Melo di giugno

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CULTURA E SOCIETÀ

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I FRUTTI DIMENTICATI

A CURA DI ORLANDO SCULLI E ANTONINO SIGILLI

DOMENICA 19 MARZO 20

Domenico Andrieri di San Giovanni in Fiore, esplorando per decenni in solitudine tutto l’altipiano silano, ha individuato centinaia di varietà di meli che saranno destinate a perire, in quanto le istituzioni calabresi sono rimaste indifferenti di fronte alla sua proposta di attuare dei campi di conservazione.

Melo di Giugno Pumu i Grasta o Maiatico Malus domestica Borkh

Il melo è una delle piante da frutto più diffuse al mondo, in quanto riesce a sopportare temperature proibitive per altre piante; infatti riesce a prosperare con temperature fino a 25 gradi sotto lo zero. Al contrario, in aree eccessivamente calde esso non riesce a produrre adeguatamente in quanto ha bisogno di freddo nel tempo opportuno (inverno) e di temperature fresche durante l’estate, date anche da una certa altitudine sul livello del mare. Si ritiene che esso sia originario dell’area del Caucaso anche se i Kazachi considerano la loro terra, il Kazakistan, come l’area dove si selezionò tale specie di pianta. Portano a conferma di ciò il fatto che nella loro patria esistono addirittura foreste di meli, con esemplari centenari o pluricentenari mai piantati da nessuno. Se la pianta del bene e del male del Paradiso terrestre, il cui frutto proibito assaggiarono Adamo ed Eva, è identificabile con il melo, si può ipotizzare che la diffusione di tale pianta nell’area adiacente al Mediterraneo, in oriente, fosse già conosciuta prima che fosse scritta la Bibbia, considerando che l’Eden, il paradiso terrestre appunto, di cui parla l’Antico Testamento, era posto secondo alcuni studiosi nella Mesopotamia, forse nel paese di Sumer, nell’attuale Iraq meridionale, a ridosso della confluenza del Tigri e dell’Eufrate, ossia nei pressi dello Shatt al -Arab. Ben presto il melo si diffuse in tutto il bacino del Mediterraneo, diventando una delle piante da frutto più importanti di tutta l’antichità assieme al fico, alla vite, al pero, al melograno, al castagno, al sorbo; erano famosissime in tutto il mondo ellenico le mele cidonie, di cui parlano diversi autori greci. Naturalmente numerosissime sono le varietà selezionate nel tempo, per cui ogni territorio vantava delle proprie e naturalmente anche la Calabria ne possedeva centinaia, se non addirittura migliaia, considerando che Domenico Andrieri di San Giovanni in Fiore, esplorando per decenni in

solitudine tutto l’altipiano silano, ha individuato centinaia di varietà di meli che saranno destinate a perire in quanto le istituzioni calabresi sono rimaste indifferenti di fronte alla sua proposta di attuare dei campi di conservazione. Tale concentrazione di varietà vi sono state radunate in molte centinaia di anni grazie anche al fatto che vi hanno trovato l’habitat naturale favorevolissimo, ma con l’impegno degli uomini a partire dai greci, poi dei romani, fino alle metà del ‘900, quando ancora le mele della Sila raggiungevano molti mercati di tutt’Italia. Dopo la metà degli anni ‘50 del ‘900 i mercati non vollero più le mele della

Sila e gli impianti deperirono per sempre. Domenico Andrieri portò avanti la sua battaglia disperata fino a quando una decina di anni addietro si ammalò gravemente e per sopravvivere ha bisogno di cure particolari, per cui di conseguenza i meli della Sila sono rimasti disperatamente soli, pronti ormai a soccombere. Gli altri territori calabresi non erano privi di varietà particolari, che si erano adattate al clima, anche caldo delle coste, per cui furono selezionate anche varietà estive, che solitamente venivano piantate nelle vigne oppure nei giardini mediterranei ossia gli agrumeti. Le varietà più diffuse nelle aree litoranee erano costituite da alcune che producevano delle mele medio-piccole dal colore verde deciso che a maturazione divenivano giallo sbiadito. Fino a quando mantenevano il colore verde, le mele erano croccanti, ma quando viravano al giallino divenivano pastose e morbide. Le varietà erano tre: le “Maiatiche” o di “grasta" (vaso da fiore), che cominciavano a maturare ai primi di giugno, quelle di luglio e infine le “agustariche” che maturavano in agosto. Nel gusto erano leggermente diverse, ma con una qualità discendente a partire dalle “Maiatiche”, fino raggiungere con le “Agustariche” una particolarità che le faceva somigliare un po' alle mele invernali. Nell’area di Locri esisteva ed esiste ancora sporadicamente una varietà di melo che matura i suoi frutti in agosto. Le mele prodotte sono colorate, metà rosse e metà gialle, dolci, che rimangono croccanti fino a un certo punto, ma alla fine di agosto diventano pastose e meno succose. Sicuramente anche in altre aree della Calabria esistono diverse varietà di mele estive, affini alle mele “Maiatiche” a quelle di luglio o alle “Agustariche”, ma bisogna ritrovarle, evidenziarle e tentare di salvarle, assieme ad altre, prima che si estinguano.

L’ordine mi inquieta PASQUALE GIURLEO PROBABILMENTE ARCHITETTO Mi piacciono le case con degli spazi quasi senza divisioni. Non userei il termine open space perché mi sembra un po' volgare, però in casa mia ci sono spazi molto condivisi con dei punti di connessione molto forti che mi affascinano. Se si vuole, sono dei punti di errore, quelli che io come architetto non sono riuscito a controllare. In fin dei conti, tutti i grandi maestri, quelli che ci hanno insegnato a sopravvivere in questo mondo, hanno sempre sostenuto la capacità di tenere sotto controllo gli errori (e sottolineato la diversità tra chi lo sa fare e chi no) o addirittura hanno sostenuto la capacità di convivere con gli errori senza tentare a tutti i costi di raggiungere una perfezione artificiale. Mi piace dunque l'idea che tecnicamente la mia casa sia da considerarsi imperfetta, perché l'apertura di una porta non è dove doveva essere, perché un corridoio misteriosamente svolta e sbuca in soggiorno, perché la sala da pranzo è senza pareti. lo da sempre ho una passione per gli scrittori che si concedono dei sillogismi o una modificazione di un verbo o che, in una frase, sbagliano volutamente un congiuntivo, ma si capisce al volo che non è per incapacità di scrivere. Per fare questo bisogna essere proprio bravi. Calvino, da questo punto di vista, è un grande, riusciva a scrivere delle cose straordinarie, raffinatissime e ogni tanto ci buttava dentro queste perle semantiche. Ecco, in questo stesso senso, posso dire che non sopporto le case catalogo, tutte belline, con il quadrello appoggiato per terra, come se fossero il set di un servizio fotografico. Il problema è che negli ultimi anni si è imposta prepotentemente questa immagine della casa perfezionata a tutti i costi, al punto da trasformare le abitazioni in miscele artificiali di oggetti e di culture, sovrapposte alla vita vera e alla cultura vera dei padroni di casa. Dimore spesso bellissime ma artificiali. In casa mia mi piacciono le parti non finite, non chiare, ho un posto dove disegnare sulla scala, e un posto dove leggere in silenzio, ho una stanza per ospitare gli amici che si vogliono appartare, tutto il restante spazio serve per fare l’amore. Mi piace un divano collocato di fronte alle finestre del terrazzo perché è in una posizione strana, sbagliata quasi, non classica. Mi piace una parete con una scatola di metallo molto grande al cui interno sono custodite delle ceramiche cinesi antiche, per vederle uno deve andarsele a cercare. I materiali sono i più disparati: alcuni molto

lisci come il pavimento in legno di quercia selvatica francese, non verniciato, solo trattato a olio insieme al vecchio pavimento di argilla quasi cruda, altri sono piu’ tattili come dei tappeti berberi molto pelosi. Oltre i pezzi cinesi molto antichi e dei pezzi di plastica di Sottsass, possiedo degli oggetti di design dei grandi maestri, come Le Corbusier, e una buona collezione di design scandinavo, un po' di tutto, un bel casino. La mia camera da letto è in realtà la libreria. Non voglio mettere i libri, che adoro, in una condizione di visibilità pubblica, sono un fatto privato. Chiaro, ho anche dei libri

seminati per casa, in un disordine forse maggiore del dovuto. Ecco, un'altra cosa che mi piace è il disordine, apparente, che ci deve essere in una casa, insomma non mi piacciono le case troppo disegnate, troppo pensate, finiscono sempre col diventare un incrocio tra una show room e un museo. Case magari bellissime, in cui puoi vivere qualche giorno o qualche ora, ma che non saranno mai la tua vera casa. Non credo alla casa finita chiavi in mano. Mi spaventa quella tutta nuova. Per poter riflettere te stesso una casa ha bisogno di tempo, di crescere con un ritmo naturale, anzi una vera non è mai finita,

evolve, cambia con te. Costruirsi una casa fa parte della vita, è una delle realizzazioni che a un dato punto della vita vuoi. Un upgrade della persona che sei diventato. lo prima facevo l'architetto, il designer, adesso scrivo e dipingo. Sono dei cambiamenti. La casa può essere il mezzo, l'espressione di un cambiamento, la materializzazione della luce che ricevi ed elabori e stai producendo, di tutto quello che ti succede di buono e si cristallizza. Costruiamo conchiglie che lasciamo in giro e che a volte diventano monumenti.


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