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Filèmone e Bàuci

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Eco e Narciso

Eco e Narciso

Tanti e tanti anni fa, in uno sperduto villaggio dell’Asia Minore, vivevano sereni due arzilli vecchietti. Si chiamavano Filèmone e Bàuci. Benché fossero molto vecchi, continuavano a lavorare dal canto del gallo, la mattina, alla prima stella in cielo, la sera.

Filèmone, il marito, coltivava tutto curvo il campo. Bàuci, la moglie, curava le faccende di casa e si occupava dell’orto. Poi, naturalmente, c’era da zappare, potare, raccogliere legna per l’inverno… allora si davano una mano a vicenda.

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Sui visi rugosi spiccava sempre un dolce sorriso perché Filèmone e Bàuci si volevano bene ed erano, perciò, contenti della loro vita semplice e felice.

E ciò accadeva sulla Terra. Invece, nell’Olimpo, Zeus era sempre più infastidito dalle liti che scoppiavano di continuo fra gli dei. – Se non la smettete – aveva dichiarato a tutti loro – me ne vado.

Un bel giorno, non potendone più, se ne andò davvero. – Ci prendiamo una bella vacanza, Ermes – disse al figlio che l’accompagnava.

– Dove andiamo? – chiese Ermes, spalancando gli occhioni azzurri.

Zeus gli rispose con un sorriso.

Giunsero così, per caso, nel villaggio di Filèmone e Bàuci. Ormai si era fatta sera e i due dei crollavano dalla stanchezza: avevano preso le sembianze di due comuni mortali e, quindi, sentivano la fatica del lungo viaggio come tutti gli uomini. – Papà, chiediamo a qualcuno di ospitarci per la notte – suggerì Ermes.

Detto fatto, Zeus bussò alla porta di un ricco mercante di tappeti. – Chi siete? – chiese il padrone di casa in un tono tutt’altro che gentile.

Zeus rispose: – Siamo due creature stanche e affamate. Aiutaci, per favore. Abbiamo bisogno solo di un po’ di cibo e di un letto per la notte.

Il mercante li osservò attraverso uno spioncino e decise di cacciarli via: – Andatevene! Ce ne sono già fin troppi di vagabondi in giro. Proprio non vi voglio in casa mia! – Non siamo vagabondi! – gridò Zeus infuriato. – Siamo uomini come te e abbiamo fame e sonno.

Il mercante non si impietosì: – Andatevene o chiamo i servi.

Zeus stava già per incenerire la casa del mercante villano con uno dei suoi fulmini, ma Ermes glielo impedì: – Troveremo senz’altro qualcuno più gentile…

Ma nessuno volle accoglierli.

– Ora lo incenerisco, questo villaggio! – dichiarò Zeus. – E il figlio subito glielo proibì: – Ci penserai dopo a vendicarti. – Dopo cosa? – chiese Zeus. – Dopo che avremo trovato qualcosa da mettere sotto i denti e un posto dove abbandonarci al sonno – osservò Ermes.

Mentre parlava spinse lo sguardo verso la collina. C’era una sola casa, una casupola da quattro soldi, però il cortile era in ordine e una donnetta stava spingendo galline e caprette nella stalla. – Andiamo! – disse Ermes e in quattro falcate era già arrivato alla porta della casa di Filèmone e Bàuci.

Il sole tramontava in quel momento dietro la grande montagna. Sui prati passò la carezza del vento. Sbirciando attraverso la finestra, Zeus ed Ermes videro una lanterna accesa e Bàuci che, con un mestolo di legno, rimestava la zuppa per la cena. Bussarono.

Bàuci a passettini raggiunse la porta e l’aprì.

Disse la donna: – Siate i benvenuti, forestieri. Noi siamo poveri, ma mio marito e io faremo di tutto per aiutarvi.

Zeus rimase impalato sulla soglia per qualche istante. Non si aspettava un’accoglienza così calorosa. – Forza! Inizia a far freddo fuori – consigliò Filèmone, invitandoli con un gesto della mano a sedersi accanto al camino.

Bàuci aggiunse: – Certo dovete accontentarvi, siamo poveri, ma quel che abbiamo lo divideremo con voi volentieri.

Zeus, in piedi accanto al camino, si riscaldava mani e braccia. Ermes, invece, assaggiò con piacere il bicchiere di vino che Filèmone aveva messo in tavola.

– Scalda più del fuoco – disse il dio soddisfatto e bevve un altro sorso.

Bàuci portò un po’ di formaggio e del pane. – L’ho cotto stamani, prendetelo, non bevete a stomaco vuoto. Sembra leggero questo vino, ma dà alla testa.

Anche Zeus assaggiò il vino, accompagnandolo con il pane: – Mi sento meglio – disse con un grosso sospiro di soddisfazione.

Filèmone e Bàuci risero contenti. Avevano temuto di far brutta figura con gli ospiti inattesi. Pensavano, i vecchietti, che la casa fosse troppo misera per accogliere degli sconosciuti. Invece, Zeus ed Ermes ridevano e mangiavano di gusto i legumi e le uova, tolti dalla pentola sul fuoco. Poi ci furono anche i fichi secchi.

Molte parole volarono da un lato all’altro della tavola. Il fuoco scoppiettava e l’ombra della lanterna si piegava sul muro.

Zeus scuoteva la testa, continuando a ripetere: – Ci vuole una bella punizione, gli abitanti di questo villaggio non sono stati gentili come voi.

Filèmone e Bàuci strizzavano gli occhietti e assentiva-

no con il capo. Erano convinti che lo straniero fosse un po’ brillo. Si lanciavano occhiate, ridevano come due monelli che avevano combinato qualche guaio.

Zeus li trascinò fuori. – Oooh! – esclamarono Filèmone e Bàuci. Erano abituati alla bellezza della notte. Ma mai, come in quel momento, il cielo era stato così fitto di stelle. Mai come in quella notte, là oltre le colline, il mare aveva mormorato la sua dolce canzone. Frusciavano le foglie degli ulivi illuminati dalla luna. La quiete regnava nel villaggio.

– Voltatevi e chiudete gli occhi – ordinò il potente Zeus.

Filèmone e Bàuci fecero come aveva comandato.

Si udì un boato spaventoso e fu come se mille e mille cascate si fossero riversate sulla piana, dove stava il villaggio.

Quando si volsero, Filèmone e Bàuci videro un lago maestoso. Là dove prima era il villaggio ora l’acqua s’increspava e rifletteva lo scintillio del cielo stellato.

Filèmone e Bàuci tremavano, ma non per il freddo. – Non temete – disse Zeus – a voi non capiterà nulla.

Benché rassicurati, i due non smisero di tremare. – Guardate – li invitò Zeus, indicando la loro casa. – Oooh! – fecero e si inginocchiarono mentre quella che era stata una catapecchia si trasformava in uno splendido tempio di marmo con statue d’oro puro. – Avrete capito – disse allora Zeus – che sono un dio – e chiese ai due vecchi di esprimere un desiderio.

Prese la parola Filèmone mentre posava un braccio attorno alle spalle di Bàuci. – Vorrei continuare a vivere qui, assieme a mia moglie potremmo diventare i custodi di questo magnifico tempio.

Bàuci lo interruppe: – Per quell’amore che ci ha unito tutta la vita, vorrei rimanere qui con mio marito fino agli ultimi istanti e anche oltre – sorrise mentre gli occhi le si inumidivano per la commozione.

Anche Zeus si commosse e li accontentò.

Una sera, tanti anni dopo, Filèmone e Bàuci ancora parlavano di quello straordinario incontro con Zeus ed Ermes. – Zeus manterrà la promessa e ci farà stare insieme in eterno? – chiese Bàuci, che si sentiva molto stanca.

La risposta alla domanda giunse inaspettata.

Le sue gambe si allungarono in radici e penetrarono giù giù nel terreno, mentre lo stesso succedeva a quelle di Filèmone. Poi furono le braccia a stendersi in rami. Molti rami ricoperti di foglie. Il busto di Filèmone divenne il tronco di una quercia, quello di Bàuci di un tiglio. E, come in vita spesso si erano abbracciati, anche come alberi non smisero di farlo: i rami delle due piante si intrecciarono così tanto che non si riusciva a distinguere dove iniziasse la quercia e dove finisse il tiglio.

•Rispondi.

• Chi sono i personaggi della storia? • Quali ruoli hanno gli dei? • Qual è il significato del mito? Che cosa vuol raccontare?

Filèmone e Bàuci hanno mostrato generosità nell’accogliere i loro ospiti. Nella tua realtà hai conosciuto episodi analoghi? Scrivi le tue riflessioni e confrontale con quelle dei tuoi compagni.

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