Fagiolo Dolica di Brancaleone

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CULTURA E SOCIETÀ

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I FRUTTI DIMENTICATI

A CURA DI ORLANDO SCULLI E ANTONINO SIGILLI

DOMENICA 03 MARZO 20

Fino alla fine degli anni ‘50 la varietà era dominante nel territorio di Brancaleone Superiore ma dopo che l’antico borgo si spense, non fu più coltivata se non sporadicamente e con il passare del tempo scomparve del tutto

Dolica di Brancaleone Phaseolus vulgaris L. Famiglia Papilionacee

La Dolica di Brancaleone, come tutte le altre doliche (gr.dolicos - lungo) rappresenta l’eredità del Mediterraneo antico ed è originaria dell’Africa, come il Fagiolo dell’Occhio, bianco dall’ilo nero, mentre il presente è tutto nero con l’ilo bianco. Fino a quando Brancaleone Superiore, non fu abbandonata completamente, cosa che avvenne alla fine degli anni 50 del 900, la varietà di fagiolo qui presentata era dominante nel territorio di Brancaleone stessa, specialmente lungo le aree ripariali del piccolo torrente Al-Talìa, ma dopo che l’antico borgo si spense, contemporaneamente essa non fu più coltivata se non sporadicamente da qualche persona anziana e con il passare del tempo scomparve del tutto dal suo territorio al pari delle persone che frattanto andarono via per sempre. Una decina di anni addietro ebbi modo di andare a trovare il pastore Giovanni Crea di Bruzzano e mi accorsi che la moglie preparava per essere cucinati i baccelli di una varietà di fagioli quasi identici a quelli dell’Occhio, ma neri con l’ilo bianco. Seppi che il marito aveva recuperato i semi di quel tipo di fagioli più di quarant’anni anni prima a Brancaleone Superiore e d’allora ogni anno li aveva coltivati perché erano molto produttivi. Allora chiesi alla signora dei semi ed ebbi solo un baccello secco che conteneva sei o sette semi maturi, che ripose sul cruscotto della sua macchina. Il baccello si aprì a un certo punto e dei sei o sette semi rimasero solo due, in quanto gli altri con il movimento della macchina scivolarono dentro l’abitacolo e non ci fu modo di recuperarli.

I due semi furono conservati per tutto l’inverno e in primavera furono posti in un vaso a germogliare, ma spuntò solamente una piantina che crebbe vigorosa e s’inerpicò sul filo dove venivano stesi i panni ad asciugare. Alla fine di maggio cominciò a emettere dei fiori bellissimi, di un tenero pervinca nel primo mattino, ma quando il sole cominciava a risalire nel cielo essi si richiudevano e solo due ore prima del tramonto essi si riaprivano, mostrando però un colore diverso, tendente al giallo tenue. Alla pianta fu riservata la massima cura per cui produsse adeguatamente e furono recuperati alla fine della stagione circa 120 semi. La primavera seguente furono donati metà dei semi alla dottoressa Luisa Palermo di Cosenza che coordina la distribuzione dei semi di piante calabresi in estinzione fra gli iscritti delle 5 Stelle del Met-Up di Cosenza ed ella consegnò ad alcuni pochi semi e le più attive risultarono la signora Paolina Cavalcanti di San Marco Argentano e la signora Maria Concetta Carnevale di San Lucido che con grande diligenza curarono le piante che spuntarono. Naturalmente furono consegnati altri semi, che ebbero ugual successo nella riproduzione mentre il gruppo cerca di migliorare il suo impegno alla ricerca di nuovi semi o nella riproduzione di piante in estinzione, guardando ad altre organizzazioni territoriali che ormai operano da anni, tra cui l’associazione Crocevia, che solo nel comparto dei semi autoctoni è arrivata ormai a centocinquanta semi appunto, avendo avuto come collaboratrice di punta Ivonne Piersanti , che da sola era stata capace di trovare nel Pollino più di 50 semi di piante in estinzione; Ivonne vive in Francia e le sue vacanze nella sua città, Cosenza, le trascorre alla ricerca di semi.

L’estate scorsa il dott. Fausto Jori, manager di punta della società di consulenza Reply, con sede a Milano, ha avuto i semi della Dolica di Brancaleone, della Rignunedu di Caulonia, del Poverello, del Lab-Lab, della Dolica di Palizzi, quelli della melanzana Verde di Bianco e della melanzana Zuccarigna di Ferruzzano. Egli si è infatuato della Calabria, oltre ad essersi innamorato di Roghudi, dove ha trovato un cagnolino abbandonato, chiamandolo proprio Roghudi, e ha comprato quasi quattro ettari a Cropani (CZ) e ha costituito un’associazione con altri professionisti del Catanzarese, tra cui l’avvocato Roberto Viscomi di Botricello, che si sta impegnando a comprare dei terreni abbandonati da coltivare con piante interessanti. Fausto Jori nel suo terreno di Cropani coltiva la melanzana in estinzione di Amantea e i suoi frutti li manda come prodotti biodinamici a Londra e Amburgo, mentre contemporaneamente coltiva anche la Stevia, le cui foglie sono utilizzate come dolcificanti naturali, molte volte più dolci dello zucchero, utilizzabili anche dai diabetici. Con queste piccole iniziative, se diventeranno generalizzate, si potranno sconfiggere i tentativi al momento vincenti delle multinazionali dei semi che è quello di privare i contadini dei propri semi tradizionali e che nel frattempo hanno messo le mani sui terreni più fertili dell’Africa e dell’America latina, mentre a esse si è aggiunta pericolosamente la Cina che ha comprato fette immense del Continente Nero; la prossima partita a livello planetario sarà quella dell’acqua e ricordiamo che quella degli acquedotti calabresi appartiene per buona parte alla società francese Veolia, a cui l’anno venduta gli amministratori calabresi.

Cento sfumature di grigio GUAI A CHI CREDE CHE IL GRIGIO SIA SOLO IL COLORE DELLA MALINCONIA. SE È VERO CHE NEL LINGUAGGIO COMUNE È SPESSO SINONIMO DI SPENTO, TRISTE, MEDIOCRE, IN REALTÀ IL GRIGIO PER LA SUA INNATA ELEGANZA E LA SUA VERSATILITÀ LO RENDONO UN PERFETTO COMPAGNO DI CASA, CAPACE DI ACCOMPAGNARSI AD ALTRI TONI E COLORI O DI ESPRIMERSI AUTONOMAMENTE MOSTRANDO IN SOLITARIA TUTTA LA SUA CLASSE PASQUALE GIURLEO PROBABILMENTE ARCHITETTO Il grigio? Ce lo ha dato la moda. Ma non gli Armani, gli Yamamoto, i Cardin e altri indiscussi maestri del mezzo tono. Neanche Christian Dior che lo scelse per facciata della sua boutique di Avenue Montaigne a Parigi. No, il più medio dei colori viene da molto più lontano. Addirittura dal fashion medievale. Che inventa letteralmente la parola e dunque la categoria del grigio. Il termine infatti entra nelle lingue romanze, e quindi anche in quella italiana, attraverso il commercio delle pellicce. Nel Medioevo con il termine grigio, derivante dal germanico grisi e dal francese gris, ci si riferiva al mantello di certi scoiattoli siberiani usato per confezionare gli abiti di dignitari e altri potenti. O, più tardi, alla pelle di alcuni orsi, come il grizzly, detto così proprio perché il suo pelo ricorda quelle parrucche di capelli grigi che in inglese si chiamano grizzle. Solo successivamente la parola grigio smette di essere semplicemente il colore di un animale per diventare un colore e basta. La concezione pittorica classica considera il grigio come un bianco sporco, quindi ottenuto aggiungendo al bianco quantità variabili di nero. Tuttavia, esistono altri grigi e altri metodi per ottenerli, mescolando i tre colori primari blu, rosso e giallo così come i moderni software ottengono i grigi miscelando i tre colori primari di stampa: ciano, magenta e giallo. Questo tipo di grigio, tutt'altro che neutro, può creare effetti di grande impatto visivo, nonché suscitare forti effetti sulla sfera psico-emotiva. In questo caso il grigio diviene il colore per eccellenza, il simbolo stesso del chiaroscuro. Con la parola grigio di fatto indichiamo l’infinita gamma delle variazioni

che stanno fra il bianco e il nero, i due non-colori assoluti, i poli opposti della scala cromatica. Esattamente come il bene e il male sono i poli opposti della scala morale. Nessuno di questi assoluti esiste veramente. Perché la vita, come le cose, non è mai perfettamente bianca o perfettamente nera, ma sempre grigia. Simbolo della mediazione dei contrari, emblema della coincidenza degli opposti, il grigio ha la capacità di

significare le cose più diverse, a seconda del suo tono, della luce e dell’oscurità che mescola. Si può dire che la realtà sia quel che Cartier Bresson diceva della fotografia. Un catalogo infinito di punti di grigio. Più o meno luminosi. Non a caso i mistici vedevano Dio non come una luce assoluta bensì come una nuvola grigio tempesta, un biancore opalescente, un fulgore tenebroso. Proprio

come la caligine divina che appare a Mosè sul monte Sinai. Anche il saio dei monaci in origine è grigio come la cenere a significare penitenza, contrizione, umiltà. Perfino quando a indossarlo sono degli autentici vip come il cappuccino François Leclerc du Tremblay, il potentissimo segretario del cardinale di Richelieu, soprannominato per questo l’eminenza grigia. Umiltà dunque, ma piena di orgoglio. Come quella di Cenerentola che, lo dice il nome stesso, vive nel grigiore della cenere, ma alla fine mette sotto tutti. Come la Julia Roberts di Pretty Woman. O come quella della Griselda boccaccesca, emblema immortale della moglie sottomessa, votata ad un destino plumbeo fin dal suo nome, che deriva appunto da gris, grigio. Dalle donne grigie delle fiabe agli uomini grigi della civiltà industriale. Il colore della medietà celebra il suo trionfo sociale a metà Ottocento quando diventa la divisa degli uomini d’affari, eminenze grigie del mondo borghese, avvolti nei loro completi di grisaglia. Il grigiore fatto tessuto appunto. È l’apoteosi dell’uomo medio, annullato dal Fumo di Londra che veste un ruolo più che una persona. Un po’ come il Tasmania che imperversa oggi più che mai nei palazzi del potere, confermandosi come colore centrista per antonomasia. Il colore del compromesso. Oggi il grigio domina nell’architettura, nello stile, nel design. Coprendosi di bagliori trionfali nell’alluminio degli edifici che illuminano il profilo delle città. Satinato come quello delle leghe leggere. O metallizzato come quello delle auto. Non è certo lo stesso tono delle città industriali annerite dal fumo e avvolte dalla nebbia, come la Londra di Charles Dickens o la Berlino di Walter Benjamin. Quello era un grigiore untuoso che pesava sulle cose e sulle anime. Quello di oggi è un metallo rampante, è il riflesso incerto del cielo alla soglia dell’alba e del tramonto nelle città.


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