oggi. I momenti di aggregazione, come la trebbiatura del grano, la vendemmia e la frangitura delle olive erano vissuti da tutti con stati d’animo diversi da quelli con i quali sono vissuti adesso; un tempo quei gesti erano ricolmi di gioia, allegria e felicità, sia per il raccolto, sia per l’aggregazione che quelle occasioni creavano. Da allora le cose sono cambiate e quel tessuto sociale non esiste più: la campagna si è modificata, quei vecchi contadini che alzando gli occhi al cielo sapevano dettare i tempi della raccolta non ci sono più e le loro case spesso sono state trasformate in agriturismi, con il risultato che la terra si è spopolata di quelle meravigliose “enciclopedie viventi” e non si è più provveduto a creare una continuità fra il passato e il futuro. Mi mancano molto quegli anni che coincisero con la fine della mezzadria, non certo per quanto riguarda l’aspetto produttivo, ma per quel rapporto che io, ragazzo, avevo con quegli uomini che riuscivano a vivere giornalmente un epidermico contatto con la loro terra e sapevano poi trasmettertelo in modo semplice, ma splendido.

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Quel Chianti non esiste più. Oggi si può constatare una grande spaccatura, ormai insanabile, che nel tempo ha creato un black-out di continuità fra le generazioni passate e quelle odierne, una spaccatura le cui cause o concause sono da ricercare in un periodo storico di grandi mutamenti e di grande crisi dell’agricoltura iniziata nei primi anni Settanta. Quelli erano tempi bui in cui tutto andava male e ricordo che anche mio padre, scoraggiato, era uno dei tanti che aveva deciso di vendere la terra. Io invece, appena laureato in Agraria, avevo altri progetti e decisi di giocarmi la partita della mia vita proprio qui a Isole e Olena. Fu così che presi in mano l’azienda e cercai di risollevarla dalle passività che la strozzavano. Non è stato un lavoro facile; ci sono voluti più di quindici anni di duro lavoro e grandi sacrifici per riuscire a risollevare le sorti di questa azienda e precisamente dal 1973 alla fine degli anni Ottanta. Oggi sono soddisfatto sia del mio operato, sia di ciò che sono riuscito a costruire qui a Isole e Olena. Per fare ciò ho puntato verso un forte innalzamento della qualità produttiva, che nel tempo mi ha portato ad operare con tecniche e procedure innovative che hanno coinvolto tutta la filiera vitivinicola. Per ciò che ho fatto e per come l’ho fatto, talvolta, mi hanno definito un “innovatore”, ma credo che questo dipenda solo dal fatto che nella mia vita non ho mai tralasciato di avvicinarmi alle novità che giungevano da un mondo sempre più globalizzato e globalizzante. Anzi, ho sempre cercato di coniugare l’innovazione con la tradizione del Chianti, considerando le conoscenze, che man mano acquisivo, come uno strumento fondamentale per interpretare gli eventi e non per modificarli, al massimo per indirizzarli, ma mai per stravolgerli. Credo di essere fondamentalmente un tradizionalista, ma nonostante tutto nella mia azienda ho cambiato molto, poiché credo che il non cambiare sia un sintomo di staticità e di conservazione. E staticità e conservazione sono cose ben diverse dalla tradizione. Ritengo che non vi può essere futuro senza passato ed io so che il mio futuro deve passare fra le memorie storiche che vivo qui nel Chianti, fra questi castelli e questi borghi medievali, fra queste terre ricche di galestro, ora argillose, ora pietrose; sono memorie che io ho necessità d’interpretare per adeguarle alle esigenze odierne e per costruire con loro un domani migliore. È con questa libertà interiore che costruisco i miei vini, poiché so che essi sono il frutto di un matrimonio fra il Chianti e il futuro.


Paolo De Marchi


ISOLE E OLENA Paolo De Marchi

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Cepparello IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

Cepparello è una cuvée delle migliori uve provenienti dai vigneti più vecchi dell’azienda, posti sulle colline che si trovano nella parte sud del comune di Barberino Val d’Elsa, nella zona di produzione del Chianti Classico DOCG.

Dopo la vendemmia, che di solito avviene intorno al 10 ottobre, si avvia la fermentazione alcolica del mosto che procede per 8-10 giorni alla temperatura di 32 °C in recipienti termocondizionati di acciaio inox. La macerazione sulle bucce, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura manuale, prosegue invece per altri 10-12 giorni a temperature controllate. Terminata questa fase, il vino effettua la fermentazione malolattica e successivamente è messo in barriques per l’85% di rovere francese, nuove per 1/3, e per il 15% di rovere americano, dove vi rimane per 1418 mesi. Segue l’affinamento in bottiglia per altri 6 mesi.

Tipologia dei terreni I vigneti sono posti su terreni che hanno una tessitura di galestro e alberese ben drenato; si trovano a un’altitudine di 400 metri s.l.m. con un’esposizione a sud-ovest.

Uve impiegate Sangiovese 100%

Prima annata

1980

Le migliori annate

1982 - 1983 - 1985 - 1986 1988 - 1990 - 1993 - 1995 1997 - 1999 - 2000 - 2001 Note Cepparello è il nome della valle su cui si affacciano i migliori vigneti dell’azienda. Il vino, che non è stato prodotto nelle annate 1981, 1984, 1992, raggiunge la maturità solo dopo 5-6 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 6 e i 15 anni.

Sistema d’allevamento Cordone speronato

Quantità prodotta 30-40000 bottiglie l’anno

Densità di impianto 3000 ceppi per Ha nei vecchi impianti, 7000 ceppi per Ha nei nuovi impianti

Note organolettiche Il vino si presenta di un colore rosso rubino tendente al violetto, con profumi di more e frutti di bosco, viola e rosa. Al gusto è ben strutturato, con tannini avvolgenti e morbidi; equilibrato ed elegante, al retrogusto è molto persistente.

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De Marchi Cabernet Sauvignon IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

Note

Il vino nasce da un’attenta selezione delle uve provenienti dal Podere la Bibbianese, dalla Vigna Poggi e Piano e da parte della Vigna 28; i vigneti sono posti sulle colline che si trovano nella parte sud del comune di Barberino Val d’Elsa, nella zona di produzione del Chianti Classico DOCG.

Dopo la vendemmia, che avviene generalmente nella seconda metà di ottobre, si avvia la fermentazione alcolica del mosto che procede per 10 giorni alla temperatura di 30-32 °C in recipienti termocondizionati di acciaio inox. La macerazione sulle bucce, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura manuale, prosegue invece per altri 16-18 giorni a temperature controllate. Terminata questa fase, il vino effettua la fermentazione malolattica in barriques (50% legno nuovo: per l’85% francese, per il 15% americano), dove vi rimane per circa due anni. Segue l’affinamento in bottiglia per altri 12 mesi.

Il vino, che non è stato prodotto nell’annata 1992, raggiunge la maturità solo dopo 68 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 6 e i 20 anni.

Tipologia dei terreni I terreni hanno una tessitura principalmente di argille e scisti (galestro) con calcare; si trovano a un’altitudine di 400 metri s.l.m. con un’esposizione a sud / sud-ovest.

Uve impiegate

L’azienda L’azienda, di proprietà di Paolo de Marchi, si estende su una superficie complessiva di 290 Ha, di cui 50 destinati alla viticoltura specializzata e 10 all’olivicoltura, mentre il restante territorio vede la presenza di colture promiscue e boschi. Collaborano in azienda l’agronomo Alessio Gragnoli e l’enologo Christian Maurer.

Altri vini

Cabernet Sauvignon 100%

Quantità prodotta Sistema d’allevamento

7-14000 bottiglie l’anno

Cordone speronato

Note organolettiche Densità di impianto Dai 3000 ceppi per Ha nei vecchi impianti ai 7350 ceppi per Ha negli ultimi impianti

Il vino si presenta di un colore rosso rubino intenso, con profumi complessi di frutti di bosco, caffè tostato e spezie. Al gusto è ben strutturato e presenta un piacevole mariage fra la consistente struttura e il legno; potente, ha una decisa tessitura tannica; al retrogusto è molto lungo e persistente.

Prima annata

1986

Le migliori annate

1986 - 1988 - 1990 1993 - 1997 - 1999

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I Bianchi: Chardonnay Collezione (Chardonnay 100%)

de

Marchi

I Rossi: Chianti Classico DOCG (Sangiovese 85%, Canaiolo 10%, Syrah 5%) Syrah Collezione de Marchi (Syrah 100%) Vin Santo (Malvasia del Chianti 65%, Trebbiano Toscano 35%)



La Brancaia Disegni, progetti, prospetti architettonici di un designer dovevano riempire le

giornate della mia vita dopo la Facoltà di Architettura a Zurigo. Senza dubbio non era quello il mio destino, visto che il fato mi aveva riservato un’altra storia che mi avrebbe condotto a contatto con la terra, le vigne e le barriques. Anche mio padre Bruno, prima di arrivare in Italia, ospite dei marchesi Mazzei al Podere Siepi, forse aveva altri progetti, senz’altro diversi da quelli che lo coinvolsero di lì a poco. Durante quella vacanza s’innamorò perdutamente del podere La Brancaia e prima ancora che le nostre vacanze italiane fossero finite e ritornassimo in Svizzera, aveva già provveduto ad acquistarlo. Era il 1981 ma fu chiaro fin da quel momento che Brancaia dovesse diventare un’azienda importante e mio padre si adoperò per adattare la sua vocazione per il marketing e le relazioni pubbliche alla vocazione per la vigna e per il vino. Seguendo la sua natura, che non lascia mai le cose a metà, lo ha cercato il partner giusto per portare a termine questo suo grande proposito e la trovato in Lapo Mazzei, con la famiglia del quale, ancora oggi, noi continiumo ad avere rapporti di reciproco sostegno professionale oltre che di grande amicizia. Coincidenze, anelli di una fatalità, elementi che formano con il tempo una catena che ti lega a chi e a cosa non avresti mai pensato. Fu così che con qualche ettaro di vigna e con tanta passione i miei si misero a fare un po’ di vino, quasi per gioco, per piacevole passione e come divertente e coinvolgente hobby. La nostra vita comunque si svolgeva sempre in Svizzera e fu per questo che dopo le scuole superiori mi iscrissi alla facoltà di architettura sempre a Zurigo. La Toscana, pur essendo lontana, era sempre “la buona occasione” per lascia-

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re tutto e venire a trascorrere qualche giorno o qualche settimana in questo luogo magico. Dopo il secondo anno di università mi accorsi che la mia creatività non era poi così “forte” da potermi permettere in futuro una brillante carriera da architetto e fu così che decisi di prendere un po’ di tempo e non trovai migliore soluzione che venire a Brancaia per la vendemmia. Come una ragazza si può innamorare del suo principe azzurro, così io mi innamorai del bellissimo lavoro di vignaiola. Da sempre avevo avuto una grande passione per il vino, ma qui nel Chianti, lo scoprire fino in fondo tutti i segreti che rendono ogni vino diverso, unico, inimitabile, mi affascinò a tal punto che decisi di mollare tutto e dedicarmi completamente a questo nuovo amore. Prima frequentai un breve corso per apprendere le nozioni base sulla materia, poi mi iscrissi alla facoltà di enologia a Wädenswil e nel frattempo feci uno stage di un anno in un’azienda svizzera dove imparai di tutto, dalle varie tecniche utilizzate per potare la vigna a come condurre il trattore, da come e quando si vendemmia a come si imbottiglia e s’invecchia un vino. Fu una grande esperienza che facevo con la mente e con il cuore rivolto a quell’amore lontano che si chiamava Brancaia. Dopo la laurea, nel 1998, mi trasferii definitivamente in Toscana e incominciai a lavorare a tempo pieno in azienda. Il mio rapporto con Brancaia è cambiato molto da allora: da semplice casa delle vacanze si è trasformata nel luogo che, in assoluto, sento più vicino e nel quale mi sento più protetta, difesa e con il quale ho iniziato a costruire la mia vita, sia quella professionale di vignaiola, sia quella sentimentale, poiché è proprio qui che ho conosciuto mio marito ed è proprio qui che vivrà nostra figlia Nina.


Barbara Kronenberg-Widmer


LA BRANCAIA

Barbara Kronenberg-Widmer

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Brancaia Il Blu IGT Toscana Note

Zona di produzione Brancaia Il Blu è una cuvée delle migliori uve provenienti dai vigneti dei due poderi di proprietà dell’azienda: Poppi, nel comune di Radda in Chianti e Brancaia, nel comune di Castellina in Chianti: entrambi si trovano nella zona di produzione del Chianti Classico DOCG.

Tipologia dei terreni I vigneti sono posti su terreni che hanno caratteristiche morfologiche con tessitura argilloso-calcarea, con forte presenza di scheletro e si trovano a un’altitudine compresa fra i 250 e i 400 metri s.l.m. e hanno un’esposizione che varia da sud-est a sud-ovest.

razione sulle bucce, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura che a seconda delle varietà di uva sono più o meno intense; la macerazione prosegue per 14-16 giorni a temperature controllate comprese fra i 28 e i 30°C. Al termine i vini, senza alcuna chiarifica, vengono posti in barriques, per 2/3 nuove e per 1/3 di secondo passaggio, dove il vino svolge la fermentazione malolattica e dove vi rimane per 20 mesi. Terminato l’invecchiamento viene effettuato l’assemblaggio delle partite e dopo una breve sosta in tini d’acciaio il vino viene messo in bottiglia per un ulteriore affinamento di 6-8 mesi.

Quantità prodotta Uve impiegate

50000 bottiglie l’anno

Sangiovese 50%, Merlot 45%, Cabernet Sauvignon 5%

Note organolettiche

Sistema d’allevamento Cordone speronato

Densità di impianto 5680 ceppi per Ha

Di colore rosso rubino scuro, il vino si presenta con note di viola, marasca e piccoli frutti di bosco neri maturi, con un fondo di vaniglia. Dal sapore asciutto, elegante, complesso e intenso, ripropone al palato le sensazioni avvertite al naso.

Il vino raggiunge la maturità completa dopo 6-7 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 6 e i 15 anni. Dall’annata 2000 al nome “Brancaia” è stata aggiunta la definizione “Il Blu”.

L’azienda L’azienda comprende due poderi: Brancaia e Poppi, confinanti entrambi con le terre del Castello di Fonterutoli; le aziende sono di proprietà della famiglia Widmer e si estendono su una superficie complessiva di 76 Ha, di cui 20 destinati alla viticoltura e 3 destinati all’olivicoltura. La restante superficie vede in gran parte la presenza di boschi e altre colture promiscue. Collabora in azienda l’agronomo Alessandro Di Tardo; nel settore enologico la titolare Barbara Kronenberg-Widmer è assistita dal consulente esterno Carlo Ferrini. Martin Kronenberg si occupa dell’organizzazione e della pianificazione commerciale, del marketing e della distribuzione dei prodotti.

Altri vini Tecniche di produzione Dopo la vendemmia, che avviene di solito dalla metà di settembre alla metà di ottobre, a seconda della maturazione delle uve, si effettua la fermentazione alcolica che procede separatamente per ognuna di esse e che si protrae fra i 4 e i 6 giorni alla temperatura compresa fra i 28° e i 32°C, in recipienti termocondizionati di acciaio inox. Contemporaneamente si procede alla mace-

Prima annata

1988

Le migliori annate

1990 - 1994 - 1997 - 1998 1999 - 2000 - 2001

I Rossi: Brancaia Tre IGT Toscana (Sangiovese 80%, Merlot e Cabernet Sauvignon 20%) Brancaia Chianti Classico DOCG (Sangiovese con una piccola aggiunta di Merlot) Ilatraia IGT Maremma Toscana (Cabernet Sauvignon 60%, Sangiovese 30%, Petit Verdot 10%)

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Le Macchiole “

D opo questo basta”. Io lo guardavo e sorridevo. Ormai quella sua frase detta

all’avvio di un nuovo progetto era divenuta un motivo d’ilarità fra di noi. Sapevo benissimo che la cosa che si era messo in testa di realizzare avrebbe appesantito la grande mole di lavoro che mio marito si era già accollato. Ma Eugenio era così, l’ho sempre etichettato come un “sognatore concreto”, uno di quelli che non si fermano davanti a niente e vanno dritti per la loro strada convinti di ciò che devono fare. Aveva addosso una gran voglia di fare e in quella frenetica rincorsa, finalizzata all’appagamento dei suoi obiettivi, trovava mille motivazioni per andare oltre a ciò che aveva appena ottenuto. Del resto, come dargli torto? In un’azienda vitivinicola che era nata solo agli inizi degli anni ’90 ce n’erano di cose da fare e non riguardavano solo la costruzione della cantina o la realizzazione dei nuovi impianti, ma anche le cose che avevamo già fatto e sulle quali, per mancanza d’esperienza, dovevamo purtroppo tornare sopra rivedendo ciò che era stato deciso solo poco tempo prima. Quando ci trasferimmo qui avevamo nelle vigne tanta confusione; c’erano vitigni di tutti i tipi: dal Vermentino al Cabernet Sauvignon, dal Sangiovese al Merlot, al Syrah e ad altri ancora di cui non ricordo neanche il nome. Ci vollero anni perché Eugenio e l’enologo d’Attoma trovassero la strada che contribuisse a creare un distinguo nei nostri vini. Ogni cambiamento comportava mutamenti importanti sia nell’impostazione tecnica, sia nella fase commerciale. Era sempre indaffarato e si rendeva conto benissimo che il meccanismo lavorativo che aveva messo in piedi lo stava stregando fino al punto di farlo divenire la sua ragione di vita. Gli piaceva molto quello che stava facendo e non sentiva la stanchezza. Il suo era un impegno enorme, notevolmente superiore a quello di un’altra qualsiasi persona normale, che lo spingeva a fare in pochi anni quello che altri sarebbero riusciti a fare in una vita. Spesso mi guardava con un velo di tristezza, quasi volesse chiedermi scusa. Si rendeva conto che in questa sua rincorsa continua dedicava troppo poco tempo alla famiglia. Amorevolmente compresi il suo disagio e, ancora prima che lo colpisse la malattia, decisi che più che aiutarlo materialmente dovevo stargli accanto condividendo con lui il tempo. Molte volte, sacrificando anche i figli, andavo da lui e passavo ore al suo fianco. Non aveva importanza se dovevo stare in mezzo alla vigna o in cantina, l’importante era stare insieme a lui. A posteriori, molte volte mi sono domandata se quella frenetica voglia di fare fosse direttamente collegata alla inconscia consapevolezza del poco tempo che la vita gli aveva dato a disposizione. Non lo so e credo che non lo scoprirò mai, invece so che anche nella malattia mi ha dato un grande insegnamento, trovando non so dove l’energia per continuare a vivere una vita normale fino all’ultimo momento, arrivando persino a prendere un appuntamento con un giornalista il suo ultimo giorno di vita. Di questa sua energia ho fatto tesoro e quando è stato il momento di decidere cosa avrei dovuto fare non ho avuto nessun dubbio sul fatto che quel suo sogno era divenuto ormai anche il mio ed

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era giusto che continuassi a fare vino. È nel suo ricordo e per quello che avevamo condiviso per anni che ho deciso di continuare sulla strada che lui aveva tracciato, certamente grazie alla sua concretezza, caparbietà e lungimiranza, ma anche grazie al nostro grande amore, alla serenità e alla tranquillità che eravamo riusciti a costruire all’interno del nostro rapporto e per il grande sogno che avevamo di dare un futuro ai nostri figli. Perché non avrei dovuto provarci? Fra le mille cose che mi ha insegnato mio marito ho imparato quella di non abbattermi mai e a trovare la forza dentro me stessa per risolvere i problemi, poiché lui sosteneva che ogni problema aveva una sua soluzione. Ci sono anche dei ragionevoli momenti di défaillance del tutto comprensibili per una donna sola che si è trovata a vivere un’esperienza dolorosa e traumatica come la mia. In quei momenti mi rifugio in mezzo alle vigne e nei loro silenzi cerco di rasserenarmi e di ritrovare la forza e le risposte alle problematiche che devo risolvere se non voglio che arrivino a logorami dentro. Spesso mi domando cosa avrebbe fatto al mio posto Eugenio in quella circostanza, quale sarebbe stata la sua soluzione. Mi chiudo un po’, poi mi asciugo gli occhi e vado avanti per la mia strada. Sono sicura che lui approverebbe avendo sempre voluto intorno a sé persone che ragionano a modo loro, con equilibrio e giustizia, per il bene della causa ed è ciò che io faccio. Devo dire che dentro ho ancora un po’ di rabbia per quello che è accaduto e non tanto per me quanto per come sono andate le cose a lui, è una rabbia triste, ma potente, che mi dà forza ed energia nei confronti della vita. Sono sicura del resto che presto si placherà; il tempo è un grande gentiluomo che sa con quali unguenti curare le ferite più dolorose. Continuo a fare vino, come avrebbe continuato a fare lui e in questo metto tutta me stessa. Mi piace fare ciò che faccio e con i miei due figli Elia e Mattia, oggi che sono più grandi, discuto di questo, parlo loro dei progetti futuri e di tutte le cose avviate che sono ancora da completare. I ragazzi mi seguono attentamente e mi rendo conto che si sentono già parte integrante dell’azienda che hanno vissuto fin dalla loro tenera età accanto al padre. Devo dire che è stato piacevole vedere come al più piccolo sia venuto in mente lo slogan per la nostra cantina che io, del resto, cercavo di creare. “Un sogno lungo una vita”, così se ne uscì una volta… Mi è piaciuto molto quel suo pensiero profondo e forse ha ragione lui, dato che in quelle poche parole si racchiude il sunto di una vita, il sogno di Eugenio e il mio. Oggi è divenuto ancora più importante approfondire in modo incisivo il percorso che abbiamo disegnato io ed Eugenio, perché i nostri figli abbiano, un giorno, più possibilità fra cui poter scegliere. Devo riconoscere che c’è ancora qualche cosa da fare per consolidare tutto ciò; sono delle piccole cose, ma “dopo queste basta”.


Cinzia Merli Campolmi


LE MACCHIOLE Cinzia Merli Campolmi

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Paleo Rosso IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

Il Paleo Rosso è un vino prodotto dalla selezione delle migliori uve Cabernet Franc provenienti dai vigneti di proprietà dell’azienda e posti a Bolgheri, nel comune di Castagneto Carducci.

Dopo la vendemmia, che avviene di solito a partire dai primi di settembre, si avvia la fermentazione alcolica che dura 7 giorni ad una temperatura di 27-30°C in vasche di acciaio inox; contemporaneamente si procede anche alla macerazione sulle bucce che si protrae per 20 giorni sempre a temperatura controllata coadiuvata da tecniche di délestage. Trascorso questo periodo, il vino è posto per il 50% in barrique di rovere francese nuove e di secondo passaggio da 225 litri, mentre l’altro 50% viene messo in botticelle da 112 litri; qui effettua la fermentazione malolattica e rimane 18 mesi per la maturazione. Trascorso questo periodo, dopo l’assemblaggio della partite, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento che prosegue per almeno altri 12 mesi prima della commercializzazione.

Tipologia dei terreni I vigneti si trovano su terreni composti da argilla, limo e sabbia con presenza di scheletro ad un’altitudine di 60 metri s.l.m. con un’esposizione a est-ovest/nord-sud.

Uve impiegate Cabernet Franc 100%

Sistema d’allevamento Doppio guyot e cordone speronato doppio

Densità di impianto

Prima annata

1989

Le migliori annate

1995 - 1997 - 1999 2000 - 2001 Note Paleo è un termine toscano che indica un’erba spontanea che cresce in campagna. Fino all’annata 2000 il vino è stato prodotto come blend di Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc in percentuali variabili di anno in anno. Dall’annata 2001 viene invece utilizzato il 100% di Cabernet Franc. Il vino raggiunge la maturità dopo 5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 12 anni.

5-10000 ceppi per Ha

Quantità prodotta 20000 bottiglie l’anno

Note organolettiche Colore rosso rubino cupo; intriganti profumi di frutti di bosco maturi, vaniglia e pepe nero a cui si aggiungono note balsamiche e salmastre. Di grande spessore all’esame gustativo, risulta ben strutturato, con tannini avvolgenti; al retrogusto è lungo e molto persistente con un finale leggermente vegetale.

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Messorio IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

Note

Messorio è un vino prodotto dalla selezione delle migliori uve Merlot provenienti dai vigneti di proprietà dell’azienda e posti a Bolgheri, nel comune di Castagneto Carducci.

Messorio è un nome di fantasia. Il vino, che non è stato prodotto nell’annata 1996, raggiunge la maturità dopo 5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 12 anni.

Merlot 100%

Dopo la vendemmia, che avviene di solito dalla fine di agosto alla metà di settembre, si avvia la fermentazione alcolica che dura 7 giorni alla temperatura di 27-30°C in vasche di acciaio inox; contemporaneamente si procede anche alla macerazione sulle bucce, coadiuvata da tecniche di délestage, che si protrae per 20 giorni. Successivamente il vino è posto in botticelle di rovere da 112 litri in cui si effettua la fermentazione malolattica e dove rimane per la maturazione 18 mesi, trascorsi i quali è imbottigliato per un ulteriore affinamento che prosegue per almeno 12 mesi.

Sistema d’allevamento

Quantità prodotta

Guyot e cordone speronato doppio

8000 bottiglie l’anno

Densità di impianto

Note organolettiche

5-10000 ceppi per Ha

Colore rosso rubino scuro, profumi complessi di confettura di frutta rossa, spezie dolci e cioccolato; denso e di grande struttura in bocca, ma allo stesso tempo assai elegante ed equilibrato; tannini morbidissimi; molto lunga la persistenza aromatica con un retrogusto in cui emergono note balsamiche.

Tipologia dei terreni I vigneti si trovano su terreni composti da argilla, limo e sabbia con presenza di scheletro ad un’altitudine di 60 metri s.l.m. con un’esposizione a est-ovest/nord-sud.

Uve impiegate

Prima annata

1994

Le migliori annate

1997 - 2000 - 2001

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L’azienda Fondata nel 1975, di proprietà di Cinzia Merli Campolmi, l’azienda si estende su una superficie complessiva di 22 Ha, tutti vitati. Collabora in azienda l’enologo Luca d’Attoma.

Altri vini I Bianchi: Paleo Bianco IGT Toscana (Sauvignon 60%, Chardonnay 40%) I Rossi: Scrio IGT Toscana (Syrah 100%) Macchiole IGT Toscana (Sangiovese 80%, Cabernet Franc 10%, Merlot 10%)



Marchesi De’ Frescobaldi Sono nato il 30 novembre del 1928 e credo di non essere smentito quando affermo di appartenere a quella categoria di “contadini” che hanno contribuito a fare la storia della viticoltura in Toscana, forse non tutta, ma senz’altro quella degli ultimi cinquant’anni. Questa è la storia che mi ha visto protagonista, che mi ha plasmato sia come uomo, sia come imprenditore, il quale si è trovato interprete, per mezzo secolo, dei grandi cambiamenti strutturali, sociali ed economici che hanno interagito fra la terra e chi l’ha sempre vissuta. È dal 1953, da quando sono entrato a lavorare nelle aziende di famiglia, dopo essermi laureato alla facoltà di Agraria, che mi occupo di vigne e di vino, con una predilezione per la vite e per la terra, perché devo dire che è stata la terra che a noi Frescobaldi ha dato in passato le maggiori soddisfazioni e non ci ha mai tradito ed è anche per questo che mi sento forse più contadino che vignaiolo. Potrei raccontare della riforma agraria di De Gasperi del 1950, che in qualche modo incominciò a colpire solo in alcune aree i latifondisti, anche se noi non fummo colpiti, perché le aziende non erano incluse nei territori sottoposti ad esproprio. Potrei immergermi in disquisizioni tecniche che, dopo la nascita del Mercato Comune Europeo, videro arrivare per la precaria economia agricola italiana non solo direttive precise, ma anche i primi finanziamenti, come quelli strutturali “Feoga” che dettero il via alla trasformazione delle strutture aziendali; nella Toscana collinare si crearono aziende viticole più moderne, che furono le basi per rendere poi negli anni famosi i vini toscani e così apprezzato il nostro paesaggio, che dal crescente abbandono riacquistò un aspetto più accudito. Anche noi decidemmo che dovevamo cavalcare il trend di sviluppo che la comunità

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europea si era imposta per tutta l’agricoltura del vecchio continente - ancora molto arretrata - e fra le molteplici opportunità che si presentarono ritenemmo interessanti, come fonte di sostentamento delle nostre terre, la vite e il vino, viste le caratteristiche morfologiche delle nostre aziende che comprendevano già a quei tempi le Tenute di Pomino, Nipozzano, Remole, Castiglioni e Montagnana, tutte in collina. Fu così che piantammo le viti anche noi e in tre anni, dal 1968 al 1971, furono più di 300 gli ettari di vigne impiantati sulle nostre proprietà. Facemmo molta strada, se si pensa che dal 1968 al 1974 diventammo i più grandi viticoltori italiani con quasi 600 ettari di vigne. Potrei parlarvi degli anni del surplus del vino che mise in difficoltà tante aziende e del grande sollievo che ebbi nel constatare la grande rinascita del vino in Toscana e dell’enfasi e delle sollecitazioni con le quali il mercato rispondeva alle nostre idee e al nostro lavoro. Oggi è iniziata una nuova era, un nuovo rinascimento del vino e non posso altro che esprimere il grande senso di soddisfazione per quanto sta accadendo. Con i miei cinquant’anni passati nelle vigne e a contatto con la terra ed avendo creato una visuale ampia delle cose che mi circondano, so che il successo va e viene; per questo, sapendo che i risultati positivi non si ottengono con il lavoro di una sola persona e che un’azienda come la nostra ha bisogno di passione e dedizione a qualsiasi livello di responsabilità, sostengo che la miglior arma di difesa sia il rispetto per le cose e per le persone che si sacrificano intorno a noi, perché in esse ho trovato la forza di superare i momenti difficili e le risorse morali per costruire il futuro. Per questo vorrei dire ai miei figli di essere forti anche nei momenti difficili, fedeli alla terra, aperti all’innovazione, determinati per conseguire l’eccellenza.


Vittorio Frescobaldi


MARCHESI DE’ FRESCOBALDI Vittorio Frescobaldi

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Luce IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

Note organolettiche

I vigneti di Luce sono situati presso il comune di Montalcino. Nel 1995, le famiglie Frescobaldi e Mondavi hanno acquistato una tenuta che comprende 16,5 Ha di vigneto appositamente per la produzione di questo vino, in un’area ben conosciuta dai Frescobaldi in quanto confinante con l’estesa proprietà di Castelgiocondo.

Dopo la vendemmia, che avviene per il Merlot nella seconda decade di settembre e per il Sangiovese nella prima decade di ottobre, si avvia la fermentazione alcolica che procede separatamente per ogni varietà e si protrae fra gli 8 e i 10 giorni ad una temperatura inferiore ai 35°C, in recipienti termocondizionati di acciaio inox; contemporaneamente si procede anche alla macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, prosegue invece per circa 4 settimane sempre a temperature controllate. Terminata questa fase, i vini, separatamente e senza alcuna chiarifica, effettuano la fermentazione malolattica in barriques francesi a grana fine, nuove per il 90% e per un 10% di secondo passaggio, dove vi rimangono per 12 mesi. Trascorso questo periodo è effettuato l’assemblaggio delle partite e dopo una sosta di 6 mesi in botti di rovere di Slavonia, il vino è leggermente filtrato e imbottigliato per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 12 mesi.

Il vino si presenta di un colore rosso rubino molto intenso, con dei profumi complessi, all’inizio con note di tabacco e cuoio, per poi aprirsi al fruttato maturo e a note speziate di cannella e chiodi di garofano. Al gusto risulta ben strutturato, cremoso, con tannini morbidi, carnoso; al retrogusto è persistente.

Tipologia dei terreni Il vigneto si trova su terreni che presentano una tessitura di scisti argillosi, come galestro, alternati a zone di calcari silicei ed è posto a un’altitudine compresa fra i 350 e i 420 metri s.l.m. con un’esposizione a sudovest.

Uve impiegate Sangiovese 50%, Merlot 50%

Sistema d’allevamento Cordone speronato

Densità di impianto

Prima annata

1993

Le migliori annate

1995 - 1997 - 1999 - 2001 Note Il vino, che prende il nome dall’omonimo vigneto, raggiunge la maturità solo dopo 3 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 4 e gli 8 anni. L’età media del vigneto è di 27 anni.

3500 ceppi per Ha

Quantità prodotta 110000 bottiglie l’anno

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Lamaione IGT Toscana L’azienda

Zona di produzione Lamaione è un cru di uve provenienti dal vigneto omonimo di 12 Ha che si trova nella tenuta di Castelgiocondo di proprietà dei Marchesi De’ Frescobaldi, inserito nella zona collinare sud del Comune di Montalcino e nell’area di produzione del Brunello di Montalcino DOCG.

late comprese fra i 28 e i 30°C. Terminata questa fase, il vino, senza alcun filtraggio, viene posto in barriques francesi a grana fine nuove dove effettua la fermentazione malolattica e dove vi rimane per 24 mesi. Dopo di che il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 12 mesi.

Tipologia dei terreni Il vigneto si trova su terreni che presentano una tessitura di scisti argillosi, come galestro, alternati a zone di calcarei silicei con rare presenze di sabbie ed è posto a un’altitudine di circa 400 metri s.l.m. con un’esposizione a nord-ovest.

Uve impiegate Merlot 100%

Sistema d’allevamento

Quantità prodotta 30000 bottiglie l’anno

Note organolettiche Di colore rosso porpora con sfumature violacee, il vino ha profumi molto intensi con note fruttate di ribes nero, mora e prugna fresca, con note leggere di vaniglia. Al palato risulta avvolgente; di grande spessore; in bocca si mantiene potente per un lungo periodo.

Cordone speronato basso

Prima annata Densità di impianto

1991

5500 ceppi per Ha

Le migliori annate Tecniche di produzione Dopo la vendemmia, che avviene di solito nelle prime settimane di settembre, si avvia la fermentazione alcolica che si protrae per circa 12 giorni alla temperatura massima di 30°C in recipienti termocondizionati di acciaio inox; contemporaneamente si procede anche alla macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura leggere, si protrae invece per altre 4 settimane sempre a temperature control-

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Le aziende nelle quali sono prodotti i vini inseriti nella pubblicazione fanno parte delle proprietà dei Marchesi De’ Frescobaldi che si estendono su una superficie di 1300 Ha circa, di cui circa 350 vitati. A Castelgiocondo sono 815 Ha, di cui 235 vitati, al Castello di Nipozzano sono 626 Ha, di cui 213 vitati. Il restante territorio vede la presenza di boschi e di colture promiscue. Collaborano in azienda come agronomi Daniele Settesoldi e Ermanno Morlacchetti e come enologo Nicolò d’Afflitto.

1995 - 1997 - 1999 2000 - 2001 Note Il vino, che prende il nome dall’omonimo vigneto, raggiunge la maturità solo dopo 45 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 20 anni.

Altri vini I Rossi: Chianti Rufina Nipozzano DOCG Riserva (Sangiovese 90%, Malvasia nera, Colorino, Merlot e Cabernet Sauvignon, 10%) Chianti Rufina Montesodi DOCG (Sangiovese 100%) Castelgiocondo Brunello di Montalcino DOCG (Sangiovese 100%) Castelgiocondo Brunello di Montalcino DOCG Riserva (Sangiovese 100%) Campo ai Sassi Rosso di Montalcino DOC (Sangiovese 100%) Mormoreto IGT Toscana (Cabernet Sauvignon 60%, Merlot 25%, Cabernet Franc 15%)



Monte Bernardi I o amo questa storia che vi sto per raccontare, perché in essa è racchiusa la sin-

tesi di ciò che può riuscire a fare la volontà e la passione di due fratelli come Michael e Jennifer. Si tratta di una splendida storia intrisa di un grande sentimento e di una travolgente passione per la terra, per la famiglia, per la vita. Una storia a buon fine che narra del grande desiderio che aveva la famiglia Schmelzer di ritrovarsi in un luogo dove far attecchire le proprie radici. Quello che loro cercavano doveva essere un luogo magico, unico, pieno d’energia, il sunto positivo di ogni luogo dove i membri della famiglia avevano vissuto; un posto dove assaporare il gusto di sentirsi in famiglia. Volevano un posto per ritrovarsi intorno ad un tavolo tutti assieme, un tetto sotto il quale sentirsi definitivamente a casa e al quale magari pensare quando uno di loro fosse stato lontano. Le case non mancavano, ne avevano diverse sparse per il mondo, ma tutte le volte, inspiegabilmente, se ne allontanavano con delle scuse o con la ferma convinzione di andare a ricercare altrove le cose che lì non trovavano. Ognuno seguiva la propria strada. Papà e mamma Schmelzer rincorrevano i numerosi impegni professionali in giro per il mondo, mentre i tre figli si allontanavano di continuo per la loro formazione universitaria e per il lavoro: la protagonista, Jennifer, lavorando per diversi anni, dopo la laurea in Ingegneria Civile, in una grande società di consulenza di Berlino, mentre l’altro protagonista, Michael, dopo aver conseguito diverse lauree ed essere divenuto prima dottore in Marketing Amministrativo in Colorado a poi Enologo in Australia, si era messo alla ricerca di un luogo dove sperimentare tutto quello che l’università non gli aveva insegnato. L’altro fratello David, invece, sta terminando un Master in Ingegneria Elettrica in California; magari, un giorno, potremo vedere anche lui a Panzano... Spesso ognuno di loro era agli antipodi del mondo, chi a destra e chi a sinistra, non solo alla ricerca di un’autogratificazione che andava oltre l’aspetto economico, che a loro non è mai venuto meno, ma anche di un qualcosa che li rendesse soddisfatti di ciò che facevano. Michael, dopo aver vissuto, studiato e lavorato negli Stati Uniti, in Francia, in Germania, in Gran Bretagna e in Australia decise che era giunto il momento di trovare un’azienda con la quale provare a fare cose importanti. Di quest’idea era anche la bellissima Jennifer, che non trovava più appagante lavorare per una grande azienda e voleva intraprendere una sua attività; anche lei, come suo fratello, voleva una cosa che fosse il sunto dei loro sogni o che fosse almeno uno

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scrigno in grado di racchiuderli e diventasse un buon rifugio per tutta la famiglia. Con i loro figli sparsi nel mondo, mamma e papà Schmelzer pensarono ad un modo per riunire la famiglia. Fu così che, di comune accordo, si misero alla ricerca di un’azienda vitivinicola che esaudisse il desiderio professionale di Michael e la voglia di serenità di cui aveva bisogno Jennifer. Uno cercava un luogo nel quale trasferire il suo grande amore per la terra, dove poter fare il suo grande vino, l’altra voleva soddisfare il desiderio di metter su un’attività in proprio dove avrebbe potuto conciliare casa e lavoro. Vi domanderete com’è stato possibile che fra tutti i luoghi del mondo dove sarebbero potuti andare, siano approdati proprio a Panzano nel Chianti. È risaputo che nel cosmo ci sono forze sconosciute, elementi che la casualità ogni tanto fa incontrare quando è tempo che essi s’incontrino. Dopo aver girato in lungo e in largo per il mondo, come zingari, pensate che sia stato un caso l’incontro con lo zingaro Stak Aivaliotis che produceva un grande vino dall’affascinante nome Tzingana? Chi non crede alla casualità delle cose è uno sciocco. Era scritto che questo piccolo pezzo di Chianti e di Toscana diventasse di proprietà della famiglia Schmelzer. Troppe concause si erano verificate e avevano coinciso; vite fino allora sconosciute all’improvviso si erano venute a incontrare; elementi valutativi che ricercavano il soddisfacimento dei bisogni di chi, come Stak, voleva vendere solo a chi fosse stato in grado di capire l’unicità di quella sua piccola azienda vitivinicola e di chi, come Michael e Jennifer, cercava solo cose uniche. Io, che conosco bene la storia come elemento informato dei fatti, vi posso assicurare che voci attendibili affermano che i due fratelli, dopo aver visto l’azienda, erano desiderosi di ottenerla ad ogni costo. Dicono che siano stati stregati e affascinati da Monte Bernardi fino al punto di essersene innamorati immediatamente, definendo quel luogo il sunto perfetto di ciò che essi cercavano. Certamente per il Chianti non è una novità confrontarsi con culture cosmopolite come quella della famiglia Schmelzer. Ormai fra queste vigne si parlano quasi tutte le lingue del mondo e credo che sia il grande fascino che suscita questa bellissima zona della Toscana; inoltre si dice che i due ragazzi si siano integrati perfettamente nella comunità di Panzano, la quale sembra li abbia accolti molto bene. Del resto non poteva essere diversamente: quando si ha a che fare con tanta energia positiva come la loro, si comunica meglio. Non credete?


Jennifer - Michael Schmelzer


MONTE BERNARDI Michael e Jennifer Schmelzer

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Tzingana IGT Toscana Note

Zona di produzione Tzingana è un vino ottenuto dalla selezione delle uve prodotte dalla fattoria di Monte Bernardi che si trova nella parte collinare a sud di Panzano in Chianti, nel comune di Greve in Chianti, nella zona di produzione del Chianti Classico DOCG.

Tipologia dei terreni I vigneti sono posti su terreni che presentano una tessitura compatta con presenze di galestro e alberese e si trovano a un’altitudine di 300 metri s.l.m con un’esposizione a sud.

Uve impiegate

ratura massima di 30°C in piccoli recipienti di acciaio inox a bocca aperta. Contemporaneamente la macerazione sulle bucce, coadiuvata da tecniche di follatura manuale che avviene attraverso 5-6 operazioni giornaliere, prosegue per altri 13-17 giorni. Terminata questa fase, il vino, senza alcuna chiarifica, effettua la fermentazione malolattica in barriques di Allier, per il 30% nuove e per il 70% di secondo passaggio, dove rimane per 12 mesi. Dopo l’assemblaggio delle partite il vino è imbottigliato, senza filtraggio, per un affinamento di 12 mesi.

Merlot 45%, Cabernet Sauvignon 28%, Cabernet Franc 16%, Petit Verdot 11% (percentuali che variano di poco tutti gli anni)

Quantità prodotta

Sistema d’allevamento

Note organolettiche

Guyot doppio

Di colore rosso rubino intenso con evidenti riflessi bluastri, il vino ha un profumo fine, etereo, con aromi di frutta rossa, spezie dolci e note vegetali. Al palato è caldo, con tannini morbidi equilibrati, molto persistente.

Densità di impianto 3500 ceppi per Ha

Tecniche di produzione Dopo la vendemmia, che avviene per tutti gli uvaggi in un’unica soluzione nella prima settimana di ottobre, si procede alla lavorazione di tutte le uve, che insieme subiscono una pre-fermentazione che si protrae per 4-6 giorni in ambienti termocondizionati ad una temperatura compresa tra i 12 e i 14°C. Trascorsi questi giorni si fanno risalire le temperature affinché il vino possa svolgere la fermentazione alcolica che si protrae per 13-17 giorni alla tempe-

2000 bottiglie l’anno

Prima annata

1994

La peculiare caratteristica di questo vino è la lavorazione contemporanea di tutte le uve in un unico procedimento di vinificazione. Questo elemento di distinguo è reso possibile dal fatto che per ogni vite sono stati selezionati la migliore esposizione e il miglior terreno, affinché la maturazione possa avvenire per ogni uvaggio in tempi molto simili. È il vino che indubbiamente ha portato alla notorietà l’azienda di Monte Bernardi. In vigna si hanno al massimo 25 quintali di resa per ettaro. Il vino raggiunge la maturità solo dopo 5-6 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 6 e i 15 anni. Tzingana è un nome di fantasia attribuito da Stak Aivaliotis, precedente proprietario dell’azienda, agli uvaggi internazionali che compongono il suo vino, che, “come una sorta di zingari, girano tutto il mondo”.

L’azienda L’azienda, di proprietà di Michael e Jennifer Schmelzer dal 2003, si estende su una superficie di 53 Ha, di cui solo 5 destinati alla viticoltura. In azienda collaborano come responsabile delle vigne e della cantina Roberto Mogni, come consulenti, sia l’enologo Giorgio Marone, sia l’agronomo Valerio Barbieri.

Le migliori annate

1995 - 1997 - 1999 - 2001

Altri vini Sa’etta (Sangiovese 100%) Chianti Classico DOCG (Sangiovese 95%, Canaiolo 5%)

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Montevertine L a “continuità nella diversità” è stato da sempre il miglior slogan coniato per

descrivere chi siamo e ciò che è Montevertine. Un pensiero forte e preciso che ha lasciato poco spazio alle divagazioni sul tema del vino o all’ingresso dell’innovazione fine a se stessa nella nostra azienda; uno slogan che mi ha consentito di avere ben chiara, davanti a me, la strada da seguire. Da trentacinque anni in azienda seguiamo questo motto che ci ha permesso di entrare a pieno titolo nella tradizione vitivinicola del Chianti. È una filosofia di vita, alla quale io credo; una filosofia che ci ha fatto diventare vignaioli, che ha costruito una scuola di pensiero, divenendo, nel tempo, un punto di riferimento dal quale incominciare a partire per dialogare sul vino di Toscana. Ne sono passati di anni da quando mio padre Sergio, nel 1967, comprò questa tenuta di 36 ettari e, anche se il tempo corre e le persone care ci lasciano, percepisco, guardandomi intorno, solo minimi cambiamenti strutturali e non sostanziali cambiamenti concettuali, nella gestione delle risorse aziendali. Non vedo differenze eclatanti fra ciò che eravamo e ciò che siamo, vedo, invece, continuità sul nostro modo di interpretare il rapporto con la terra, con la vigna e con quelle risorse umane che fanno grande Montevertine. Al tempo in cui mio padre entrò in possesso della tenuta, al suo interno vi lavorava la famiglia Bini e ancora oggi, Bruno, dopo trentacinque anni lavora con noi; anche Giulio Gambelli, l’enologo, era prima di tutto amico d’infanzia di mio padre e pure lui è rimasto al nostro fianco dopo tutti questi anni; anche le vigne, quelle ad alberello, quelle “torte”, vecchie già quando arrivammo qua, sono rimaste al loro posto e vengono sostituite gradatamente, con una selezione massale, man mano che muoiono. Anche nella cantina la tecnologia è entrata in punta di piedi, perché siamo sicuri che nell’enologia non si debba inventare niente al di fuori di quello che è gia stato sperimentato da centinaia d’anni. I tini continuano a essere in cemento, le vinificazioni le più tradizionali e naturali possibili, e in tutti questi anni non abbiamo mai dato spazio agli “attrezzi” in grado di modificare il vino, come i fermentatori o i concentratori;

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abbiamo, invece, dato importanza agli “strumenti” che servissero a migliorare il nostro lavoro. È soprattutto nella vigna che abbiamo cercato di rispettare il meraviglioso rapporto che si è costituito nel tempo fra il nostro Sangiovese e Montevertine. Indubbiamente siamo stati agevolati dalla posizione, dall’altitudine, dai terreni ricchi d’alberese, dalla scelta della tipologia degli impianti e dalla loro densità, oltre che dal mantenimento di quegli antichi vitigni come il Canaiolo, il Colorino, la Malvasia Nera e il Sangiovese, qui da sempre e che forse non erano qui per caso. Qui a Montevertine, ci sentiamo molto tradizionalisti, quasi “normali”, devo dire, ma è con questa normalità che riusciamo a garantire nel tempo, ai nostri estimatori, la qualità dei nostri vini. “Continuità nella normalità”, quindi, anche se per quelli che rincorrono a tutti i costi il nuovo, l’estroso, il diverso, la nostra normalità ha più il significato di diversità che d’altro. Si, senza dubbio noi siamo diversi, perché siamo stati sempre poco inclini ai mutamenti astrusi fini a se stessi; non amiamo le mode, non abbiamo mai rincorso il mercato, quel mercato pazzo che oggi ti esalta e domani ti distrugge. Siamo stati sempre lontani anni luce da tutte quelle correnti di pensiero che ci chiedevano vini corposi, duri, vini da “spalmare”. Siamo sempre stati fedeli a noi stessi, puntato sulla personalità del nostro territorio, sulla caratterizzazione del nostro uvaggio principe, il Sangiovese. Abbiamo ritenuto utile fare questo perché i risultati si ottengono con la perseveranza, con la continuità del lavoro e con il mettere a frutto gli errori e la sperimentazione del passato. È la continuità che ci ha consentito di scoprire le grandi potenzialità del nostro principe di casa, il Sangiovese; i vignaioli sanno che è una gran fatica avere a che fare con un vitigno così ostico, ma noi, con un lavoro durato ben 35 anni, siamo riusciti a valorizzarlo.


Martino Manetti


MONTEVERTINE Martino Manetti

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Le Pergole Torte IGT Toscana Zona di produzione

Quantità prodotta

Le Pergole Torte è un vino che nasce dalla selezione delle migliori uve di Sangiovese della tenuta di Montevertine a Radda in Chianti.

22000 bottiglie l’anno

Note organolettiche

I vigneti si trovano su terreni che hanno una tessitura ricca d’alberese, un’altitudine di 400 metri s.l.m., con un’esposizione est / sud-est.

Di colore rosso rubino, il vino si presenta con forti sentori fruttati con prevalenza di ciliegia marasca ben integrata con la nota di vaniglia. Al palato è molto strutturato ed equilibrato, con una componente tannica armonica ed elegante; al retrogusto è persistente e pulito.

Uve impiegate

Prima annata

Tipologia dei terreni

L’azienda La fattoria di Montevertine, di proprietà della famiglia Manetti dal 1967, si estende su una superficie complessiva di 36 Ha, di cui 13 vitati e 2 dedicati all’olivicoltura. I restante territorio è per gran parte ricoperto da boschi. Collaborano in azienda l’agronomo Bruno Bini e l’enologo Giulio Gambelli.

Altri vini Sangiovese 100%

1977

Sistema d’allevamento

Le migliori annate

I Bianchi: Bianco di Montevertine (Trebbiano 50%, Malvasia 50%)

Note

I Rossi: Montevertine (Sangiovese 90%, Canaiolo 10%) Pian del Ciampolo (Sangiovese 90%, Canaiolo 10%)

Guyot

Densità di impianto

1981 - 1983 - 1985 1988 - 1990 - 1995 1997 - 1999 - 2001

3000 ceppi per Ha

Tecniche di produzione Dopo la vendemmia, che avviene alla metà di ottobre, si procede alla fermentazione alcolica che si effettua per circa 8-10 giorni ad una temperatura libera in tini di cemento. Contemporaneamente la macerazione sulle bucce, prosegue per altri 14-15 giorni. Terminata questa fase il vino effettua la fermentazione malolattica nei tini di cemento e solo in seguito è messo a maturare, prima in botti di rovere di Slavonia per 18 mesi e poi in barriques di Allier per 6 mesi. Terminato l’invecchiamento, il vino è assemblato e dopo un breve periodo, senza essere filtrato, è imbottigliato per un ulteriore affinamento che prosegue per 6 mesi.

Le Pergole Torte è il nome della prima vigna piantata a Montevertine nel 1967. Il vino raggiunge la maturità solo dopo 6-7 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 7 e i 15 anni. Il vino è stato imbottigliato tutti gli anni tranne che nel 1984, 1989 e 1991. L’età media delle vigne utilizzate per Le Pergole Torte supera i 20 anni. Dall’annata 1982 per le etichette vengono utilizzate opere del maestro Alberto Manfredi.

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Morisfarms Ci sono degli anni che segnano in modo chiaro e preciso la vita di una perso-

na o di un’azienda; nel mio caso specifico, il momento che fa da spartiacque tra il “prima” e il “dopo” è contraddistinto dal 1988. Ricordo che in quell’anno, personalmente e imprenditorialmente, effettuai uno di quei salti di paradigma che ognuno di noi compie ogni tanto; il mio fu un salto importante, attraverso il quale mi trovai a riconsiderare in modo critico l'impegno assunto nei dieci anni precedenti, partendo dal mio ingresso nell’azienda Moris e giungendo al Vinitaly di quel 1988. Questo salto mi condusse a dure riflessioni sul mio operato e su quello dell’intero movimento vitivinicolo maremmano di quei tempi. In un brevissimo periodo, stranamente, mi resi conto di quanto il lavoro fin lì svolto non mi avesse condotto ad alcun risultato cospicuo. L’unico merito che riuscivo ad attribuirmi, in tutti quegli anni, era quello di aver almeno innescato un meccanismo di riflessione che nel tempo aveva, sia innalzato il livello culturale dell’azienda nei confronti del mercato, sia contribuito a far diventare acquisite alcune procedure e meccanismi operativi che nel tempo si sono poi dimostrati utili per il raggiungimento di un livello qualitativo dell’intera filiera produttiva della Moris Farms cui aspiravamo. Eppure le premesse della partecipazione al Vinitaly potevano far pensare a ben altri risultati. Ricordo che a quei tempi la Camera di Commercio di Grosseto organizzava un pullman per noi produttori e quell’anno, tutti insieme, così come gli anni precedenti, partimmo per la fiera con molto entusiasmo e con la scommessa che quella sarebbe stata la manifestazione della svolta definitiva per l’enologia maremmana. Tutti eravamo convinti che dentro a quelle bottiglie che ci portavamo dietro ci fossero dei grandi vini e poi, andare al Vinitaly era un momento goliardico di riunione fra produttori, un’entusiasmante escursione fra amici che attendevano, di lì a poco, il confronto con il mondo enologico internazionale con molta sfrontatezza. Rammento che proprio quell’anno portai con me il mio cantiniere Ilio Provenni, un mito a Massa Marittima, un personaggio unico nel suo genere, il quale in poco tempo si fece amici tutti i produttori presenti sul pullman: essendo affamato, tirò fuori del sacco una pagnotta di pane ripiena di fegatelli e un

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bottiglione di vino che in un batter d’occhio si vide costretto a dividere con gli altri compagni di viaggio. Non molto tempo fa, questa era la maremma enologica: un’armata Brancaleone, specchio fedele dello spirito avventuriero che da sempre contraddistingue gli uomini che lavorano questa terra di frontiera ed essi, attraverso ciò che i vecchi avevano insegnato loro, cercavano faticosamente di crearsi uno spazio d’ascolto nel mondo del vino. Molti produttori oggi si sono dimenticati di tutto questo; invece a me piace ricordare quegli anni, decisamente bui sotto tutti i punti di vista, sia per le soddisfazioni, sia per il risultato economico. Erano momenti cupi e, nonostante quello che se ne dice, momenti dove gran parte del movimento vitivinicolo toscano era sprofondato in un baratro ed era solo da alcune zone che si percepiva, chiaramente, la volontà di uscire da questo letargo e incominciare a recuperare il tempo perduto. Mi piace ricordare e tener presente tutto questo per non lasciarmi andare oggi a facili entusiasmi. Travolto da quel Vinitaly, nel quale ebbi chiara l’idea della nostra pochezza, con il morale a terra, rammento che appena tornato a casa convocai subito il consiglio d’amministrazione della società Moris, affinché si decidesse di seguire una nuova strada operativa, diversa da quella che avevamo percorso fino ad allora, che puntasse chiaramente verso la qualità. Fu così che ascoltando le chiacchiere di amici come Gioacchino Nannoni, presi contatto con l’enologo Attilio Pagli, allievo di Giulio Gambelli, di cui si sentiva parlare molto bene. Infatti egli poi si dimostrò capace di lavorare bene il Sangiovese, di fare un grande Morellino, nonché in grado di intervenire sui corpi aziendali che avevamo, con quasi 70 Ha di vigne, una parte a Poggio La Mozza a Grosseto, nell’area del Morellino appunto, e l’altra nella zona dei “Poggetti” a Massa Marittima. Con lui si modificarono molte cose, se ne migliorarono moltissime altre, costruendo insieme un percorso chiaro e preciso orientato alla valorizzazione del terroir che avevamo. Oggi mi rendo conto che, pur essendo appena all’inizio di questo lungo cammino, i grandi risultati prefissati sono meno lontani, ma anche se sembra che tutto oggi vada bene, mi piace ricordare quel Vinitaly del 1988.


Adolfo Parentini


MORISFARMS Adolfo Parentini

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Avvoltore IGT Toscana Note

Zona di produzione Avvoltore è una cuvée d’uve provenienti dal vigneto Poggio dell’Avvoltore posto nelle vicinanze di Massa Marittima, nella zona di produzione del Monteregio DOC.

Tipologia dei terreni Il vigneto si trova su un terreno argilloso ricco di scheletro, tendenzialmente alcalino con una pendenza del 15%, ad un’altitudine di 80 metri s.l.m. con un’esposizione a sud-ovest.

Terminata questa fase, senza alcuna chiarifica, i vini sono messi in barriques di rovere francese, per l’80% nuove e il 20% di secondo passaggio, nelle quali avviene la fermentazione malolattica. Trascorsi 6 mesi è effettuato l’assemblaggio delle partite, dopo di che il vino è rimesso in barriques dove vi rimane per altri 6 mesi. Terminato l’invecchiamento, il vino subisce un leggero affinamento in tini d’acciaio prima di essere imbottigliato per un ulteriore affinamento di altri 6 mesi.

Uve impiegate Sangiovese 75%, Cabernet Sauvignon 20%, Syrah 5%

Quantità prodotta

Sistema d’allevamento

Note organolettiche

Cordone speronato doppio

Di colore rosso rubino scuro, il vino si presenta con un impatto aromatico equilibrato con note di frutti di bosco maturi che s’intrecciano con note speziate di vaniglia. Al palato risulta armonioso, avvolgente, pieno, con tannini già maturi; al retrogusto è molto persistente.

Densità di impianto 2400 ceppi per Ha nei vecchi impianti e 5000 ceppi per Ha nei nuovi impianti

Tecniche di produzione Dopo la vendemmia, che avviene nelle ultime due settimane di settembre e nella prima settimana di ottobre, a seconda della varietà delle uve, si procede alla fermentazione alcolica separata dei mosti che si protrae fra gli 8 e i 10 giorni in vasche di cemento alla temperatura controllata di 28°C; contemporaneamente si avvia la macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, prosegue per altri 17-20 giorni a seconda degli uvaggi, sempre a temperature controllate.

52000 bottiglie l’anno

Prima annata

1988

Le migliori annate

1988 - 1990 - 1994 - 1997 1999 - 2000 - 2001

Il vino prende il nome da un toponimo presente nella tenuta di Massa Marittima e in dialetto maremmano Avvoltore vuol dire falco. È stato prodotto solo nelle annate 1988, 1990, 1993, 1994, 1995, 1997 e seguenti. Raggiunge la maturità dopo 4-5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 10 anni.

L’azienda Le terre di proprietà della Morisfarms S.r.l. si estendono su una superficie complessiva di 476 Ha, suddivise in due gruppi operativi: uno posto a Poggio la Mozza, di 56 Ha complessivi, di cui 30 dedicati alla viticoltura e uno a Massa Marittima, di 420 Ha, di cui 40 dedicati alla viticoltura. 10 sono gli Ha dedicati all’olivicoltura, mentre il restante territorio vede la presenza di colture promiscue e boschi. Collaborano in azienda l’agronomo Andrea Paoletti e l’enologo Attilio Pagli.

Altri vini I Rossi: Morellino di Scansano DOC (Sangiovese 90%, Cabernet Sauvignon, Syrah e Merlot 10%) Morellino di Scansano DOC Riserva (Sangiovese 90%, Cabernet Sauvignon 7% e Merlot 3%) Monteregio di Massa Marittima DOC (Sangiovese 90%, Cabernet Sauvignon 10%)

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Petra S

ai perché mi piace fare il vino? Perché io ci sono cresciuta dentro al vino. È sempre stato uno degli hobby di mio padre e, poiché ho trascorso tutta la mia infanzia accanto a lui, non ho trovato di meglio da fare che sviluppare la sua stessa passione per il vino. A differenza delle mie sorelle che sono state sempre più legate alla vita di casa, ho preferito vivere accanto a mio padre, un uomo che ho sempre ritenuto importante, forte, bravo nel fare le cose, un punto di riferimento e, in assoluto, anche il miglior giudice del mio operare. Ero ancora adolescente e ricordo che lo seguivo a caccia e, al termine della battuta, mi sedevo al suo fianco e, fra una fetta di salame e una di pane, non disdegnavo un sorso di vino rubato dal suo bicchiere. Quando ero piccola non mi piaceva studiare e non volevo neanche imparare a leggere, e forse di questo fatto devo incolpare un po’ mia cugina che ha iniziato a leggere a tre anni e mezzo. Mi faceva rabbia quella “perfettina” che, ancora prima di andare a scuola, ci diceva: “Sedetevi che vi leggo Topolino.” Credo che sia stato quello il motivo del mio grande rifiuto per la lettura. Ho imparato a leggere in terza elementare: preferivo giocare fra le botti della cantina invece di stare sui libri. Mia madre, severa più di mio padre, mi obbligava tutti i giorni a leggere e rammento che mi metteva seduta su un seggiolino di fianco all’asse da stiro dietro la quale passava diverse ore del pomeriggio e mentre lei stirava, io dovevo leggere. Iniziavo titubante, ma fin dalle prime righe mi rendevo conto che leggevo proprio male, così incominciavo ad inventare delle favole e andavo avanti, spedita, in quella fantasiosa lettura. Lei non se ne accorgeva subito, ma solo dopo un bel po’ di tempo e non so se per il fatto che io non sbagliavo in nessun punto o per via degli argomenti dei miei racconti che diventavano improponibili, troppo fantasiosi o senza senso. Certamente quelle storie a me piacevano moltissimo. Era mia abitudine, dopo aver finito di fare i compiti, andare in cantina: per me era una gran bella alternativa rispetto alla più assoluta solitudine che mi veniva offerta dal giardino o dal bosco intorno a casa. Era l’unica cosa da fare se volevo stare insieme ad altra gente e lì tutto quello che mi capitava era un gioco che con la mia fantasia proseguiva per ore e ore, senza limiti. È così che ho vissuto e interpretato il mondo del vino ed è così che ancora oggi voglio che rimanga. Un piacevole gioco nel quale dare sfogo alle mie fantasie e a quel semplice piacere di rincorrere il sogno di fare il mio “grande vino” che sono sicura può diventare realtà qui a Petra. Il vino per me è sempre stato solo un bel gioco e ancora oggi non lo sento come un lavoro e neanche voglio che lo diventi. Il vero lavoro è quello che mi attende quando devo andare in ufficio a firmare carte, pagare fatture o adoperarmi per sbrigare le cose burocratiche; certamente, posso assicurarti, è la parte che a me piace meno. Ciò che amo di più è stare tutto l’anno fuori in campagna a seguire, passo dopo passo, tutte le fasi vegetative della vite e di tutta la vendemmia, oppure sporcarmi le mani in cantina, assemblare il vino delle mie barriques, emozionarmi nelle degustazioni, trovare il piacere di sentirmi, alla fine della giornata, stanca

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e sporca, ma serena e soddisfatta di ciò che ho fatto. Mi accorgo che quando sono in campagna le giornate trascorrono veloci, lisce, tranquille, perché gli unici pensieri che ho in testa sono riferiti all’appagamento di questa mia grande passione e di questo sono felice. È in questo modo che vivo il mondo del vino ed è così che voglio viverlo ancora per moltissimo tempo, alla ricerca d’emozioni e di quelle piacevoli percezione sensoriali che provo nel degustarlo. Quello che voglio fare qui a Petra è riuscire a imbottigliare presto un vino che mi emozioni e mi affascini oltre ogni modo, perché dovrà essere di grande finezza, eleganza e bevibilità e con l’apertura di questa cantina nuova, inaugurata da due anni, si è avviato definitivamente un percorso che ha già creato in me molte aspettative. Non do un particolare significato a questa bellissima costruzione, unica al mondo: per me è semplicemente un bel vestito, estremamente funzionale e moderno, la nuova interpretazione di un metodo tradizionale di lavoro cui credo molto. Sicuramente è un primo passo verso il mio obiettivo, anche se la partita voglio giocarla fra le vigne, nella mia campagna. È fra quei filari che devo scoprire quale sarà il mio vero valore, come enologa, e quello di Petra come azienda. So benissimo come dovrà essere il mio vino; ho le idee chiarissime e ti posso assicurare che è per questo che mi dedico con grande naturalezza e devozione alla terra e alle vigne per riuscire a portare in cantina sempre uve di altissima qualità, come quelle che dico io. Mi piace lavorare e mi piace farlo in un’équipe, interagendo con ognuno dei suoi componenti, sia nella campagna, sia nella cantina, con interscambiabilità e flessibilità dei ruoli. Tutti devono sapere tutto, non ci deve essere una cosa staccata dall’altra. Ho voluto seguire l’esempio lavorativo dei migliori vignerons francesi, nelle aziende dei quali chi fa il vino si occupa anche delle vigne. Una concezione un po’ diversa da quella che c’è in Italia, dove molti colleghi produttori o enologi come me trascorrono pochissime giornate in mezzo alle vigne. Da sempre sono convinta che la vite sia la pianta più importante e l’espressione in assoluto più bella di tutto il mondo vegetale. La vite è fantastica, è scienza, è regola, è metodologia, è contemporaneamente facile e difficile da controllare e ha bisogno di cure per durare nel tempo e dare buoni frutti. Tutto gira intorno al suo equilibrio e quando si riesce a mantenerlo ci accorgiamo che produce uve di qualità assoluta che ci consentono di fare un grande vino. Non amo apparire, né fare pubbliche relazioni, non amo stare a contatto con la gente e fare vita mondana; amo invece le cose legate alla terra, alla natura, le cose semplici e il mio lavoro di enologa. Credo ancora a Babbo Natale e mi racconto a voce alta delle favole e fra quelle che mi piacciono di più, una in particolare mi ritorna di continuo alla mente e non è quella del “Principe azzurro” o della “Fata turchina” ma è quella che riguarda “il Mio vino”, quello che un giorno produrrò e che mi emozionerà.


Francesca Moretti


PETRA

Francesca Moretti

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Petra IGT Toscana Zona di produzione Il vino è un blend di uve Cabernet Sauvignon e Merlot provenienti dalle migliori selezioni dei vigneti di proprietà posti nel comune di Suvereto.

Tipologia dei terreni Il vigneto si trova su terreni franco argillosi di media profondità scarsamente calcarei caratterizzati da un abbondante contenuto in scheletro ad un’altitudine di 120 metri s.l.m. con esposizione a ovest.

primo e secondo passaggio; qui svolge la fermentazione malolattica e rimane 18 mesi per la maturazione. In seguito viene fatto l’assemblaggio delle partite, quindi il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento che dura almeno altri 15 mesi prima della commercializzazione.

Quantità prodotta 20000 bottiglie l’anno

Note organolettiche Uve impiegate

6200 ceppi per Ha

Colore rosso granato intenso, offre all’esame olfattivo profumi complessi e persistenti di confettura di piccoli frutti rossi, ciliegia e marasca, a cui si aggiungono via via nuances minerali e vegetali. Al gusto risulta corposo, con tannini equilibrati; interessante la persistenza aromatica in cui si riavvertono le sensazioni percepite al naso.

Tecniche di produzione

Prima annata

Cabernet Sauvignon 60%, Merlot 40%

Sistema d’allevamento Guyot unilaterale

Densità di impianto

Dopo la vendemmia, che avviene di solito dalla fine di agosto alla metà di settembre, si avvia la fermentazione alcolica che si protrae per circa 10-12 giorni ad una temperatura che non supera mai i 31°C in tini troncoconici di rovere da 100 hl; la fermentazione è coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, mentre contemporaneamente si procede anche alla macerazione sulle bucce che dura 10-12 giorni sempre a temperatura controllata. Terminata questa fase, il vino viene posto in barrique di rovere francese di tostatura media per l’80% nuove, mentre il rimanente 20% è di

1997

Le migliori annate

1998 - 2000 - 2001

vite, al cielo e alla terra. Il vino raggiunge la maturità dopo 4-5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 10 anni.

L’azienda Di proprietà di Vittorio e Francesca Moretti dal 1997, l’azienda agricola si estende su una superficie complessiva di 300 Ha, di cui 91 vitati, 10 dedicati all’olivicoltura e il resto occupato da boschi e seminativi. La cantina è stata disegnata dall’architetto Mario Botta. Collabora in azienda l’agronomo Gianfranco Farimbella, mentre svolgono le funzioni di enologo Francesca Moretti, Pierangelo Bonomi e Alessandro Biancolin.

Altri vini I Rossi: Ebo Val di Cornia DOC Suvereto Rosso (Sangiovese 50% Merlot 25%, Cabernet Sauvignon 25%) Quercegobbe IGT Toscana (Merlot 100%) Zingari IGT Toscana (Merlot, Syrah, Petit Verdot, Sangiovese)

Note L’etichetta del vino riproduce tre cerchi in progressione verticale che si riferiscono alla triade terra-uomo-cielo, un’immagine simbolica che la tradizione orientale pone al centro del proprio messaggio. I cerchi, disegnati dalle parole, si intersecano fra loro e l’intersezione vuole rappresentare il rapporto che lega l’uomo, l’albero e quindi la

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Podere La Cappella Mi occupavo di compravendita al mercato ortofrutticolo di Verona e quell’am-

biente, che si movimentava già dalle prime luci dell’alba, mi piaceva molto. Era un ambiente dinamico dove dovevi stare molto attento non solo all’oscillazione dei prezzi o alla qualità del prodotto che compravi, ma anche nel riuscire a soddisfare, meglio della concorrenza, le esigenze dei clienti e fidarti, contemporaneamente, di chi ti aveva dimostrato di meritare fiducia. Chiacchiericci e vocii si rincorrevano sotto quei capannoni. Battute e sfottò con gli amici che andavano e venivano, strette di mano sincere, forti, decise, con le quali molte volte si concludevano le trattative. Era un lavoro che mi consentiva di girare, di conoscere e di stare in mezzo alla gente dando libero sfogo alla mia verve commerciale. Riconosco che mi è sempre piaciuto trattare la frutta e ancora più bello e divertente era vendere ciò che producevo in un mio piccolo appezzamento di terreno coltivato a meli. Poi un giorno tutto cambiò, non so cosa accadde o quale fu il meccanismo scatenante che mi portò a modificare lo status quo, ma dopo un mio abituale viaggio alla ricerca di funghi, mi ritrovai in tasca un compromesso per l’acquisto di un’azienda agricola in Toscana. Guidando, mentre tornavo a casa, riflettevo sull’accaduto, ma non ne venivo a capo e poi avevo ben poco da riflettere; del resto mi ricordavo benissimo che quando ero partito da Verona non avevo nessuna intenzione di fare quello che poi avevo fatto e non avevo nessun pensiero che potesse premonire un simile risultato, né avevo scritto nella mia agenda “comprare un’azienda in Toscana”. Sono quelle cose che accadono perché devono accadere e, a posteriori, quel viaggio in Toscana mi portò in regalo non solo dei porcini, ma, forse, cercando sotto la cappella di qualche fungo, anche un’azienda agricola che la coincidenza volle si chiamasse Podere la Cappella, toponomastico non certo riferito a quelle leccornie gastronomiche che mi avevano spinto a quel viaggio, ma a una chiesetta che si trova nella proprietà e che risale all’anno 1070. Ormai i se e i ma non servivano più; sta di fatto che da quel momento la vita mi cambiò e con essa anche quella della mia famiglia. Credevo, venendo dall’esperienza dagli alberi da frutta, che l’uva fosse alla stregua di un altro frutto e la vite potesse essere gestita come un’altra qualsiasi pianta. Sbagliato. Presto scoprii che quei pochi filari coltivati in azienda avevano bisogno di ben altre attenzioni rispetto a quelle che avevo riservato abitualmente ai miei meli. Presi passione e quei contatti sporadici che riservavo alle viti divennero sempre più frequenti e quel lavoro continuativo svolto su tutti gli ettari a mia disposizione portò ampi risultati, fino al punto di vedere gradatamente trasformata quell’azienda che era mal messa quando era stata acquistata agli inizi degli anni Novanta. Con il lavoro il Podere la Cappella incominciò ad assumere un aspetto sempre più accattivante e più passava il tempo e più in famiglia ci innamoravamo di questo posto.

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Non ci volle molto a convincerci che avremmo fatto bene a trasferirci tutti in Toscana. Fu così che dopo tre o quattro anni avvenne il trasloco; mi piaceva questo pezzettino di Toscana che avevo comprato, il clima era eccezionale per tutto l’anno e il paesaggio, presentandosi con una livrea e una cromìa di colori ineguagliabili, era diverso ad ogni stagione. Anche gli aspetti vegetativi erano molto diversi da quelli della mia Pianura Padana, piatta, scarna e fredda in inverno, torrida e afosa in estate. Trasferii tutto in Toscana, anche quell’entusiasmo che accompagna sempre chi ha tanti progetti per la testa e vuole realizzarli. Arrivato mi accorsi subito che nel fare le valigie non avevo dimenticato proprio niente; al sèguito avevo portato tutto, anche le mie passioni e quello che era stato per tanti anni un produttore ortofrutticolo. Fu così che dalla valigia tirai fuori la mia passione per gli alberi da frutta e piantai i miei meli anche qui, dove ricoprono ancora oggi cinque ettari della superficie aziendale. Era comunque la vite che mi affascinava, così come mi intrigava il vino ed è forse per questo che mi misi seriamente a lavorare intorno a quei filari che avevo trovato in azienda, scoprendo che la loro promiscuità e quell’accozzaglia di vitigni non andavano bene. Tolsi le vecchie vigne e feci i nuovi impianti, seguendo quelli che erano i canoni della grande qualità e per la prima volta nel 1995, provai a fare il vino. Fu comunque la conoscenza di Luca d’Attoma, il nostro enologo, a infondermi ancora più fiducia nei confronti di quell’universo che rappresentava per me il mondo del vino. Con lui arrivò in azienda altro entusiasmo che si andò a sommare a quello che già avevo e con i primi risultati tutto cambiò. Ricordo che l’attenzione nei confronti della vite andò aumentando giorno dopo giorno e il coinvolgimento crebbe enormemente fino ad arrivare a stimolare e a travolgere un po’ tutta la famiglia, soprattutto mia figlia Natascia, che si buttò anima e corpo in questa splendida avventura. Anni meravigliosi, appassionanti che mi hanno consentito di conoscere la “toscanità” e il reale valore della decisione che avevo preso tempo addietro di venire a vivere in questa magica terra dove mi sono sentito subito a mio agio. Una piacevole sensazione della quale devo dire grazie ai numerosi amici che compongono il mio vicinato, gente schietta e sincera come me. Anni importanti, costellati da successi, ma anche dal dolore per la perdita di mia moglie che mi ha lasciato dopo una lunga malattia. Lei, come me, credeva molto in ciò che stavamo facendo ed erano molte le volte che mi sosteneva e mi spronava ad andare avanti. Con me, ringraziando Dio, è rimasta mia figlia Natascia che si è appassionata più di me al mondo del vino ed è con lei che continuo a lavorare questo pezzettino di Toscana con l’entusiasmo, che mi ha sempre contraddistinto, di un testardo ottimista della vita e con la semplice schiettezza di un sincero commerciante ortofrutticolo la cui indole non cambierà mai.


Bruno - Natascia Rossini


PODERE LA CAPPELLA Bruno e Natascia Rossini

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Cantico IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

Il Cantico è una selezione delle migliori uve Merlot provenienti dai vigneti dell’azienda, situati a San Donato in Poggio, nel comune di Tavarnelle Val di Pesa, che hanno un’età media di 20 anni.

Dopo la vendemmia, che avviene di solito a partire dalla fine di settembre, si diraspa e si avvia il mosto alla fermentazione alcolica che si protrae per 20 giorni ad una temperatura compresa fra i 27 e i 30°C in recipienti di acciaio inox con frequenti délestage, mentre contemporaneamente si procede anche alla macerazione sulle bucce che dura 20 giorni. Terminata questa fase, il vino viene posto in barrique di rovere francese di primo e secondo passaggio in cui effettua la fermentazione malolattica e dove matura per altri 12 mesi. Trascorso questo periodo viene effettuato l’assemblaggio delle varie partite e il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento di altri 12 mesi prima della commercializzazione.

Tipologia dei terreni I vigneti si trovano su terreni calcareo-argillosi ad un’altitudine di 350 metri s.l.m. con esposizione a nord-sud.

Uve impiegate Merlot 100%

Sistema d’allevamento Cordone speronato

Densità di impianto 3000-5000 ceppi per Ha

Prima annata

1996

Le migliori annate

1999 - 2001 Note

Cantico si può considerare un nome di fantasia. Il vino raggiunge la maturità dopo 45 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 10 anni.

L’azienda Di proprietà di Bruno e Natascia Rossini dal 1979, l’azienda agricola si estende su una superficie complessiva di 30 Ha, di cui 10 vitati e gli altri dedicati a olivi, meli e peri. Collabora in azienda l’enologo Luca d’Attoma.

Quantità prodotta 5000 bottiglie l’anno

Altri vini

Note organolettiche

I Rossi:

Dal colore rosso rubino molto scuro e intenso, di grande concentrazione, si apre all’olfatto con profumi complessi di frutti neri di sottobosco, spezie e liquirizia a cui si sovrappongono note di cioccolato amaro e cannella. In bocca riassume potenza ed eleganza con tannini decisi, ma per niente ruvidi, con un equilibrio armonico e di gran classe. Molto lungo il finale.

Chianti Classico DOCG (Sangiovese 100%) Chianti Classico Riserva DOCG Querciolo (Sangiovese 100%) Corbezzolo IGT Toscana (Sangiovese 80%, Merlot 20%) L’Idilio Vin Santo Malvasia 30%)

(Trebbiano

70%,

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Podere Poggio Scalette Sono nato a Fortezza, in provincia di Bolzano, dove - a parte la mancanza totale di vigneti - vi era un ambiente salubre, incontaminato e integro nel quale vivevo tutti i giorni. Questo ambiente ha notevolmente influito sulla mia volontà di lavorare all’aria aperta, a contatto con la campagna, in un’atmosfera simile a quella in cui facevo i miei giochi da bambino. Fu così che i miei genitori pensarono di farmi frequentare un corso di studi di Agraria all’Istituto di San Michele all’Adige, specializzato in viticoltura ed enologia. Fin dai primi mesi la materia mi affascinò moltissimo e, man mano che gli studi proseguivano, questo interesse si trasformò in vera e propria passione. Con il trascorrere degli anni vi fu il mio trasferimento a Conegliano Veneto dove mi diplomai nel 1961; vi fu poi la mia prima esperienza lavorativa sull’isola di Malta; l’impegno durato circa dieci anni nell’Azienda Airoldi a Novara, poi quello, ancora più interessante e determinante per la mia formazione professionale, come direttore dell’Associazione Enotecnici Italiani, carica che ho ricoperto fino al 1978. Furono anni pieni di importanti eventi, che mi permisero di crescere, di modificarmi, consolidarmi e formarmi sotto l’aspetto umano e professionale. Era il momento in cui, insieme a personaggi come Ezio Rivella, Giorgio Gray, i fratelli Solci, Luigi Gaviglio e Franco Tommaso Marchi (questi due ultimi scomparsi negli anni ottanta), Meregalli, Bolis, Raspelli e Pinchiorri, si gettavano le basi della nuova enologia che passava da un periodo in cui un bottiglione da due litri di vino costava cento lire (esattamente quanto un chilo di pane, mentre, rammento, che un litro di latte ne costava centocinquanta), ad un’enologia che guardava in alto e avanti, sempre più consapevole dell’enorme potenziale qualitativo inespresso esistente nel nostro Paese. C’era intorno un grande fermento e ardeva dentro di noi il desiderio di conoscere e approfondire la nostra scienza e conoscenza, questo fervore era quasi “palpabile” e per capire meglio cosa vi fosse d’innovativo e di migliorativo andavamo spesso in Francia con l’intento di carpire i segreti di quei vignaioli o di quegli enologi che con i vari Château Petrus, Château Mouton-Rotschild, Château Lafite, Château d’Yquem o altri loro grandi vini ci sembravano, nel campo dell’enologia, lontani anni luce (ma non per questo irraggiungibili). In quel modo ci persuademmo che non si trattava di un fattore tecnico, ma di un problema culturale che coinvolgeva tutto il settore enologico nazionale. In questo senso, un grosso aiuto giunse anche da alcuni giornalisti (pochi per la verità), fra i quali è da considerare un capostipite Veronelli (a cui si affiancò in seguito anche lo stesso Raspelli), che con il suo procedere provocatorio, che è

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entrato a far parte del suo cliché, stimolava la conoscenza del consumatore, orientandolo alla ricerca della qualità nel vino. Furono anni difficili e al contempo affascinanti, dove ogni azione era dettata più dal ragionamento che dall’esperienza; erano anni di forte crescita professionale, ma anche di duro lavoro. Ricordo che il nostro maggior dispendio di energie era quello nervoso e psicologico impiegato nell’opera di abbattimento dei tabù che limitavano e condizionavano, nei vignaioli, lo sviluppo vitivinicolo. L’impegno fisico e tecnico, infatti, orientato com’era all’innalzamento qualitativo dell’intera filiera produttiva, era stato da noi assimilato e, di conseguenza, l’approccio alle problematiche ci risultava ormai naturale e spontaneo. Furono anni che entrano a pieno titolo nella storia dell’enologia italiana, alla quale ho la presunzione di aver dato il mio piccolo contributo. Ad un certo punto, tuttavia (eravamo verso la fine degli anni settanta), nacque in me la convinzione che fosse giunto il momento di applicare l’esperienza acquisita avviandomi alla libera professione. Dovevo incominciare realmente a scrivere la mia storia, riempiendo quelle pagine della mia vita che erano ancora rimaste bianche. Per far questo scelsi la Toscana e con la famiglia mi trasferii in questa regione, dove si stavano ancora vivendo gli anni bui del “Medioevo del vino”. Fu così che mi trovai a fianco di molte aziende, a cui dare la mia collaborazione, nell’ottica di uno sviluppo culturale e qualitativo sotto il profilo viticolo ed enologico. Fra queste posso citare Vecchie Terre di Montefili, Guicciardini Strozzi, Caparzo, Capezzana, Villa La Selva e altre che sarebbe troppo lungo elencare. In questa mia storia scritta intorno al mondo del vino, ritenni che doveva trovare posto anche la realizzazione di un mio vecchio sogno, quello cioè di concretizzare la mia esperienza come vignaiolo, attraverso la quale poter dare sfogo a tutte quelle grandi e piccole cose fatte “a modo mio”, che invece, per un motivo o per un altro, all’interno delle aziende dove faccio consulenza vengono filtrate in maniera più o meno forte. Fu così che all’inizio del 1992 acquistai Poggio Scalette, un podere situato sulla collina di Ruffoli a Greve in Chianti, dove ho potuto fare le scelte più personali. Quella che considero la più difficile e che si traduce in una sfida quotidiana, è stata la scelta di puntare sul Sangiovese quale vino-simbolo di Poggio Scalette. Ciò grazie anche ad una situazione del tutto particolare che caratterizza questa azienda e cioè la presenza di vigne con un età superiore ai 70 anni. Un lavoro arduo, che ho potuto affrontare solo con l’aiuto di mio figlio Jurij, al quale ho trasmesso la passione per questo mestiere vecchio di secoli che sento ancora profondamente mio.


Vittorio Fiore


PODERE POGGIO SCALETTE Vittorio Fiore

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Il Carbonaione IGT Alta Valle della Greve Note Zona di produzione

Tecniche di produzione

Il Carbonaione è una cuvée di uve Sangiovese provenienti dai vigneti che si trovano nell’azienda Podere Poggio Scalette, posti sulle colline a sud-est del comune di Greve in Chianti, nell’area di produzione del Chianti Classico DOCG.

Sangiovese 100%

Dopo la vendemmia, che avviene dal 10 al 20 ottobre, si procede per 4-6 giorni con la fermentazione alcolica del mosto in piccoli recipienti aperti, con temperature intorno ai 28-32°C. Contemporaneamente si effettua la macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage giornaliere, prosegue invece per altri 10-12 giorni a temperature controllate. Terminata questa fase il vino effettua la fermentazione malolattica in tonneaux da 350 litri, per un 50% nuovi e il restante di secondo passaggio, dove vi rimane per 12-18 mesi. Terminato questo invecchiamento viene effettuato l’assemblaggio delle partite e il vino, dopo un leggero filtraggio, viene posto ad affinare in bottiglia per altri 6 mesi.

Sistema d’allevamento

Quantità prodotta

Cordone speronato basso

50000 bottiglie l’anno

Densità di impianto

Note organolettiche

5000 ceppi per Ha

Di colore rosso rubino intenso, il vino si presenta con forti sentori fruttati con prevalenza di ciliegia marasca ben integrata con la nota di vaniglia. Al palato è strutturato, equilibrato, con una componente tannica elegante; al retrogusto è persistente e pulito.

Tipologia dei terreni I vigneti sono situati su terreni provenienti dal disfacimento di arenaria del macigno profondo toscano che presentano una tessitura ricca di scheletro e sabbioso-sciltosi; a un’altitudine di 400 metri s.l.m. con un’esposizione sud-ovest.

Uve impiegate

Il vino prende il nome dall’omonima vigna del Carbonaione, la più vecchia dell’azienda (circa 70 anni). Secondo le testimonianze dei vecchi contadini il nome si spiega dal fatto che quello era il luogo in cui veniva bruciata la legna per fare il carbone. Il vino raggiunge la maturità solo dopo 5-6 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 6 e i 15 anni.

L’azienda L’azienda, di proprietà di Adriana Assjé di Marcorà e Vittorio Fiore, si estende su una superficie complessiva di 45 Ha, di cui 20 destinati alla viticoltura specializzata e 10 all’olivicoltura.

Altri vini I Bianchi: Richiari (Chardonnay 100%) I Rossi: Piantonaia (Merlot 100%)

Prima annata

1992

Le migliori annate

1992 - 1995 - 1996 1998 - 1999

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Poliziano M io padre Dino, uomo saggio e persona che ho stimato tantissimo, aveva una

sua personale visione della vita, che lo portava ogni tanto a sciorinare sentenze e consigli benevoli su ciò che poteva o non doveva essere fatto. Per lui io avrei dovuto fare il professore universitario, così da vivere tranquillo, non mi sarei dovuto né sposare, né, tanto meno, occupare della campagna e del vino. Devo dire che uno dei meriti che da sempre mi riconosco è quello di non dar troppo retta alla “saggezza dei vecchi”, troppo ridondante di esperienze personali perché si possa ritenere fonte di verità; pertanto ho sempre fatto di testa mia e non credo di aver sbagliato poi molto ad aver lasciato perdere a suo tempo il dottorato universitario, a essermi sposato, ad aver avuto dei figli, o a essermi dedicato anima e corpo alla viticoltura, divenendo, nel tempo, vignaiolo. Sono certo che arrivare in questo luogo è stata la più grande fortuna che mi potesse capitare, anche se qui, ancora oggi, dopo tanto tempo, non ci si finisce mai di arrabbiare e si lotta con una quotidianità stracolma di problematiche e difficoltà. Se ripenso a quei tempi, mi convinco sempre più che ogni tassello del puzzle che compone la mia vita è stato disegnato perché io, in definitiva, facessi quello che poi ho fatto, a partire dal mio ritorno a Montepulciano che, devo dire, non è poi stato così casuale. A quei tempi mio padre aveva piccola un’azienda comprata in società con l’amico Renato. Dino, mio padre, era geometra di un’importante ditta di costruzioni, l’altro, il socio, generale dell’esercito; ambedue appassionati della campagna, ma poco inclini alla viticoltura e soprattutto poco attenti al reale andamento economico del mercato, che in quegli anni ’80 vedeva l’agricoltura in forte crisi. Dopo essermi laureato in Agraria, non volendo lavorare alle dipendenze di mio padre, mi ero trasferito, poco dopo, a Verona con la qualifica di fattore; qui, con molte gratificazioni, risollevai le sorti economiche di un’azienda agraria della zona. Fu una grande esperienza che durò tre anni, molto intensi, ma in Toscana, come del resto in tutta Italia, la situazione vitivinicola era drammatica e mio padre con la vigna e con il vino non sapeva più che cosa fare. Anche le cantine sociali, come ad esempio quella di Montepulciano, erano strapiene di vino di bassissima qualità e ricordo che la stessa Cantina Cooperativa, nel 1981, fu costretta a vendere 30.000 quintali di vino a 7,50 € al quintale. Tutti in famiglia insistevano affinché tornassi, ma io ero molto titubante e mi

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viene in mente che presi la decisione definitiva solo quando mi resi conto che l’esperienza avuta al nord mi aveva davvero arricchito professionalmente, quando, cioè, capii che il trend negativo del mercato agricolo si era arrestato e si stavano concretizzando interessanti opportunità di sviluppo proprio nel settore vinicolo. Mi convinsi quando compresi che avrei avuto una completa, totale e incondizionata un’autonomia decisionale da parte dei due soci, autonomia che mi consentiva di esprimermi al meglio e come desideravo. Era oltremodo vero che se avessi avuto alle spalle una società che in qualche modo aveva, già da tempo, improntato le proprie linee guide, mi sarebbe rimasto molto difficile accettare quell’incarico. Nel 1983, attraverso l’amico di studi Carlo Ferrini, conobbi Maurizio Castelli e devo a lui, alla sua grande cultura, alla sua sensibilità e alla sua conoscenza dei vini di tutto il mondo se mi si aprirono orizzonti nuovi e prospettive inimmaginabili per la viticoltura della mia azienda. Ricordo ancora che tutti e tre, come fanciulli, partimmo per un viaggio alla scoperta della mitica Francia, con l’intento di carpire i segreti che si celavano dentro a quelle meravigliose bottiglie di Bordeaux. Dopo qualche giorno intuii quanto erano arcaici i nostri metodi di approccio al vino, alla terra e alla vigna. In quel viaggio compresi come ancora da noi il vino fosse considerato più come semplice bevanda che come strumento espressivo delle capacità tecniche del vignaiolo. Ricordo che in quella occasione assaggiammo molti vini, e durante quegli assaggi scoprivamo dei nettari pieni, intensi, complessi, vinosi che sembravano essere stati imbottigliati da pochi mesi e che invece risultavano invecchiati da oltre dieci anni. Capii chiaramente che avevo tante cose da fare al mio rientro; prima di tutto dovevo mutare completamente filosofia, mentalità e approccio al vino. Così feci e da allora ne ho fatti di passi avanti, sia in campo agronomico, sia in campo enologico e oggi non ho più paura di confrontarmi con il mercato. Ho capito l’importanza del territorio nella sua complessità, ho compreso il significato della sperimentazione, della scienza applicata all’esperienza. Percependo questo, ho iniziato a fare dei buoni vini che mutano con il variare delle stagioni, con l’invecchiamento delle vigne, con l’ampliamento della mia esperienza che, anno dopo anno, si affina ed entra in armonia, sia con il territorio, sia con quello che faccio, perché in quella bottiglia di vino che mando in giro per il mondo, c’è molto del mio saper fare.


Federico Carletti


POLIZIANO Federico Carletti

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Le Stanze del Poliziano IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

Le Stanze del Poliziano è una cuvée delle migliori uve provenienti dai vigneti posti sulle colline nella parte a nord di Montepulciano e in altri luoghi della Maremma grossetana intorno al comune di Magliano in Toscana.

Dopo la vendemmia, che avviene di solito nei primi 10 giorni di settembre a Magliano in Toscana e durante l’ultima decade di settembre a Montepulciano, si effettua la fermentazione alcolica che procede separatamente per ogni uvaggio e si protrae fra i 6 e i 10 giorni alla temperatura di 28°C in recipienti termocondizionati di acciaio inox tronco-conici. Contemporaneamente la macerazione sulle bucce, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, prosegue, invece, per altri 8-10 giorni a temperature controllate comprese fra i 28 e i 30°C. Successivamente i vini maturano in carati nuovi di rovere francese per 16-18 mesi e, a seconda delle annate, in questi carati si può svolgere anche la fermentazione malolattica. Terminato l’invecchiamento, il vino viene assemblato prima di essere imbottigliato per un ulteriore affinamento di 10-12 mesi.

Tipologia dei terreni Il vigneto Petrose, dove si coltiva il Cabernet Sauvignon, è posto su terreni che hanno caratteristiche morfologiche con tessitura argilloso-calcarea, e si trovano a un’altitudine di 350 metri s.l.m. con un’esposizione sud-ovest; anche il Merlot proviene dai terreni di Montepulciano nei quali prevale la componente argillosa. Il Sangiovese proviene da un’attenta selezione delle uve raccolte nei diversi terreni sparsi sui 140 Ha vitati.

Uve impiegate Cabernet Sauvignon 65%, Merlot 30%, Sangiovese 5%

Quantità prodotta Sistema d’allevamento

25000 bottiglie l’anno

Guyot nei vecchi impianti, cordone speronato nei nuovi impianti

Note organolettiche

Densità di impianto 3500 ceppi per Ha a Montepulciano nei vecchi impianti, 6000 ceppi per Ha nei nuovi

Di colore rosso rubino dai luminosi riflessi granata, il vino si presenta con ampie note di viola, marasca e piccoli frutti di bosco con fondo di vaniglia. Dal sapore asciutto e sapido, ripropone al palato le sensazioni avvertite al naso.

Prima annata

1983

Le migliori annate

1988 - 1993 - 1995 1997 - 1999 Note Il nome del vino deriva dalla grande passione che il sig. Dino Carletti aveva per la letteratura, passione che lo aiutò, dapprima a scegliere il nome dell’azienda (Poliziano), e poi a definire la dicitura del vino, attribuendo allo stesso una delle opere maggiori del poeta, “Le Stanze”. Il vino, che non è stato prodotto nel 1989 e 1991, raggiunge la maturità solo dopo 4-5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 15 anni.

L’azienda L’azienda agricola Poliziano, di proprietà della famiglia Carletti dal 1961, si estende su una superficie complessiva, compresa fra le proprietà di Montepulciano e quella di Magliano in Toscana, di 245 Ha, di cui 140 destinati alla viticoltura. Collabora in azienda l’enologo Carlo Ferrini.

Altri vini I Rossi: Nobile di Montepulciano DOCG (Prugnolo gentile 80%, Merlot, Canaiolo Nero, Mammolo e Colorino 20%) Nobile di Montepulciano Asinone DOCG (Prugnolo gentile 80%, Merlot, Canaiolo Nero, Mammolo e Colorino 20%)

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Querciabella L ’ amore per le cose belle è nato molto presto, trasmessomi dai miei genitori

Bruna e Pepito, e si è affinato con il tempo, stando loro vicino; sono loro infatti che mi hanno spinto, in gioventù, a girare il modo per imparare ad apprezzare l’arte, i libri e il vino. Sembrano tutti elementi disgiunti fra loro e l’accostamento può apparire anche un po’ bizzarro, ma io trovo, invece, che passioni come la pittura, i libri e il vino abbiano fra di loro delle grandi affinità, infinite similitudini e notevoli connessioni. Non è forse vero che nei quadri si riscontra la creatività e l’ingegno dell’artista, e che attraverso i colori e il tratto, egli si esprime ai più alti livelli? È il suo pensiero che è fissato su quella tela e più egli è riuscito a trasmettere e a comunicare agli altri le proprie emozioni e la propria storia, più è divenuto grande. Non è forse vero che il libro è uno fra gli strumenti comunicativi di maggior importanza? Quello più tangibile, palpabile, che da secoli racchiude in sé la scienza, il pensiero, la filosofia e l’agire dell’uomo? Non è forse vero che la sua divulgazione ha modificato il corso della storia del genere umano? È su quelle pagine che si ritrova il patrimonio culturale degli uomini e non solo; infatti, sfogliando quelle pagine e osservando attentamente le tecniche che sono state utilizzate nella trascrizione di quei pensieri, intuiamo l’evoluzione tecnologica e sociale che hanno caratterizzato il momento storico in cui il libro è stato stampato. Caratteri, editing, stampa, grafica o design sono capaci non solo di aggiungere valore al pensiero, ora del poeta, ora dello scrittore, ora del saggista, ma di inquadrare perfettamente il modello comunicativo voluto ed espresso nella realizzazione del libro. Non è forse vero che il vino è l’evoluzione del pensiero del vignaiolo, il frutto della sua fantasia, del suo ingegno, della sua voglia di comunicare agli altri il proprio saper fare? Il vino è la conclusione del lavoro svolto dal vignaiolo nella ricerca spasmodica dell’equilibrio perfetto che deve esistere fra gli uvaggi e il loro terroir. Vigne, cantine, gesti antichi accompagnati da rituali millenari che si sommano al nuovo, alla tecnologia: tutti anelli di una lunghissima catena che interagisce, da settembre a settembre e si materializza in quel bicchiere di vino. Basta guar-

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darci dentro e osservare il suo colore e le sfumature che esso offre, annusare i suoi profumi e percepire le sue sensazioni per scoprire i segreti, le fantasie e la filosofia del vignaiolo; facendo tutto questo ti accorgi che anche nel mondo del vino ci sono artisti, poeti e scrittori. Sono stati questi amori che mi hanno fatto compagnia durante la mia vita, durante la mia professione di grafico, designer e progettista di riviste di altissimo livello mondiale, arricchendomi spiritualmente man mano che cresceva in me l’interesse per l’arte, per i libri e per il vino. Da anni, in famiglia, collezioniamo opere d’arte, libri e vino, con passione quasi maniacale, ma oggi, il mio grande amore, che mi ha condotto nel Chianti, è Querciabella. Da quattro anni mi dedico a tempo pieno al mondo del vino e per farlo bene ho cercato di trasferire su queste terre e in questa cantina le mie passioni e la mia ossessione per il bello, per il perfetto e il sublime. Questo ha comportato cambiamenti radicali, gestionali e migliorìe sostanziali, non sempre indolori. Lavorare in questi anni a Querciabella è stato abbastanza complesso, perché si trattava di ricercare la qualità assoluta in tutte le fasi operative e produttive. Per fare questo dovevo inserire nelle procedure operative dei piccoli, ma sostanziali miglioramenti a quella miriade di particolari, di minimi accorgimenti e di sfumature tecniche procedurali che molti ritenevano solo marginali. Si trattava di ricercare l’innalzamento qualitativo senza stravolgere l’esistente già ben accreditato sul mercato. È stato un lavoro certosino e minuzioso, dalla numerazione di tutte le viti, che oggi mi consente, assistito dall’informatica, altro mio grande hobby, di determinare la produzione dell’uva, ceppo per ceppo, all’avveniristico lavoro di controllo termico di ogni singola fase della lavorazione e stagionatura del vino: qui niente è lasciato all’estemporaneità. Oggi a Querciabella, dopo quattro anni di lavoro, sono solo al 50% di quel miglioramento complessivo che mi sono prefisso di raggiungere e solo in parte ho modificato quella miriade di particolari che compongono la catena produttiva che una volta migliorata nel suo insieme condurrà all’eccellenza. Io so che se voglio fare un grande vino, che assomigli a un’opera d’arte o a un bellissimo libro, devo puntare alla perfezione e per questo mi sto attrezzando.


Sebastiano Cossia Castiglioni


QUERCIABELLA

Sebastiano Cossia Castiglioni

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Batàr IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

Batàr è una cuvée delle uve provenienti dai vigneti che si trovano nell’azienda Querciabella, posti sulle colline a sud-est del comune di Greve in Chianti, nell’area di produzione del Chianti Classico DOCG.

Chardonnay 65%, Pinot Bianco 35%

Dopo la vendemmia, che avviene solitamente tra la fine di agosto e i primi di settembre, si procede alla pressatura pneumatica delle uve e si effettua la fermentazione alcolica, che procede separatamente per ogni uvaggio, in barriques di Allier, Tronçais e Vosges, per un 50% nuove e il restante di un anno. Terminata questa fase lo Chardonnay e il Pinot bianco effettuano la fermentazione malolattica completa, e rimangono in legno per quasi 12 mesi. Terminato questo affinamento viene effettuato l’assemblaggio delle partite e il vino, senza alcun filtraggio, viene posto ad affinare in bottiglia per altri 6 mesi.

Sistema d’allevamento

Quantità prodotta

Cordone speronato

18-26000 bottiglie l’anno

Densità di impianto

Note organolettiche

5750 ceppi per Ha

Di colore giallo paglierino con riflessi dorati, il vino si presenta al naso con forti sentori fruttati di pesca e miele, integrati con la nota di vaniglia. Al palato è equilibrato, strutturato, di grande persistenza.

Tipologia dei terreni Il suolo si evolve su arenarie oligogeniche, è mediamente profondo e ricco di scheletro scistoso (galestro). Il terreno è povero di sostanze organiche, si trova ad un’altitudine di 400 metri s.l.m. con un’esposizione prevalente a sud.

Uve impiegate

Prima annata

1988

Le migliori annate

1991 - 1995 - 1996 - 1997 1998 - 2000 - 2001 Note Batàr nasce dalla grandissima passione di Giuseppe Castiglioni per i grandi vini di Borgogna. All’inizio nasce come “BâtardPinot”, poi diventa solo “Bâtard” e la versione definitiva prende il nome di “Batàr” L’annata 1988, presentata nel 1990, fece balzare il “Batàr” all’apice della classifica mondiale dei vini bianchi. Resa media per ettaro: 25 hl. Raggiunge la maturità dopo 42-48 mesi dalla vendemmia e quindi si sconsiglia di consumarlo prima. Plateau di maturità dal 4° al 10° anno dopo la vendemmia.

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Camartina IGT Toscana Note

Zona di produzione Camartina è una cuvée delle uve provenienti dai vigneti che si trovano nell’azienda Querciabella, posti sulle colline a sud-est del comune di Greve in Chianti, nell’area di produzione del Chianti Classico DOCG.

Tipologia dei terreni Il suolo si evolve su arenarie oligogeniche, è mediamente profondo e ricco di scheletro scistoso (galestro). Il terreno è povero di sostanze organiche, a un’altitudine di 400 metri s.l.m. con un’esposizione prevalente a sud.

sempre in vasca. Terminata questa fase, le varie partite sono messe in barriques nuove di Allier, Bertranges, Nevers e Tronçais, dove rimangono per un primo periodo di 12 mesi, al termine del quale avviene l’assemblaggio. L’affinamento del blend finale prosegue per altri 12 mesi, al termine dei quali il vino è messo in bottiglia, senza alcun filtraggio, per un ulteriore affinamento in bottiglia che prosegue per altri 6 mesi in locali termocondizionati.

Il vino assume un nome di fantasia composto dalla fusione di Casa Occi, il più antico podere dell’azienda, e Martina, sorella di Sebastiano. Le uve sono raccolte in cassette di 8 kg. Resa media per ettaro: 30 hl. Il vino raggiunge la maturità solo dopo 5-6 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 6 e i 15 anni, ma può invecchiare anche più a lungo. Camartina viene prodotto soltanto quando la qualità dell’annata è superiore. Non è stato prodotto nelle annate 1989, 1992, 1998 e 2002.

Quantità prodotta Uve impiegate Sangiovese 60%, Cabernet Sauvignon 35%, Merlot e Syrah 5%

28-29000 bottiglie l’anno

Note organolettiche

5750 ceppi per Ha

Di colore rosso rubino, il vino si presenta con un profumo intenso, ampio e avvolgente con note di frutti di bosco maturi, liquirizia e vaniglia. Al palato è assai elegante, armonioso e persistente; di grande morbidezza, si mantiene in bocca molto a lungo.

Tecniche di produzione

Prima annata

Sistema d’allevamento Cordone speronato

Densità di impianto

Dopo la vendemmia, che di solito avviene tra i primi di ottobre e i primi di novembre, si effettua la vinificazione separata delle uve in vasche di acciaio inox (ed esclusivamente per le partite migliori di cabernet sauvignon in piccole vasche di cemento vetrificato) a temperatura controllata. La fermentazione alcolica dura circa 5-6 giorni; segue una macerazione sulle bucce, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, per altri 10-15 giorni. La fermentazione malolattica avviene, dopo svinatura,

282

1981

L’azienda L’azienda, nata e sviluppatasi gradualmente a partire dai primi appezzamenti acquistati nel 1972 dalla famiglia Castiglioni, si estende oggi su 160 Ha nel Chianti Classico, dei quali 25 dedicati alla viticoltura e 12 all’olivicoltura; su 50 ettari in Maremma, ad Alberese, dei quali 45 dedicati alla viticoltura. L’enologo dell’azienda è Guido De Santi, coadiuvato da Angelo Solci. Gli agronomi sono Dales D’Alessandro nel Chianti Classico e Marco Torriti in Maremma.

Le migliori annate

1985 - 1988 - 1990 1994 - 1995 - 1997 1999 - 2000 - 2001

Altri vini Chianti Classico DOCG Querciabella (Sangiovese 90%, Merlot, Syrah e Cabernet 10%) Palafreno Toscana IGT (Merlot 60%, Sangiovese 40%)



Riecine Viene spontaneo, per chi ancora non mi conosce molto bene, domandarsi come sia stato possibile che a uno come me, nato in Sri Lanka da padre irlandese e madre inglese ed educato in un college della Gran Bretagna, possa essere nata la passione per la vigna. Se è risaputo che noi inglesi siamo dei buoni bevitori e amanti del buon vino, ragione che ci conduce da sempre ad avere un forte scambio culturale con tutte le aree a spiccata vocazione vitivinicola, e se è altrettanto vero che le nostre campagne non sono certo l’habitat ideale per incontrare delle vigne, a molti risulta veramente incomprensibile capire come in me si sia sviluppato l’amore per la vite. La vita è, comunque, segnata sempre da piccoli o grandi eventi, da incontri insignificanti che talvolta sembrano molto casuali, ma che poi ti marcano profondamente, come fu l’incontro che io ebbi con i filari di vite della vigna di mio zio Christopher Woosnam-Mills, che proprio a Castle Cary, in Gran Bretagna, aveva un pezzo di terra di sua proprietà. Non fu certo la qualità dei frutti che mi colpì, ma fu più che altro la complessità vegetativa di quella pianta che mi stregò. Quei suoi mutamenti stagionali e quella sua dinamicità mi fecero innamorare del lavoro del vignaiolo. Decisi così di trasferirmi in Germania, a Geisenheim, dove lavorai per otto anni a stretto contatto con dei bravi enologi e agronomi; questo fu un periodo di forte fervore e di grande crescita individuale e professionale che mi vide, inoltre, laurearmi in enologia e viticoltura. Credo comunque che il sogno di ogni enologo sia quello di poter lavorare almeno per un po’ di tempo o nel Chianti o a Bordeaux. Quando nel 1989 venni per una vacanza in Italia non persi certo l’occasione di venire a visitare queste terre e anche qui, come era accaduto qualche anno prima con la vite dello zio Chris, questa volta mi innamorai perdutamente del Chianti. Rimasi colpito dall’energia che qui si respirava, della forza di questo terroir, di questo sole, di questo clima. Tutto qui parlava il linguaggio del vino. Pur di

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rimanere ero disposto a fare qualsiasi sacrificio e fu per questo che mi rivolsi all’unico proprietario inglese della zona che conoscevo e che possedeva proprio quest’azienda. Dopo due anni mi trasferii definitivamente in Italia e iniziai, per conto dell’amico John Dunkley, a vinificare a Riecine e subito dopo, l’anno successivo, entrai con lui in comproprietà nella gestione di quel piccolo appezzamento di terra di due ettari, da me considerato non solo il segno premonitore di un sogno che si stava avverando, ma il punto di partenza dal quale costruire il futuro, mio e della famiglia che nel frattempo mi ero creato; futuro che mi vede oggi proprietario di 15 Ha di vigna. Sono passati poco più di dieci anni; nel frattempo John è morto e sua moglie Palmina, napoletana verace, ha lasciato l’azienda e al loro posto è subentrato l’americano Gary Baumann con il quale ho incominciato a fare progetti concreti per l’azienda. Non ho mai perso il desiderio di lavorare su queste uve e su questi vini con sempre più passione e con sempre più amore, giocando, sperimentando e divertendomi per quanto mi è concesso nel variegato mondo dell’enologia toscana; certo, chi, come me, ha girato il mondo e ha potuto osservare e comprendere fin dove la sperimentazione enologica ha condotto i vignaioli degli altri continenti, si può solo rammaricare nel constatare quanto in Toscana questa sia repressa e condizionata rispetto alle enormi potenzialità qui presenti; potenzialità imbrigliate da limiti burocratici complessi e a volte incomprensibili, soprattutto per un inglese come me. Io vorrei essere libero di dar sfogo alle mie capacità enologiche a 360°; vorrei sperimentare e vinificare al massimo le potenzialità del sangiovese che per le sue caratteristiche peculiari si adatta perfettamente a questo territorio; vorrei che la creatività di chi ha voglia di fare non fosse delimitata e confinata. Ben vengano quindi gli IGT, che mi gratificano sia come enologo sia come imprenditore, perché oltre ad essere la vera immagine del territorio, sono l’espressione dell’anima del vero vignaiolo e anche la mia personale valvola di sfogo.


Sean O’ Callaghan


RIECINE

Sean O’Callaghan

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La Gioia IGT Toscana Note

Zona di produzione La Gioia è un vino ottenuto dalla selezione delle migliori uve prodotte nella fattoria di Riecine che si trova a nord del comune di Gaiole in Chianti nel territorio di produzione del Chianti Classico DOCG.

I vigneti sono posti su terreni che presentano una tessitura ricca di alberese e galestro di medio impasto, in una zona con escursioni termiche molto elevate, fra il giorno e la notte, a un’altitudine compresa fra i 450 metri s.l.m., con un’esposizione a sud.

coadiuvata da tecniche di délestage e follatura effettuate manualmente, prosegue per altri 10-12 giorni. Dopo 22-25 giorni le singole partite, senza alcuna chiarifica, vengono immesse in barriques, per il 60% nuove e il restante di secondo e terzo passaggio, dove si conclude la fermentazione malolattica e dove vi rimangono per 24 mesi. Dopo l’assemblaggio delle partite e una breve sosta in tini di acciaio inox, il vino è messo in bottiglia, senza filtraggio, per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 6 mesi.

Uve impiegate

Quantità prodotta

Sangiovese 100%

9000 bottiglie l’anno

Tipologia dei terreni

Sistema d’allevamento

Note organolettiche

Guyot e Cordone speronato

Di colore rosso rubino intenso, il vino si presenta con sentori fruttati di ciliegia e frutti di bosco e anche con note speziate. Al palato è molto strutturato con sentori di ciliegia e frutta rossa matura; ha una buona componente tannica che risulta integrata e in equilibrio; pieno con una forte acidità, al retrogusto è molto persistente.

Densità di impianto 2500 ceppi per Ha nei vecchi impianti e 9000 ceppi per Ha in quelli nuovi

Tecniche di produzione Dopo la vendemmia, che avviene tra la fine di settembre e i primi di ottobre e nella quale viene effettuata un’attenta selezione delle uve sia in vigna che in cantina, si effettuano delle macrovinificazioni e si avvia la fermentazione alcolica che si protrae per 8-10 giorni alla temperatura di 20°C in recipienti termocondizionati di acciaio inox. Subito dopo, con l’innalzamento della temperatura fino a 30°C, si completa la macerazione sulle bucce, che,

Il vino per Sean O’Callaghan è, ogni anno, l’espressione e la sommatoria massima di quei molteplici fattori (stagionalità, invecchiamento, ecc.) che in un modo o in un’altro hanno influito sulla qualità; quindi La Gioia è un blend di Sangiovese ogni anno sempre diverso. Il vino che prende il nome dalla nipote di John Dunkley, che si chiamava appunto Gioia, non è stato prodotto nelle annate 1984, 1989, 1992; raggiunge la maturità solo dopo 5-6 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra 6 e i 12 anni.

L’azienda L’azienda, di proprietà di Gary Baumann e Sean O’ Callaghan si estende su 34 Ha di cui 15 dedicati a vigneto. Responsabile vitivinicolo è lo stesso Sean O’Callaghan.

Altri vini

Prima annata

I Rossi: Chianti Classico DOCG (Sangiovese 100%) Chianti Classico DOCG Riserva (Sangiovese 100%) IGT Toscana Rosato (Sangiovese 100%)

Le migliori annate

Passito Bianco IGT Sebastiano (Malvasia 50%, Trebbiano 50%)

1982

1982 - 1985 - 1988 - 1990 1995 - 1997 - 1999

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Rocca di Castagnoli S ono molteplici i fattori che in definitiva mi hanno portato in Toscana e in

particolare verso questa tenuta di Rocca di Castagnoli che si estende nel cuore del Chianti per oltre 1000 ettari, in una delle zone più suggestive della provincia di Siena. Devo assicurare che sono davvero tante le concause che hanno interagito con questa mia presenza qui, a partire dalla grande passione che nutro, da sempre, per la campagna; un amore acquisito durante la fanciullezza trascorsa nelle tenute di mia madre in Calabria. Questa esperienza mi ha segnato profondamente, mi ha coinvolto ed emozionato spingendomi a non dimenticare i significati e i valori che solo il lavoro e l’ambiente rurale sanno trasmettere. Indubbiamente si cresce e la vita ci conduce lontano dai luoghi che erano rimasti spettatori, per tanto tempo, dei giochi di fanciullo, ma con il passare del tempo ci si accorge che inesorabilmente i profumi e le percezioni campestri ci hanno marchiato profondamente e piano piano si sente crescere il desiderio di riprovare quelle emozioni, di ritornare alla campagna, alla terra e di costruire in essa e con essa qualcosa d’importante, qualcosa che ci appartiene, che appartenga a noi e ai nostri figli. Questo è un concetto forte; un concetto che noi siciliani sentiamo appartenerci profondamente e per comprenderlo meglio dovreste conoscere il significato che uno dei più grandi scrittori italiani, il Verga, magistralmente attribuisce all’amore e alla passione che noi siculi diamo alla “roba”. Per noi, sia la proprietà, sia il concetto intrinseco del possesso non sono quantificabili dal tanto o dal poco, ma sono misurabili dall’importanza che assumono sotto l’a-

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spetto storico, culturale e sociale che ognuno di noi attribuisce loro. Tutto questo ci porta ad amare visceralmente ciò che è nostro, ciò che è concreto, solido, come la terra, com’è Rocca di Castagnoli, che da più di mille anni è qui impavida osservatrice degli umori degli uomini che gli sono passati accanto. Altre concause che mi hanno condotto in queste terre del Chianti sono da ricercare e da scoprire nel profondo del mio spirito, a partire dalla mia concretezza, dalla mia passione per “il bello”, per l’arte, per la storia, e anche un po’ per i piaceri che la vita concede, oppure nella volontà, nella speranza di lasciare un segno tangibile del mio passaggio in questa vita o per dare un forte segnale d’amore ai miei figli o per far sì che la mia vecchiaia possa essere vissuta come speravo, all’aria aperta, lontano dal frastuono e dalla confusione della città. Anche la mia professione è da considerarsi fra le cause della mia presenza qui a Castagnoli. Potete comprendere come da avvocato di diritto commerciale, che per anni ha provveduto a formulare perizie, relazioni tecniche, atti giudiziari, ricorsi, cessioni o acquisti d’aziende in uno studio nel cuore di Milano, davanti all’opportunità di comprare una tenuta che rispondesse a tutte le sue aspirazioni, non poteva certo tirarsi indietro, soprattutto dopo aver osservato la rocca, le terre ed essersi emozionato davanti al grande fascino che questo luogo sprigionava. Sono passati tanti anni e devo riconoscere che molto di quanto io andavo cercando l’ho trovato in questo luogo magico, ma molto ancora mi rimane da scoprire e da fare e forse oggi ancor più di ieri ho voglia di continuare a sognare.


Calogero CalĂŹ


ROCCA DI CASTAGNOLI Calogero Calì

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Stielle IGT Toscana Note

Zona di produzione Stielle è un cru delle uve di Sangiovese e Cabernet Sauvignon provenienti dal vigneto omonimo, di proprietà dell’Azienda Rocca di Castagnoli, posto sui pendii collinari a sud del comune di Gaiole in Chianti, nella zona di produzione del Chianti Classico DOCG.

Tipologia dei terreni Il vigneto si trova su terreni che hanno tessitura sabbiosa e argillosa, con forte presenza di scheletro e galestro, a un’altitudine di 400 metri s.l.m. con un’esposizione sud.

febbraio, i vini, separatamente, sono messi in barriques di rovere francese, per metà nuove e per metà di secondo passaggio dove rimangono per 15 mesi. Terminato l’invecchiamento, il vino subisce un leggero affinamento in tini d’acciaio dove si procede anche all’assemblaggio delle partite, prima di essere imbottigliato, con una naturale chiarifica, se necessaria, e un leggero filtraggio, per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 12 mesi.

Quantità prodotta 20000 bottiglie

Uve impiegate Sangiovese 70%, Cabernet Sauvignon 30%

Sistema d’allevamento Guyot e cordone speronato

Densità di impianto 5000 ceppi per Ha

Note organolettiche Di colore rosso rubino molto intenso, il vino si presenta con un forte impatto aromatico con note di frutti di bosco rossi maturi che s’intrecciano con note speziate di pepe, cuoio, tabacco e liquirizia. Al palato risulta potente, di grande morbidezza ed eleganza; al retrogusto è molto persistente.

Tecniche di produzione Dopo la vendemmia, che avviene di solito in ottobre, si procede alla fermentazione alcolica del mosto che si protrae fra i 4 e i 6 giorni a temperature che non superano i 28°C in tini di acciaio inox. Contemporaneamente si avvia la macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche leggere di délestage e follatura, prosegue invece per altri 10-12 giorni alla temperatura controllata di 30°C. Terminata questa fase il vino effettua la fermentazione malolattica e solo dopo, verso la fine di

Prima annata

1985

Le migliori annate

1987 - 1988 - 1990 1997 - 1999 - 2000

Il vino, che non è stato prodotto nelle annate 1986, 1989 e 1992, prende il nome dall’omonimo vigneto e raggiunge la maturità dopo 5-6 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 6 e i 15 anni.

L’azienda L’azienda Rocca di Castagnoli, di proprietà dell’avvocato Calogero Calì, si estende su una superficie complessiva di 1500 Ha, di cui 220 dedicati alla viticoltura e 40 all’olivicoltura, mentre il restante territorio vede la presenza di colture promiscue e boschi. Collaborano in azienda l’agronomo Federico Curtaz e l’enologo Giuseppe Caviola.

Altri vini I Bianchi: Molino delle Balze IGT (Chardonnay 100%) I Rossi: Chianti Classico DOCG (Sangiovese 90%, Canaiolo 5%, Merlot 5%) Chianti Classico DOCG Poggio a’ Frati Riserva (Sangiovese 95%, Canaiolo 5%) Chianti Classico DOCG Capraia Riserva (Sangiovese 85%, Cabernet Sauvignon 10%, Colorino 5%) La Prataiola IGT (Merlot 100%) Buriano IGT (Cabernet Sauvignon 100%) Vin Santo del Chianti Classico (Malvasia lunga del Chianti 90%,Trebbiano Toscano 10%)

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Rocca di Montegrossi Ho sempre lavorato nelle vigne del Chianti. Tutti gli anni, finita la scuola, ci trasferivamo da Firenze nel Chianti, nella tenuta della nostra famiglia (Ricasoli Firidolfi), che nell’albero genealogico discende dal condottiero Geremia, che al sèguito dei Longobardi, quasi mille anni fa, costruì la difesa del territorio della Rocca di Montegrossi. Erano molto diverse, nella mia giovinezza, queste terre del Chianti; diverse da come si presentano oggi. Ricordo che erano proprio un’altra cosa, non solo sotto l’aspetto paesaggistico, che inequivocabilmente è stato trasformato, ma soprattutto sotto l’aspetto antropologico che si è inesorabilmente modificato. Girando per queste vigne si respirava un’atmosfera unica, coinvolgente, che rendeva tutto il Chianti una terra magica; si percepiva in ogni dove la ruralità e l’anima semplice delle genti chiantigiane; era l’umanità dei contadini che contribuiva a valorizzare questo territorio e a renderlo così aperto e ospitale per qualsiasi forestiero; era la loro umiltà nell’affrontare la dura quotidianità che aiutava a rendere meno pesante il lavoro della terra. Si susseguivano le battute e gli “sfottò” e rammento sempre l’allegria che si diffondeva soprattutto nei momenti in cui il lavoro si interrompeva per la colazione nei campi per tutti coloro che, già dall’alba, erano impegnati a legare o a potare la vigna. Ricordo “il Broccia”, “Bertone di Meo”, “Bernacca”, “Scimmione”, personaggi che hanno colpito la mia immaginazione di adolescente; qui tutti i contadini avevano un soprannome e nessuno, vista la mia volontà nell’apprendere quello che era stato loro tramandato, mi considerava “il signorino”. Ero come uno dei loro figli e per questo non mi venivano risparmiate né battute, né “sfottò”. I rapporti umani erano vivi, veri, intensi; le porte delle case erano sempre aperte e in tutto quello che veniva fatto vi era una forte solidarietà comune che rendeva tutti cointeressati e coinvolti in ciò che avveniva all’interno della piccola comunità; le stesse amicizie erano granitiche, sincere e disinteressate.

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Sì, il Chianti era proprio un’altra cosa... Ricordo che il mio soggiorno in campagna si concludeva tutti gli anni con la fine della vendemmia, che si festeggiava con una grande cena collettiva preparata da tutte le donne. Una grande festa che finiva sempre con canti, balli e un gran falò; festeggiamenti che qui venivano detti “l’a bell’e finita” e rappresentavano sia la chiusura del lavoro svolto, sia la gioia e la speranza che il frutto del raccolto desse un eccellente vino nuovo. Della vendemmia questi erano i momenti che consolidavano i rapporti tra la proprietà e tutti coloro che lavoravano in azienda. Le distanze sociali si annullavano ed era l’occasione per parlare dei progetti e delle opere che dovevano essere intraprese nel nuovo anno, poiché nel Chianti si sa bene che l’anno non comincia il 1° gennaio e finisce il 31 dicembre, ma va da settembre a settembre. Questi ricordi sono ancora vivi in me, come sono presenti nella mia mente tutti quei volti, alcuni dei quali ancora oggi mi accompagnano nella mia storia di vignaiolo. Da loro ho imparato molto, forse anche un po’ a vivere, a rispettare i tempi della natura e ad assaporare gli umori delle stagioni. Ad aumentare il mio bagaglio culturale ha contribuito molto anche il biennio passato, molto più tardi, in mezzo alle vigne di Francia, a carpire altri segreti e altri modi di lavorare del vignaiolo. Il vero salto qualitativo e formativo, comunque, l’ho fatto lavorando nella mia azienda a stretto contatto con l’enologo neozelandese Bruce Hellywell, e con sua moglie, l’agronoma tedesca Anna Barbara. Con loro ho conosciuto fino in fondo il vigneto, il luogo dove si contribuisce a costruire i grandi vini rossi e solo dopo anni, adesso, qui a Montegrossi, sto realizzando un grande sogno, senza troppi compromessi, portando avanti delle belle idee, nella speranza che chi compra il mio vino possa in qualche modo percepire il grande impegno che ho messo nel realizzarlo e ricordarsi, con me, di com’era una volta il Chianti.


Marco Ricasoli Firidolfi


ROCCA DI MONTEGROSSI Marco Ricasoli Firidolfi

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Geremia IGT Toscana Zona di produzione Geremia è una cuvée delle uve Merlot e Cabernet Sauvignon dell’azienda agricola Rocca di Montegrossi, posta sulle colline che si trovano a sud del comune di Gaiole in Chianti nella zona di produzione del Chianti Classico DOCG.

e in tonneaux dove effettua la fermentazione malolattica e dove rimane per 18-20 mesi. Terminato l’invecchiamento, il vino è assemblato e dopo un breve periodo è imbottigliato per un ulteriore affinamento che prosegue per 24 mesi.

Tipologia dei terreni

Quantità prodotta

I vigneti si trovano su terreni che hanno una tessitura di medio impasto d’origine calcarea, ricchi d’alberese; si trovano a un’altitudine di 350 metri s.l.m., con un’esposizione sud / sud-ovest.

10000-11000 bottiglie l’anno

vato in Toscana intorno all’XI secolo. Il vino, prodotto solo nelle annate migliori, raggiunge la maturità solo dopo 4-5 anni dalla vendemmia e ha un plateau di maturazione compreso fra i 5 e i 12 anni.

L’azienda

Uve impiegate Merlot 60%, Cabernet Sauvignon 40%

Sistema d’allevamento Cordone bilaterale

Note organolettiche Si presenta di un colore rosso rubino intenso, all’esame olfattivo è caratterizzato da note di mora, prugna e cassis a cui si aggiungono sensazioni vanigliate, speziate e di cuoio. In bocca è pieno e rotondo e offre già ottimo equilibrio ed eleganza. Vino strutturato e complesso con un tannino assai gradevole che offre al retrogusto un ritorno della componente fruttata.

Densità di impianto 5280-6200 ceppi per Ha

Prima annata

1985

Tecniche di produzione Dopo la vendemmia che avviene all’inizio di settembre per il Merlot e verso la fine per il Cabernet Sauvignon, si procede alla fermentazione alcolica che procede per 10-14 giorni ad una temperatura di 28°C in tini tronco-conici di rovere francese di Allier. Contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura effettuate pneumaticamente tramite un sistema computerizzato. Terminata questa fase il vino è posto immediatamente in barrique di Allier

L’azienda Rocca di Montegrossi, di proprietà di Marco Ricasoli Firidolfi, si estende su una superficie complessiva di 70 Ha, di cui 20 vitati e 10 dedicati all’olivicoltura. Collabora in azienda l’enologo Attilio Pagli, mentre il settore agronomico è curato dallo stesso Marco Ricasoli Firidolfi con la collaborazione di Roberto Bandinelli e l’aiuto in vigna di Slavko Grabovac.

Altri vini I Rossi: Rocca di Montegrossi Chianti Classico DOCG (Sangiovese 90%, Canaiolo nero 10%) Vigneto San Marcellino Chianti Classico DOCG (Sangiovese 100%)

Le migliori annate

1985 - 1988 - 1990 - 1995 1998 - 1999 - 2001

Vin Santo (Malvasia del Chianti 100%)

Note Geremia nasce originariamente come Sangiovese in purezza e dopo un’annata di transizione (1999) Sangiovese-Merlot, è arrivato a realizzare, con il 2001, l’intento del produttore di esprimere il territorio con vitigni bordolesi. Il vino prende il nome dal capostipite del ramo Ricasoli-Firidolfi arri-

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San Fabiano Calcinaia G li anni della mia fanciullezza e della mia adolescenza mi videro itinerante

per le terre del Chianti. Infatti agli inizi degli anni ’50 la famiglia seguiva babbo Salvatore nei suoi continui spostamenti effettuati da una stazione dei carabinieri all’altra, quasi tutte collocate nell’area chiantigiana. Erano anni in cui la ruralità di questa zona era ancora più accentuata di adesso e gli stessi giochi di noi ragazzi erano molto diversi, più semplici e si svolgevano per le vie di quei paesi che ci ospitavano come Gaiole e Castellina. Erano giochi che risentivano molto dei cicli annuali che viveva la campagna, dalla vendemmia alla trebbiatura, dalla raccolta delle olive a quella della frutta. Quegli anni mi hanno marchiato; nel crescere nacque in me un forte desiderio di ruralità, un grande senso di rispetto verso la natura e il bisogno di vivere all’aria aperta; tutte sensazioni che mi hanno sempre accompagnato negli anni, ovunque io andassi. Dopo gli studi lavorai nel settore finanziario all’interno di alcuni istituti di credito, poi, acquisita esperienza, cercai fortuna da libero professionista a Milano; però, qualunque cosa io facessi avevo sempre dentro il bisogno di staccarmi e di rifugiarmi all’aria aperta per vivere la campagna e la sua ruralità con tutto quello che essa offre. Fu così che divenni cacciatore, con la doppietta a tracolla e lunghe passeggiate nelle gambe; era un bel vivere all’aria aperta e aveva poca importanza il fatto che qualche volta non si sparasse neanche “un colpo”. Quindi, appena mi capitò l’occasione, non mi lasciai sfuggire l’opportunità di comprare, nella mia Toscana, una tenuta che avesse al suo interno una riserva venatoria, e oltre 90 ettari di buona terra posta in una zona meravigliosa come è questa di San Fabiano in Calcinaia. Sui terreni, acquistati nel 1983, vi erano anche 16 ettari di vigna e pur considerando il vigneto un peso, e ancor di più non sapendo che cosa fare dei 1600 quintali di vino che mi trovavo in cantina,

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decisi di provare a migliorare la qualità del vino qui prodotto e vista la situazione contingente di quegli anni devo ammettere che il mio compito all’inizio non fu poi tanto difficile. A quei tempi non sapevo certamente quale meraviglioso morbo si annidasse dentro il lavoro del vignaiolo, cosa significasse allevare una vite, fare una vendemmia o vinificare e quale dipendenza desse il piacere di produrre un vino che fosse in grado di portare il mio nome, in giro per il mondo: fu proprio così che rimasi stregato da questo meraviglioso mondo enologico. Con il passare degli anni mi sono calato con estrema naturalezza nella professione del vignaiolo, anche se ciò ha voluto dire affrontare mille difficoltà, commettere errori ciclopici, effettuare continui investimenti sia sulla terra, sia nella cantina, ma oggi sono soddisfatto di quello che ho intrapreso più di vent’anni fa. In questi anni ho cercato d’imparare un mestiere, ricostruendomi un contatto più diretto con la terra, con la vite e con il Chianti; ho compreso che anche nel vino le tendenze del mercato possono ora rendere vani i sacrifici, ora determinare il successo di un prodotto e ho valutato, inoltre, come le sensazioni e i piaceri che si percepiscono, al naso e al palato, nel bere un buon bicchiere di vino, siano condizionabili da un’infinità di particolari che mi sembravano all’inizio insignificanti, ma ai quali oggi dò una grande importanza. Passano gli anni e mi trovo coinvolto in una quotidianità così lontana dal mondo dei numeri, dei conti e delle oscillazioni finanziarie, che sembra addirittura che tutto ciò non mi sia mai appartenuto; oggi i miei pensieri si focalizzano sulle vigne, sulla nuova barriccaia e sulle iniziative da intraprendere per migliorare la produzione e la penetrazione dei prodotti nel mercato, ma tutto quanto, alla fin fine, ha un unico comune denominatore: il vino.


Guido Serio


SAN FABIANO CALCINAIA Guido Serio

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Cerviolo rosso IGT Toscana Note

Zona di produzione Cerviolo rosso è una cuvée delle migliori uve provenienti dai vigneti del podere San Fabiano e da quello di Cellole che si trovano nella parte sud del comune di Castellina in Chianti nella zona di produzione del Chianti Classico DOCG.

Tipologia dei terreni I vigneti di Cellole, dove sono raccolti parte del Sangiovese e il Merlot, sono posti su terreni che hanno caratteristiche morfologiche con tessitura calcarea, con forte presenza di galestro a un’altitudine di 450 metri s.l.m., con un’esposizione sud / sud-ovest; i vigneti di San Fabiano, dove sono stati selezionati il Sangiovese e il Cabernet Sauvignon, sono posti su terreni che hanno caratteristiche morfologiche con tessitura calcareomarnosa a un’altitudine di 250 metri s.l.m. con un’esposizione sud / sud-ovest.

per 7-8 giorni alla temperatura compresa fra i 30 e i 32°C, in recipienti termocondizionati di acciaio inox. Contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura che, a seconda degli uvaggi, sono più o meno intense e frequenti; la macerazione prosegue, invece, per altri 14-16 giorni a temperature controllate comprese fra i 25 e i 28°C. Al termine i vini, senza alcuna chiarifica, sono posti in barriques nuove, dove il vino completa la fermentazione malolattica e dove vi rimane per 16-18 mesi. Terminato l’invecchiamento, viene effettuato l’assemblaggio delle partite e dopo una breve sosta in tini d’acciaio il vino è messo in bottiglia per un ulteriore affinamento di 6 mesi.

Quantità prodotta 28-34000 bottiglie l’anno

Uve impiegate Sangiovese 50%, Merlot 25%, Cabernet Sauvignon 25%

5450-5950 ceppi per Ha

Tecniche di produzione

Prima annata

Cordone speronato basso

Densità di impianto

Dopo la vendemmia, che avviene di solito dal 10 settembre al 1 ottobre, si effettua la fermentazione alcolica che procede separatamente per ogni vitigno e che si protrae

L’azienda L’azienda comprende due poderi confinanti: San Fabiano e Cellole. Le aziende, di proprietà di Guido Serio, si estendono su una superficie complessiva di 165 Ha, di cui 33 destinati alla viticoltura e 8 destinati all’olivicoltura. La restante superficie vede la presenza di boschi e altre colture promiscue. Collaborano in azienda l’enologo Carlo Ferrini e l’agronomo Rocco Giorgio.

Altri vini I Bianchi: Cerviolo Bianco (Chardonnay Sauvignon blanc 15%)

85%,

Note organolettiche Di colore rosso rubino, il vino presenta note spiccate di viola, marasca e piccoli frutti di bosco neri; man mano che il vino si apre si percepisce un fondo di speziatura. Dal sapore asciutto, elegante, complesso e intenso, suggerisce al palato le sensazioni avvertite al naso; al retrogusto è molto persistente.

Sistema d’allevamento

Cerviolo si può considerare un nome di fantasia. Raggiunge la maturità solo dopo 5-6 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione dovrebbe essere compreso fra i 6 e i 15 anni.

I Rossi: Chianti Classico DOCG (Sangiovese 90%, altre varietà 10%) Chianti Classico Cellole DOCG Riserva (Sangiovese 95%, Merlot 5%)

1994

Le migliori annate

1997 - 1999 - 2000 - 2001

299




San Giusto a Rentennano Siamo Luca, Francesco ed Elisabetta, tre dei nove fratelli Martini di Cigala. Con

altri tre fratelli conduciamo la fattoria di San Giusto a Rentennano e, senza paura di essere smentiti, siamo quelli sempre presenti, poiché, forse per ragioni viscerali o semplicemente sentimentali, abbiamo deciso di dedicarci completamente a quest’azienda familiare. La nostra è, indubbiamente, una famiglia numerosa che è stata guidata fino al 1992 dai nostri genitori che avevano fatto di San Giusto il loro punto di riferimento importante intorno al quale aggregarci, un luogo preciso, ben identificabile, senza il quale forse la nostra famiglia si sarebbe dispersa. Rentennano è stato il luogo che ha visto passare la nostra prima infanzia, dove si sono formate le nostre personalità; un luogo dove ognuno di noi è stato impegnato nella ricerca interiore di stimoli, di emozioni e di valori ai quali aggrapparsi nel proseguimento della vita. Noi tre, forse più degli altri, con il passare degli anni ci siamo ancorati ai valori e agli stimoli che la terra trasmette e con il tempo si è sempre più consolidato, in noi, il legame con questo elemento che non è mai venuto meno, che non ci ha mai tradito, che ci ha dato sicurezze a prescindere dalle altre esperienze che singolarmente, nella vita, ognuno di noi ha fatto. A distanza di anni dobbiamo affermare che il rapporto che abbiamo instaurato con le zolle, la vigna e le nuvole è inscindibile, è forte e ciò sicuramente dipende dal fatto che in esso ricerchiamo il nostro soddisfacimento e la nostra gratificazione personale. È con il semplice lavoro del contadino che ci rapportiamo e ci identifichiamo; un lavoro che ha regole, impegni e metodologie precise, che è uguale in ogni parte del mondo, perché in ogni parte del mondo è sintomo di sacrificio e di fatica e ha poca importanza se ti trovi in Toscana o in Kenia: quello che conta

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è avere ben chiaro il grande impegno che ti richiede la terra. Per noi non ha poi un significato così rilevante essere contadini in Toscana, lo saremmo anche, in fondo e nel profondo, da qualsiasi altra parte del mondo, pur dipendendo la cosa dalle mille varianti che ci impone la vita; questo mestiere lo abbiamo dentro, ci appartiene e sappiamo che ci guarda in faccia, ci chiede ubbidienza e dedizione totale; è un lavoro che non ha una collocazione geografica, ma solo dei buoni o cattivi interpreti. Per noi tre poi è importantissimo avere un quotidiano ed epidermico contatto con la terra. Nessuno di noi sa spiegarsi il motivo di questo inscindibile legame; forse sarà dovuto all’esempio fornito da nostro padre, o dal sangue piemontese che ci scorre nelle vene da parte del nonno Enrico, generale dell’esercito reale venutosi a sposare con una Ricasoli; oppure dal sangue carrarino di nostra madre Annella Fabbricotti; comunque sta di fatto che noi viviamo la nostra ruralità non come una regola, ma come una ragione di vita, come un mestiere che abbiamo fatto fatica prima a comprendere, poi ad apprendere e infine a praticare. Viviamo una quotidianità che ci vede sempre protesi alla ricerca della continuità qualitativa, un obiettivo molto difficile in agricoltura. Raccolto dopo raccolto ci impegniamo ad allontanare da noi le difficoltà degli anni di carestia, per gioire e rasserenarci negli anni delle “vacche grasse”. Prima di ogni raccolto, si tratti di uva, di grano o di qualsiasi altro prodotto, speriamo di aver lavorato bene, per il giusto fine, ma sappiamo che il risultato finale non dipende soltanto dalla grandezza dei nostri sacrifici, ma da come gli elementi della natura avranno interagito con noi. È per questo che spesso alziamo gli occhi al cielo nella speranza che ci sia sempre un buon raggio di sole a illuminare il nostro lavoro.


Luca - Francesco - Elisabetta Martini di Cigala


SAN GIUSTO A RENTENNANO Luca, Francesco ed Elisabetta Martini di Cigala

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Percarlo IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

Percarlo è una cuvée di uve provenienti da sei differenti vigneti situati sulle terre della fattoria di San Giusto a Rentennano posta a sud del comune di Gaiole in Chianti, nella zona di produzione del Chianti Classico DOCG.

I vigneti si trovano su terreni che hanno caratteristiche morfologiche molto diverse gli uni dagli altri: in alcuni casi presentano una tessitura con abbondante galestro e alberese, in altri casi una tessitura di medio impasto con matrice tufacea, iperpotassica, in altri ancora presentano una tessitura sabbiosa con presenza di lenti ghiaiosi di origine pliocenica; si trovano ad un’altitudine di 270 metri s.l.m. e hanno un’esposizione a sud / sud-ovest e sud-est.

Dopo la vendemmia, che avviene di solito fra la fine di settembre e i primi 10 giorni di ottobre, si procede alla fermentazione alcolica che si effettua per circa 6-8 giorni alla temperatura controllata di 30-34°C in vasche di cemento e contenitori di acciaio inox. Contemporaneamente si effettua la macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, prosegue per altri 14-16 giorni. Terminata questa fase il vino effettua la fermentazione malolattica nelle vasche di cemento prima di essere immesso in fusti di rovere francese da 2,25 hl, solo in parte nuovi, dove vi rimane per 22 mesi. Terminato questo invecchiamento, il vino è assemblato e mantenuto nei tini di acciaio e, senza filtraggio, è imbottigliato per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 6 mesi.

Uve impiegate

Quantità prodotta

Sangiovese 100%

20000 bottiglie l’anno

Sistema d’allevamento

Note organolettiche

Guyot e cordone speronato

Di colore rosso granata profondo, il vino si presenta con sentori di estrema finezza armonica con note fruttate in prevalenza di marasca ben integrata con note di frutti di bosco maturi che man mano che il vino si apre danno spazio a note speziate. Al palato è molto strutturato ed equilibrato con una trama tannica evidente, ma ben equilibrata; al retrogusto è persistente e pulito.

Tipologia dei terreni

Densità di impianto 3000 ceppi per Ha nei vecchi impianti e 5000 ceppi per Ha nei nuovi impianti

Prima annata

1983

Le migliori annate

1985 - 1988 - 1990 1995 - 1997 - 1999 Note Il nome del vino rappresenta una dedica in memoria di un caro amico di famiglia tragicamente scomparso. L’età media dei vigneti dai quali si raccoglie il Sangiovese è di 27 anni e sono tutti circondati da boschi secolari. Il vino raggiunge la maturità solo dopo 5-6 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 6 e i 15 anni.

L’azienda La fattoria di San Giusto in Rentennano, di proprietà dei fratelli Martini di Cigala, si estende per 160 ettari di cui 30,5 dedicati alla viticoltura e 11 dedicati all’olivicoltura, mentre i restanti vedono la presenza di coltivazioni promiscue e boschi. In azienda collabora come consulente esterno l’agronomo Mauro Nosi, mentre il settore enologico è seguito da Attilio Pagli.

Altri vini I Rossi: Chianti Classico DOCG (Sangiovese 95%, Canaiolo 5%) Chianti Classico DOCG Riserva Le Baroncole (Sangiovese 97%, Canaiolo 3%) Vin Santo (Malvasia 90%, Trebbiano 10%)

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Sassotondo Siamo convinti che chiunque arrivi su quest’altopiano dell’alta Maremma,

rimanga, come noi, affascinato e coinvolto dalla magica energia che questi luoghi sprigionano. È un’energia che abbiamo sentito subito forte, quando siamo arrivati qui nel 1990, in questo triangolo di città di tufo, Pitigliano, Sorano e Sovana. Qui si respiravano la storia, le leggende e i segreti del popolo etrusco; una storia “palpabile”, piena di piccoli e grandi segni sparsi ovunque, che arredano minuziosamente tutto il territorio, stampandosi nel tufo: i segni delle ruote dei carri, le gole delle vie cave, i fontanili al termine dei fossi di raccolta delle acque, i buchi sulle pareti di tufo, lì dove erano ancorate le tettoie, le mangiatoie, le conigliere, le fornaci... tutto tufo. E poi una natura selvaggia, tanto densa di sorprese (spettacolari le fioriture di orchidee selvatiche in primavera!) quanto rarefatta di popolazione. Ci ricordiamo ancora quel dicembre di tanti anni fa quando ci siamo ritrovati su questo pianoro con la nebbia e il vento gelido che giocava su un mare di bassa erba gialla; ci pareva quasi di essere in quelle lande scozzesi che avevamo scoperto poco tempo prima. Tutto era meravigliosamente bello. Un cartello diceva: "vendesi azienda agricola"... come resistere? E’ stato un amore a prima vista, anche se non pensavamo che in questo lembo di Toscana fosse racchiuso il nostro futuro. Era invece un’ipotesi, una possibilità, una porta che si apriva: qui Carla poteva mettere finalmente in pratica la sua esperienza di agronoma, dopo anni di un lavoro che diventava sempre più burocrazia e scartoffie ed Edoardo poteva esercitarsi a fare il signorotto di campagna e tirare fuori le sue giacche di tweed...

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Ma poi un po’ per volta la cosa ci ha preso la mano e la nostra grande passione per il vino è stata l'esca finale: avevamo la terra, c’era una bella cantina scavata nel tufo, avevamo acquistato un altro bel vigneto di uva rossa (quello del San Lorenzo) e, di nuovo, come resistere? Ogni giorno rielaboriamo il nostro progetto e ogni giorno lavoriamo per renderlo concreto, trasformando continuamente i nostri 72 ettari; quando siamo partiti non avevamo niente, solo un ettaro di vigneto, una piccola casa scassata e della terra che era stata abbandonata ormai da molti anni. La cantina poi, era molto pittoresca, scavata per quasi 40 metri all'interno del costone di tufo, ma assolutamente non idonea, così com’era, per il vino. Oggi gli ettari di vigna sono 11, la cantina è bellissima e la vecchia stalla delle pecore è diventata un piccolo agriturismo; in verità la casa è ancora scassata, ma piuttosto simpatica e accogliente e poi qui la nostra figlia Francesca, che Carla, da brava austro-ungarica chiama Franzele, è come una piccola “fata” dei boschi. Il divertente è che siamo riusciti anche a fare del vino che ci piace moltissimo e che per nostra fortuna piace anche ad altri: un vino che racchiude in sé le caratteristiche di questi luoghi e rispecchia la nostra filosofia produttiva che fonda la qualità dei suoi prodotti su tanto lavoro nella vigna, sul patrimonio di vitigni autoctoni come il Ciliegiolo, e su una mano leggera in cantina. A che punto del nostro percorso ci troviamo adesso? Non lo sappiamo e non c’è molto tempo per fermarsi a pensarci, ma siamo contenti di aver varcato quella soglia e di fare un lavoro che ci appassiona e che continuamente ci sprona ad andare avanti.


Carla Benini - Edoardo Ventimiglia


SASSOTONDO Edoardo Ventimiglia

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San Lorenzo IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

Note

San Lorenzo è un cru ottenuto dalla selezione delle migliori uve di Ciliegiolo del vigneto omonimo di proprietà dell'azienda, posto nelle vicinanze del paese di Pitigliano, nella zona di produzione del Sovana DOC e del Bianco di Pitigliano DOC.

Il nome del vino deriva dall’omonimo vigneto. L’età media delle viti supera i 30 anni. Il vino raggiunge la maturità solo dopo 3-4 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione dovrebbe essere compreso fra i 4 e gli 8 anni.

Ciliegiolo 100%

Dopo la vendemmia, che avviene di solito dal 1 al 15 di ottobre, si effettua la fermentazione alcoolica che si avvia senza l’aiuto di lieviti industriali e si protrae per circa 6 giorni alla temperatura di 30°C in recipienti termocondizionati di acciaio inox. Contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, prosegue per altri 15-21 giorni a temperature controllate comprese fra i 28 e i 30°C. Terminata questa fase, il vino, senza alcuna chiarifica, effettua la fermentazione malolattica in barriques di Allier nuove dove vi rimane per 18 mesi. Terminato l’invecchiamento, il vino viene imbottigliato ed avviato ad un ulteriore affinamento che prosegue per altri 8-10 mesi.

Sistema d’allevamento

Quantità prodotta

Guyot doppio nei vecchi impianti, singolo nei nuovi

6500 bottiglie l’anno

Altri vini

Note organolettiche

I Bianchi: Bianco di Pitigliano DOC (Trebbiano 70%, Sauvignon 15%, Greco di Tufo 10% e un piccolo saldo del 5% di altre uve) Numero Sei IGT (Sauvignon, Greco di Tufo e Chardonnay in parti uguali)

Tipologia dei terreni Il vigneto si trova su terreni tufacei che costituiscono le propaggini del bacino vulcanico di Bolsena e che hanno una tessitura di medio impasto, iperpotassici, ma magri, ad un’altitudine di 300 metri s.l.m. con esposizione a sud-ovest.

Uve impiegate

Densità di impianto 2500 ceppi per Ha nei vecchi impianti, 4600 ceppi per Ha nei nuovi impianti

Di colore rubino profondo con riflessi violacei, il vino presenta un ampio e ricco bouquet, dove domina la ciliegia e in profondità il ribes nero, con note speziate di pepe, chiodo di garofano e cuoio. In bocca si apre ampio e gentile, con buona struttura tannica fine e setosa; al palato risulta lungo e persistente.

Prima annata

1997

L’azienda L’Azienda Agricola Sassotondo, di proprietà di Carla Benini e Edoardo Ventimiglia dal 1990, si estende su una superficie complessiva di 72 Ha, di cui 11 destinati alla viticoltura e 12 destinati all’olivicoltura. La restante superficie vede in gran parte la presenza di boschi e altre colture estensive; il tutto è gestito con i metodi dell'agricoltura biologica. Collaborano in azienda il consulente viticolo Remigio Bordini e l’enologo Attilio Pagli.

I Rossi: Franze Sovana Rosso DOC Superiore (Sangiovese 70%, Ciliegiolo 25%, Merlot 5%) Sassotondo Rosso IGT (Ciliegiolo 60%, Sangiovese 30%, Alicante 10%)

Le migliori annate

1997 - 1998 - 2000

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Satta Michele Mi sono innamorato della campagna, del lavoro manuale che l’accompagna, della sapienza dei contadini e dell’ordine naturale che vi regna. Mi sono innamorato dell’estensione del tempo che si percepisce stando in mezzo a una vigna; mi sono innamorato della natura, del rapporto meraviglioso che si crea al suo contatto, mi sono innamorato della mutabilità degli eventi che l’accompagnano, così diversi e al tempo stesso così uguali fra loro, messaggi che devono essere solo letti e interpretati per accoglierli come semplici doni concessi per il tuo impegno profuso. Mi sono innamorato del cielo e del vedere come il sole, le nuvole, la pioggia o il vento modifichino, giorno dopo giorno, la vite che muta, si trasforma, vegeta; mi sono innamorato della vendemmia, del rapporto che i contadini hanno con le cose e con il loro lavoro sempre svolto in armonia fra gli elementi che legano la terra al tempo. Mi sono innamorato del vino che ha in sé non solo tutta l’essenza della campagna, ma anche la sapienza dell’uomo, la terra che gli ha dato vita e il carattere dell’uva che lo ha generato oltre al terroir che lo circonda. Sono passati anni dalla mia prima vendemmia, svoltasi in quel lontano 1974, quando da semplice “garzoncello“ di fattoria mi ero sistemato in una roulotte nell’aia della fattoria di un amico di famiglia, qui a Castagneto. Mi ero appena iscritto alla facoltà d’Agraria all’Università di Pisa e alternavo allo studio una mezza giornata di lavoro, così da potermi mantenere agli studi, ma ricordo che l’esperienza della vendemmia mi fu fatale: rimasi folgorato e fui preso da una passione indescrivibile per tutto quello che riguardava la vite, l’antico mondo rurale, vivo e vero come pochi altri. Finita l’università, a 23 anni entrai come fattore nell’azienda Casanuova, di pro-

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prietà della famiglia Tringali, e mi sposai con Lucia, dalla quale ho avuto sei figli. Dopo pochi anni ho avuto l’occasione di realizzare il desiderio di intraprendere in proprio l’attività agricola, rilevando in affitto le vigne e la cantina della stessa fattoria. Da quel momento, grazie anche all’incontro con l’enologo Attilio Pagli, è iniziato un percorso che ha collegato le suggestioni e la passione di un tempo alla consapevolezza, sempre più certa, dell’immenso patrimonio enologico che questa meravigliosa terra di Bolgheri possiede. Il grande desiderio di ogni buon vignaiolo è comunque quello di affermarsi, ed era quello che anch’io cercavo, ma per farlo non volevo scendere al compromesso di fare solo il grande vino, desideravo fortemente che i miei prodotti fossero la rappresentazione del mio stile, tutto teso ad affermare l’unicità e il carattere che il terroir di questa zona imprime ai vini; volevo che fossero riconoscibili, identificabili come i vini di Michele Satta di Bolgheri, e a questo devo dire che piano piano ci sono arrivato. Ho cercato in tutto questo tempo di dare il giusto valore e il giusto riconoscimento anche alla tradizione vitivinicola toscana puntando non solo sulla valorizzazione dei vitigni internazionali, ma anche sulla riqualificazione del più classico Sangiovese. Sono state la mia storia e la mia tradizione che mi hanno indotto ad investire nella vigna, e dopo tanti anni, ancora, non è venuta meno la passione per questo meraviglioso mondo del vino, passione che resiste ancora forte e impetuosa, forse ancor più di prima. È tramite questa mia energia interiore che, sono sicuro, troverò nel futuro le forze per migliorare quello che ho fatto fino a oggi e benché siano passati vent’anni, mi considero ancora giovane e come allora sempre teso a scoprire quanto vi sia di nascosto nelle mie terre e nelle mie uve.


Michele Satta


SATTA MICHELE Michele Satta

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Piastraia Bolgheri DOC Rosso Superiore Zona di produzione

Tecniche di produzione

Piastraia è una cuvée sapiente delle migliori uve provenienti dai vigneti di proprietà di Michele Satta sulle colline che guardano il mare nella dorsale ovest del comune di Castagneto Carducci, nella zona di produzione del Bolgheri DOC.

Dopo la vendemmia, che avviene di solito dalla prima settimana di settembre all’inizio di ottobre, secondo la maturazione delle uve, si effettua la fermentazione alcolica che procede separatamente per il Cabernet Sauvignon, il Merlot, il Sangiovese e il Syrah e che si protrae con tempi variabili affidati alle sensazioni organolettiche, fino ai 25-30 giorni con macerazioni mediante follature manuali e délestage in tini di legno ad apertura superiore. Le temperature vengono contenute sotto i 35°C in modo naturale. Terminata questa fase ogni varietà e ogni selezione, senza alcuna chiarifica, sono messe in barriques di rovere francese, per un 30% nuove, nelle quali si conclude la fermentazione malolattica. Qui rimangono per un periodo di 12 mesi. Terminato l’invecchiamento, il vino subisce un affinamento in tini d’acciaio prima di essere imbottigliato per un ulteriore affinamento di 12 mesi.

Tipologia dei terreni I vigneti sono posti su terreni di medio impasto con caratteristiche morfologiche derivanti da alluvionali sovrapposte e sedimenti marini; si trova a un’altitudine di 60 metri s.l.m. e ha un’esposizione a sud / sudovest.

Uve impiegate Cabernet Sauvignon 25%, Merlot 25%, Sangiovese 25%, Syrah 25%

Sistema d’allevamento Guyot

Prima annata

1995

Le migliori annate

1999 - 2000 - 2001 Note Piastraia è una località di Castagneto Carducci di grande suggestione nella storia di Michele e Lucia. Il vino dovrebbe raggiungere la maturità solo dopo 4-5 anni dalla vendemmia, mentre il plateau di maturazione dovrebbe essere compreso fra i 5 e i 10 anni.

Densità di impianto 6000 ceppi per Ha

Quantità prodotta 20-30000 bottiglie l’anno

Note organolettiche Di colore rosso rubino molto concentrato, il vino si presenta con marcati profumi speziati ed eleganti note di piccoli frutti di bosco rossi. Dal sapore complesso, ripropone al palato le sensazioni avvertite al naso; al retrogusto è persistente.

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Cavaliere IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

Note

Cavaliere è una cuvée sapiente delle migliori uve di Sangiovese provenienti dai vigneti di proprietà di Michele Satta sulle colline che guardano il mare nella dorsale ovest del comune di Castagneto Carducci, nella zona di produzione del Bolgheri DOC.

Dopo la vendemmia, che avviene di solito negli ultimi 10 giorni di settembre, si effettua la fermentazione alcolica che si protrae per almeno 10 giorni con temperature libere fino a 35°C in botti di legno aperte da 30 quintali. Contemporaneamente la macerazione sulle bucce, coadiuvata da tecniche di follatura, prosegue invece per altri 20. Terminata questa fase, il vino, senza alcuna chiarifica, viene messo in barriques di rovere francese già utilizzate, e nelle botti utilizzate per la macerazione, nelle quali si conclude la fermentazione malolattica. Successivamente vi rimane per un periodo di 12 mesi. Terminato l’invecchiamento, il vino subisce un affinamento in tini d’acciaio di circa 1 mese prima di essere messo in bottiglia per un ulteriore affinamento di 24 mesi.

Vigna al Cavaliere era la prima vigna utilizzata per produrre questo vino. Poi è stato impossibile usare il vero nome, perché per la legge non può essere menzionata la parola vigna. Il vino raggiunge la maturità solo dopo 5-6 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 6 e i 15 anni.

Tipologia dei terreni I vigneti sono posti su terreni di medio impasto con caratteristiche morfologiche derivanti da alluvionali sovrapposte e sedimenti marini; si trova a un’altitudine di 60 metri s.l.m. e ha un’esposizione a sud / sudovest.

Uve impiegate Sangiovese 100%

Sistema d’allevamento

L’azienda L’azienda, di proprietà di Michele Satta, si estende per una superficie complessiva di 36 Ha, di cui 30 dedicati alla viticoltura e 2 dedicati all’olivicoltura. Il resto vede la presenza di colture promiscue e boschi. Svolge le funzioni di agronomo lo stesso Michele Satta. Collabora in azienda l’enologo Attilio Pagli.

Altri vini

Guyot

Quantità prodotta Densità di impianto

10-20000 bottiglie l’anno

5000 ceppi per Ha

Note organolettiche Il vino si presenta di un colore rosso rubino e con dei profumi complessi di spezie e frutta rossa matura. Al gusto risulta ben strutturato, elegante, morbido; al retrogusto è molto lungo e persistente con note di tabacco e cuoio.

Prima annata

1990

Le migliori annate

1997 - 1998 - 1999 - 2000

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I Bianchi: Costa di Giulia (Vermentino Sauvignon blanc 35%) Giovin Re (Viognier 100%)

65%,

I Rossi: Bolgheri Rosso Superiore I Castagni (Cabernet Sauvignon 40%, Syrah 40%, Teroldego 20%) Bolgheri Rosso DOC (Cabernet Sauvignon 30%, Sangiovese 30%, Merlot 30% Colorino, Malvasia Nera, Ciliegiolo 10%) Bolgheri Rosato DOC (Sangiovese 70%, Cabernet Sauvignon 10%, altre varietà 20%)



Tenimenti Luigi d’Alessandro I l progetto dei Tenimenti d’Alessandro non è nato per caso; viene invece da

quel processo evolutivo che ha coinvolto per moltissimi anni molti uomini, ed in prima persona me e mio fratello Francesco; noi proprietari in particolare, pur non conoscendo il vino, ma amandolo profondamente, siamo riusciti in quasi quindici anni a costruire un percorso e un’identità a un’azienda e a un territorio, quello delle colline attorno a Cortona, considerato da sempre un’area di scarso interesse vinicolo. Quando siamo arrivati, questa terra era (e in parte lo è ancora) una zona priva dell’humus culturale vitivinicolo con il quale avremmo dovuto confrontarci e dal quale avremmo, se mai, dovuto trarre indicazioni e punti di riferimento. Nella nostra incompetenza noi, che eravamo gente che viene dalla città e da altre professioni, giustificavamo il fatto incolpando il clima di questa zona, che influisce molto sulle colture: non è un caso che qui passano anche quattro o cinque mesi senza pioggia. Inoltre nessuno aveva memoria di grandi vini, anche se sembra che vi fosse una storia, più o meno recente, sulla quale successivamente abbiamo costruito la ragion d’essere della nuova DOC Cortona. Non vi erano però soltanto fattori specifici della storia locale, che incidevano sul modo di portare avanti il progetto di qualificazione dell’azienda; infatti bisogna anche tener presente, come ho appena detto, la nostra matrice metropolitana, che ci poneva nei confronti del lavoro della terra “sgombri” da qualsiasi remora o condizionamento storico: noi eravamo, potrei dire, un po’ spregiudicatamente, vogliosi di fare, anche se un po’ ignoranti in materia. Anche la mia professione accademica, come docente di Architettura alla Sapienza di Roma, dove insegnavo a progettare sogni e a costruire realtà, nel bene e nel male, ha contribuito, e forse condizionato, le scelte della fase di partenza. Nel 1979 quando a babbo Luigi, che aveva sempre avuto il desiderio di avere della terra in Toscana facilmente raggiungibile da Roma, capitò l’occasione di acquistare parte di una storica tenuta, non se la fece scappare e ne comprò proprio il cuore, con il borgo, la villa del Settecento, la chiesetta e il parco circostante, giardino di pregio disegnato intorno al 1911 dall’architetto senese Capezzuoli. Mio padre, pur piantando subito 62 ettari di vigneto, fra Trebbiano e Sangiovese di dubbia provenienza, non riuscì e forse non volle dare una svolta al trend

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aziendale; nonostante non pochi sforzi economici, l’azienda non decollava risentendo forse di quella cultura contadina che vedeva quasi tutte le fattorie toscane orientarsi nella logica del soddisfacimento del proprio fabbisogno, dedicando sì attenzione e energie all’olivicoltura o alla viticoltura, ma molto anche all’allevamento del bestiame e alle colture seminative di vario genere. Quando nel 1985 iniziai ad occuparmi seriamente dell’azienda decisi di pianificare, finché mi fosse stato possibile, il mio sogno, che era quello di fare, su queste terre che sembravano così avverse, un grande vino. Da quella decisione prese il via il mio iter enologico per il mondo. Amavo il vino, ma allo stesso tempo avevo poche conoscenze tecniche e per approfondirle, come un buon discente, presi ad andare ora nel Chianti, ora a Bordeaux e ovunque vi fosse un minimo di cultura enologica. Feci quello che poi, qualche anno dopo, avrebbe fatto anche mio fratello più giovane Francesco. Diventò un’abitudine domandare, chiedere delucidazioni, fu normale frequentare enoteche e ristoranti per avere la possibilità di assaggiare e giudicare i grandi vini. Sul piano della definizione del nostro progetto, conoscere Attilio Scienza è stato poi fondamentale. Con lui, nel 1988, impiantammo 5 ettari di vigneto sperimentale dove furono messi a dimora diversi vitigni, molti cloni per ciascuno di essi e diversi portainnesto. Era il modo per cercare un rapporto forte, specifico nella zona, con un vitigno: scoprimmo che questa terra, così particolare, così argillosa, calda e secca, poteva essere un luogo ideale per il Syrah. E Syrah fu. A partire dal 1990 decidemmo di modificare drasticamente tutti e 62 gli ettari vitati a nostra disposizione, modificando anno per anno gradualmente la densità degli impianti fino ai circa 50 ettari di oggi, tutti ad alta densità. Oggi la nostra realtà è più strutturata, abbiamo un forte gruppo di consulenti per la gestione delle vigne ed un enologo per la cantina, Stefano Chioccioli: uno di quegli enologi che credono che il vino si faccia davvero nelle vigne. Oggi siamo una bella realtà della nuova DOC Cortona, e forse fra le aziende italiane con il maggior numero d’ettari a Syrah, ma questo ha forse poca importanza; l’importante è, invece, che iniziamo a vedere per il nostro territorio una reale rinascita del vino di qualità che promette un proseguo per il nostro progetto, proprio come nelle migliori favole.


Massimo - Francesco d’Alessandro


TENIMENTI LUIGI D’ALESSANDRO Massimo d’Alessandro

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Il Bosco Cortona Syrah DOC Zona di produzione

Tecniche di produzione

Note

Il Bosco è una cuvée di uve Syrah provenienti dai vigneti dell’azienda Tenimenti D’Alessandro, posta nel comune di Cortona nella zona di produzione del Cortona DOC.

Dopo la vendemmia, che avviene di solito nella seconda metà di settembre, si avvia la fermentazione alcolica che di solito procede per 4-6 giorni alla temperatura controllata di 28°C in recipienti termocondizionati; in contemporanea si procede anche alla macerazione delle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage e rimontaggi, si protrae per altri 1416 giorni. Terminata questa fase, il vino è posto in barriques di Allier, nuove per il 50% e 50% di secondo passaggio, dove svolge la fermentazione malolattica. A fermentazione completata viene effettuato l’assemblaggio delle partite migliori, dopo di che il vino è nuovamente rimesso in barriques dove matura per circa 14 mesi. Terminato l’invecchiamento, il vino viene posto per un breve periodo in tini di acciaio, prima di procedere a un affinamento in bottiglia di 10 mesi.

Il nome del vino viene dal primo dei poderi di Syrah entrato in produzione, appunto il podere “il Bosco”, impiantato nel 1993; il nome è rimasto lo stesso anche quando sono entrati in produzione altri poderi. Il vino raggiunge la maturità solo dopo 4-5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 10 anni.

Quantità prodotta

Altri vini

Tipologia dei terreni I vigneti sono posti su terreni con tessitura argillosa di medio impasto, a un’altitudine variabile tra 280 e i 300 metri s.l.m., con un’esposizione variabile.

Uve impiegate Syrah 100%

Sistema d’allevamento Cordone speronato

Densità di impianto Da 7000 ceppi per Ha ad 8500 per i più recenti

L’azienda L’azienda, di proprietà della famiglia d’Alessandro, si estende su una superficie complessiva di 145 Ha, di cui 50 destinati alla viticoltura specializzata e 14 all’olivicoltura, mentre il restante territorio vede la presenza di colture promiscue e boschi. Collaborano in azienda gli agronomi Andrea Paoletti e Federico Staderini e l’enologo Stefano Chioccioli.

85000 bottiglie l’anno

Note organolettiche Di colore rosso intenso, il vino si presenta con profumi molto intensi, speziati di pepe, cannella e vaniglia, con note fruttate di ciliegia matura e mora. Al palato risulta avvolgente; di grande spessore; in bocca si mantiene potente per un lungo periodo.

I Bianchi: Fontarca DOC (Chardonnay 60%, Viognier 40%) I Rossi: Il Vescovo IGT (Syrah 100%) Vin Santo (Trebbiano Toscano)

Prima annata

1992

Le migliori annate

1995 - 1997 - 1999

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Tenimenti Ruffino È

la quarta generazione dei Folonari che si sussegue alla guida di questa importante azienda toscana, fondata a Pontassieve nel 1877 dai cugini Ilario e Leopoldo Ruffino e acquistata dai nostri antenati, Italo e Francesco Folonari, nel 1913. È dunque la continuità di pensiero e d’azione la principale risorsa di noi Folonari. Fin dall’inizio l’abbiamo messa alla base della nostra strategia aziendale, perché sappiamo che i risultati nell’enologia richiedono tempo, impegno, dedizione ed esperienza, utili per capire e interpretare il terroir, elementi che si arricchiscono solo nella continuità. Sono stati questi i cardini che ci hanno consentito nel tempo l’ampliamento della nostra attività che, man mano, si è estesa su ben 15 proprietà tutte a spiccata vocazione vitivinicola raggruppate in aziende sparse sull’intera Toscana che comprendono Montemasso, Santedame, Gretole e Tuopina nel Chianti Classico; Poggio Casciano nel Chianti dei Colli Fiorentini; Solatìa e la Tenuta di Murlo nel Chianti dei Colli Senesi; la Tenuta Greppone Mazzi a Montalcino, la Tenuta Lodola Nuova a Montepulciano e la Tenuta Pietraia a Cortona. È con queste esperienze che siamo riusciti ad assimilare, tutelare e tramandare i valori del territorio; è attraverso il filtro delle nostre conoscenze, arricchitosi giorno dopo giorno, con l’impegno nel lavoro, il grande rispetto che abbiamo per i nostri collaboratori e l’amore per la terra, che noi Folonari continuiamo a difendere e valorizzare, generazione dopo generazione, l’ambiente, continuando a fare da quasi cento anni la cosa che ci riesce meglio: i vini che sappiano rappresentare, il più possibile, la Toscana nel mondo. La produzione del vino per noi si basa sul legame inscindibile fra l’ambiente pedologico e quello climatico, fra il vitigno e l’elemento umano. Ogni vitigno che è parte dei 600 ettari vitati dei tenimenti è studiato e interpretato per esaltarne la tipicità rispettando le caratteristiche di ogni varietà e perfezionandone, se possibile, le sfumature attraverso l’adozione delle più moderne tecniche produttive. Lo studio dei suoli, dei microclimi, dell’esposizione, la selezione dei portain-

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nesti e dei cloni più idonei, la densità dei ceppi per ettaro, oltre a una scelta dei tempi della vendemmia, sono stati da sempre i presupposti essenziali per la produzione dei nostri vini. La vinificazione è intesa, quindi, come sintesi di ciò che è stato fatto in vigna, come elemento di esaltazione del lavoro svolto nei campi, è la perfetta unione fra l’esperienza contadina che si è combinata alla scienza agraria e all’evoluzione tecnologica della cantina. È seguendo le nostre idee che abbiamo superato i momenti difficili che ci hanno visto sempre come attori, in ogni stagione, bella o brutta che sia stata. Abbiamo affrontato i cambiamenti che negli ultimi venti anni si sono susseguiti e rincorsi, modificando il panorama vitivinicolo di questa regione. Osservando, pensando e modificando il nostro agire ci siamo accorti che la strada tracciata tanti anni fa era la migliore. Oggi sembra che tutto proceda per il meglio, i mercati rispondono all’innovazione, la globalizzazione innesca confronti costruttivi fra le varie aree produttive e i vitigni sembrano rappresentare l’unico parametro o elemento di raffronto fra chi produce e chi consuma. Il nostro obiettivo, in questa quiete apparente, è invece ancora quello di continuare a far vivere delle emozioni a chi assaggia i nostri vini; vogliamo far rivivere nei profumi di quel bicchiere di vino la terra che lo ha prodotto ed è per questo che puntiamo a ottenere la massima valorizzazione e visibilità dei nostri tenimenti. Questo impegno è condiviso da tutto lo staff aziendale, dai titolari Marco e Paolo Folonari, dalle rispettive famiglie che seguono le aziende, agli stessi collaboratori, dal prof. Bogoni, all’agronomo Ferrini, agli enologi Orsoni e Simoncelli, tutti interpreti di questa filosofia aziendale che ci consente di guardare al futuro con la certezza e la convinzione di lavorare nel giusto, al meglio. Anche io, quando sono entrato a collaborare con l’azienda di famiglia, nel 1983, portavo dentro di me i grandi sogni della gioventù. Avevo il desiderio di fare dei grandi vini di qualità e con l’aiuto di tutti ci sono riuscito e ora aspetto di affrontare le sfide future al fianco della quinta generazione Folonari che è gia pronta a entrare in azienda e con loro, senza dubbio, le cose non potranno che migliorare.


Luigi Folonari


TENIMENTI RUFFINO Luigi Folonari

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Romitorio di Santedame IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

Romitorio di Santedame è un vino ottenuto da un’attenta selezione delle uve provenienti dalla Tenuta di Santedame a Castellina in Chianti.

Dopo la vendemmia, che avviene per ogni uvaggio con tempi diversi secondo la maturazione degli stessi, ma che in ogni caso parte a fine settembre per il Merlot e a fine ottobre per il Colorino, si procede alla fermentazione alcolica che procede separatamente per le due varietà e si protrae per 48 giorni, alla temperatura controllata di 2830°C in recipienti termocondizionati di acciaio inox. La macerazione sulle bucce, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, è proseguita per altri 15-20 giorni sempre con il controllo delle temperature. Terminata questa fase i vini effettuano la fermentazione malolattica in carati di legno di Allier e Tronçais nuovi e di secondo passaggio, 50% e 50%, dove rimangono per 18 mesi. Dopo l’assemblaggio delle partite e una breve sosta in vasche di cemento, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento che prosegue per 12 mesi.

Tipologia dei terreni I vigneti si trovano su terreni di medio impasto e sono mediamente argillosi, ricchi di scheletro, a un’altitudine compresa fra i 350 e i 465 metri s.l.m. con un’esposizione a nord per il Colorino, a ovest mentre per il Merlot.

Uve impiegate Colorino 60%, Merlot 40%

Sistema d’allevamento Cordone speronato basso

Densità di impianto 5000 ceppi per Ha

Quantità prodotta 50000 bottiglie l’anno

Note organolettiche Di colore rosso rubino intenso, molto carico, il vino si presenta con un profumo complesso con note di frutta rossa, spezie e di leggero tostato. Al palato è molto strutturato, con sentori di prugna, mirtillo, cioccolato e caffè; ha tannini morbidi equilibrati ed un’ottima persistenza.

Prima annata

1990

Le migliori annate

1993 - 1996 - 1997 1999 - 2001 Note I vigneti si trovano in una zona con elevate escursioni termiche fra il giorno e la notte che sommate ai terreni poveri conferiscono al vino profumi intensi e tipici. Il nome deriva dal latino romitorium che significa eremo, rifugio solitario. Il Romitorio di Santedame, costruzione che risale al XII secolo situata nella tenuta Santedame, nacque come luogo di ristoro per i pellegrini in viaggio per Camaldoli. Il vino raggiunge la maturità solo dopo 5-6 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 6 e i 15 anni.

L’azienda La tenuta di Santedame è situata nel cuore del Chianti Classico e fa parte dei Tenimenti Ruffino dal 1988. La tenuta ha una superficie complessiva di 246 Ha, di cui 57 vitati disposti a un’altitudine compresa fra i 350 e i 450 metri s.l.m.

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Modus IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

Note

Modus è un vino ottenuto da un’attenta selezione delle uve provenienti dai migliori vigneti dei Tenimenti Ruffino.

Il nome latino Modus, in italiano “modo”, “maniera”, è stato scelto in quanto questo vino nasce dalla combinazione dell’esperienza Ruffino con il territorio ed i vitigni. Il vino dovrebbe raggiungere la maturità solo dopo 5-6 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione dovrebbe essere compreso fra i 6 e i 15 anni.

In prevalenza a cordone speronato

Dopo la vendemmia, che avviene per ogni uvaggio con tempi diversi secondo la maturazione degli stessi, si procede separatamente alla fermentazione alcolica che si protrae per 10-15 giorni circa, alla temperatura di 28°-30°C, in recipienti termocondizionati di acciaio inox. Le macerazioni sulle bucce, coadiuvate da tecniche di délestage e follatura, proseguono per altri 15-20 giorni. Dopo la svinatura e la fermentazione malolattica i vini sono messi ad affinare in barriques di Allier e Tronçais nuove e di secondo passaggio per circa 20 mesi. Dopo l’assemblaggio il vino è imbottigliato e ulteriormente affinato per almeno altri 8 mesi.

Densità di impianto

Quantità prodotta

Altri vini

5000 - 6000 ceppi per Ha

100000 bottiglie l’anno

La gamma dei vini prodotti è molto vasta, quindi ci riserviamo il piacere di consigliarvene solo alcuni che hanno fatto la storia o sono fra i più interessanti di quest’azienda.

Tipologia dei terreni I terreni variano di molto secondo la provenienza delle uve, come del resto anche l’altitudine e l’esposizione dei vigneti si differenzia molto da zona a zona.

Uve impiegate Sangiovese 50%, Cabernet Sauvignon 25%, Merlot 25%

Sistema d’allevamento

Note organolettiche Il vino si presenta di un colore rosso rubino con riflessi granata e con dei profumi complessi di confettura di prugna, ciliegia, speziato e leggermente tostato. Al gusto risulta molto strutturato, vellutato e rivela note che ricordano la ciliegia, il mirtillo e il caffè; al retrogusto è molto persistente.

Prima annata

1997

Le migliori annate

1999

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L’azienda I Tenimenti Ruffino contano oggi 15 aziende che coprono una superficie complessiva di 1500 ha, di cui 600 vitati e 100 destinati all’olivicoltura. In azienda collabora l’agronomo Maurizio Bogoni e gli enologi Mario Orsoni e Carmelo Simoncelli.

I Bianchi: Libaio Chardonnay Toscana IGT (Chardonnay 100% ) Solatìa Toscana IGT (Chardonnay 90%, Viognier 10% ) I Rossi: Greppone Mazzi Brunello di Montalcino DOCG (Sangiovese 100%) Riserva Ducale Chianti Classico DOCG Riserva (Sangiovese 90%, vitigni complementari 10%) Nero Al Tondo Pinot Nero Toscana IGT (Pinot Nero 100%)



Tenuta Caparzo 1993: ultimo ciac!

S ì. E’ da quel momento che ho cambiato vita. E’ da quell’ultimo ciac che ho

abbandonato la mia attività di produttrice cinematografica, svolta in società con Luca Barbareschi. Fino a quell’anno il vino l’avevo solo bevuto e la mia passione per la campagna, per la vigna e per la terra era più che altro “bucolica”. Con il passare del tempo al vino poi, mi ci sono accostata in un altro modo, l’ho conosciuto più da vicino e solo negli ultimi quattro o cinque anni mi sono accorta dello splendido universo che contiene in sé. Qui, in questo universo, persistono valori molto forti, radicati, diversi da quelli che si incontrano nel mondo del cinema, cui ero abituata; qui è ancora possibile seguire il ritmo lento delle stagioni e veder fiorire e maturare i propri sogni, da settembre a settembre, per poi ripartire verso nuovi traguardi e nuove speranze. Quando si tratta di terra e di campagna ci troviamo a contatto con un’autenticità altrove scomparsa. Tutto questo ha una chiave di lettura propria che una volta scoperta ti affascina e ti entusiasma come poche altre cose al mondo, ed è per questo che sono entrata a far parte del mondo del vino, che mi sono appassionata e che mi sono dedicata completamente a questa attività. Ho subito dato libero sfogo alla mia creatività, proprio venendo a contatto con la Tenuta di Caparzo, non lontano da Montalcino; qui ho liberato la mia curiosità e il mio grande desiderio d’apprendere, seguendo, in prima persona, tutte le fasi della produzione. Questa mia rapida e appassionante crescita la devo soprattutto all’aiuto di Sante Turone, amministratore delegato e uomo di fiducia da tanti anni in azienda, al fianco del quale ho fatto molta esperienza, dall’applicazione dei progetti d’ampliamento della superficie vitata, arrivata oggi a 83 Ha, fino al ristrutturamento della cantina, adeguata per dimensioni alle esigenze future dell’azienda.

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1998: un nuovo inizio. Altra data importante per me, perché in quell’anno sono riuscita a liquidare gli altri soci e a ottenere la Tenuta di Caparzo tutta per me, e in più ho acquistato un’altra importante azienda, denominata Borgo Scopeto, non lontano da Vagliagli, nel cuore del Chianti a nord del Comune di Castelnuovo Berardenga. È stato un grande momento che ha significato e innescato nuovi processi di crescita, nuovi stimoli, nuovi traguardi, nuove emozioni e devo dire di aver colto nel segno, visto lo splendore di questo meraviglioso borgo medioevale intatto, al centro del quale troneggia una torre dell’anno Mille. Abbiamo anche qui avviato un processo di ammodernamento e l’insieme è ancora in fase di ristrutturazione, ma presto tutto sarà concluso e allora potremo goderci Borgo Scopeto nella sua interezza che già vede produttivi 67 Ha di splendidi vigneti su una estensione complessiva di 500 Ha.

2002: lo sguardo al futuro In questi pochi anni il mio rapporto con il vino è divenuto più passionale e avvincente; inoltre il completo coinvolgimento mi provoca emozioni che si rinnovano piacevolmente a ogni degustazione e a ogni vendemmia e devo dire che il mio è un sogno che si sta materializzando sempre di più, un sogno che ha visto all’inizio la mia scelta di divenire “vignaiola” e che oggi si va concretizzando con il recente acquisto di un’azienda in Maremma, non lontano da Grosseto. Dopo questo acquisto, un giorno, chi sa, forse potrei davvero raggiungere la chimera di produrre i più grandi vini di Toscana come il Brunello, il Chianti Classico o il Morellino, ma anche dei grandi Supertuscans, e anno dopo anno, sogno dopo sogno, un giorno potrebbe anche accadere.


Elisabetta Gnudi


TENUTA CAPARZO Elisabetta Gnudi

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Borgonero Borgo Scopeto IGT Toscana Note

Zona di produzione Borgonero è una cuvée sapiente delle migliori uve di Sangiovese, Syrah e Cabernet Sauvignon provenienti dai vigneti della fattoria di Borgo Scopeto posta sui pendii collinari in prossimità del borgo di Vagliagli nel comune di Castelnuovo Berardenga, nella zona di produzione del Chianti Classico DOCG.

I vigneti sono posti su terreni che hanno caratteristiche morfologiche composite con tessitura rocciosa, argillo-marnosa, con elementi d'arenaria legati con calcare, ricchi di galestro; si trovano a un’altitudine compresa fra i 350 e i 420 metri s.l.m. e hanno un’esposizione a sud-ovest.

zione sulle bucce che, coadiuvata per il Cabernet e il Syrah, da tecniche leggere di délestage e follatura, prosegue invece per altri 10 giorni a temperature controllate di 27°C. Terminata questa fase, e dopo una leggera pulitura del vino, si attende che lo stesso effettui la fermentazione malolattica, dopo di che viene effettuato l’assemblaggio e solo a questo punto il blend è messo in barriques per un 1/3 nuove, 1/3 di secondo passaggio e 1/3 di terzo passaggio dove vi rimane per un periodo di 15-18 mesi. Terminato l’invecchiamento, il vino subisce un affinamento in tini d’acciaio prima di essere imbottigliato per un ulteriore affinamento di altri 8 mesi.

Uve impiegate

Quantità prodotta

Sangiovese 60%, Cabernet Sauvignon 20%, Syrah 20%

15000 bottiglie l’anno

Tipologia dei terreni

Note organolettiche Sistema d’allevamento Cordone speronato

Densità di impianto 4200 ceppi per Ha

Tecniche di produzione Dopo la vendemmia, che avviene di solito alla fine del mese di settembre, secondo la maturazione degli uvaggi, si effettua la fermentazione alcolica che procede separatamente per il Sangiovese, il Cabernet Sauvignon e il Syrah e che si protrae per 6-8 giorni a una temperatura non superiore ai 27°C, in tini d’acciaio inox. Contemporaneamente si avvia la macera-

Il vino si presenta di un colore rosso rubino molto intenso e con dei profumi complessi, con spiccate note varietali sia del Cabernet, sia del Syrah, se bevuto in giovane età, ma che tendono gradatamente a lasciare il posto a note più complesse con l’invecchiamento. Al gusto è ben strutturato, potente con una buona tessitura tannica; al retrogusto è molto lungo e persistente.

Prima annata

1998

Le migliori annate

1999 - 2000

Il nome vuole sottolineare l’imponenza del Borgo. Il vino raggiunge la maturità solo dopo 4-5 anni dalla vendemmia, mentre il plateau di maturazione dovrebbe essere compreso fra i 5 e 15 anni.

L’azienda La Tenuta Caparzo copre una superficie di 190 ettari, di cui 76 di superficie vitata, compresa nei diversi cru aziendali: La Casa, Caparzo, La Caduta, Il Cassero e San Piero Caselle. Nel 2001 inoltre è stata acquistata una proprietà nella zona della Doc del Morellino di Scansano, nel comune di Magliano in Toscana. Collaborano in azienda gli enologi Massimo Bracalente e Francesca Arquint. Proprietà: Sig.ra Elisabetta Gnudi. Borgo Scopeto si estende su un territorio di 503 ettari, situati nel comune di Castelnuovo Berardenga, nel Chianti Classico. La superficie dell’azienda è attualmente destinata a vigneto per circa 67 ettari. Collaborano in azienda gli enologi Massimo Bracalente e Simone Giunti. Proprietà: Sig.ra Elisabetta Gnudi.

Altri vini I Bianchi: Le Grance Sant’Antimo DOC (Chardonnay 70%, Sauvignon Blanc 25%, Traminer 5%) I Rossi: Chianti Classico DOCG Riserva Vigna Misciano Borgo Scopeto (Sangiovese 100%) Brunello di Montalcino DOCG Vigna La Casa (Sangiovese 100%)

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Tenuta dell’Ornellaia Parlare di Ornellaia per me vuol dire parlare del mio sogno che è diventato realtà. Ci sono delle cose che ognuno vorrebbe accadessero nel corso della propria vita, ma pur attivandosi e impegnandosi affinché accadano, si stenta a crederle realizzabili. Così non è stato per me e oggi sono qui a Ornellaia, felicissimo di esserci e di immedesimarmi nella filosofia produttiva di questa meravigliosa azienda che pone fra le principali attività la continua interpretazione del proprio terroir e la ricerca assoluta dell’eccellenza attraverso la sperimentazione di ciò che la tradizione, nel tempo, ha costruito. Per un agronomo come me, che aveva passato anni alla ricerca dello sviluppo clonale dei vari vitigni autoctoni toscani, in un piano di indagine regionale, arrivare a Ornellaia era la massima aspirazione professionale; era un punto d’arrivo sul quale costruire la propria opportunità di crescita. Quando sei all’Università, sogni che un giorno avrai la possibilità di applicare tutto quello che hai imparato all’interno di un’azienda che crede in te e ti lascia libero di agire per costruire le basi per il tuo “grande vino”. Quando arrivai qui mi accorsi che quasi tutto quello che avevo studiato e sognato era già stato applicato e testato, anche nei minimi particolari: una cosa assai difficile da riscontrare in altre aziende. Quello che mi colpì maggiormente fu lo stato di salute di tutte, e dico di proprio tutte, le viti: ricordo che era agosto e non vi era una foglia sciupata, i grappoli erano perfetti e l’invaiatura era completa su ogni chicco. Mi accorsi immediatamente che qui i terreni hanno una marcia in più, mi colpirono poi sia la cura maniacale che era destinata alla terra,

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sia l’attenzione riservata ad ogni vite: qui era grande il rispetto per l’ambiente. Con il tempo sono entrato in sincronia con le metodologie operative dell’azienda e oggi mi rendo conto di quanto, qui, ogni azione sia studiata nei minimi particolari, ma credo che uno dei maggiori segreti di Ornellaia sia da ricercare nel supporto tecnico delle intellighenzie che hanno collaborato con l’azienda. È stato un grande contributo quello fornito dai tanti professionisti di livello mondiale che si sono confrontati con “lei”, a partire da André Tchelistcheff, fino ai più grandi nomi dell’enologia internazionale; ognuno di essi ha dato un suo piccolo o grande contributo al miglioramento di Ornellaia; ognuno si è adoperato per far fuoriuscire quelle sfumature, quei particolari o quelle inezie che differenziano un territorio da un’altro territorio, intervenendo in tutte le fasi che compongono la filiera produttiva aziendale, alla ricerca dell’eccellenza. Era dal 1981 che questa "macchina" si era messa in movimento, da quando, cioè, Ludovico Antinori si era imposto di fare, qui a Bolgheri, dei grandi vini con dei grandi uvaggi; e in venti anni enologici ci è riuscito. Quando io sono arrivato a Ornellaia ho compreso che l’azienda non aveva bisogno di un cambiamento migliorativo, ma aveva solo bisogno di un consolidamento dei processi qualitativi che si erano attivati nel passato ed è per questo che ritengo che per me sia stato più semplice agire, perché ho condiviso, da subito, questa spasmodica ricerca dell’eccellenza. È la cura dei particolari che crea la differenza fra un buon vino e un grande vino e questo posso farlo qui a Ornellaia e di questo devo esserle grato.


Leonardo Raspini


TENUTA DELL’ORNELLAIA Leonardo Raspini

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Ornellaia Bolgheri DOC Rosso Superiore Zona di produzione

Tecniche di produzione

Note organolettiche

Ornellaia è una cuvée sapiente delle migliori uve provenienti dai vigneti della Tenuta dell’Ornellaia posta sui pendii collinari di Bolgheri nella zona di produzione del Bolgheri DOC.

Dopo la vendemmia, che avviene di solito dalla prima settimana di settembre all’inizio di ottobre, secondo la maturazione degli uvaggi, si effettua la fermentazione alcolica che procede separatamente per il Cabernet Sauvignon, il Merlot e il Cabernet Franc e che si protrae fra i 4 e i 6 giorni a una temperatura non superiore ai 30°C, in parte in tini di legno, ed in parte in tini d’acciaio inox. Contemporaneamente la macerazione sulle bucce, coadiuvata da tecniche leggere di délestage e rimontaggio, prosegue invece per altri 20-24 giorni a temperature dipendenti dalla qualità polifenolica delle uve. Terminata questa fase, ogni varietà e ogni parcella, senza alcuna chiarifica, è messa in barriques di rovere francese, per un 70% nuove, nelle quali si conclude la fermentazione malolattica. I vini rimangono nel legno per un periodo di 12 mesi prima che venga effettuato l’assemblaggio; al termine dell’operazione il vino viene rimesso nuovamente in barrique per altri 6-8 mesi. Terminato l’invecchiamento, il vino passa in tini d’acciaio prima di essere imbottigliato per un ulteriore affinamento di altri 12 mesi.

Di colore rosso con venature di porpora, il vino si presenta con eleganti note floreali, marasca e piccoli frutti di bosco neri. Dal sapore complesso, asciutto, sapido, con tannini morbidi, ripropone al palato le sensazioni avvertite al naso; al retrogusto è persistente.

Tipologia dei terreni I vigneti, posti su terreni pedecollinari, hanno caratteristiche morfo-litologiche varie e composite derivanti da ancestrali sedimentazioni fluviali. La tessitura alterna zone più argillose ad altre più sabbiose con presenza di zone calcaree ricche di ciottoli derivanti dal disfacimento del Conglomerato di Bolgheri; si trovano a un’altitudine compresa fra gli 80 e i 150 metri s.l.m. e hanno un’esposizione a sud-ovest.

Uve impiegate Cabernet Sauvignon 65%, Merlot 30%, Cabernet Franc 5%

Sistema d’allevamento Cordone speronato

Densità di impianto 5000 – 7000 ceppi per Ha

Prima annata

1984

Le migliori annate

1984 - 1986 - 1988 - 1990 1995 - 1997 - 1998 - 1999 2000 - 2001 Note Il vino prende il nome dall’omonima azienda e raggiunge la maturità solo dopo 5-7 anni dalla vendemmia, mentre il plateau di maturazione è compreso fra i 7 e i 15 anni.

Quantità prodotta 150000 bottiglie l’anno

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Le Serre Nuove Bolgheri DOC Rosso Zona di produzione

Tecniche di produzione

Note organolettiche

Le Serre Nuove, il “second vin” dell’Ornellaia, è un vino ottenuto dalla selezione delle uve di Cabernet Sauvignon e Merlot provenienti dai vigneti di proprietà della Tenuta dell’Ornellaia posti sui pendii collinari di Bolgheri nella zona di produzione del Bolgheri DOC.

Dopo la vendemmia, che avviene di solito dalla prima settimana di settembre all’inizio di ottobre, secondo la maturazione degli uvaggi, si effettua la fermentazione alcolica che procede separatamente per il Cabernet Sauvignon e il Merlot e che si protrae fra i 4 e i 6 giorni a una temperatura non superiore di 30°C, in parte in tini di legno e in parte in tini di acciaio inox. La macerazione sulle bucce, coadiuvata da tecniche leggere di délestage e rimontaggio, prosegue invece per altri 20-24 giorni a temperature controllate di 30°C. Terminata questa fase, ogni varietà e ogni parcella, senza alcuna chiarifica, viene messa in barriques di rovere francese, per un 30% nuove, nelle quali si conclude la fermentazione malolattica. I vini rimangono nel legno per un periodo di 12 mesi prima che venga effettuato l’assemblaggio; al termine dell’operazione il vino viene rimesso nuovamente in barrique per altri 68 mesi. Terminato l’invecchiamento, il vino passa in tini d’acciaio prima di essere imbottigliato per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 6 mesi.

Il vino si presenta di un colore rosso rubino profondo con riflessi granata e con dei profumi complessi, Il vino offre tutto lo charme e la soavità di un frutto perfettamente maturo: composta di piccoli frutti neri e rossi, graziosamente bilanciati dalla nobiltà del rovere. La struttura di “Le Serre Nuove” è morbida e rotonda e permette di poterlo gustare con piacere anche da giovane.

Tipologia dei terreni I vigneti sono posti su terreni pedocollinari che hanno caratteristiche morfologiche varie e composite con tessitura argillosa e sabbiosa e con presenza di zone calcaree ricche di galestro; si trovano a un’altitudine compresa fra gli 80 e i 150 metri s.l.m. e hanno un’esposizione a sud-ovest.

Uve impiegate Cabernet Sauvignon 75%, Merlot 20%, Petit Verdot 5%

Sistema d’allevamento Cordone speronato

Densità di impianto 5000 – 7000 ceppi per Ha

Quantità prodotta 90000 bottiglie l’anno

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Prima annata

1997

Le migliori annate

1997 - 1998 - 2001 Note Il nome Le Serre Nuove deriva dal fatto che questo vino è prodotto soprattutto da vigneti più giovani anche se con la stessa impronta del vino-simbolo dell’azienda, cioè l’Ornellaia. Il vino raggiunge la maturità solo dopo 4-5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 10 anni.


Masseto IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

Masseto è un cru ottenuto dalla selezione delle uve migliori provenienti dal vigneto omonimo di proprietà della Tenuta dell’Ornellaia posta sui pendii collinari di Bolgheri nella zona di produzione del Bolgheri DOC.

Dopo la vendemmia, che avviene di solito dal 10 al 15 settembre, si effettua la fermentazione alcolica che si protrae fra i 4 e i 6 giorni in tini di legno a una temperatura non superiore ai 30°C. La macerazione sulle bucce, coadiuvata da tecniche leggere di délestage e rimontaggio, prosegue invece per altri 20-24 giorni a temperatura controllata di 30°C. Terminata questa fase, il vino, senza alcuna chiarifica, viene messo in barriques di rovere francese nuove nelle quali si conclude la fermentazione malolattica, e dove vi rimane per 24 mesi prima che venga effettuato l’assemblaggio. Terminato l’invecchiamento, il vino subisce un leggero affinamento in tini d’acciaio prima di essere imbottigliato per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 12 mesi.

Tipologia dei terreni Il vigneto Masseto è posto su terreni derivanti da sedimentazioni marine che lo rendono unico nella pedologia di Bolgheri. Le caratteristiche di tessitura variano da argille quasi pure alternate a piccole aree sabbiose ricche di ciottoli tipiche della zona più alta del vigneto. L’altitudine è di 150 metri s.l.m. con esposizione a sud-ovest.

Uve impiegate Merlot 100%

Quantità prodotta Sistema d’allevamento

30000 bottiglie l’anno

Cordone speronato

Note organolettiche Densità di impianto 4000 ceppi per Ha

Di colore rosso rubino intenso tendente al granata scuro, il vino ha una ricchezza e una profondità unica. Gli aromi, in costante evoluzione, ricordano ancora oggi la complessità dell’uva. In bocca i tannini sono di un’eccezionale ricchezza che riempie letteralmente il palato, e dimostrano la magnifica potenzialità di invecchiamento.

Prima annata

1985

Le migliori annate

1985 - 1988 - 1990 - 1994 1995 - 1997 - 1998 - 1999 2000 - 2001 Note Il nome del vino deriva dall’omonimo vigneto. Il vino raggiunge la maturità solo dopo 5-7 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 7 e i 15 anni.

L’azienda L’azienda, di proprietà della società Ornellaia S.p.A., si estende per una superficie complessiva di 246 Ha di cui 84 dedicati alla viticoltura, 22 dedicati all’olivicoltura, 25 di seminativi, 15 di prati e pascoli e il resto vede la presenza di boschi. Collaborano in azienda l’enologo Alex Heinz, i consulenti Andrea Paoletti, Daniel Schuster e Michael Rolland e il direttore commerciale e marketing Alex Belson. Il direttore è l’agronomo Leonardo Raspini.

Altri vini I Rossi: Le Volte (Sangiovese 50%, Cabernet Sauvignon e Merlot 50%)

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Tenuta di Argiano Posso dire di essere nata nell’uva e di essermi solo successivamente avvicinata al mondo del vino. Fin da giovanissima, per lavoro, seguendo gli interessi di famiglia, ho girato il mondo e dovunque sia andata mi sono sentita sempre orgogliosa di essere italiana e fra le altre cose ho cercato di affiancare a quel tricolore il vino italiano, conosciuto ovunque, e grande fiore all’occhiello dei nostri vignaioli. Quando si sta all’estero per molti anni, come ci sono stata io, essere italiani può assumere un particolare significato. È un sentimento che ti dà coraggio, forza interiore e ti dà la dinamicità che ti contraddistingue e ti aiuta a emergere, e questa mia convinzione e questa energia l’ho messa sempre a disposizione di quella miriade di connazionali che ho incontrato per il mondo, i quali, posso assicurare, sono stati i grandi promotori dello sviluppo enologico del paese che li ospitava. A 17 anni ero già in Brasile, ma prima di entrare alla Cinzano, l’azienda di famiglia, come responsabile marketing di quel paese, dovetti acquisire delle esperienze lavorative in altri settori; fu così che lavorai per la Boeing, l’industria aerospaziale americana, poi per il governatore di Rio de Janeiro e, solo dopo due anni, entrai a far parte dello staff dirigenziale che curava gli interessi di famiglia arrivando a occuparmi di tutta l'America meridionale, poi anche dell’Australia e del Canada e infine, dal 1989 al 1992, divenni presidente della società. Furono anni bellissimi che mi hanno fatto acquisire un grande bagaglio di esperienze alle quali, dopo essermi sposata e dopo aver avuto due figli, ho voluto aggiungere anche questo nuovo viaggio intorno al mondo del vino, ritenendo che il territorio di Montalcino fosse il più adatto. Entrare in questo universo, che solo dopo ho scoperto essere meravigliosamente intrigante, non è stata una cosa semplice; per fare ciò avevo bisogno di una guida spirituale che mi accompagnasse culturalmente in questo viaggio e fu

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così che, grazie all’intervento del marchese Incisa della Rocchetta di Bolgheri, dove la nostra famiglia ha da sempre una casa, ebbi la fortuna d’incontrare Giacomo Tachis. Forse per lui occuparsi di questa azienda, che aveva alla guida una proprietaria come me, cui piace molto più osservare che dirigere, divenne la sua nuova scommessa che con il “Solengo” sembra aver vinto. Io, del resto, avrei voluto continuare a mantenere questo impegno nel mondo del vino con quel distacco che sempre concedo alle cose che dò per scontate, ma non ci sono riuscita. Il mio, per un po’ di tempo, è stato più un disinteresse apparente che poteva essere anche considerato snobismo, ma in realtà era solo la considerazione e la consapevolezza della posizione che ha il vino nella scala dei valori e delle cose che compongono il mio personale puzzle della vita, vita per la quale nutro un grande amore. Vita che mi ha avvolto, che mi ha dato molto e alla quale cerco sempre di restituire qualcosa; vita dalla quale ho preso e alla quale ho dato; vita che mi fa ancora sognare e sperare in un mondo migliore, che mi fa preoccupare e che mi ha fatto anche soffrire ed è in quei momenti duri che trovo rifugio sulla mia barca a vela e fra le onde del mare. Devo dire però che dal vino mi sono lasciata sedurre e alla fine mi ha conquistata e guardandomi indietro devo anche affermare che ha contrassegnato tutti i momenti più importanti della mia esistenza. Oggi lo includo però nel ristretto cerchio degli amori più grandi che mi hanno colorato la vita: amori grandi come quello per i miei figli e per la vela. Sono loro i motori energetici che mi danno la forza di muovermi e di fare, in una sorta di moto perpetuo, i miei interessi a Londra, in Patagonia e in Toscana, alla continua ricerca di consolidare sogni che continuano a nascere. Forse c’è un mezzo per tranquillizzarmi e tenermi ferma: quello di avere, con i miei figli, una vigna su una barca a vela!


Noemi Marone Cinzano


TENUTA DI ARGIANO Noemi Marone Cinzano

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Solengo IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

Solengo è una cuvée delle uve provenienti dai vigneti di proprietà della Tenuta di Argiano a Montalcino posti nella zona collinare sud del Comune, nella zona di produzione del Brunello di Montalcino DOCG.

Dopo la vendemmia, che avviene per ogni uvaggio con tempi diversi a seconda della maturazione degli stessi, e che in ogni caso inizia alla metà di settembre e si protrae fino a tutta la seconda decade di ottobre, si avvia la fermentazione alcolica che procede separatamente per ogni varietà, e che va avanti per 4-8 giorni alla temperatura di 2830°C in recipienti termocondizionati di acciaio inox; contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, prosegue per altri 10-12 giorni a temperature controllate comprese fra i 28 e i 30°C. Terminata questa fase, si effettua l’assemblaggio delle partite e, senza alcuna chiarifica, il vino è posto in barriques di Allier nuove dove effettua la fermentazione malolattica e dove vi rimane per 16 mesi. Trascorso questo periodo, dopo un breve passaggio in tini di acciaio inox, dove viene effettuato il collaggio con albume d’uovo, il vino è messo in bottiglia per un ulteriore affinamento di 6 mesi.

Tipologia dei terreni I vigneti sono posti su terreni che hanno caratteristiche morfologiche di tessitura franco-argillosa, calcarea con abbondante scheletro e si trovano a un’altitudine di 300 metri s.l.m. con un’esposizione a sud.

Uve impiegate Cabernet Sauvignon 33%, Merlot 33%, Syrah 33%

Sistema d’allevamento Cordone speronato

Densità di impianto 5000-7000 ceppi per Ha

Prima annata

1995

Le migliori annate

1996 - 1997 - 2000 - 2001 Note Il nome Solengo si ispira al cinghiale maschio dominante che si stacca dal gruppo per fare una vita solitaria. Il vino raggiunge la maturità solo dopo 4-5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione dovrebbe essere compreso fra i 5 e i 15 anni.

L’azienda La Tenuta, di proprietà di Noemi Marone Cinzano, si estende per 100 Ha, di cui 48 vitati e 10 dedicati all’olivicoltura. Il restante territorio vede la presenza di boschi e di colture promiscue. Collaborano in azienda l’agronomo Giampiero Pazzaglia e gli enologi Giacomo Tachis (incaricato in esclusiva del Solengo) e Hans Vinding-Diers (responsabile per tutta la produzione aziendale di Sangiovese).

Quantità prodotta 38000 bottiglie l’anno

Altri vini

Note organolettiche

I Rossi: Rosso di Montalcino DOC (Sangiovese 100%) Brunello di Montalcino DOCG (Sangiovese 100%) Suolo IGT (Sangiovese 100%)

Vino di grande personalità, di un colore rosso rubino profondo con riflessi granata e con dei profumi complessi di frutti di bosco maturi e con le note caratterizzanti del Cabernet e del Merlot. Al gusto risulta ben strutturato, elegante, morbido, fine; al retrogusto è molto lungo e persistente.

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Tenuta di Capezzana Se rivolgiamo lo sguardo al secolo scorso ci rendiamo conto di quanto la storia della famiglia abbia inciso sui nostri destini. Il bisnonno, il conte Alessandro Contini Bonacossi, arrivato dalla Spagna a Firenze, il nonno, anch’esso Alessandro, e suo figlio, nostro padre Ugo, tutti, come noi, coinvolti e catturati da Capezzana, da questa stupenda villa, da queste meravigliose terre sulle quali già gli etruschi producevano vino e olio. Senza dubbio è il vino che ci accomuna a quei lontani tempi, che ci fa respirare la storia di questa terra e ci integra in essa, è lui che ci stimola e ci rende le nuove attrici della tradizione di Capezzana. Vino e storia: elementi che, vissuti quotidianamente, ti entrano dentro e non ti abbandonano più. È il vino che ti strega, t’innamora, ti avvolge e ti scalda; è lui che richiede pazienza, amore e dedizione come un uomo. Ma ognuna di noi due vive il rapporto con il vino a modo suo, in modo diverso, ancestrale, autonomo, alchemico. C’è chi lo vive come un meraviglioso lavoro che stimola, incuriosisce e ti fortifica ponendoti sempre di fronte al tempo; chi invece sostiene che il vino è come una spirale dalla quale non sia più possibile uscire o un sistema matematico di cui non conosci il risultato, diverso ogni anno. Il vino dunque come pensiero, come filosofia di vita, come lavoro che hai deciso d’intraprendere, perché è in esso che trovi il tuo sapere, il tuo conoscere e le tue origini; il vino come soddisfacimento della tua curiosità, vissuto come una seconda pelle che ti veste perfettamente; il vino che stimola ora il tuo senso organizzativo, ora il tuo spirito materno che, preoccupato per le cure, le attenzioni e le premure che lui richiede, ti crea tensione e ansia. Non sappiamo se tutto questo è il pensiero di quelle fanciulle che a Capezzana giocavano intorno al vino, o invece sono le riflessioni di donne che hanno assaporato il piacere di fare per lavoro le vignaiole... Per noi l’importante era ed è esprimere ciò che abbiamo dentro; solo così riusciamo a dare valore al nostro agire, perché in quello che facciamo ci met-

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tiamo l’anima, i nostri cuori, amore e rispetto per il lavoro di quelli che si sono succeduti alla guida di questa tenuta prima di noi, ma, soprattutto, verso nostro padre, che ci ha insegnato che a Capezzana tutti si devono impegnare per l’ottenimento del miglior risultato possibile, nella massima fedeltà alla tradizione: tutti, a partire da quattro dei sette figli che avevano deciso di seguirlo, ai consulenti esterni, all’enologo. Nostro padre ha sempre sostenuto che a Capezzana, nel passato, si erano fatti dei grandi vini e che noi Bonacossi, quindi, non potevamo esimerci dal continuare simile tradizione. Oggi i buoni vini sono stati ottenuti e sono il frutto di oltre 20 anni di duro lavoro svolto nelle vigne e nella cantina, soprattutto attraverso il grande impegno profuso da nostro padre. Nelle nostre bottiglie di vino, specialmente nelle “Ghiaie della Furba”, si percepisce la mano di nostro padre, la sua l’intelligenza, la lungimiranza nell’applicare in tempi brevissimi i risultati della sperimentazione. Il nostro compito principale è oggi quello di proseguire sulle linee guida che lui ha tracciato e che ancora segue con lo spirito di un fanciullo innamorato del suo gioco preferito. È seguendo i suoi consigli che abbiamo intrapreso la strada del rinnovamento, intervenendo gradatamente nella riqualificazione dei nostri impianti, utilizzando anche le selezioni massali delle nostre migliori viti; stiamo lavorando in cantina al fine di portare migliorìe tecniche utili per la vinificazione che dovrà sostenere l’aumento delle masse produttive, così da poter offrire al mercato vini di alta qualità, in gran quantità. Oggi è il nostro tempo. Vivere il presente per noi vuol dire anche vivere in comunione con la nostra storia e i risultati enologici che la nostra famiglia ha ottenuto in questi anni, seguendo quel progetto che, tanto tempo fa, aveva delineato nostro padre Ugo; un progetto che, come un filo di Arianna, ognuna di noi segue, ma che in definitiva non sappiamo dove ci porterà.


Beatrice - Benedetta Contini Bonacossi


TENUTA DI CAPEZZANA Beatrice e Benedetta Contini Bonacossi

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Ghiaie della Furba IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

Ghiaie della Furba è un vino ottenuto dalla selezione delle uve prodotte nei vigneti di Capezzana, inseriti nel territorio vocato alla produzione del Carmignano DOCG, in provincia di Prato.

Dopo la vendemmia, che parte nella 3° settimana di settembre per il Merlot e il Syrah e nella 2° di ottobre per il Cabernet, si effettua la fermentazione alcolica degli uvaggi, che procede separatamente per ogni varietà e si protrae per circa 8 giorni alla temperatura di circa 27°C in recipienti termocondizionati di acciaio inox. La macerazione sulle bucce, coadiuvata da tecniche di délestage e rimontaggi, prosegue invece per altri 14 giorni. Terminata questa fase, i vini, senza alcuna chiarifica, effettuano la fermentazione malolattica, alcuni nei tini di acciaio inox, altri, invece, in barriques di Allier nuove e di secondo passaggio; tutti comunque subiscono un processo di maturazione in barrique che si protrae per 18 mesi. Dopo l’assemblaggio delle partite e una breve sosta in tini di acciaio inox, il vino è imbottigliato per un affinamento di almeno 12 mesi.

Tipologia dei terreni I vigneti di Merlot si trovano su terreni alluvionali che hanno una tessitura ghiaiosa, argillosa subalcalina, mentre quelli che ospitano il Cabernet Sauvignon e il Syrah hanno una tessitura ricca d’argilla. L’esposizione per il Cabernet e il Merlot e a est, mentre per il Syrah è a sud-est; tutti i vigneti hanno un’altitudine compresa fra i 70 e i 140 metri s.l.m.

Uve impiegate Cabernet Sauvignon 60%, Merlot 30%, Syrah 10%

Sistema d’allevamento

Prima annata

1979

Le migliori annate

1979 - 1985 - 1990 - 1998 1999 - 2000 - 2001 Note Il nome Ghiaie della Furba deriva dal fatto che i vigneti sono in parte situati sulle rive del torrente Furba, su un terreno alluvionale ghiaioso. Il vino raggiunge la maturità solo dopo 5-6 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 6 e i 15 anni.

L’azienda La famiglia Contini Bonacossi divenne proprietaria dell’azienda nel 1920. La proprietà si estende per 650 ettari, di cui 100 vitati e 140 dedicati all’olivicoltura. Il resto è occupato da boschi e colture promiscue. Collabora in azienda l’enologo Stefano Chioccioli.

Cordone speronato capovolto per il Cabernet e per il Syrah, guyot per Merlot.

Quantità prodotta 24000 bottiglie l’anno

Altri vini

Densità di impianto

Note organolettiche

4700 ceppi per Ha

Il vino si presenta di un colore rosso rubino profondo con lievi riflessi granati e con dei profumi complessi, con note floreali fini, dolci ed eleganti. Al gusto è strutturato, morbido, una caratteristica dovuta a tannini densi, ma non aggressivi, che sono in equilibrio con l’acidità; al retrogusto è molto lungo e persistente.

I Rossi: Carmignano DOCG Villa Trefiano (Sangiovese 70%, Cabernet 20%, Canaiolo 10%) Carmignano DOCG Villa di Capezzana (Sangiovese 80%, Cabernet 20%) Vin Santo (Trebbiano, San Colombano e Canaiolo)

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Tenuta di Ghizzano G hizzano è un piccolo borgo collinare posto nella parte occidentale della Toscana nella zona delle colline Pisane. Nessuno dei gentili declivi che compongono i 350 ettari della tenuta superano i 200 metri d’altitudine e il paesaggio è piacevolmente addolcito dal clima mite delle aree marine poco distanti. È su questa terra che si è vissuta gran parte della storia toscana della mia famiglia che arrivò a Ghizzano nel 1370, dove impiantò subito olivi e viti, dando un segno chiaro di quale sarebbe stata la linea guida delle colture qui praticate. Ma per secoli l’agricoltura seguì gli ordinamenti che la tradizione dettava, seguendo la logica che ciò che era giusto coltivare e come lo si dovesse coltivare prendeva spunto da quello che i vecchi avevano insegnato ai più giovani. Per secoli, noi Venerosi Pesciolini considerammo la terra un semplice svago, un luogo dove la famiglia poteva ritemprarsi durante il periodo della caccia o rinfrescarsi nei periodi di calura estiva con piacevoli incontri conviviali con amici e parenti. Tutto era orientato al mantenimento dell’esistente, alla sopravvivenza “delle cose”, nella convinzione che dalla terra era impossibile ricavare qualsiasi reddito. Fu proprio questa la sfida di mio padre, che dal 1980 decise di modificare i parametri del rapporto che era sempre esistito fra questa terra pisana e la nostra famiglia, decidendo che era giunta l’ora di provare a invertire la tradizione. Partendo proprio dai 12 ettari di vigna e seguendo i consigli lungimiranti dell’amico Pier Mario Meletti Cavallari, mio padre invertì il trend ormai consolidato. Modificò gradatamente gli allevamenti di vite che erano stati utilizzati, mantenendo soltanto il Sangiovese e impiantando Cabernet Sauvignon, Merlot, Colorino e Syrah; incrementò la densità delle viti che passò man mano dai 2000-2500 ceppi per ettaro agli attuali 4500-6600; intervenne anche sulla tempistica e sulle modalità lavorative, con potature a cordone speronato e basse rese per ettaro; praticò vendemmie verdi con un controllo rigoroso della produzione, vite per vite. Dopo qualche anno, nel 1985, uscimmo con il primo vino della nuova generazione, il “Veneroso”, un blend composto di Sangiovese, Cabernet Sauvignon e Merlot. Fu un successo immediato che ripagò la proficua cocciutaggine di mio padre e la sua gran voglia di mostrare agli scettici quanto

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potesse essere valorizzata una terra come la nostra attraverso l’ingegno e l’impegno. Io nel frattempo vivevo la campagna solo in rare occasioni e il mio approccio alla terra e alla vigna era molto “bucolico”, considerando anche come mio padre ritenesse che i lavori rurali e tutto ciò che gravitava intorno a loro non fosse idoneo per le sue figlie. Dopo qualche anno trascorso a collaborare con alcune case editrici in Italia e all’estero, nel 1993 fui richiamata da mio padre e, pur sapendo poco o nulla, decisi di lasciarmi coinvolgere in questa esperienza e con molto entusiasmo mi avvicinai al mondo del vino, che mi conquistò ben presto con le sue estemporaneità, le sue regole, le sue alchimie, le passioni, la seduzione e le emozioni che riesce a costruire, con la sua capacità di farti sentire importante, con il suo bisogno materno di cure, con il suo essere ora maschio, ora femmina, secondo l’animo con il quale ti approcci al suo cospetto. Sapevo che mi aspettava un compito difficile, ma la cosa non mi spaventava e ritenni che per riuscire avrei dovuto immedesimarmi in ogni fase operativa di questo meraviglioso universo per comprendere prima possibile, il più possibile. Oggi posso affermare che quel poco che so l’ho acquisito sul campo, andando con i miei collaboratori nella vigna, potando e vendemmiando con loro, parlando con l’enologo in cantina. L’esperienza l’ho acquisita gustando criticamente i miei prodotti e misurandoli con gli altri, cercando di comprenderne i pregi e i difetti. Con questo spirito nel 1996 decidemmo di realizzare il “Nambrot”, il nostro blend di Merlot e Cabernet Sauvignon. Alla sua prima uscita immettemmo sul mercato circa 2500 bottiglie (rispetto alle attuali 10000) e fu subito un gran successo anche per questo secondo IGT. La cosa ci gratificò enormemente, essendo consapevole di quanto il risultato finale non fosse stato un caso, ma l’applicazione di un ragionamento, di una scommessa vinta su chi riteneva che questo nostro territorio fosse più incline a produrre patate che grandi vini! Oggi chi assaggia i nostri vini ritrova il terroir su cui sono prodotti, trova una tipicità caratterizzante che è anche quella della nostra famiglia di antichi vignaioli di Toscana.


Ginevra Venerosi Pesciolini


TENUTA DI GHIZZANO Ginevra Venerosi Pesciolini

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Veneroso IGT Toscana Zona di produzione

Tecnica di produzione

È un blend prodotto dalla selezione delle uve dei vigneti di Torricella, Chiesina e Santa Maddalena di proprietà della Tenuta di Ghizzano di Peccioli in provncia di Pisa.

1985

Cordone speronato

Dopo la vendemmia, che si protrae per quasi due mesi, dal 30 di agosto al 20 di ottobre, i diversi uvaggi sono raccolti in piccole quantità selezionando quelli migliori. Gli uvaggi subiscono una fermentazione alcolica che varia dai 4 agli 8 giorni secondo le tipologie. La macerazione sulle bucce, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, è effettuata a temperature di 30°C con tempi che variano dai 13 ai 15 giorni per il Sangiovese ai 15-17 giorni per il Cabernet. Terminata questa fase, i vini effettuano la fermentazione malolattica separatamente in botti di rovere francese, dove vi rimangono per 16 mesi durante i quali sono travasati e assemblati, prima di essere poi imbottigliati e lasciati affinare per 12 mesi.

Densità di impianto

Quantità prodotta

L’azienda

4500 - 6600 ceppi per Ha

40000 bottiglie l’anno

L’azienda si trova nella parte sud-occidentale della provincia di Pisa ed ha una superficie di 350 Ha di cui 16 ettari vitati che nel prossimo futuro arriveranno a 21. Gli altri sono destinati a colture promiscue, fra cui cereali e grano e circa 25 sono coltivati a olivi. Collaborano in azienda l’enologo Carlo Ferrini e l’agronomo Roberto Righi.

Tipologia dei terreni I vigneti sono posti su terreni che hanno una tessitura di medio impasto, ricchi di fossili marini ad un’altitudine di poco superiore ai 150 metri s.l.m. con un’esposizione sud / sud-est.

Uve impiegate Sangiovese 60%, Cabernet Sauvignon 40%

Sistema d’allevamento

Note organolettiche Di colore rosso rubino con riflessi violacei, il vino ha profumi intensi che gradatamente passano dal ribes, al cacao a un mix di spezie orientali. In bocca è profondo e si presenta con tannini decisi e pienamente integrati e armoniosi.

Prima annata

Le migliori annate

1985 - 1990 - 1994 - 1997 1999 - 2000 - 2001 Note Non sono state prodotte le annate 1989 e 1992. Indubbiamente è il primogenito, il vino “storico” dell’azienda. Il nome riprende quello della famiglia e in particolar modo quello di un antenato, Veneroso, il primo a dare impulso alla proprietà. Il vino raggiunge la maturità solo dopo 5-6 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 6 e i 15 anni.

Altri vini Vin Santo San Germano (Trebbiano 80%, Colombana 15%, Malvasia Bianca 5%) Nambrot IGT (Merlot 70%, Cabernet Sauvignon 20%, Petit Verdot 10%)

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Tenuta di Nozzole Da sempre ho vissuto nel mondo del vino ed è fortissimo il legame che uni-

sce me e la mia famiglia a questo prodotto; inoltre sono convinto che sia stato importante il contributo che abbiamo fornito, noi Folonari, allo sviluppo del movimento vitivinicolo nazionale. Io personalmente poi, non ho mai concepito di poter svolgere un mestiere che fosse diverso da questo, che in qualche modo mi vedesse escluso dal mondo agricolo. Ho passato la mia fanciullezza, la mia adolescenza e la mia gioventù fra le vigne, il mosto e le cantine. In questi ultimi cinquant’anni, che mi hanno visto coinvolto operativamente, ho partecipato a tutti i cambiamenti epocali che hanno modificato il mondo del vino; ho visto gradatamente cambiare l’approccio dei vignaioli a quei particolari che, direttamente o indirettamente, hanno interessato il terroir e che in qualche modo influenzano la qualità del vino. In cinquant'anni ho assistito alla globalizzazione, all’intreccio delle varie scuole di pensiero che si sono venute a creare sul concetto della qualità totale. Tanto si è modificato, ma tanto è ancora da modificare. Ogni singola particella della filiera produttiva italiana si è messa in movimento alla ricerca del totale soddisfacimento del mercato. Ricordo benissimo i momenti drammatici della fine degli anni sessanta, in cui un litro di vino costava meno di un chilo di pane; i momenti di angoscia, di fuga dalle campagne, dovuti principalmente a scellerati piani produttivi governativi, avviati alla fine degli anni cinquanta, che avevano finanziato l’allargamento delle superfici vitate, le quali, nell’arco di una decina di anni, avevano consentito l’immissione sul mercato di produzioni enormi di vino di pessima qualità che, essendo senza mercato, finiva alla distillazione assistita. Ho vissuto la rinascita del vino italiano che ha ripagato i sacrifici di chi, nel tempo, è riuscito a caratterizzare il proprio rinnovamento non solo sotto l’aspetto qualitativo, ma proprio su quello concettuale, avvenuto fra l’inizio degli anni Settanta e la fine degli anni Ottanta, che ha dato origine al grande rinascimento del vino italiano che

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oggi sta coinvolgendo tutti. Un ventennio che ha visto crescere la volontà di recuperare il tempo perduto nei confronti di un mercato che stava rapidamente cambiando. Un rinascimento che dopo cinquecento anni vedeva nuovamente la Toscana riportare, come allora, l’uomo al centro dell’universo, artefice indiscusso del nuovo linguaggio del vino. Dobbiamo riconoscere, senza vergognarci, che siamo stati anche i “figli del metanolo” che ha scosso le coscienze di tutti, ma è proprio da quella “Caporetto” vinicola, che siamo riusciti a innescare un rinnovamento che con il tempo ha spazzato via tutte le ombre e i sospetti creatisi nel settore, costruendo regole precise e comportamenti etici ai quali tutti si sono ispirati e che tutti hanno voluto rispettare fino in fondo, con l’intento comune di ricostruire una nuova immagine dell’enologia nazionale. Per far questo siamo andati tutti a scuola dai cugini francesi e devo dire che siamo stati dei bravissimi discenti, poiché abbiamo avuto il grande merito di non perdere mai la nostra identità e la nostra storia; questo ha portato i vini made in Italy a raggiungere un cliché e una personalità che tutto il mondo oggi ci riconosce. Sono stati anni in cui abbiamo corso facendo tesoro delle esperienze altrui, anni in cui ci siamo affermati e posti all’attenzione internazionale con dei vini che hanno fatto parlare di noi, del nostro sole, della nostra terra e della Toscana, certamente molto più di quanto lo abbiano fatto i vini prodotti nei duemila anni precedenti. È solo in Toscana che io ho riscontrato quanto le persone che vivono intorno al mondo del vino abbiano una visione poetica del mondo enologico, abbiano uno spiccato gusto artistico, un profondo senso del bello che si rispecchia nell’architettura ambientale, costruita con le vigne e con gli olivi e che si intuisce dalle cantine e si assapora nel vino. I vini che nascono in Toscana parlano davvero della storia di questa terra, parlano anche di me che, pur essendo bresciano di nascita, ho scoperto qui il vero amore per il vino.


Ambrogio Folonari


TENUTA DI NOZZOLE Ambrogio Folonari

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Il Pareto IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

Il Pareto è un cru prodotto a Nozzole, ottenuto dalla selezione delle uve dell’omonimo vigneto, di proprietà della Tenuta di Nozzole e posto sulle colline a nord-ovest del comune di Greve in Chianti.

Dopo la vendemmia, che avviene di solito intorno alla metà di ottobre, si effettua la fermentazione alcolica che si protrae fra i 4 e i 6 giorni alla temperatura di 28°C in recipienti termocondizionati di acciaio inox. La macerazione sulle bucce, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, prosegue invece per altri 10-12 giorni alla temperatura controllata di 28°C. Terminata questa fase, dopo la svinatura il vino effettua una fermentazione malolattica molto lenta sempre in recipienti inox alla temperatura di 22-23°C. Verso la fine di febbraio-primi di marzo dell’anno successivo alla vendemmia, il vino viene messo a maturare in barriques di rovere francese per 1/3 nuove, 1/3 di secondo passaggio e 1/3 di terzo passaggio, dove vi rimane per 16-18 mesi. Terminato questo lungo periodo, il vino viene nuovamente posto in un unico tino di acciaio inox e dopo circa un mese è messo in bottiglia per un ulteriore affinamento di 6-8 mesi.

Tipologia dei terreni I terreni che ospitano la vigna de Il Pareto hanno caratteristiche morfologiche di tessitura franco-argillosa con presenza di scheletro e si trovano a un’altitudine di 300 metri s.l.m. con un’esposizione a sud-ovest.

Uve impiegate Cabernet Sauvignon 100%

Sistema d’allevamento Cordone speronato

Densità di impianto 5000 ceppi per Ha

Prima annata

1985

Le migliori annate

1985 - 1990 - 1995 1997 - 1999 Note Il vino, che prende il nome dell’omonimo vigneto, raggiunge la maturità solo dopo 6-7 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 7 e i 15 anni. Vino di grande longevità che si consiglia quindi di lasciar affinare per un lungo periodo prima di assaporarne a pieno la grandiosità.

L’azienda La Tenuta di Nozzole, di proprietà di Ambrogio e Giovanni Folonari dal 1971, si estende su 360 Ha, di cui 70 vitati e 24 dedicati all’olivicoltura. Collaborano in l’azienda l’enologo Marco Cervellera e l’agronomo Damiano Arieti.

Altri vini Quantità prodotta 28000 bottiglie l’anno

Note organolettiche Il vino si presenta di un colore rosso rubino intenso e con dei profumi di vaniglia e frutti di bosco rossi maturi. Fine ed elegante, al gusto è ben strutturato e morbido; al retrogusto è persistente, e riaffiorano i sentori dei frutti di bosco con l’aggiunta di note speziate.

I Bianchi: Le Bruniche (Chardonnay 85%, Sauvignon 15%) I Rossi: Chianti Classico DOCG Nozzole (Sangiovese 100%) Chianti Classico DOCG La Forra Riserva (Sangiovese 95%, Cabernet Sauvignon 5%)

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Tenuta di Trinoro C aro Andrea, mentre tu parli, scorrono velocemente nella mia mente i foto-

grammi di un film le cui immagini raccontano le scene che io ho già vissuto e, dispiegandosi nella trama, mi riportano alla mente emozioni e vicende che non so collocare in una dimensione temporale e non so neanche se appartengono a un mio passato remoto o a un’altra vita. È strano, ma mentre ascolto mi rendo sempre più conto che la tua vita si sovrappone alla mia e questo non deve essere un semplice caso. Non so a cosa attribuire il fenomeno, se possa dipendere dal fatto che apparteniamo alla stessa generazione e che le reciproche esperienze si assomigliano molto, ma i ritmi di questo film sono cadenzati da fatti, silenzi, pause e scenografie che mi conducono a una riflessione più attenta delle tue parole e delle mie memorie. In un primo momento ho pensato che fosse un po’ la suggestione di trovarmi qui a Trinoro, in un luogo che con questa nevicata è divenuto ancora più magico di quanto lo sia normalmente, come se fosse quasi avvolto da una fiabesca aureola che ha ovattato tutto e mascherato la realtà. Fammi mettere comodo e, mentre parli, scusami se chiudo gli occhi, ma non voglio perdere una sola immagine di questo film, così da capire quale misterioso legame ci sia fra le tue e le mie esperienze o la casualità che mi ha condotto oggi qui. Se ci riesco, prima di andare via vorrei scoprire il collegamento fra la convivialità chiassosa, vissuta qualche ora addietro, a bere il tuo vino e a gustare quelle meravigliose bistecche alla fiorentina che abbiamo mangiato insieme a quella comitiva di ristoratori tuoi ospiti, e il silenzio che ora ci circonda entrambi, nelle tue pause narrative. Quello che sto seguendo è un film che sembra descrivere le fantasie, le speranze, i desideri e i viaggi fatti ai quattro angoli del mondo, da ragazzi alla ricerca di loro stessi, sempre in bilico fra la possibilità di perdersi o di ritrovarsi definitivamente: io e te, del resto, sappiamo che queste cose potevano succedere benissimo in quel travolgente e rivoluzionario periodo a cavallo fra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70. Ricordi, anni di contestazione e di forti contrasti sociali, di faziose lotte politiche fra la “destra” e la “sinistra” o di viaggi non solo “fisici” alla ricerca di risposte concrete sull’interpretazione che ognuno dava alla vita; esperienze vissute per strada, in gruppo o in branchi. Erano anni di mille storie, mille amicizie con persone incontrate una sera e mai più viste, di promesse fatte e amori infranti, durati un mese, un giorno o un minuto; anni curiosi, stracolmi di mille interessi e incertezze, di mille indirizzi scritti su un pezzo di carta a cui sapevamo non sarebbe mai giunta una sola cartolina, appunti di vita presi e incisi nella memoria in un vortice che improvvisamente sembrava volesse travolgere tutto e tutti. Esorcizzati da un nuovo illuminismo, sembravamo pervasi da folli passioni e dalla voglia di sperimentarci, di fare e di dimostrare la nostra onnipotenza

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ponendoci al centro del mondo che sentivamo sempre più nostro. Ogni giorno doveva racchiudere una nuova esperienza da vivere a pieno in quel poco tempo che avevamo a disposizione. Tutto e subito, perché rimandare? Ma riecco comparire nella mia mente il film e i primi piani di questa scena: si vedono volti tristi, l’amarezza cocente delle prime delusioni e poi uno zaino, due stracci, un amico, una bicicletta, la strada e l’inizio di un viaggio verso quelle terre che solo agli altri sembravano lontane; per alcuni l’India, per altri il Pakistan o Londra o per altri ancora gli Stati Uniti. Anche noi eravamo fra quella schiera, curiosi tra i tanti curiosi di cui era pieno il mondo in quegli anni, ognuno dei quali alla ricerca di qualcosa o di qualcuno, nel miraggio di trovare una cosa diversa in un altrove che era più sognato che reale. Ma dove sono andati a finire quegli anni? In quale buco nero dello spazio sono caduti? Non ci sono più, ma sicuramente sono dentro di noi. Anni che ci hanno segnato, incidendo profondamente le nostre memorie con cicatrici profonde che oggi ci portiamo addosso serenamente, ritrovandoci seduti su questo divano a raccontarci la nostra vita, con qualche filo bianco fra i capelli, in questa giornata bianca e nevosa. Ti osservo e noto che il tuo sguardo deve essere molto cambiato da allora e sento che oggi sei più tranquillo e orgoglioso di aver superato indenne le bufere della vita che ti hanno fatto giungere qui per vivere questa nuova esperienza intorno al mondo del vino. Mi piace pensare che tu in questo luogo abbia scoperto il valore del silenzio, la piacevole solitudine che in quegli anni rifiutavi e mi piace supporre che Trinoro è forse il sunto di tutte le altre vite che hai vissuto in precedenza. Sono sicuro che qui hai scoperto che per fare grandi cose ci vuole tempo: per fare l’orto e per vedere i suoi frutti crescere e maturare, per imparare a maneggiare un mattone, così da ristrutturare una casa, per sapere come si pianta una vite o come si fa il vino. Non credo di sbagliare di molto se affermo che è stato il tempo ad insegnarti a convivere in armonia con la campagna e con te stesso, scoprendo piacevolmente che, di ambedue le cose, non conosci nulla. Con il trascorrere delle stagioni credo che tu trovi piacevole l’attesa, scoprendo che tutto quello che sei riuscito a realizzare in questo luogo è uno splendido gioco, più straordinario e più alternativo di qualsiasi altra cosa tu abbia mai sognato, provato o fatto nelle tue precedenti vite. Apro gli occhi, mentre il tuo racconto giunge alla conclusione; guardo fuori dalla finestra e mi accorgo che non nevica più, sorseggio l’ultimo goccio del tuo vino e mentre spengo il registratore mi convinco sempre più che non è un caso che io oggi sia qui.


Andrea Franchetti


TENUTA DI TRINORO Andrea Franchetti

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Tenuta di Trinoro IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

Note

Il vino è un blend delle migliori uve Cabernet Franc, Merlot, Cabernet Sauvignon e Petit Verdot provenienti dai vigneti di proprietà dell’azienda, posti nell’estremo sud della Toscana, quasi ai confini con il Lazio, nel comune di Sarteano, che hanno un’età media di 10 anni.

Dopo la vendemmia, che avviene di solito dal 25 settembre al 10 novembre, a seconda dei vari vitigni, si avvia la fermentazione alcolica che si protrae per 12 giorni ad una temperatura compresa tra i 28 e i 30°C in piccole vasche di acciaio aperte, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura. Terminata questa fase il vino svolge la fermentazione malolattica in barrique nuove di rovere francese in cui rimane 8 mesi per la maturazione. In seguito il vino è messo in cemento per un ulteriore affinamento che si protrae per altri 10 mesi prima dell’imbottigliamento.

Il vino raggiunge la maturità dopo 5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione dovrebbe essere compreso fra i 5 e i 20 anni.

Tipologia dei terreni I vigneti si trovano in parte su ghiaie alluvionali di altopiano e in parte su calcare eroso e creta sul fianco del Monte Cetona ad un’altitudine compresa tra i 600 e i 700 metri s.l.m. con esposizione a ovest/sudovest.

L’azienda L’azienda vitivinicola, di proprietà di Andrea Franchetti dal 1990, si estende su una superficie complessiva di 200 Ha, di cui 30 vitati, 100 dedicati alla coltivazione di grano e i restanti occupati da boschi. Svolge le funzioni di agronomo ed enologo lo stesso Andrea Franchetti.

Altri vini Quantità prodotta

Uve impiegate

7000 bottiglie l’anno

Cabernet Franc 60%, Merlot 20%, Cabernet Sauvignon 15%, Petit Verdot 5%

Note organolettiche

Sistema d’allevamento Doppio guyot basso

Densità di impianto 9400 ceppi per Ha

Il vino si presenta all’esame visivo di un colore rosso rubino scuro quasi impenetrabile; al naso risulta molto piacevole con un bouquet che abbraccia note fruttate di mirtillo e fragole selvatiche, sentori floreali ed erbacei con accenni di foglia di pomodoro. In bocca è caldo e avvolgente, elegante, equilibrato, molto persistente, armonico; il lungo retrogusto esalta soprattutto gli aromi fruttati percepiti al naso.

I Rossi: Cincinnato IGT Toscana (Cesanese d’Affile 100%) Le Cupole del Trinoro IGT Toscana (Cabernet Franc, Merlot, Cabernet Sauvignon, Uva di Troia, Cesanese d’Affile)

Prima annata

1997

Le migliori annate

2000 - 2001

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Tenuta di Valgiano Io, fin da quando ero fanciullo, ma anche dopo, da adolescente e fino ad oggi

che sono un uomo adulto, ho “prodotto ricordi”. Da sempre mi trovo a raccogliere memorie che mi conducono spesso alle persone care; raccolgo libri, vecchie cose, fotografie, pergamene, piccoli e grandi oggetti, lettere, cartoline e tutto quello che è in grado di ravvivare e fotografare dei particolari momenti della mia vita, trascorsi in piacevoli compagnie o in grado di riprodurre le emozioni vissute in viaggi o in vecchi amori. “Produco ricordi” e vivo piacevolmente a contatto con gli oggetti della storia di oggi o di ieri, comunque in grado di fermare il tempo. Non è certamente un caso il fatto che io viva in una casa settecentesca della Lucchesia, collocata in un’area dove le tradizioni e le usanze hanno sempre trovato terreno fertile nel quale seminare il seme dei ricordi. Credo di essere fondamentalmente un uomo di campagna e sono convinto di esserlo sempre stato anche senza accorgermene quando per esempio vivevo a Milano, dove frequentavo l’università e sentivo forte il richiamo della campagna, dei suoi spazi e della sua aria pulita. Ricordo che quando ritornai da quei cinque anni passati a Milano, per iniziare a collaborare con un’azienda che produce vetri termici speciali per l’industria, trovai meraviglioso rifugiarmi fra i ricordi di una casa che era rimasta chiusa dal 1910 e che con grandi sacrifici resi abitabile. Non c’erano né luce, né riscaldamento; la vita che conducevo in quegli spazi enormi, che non ricordavano minimamente i 50 metri quadrati di Milano, era spartana; una vita affascinante che si ravvivava nell’estate e che mi vedeva solitario, nell’inverno, scaldarmi al calore del camino, al lume di candela, in compagnia di un buon libro. Una dimensione “umana”, in equilibrio con le mie necessità e con quella mia esigenza di raccolta e classificazione della mia vita. Dopo poco tempo che ero tornato, mi capitò l’occasione di acquistare la Tenuta di Valgiano, che si trovava poco distante da dove abitavo: 50 ettari di terreno con 13 ettari di vigneto, 4 di oliveto e boschi, con una villa meravigliosa che però era minacciata da una frana che coinvolgeva tutta la collina e che per decenni aveva fatto prevedere il peggio.

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Supportato dall’amico Saverio Petrilli, grande esperto di vini, valutai attentamente le potenzialità vitivinicole dell’azienda e sperando che, con interventi sostanziosi effettuati a valle da parte degli organi competenti, si potesse risolvere il problema enorme della villa, decisi di comprare Valgiano e di mettermi a fare il vignaiolo. Era il 1991 e sapevo che mi attendevano momenti difficili, anzi anni difficili, che ancora non si sono conclusi; anni duri che mi hanno insegnato un’infinità di cose e mi hanno consentito di crescere sotto tutti i punti di vista. Avventurandomi su questa strada mi ero prefissato tanti obiettivi, ma ce n’era uno in particolare che mi stava a cuore: riuscire a fare un buon vino. Visti i risultati di queste ultime vendemmie, credo che mi sto avvicinando all’obiettivo. Tutto questo ha richiesto molti sacrifici e un lavoro che giornalmente mi ha posto davanti alla cruda realtà e alle dure regole dettate dalla natura, alle scelte e agli impegni da rispettare. Dopo tutto questo adoperarsi e sacrificarsi, Valgiano a sera mi appare addirittura come un grosso fardello da portare, quasi un incubo, ma inesorabilmente, al mattino successivo scopro che la stessa fattoria è fonte energetica di nuove passioni e di un nuovo entusiasmo che mi ricarica e mi aiuta a chiudere un giorno e l’indomani a riaprirne un altro. “Produco ricordi” e ogni giorno è una nuova memoria da accantonare, è l’insieme di nuove esperienze che, dopo essere state codificate, devono essere catalogate. Tutti i giorni è un nuovo percorso che si apre al mattino e che, a sera, si richiude; un percorso che mi vede procedere accanto il mio vino, che è parte integrante della storia enologica di questa terra, famosa già nel 1300, quando gareggiava con ugual merito con le più grandi aree vitivinicole europee. Vino e storia: un tutt’uno con questi vigneti di Valgiano. Devo assicurare che è proprio grazie a questi filari e alla loro capacità evocativa, forse stratificatasi nel tempo attraverso le esperienze dei precedenti vignaioli e che ancora oggi aleggia su di essi, che io trovo l’energia per proseguire il mio sogno.


Moreno Petrini


TENUTA DI VALGIANO Moreno Petrini

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Tenuta di Valgiano Colline Lucchesi Rosso DOC Zona di produzione

Tecniche di produzione

Note

Tenuta di Valgiano è un cru ottenuto dall’attenta selezione delle migliori uve di Sangiovese, Syrah e Merlot dell’azienda, che si trova nel comune di Capannori, nella zona di produzione dei vini delle Colline Lucchesi DOC.

Dopo la vendemmia, che avviene di solito da metà settembre a metà ottobre, si procede alla fermentazione alcolica che si protrae per 4-6 giorni alla temperatura di 2025°C, in piccoli tini di rovere termocondizionati. Contemporaneamente si avvia la macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, prosegue per altri 10-12 giorni. Terminata questa fase, il vino, senza alcuna chiarifica, viene messo in barriques di Allier, nuove e di secondo passaggio, dove conclude la fermentazione malolattica e dove vi rimane per 15 mesi. Alla conclusione di questo periodo il vino è assemblato e, dopo un breve passaggio nei tini e un leggero filtraggio, è imbottigliato per un ulteriore affinamento di 6 mesi.

Il vino raggiunge la maturità solo dopo 5-6 anni dalla vendemmia; il plateau di maturazione dovrebbe essere compreso fra i 5 e i 12 anni.

Tipologia dei terreni I vigneti si trovano su terreni alluvionali di arenaria con tessitura di marne calcaree e di alberese; sono posti a un’altitudine di 250 metri s.l.m. con un’esposizione a sud.

Uve impiegate Sangiovese 60-70%, Syrah 15-20%, Merlot 15-20%

Sistema d’allevamento Guyot e cordone speronato

Quantità prodotta Densità di impianto

5-8000 bottiglie l’anno

5500 ceppi per Ha

L’azienda La Tenuta di Valgiano, di proprietà di Moreno Petrini, oggi ha un’estensione complessiva di 42 Ha, di cui 16 dedicati alla viticoltura e 15 all’olivicoltura; il restante territorio vede la presenza di boschi e colture promiscue. Collaborano in azienda l’agronomo Eva Volpi e l’enologo Francesco Saverio Petrilli.

Altri vini I Bianchi: Giallo dei Muri Colline Lucchesi Bianco DOC (Vermentino 50%, Malvasia e Trebbiano 50%)

Note organolettiche Di colore rosso rubino intenso, il vino si presenta al naso con sentori di piccoli frutti neri di bosco e note speziate. Al palato presenta una forte personalità; caldo, austero e di grande spessore; prolungata la persistenza in bocca.

I Rossi: Scasso dei Cesari Colline Lucchesi Rosso DOC (Sangiovese 100%) Palistorti Colline Lucchesi Rosso DOC (Sangiovese 70%, Syrah 15%, Merlot 15%)

Prima annata

1999

Le migliori annate

1999

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Tenuta Poggio Bonelli Le tenute Chigi Saracini, Fontanafredda e Poggio Bonelli sono solo un esempio del-

l’attenzione che da sempre lega il Monte dei Paschi di Siena alla terra. L’attenzione continua e l’impegno forte e deciso che sono stati profusi nei suoi seicento anni di storia sono una testimonianza certa e indiscussa di quanto siano state importanti per questa banca le proprietà terriere. Un comparto economico che costituiva e costituisce tutt’oggi un sistema sociale a se stante che va difeso, tutelato e sviluppato proprio in funzione dei modi e dei tempi che ne determinano il divenire. In questo il Monte dei Paschi ha sempre cercato di operare fornendo una particolare attenzione a tutte quelle iniziative che avrebbero potuto in qualche modo contribuire ad aggiungere altro valore alla terra nuda e cruda, continuando a finanziare in questi secoli progetti e idee. Indubbiamente è proprio per l’importanza riservata a questo settore che, quando si è presentato il momento di mettersi in gioco, l’Istituto non si è lasciato sfuggire l’occasione di divenire direttamente artefice delle sorti di aziende agricole importanti come quelle sopra citate. Questo impegno così diretto e importante nell’agricoltura è un caso più unico che raro in Italia; infatti, difficilmente le grandi tenute vitivinicole sono di proprietà di banche o di altri fondi di investimento, come succede, invece, in altri paesi europei. In Italia, non credo di essere smentito se affermo che siamo gli unici nel mondo bancario ad avere proprietà con questa produzione. Per quello che posso percepire c’è comunque un’inversione di tendenza e una maggiore attenzione verso il settore, poiché sembra che i grandi gruppi finanziari stiano vedendo in maniera più positiva gli investimenti in agricoltura da quando si è compreso che gli stessi possono contribuire a dare una diversa immagine e una maggiore visibilità. Le nostre sono tre aziende complesse e molto diverse fra loro, entrate a far parte delle proprietà del Monte dei Paschi con tempi e modi differenti. La tenuta reale di Fontanafredda, in Piemonte, con i suoi 100 ettari, è arrivata negli anni Trenta, dopo varie vicissitudini, mentre i 900 ettari della Chigi Saracini sono giunti intorno agli anni Sessanta, dopo la morte del Conte Guido e conseguentemente al lascito fatto dallo stesso alla fondazione Accademia Musicale Chigiana; Poggio Bonelli, invece, è la più piccola e l’ultima arrivata nei nostri tenimenti, nata su un progetto specifico legato ad un discorso di ampliamento della produzione di vini di grande qualità voluto dal nostro Presidente Antonio Sclavi avvalendosi della collaborazione di Carlo Ferrini, enologo di fama internazionale. In queste aziende, comunque, non si produce solo vino, ma si alleva bestiame

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di razza Chianina e vi è spazio per altre culture seminative e anche per oltre 8000 olivi che danno una produzione di olio extravergine d’oliva che raggiunge mediamente i 50 quintali all’anno. Un habitat naturale nel quale si inseriscono perfettamente gli immobili storici all’interno dei quali è svolta una ricettività agrituristica di buon livello. Come si può intuire, tutto questo richiede una mentalità imprenditoriale di settore che in qualche modo travalica le politiche o i canoni all’interno dei quali si muove solitamente l’azienda bancaria. Posso assicurare che sono tutti impegni importanti, sotto ogni punto di vista, che richiedono grossi sforzi, sia in termini di risorse umane che di investimenti a medio e lungo termine. Proprio per la nostra storia e l’esperienza acquisita, sappiamo che in agricoltura, e in special modo nel mondo del vino, i tempi si dilatano e rispondono a logiche del tutto particolari. Non solo i calcoli, ma un’importante managerialità e una scrupolosa attenzione ai bilanci consentono di gestire queste aziende. Se fossimo orientati e rimasti su questi canoni direzionali saremmo qui a cercare di tamponare, anno dopo anno, le perdite e a determinare quali potrebbero essere le più appropriate azioni per il mantenimento dell’esistente e dell’investimento effettuato. Della grande attenzione che poniamo oggi verso le aziende agricole, ne è testimonianza proprio Poggio Bonelli, l’ultima azienda arrivata, che nasce da un progetto orientato e di supporto alla valorizzazione delle tenute poste nel Chianti e alla ricerca di un innalzamento qualitativo dei vini prodotti in questa regione. Io, come amministratore delegato, cerco di adeguarmi a questo nuovo processo evolutivo che la proprietà ha avviato e in ciò che faccio metto entusiasmo e passione, anche perché il mondo del vino mi ha sempre affascinato, sia per la sua complessità, sia per la curiosità che suscita e il fascino che esercita nell’immaginario collettivo. So con certezza che il compito che ci attende non è certamente dei più facili: la lunga esperienza maturata in questo settore ed una collaudata squadra di collaboratori, sotto la regia del Direttore Generale Giovanni Bazzini, che mette entusiasmo nel quotidiano, ci hanno permesso di raggiungere in tempi abbastanza brevi alti livelli qualitativi, tanto nel prodotto quanto nell’immagine. Un altro fiore all’occhiello per la nostra banca che si aggiunge agli altri acquisiti nei secoli.


Roberto Vivarelli


TENUTA POGGIO BONELLI Roberto Vivarelli

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Tramonto d’Oca IGT Toscana Note

Zona di produzione Il vino è un blend prodotto dalla vinificazione delle migliori uve Sangiovese e Merlot provenienti dai vigneti di proprietà dell’azienda, posti nel comune di Castelnuovo Berardenga, le cui viti hanno un’età compresa tra i 5 e i 18 anni.

Tipologia dei terreni I vigneti, che si trovano su terreni tufaceoargillosi di formazione pliocenica, sono posizionati a un’altitudine compresa tra i 260 e i 280 metri s.l.m. con un’esposizione a sud-ovest.

vengono effettuate delle tecniche di délestage e follatura. Al termine di questa fase si effettua la fermentazione malolattica, poi, dopo un breve periodo di decantazione, i vini vengono posti in barrique di rovere francese di Allier e Tronçais, di media tostatura a grana fine per un 50% nuove e il restante di secondo passaggio, in cui rimangono per 18 mesi. Dopo questo periodo di maturazione, si procede all’assemblaggio delle varie partite ed il blend ottenuto è imbottigliato per un ulteriore affinamento che prosegue per 8 mesi prima della commercializzazione.

Uve impiegate Sangiovese 85%, Merlot 15%

Quantità prodotta

La prima annata del vino, che prende un nome di fantasia, è stata il 1978. Fino all’annata 1998 veniva usato soltanto Sangiovese; dall’annata 1999 viene aggiunta una percentuale di Merlot pari al 15%. Raggiunge la maturità dopo 4-5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 10 anni.

L’azienda Controllata da MPS Tenimenti dal 2000, l’azienda agricola Poggio Bonelli si estende su una superficie complessiva di 50 Ha, di cui 15 vitati e il resto occupato da olivi, seminativi e boschi. Collabora in azienda l’enologo Carlo Ferrini.

18000 bottiglie l’anno

Altri vini

Sistema d’allevamento Cordone speronato basso con potatura a guyot

Densità di impianto 6500 ceppi per Ha

Tecniche di produzione Dopo la vendemmia, che di solito si svolge dalla prima metà di settembre agli inizi di ottobre, si procede alla diraspapigiatura delle uve raccolte e singolarmente i vari pigiati sono avviati alla fermentazione alcolica che si protrae per circa 16 giorni ad una temperatura compresa tra i 28 e i 30°C in recipienti di acciaio inox termocondizionati; contemporaneamente si procede alla macerazione sulle bucce che dura 14 giorni, periodo durante il quale

Note organolettiche Di un colore rosso rubino intenso quasi impenetrabile, il vino si presenta all’esame olfattivo con ricchi profumi di frutti rossi, ribes e prugne, a cui seguono percezioni di caffè e cioccolato al latte, note di tostatura e nuances di ginepro e peperone verde. Al gusto risulta caldo, pulito, elegante, con una fibra tannica ben armonizzata con una buona sapidità che conferisce lunghezza e discreta persistenza.

I Rossi: Chianti Classico DOCG (Sangiovese 90%, altri vitigni autorizzati 10%) Chianti Classico DOCG Riserva Poggio Bonelli (Sangiovese 90%, altri vitigni autorizzati 10%)

Prima annata

1978

Le migliori annate

2000 - 2001

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Tenuta San Guido M olte parole, forse troppe, sono state spese intorno al “Sassicaia”; si è parla-

to, disquisito e inventato di tutto, ma nessuno è mai riuscito a spiegare il fenomeno e il fascino che continua a suscitare questo grande vino nell’immaginario collettivo: un successo che continua imperturbabile da oltre trent’anni. Come tutti sanno, fu mio padre Mario che “s’inventò” questo vino. Era il 1944 quando decise di piantare, a livello sperimentale nella nostra proprietà di San Guido, a Bolgheri, delle nuove vigne. Erano anni di guerra, con molte difficoltà oggettive che non consentivano né grandi spostamenti, né un’attenta selezione vivaistica delle piante, così mio padre non trovò di meglio che ricercare qualcosa nel circondario. Ricordandosi di un grande vino che aveva assaggiato da un suo amico, quando frequentava l’università di Pisa, concentrò la sua ricerca su quell’area e fu proprio lì che andò a prendere le marze di Cabernet Sauvignon con le quali dette vita a questo vino. A quei tempi vi era l’ignoranza diffusa che i vigneti esposti ai venti marini o al salmastro non dessero dei buoni risultati, pertanto le vigne nuove furono piantate su appezzamenti di terra collinari con un’esposizione il più possibile a nord. Col passare degli anni erano comunque i cavalli della nostra scuderia a darci le maggiori soddisfazioni, mentre dalla coltivazione dei bulbi da fiori venivano i migliori risultati della produzione della tenuta. La vigna era però la grande passione di mio padre e quando un uomo come lui, dalla spiccata personalità, dotato di un carattere forte e di un grande intùito, si applica nel proprio hobby, ecco che nel tempo si vengono a determinare risultati inaspettati. Da buon piemontese amava il vino, quello buono, e aveva intuìto che in quest’area c’erano delle opportunità uniche per sviluppare una viticoltura di alto livello. La parentela poi con gli Antinori, da sempre riconosciuti fra i padri fondatori dell’enologia nazionale, creava sia un po’ di soggezione, sia stimoli di emulazione e di competizione. Era per questo che mio padre difficilmente si lasciava andare a grandi esternazioni sui suoi progetti, anche se non poteva fare a meno di dare sfogo alla sua grande passione elargendo suggerimenti e idee ad amici e paren-

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ti. Fu sul finire degli anni ’70 che il suo impegno fu ripagato; infatti arrivarono i primi successi e gradatamente il nostro vino entrò a far parte di quei prodotti che determinano lo status symbol di una persona, ma non solo; infatti, ben presto divenne la bandiera dell’enologia toscana e nazionale. A distanza di anni verifico con piacere che la sua appartenenza a questa classifica non è venuta meno e che non ha avuto nessun esito o rilevanza il fatto che alcuni giornalisti si siano sforzati di classificarlo addirittura al 30° posto della graduatoria mondiale dei vini rossi: il Sassicaia rimane imperturbabile, fedele a se stesso. Guardandomi in giro devo assicurare che ancora oggi è fra i vini più amati al mondo; la gente lo cerca, lo vuole: è questo che lo lega ai suoi estimatori, perché in esso non è difficile riscontrare il meraviglioso rapporto che si è consolidato, prima di tutto fra mio padre e Giacomo Tachis e, successivamente, la loro capacità di coniugare e interpretare le vigne e la terra con questo terroir. Chi beve il Sassicaia sa di bere un vino che ha personalità e carattere. In quel bicchiere si percepisce il significato del fare il vignaiolo a Bolgheri, s’intuisce il carattere di questa terra, la verve e l’ingegno di Mario Incisa della Rocchetta e di Tachis. Il Sassicaia è il vino che piace a tutti, è un vino da bere e che rispecchia in pieno la filosofia di quelle grandi aziende che si prefiggono la qualità senza mai intervenire sulla stagionalità. Noi Incisa non abbiamo mai voluto che il nostro vino fosse “il” campione, abbiamo cercato ogni anno di farne “un” campione, perché, anche con il variare delle vendemmie, si potesse percepire in esso il suo forte carattere. All’inizio l’eredità di mio padre è stata un grande fardello, in alcuni casi faticoso da portare, ma con il tempo tutto è divenuto più piacevole e credo che un grande merito io debba riconoscerlo a questo grande vino che mi ha preso per mano e indirizzato sulla strada giusta. In definitiva si trattava solo di continuare sulla direttrice tracciata da mio padre al fine di non far dimenticare cosa abbia significato questo vino per l’enologia nazionale.


Nicolò Incisa della Rocchetta


TENUTA SAN GUIDO Nicolò Incisa della Rocchetta

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Sassicaia Bolgheri DOC Sassicaia Zona di produzione

Tecniche di produzione

Sassicaia è una cuvée sapiente delle migliori uve provenienti dai vigneti della Tenuta San Guido, posta sui pendii collinari di Bolgheri nella zona di produzione del Sassicaia, identificata dal 1994 come sottozona del Bolgheri DOC.

Dopo la vendemmia, che avviene di solito dalla prima settimana di settembre all’inizio di ottobre, secondo la maturazione degli uvaggi, si effettua la fermentazione alcolica che procede separatamente per il Cabernet Sauvignon e il Cabernet Franc e che si protrae fra i 4 e i 6 giorni a una temperatura non superiore ai 30°C in tini d’acciaio inox. Contemporaneamente si avvia la macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche leggere di délestage e follatura, prosegue per altri 15 giorni a temperature controllate. Terminata questa fase, ogni varietà e ogni parcella, senza alcuna chiarifica, è messa in barriques, per un 1/3 nuove, nelle quali si conclude la fermentazione malolattica. I vini rimangono nel legno per un periodo di 24 mesi prima che sia effettuato l’assemblaggio. Terminato l’invecchiamento, il vino subisce un affinamento in tini d’acciaio prima di essere imbottigliato per un ulteriore affinamento di 6 mesi.

Tipologia dei terreni I vigneti sono sparsi in diverse zone dell’azienda: quelli posti in mezzo al bosco sono identificabili con i nomi di Castiglioncello, Doccino e Quercioni, quelli di San Martino e Mandrioli si trovano alla periferia delle aree boschive, mentre quelli del Frantoio, del Sassicaia, della Scuderia, della Pineta e dell’Aianuova sono nella parte centrale del territorio aziendale. I vigneti sono situati quindi su terreni pedecollinari, hanno caratteristiche morfologiche varie e composite con forte presenza di zone calcaree ricche di galestro e di sassi e parzialmente argillosi; si trovano a un’altitudine compresa fra gli 80 e i 300 metri s.l.m. e hanno un’esposizione a est / sud-est.

Quantità prodotta Uve impiegate

170000 bottiglie l’anno

Cabernet Sauvignon 85%, Cabernet Franc 15%

Note organolettiche

Sistema d’allevamento Cordone speronato

Densità di impianto 3500 ceppi per Ha per gli impianti antecedenti al 1980, mentre per i nuovi la densità è salita fino a 4500-5000 ceppi per Ha

Di colore rosso intenso, con venature porpora, il vino si presenta con eleganti note floreali, di marasca matura e piccoli frutti di bosco neri. Dal sapore complesso, asciutto, sapido, con tannini morbidi, suggerisce al palato le sensazioni avvertite al naso; al retrogusto è lungo e persistente.

Prima annata

1968

Le migliori annate

1975 - 1979 - 1985 - 1988 1990 - 1995 - 1997 - 1998 2000 - 2001 Note La ragione del toponimo Sassicaia è probabilmente da ricercare nell’alta composizione sassosa del terreno. Il vino, che non è stato prodotto nelle annate 1969 e 1973, raggiunge la maturità solo dopo 8-9 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 10 e i 20 anni.

L’azienda L’azienda, di proprietà dei Marchesi Incisa della Rocchetta, si estende per una superficie complessiva di 2500 Ha, di cui 70 dedicati alla viticoltura, 80 all’olivicoltura e il resto vede la presenza di boschi e campi coltivati a seminativi, foraggi e grano. Collaborano in azienda l’agronomo Alessandro Petri e l’enologo Giacomo Tachis.

Altri vini I Rossi: Guidalberto (Merlot 40%, Cabernet Sauvignon 40%, Sangiovese 20%)

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Tenuta Sette Ponti Credo che faccia parte del mio carattere riuscire a lavorare divertendomi, dal

momento che il lavoro non è mai stato per me né un peso, né un sacrificio. Sarei bugiardo se affermassi che mi piacciono in ugual misura tutte le cose che faccio; sicuramente posso affermare che svolgo una grossa percentuale delle stesse con entusiasmo, divertimento e senza fatica. Forse è questo che, in definitiva, mi porta a sviluppare in contemporanea una serie d’iniziative che nel tempo diventano dei veri e propri percorsi con i quali riesco a far divenire chiare e ben visibili le linee del mio agire, come quello riguardante la moda, dove ho iniziato con prodotti di media qualità per arrivare dopo tanti anni, ad avere marchi di prestigio e a commercializzare prodotti di altissima qualità. Quell’esperienza, come del resto le altre che si sono intrecciate fra di loro in questi anni, ha contribuito molto alla mia crescita, alla mia personale evoluzione culturale che si è consolidata nel tempo nel settore della moda, in quello immobiliare, avviato da mio padre, o attraverso il mondo vitivinicolo dove ho iniziato con l’idea di produrre vini di altissima qualità. Sono arrivato a questa mia decisionalità attraverso la sommatoria di tante esperienze acquisite sul campo, partendo da una capacità oggettiva di progettare che si è aggiunta, via via negli anni, all’abilità di sintetizzare gli input che mi arrivano dai miei collaboratori e dal mercato. Capacità manageriali che non si improvvisano, ma che si costruiscono nel tempo, fino ad arrivare ad assimilare quei meccanismi di capillarizzazione e di analisi dei particolari che determinano i bisogni e le metodologie. Ogni cosa che faccio contribuisce ad arricchire la mia esperienza, che posso utilizzare, quando voglio, per sviluppare qualsiasi altra idea nella quale decida di investire. Il poter alternare il vino a un progetto di scarpe o a quello di una nuova linea di moda o a quello di una catena di negozi di abbigliamento mi affascina molto e mi diverte, dandomi più stimoli per lavorare meglio e trasmettendomi un maggiore entusiasmo per la vita. Anche nella sistemazione di Sette Ponti ho attinto al mio “storico” e devo assicurare che mi è servito molto, specialmente nella scelta degli uomini, nel comporre le squadre, nel comunicare loro le cose precise che dovevano fare, stando attento a non dare distorsioni di sorta su quali fossero i miei obiettivi o quali dovessero essere le strategie comunicative da utilizzare. Il passato è stato utile per gestire un’azienda di oltre 340 ettari con più di 60 dedicati alla viticoltura. Sono partito utilizzando un ragionamento preciso, veramente razionale che, in molti anni di imprenditoria, ho omologato come uno stile di vita dal quale non voglio e non riesco a discostarmi: ottenere il meglio dalle cose che faccio. Attraverso una serie di importanti iniziative mi sono impegnato affinché si rag-

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giungesse, nel minor tempo possibile, l’innalzamento della qualità dei vini che qui già da tempo si producevano e, contemporaneamente, se fosse stato possibile, si ottenesse un punto di pareggio economico rispetto agli investimenti fatti. Questi concetti semplici mi hanno portato a confezionare un abito su misura per questa azienda senza tergiversare e aspettare troppo, modificando il possibile, immettendo in essa il necessario e utilizzando al meglio l’esistente. Indubbiamente il mio è stato un diverso approccio al mondo del vino, più dinamico, forse più industriale. Non me ne vogliano gli amanti del vino o chi percepisce sensazioni metafisiche in questo settore: io sono pragmatico e un po’ materialista e non posso mutare il mio modo di fare davanti a investimenti cospicui e importanti per chiunque. In ogni caso devo riconoscere che è stato uno splendido gioco rincorrere il sogno di un grande vino qui a Setteponti ed è stato gratificante riuscire a farlo divenire realtà in poco tempo. Credo di esserci vicino e questo è dovuto alla tempestiva risoluzione di tutti quei problemi che si andavano concretando nello sviluppo del progetto. Di quanto il mio agire fosse atipico per il settore del vino me ne sono accorto dopo un po’ di tempo, osservando ciò che avevano fatto negli anni in analoghe situazioni altri produttori miei amici. Sapevo che la campagna non prevede un grande decisionismo, a differenza di quanto è richiesto invece nel settore industriale; come anche sapevo che fra i filari si può vivere un tipo di vita più pigra, più tranquilla e più godereccia rispetto al mondo del business. Conoscevo le tempistiche e il reale apporto che forniscono le stagioni e tutta quella miriade di piccole cose che interagiscono nella produzione di un grande vino. Non avevo voglia di aspettare e ho agito con repentina lucidità per ottenere il fine che mi ero prefisso rischiando e tagliando viti vecchie sulle quali poter innestare cloni di viti selezionatissime che solo dopo pochi anni hanno dato risultati strepitosi. Riconosco che in questa mia rincorsa sono stato fortunato, ma è anche con un po’ di orgoglio che affermo di aver dato una grande mano alla fortuna, in un gioco dove si poteva perdere. Nell’affrontare serenamente le mie scelte credo abbia influito molto il rapporto che ho con il senso della proprietà, quasi in contrapposizione a quello che si vive in campagna, dove da sempre si è poco propensi al rischio imprenditoriale e molto attaccati al mantenimento dell’esistente. Forse è proprio questo il nocciolo della faccenda; infatti, per me è più importante gestire le cose che possederle, è più importante avere dei progetti concreti sui quali puntare. Non credo al concetto della proprietà fine a se stesso, lo trovo limitativo e un po’ anacronistico; il divertimento sta nel poter disporre dei beni avendo il distacco necessario che consente più obbiettività e raziocinio. I risultati ottenuti mi hanno dato ragione e più convinzione sul mio modo di interpretare il mondo degli affari, perché in definitiva anche nel vino è di questo che si parla.


Antonio Moretti


TENUTA SETTE PONTI Antonio Moretti

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Oreno IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

Oreno è un blend delle migliori uve Sangiovese, Merlot e Cabernet Sauvignon provenienti dai vigneti di proprietà dell’azienda, posti a San Giustino Valdarno, nel comune di Terranuova Bracciolini, che presentano viti con un’età media di 15 anni.

Dopo la vendemmia, che avviene di solito dal 20 settembre al 20 ottobre, a seconda dei vitigni, si avvia la fermentazione alcolica che si protrae per circa 25 giorni ad una temperatura controllata compresa fra i 25 e i 27°C in vasche di cemento; la fermentazione è coadiuvata da leggera follatura, mentre contemporaneamente si procede anche alla macerazione sulle bucce che dura 25 giorni sempre a temperatura controllata. Terminata questa fase, i vini vengono posti separatamente in barrique nuove di rovere francese di Allier in cui svolgono la fermentazione malolattica e rimangono 18 mesi per la maturazione. Segue l’assemblaggio delle partite e dopo un breve periodo di stabilizzazione in tini di acciaio, il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento che dura altri 12 mesi prima della commercializzazione.

Tipologia dei terreni I vigneti si trovano su un terreno di medio impasto misto a sassi e ciottoli ad un’altitudine di 250 metri s.l.m. con esposizione a sud.

Uve impiegate Sangiovese 50%, Merlot 25%, Cabernet Sauvignon 25%

Sistema d’allevamento Cordone speronato

1999

Le migliori annate

2001 Note

Il vino prende il nome da un piccolo rio che scorre all’interno dell’azienda. Nell’annata 2003 il vino è stato prodotto come blend di Sangiovese e Cabernet Sauvignon in parti uguali. Raggiunge la maturità dopo 5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 12 anni.

L’azienda

40000 bottiglie l’anno

Di proprietà di Antonio Moretti dal 1950, l’azienda agricola si estende su una superficie complessiva di 300 Ha, di cui 63 vitati e il resto occupato da colture estensive e boschi. Collaborano in azienda svolgendo le funzioni di agronomo e di enologo Carlo Ferrini e Gioia Cresti.

Note organolettiche

Altri vini

Densità di impianto 6600 ceppi per Ha

Prima annata

Quantità prodotta

Il vino si presenta all’esame visivo di un colore rosso rubino carico quasi impenetrabile; all’esame olfattivo offre profumi intensi di piccoli frutti di bosco neri a cui via via si intersecano sentori speziati, vegetali e balsamici. In bocca è caldo, pieno, corposo, con tannini morbidi e setosi; note fruttate ed erbacee emergono piacevoli nel lungo finale.

I Rossi: Crognolo IGT Toscana (Sangiovese 90%, Cabernet Sauvignon 10%) Vigna di Pallino IGT Toscana (Sangiovese 100%)

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Tenute del Cabreo F inito il liceo, non avevo, come molti altri miei coetanei, il dilemma di cosa fare da grande, perché io avevo idee chiare e precise: volevo fare il vignaiolo. Il problema, se mai, era come apprendere quelle nozioni tecniche che mi avrebbero consentito di affrontare questa professione nel migliore dei modi. Dovevo solo decidere se frequentare la facoltà d’agraria qui in Italia e poi andare a fare un master di specializzazione in Francia o partire subito per costruirmi una formazione completa a Bordeaux. La scelta non era facile; da buon italiano poi sono sempre stato legato alla famiglia, agli amici e a quelle piccole e piacevolissime abitudini che mi hanno fatto sempre apprezzare le cose che mi circondano: dalla mia Firenze alla Toscana, terra che sento profondamente mia. No, la scelta non era facile, ma ragionando, compresi che sia Firenze, sia la terra e la famiglia mi avrebbero atteso e che forse nella peggiore delle ipotesi avrei potuto perdere qualche conoscente, poiché i veri amici, quelli sì, avrebbero atteso il mio rientro. Fu così che decisi di partire, ma non fu né Italia, né Francia, ma America, il nuovo mondo, e precisamente la California, dove m’iscrissi all’University of California Davis, e dove frequentai il corso di laurea di Scienze della Fermentazione che comprendeva, oltre all’enologia, anche moltissimi esami di botanica e lunghi periodi di sperimentazione scientifica e stages in vigna e in cantina. Mi trovai immerso in un mondo completamente diverso dal nostro, dove abbinati allo studio specifico delle materie in aula e nei laboratori, erano obbligatoriamente proposti stages formativi continui nell’azienda interna all’università e in quelle esterne collegate a essa, dove era sem-

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plice constatare il passaggio fra la teoria e la pratica. Studiavo e vivevo in un mondo la cui ragione di vita era quella di capire il perché, il come e il quando ogni singola e piccolissima fase dell’intera filiera produttiva vitivinicola potesse interagire con altre e questo a quanti e a quali risultati conducesse. Lì compresi l’importanza del terroir, l’adattabilità dei vitigni ai diversi terreni, le loro diverse reazioni ai sistemi d’allevamento o alla loro convivenza; compresi il grande significato delle microvinificazioni e quali informazioni esse potessero fornire per ottimizzare quei processi produttivi e di selezione che sanno creare un distinguo fra vino e vino. Tornato in Italia dopo più di cinque anni e dopo aver fatto il servizio militare, mi ritrovai immerso completamente nell’attività di famiglia e in modo particolare all’interno di quelle specifiche competenze di viticoltura ed enologia per le quali la formazione universitaria mi aveva preparato. Dopo la separazione delle aziende che facevano capo alla famiglia Folonari, mio padre Ambrogio ed io ci tuffammo nel piano operativo di ristrutturazione delle nostre prestigiose aziende agricole, ed io, che amavo da sempre la produzione, mi trovai impegnato in vigna nel rinnovamento degli impianti, mentre in cantina incominciai a studiare nuove tecniche di vinificazione, cambiai alcuni processi operativi e introdussi le microvinificazioni. Sono appena trascorsi undici anni dal mio ingresso nelle aziende di famiglia, anni di completa dedizione a questa terra che, come detto, amo molto e dalla quale cerco di ottenere il meglio, ma non con l’intento di produrre “il” vino, ma per far sì che quello che viene da questo territorio sia riconosciuto come “il mio” vino.


Giovanni Folonari


TENUTE DEL CABREO Giovanni Folonari

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Cabreo La Pietra IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

Cabreo La Pietra è un cru delle uve provenienti dai vigneti Rignana e Casa Sola situati nelle Tenute del Cabreo, poste nel comune di Greve in Chianti, nell’area di produzione del Chianti Classico DOCG.

Dopo la vendemmia, che di solito inizia dalla fine di agosto ai primi di settembre, l’uva, raccolta a mano in cassette da 20 kg, viene prima raffreddata in una cella frigorifera a 15°C, dopo di che viene caricata direttamente in pressa pneumatica per separare tutti i solidi; il mosto, dopo una decantazione a freddo di 24 ore, viene travasato in barriques francesi (circa il 20% nuove), in ambiente tenuto a temperatura costante di 20-22°C e a umidità controllata. Dopo la fermentazione alcolica, il vino svolge la fermentazione malolattica e invecchia nello stesso legno per circa 8-12 mesi. Terminata questa fase, viene effettuato l’assemblaggio delle partite e dopo una leggera sosta in tini di acciaio e una chiarifica, il vino è messo in bottiglia per un affinamento di altri 6 mesi.

Tipologia dei terreni I vigneti si trovano su terreni che presentano una tessitura media abbastanza profonda, con tanto scheletro composto principalmente da galestro, a un’altitudine di 350 metri s.l.m. con esposizione a ovest.

Uve impiegate Chardonnay 100%

Sistema d’allevamento Cordone speronato basso

Prima annata

1983

Le migliori annate

1985 - 1987 - 1990 - 1993 1997 - 1998 - 2000 - 2001 Note L’antica parola Cabreo significa pianta catastale che identifica immobili e terreni generalmente adibiti a vigneto. Il vino, che prende il nome da un borgo inserito nella proprietà che ha accanto dei vigneti, raggiunge la maturità solo dopo 4 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 4 e gli 8 anni.

Densità di impianto 2500 - 4000 ceppi per Ha

Quantità prodotta 60000 bottiglie l’anno

Note organolettiche Il vino si presenta di un colore giallo tendente al dorato, con dei profumi complessi di frutta tropicale e miele. Al palato risulta immediatamente molto strutturato, morbido, vellutato, con una grande persistenza in bocca.

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Cabreo Il Borgo IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

Cabreo Il Borgo è una cuvée di uve provenienti dai vigneti situati in Loc. Zano nelle Tenute del Cabreo, poste nel comune di Greve in Chianti, nell’area di produzione del Chianti Classico DOCG.

Dopo la vendemmia, che avviene per ogni uvaggio con tempi diversi a seconda della maturazione degli stessi, si procede separatamente alla fermentazione alcolica che si protrae per circa 6-8 giorni alla temperatura di 28-30°C, in piccoli recipienti termocondizionati di acciaio inox. Contemporaneamente si avvia anche la macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di rimontaggio e follatura, prosegue per altri 14-18 giorni. Dopo questa fase, i vini svolgono la fermentazione malolattica separatamente in tini di acciaio inox e solo dopo l’assemblaggio delle partite il vino è messo in barriques di Allier e Tronçais nuove per un max del 20%, dove vi rimane per circa 18 mesi. Dopo l’invecchiamento e una breve sosta in tini di acciaio il vino è imbottigliato e affinato per 6 mesi prima della vendita.

Tipologia dei terreni I vigneti sono posti su terreni che presentano una tessitura medio-ricca con scheletro e notevole profondità a un’altitudine di 200 metri s.m.l., con un’esposizione a sud / sud ovest.

Uve impiegate Sangiovese 70%, Cabernet Sauvignon 30%

Sistema d’allevamento Cordone speronato e capovolto

Densità di impianto Dai 3500 ai 5000 ceppi per Ha

Quantità prodotta 90000 bottiglie l’anno

Note organolettiche Il vino si presenta di un colore rosso rubino intenso, con dei profumi complessi di confettura di prugna, ciliegia e di spezie. Al gusto risulta molto strutturato, vellutato, con tannini molto concentrati e rotondi; al retrogusto è molto persistente e morbido.

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Prima annata

1982

Le migliori annate

1985 - 1988 - 1990 - 1995 1997 - 1999 - 2001 Note Il vino raggiunge la maturità solo dopo 5-6 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 6 e i 12 anni.

L’azienda Le tenute di Ambrogio e Giovanni Folonari contano 8 aziende che coprono una superficie complessiva di 800 Ha di cui 350 vitati e 15 destinati all’olivicoltura. La parte enologica e agronomica sono seguite rispettivamente da Marco Cervellera e Damiano Arieti. Comunque in tutte le scelte strategiche legate alla produzione sono sempre direttamente coinvolti sia Ambrogio che Giovanni Folonari.



Terrabianca Devo ammettere che a quarantotto anni per iniziare una nuova attività professionale, di cui conosci poco o nulla, ci vuole molta forza di volontà. Dopo una seria riflessione fra me e me, nella quale cercavo di dare una ragionevole spiegazione al forte desiderio d’imporre una svolta alla mia vita e di perseguire nuovi obiettivi, ho venduto il mio prestigioso negozio di moda in Bahnhofstrasse a Zurigo, perchè ho voluto fare il vignaiolo. Forse la risposta alla mia voglia di affrontare una nuova sfida e al desiderio di creare qualcosa di nuovo, l’ho trovata nel mondo del vino, proprio perché l’ho sempre ritenuto molto vicino a quello della moda: entrambi, infatti, sono l’interpretazione dello spirito che anima il nostro tempo, sono sfere operative che consentono sia l’affermazione della creatività, attraverso il duro lavoro e l’impegno quotidiano, sia il soddisfacimento dei gusti del mercato globale. Come la moda, anche il vino è in continua evoluzione, mai uguale a se stesso, ogni anno diverso. Mi affascinava la complessità evolutiva del vino, che inizia dalla cura della vigna e dell’uva e finisce nelle emozioni sprigionate in un bicchiere, per il soddisfacimento di quel piacere che le persone come me ricercano nella vita. In America, sopra un grande edificio lessi un giorno una frase: “if you can dream it, you can do it, you only have to work on it”. Fu quel pensiero, semplice e al contempo profondo, che mi dette la spinta per realizzare il mio sogno, un sogno che però doveva concretizzarsi in un luogo particolare, unico, magico come la Toscana, una regione che per me ha sempre raffigurato una sorgente di creatività e d’arte, una terra piena di storia e di cultura. Tutto qui è forte, la terra, gli uomini e dovunque si rivolge lo sguardo questa forza risulta prepotente, indipendente, autonoma dalla volontà umana. La luce, la miriade di sfumature cromatiche che offrono qui la natura, i paesi, i villaggi e i volti dei contadini sono irripetibili. Qui la gente è ospitale, ben disposta, generosa; è una grande regione che si descrive con le stesse parole con le quali si potrebbe raccontare un piccolo paese; questa è una terra che racchiude in sé tutto, dalla A alla Z. Era la Toscana, considerata il paese vitivinicolo più aperto d’Europa, l’area idea-

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le per realizzare il mio sogno: fare un grande vino, il “mio” vino. Come raggiungere questo obiettivo? Già, non era stato facile vendere tutto, lasciare gli amici e ricominciare da capo un’altra professione in un’altra terra, ma fare il vino era ed è un’altra cosa! Indubbiamente sapevo che la buona volontà non sarebbe stata sufficiente da sola per tagliare questo traguardo. Determinante fu l’incontro con Vittorio Fiore. Mi piacquero molto i vini delle aziende da lui seguite e fu così che decisi di farmi guidare fin dall’inizio in questa mia nuova attività di vignaiolo nel Chianti proprio da Vittorio. Volevo che il mio vino rappresentasse la mia gioia di vivere e che in esso si percepisse il grande piacere che nutro nel farlo; inoltre doveva essere parte integrante di quel gioco seduttivo dei sensi, che a tavola diventano divertimento, gioia e piacere. Il vino di Terrabianca doveva essere un valido compagno per quella grande cucina toscana che io, da sempre, amo tantissimo, in considerazione anche del fatto che i miei nonni materni, veneziani ed emigrati in Svizzera a Zurigo, avevano aperto già nel lontano 1907 una trattoria toscana, “Fonte del Chianti”, dove io sono stato allevato e dove ancora oggi si mangiano le specialità di questa terra. È chiaro che il vino non si produce da solo, ci vuole un lavoro di squadra e proprio per questo, se oggi sono riuscito a raggiungere il mio obiettivo devo ringraziare molto l’aiuto fornitomi dalla mia famiglia, la comprensione che mi hanno dato le mie donne, mia moglie Maja e mia figlia Maja jr., che mi hanno assecondato in questa mia avventura, insieme, indubbiamente, ai validi collaboratori; è con loro che sono riuscito a costruire questo mio sogno, qui a Terrabianca. Dopo anni credo anche di essere riuscito a fare dei buoni vini che sanno “sorridere” come me, che si lasciano piacevolmente bere, che sono l’espressione di questo terroir che ho saputo proteggere e valorizzare; vini che hanno carattere, eleganza e il fascino di far gustare, a chi li beve, un po’ della “mia” Toscana.


Roberto Guldener


TERRABIANCA Roberto Guldener

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Campaccio IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

Note

Campaccio è una cuvée delle migliori uve provenienti dai vigneti collocati nella tenuta Terrabianca a Radda in Chianti e nell’azienda Il Tesoro a Massa Marittima. I vigneti si trovano nella zona di produzione del Chianti Classico DOCG e del Monteregio DOC.

Dopo la vendemmia, che avviene di solito dalla fine di settembre ai primi di ottobre si avvia la fermentazione alcolica che procede, separatamente per ogni varietà, e si protrae fra i 6 e gli 8 giorni alla temperatura di 28°C, in recipienti di acciaio inox; contemporaneamente si è proceduto ad avviare anche la macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage, si protrae per altri 10-12 giorni, a cui fa seguito la fermentazione malolattica. In primavera il vino viene assemblato e posto in barriques prevalentemente di rovere francese e americano, dove vi rimane per 12 mesi. Terminato l’invecchiamento, si preparano le masse e dopo una breve sosta in tini d’acciaio, il vino viene imbottigliato per un ulteriore affinamento di 6-12 mesi.

Il vino prende il nome da una zona omonima presente nell’azienda di Terrabianca e raggiunge la maturità dopo 5-6 anni dalla vendemmia e il suo plateau di maturazione è compreso fra i 6 e i 12 anni.

Tipologia dei terreni I vigneti sono posti su terreni con caratteristiche morfologiche piuttosto diverse: con tessitura “franca”, con evoluzione verso la “Terra Rossa” in Maremma e substrati calcarei di sabbia ed argilla con evoluzione verso la “Terra Rosso Lavato” in Chianti. I vigneti dell’azienda il Tesoro si trovano a un’altitudine di 280 metri s.l.m., con un’esposizione a sud-ovest; mentre i vigneti interessati al Campaccio nell’azienda Terrabianca hanno un’altitudine di 450 metri s.l.m. con un’esposizione sud-est.

Quantità prodotta

Uve impiegate

Sistema d’allevamento Cordone speronato

Densità di impianto 4500-6570 ceppi per Ha

Le due aziende, Terrabianca e Il Tesoro, di proprietà di Roberto Guldener, si estendono su una superficie complessiva di 230 Ha, di cui 55 destinati alla viticoltura e 12,5 destinati all’olivicoltura. La restante superficie vede la presenza di boschi e altre colture promiscue. Nell’azienda Il Tesoro è presente anche una struttura agrituristica e un ristorante. Collaborano in azienda l’agronomo Remigio Bordini e l’enologo Vittorio Fiore.

Altri vini 172000 bottiglie l’anno

Sangiovese 70%, Cabernet Sauvignon 30%

L’azienda

Note organolettiche Di colore rosso rubino scuro, il vino si presenta con note di viola, marasca e piccoli frutti di bosco neri maturi, con un fondo speziato. Dal sapore asciutto, elegante, ampio, di ottima struttura, risulta intenso e ripropone al palato le sensazioni avvertite al naso.

Prima annata

1988

I Rossi: Ceppate IGT (Cabernet Sauvignon 75%, Merlot 25%) Campaccio Riserva (Sangiovese 50%, Cabernet Sauvignon 50%) Piano del Cipresso IGT (Sangiovese 100%) Chianti Classico DOCG Scassino (Sangiovese 97%, Canaiolo 3%) Chianti Classico DOCG Croce Riserva (Sangiovese 97%, Canaiolo 3%) La Fonte IGT (Sangiovese 100%) Il Tesoro IGT (Merlot 100%)

Le migliori annate

1990 - 1995 - 1997 - 1999 - 2001

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Tua Rita Quando all’inizio degli anni Ottanta decidemmo di comprare questa azienda, certamente non pensavamo che saremmo arrivati a simili risultati e io non avrei mai immaginato di ritrovarmi così legata emotivamente a questa terra. Abitando a Piombino, polo siderurgico toscano situato di fronte all’isola d’Elba, mio marito Virgilio e io avevamo il desiderio di avere uno spazio verde tutto nostro dove trascorrere il tempo libero e “trastullarci” nella nostra vecchiaia, un luogo che fosse un po’ meno soffocante e opprimente dello spettacolo che ci offriva la città in cui abitavamo, ma che fosse soprattutto in grado di riavvicinarci alla natura. Fra noi due, era senza dubbio Virgilio, più di me, ad avere lo stimolo maggiore: lui in campagna c’era nato e vissuto per diverso tempo ed era lì che voleva tornare, lontano da quelle ciminiere che sbuffavano giorno e notte e che per troppo tempo avevano richiamato i nostri sguardi. Negli anni Ottanta, accostarsi alla campagna era visto come una stravaganza o uno sfizio, poiché tutti se ne stavano allontanando e la forma d’investimento più in voga era l’appartamento in città: la terra non rendeva e poi costava molti sacrifici. Erano momenti in cui anche una famiglia di ceto medio, se avesse voluto, avrebbe potuto permettersi l’acquisto di un piccolo appezzamento di terra o di una casa in campagna; oggi invece la situazione è molto cambiata, visti i prezzi che hanno raggiunto le aziende agricole e le fattorie. L’azienda di Notri, in Val di Cornia, ci sembrò un buon affare, un’occasione: nove ettari di terra, una posizione decentrata, ma al contempo non lontana dal grazioso paese di Suvereto, con attorno della terra fertile e una casa che, pur avendo bisogno di una forte ristrutturazione, ci piacque subito. Erano lontani i momenti in cui a tutta la Val di Cornia era stata riconosciuta la Denominazione di Origine Controllata; erano addirittura lontani i momenti in cui si parlava di vino in quell’area, poiché erano pochissime le aziende che imbottigliavano. In ogni modo ricordo che noi mettemmo mano immediatamente a quei due ettari di vigna che avevamo, perché ci piaceva molto l’idea di avere una produzione nostra. Col passare degli anni e con una presenza fisica quasi quotidiana in azienda, diventammo più operativi, certi che la terra da noi acquistata avesse una spiccata vocazione vitivinicola. Fu proprio nel 1998 che incominciammo

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a piantare delle nuove vigne, passando in poco tempo a 9 Ha vitati, poi a 10 Ha, per arrivare agli attuali 20 Ha, con uvaggi innovativi per la zona e utilizzando densità che superano anche le 8000 piante per ettaro. Attendemmo quattro anni per vinificare e altri due per presentare il nostro primo vino. Stentavamo a credere alle nostre capacità quando vedemmo il successo che quelle poche bottiglie avevano ottenuto e, giacché “l’appetito vien mangiando”, incominciammo a impegnarci sempre più nella professione di vignaiolo. Sono arrivati i primi successi internazionali e con i riconoscimenti si sono aperti nuovi mercati per i nostri vini e con loro abbiamo preso coscienza delle grandi potenzialità di questo terroir. Questo processo evolutivo personalmente mi ha coinvolto moltissimo, a tal punto che, guardandomi indietro, oggi mi sento una donna molto diversa da quella di pochi anni fa. Questa mia crescita personale ha investito tutte le componenti interne ed esterne del mio mondo; ho compreso, per esempio, il vero significato del rapporto epidermico che mio marito aveva con la campagna e l’ho ricercato anch’io in modo più completo, forse dandole anche un po’ più di amore rispetto a Virgilio. In questo lento, ma costante processo di crescita, ho preso confidenza con la vite, una pianta meravigliosa, fonte di vita; ed oggi posso dire di conoscerle tutte le mie viti, una per una, ed è fra quei filari che, a sera, quando tutti sono andati via, insieme ai miei cani trovo la quiete e la forza di continuare a sacrificarmi. Stando a contatto con la vite, con l’uva e con il vino, ho imparato cose importanti, fra cui le regole che interagiscono fra le mie conoscenze, la natura e il tempo. Oggi questa azienda è divenuta il mio scopo di vita, in essa mi sono rigenerata e con essa mi sono data nuovi obiettivi, anche se, tutto questo ha significato divenire, negli ultimi anni, una mamma un po’ distratta e una nonna a volte poco presente. Ma mia figlia comunque mi conosce e sa benissimo che senza tutto questo oggi non potrei più vivere, perché questo posto mi è entrato dentro in modo prepotente; forse sarà dovuto al fatto che sono vent’anni che mi sacrifico, qui, su questa terra, forse sarà perché ogni intervento strutturale mi ha visto protagonista; sarà o saranno altre mille cose, ma io a tutto questo non posso più rinunciare.


Rita Tua


TUA RITA Rita Tua

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Giusto di Notri IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

Giusto di Notri è un cru di uve selezionate provenienti dal vigneto omonimo posto in Loc. Notri, di proprietà dell’azienda agricola Tua Rita, posta sul territorio del comune di Suvereto, nella zona di produzione del Val di Cornia DOC.

Dopo la vendemmia, che avviene di solito a partire dalla fine di agosto e si protrae fino alla metà di settembre, si avvia la fermentazione alcolica che avviene separatamente per ogni tipo di uvaggio con un tempo operativo compreso fra i 4 e gli 8 giorni, alla temperatura di 26°C in recipienti termocondizionati di acciaio inox. Contemporaneamente si avvia anche la macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, si prolunga per altri 12-14 giorni e, sempre separatamente, i vini vengono messi a maturare in barriques di rovere francese, nuove e di secondo passaggio, dove vi rimangono per 16 mesi e dove nella prima fase effettuano la fermentazione malolattica. Durante il periodo d’invecchiamento il vino viene assemblato e il blend ottenuto, dopo un leggero filtraggio, è imbottigliato per un ulteriore affinamento di 6 mesi.

Tipologia dei terreni Il vigneto è posto su terreni che presentano una tessitura di medio impasto argilloso, con presenza di scheletro, a un’altitudine di 50 metri s.l.m. con un’esposizione a sudovest.

Uve impiegate Cabernet Sauvignon 65%, Merlot 30%, Cabernet Franc 5%

Sistema d’allevamento Cordone speronato

Prima annata

1992

Le migliori annate

1994 - 1999 Note

Il vino, che prende il nome dall’omonimo vigneto e dal nome di San Giusto, patrono di Suvereto, raggiunge la maturità solo dopo 5-6 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 6 e i 12 anni.

Densità di impianto 4500 ceppi per Ha per il Merlot e 8000 ceppi per Ha per Cabernet

Quantità prodotta 20000 bottiglie l’anno

Note organolettiche Il vino si presenta di un colore rosso rubino molto intenso, con dei profumi complessi e spiccate note di frutta rossa e di vaniglia. Al gusto è ben strutturato, con sapori di ciliegia; potente, presenta una buona tessitura tannica; al retrogusto è molto lungo e persistente.

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Redigaffi IGT Toscana Prima annata Zona di produzione

Tecniche di produzione

Redigaffi è una cuvée delle migliore uve di Merlot prodotte nei vigneti dell’azienda agricola Tua Rita, posta sul territorio del comune di Suvereto nella zona di produzione del Val di Cornia DOC.

Dopo la vendemmia, che di solito avviene alla fine di agosto ai primi di settembre, si avvia la fermentazione alcolica che si protrae fra i 4 e i 6 giorni alla temperatura di 26°C in piccoli recipienti termocondizionati di acciaio inox. Contemporaneamente si avvia anche la macerazione sulle bucce che, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, prosegue per altri 18-20 giorni. Terminata questa fase, ogni parcella, senza alcuna chiarifica, viene messa in barriques di rovere francese nuove, nelle quali si conclude la fermentazione malolattica, e dove vi rimane per 16 mesi prima che venga effettuato l’assemblaggio. Terminato l’invecchiamento, il vino subisce un leggero affinamento in tini d’acciaio prima di essere imbottigliato per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 6 mesi.

Tipologia dei terreni I vigneti sono posti su terreni che presentano una tessitura di medio impasto argilloso, con presenza di scheletro, a un’altitudine di 60 metri s.l.m. con un’esposizione a sudovest.

Uve impiegate Merlot 100%

Sistema d’allevamento Cordone speronato

Densità di impianto 4500 ceppi per Ha

Quantità prodotta 5000 bottiglie l’anno

Note organolettiche Di colore rosso rubino intenso tendente al granato, il vino si presenta con dei profumi ampi e avvolgenti con note di frutti di bosco maturi. Al palato risulta armonioso, avvolgente; di grande morbidezza ha un retrogusto molto persistente.

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1994

Le migliori annate

1997 - 1999 Note

Redigaffi, che prende il nome da un piccolo torrente che scorre vicino alla proprietà, raggiunge la maturità solo dopo 4-5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 10 anni.

L’azienda L’azienda agricola Tua Rita si estende su una superficie complessiva di 24 Ha: 22 vitati, di cui 16 attualmente in produzione. Il restante territorio vede la presenza di boschi e colture promiscue. Collabora come consulente esterno l’enologo Stefano Chioccioli.

Altri vini I Rossi: Perlato del Bosco (Sangiovese 100%)



Varràmista Una donna che è nata in America, da genitori italiani, avrebbe potuto trovare

qualche difficoltà a coniugare la cultura formativa del mondo esterno con quella che le veniva fornita all’interno del nucleo familiare. Per me non è stato così, anzi, tutto mi è stato d’aiuto e ha contribuito alla mia crescita, fino al punto di consentirmi di fare un distinguo importante fra le diverse agenzie di socializzazione che hanno interagito nella mia formazione scegliendo ciò che di meglio ognuna di loro mi offriva, disinteressandomi di quale fosse la lingua con la quale loro cercavano di comunicare con me. Posso assicurare che non è stato facile coniugare due culture così diverse e due concetti così contrapposti di interpretare le priorità della vita. Da una parte il rapporto preciso e puntiglioso con il mondo del lavoro, con la scuola, con la concretezza delle cose, con la semplicità di pochi, ma solidi principi e con il forte e radicato senso di vivere in una grande nazione, dall’altra parte il gusto, la creatività, il piacere, il senso estetico di libertà di una cultura millenaria che fornisce una maggiore apertura al mondo e all’arte. Una cultura bipolare che ha coinvolto due sfere ben distinte del mio pensiero, entrambe estremamente affascinanti. È in questo spirito formativo, quasi “ellenistico”, che sono cresciuta e ho mosso i primi passi nella vita, con la giusta rigidità e con l’attenzione necessaria per valutare e dare il suo peso ad ogni cosa che mi circonda. Elementi contrastanti, forti, che hanno preso spunto da un’importante tradizione di famiglia, di cui sono fiera, da fatti dolorosi e da altri gioiosi; input che sono arrivati nella mia vita prendendo mille strade diverse, certe volte sotto forma di fulmini o di piacevole pioggerellina, altre volte come splendide giornate di sole con cieli tersi e sereni. Ho sempre avuto a disposizione una scuola che non ha mai chiuso, un cantiere formativo sempre aperto al quale potevo attingere e al mio fianco ho avuto docenti unici come mia madre che, oltre alla sua indiscussa signorilità e classe, mi ha fatto crescere più con l’esempio della sua rigida concretezza che con

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le parole, oppure mio fratello “Giovannino” con il suo grande amore per la vita che lo ha abbandonato troppo presto, e mia nonna, che mi ha trasmesso la passione per gli animali e in special modo quella per i cavalli, attraverso la quale non solo ho imparato a stare in sella, ma ho anche compreso quanto fosse importante affrontare le sfide della vita, che io continuo a non amare molto, sfide che si possono nascondere anche in un semplice ostacolo che deve essere saltato a cavallo. Tutto è servito e tutto è stato un connubio perfetto, un intreccio che mi fa sentire oggi una fortunata e curiosa cittadina del mondo. Credo che in tutto questo abbia giocato un ruolo importante anche l’esperienza del college e la scelta del ramo di studi che mi ha consentito di laurearmi in storia dell’arte; un percorso scolastico che ha contribuito ad accrescere la mia sensibilità e la mia passione per tutto ciò che è “bello”, a partire proprio dal mondo degli animali che amo moltissimo. Sono stati questi importanti e forti segnali che mi hanno permesso di diventare ciò che sono: curiosa cosmopolita che si apre al mondo e si chiude nelle sue solitarie passeggiate a cavallo. Una ragazza semplice a cui piace ancora sognare, che sa stare in mezzo alla gente, ma ama la solitudine, che è fedele agli amici e contemporaneamente cerca di imparare il duro e crudo mondo del business. Forse sono stati i molteplici segnali che mi hanno posto davanti alla concretezza di una vita spigolosa e difficile da accettare, oppure possono essere stati i piacevoli momenti nei quali ho saputo assaporare la dolcezza d’animo di alcune persone che mi hanno trasmesso il senso dell’amore, dell’amicizia e della riservatezza, fino a farmi maturare. Francamente non so quale dei due mondi abbia influito maggiormente per farmi diventare ciò che sono; so soltanto che oggi ho trovato un equilibrio perfetto fra il mio sentirmi molto americana quando sono in Italia e il sentirmi molto italiana quando sono in America e questo mi piace.


Chiara Visconti di Modrone


VARRÀMISTA

Chiara Visconti di Modrone

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Varràmista IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

Il vino è un blend delle migliori uve Syrah e Merlot provenienti dai vigneti di proprietà dell’azienda, posti nel comune di Montopoli Val d’Arno, che hanno viti con un’età media di 11 anni.

Dopo la vendemmia, che avviene di solito tra l’ultima decade di settembre e la prima decade di ottobre, si avvia la fermentazione alcolica che si protrae per 10 giorni ad una temperatura massima che non supera mai i 32°C in tini di acciaio da 40 Hl, coadiuvata da tecniche di délestage; completata la fermentazione alcolica, i vini rimangono ancora per 5 giorni in macerazione sulle bucce a temperatura controllata. Terminata questa fase e dopo la svinatura, i vini vengono posti in barrique di rovere francese della capienza di 225 litri, per metà nuove e per metà di secondo passaggio, in cui effettuano la fermentazione malolattica e rimangono 15 mesi per la maturazione. In seguito vengono assemblate le varie partite ed il vino è imbottigliato per un ulteriore affinamento che prosegue per 12 mesi prima della commercializzazione.

Tipologia dei terreni I vigneti si trovano su terreni composti da sabbie e argille plioceniche con intercalazioni di lenti di ghiaia marina, ad un’altitudine di circa 70-80 metri s.l.m. con esposizione a sud/sud-ovest.

Uve impiegate Syrah 90%, Merlot 10%

Sistema d’allevamento Cordone speronato

Densità di impianto 5000-8000 ceppi per Ha

Quantità prodotta 13000 bottiglie l’anno

Note organolettiche Il vino si presenta all’esame visivo di un colore rosso rubino profondo con riflessi violacei; al naso offre profumi di confettura di frutta rossa cui si aggiungono note tostate e balsamiche. Al gusto è caldo, morbido, ben strutturato, di corpo, con tannini morbidi e vellutati; retrogusto lungo e persistente con ritorni di vaniglia e speziati al palato.

Prima annata

1995

Le migliori annate

1999 - 2000 - 2002 Note Il vino raggiunge la maturità dopo 4-5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 10 anni.

L’azienda Nel 1953 la Villa e le terre che facevano parte della tenuta furono acquistate da Enrico Piaggio, celebre ideatore del mitico scooter Vespa. Dal 1990 l’azienda è appartenuta a Giovanni Alberto Agnelli, che è stato il promotore dello sviluppo vitivinicolo e turistico-ricettivo. Dal 1997, anno della sua prematura scomparsa, ne è stata proprietaria la madre Antonella Bechi Piaggio duchessa Visconti di Modrone, quindi la sorella Donna Chiara Visconti di Modrone. L’azienda si estende su una superficie complessiva di 400 Ha, di cui 12 vitati, 97 dedicati alla coltivazione del grano e alla silvicoltura e il resto occupato da seminativi. Svolge le funzioni di agronomo e di enologo Federico Staderini.

Altri vini I Rossi: Frasca IGT Toscana (Sangiovese 60%, Syrah 20%, Merlot 20%)

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Vecchie Terre di Montefili C i sono quattro cipressi, qui a Montefili, che quando tira forte la tramontana disegnano sul terreno ombre che si rincorrono e ondeggiano in un dolce ballo ritmato dal sibilo, ora debole, ora acuto, del vento che scompiglia le loro fronde. È così che mi piace ricordare la mia casa tutte le volte che mi allontano da lei. È un dolce pensiero che mi riporta al cielo terso delle calde giornate estive vissute nell’attesa della vendemmia, ai momenti di quiete e tranquillità che trascorro in inverno nell’attesa che il vino maturi, e alle vigne, che in primavera vestendosi, o in autunno spogliandosi, mi scandiscono il tempo che passa. Ne sono passate di stagioni da quando venimmo per la prima volta a vedere queste vecchie terre. Era il lontano 1979, gli anni in cui il vino costava poco più di niente e tutto sembrava sconsigliare l’investimento nella vigna e nella terra; tutti mi ammonivano ad intraprendere la strada del vignaiolo, specialmente qui nel Chianti, che stava vivendo uno dei peggiori momenti che la storia vitivinicola italiana possa ricordare. Io, che devo riconoscermi il gran difetto di essere un tipo molto cocciuto, a cui sono sempre piaciute scommesse di questo genere, volli provare a soddisfare il mio gran desiderio di ritornare alla terra, l’elemento che, più d’ogni altro l’uomo, sente proprio. Avevo ancora vivo dentro di me il ricordo di quel meraviglioso contadino che era stato mio nonno Giacinto, che nelle estati, quando andavo a trovarlo nel Casentino, mi avvicinò prima alla terra, poi alla campagna e alla fine mi fece apprezzare il vino in modo totale. Credo in ogni caso che la mia scelta di acquistare le Vecchie Terre di Montefili non sia stata influenzata solo da queste reminescenze, forse la ragione vera è che avevo il desiderio d’imitare quei grandi vignaioli che con il loro vino rallegravano la mia tavola e avevo il desiderio di fare un vino in grado di stupire me e i miei amici. All’inizio l’area del Chianti non era una nostra prima scelta, mi sarebbe piaciuto produrre del Brunello, quel mitico vino che tante volte accompagnava le mie serate conviviali a Prato. La mia sede lavorativa però era molto distante da Montalcino, e sempre più mi convincevo che difficilmente avrei potuto coniugare gli impegni operativi dell’azienda pratese con la campagna ilcinese. Impossibilitato a dar sèguito a quel mio desiderio, mi orientai verso un territorio che fosse velocemente raggiungibile dalla fabbrica e che contemporanea-

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mente offrisse, anche se non nell’immediato, la possibilità di arrivare al mio obiettivo. Non cercavamo una casa per abitare, cercavamo un terreno dove piantare vigne, dove provare a costruire un sogno. Le Vecchie Terre di Montefili si prestavano a questo; i terreni hanno un’esposizione ottimale, la loro composizione geologica è ideale: tutto era perfetto, anche se quello che ci accingevamo ad acquistare versava in un totale stato d’abbandono. Firmare quel contratto, devo dire, richiese molto coraggio. Oggi sono fiero della mia scelta. Intorno a noi sono cambiate molte cose e il Chianti è ritornato attore principe dell’enologia mondiale. Ogni angolo di questo territorio pulsa d’iniziative e ingegno; qui ogni filare è messaggero del saper fare dei vignaioli chiantigiani. A Montefili c’erano due ettari di vigna, oggi ve ne sono 12 e tutti specializzati; c’era una casa diroccata e oggi c’è una splendida residenza di campagna che soddisfa a pieno le mie necessità familiari; non c’era la cantina e oggi ce n’è una attrezzata con la migliore tecnologia che il mercato possa offrire; non c’era la barriccaia ed oggi ce n’è una semplice, ma funzionale, e per noi essenziale; non si producevano dei grandi vini e oggi siamo presenti in molte parti del mondo a testimonianza che i nostri prodotti piacciono e hanno acquisito estimatori. Non è poco quello che abbiamo fatto in questi anni, ma forse il nostro più grande merito, ieri come oggi, è stato quello di non lasciarsi prendere dall’enfasi dei mercati, dallo scintillìo delle lucciole della globalizzazione che vuole tutti orientati verso i grandi vitigni internazionali. Abbiamo sempre sostenuto che la personalizzazione del terroir fosse l’unico elemento capace di creare le differenze fra produttore e produttore; abbiamo sempre creduto che fosse il Chianti il vino sul quale dovevamo puntare per renderci visibili, ma al contempo, in questi anni ho ritenuto che per dar voce al nostro Sangiovese, avevamo bisogno anche di coltivare vitigni in grado di esaltarlo. Ecco quindi i Supertuscans, ed ecco che, tramite loro e con loro, la tradizione si rinnova; ecco che il grande Sangiovese, uscito per anni sconfitto dal confronto internazionale, rientra prepotente alla ribalta e non importa se per far questo ha dovuto cambiare pelle, si è dovuto adattare o sposare con altri vitigni: la certezza è che si è esaltato e rinnovato, ritornando quell’elemento che da sempre ha saputo creare il distinguo fra noi e il resto del mondo.


Roccaldo Acuti


VECCHIE TERRE DI MONTEFILI Roccaldo Acuti

400


Bruno di Rocca IGT Colli della Toscana Centrale Zona di produzione

Tecniche di produzione

Bruno di Rocca è un vino ottenuto dalla selezione delle uve provenienti dai vigneti dalla tenuta Vecchie Terre di Montefili a Greve in Chianti.

Dopo la vendemmia, che avviene agli inizi di ottobre, si effettua la fermentazione alcolica degli uvaggi separatamente per ogni varietà che si protrae per 6-8 giorni alla temperatura di 30°C su lieviti, in piccoli contenitori termocondizionati di acciaio inox. La macerazione sulle bucce, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, prosegue per altri 12-14 giorni a 30°C. Terminata questa fase, i vini, senza alcuna chiarifica, effettuano la fermentazione malolattica in tini di acciaio inox prima di essere messi a maturare in barriques di Tronçais e Vosges nuove e di secondo passaggio, dove rimangono per 12 mesi. Durante questo periodo avviene l’assemblaggio delle partite. Terminato l’invecchiamento e dopo una breve sosta in tini di acciaio inox, il vino è imbottigliato, con un leggero filtraggio, per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 12 mesi.

Tipologia dei terreni I vigneti sono posti su terreni che sono pietrosi d’arenaria e pietraforte ed hanno una tessitura franco-calcarea ricca di scheletro in una zona ventilata e con escursioni termiche molto elevate, a un’altitudine di 450 metri s.l.m., con un’esposizione a sudovest.

Uve impiegate Cabernet Sauvignon 60%, Sangiovese 40%

Sistema d’allevamento Misto a guyot e cordone speronato

Densità di impianto

Prima annata

1983

Le migliori annate

1983 - 1985 - 1988 1990 - 1993 - 1995 1997 - 1999 - 2001 Note Vino che prende il nome dalla passione per il Brunello da parte del proprietario. Non avendo potuto produrlo direttamente, ecco la decisione di abbreviare l’ipotetico “Brunello di Roccaldo” in “Bruno di Rocca”. All’inizio della produzione le percentuali degli uvaggi, che tutt’oggi lo compongono, erano uguali. Il vino, che non è stato prodotto nell’annata 1984, raggiunge la maturità solo dopo 56 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 6 e i 12 anni.

5800 ceppi per Ha

Quantità prodotta 15000 bottiglie l’anno

Note organoletiche Di colore rosso rubino intenso e profondo, il vino si presenta con un profumo fine e complesso con note di vaniglia e frutti di bosco neri. Al gusto risulta rotondo, caldo, molto strutturato; al retrogusto risulta molto persistente e di grande armonia.

401


Anfiteatro IGT Colli della Toscana Centrale Zona di produzione

Tecniche di produzione

Anfiteatro è un vino ottenuto da un’attenta selezione delle uve provenienti dal vigneto omonimo della tenuta di Vecchie Terre di Montefili a Greve in Chianti.

Dopo la vendemmia, che avviene alla metà di ottobre, si effettua la fermentazione alcolica che si protrae per 6-8 giorni alla temperatura di 30°C, su lieviti, in recipienti termocondizionati di acciaio inox. La macerazione sulle bucce, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, prosegue per altri 12 giorni alla temperatura di 30°C. Terminata questa fase, il vino, senza alcuna chiarifica, effettua la fermentazione malolattica in tini di acciaio inox, prima di essere messo a maturare in barriques di Tronçais e Vosges nuove e di secondo passaggio, dove rimane per 12 mesi. Alla conclusione di questo periodo, dopo una breve sosta in tini di acciaio inox, nei quali avviene l’assemblaggio delle partite, con un leggero filtraggio, il vino è imbottigliato, per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 12 mesi in locali termocondizionati a 16,5°C con un’umidità del 65%.

Tipologia dei terreni I vigneti si trovano su terreni pietrosi d’arenarie e pietraforte che hanno una tessitura franco-calcarea, ricca di scheletro, in una zona ventilata e con escursioni termiche molto elevate, a un’altitudine di 450 metri s.l.m., con un’esposizione a sud-ovest.

Uve impiegate Sangiovese 100%

Sistema d’allevamento Misto a guyot e cordone speronato

Densità di impianto 5800 ceppi per Ha

Prima annata

1987

Le migliori annate

1987 - 1990 - 1993 - 1995 1998 - 1999 - 2000 Note Vino che prende il nome dall’omonimo vigneto che ha una forma ad anfiteatro. Il vino raggiunge la maturità solo dopo 6-7 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 7 e i 15 anni.

L’azienda L’azienda, di proprietà della famiglia Acuti dal 1979, ha una estensione complessiva di 18 Ha, di cui 12 dedicati alla viticoltura; il restante territorio vede la presenza di olivi e bosco. Collaborano in azienda l’agronomo Remigio Bordini e gli enologi Vittorio Fiore e Tommaso Paglione.

Quantità prodotta 12000 bottiglie l’anno

Altri vini

Note organolettiche

I Bianchi: Vigna Regis (Chardonnay 80%, Sauvignon blanc 15%, Traminer 5%)

Di colore rosso rubino intenso, il vino si presenta con sentori di piccoli frutti neri di bosco e di spezie. Al palato è asciutto, caldo e austero; di grande corpo e spessore, ha tannini equilibrati e di prolungata persistenza.

402

I Rossi: Chianti Classico DOCG (Sangiovese 100%)



Villa Cafaggio M i piace andare in bicicletta e in quel muovermi veloce sui pedali, che si rin-

corrono senza mai raggiungersi, trovo piacere e un fantastico e rigenerante momento che mi ricarica e mi dà energia per affrontare nuove e impegnative giornate di lavoro. Curvo su quel manubrio macino i chilometri che mi portano da Firenze a Panzano in Chianti e poi nuovamente a casa. Sembra quasi che la bicicletta sappia dove sto andando e ormai da sola sa quando deve girare o modificare i rapporti del cambio; sembra quasi che a ogni curva o salita comandi alle mie gambe, che corrono veloci e agili, la cadenza più idonea perché alla fine io possa sentire meno pesante la fatica nel concludere il solito e abituale giro. Trovo un fantastico relax in tutto questo, perché la ormai perfetta simbiosi che esiste fra me e la bicicletta mi lascia la mente sgombra e libera di poter pensare e fantasticare, concentrandomi su nuovi progetti, sulle iniziative da intraprendere in azienda o facendomi rammentare i ricordi di un tempo ormai passato pieno zeppo di figure, personaggi e aneddoti unici. Pedalare mi aiuta anche a far riaffiorare alla mente tutte quelle problematiche alle quali sono stato chiamato, impulsivamente, a rispondere e che forse richiedevano più attenzione, rendendomi conto a posteriori di non averne, forse, percepito completamente le sfumature. Quella sana fatica mi fa star bene e sfido chiunque a non provare le mie stesse sensazioni trovandosi a pedalare per queste terre di Toscana e in particolare per il Chianti, meraviglioso e unico. Strade asfaltate o rigorosamente e volutamente lasciate bianche e sterrate, che si inerpicano dolcemente a delineare i confini delle proprietà di un amico produttore o a squarciarne le terre, mentre altre ancora passano vicino a boschi o a vigneti di cui oggi ignoro i proprietari, ma che appartenevano a qualche conoscente che, ormai da troppo tempo, ha fatto perdere le sue tracce. Queste che mi corrono accanto sono terre che spesso cambiano padroni, passando di mano in mano; sono vigne poliedriche, quasi eclettiche, che nel tempo si sono adattate bene a confrontarsi con le altre culture che, calpestandole, hanno provato a dialogare con loro. Sono terre ormai avvezze a sentir parlar di rado il Toscano, mentre non si meravigliano più a sentir parlare forestiero e non si scompongono più di tanto della babele di lingue che qui si sente a ogni angolo di strada, in ogni trattoria o filare, anzi si compiacciono di ciò e si adoperano per coadiuvare quanti vogliono provare a interpretare il “loro vino” o una qualità della vita diversa rispetto a quella cui erano abituati prima di giungere qua, oppure desi-

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derano sperimentare una personale strada per un diverso approccio alla terra del “Chianti”. In silenzio le stesse si lasciano “accarezzare” e “acconciare” come vogliono i nuovi vignaioli e si lasciano “coccolare” o “vestire” come gli stessi desiderano, sapendo che la toscanità che esse rappresentano va oltre queste cose ed è talmente una cosa unica e irripetibile che alla fine tutti si orientano verso di essa per non sciupare ciò che hanno trovato. Pur avendo percorso per decenni queste strade e conoscendo ogni curva, albero o vigneto che ne delimitano i margini, mi rendo conto che faccio molta fatica ad avere una visione completa dei grandi mutamenti che sono avvenuti qui, nel mio Chianti, in questi ultimi trent’anni. Rispetto a quando sono arrivato nel 1973 per fare qui la mia prima vendemmia, posso assicurare che il Chianti è cambiato molto e in questo breve periodo ho visto una molteplicità di fatti: Baroni e Principi divenire contadini e contadini e mezzadri divenire Principi e Baroni del vino. Mio padre narrava che quando acquistò Cafaggio nel 1967, in seguito ai successi ottenuti come disegnatore di tessuti, la situazione e l’indigenza nella quale vivevano i mezzadri e i contadini del Chianti era inenarrabile e, passando davanti a qualche vecchia tenuta, rammentava quale fosse la situazione in cui gravavano le moltissime proprietà diventate successivamente il fiore all’occhiello di questo territorio. Spesso non perdeva occasione di ricordare quali fossero dei vigneti di tutta la zona e di come qui fosse rara la figura del vigneron, alla francese o alla piemontese. Nell’ascoltarlo tacevo, perché io stesso avevo assistito e partecipato al cambiamento che aveva coinvolto il mondo del vino e il mutamento che era arrivato con il benessere che aveva coinvolto ogni strato della filiera produttiva portando giovamento e una maggiore valorizzazione alla professione del vignaiolo. Rammento che ai primi vagiti e ai primi importanti segnali del radicale cambiamento economico furono in molti a dimenticare il loro passato, come se l’essere colpiti da un improvviso benessere avesse fatto disconoscere le loro origini e li avesse resi onnipotenti... La strada si inerpica un po’ e i pensieri si accavallano alla fatica di una sgambata in bicicletta; io, del resto, non ho mai lasciato la vigna e ancora oggi fra quei filari mi diverto a fare il contadino. No, non ho dimenticato quale sia stato il sacrificio per arrivare a consolidare ciò che è oggi Villa Cafaggio e per non scordarlo continuo a pedalare in bicicletta dove fatico e penso.


Stefano Farkas


VILLA CAFAGGIO Stefano Farkas

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San Martino IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

San Martino è prodotto dalla vinificazione delle uve Sangiovese provenienti dalle migliori particelle del vigneto omonimo, di proprietà dell’azienda, posto a Panzano in Chianti, nel comune di Greve in Chianti, le cui viti hanno un’età media di 10 anni. Può stupire se si pensa che il primo San Martino è stato prodotto nel 1985. Il motivo è nel reimpianto totale dei vigneti di Villa Cafaggio operato in tempi recenti, con sesti ad alta densità e con particolari selezioni clonali di Sangiovese.

Sangiovese 100%

Dopo la vendemmia, che avviene di solito a partire dalla seconda settimana di ottobre, si procede alla diraspapigiatura delle uve raccolte e il pigiato ottenuto si avvia alla fermentazione alcolica che si protrae per 7-10 giorni ad una temperatura che non supera mai i 30°C in recipienti di acciaio inox; contemporaneamente si procede anche alla macerazione sulle bucce che dura altri 1214 giorni durante la quale vengono effettuate frequenti délestage e follature. Terminata questa fase, il vino viene posto in barrique di rovere francese di Allier e Tronçais, di media tostatura a grana fine completamente nuove, dove effettua la fermentazione malolattica e in cui rimane per 18 mesi. Al termine della maturazione viene effettuato l’assemblaggio delle partite e il vino, dopo un breve periodo di stabilizzazione, è imbottigliato senza filtraggio per un ulteriore affinamento di altri 6 mesi prima della commercializzazione.

Sistema d’allevamento

Quantità prodotta

Controspalliera con potatura a cordone speronato

25000 bottiglie l’anno

Tipologia dei terreni Il vigneto, che si trova su terreni composti da galestro e alberese, è posizionato ad un’altitudine di circa 400 metri s.l.m. con esposizione a sud.

Uve impiegate

Note organolettiche Densità di impianto dai 5100 ceppi per Ha nei vecchi impianti ai 7142 ceppi per Ha in quelli più recenti

Dal colore rosso rubino intenso, il vino si presenta all’esame olfattivo con un bouquet di profumi molto complessi che spaziano dai sentori di frutti neri di sottobosco, alle note floreali di viola, fino a quelle speziate di liquirizia e cacao, chiudendo con piacevoli percezioni balsamiche. In bocca ha un’entratura calda, importante, da grande vino, con una fibra tannica morbida e nobile che conferisce grande struttura; risulta lungo e persistente al retrogusto.

Prima annata

1985

Le migliori annate

1985 - 1988 - 1993 - 1995 1997 - 1999 - 2000 - 2001 Note Il vino, che prende il nome dal toponimo della frazione in cui è ubicato il vigneto aziendale, raggiunge la maturità dopo 5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 5 e i 15 anni.

L’azienda La famiglia Farkas è proprietaria dell’azienda dal 1967; nel 1994 la famiglia Girelli è entrata in partnership con Stefano Farkas. Basilica Cafaggio è controllata dall’anno in corso dalla cantina trentina La Vis che intende continuare l’opera di ottimizzazione e sviluppo della qualità dei prodotti aziendali. L’azienda agricola si estende su una superficie complessiva di 70 Ha, di cui 32 vitati, 8 destinati all’olivicoltura e i restanti occupati da boschi e seminativi. Collabora in azienda, svolgendo le funzioni di agronomo e di enologo, Stefano Chioccioli.

Altri vini I Rossi: Chianti Classico DOCG (Sangiovese 100%) Chianti Classico Docg Riserva (Sangiovese 100%) Cortaccio IGT Rosso Toscana (Cabernet Sauvignon 100%)

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Villa La Selva C redimi, non è stato facile entrare quando il gioco era gia iniziato. Per caratte-

re avrei preferito entrare in squadra a “bocce ferme”, come si usa dire. Non è stato semplice prendere parte a una partita che altri hanno fortemente voluto giocare e nella quale tu sai che hanno dato il meglio di se stessi. È successo l’imponderabile, come se uno stesse serenamente seduto sulle gradinate a godersi lo spettacolo, quando improvvisamente è chiamato e invitato a scendere in campo e a giocare quella partita alla quale lui stava assistendo e pur sentendosi emotivamente coinvolto non sentiva proprio la necessità che tutto ciò accadesse! Nel tuo inconscio potevi supporre che un giorno potesse accadere, ma quel tempo sembrava lontanissimo dai tuoi pensieri. Ma succede e così ti guardi intorno e ti accorgi che tutti ti stanno osservando, sia quelli che giocano, sia quelli che erano seduti accanto a te e in quel momento incroci lo sguardo delle persone che hanno avuto sempre fiducia in te e anch’esse sperano in cuor loro che tu dia l’assenso alla tua partecipazione a quella sfida. Sai che non ti è stato dato molto tempo per decidere e quello che ti è stato concesso ti sembra poco, ma ti conosci, sai quanto vale il tuo orgoglio e la stima che hai di te stesso e conoscendoti bene sai che puoi farcela. Così, cautamente, attento a percepire qualsiasi suggerimento o consiglio da chi ne sa più di te, ti avvii a prendere il ruolo che ti hanno assegnato. Pur sapendo che tu stai partecipando a un gioco che non conosci e che si svolge in un habitat che non è quello abituale nel quale vivi e operi da una vita, ti mettono al centro, nel fulcro del gioco a dettare le geometrie e i piani futuri della squadra. È un gioco dove ci sono regole nuove e nel quale servono doti da grande sognatore, da osservatore attento delle nuvole, dell’acqua, del sole e del vento, da scrupoloso annotatore delle tradizioni, delle stagioni e della storia di quel campo dove si sta svolgendo la nuova partita della tua vita, e man mano che passa il tempo scopri che qui serve pazienza, cocciutaggine, passione e amore per la natura, doti che non sai in che quantità ti possono appartenere. No, non è stato facile comprendere i meccanismi che regolano e dettano i sincronismi del gioco, sia quelli visibili e concreti che sono riscontrabili da tutti sul “campo”, sia quelli fuori, dove il sottile legame del rispetto e della stima che si deve creare fra te e la squadra, fra te e il mercato, i media e il territorio va oltre qualsiasi previsione. Tutto diventa un filo sottile, quasi trasparente, ma forte come quello di una ragnatela che regge il vento e l’acqua, con cui giornalmente ti rapporti insieme al tuo agronomo, al tuo enologo e a tutti gli altri, dal primo all’ultimo dei tuoi collaboratori che svolgono quelle minuziose funzioni di

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cucitura fra il tempo e la vite che sanno creare il distinguo nel tuo vino. Per uno come me, che per vent’anni ha lavorato nell’azienda di ceramica, concepita, creata e gestita a mia immagine come se fosse un figlio, e con la quale ho acquisito giorno dopo giorno la mia vera formazione professionale ed ottenuto lusinghieri risultati e soddisfazioni, non è stato facile giostrare di fioretto con la natura e con dei progetti che non tenessero conto del domani, ma fossero proiettati in un futuro molto prossimo, quasi inimmaginabile per il dinamismo con il quale si muove oggi il mercato. Giocando, ho compreso che sono gli schemi mentali che sono diversi fra queste viti. Qui, su questo “campo” di gioco, si gioca una partita più complessa, che ho scoperto piano piano, estremamente affascinante e intrigante e che si vince solo se si riesce a comprendere la complessità dei particolari, quella minuziosa e maniacale attenzione che deve essere riposta su ogni cosa che viene svolta nell’arco di tutto l’anno, al fine di essere certi che quello che viene realizzato è il miglior vino che uno avrebbe potuto fare. Non è un gioco facile, come non è stato facile digerire di dover giocare la partita sapendo che il tuo più importante compagno di squadra, il tempo, risulta estremamente incontrollabile: difficile percepirne gli umori e gli spostamenti. Con l’esperienza che volenterosamente acquisisci, riesci a convivere con lui, anche se ti procura apprensioni e ti rendi conto che a lui non interessa minimamente cosa tu abbia impostato o quale migliore soluzione di gioco tu abbia approntato per ottenere il miglior risultato, a lui non interessa il quanto o il come tu ti sia prodigato per vincere la partita. Scopri che quel fattore x, l’imponderabile, l’elemento che può decidere le sorti positive o negative di tutto quello che tu insieme alla squadra hai impostato, ti lascia per notti insonne. I primi tempi, quando il sabato pomeriggio attraversavo i silenziosi filari di viti, mi domandavo spesso cosa mi avesse spinto a lasciare l’avviata fabbrica di ceramiche per venire a fare vino qui nell’aretino. Erano pensieri fugaci che trovavano la risposta non appena superavo la soglia di casa e incrociavo gli occhi di mia moglie Guya e rammentavo quanto fossero vere le parole di mio suocero Sergio Carpini, che, alla domanda di quale fosse lo stimolo che lo avesse spinto a lasciare il mondo della moda, rispondeva - l’amore -. Forse è per questo che ho deciso di provare a fare il vignaiolo e forse è per questo che sono riuscito a controllare il mio raziocinio e la mia concretezza estrema e a buttarmi anch’io in un sogno.


Guya Carpini - Marco Patrizi


VILLA LA SELVA Marco Patrizi

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SELVAMAGGIO

IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

Selvamaggio è un vino ottenuto dalla selezione delle uve provenienti dalla vigna Solata di proprietà dell’Azienda Villa La Selva a Montebenichi nella zona collinare a sud del Comune di Bucine (AR).

Cordone speronato orizzontale

Dopo la vendemmia, che inizia nella seconda decade di ottobre, si effettua la fermentazione alcolica che si protrae per 4-6 giorni alla temperatura di 26-28°C in recipienti termocondizionati di acciaio inox. La macerazione sulle bucce, coadiuvata da tecniche di délestage e follatura, prosegue invece per altri 16-18 giorni sempre a temperature controllate comprese fra i 26 e i 28°C. Terminata questa fase, il vino, senza alcuna chiarifica, effettua la fermentazione malolattica in barriques di rovere francese, nuove e di secondo passaggio, dove vi rimane per 18 mesi. Trascorso questo periodo, durante il quale si è effettuato l’assemblaggio delle partite, il vino, dopo una breve sosta in tini di acciaio inox, è imbottigliato per un ulteriore affinamento che prosegue per altri 12 mesi.

Densità di impianto

Quantità prodotta

10000 ceppi per Ha

45000 bottiglie l’anno

Tipologia dei terreni I terreni che ospitano il Cabernet Sauvignon hanno caratteristiche morfologiche che variano con un’alternanza di arenarie quarzoso-felospatiche gradate con siltiti e argilliti scistose e si trovano a un’altitudine di 360 metri s.l.m., con un’esposizione a ovest.

Uve impiegate Cabernet Sauvignon 100%

Sistema d’allevamento

Prima annata

1987

Le migliori annate

1987 - 1990 - 1995 1997 - 2000 - 2001 Note Il nome del vino deriva dalla piccola chiesa di S. Maria in Selvamaggio, che si trova nell’azienda. L’età media delle viti è compresa fra i 6 e i 20 anni. Il vino raggiunge la maturità solo dopo 5-6 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione è compreso fra i 6 e i 15 anni.

L’azienda L’azienda di proprietà di Guya e Marco Patrizi, si estende su una superficie di 100 Ha, di cui 27 destinati alla viticoltura. Nell’azienda è presente una struttura agrituristica. Collaborano con l’azienda l’agronomo Marco Pierucci e l’enologo Stefano Chioccioli.

Note organolettiche Il vino si presenta di un colore rosso rubino molto scuro e il profumo è intenso con delle note vegetali di peperone che con l’invecchiamento si trasformano in frutti di bosco maturi. Al palato risulta complesso, armonioso, pur evidenziando la presenza di tannini che sono morbidi e in equilibrio con gli estratti; al retrogusto è lungo e persistente.

Altri vini I Rossi: Felciaia (Sangiovese 100%) Merlo Rosso (Sangiovese 50%, Cabernet Sauvignon 50%) Vin Santo Vigna del Papa (Malvasia e Trebbiano)

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Villa Vignamaggio La mia famiglia ha sempre avuto un forte legame con la terra; sia mio padre,

sia i miei nonni che i miei bisnonni erano molto legati all’agricoltura nel salernitano. Per noi Nunziante, che da cinque generazioni perpetuiamo la tradizione di famiglia nella professione d’avvocato, quella di dedicarsi alla terra non è mai stata la principale attività, ma quasi una seconda occupazione, nella quale era tuttavia rigorosamente impossibile guadagnare e dove il contatto con la terra è vissuto da sempre più come una passione e un diletto, un momento di distacco dal mondo contingente, che come un mestiere vero e proprio. Dunque, anche Vignamaggio è per me un po’ come un’arte che non è mai divenuta un lavoro, poiché la mia professione è, ancora oggi, quella dell’avvocato nei miei studi di Roma e Milano. Devo l’incontro con Vignamaggio ad un amico, che, alla metà degli anni Ottanta, conoscendo quale entourage professionale avessi, m’invitò a visitare la tenuta e la villa che erano in vendita, in quanto avrebbero potuto interessare qualche mio cliente; ne rimasi incantato e finii per acquistarla io. Non mi intendevo di vino, la mia era solo una passione per la campagna perpetuata fin da quando ero ragazzo. In quei momenti pensai che quando la professione mi avrebbe consentito di condurre una vita meno stressante sarebbe stato bello rifugiarsi fra queste meravigliose colline toscane. Coinvolto da questi miei ragionamenti e dall’energia che questo luogo ha sempre sprigionato, mi accostai alla trattativa per l’acquisto della tenuta con la passione di un collezionista, più che con la furbizia di un commerciante e forse fu proprio per questo motivo che fui preferito ad altri dal precedente proprietario. A quei tempi, la tenuta di Vignamaggio era estesa poco più di 160 ettari, di cui 21 a vigneto ed io, conoscendo poco dell’argomento, mi appoggiai ad un enologo, Franco Bernabei, che fin dall’inizio mi aiutò e m’incoraggio molto. Fu proprio lui, tra l’altro, che scoprì che nella vigna crescevano vecchi ceppi di Cabernet Sauvignon e di Cabernet Franc, giunti qui direttamente dalla Francia attraverso

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un amico del precedente proprietario, e sempre con lui iniziammo a vinificare questi uvaggi con nuove tecnologie e nuovi metodi, dei quali io sentivo parlare per la prima volta. Era un mondo a me sconosciuto, quello del vino, che man mano che si susseguivano le vendemmie, mi appassionava sempre di più. L’impianto di Vignamaggio è molto singolare, poiché la proprietà non è concepita come una semplice dimora, ma concettualmente si avvicina più alle antiche rocche, all’interno delle quali si sviluppava un’economia autarchica; infatti, qui a Vignamaggio, c’era la fornace per fare i mattoni e la cava di pietra serena, e si realizzavano prodotti manifatturieri di vario tipo, dalla produzione dei formaggi di capra alla filatura della lana, impiegata poi per fare gli abiti; tutto intorno vivevano nuclei familiari che, nelle loro varie funzioni, rendevano autosufficiente la comunità, che in tempi neanche molto lontani contava anche 100 persone, nell’insieme dei singoli poderi. Io rimasi incantato da questa quotidianità e vitalità che rendeva Vignamaggio unica ai miei occhi e, per quanto mi è stato possibile, ho cercato di preservare quel meraviglioso mondo rurale che vi trovai ancora attivo al mio arrivo. Ho quindi voluto rispettare il maggior numero di tradizioni onde far sì che Vignamaggio non fosse soltanto una villa, ma appunto una vera e propria animata fattoria, dove “i muri sono massicci e la sera si chiudono i portoni, dentro un mondo di cortili, scale, sottopassaggi, soffitte e ripostigli”. Mi piace pensare a questa casa così come la descrisse il conte Bino Sanminiatelli, poeta e scrittore vissuto a Vignamaggio, e anch’io, come lui, mi trovo spesso a constatare che a “primavera può accadere di vedere un cielo balordo a fondo bigio, col sole bacato che fa capolino mentre cadono goccioloni caldi e profumati accompagnati dalle voci dei merli”. Quando sono nel mio studio a Milano o a Roma porto dentro di me il ricordo di “terra” di Vignamaggio ed è così che vorrei che la immaginassero coloro che, anche a migliaia di chilometri di distanza, bevono i miei vini.


Gianni Nunziante


VILLA VIGNAMAGGIO Gianni Nunziante

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Wine Obsession IGT Toscana Zona di produzione

Tecniche di produzione

Wine Obsession è una cuvée di uve provenienti dai vigneti di proprietà della Villa Vignamaggio posta nella zona collinare a sud del Comune di Greve in Chianti, nell’area di produzione del Chianti Classico DOCG.

Dopo la vendemmia, che avviene per ogni uvaggio con tempi diversi a seconda della maturazione degli stessi, e che inizia di solito il 15 di settembre e si protrae fino al 15 di ottobre, si avvia la fermentazione alcolica che procede separatamente per ogni varietà e si protrae fra i 12 e i 15 giorni alla temperatura di 28°C in recipienti termocondizionati di acciaio inox. Contemporaneamente si procede anche alla macerazione sulle bucce che è coadiuvata da tecniche di délestage e follatura. Terminata questa fase, i vini, separatamente e senza alcuna chiarifica, effettuano la fermentazione malolattica in barriques di Allier nuove dove vi rimangono per 18-20 mesi effettuando 4-5 travasi. Al termine di questo periodo viene effettuato l’assemblaggio delle partite, dopo di che il vino è messo in bottiglia per un ulteriore affinamento che si protrae per altri 8 mesi.

Tipologia dei terreni I vigneti sono posti su terreni con tessitura di medio impasto, ricchi di scheletro a un’altitudine di 350 metri s.l.m. con un’esposizione a sud-ovest.

Uve impiegate Merlot 40%, Cabernet Sauvignon 30%, Syrah 30%. Le percentuali cambiano da annata a annata

Sistema d’allevamento Cordone speronato

Densità di impianto 5680 ceppi per Ha

Quantità prodotta 9-10000 bottiglie l’anno

Note organolettiche Il vino si presenta di un colore rosso rubino profondo con dei profumi complessi con note fruttate e speziate. Al gusto risulta ben strutturato, elegante, morbido, fine; al retrogusto è molto lungo e persistente.

Prima annata

1996

Le migliori annate

1997 - 1999 - 2000 - 2001 Note Il vino, che prende il nome dall’ossessione che hanno i vignaioli nella produzione dei loro vini, raggiunge la maturità solo dopo 4-5 anni dalla vendemmia e il plateau di maturazione dovrebbe essere compreso fra i 5 e i 12 anni.

L’azienda L’azienda agrituristica Villa Vignamaggio, di proprietà dell’avvocato Gianni Nunziante, si estende su una superficie complessiva di 150 Ha, di cui 32 vitati e 19 dedicati all’olivicoltura. Ulteriori 18 ettari sono condotti in affitto. Il restante territorio vede la presenza di boschi e di colture promiscue. Collaborano in azienda l’agronomo Francesco Naldi e l’enologo Giorgio Marone.

Altri vini I Rossi: Chianti Classico DOCG (Sangiovese 100%) Chianti Classico DOCG Terre di Prenzano (Sangiovese 100%) Chianti Classico DOCG Castello di Monna Lisa Riserva (Sangiovese 90%, altri vitigni consentiti 10%) Vignamaggio IGT (Cabernet Franc 100%) Il Morino IGT (Sangiovese 100%) Vin Santo (Malvasia del Chianti e Trebbiano Toscano)

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Finito di stampare nel mese di ottobre 2005 presso la Tap Grafiche S.p.A. Poggibonsi (SI)



II° edizione

Quando sono partito con questo progetto, io pensavo che la causa scatenante del fenomeno dei Supertuscans dovesse da me essere ricercata nella fervida mente di questi personaggi che avevano rivolto, doverosamente, da buoni vignaioli, le loro grandi potenzialità creative verso il loro vino, riuscendo a realizzare, nel corso di pochi decenni, prodotti unici, inimitabili, capaci di carpire l’attenzione degli amanti del buon bere di tutto il mondo. Io immaginavo tutti loro come dei grandi ricercatori e sperimentatori, alchimisti della vite e del vino, i quali, dopo aver percorso tutte le strade percorribili che istituzionalmente erano concesse loro dalle DOC e dalle DOCG, all’inizio degli anni Ottanta avevano ritenuto doveroso evolversi, attraverso le IGT, per cavalcare le nuove frontiere della conoscenza e della scienza ed entrare nella storia del futuro. Parlando con loro ho scoperto, invece, che i Supertuscans...


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