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Teti, Peleo e la guerra di Troia
from A spasso tra i Miti
Tanto tempo fa in Tessaglia, una zona montuosa della Grecia, esisteva una dea bellissima di nome Teti. Peleo, re della città di Ftia, se ne innamorò perdutamente anche se sapeva che molti avevano tentato invano di conquistarla.
I nobili principi che le avevano dichiarato eterno amore tornavano a casa scoraggiati, quindi raccontavano: – Mi sorrideva e io l’abbracciavo quando all’improvviso si è trasformata in un cinghiale; l’ho tenuta stretta e allora è diventata una sirena, poi un leone, un’aquila, un delfino e, infine, tra le mani avevo solo fiamme o limpida acqua.
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Era chiaro che Teti, figlia del vecchio Nereo, signore del mare, possedeva poteri straordinari.
Anche gli dei si erano invaghiti di lei, ma sia Zeus che Poseidone rinunciarono all’impresa di ottenerla in sposa, perché si diceva che il figlio da lei generato avrebbe procurato al padre grandi disgrazie. – Lasciamola a un mortale – decisero i due, brindando con un calice d’ambrosia, la bevanda degli dei.
Fu così che di tanti pretendenti rimase solo Peleo.
Su ordine di Zeus, Ermes, il messaggero degli dei, si recò
dal re tessalo e gli confidò: – C’è un solo modo per ottenere l’amore di Teti: devi tenerla stretta a te e non lasciarla mai, costi quel che costi!
Con in mente quel prezioso consiglio, l’eroico re lasciò Ftia, in cerca di Teti e finalmente la trovò intenta a raccogliere more e lamponi in un bosco. – Salve – le disse Peleo rimanendo in groppa al suo destriero. – Salve – rispose Teti sorridendogli. Fu cortese con lui perché gli aveva fatto una buona impressione: il re aveva degli splendidi occhi verdi e il corpo di un atleta. Poi era gentile, le parlava tenendosi a distanza, pronto ad andarsene a un suo cenno.
Quel giorno Peleo si fermò pochi minuti, mentre il seguente stette con lei mezz’ora.
Dopo una settimana iniziò a scendere da cavallo e a passeggiare per il pomeriggio intero. Le parlava a lungo, ma più che le parole erano gli sguardi che dicevano quanto fosse innamorato. Lei, comunque, sorrideva, chinava timida gli occhi, e non si pronunciava. Non gli diceva mai che avrebbe potuto volergli bene. Stava soprattutto attenta a non
lasciarsi avvicinare troppo. E Peleo badava a non insospettirla perché aveva architettato un piano, che avrebbe attuato presto.
Infatti, un mattino, allo scadere di sei mesi di assiduo corteggiamento, Peleo decise che era giunto il momento di tentare la sorte.
“Ora o mai più!” si disse e, mentre Teti coglieva un fiore, l’abbracciò forte forte.
Il gesto era stato così improvviso che Teti rimase sbalordita. Però si riprese subito e si trasformò in una tigre feroce. Ringhiava, graffiava l’aria con gli artigli, rizzava il pelo sulla schiena, lo frustava con la coda e gli sbavava in faccia.
Peleo la strinse ancora più forte.
Lo stupore di Teti crebbe a dismisura. Allora divenne fuoco ardente con l’intenzione di bruciarlo vivo.
Lasciò andare la presa il re? Nient’affatto, perché il suo amore lo bruciava più della fiamma. La dea spalancò gli occhi: nessuno mai si era rivelato così audace. Scelse di trasformarsi in uno zampillo d’acqua. Scivolavano via le gocce, ma il magico cerchio delle braccia di Peleo non si scioglieva. Alla fine, dopo tante trasformazioni, Teti si arrese e ridiventò la splendida ragazza che era e accettò l’amore di Peleo.
In seguito, Teti e Peleo decisero di celebrare le nozze sul Pelio, un monte vicino all’Olimpo, dove risiedevano gli dei. Fu così che quasi tutte le divinità parteciparono alle nozze.
Per l’occasione Dioniso, il dio del vino, arrivò su un cocchio dorato; quindi, giunse Ares con in dono uno scudo e splendide lance; poi comparvero Zeus, sua moglie Era e i figli: Artemide, Atena e Apollo con una lira. Il dio avrebbe allietato gli ospiti con la sua musica. Non mancarono all’appuntamento Efesto e Afrodite, la quale, come sempre, catturò gli sguardi per la sua bellezza. Demetra e la figlia Persefone, accompagnate da Ade, che aveva abbandonato per un giorno il regno dei morti, giunsero subito dopo.
Non fu invitato invece Elio, il dio Sole, perché doveva continuare a far risplendere il giorno. Anche Eris, la dea della discordia non fu convocata; certo, Teti e Peleo non desideravano che scoppiassero liti in quelle ore felici. Ed Eris decise di vendicarsi. Come osavano festeggiare senza di lei?
Mentre gli sposi e gli invitati banchettavano lieti, Eris si presentò avvolta da un nero mantello, con un’espressione tetra in
viso. Sul capo aveva una specie di corona che mandava sinistri bagliori. Li guardò tutti, uno a uno; intanto i corvi che aveva sulle spalle si misero a svolazzare per l’ampia sala.
Ci fu un mormorio fra i presenti: molti provarono un brivido di paura. Le ancelle scapparono rifugiandosi nelle cucine. Gli dei si scambiarono occhiate preoccupate. Poi, tutti trassero un sospiro di sollievo appena lei fece scintillare i denti aguzzi in una smorfia: – Cari Teti e Peleo, giungo qui da lontano per portarvi un
dono.
Non le staccavano gli occhi di dosso, gli dei. Erano piuttosto incuriositi perché le mani adunche di Eris non stringevano nulla. Dove era mai il regalo?
Avanzava adagio nella sala la dea della vendetta e sogghignava. Giunta di fronte alla tavola imbandita, infilò la destra in un’ampia tasca nascosta tra le pieghe del mantello, ne trasse… – Oh! – fecero tutti.
Eris aveva lanciato proprio davanti a Teti e Peleo un pomo d’oro, che sfolgorava ai raggi del sole. Eris li guardò con cattiveria e sparì. I corvi volarono via tra una colonna e l’altra. Un vento gelido s’insinuò nella sala. Peleo allora disse: – Dimentichiamo lo spiacevole incidente e riprendiamo i festeggiamenti, amici cari. Abbracciò Teti con trasporto. Apollo prese la cetra e cantò dolci melodie. Dato che ormai anche i dolci e la frutta erano stati gustati, qualcuno iniziò a danzare. Si danzava, dunque, si rideva, si mangiavano fichi ricoperti di miele, e si beveva molta
ambrosia.
Afrodite, d’un tratto, si sciolse dalle braccia di chi l’accompagnava nella danza. Si chinò sulla tavola del pranzo nuziale, accostò al viso il pomo d’oro, e lesse ad alta voce cosa c’era scritto sopra la mela dorata: – Alla più bella!
Naturalmente le coppie smisero di danzare e anche quelli che ancora sedevano a tavola si volsero verso la dea. Lei disse: – Ma, forse non è un dono per te, Teti! – Pare di sì – rispose la sposa e aggiunse: – Occorre che qualcuno decida chi è la più bella fra le presenti. Chi vuole farlo?
Zeus subito si fece da parte. Pensava, infatti: “Ci mancherebbe altro! Se non dovessi scegliere lei, mia moglie Era mi porterebbe il broncio per un’eternità”.
Apollo pose la cetra e uscì nel patio a piccoli passi.
“Fossi matto!” rifletteva, “Mai impegolarsi con le dee: sono capricciose e vendicative. Proprio non posso permettermi grane”.
Ares si limitò a dire che aveva bevuto troppo e gli girava la testa.
Le dee, nel frattempo, strillavano: – O vi decidete a scegliere oppure…
La velata minaccia pesava sul capo di Zeus come un macigno. Aggrottò le sopracciglia e si rivolse al suo vicino. – Che dobbiamo fare? – chiese a Dioniso che gli sedeva accanto, allegro come non mai. – Quante storie! – rispose Dioniso con la voce impastata sbattendo gli occhi per riuscire a focalizzare la sala. – Dividia-
mo il pomo in parti uguali e accontentiamole tutte.
Zeus soppesò nel palmo il pomo. – Mi spieghi come facciamo a tagliare questo pezzo d’oro? – gridò infuriato. – Calmati! – gli rispose l’altro. – Affidiamo l’incarico a un mortale e facciamola finita.
Afrodite, Era e Atena, che li avevano ascoltati attentamente, urlarono con gioia: – Accettiamo! Sarà un uomo comune a scegliere la più bella!
In fretta e furia Ermes venne inviato a Troia, presso la reggia di Priamo. – Non sarò io a decidere, ma mio figlio Paride – annunciò il re.
Dovete sapere che questo Paride era stato un bambino sfortunato: da piccolo il re Priamo l’aveva abbandonato in un bosco perché gli indovini di corte gli avevano predetto che grandi sciagure gli avrebbe recato quel bimbo.
In un primo tempo il re aveva pensato di farlo uccidere, ma poi si era limitato ad abbandonarlo. Paride era stato allattato da un’orsa e si era salvato. Come raggiunse la maggiore età, aveva potuto far ritorno alla reggia. Gli chiese, dunque, il padre: – Te la senti di impegnarti in un giudizio così difficile? Paride aveva superato prove ben più ardue: – Vengano le dee nei fitti boschi del monte Ida, là sceglierò la più bella – annunciò e se ne andò a caccia. Cantavano le allodole e mormoravano le acque del torrente. Afrodite, Atena ed Era si lisciavano i capelli e si
specchiavano nella corrente limpida.
Naturalmente ognuna di loro sosteneva che sarebbe stata lei la vincitrice di quella strana gara. Come videro Paride, gli corsero incontro. – Ti regalerò l’Asia intera con tutte le sue ricchezze, diventerai l’uomo più potente della Terra – disse Era. – Non ascoltarla! – la interruppe Atena. – Io farò di te l’uomo più saggio dell’universo.
Afrodite gli accarezzò il braccio e, lanciandogli un languido sorriso, gli mormorò all’orecchio: – Se scegli me, avrai la donna più bella del mondo: Elena di Sparta.
Le tre dee lo accerchiarono, facendogli mille moine e mille promesse, ma Paride, in cuor suo, aveva già deciso. Le ricchezze, l’intelligenza, la saggezza non l’interessavano. Lui desiderava la creatura più bella che esistesse sulla faccia della Terra e poco importava se era già sposata con Menelao, fratello di Agamennone, re di Sparta. Afrodite avrebbe mantenuto la parola e gliela avrebbe concessa.
Soppesava il pomo d’oro Paride, le dee lo guardavano incerte, ognuna credendo di essere la prescelta. Tutte e tre avevano un sorriso radioso sulle labbra. Il sole al tramonto colpì il pomo che si illuminò di un’aureola dorata. Paride lo lanciò. – Scelgo te, tu sei la più bella! – gridò mentre le dee levavano le braccia in alto.
Sui visi di Era e Atena si spense il sorriso. Paride aveva lanciato la mela d’oro ad Afrodite.
In seguito il principe troiano andò a Sparta ed Elena si innamorò di lui fino al punto di decidere di seguirlo a Troia. Ma i
Greci sostennero che la donna era stata rapita.
Era e Atena giurarono odio eterno a Paride e a tutti i Troiani. Furono ben contente quando Menelao, Agamennone e i principi greci decisero di vendicare il torto subìto, cioè il rapimento di Elena, con una guerra contro Troia.
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