#6 Concorsi di Architettura

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CONCORSI DI ARCHITETTURA

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IUAV Luglio 2015

ArchitetturaAdesso è una pubblicazione di architettura che opera come organo indipendente a carattere critico. Ogni numero è diretto da un editore invitato.

EDITORIALE #6 Di Sebastián Moya

Architetto e Assistente alla docenza UDP. Socio, Huérfanos Arquitectos, Cile.

CONCORSI DI ARCHITETTURA: DIALOGO E OPPORTUNITÀ I concorsi di architettura sono parte del dialogo sociale: in essi interagiscono desideri, processi e risultati legati a interessi molto diversi. Come sistema, i concorsi possiedono detrattori e fanatici; come risultato, si muovono tra alti e bassi; in quanto a gestione, comportano più difficoltà che gli incarichi diretti e, come esercizi, molte volte vengono criticati i verdetti.

Per questa ragione i concorsi provocano controversie e alcune decisioni sono accolte malamente per poi essere accettate col tempo, mentre altre sono subito riconosciute dalla popolazione e vengono rifiutate in seguito.

COMMENTI

Lettori di ArchitetturaAdesso

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I concorsi di architettura sviluppano tematiche diverse con un obiettivo da raggiungere attraverso una proposta. Questo atto di organizzare e indire un concorso è di per sé un dialogo di opportunità tra le parti: organizzatori, partecipanti e beneficiari.

Il Dialogo. Il concorso di architettura nasce come risultato di un dialogo sociale, di un problema che richiede una soluzione, di una ricerca di opportunità da parte di alunni e neolaureati che vedono nel mercato una mancanza di opportunità. Molte volte è un’esigenza comune tra le parti, un pensiero che aleggia nell’aria e si concretizza con l’organizzazione di un concorso. Nel saggio di Jorge Heitmann della rivista ARQ 67 1 emerge che i risultati dei concorsi di architettura oggi dialogano sempre più con l’ambito politico e economico, nei quali le libertà progettuali vengono guardate di sottecchi davanti a questa contingenza. L’Opportunità. In questo scenario, è da ricordare che il ruolo dei concorsi non sempre riguarda la realizzazione del progetto vincitore: lo sviluppo dei bandi di idee è piuttosto un’occasione nella quale il dinamismo dell’universalmente accettato capitalismo e il dinamismo proprio della disciplina architettonica si incontrano in una pausa, un momento di riflessione in cui si pensano e si sviluppano un argomento teorico o un atteggiamento più o meno critico rispetto allo stato attuale dell’architettura; un momento in cui si vede nella proposta architettonica un’opportunità di tradurre questo dialogo sociale e valutarlo in condizioni di parità.

Jorge Heitmann, L’architettura come argomento DOGMA/OFFICE, Concorso per una nuova città amministrativa in Corea, Rivista ARQ 67, Concorsi di Architettura, Pontificia Universidad Católica de Chile 2007, p.64. 1

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Il concorso, a differenza degli incarichi diretti, permette la partecipazione di una serie di parti e attori intermedi che si frappongono tra l’architetto e il committente: elementi astratti di mediazione come il bando stesso, le basi di gara e le consulenze, la giuria, le proposte, il verdetto e tutto il lungo periplo che precede la realizzazione dell’opera. Tutti questi passaggi, nonostante siano aperti e trasparenti, formano parte di un’ideologia e aspirano a orientare l’opera verso un’utopia. Il concorso sottopone a giudizio e rende pubblico il desiderio sociale attraverso un prodotto.

Questo giudizio si origina da una necessità e si forma già in una tappa iniziale del processo, nella quale tale necessità si esplicita e la sua legittimità viene garantita dalla corrispondenza tra la proposta e le aspettative del giudizio pubblico; per questa ragione la relazione tra committente e architetto in un concorso si riduce a un gioco di poteri che si sviluppa in un contesto ideologico 1. È in questo modo che il sistema dei concorsi si fonda sulla tesi della convergenza dei fini, promuovendo un contesto culturale propizio affinché la gara assuma i significati che dialogicamente le corrispondono. La convergenza dei fini dovrebbe permettere di scegliere il miglior progetto, idea o prodotto e implica che il concorso funga da ponte tra le aspirazioni della collettività e le possibilità concrete della sua realizzazione, assicurando condizioni di parità tra i partecipanti, annullando o equilibrando capacità materiali, professionali e economiche, uniformando le risorse e facendo sì che “il merito domini sul privilegio” 2.

Il Concorso è anonimo, il che garantisce che la giuria prenda una decisione senza considerare l’esperienza dell’architetto, rappresentando, il concorso stesso, la speranza di uscire dall’anonimato o la conferma della propria qualità professionale, fatto che dà origine ad una cornice nuova e ampia di differenti interpretazioni che il committente riceve come possibilità.

Due circostanze proprie dell’architettura, segnala Fernando Pérez 3, fanno sì che il prestigio personale non sia garanzia certa di un risultato di qualità: una è la stretta relazione tra opera di architettura e contesto; l’altra – secondo Aristotele - è che le discipline artistiche “non producono soluzioni necessarie, ma piuttosto possibili”, cioè mirano sempre a generare nuove alternative. Il concorso cerca di “rincorrere il possibile”.

L’origine del concorso di architettura nasce dalla discussione intellettuale di un tema e favorisce una discussione libera e aperta, entrambe le quali costituiscono un’opportunità di dialogo. Quando si incentra un concorso sulla professionalità non sempre si progredisce, tranne quando si propone un concorso di idee, poiché si permette “che l’architettura e la cultura corrano e si sviluppino” 4 . Questa riflessione sui concorsi ha come obiettivo di intendere l’architettura come un processo culturale, dimenticato tra le varie urgenze, che implica una fase realizzativa e comunicativa nell’ambito di un quadro sociale volto a generare un contenuto che possa essere comunicato, poiché l’archiettura è responsabile della costruzione della relazione tra idee e realtà.

Jorge Morales Meneses Architetto, Pontificia Universidad Católica, Cile. Dottorato, Universitat Politècnica de Catalunya, Spagna. Accademico, Universidad Diego Portales, Cile.

Tema attuale: #ConcorsiDiArchitettura

“Nella maggior parte dei concorsi di architettura si esegue un’analisi ridotta degli aspetti fondamentali di un’idea architettonica, senza valutare l’esperienza e il rigore professionale della proposta. Per questa ragione il concorso risulta essere un’opportunità di rinnovamento disciplinare, specialmente quando si conclude con la realizzazione dell’opera. Solo in questo modo le nuove generazioni possono approfittare di una sorta di scorciatoia per lo sviluppo di progetti di rilievo che abbiano ripercussioni pubbliche. Una delle maggiori sfide sta nell’articolare quelle giovani idee nella complessa realtà della produzione di un progetto. Come assicurare le competenze tecniche e professionali necessarie a un progetto pubblico e, allo stesso tempo, preservare l’integrità autoriale di un gruppo vincitore composto di giovani?” (Pía Montealegre). Architetto, Master in Sviluppo Urbano. Dottoranda, Pontificia Universidad Católica, Cile. Docente, Facoltà Architettura, Arte e Disegno, Universidad Diego Portales, Cile.

“Noi architetti di solito pecchiamo di ostinazione. Sembra affascinante frugare negli ambiti di altre discipline. Cercare di sopravvivere in quei campi, con uno svantaggio spaventoso, contiene un paradosso: ci obbliga a “uscire allo scoperto”, prima di tutto, con la stessa spavalderia che, paradossalmente, ci aveva condotto a quelle incursioni extradisciplinari. Con l’obbligo di dare il massimo. La sfida creativa ci obbliga ad avventurarci nell’invenzione. Per questo esiste uno scenario privilegiato nei concorsi, soprattutto in quelli che si collocano su quel confine in cui ancora si può progettare con libertà, prima dell’inizio dei noiosi processi d’appalto e della catena produttiva. Agire in questo scenario richiede rafforzare il processo, includendo chi possiede i mezzi ma si trova privato dell’accesso fondamentale agli spazi per la creazione architettonica. Non sprechiamo l’opportunità di muovere massa critica con proposte che aprano il dibattito e smuovano i circuiti che subdolamente escludono la partecipazione. Sappiamo che sotto tutto questo vi sono una ricchezza superiore e una freschezza esplosiva”. (Francisco Romero ). Architetto, Candidato al Master Città e Territorio, Pontificia Universidad Católica di Valparaíso, Cile. Socio, Huérfanos Arquitectos.

Alberto Montealegre, in “Diritto, fini e mezzi. La declinazione del concorso di architettura”, Rivista ARQ N.67, Dicembre 2007, pp.67-68. 2 Montealegre, Alberto, op. cit., pp. 67-68. 3 Pérez, Fernando. DIETRO I CONCORSI, Rivista ARQ N.67, Dicembre 2007, p. 10. 4 Sabbagh, Juan, Rivista CA N°124, Aprile 2006, pp. 68-69. 1

“Se la finalità dei concorsi di architettura fosse far contenti i partecipanti, forse i musei, le gallerie d’arte (e i salotti degli architetti) mostrerebbero maggior interesse per la disciplina. Forse, sarebbe quello lo spazio in cui invitare al dialogo e, magari, l’architettura potrebbe finalmente varcare la soglia di quegli spazi in cui ha sempre desiderato entrare. Quei luoghi in cui le idee proposte nei concorsi di architettura si trasformano in oggetti di culto, capaci di trascendere il tempo attraverso l’espressione critica, la rappresentazione visionaria del territorio, delle città o dell’architettura stessa”. (Diego Vergara ). Architetto, Universidad de Chile, Cile. MArch Urban Design, University College of London, Regno Unito. .

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