L’AQUILA UNDICI ANNI FA
Girovagando tra i sentieri nel cuore del Molise il reportage di Antonio Giannini
Candele ai balconi nella notte del 6 aprile per ricordare le vittime del sisma del 2009
Anno XV - n 4 aprile 2020 -
IL SANNIO
anno 153 numero 4 aprile 202 0
RAFFAELLO
I GIARDINI INGLESI DELLA REGGIA
LA FAMIGLIA PASSAGUAI
Alla scoperta dei giardini che adornano la Reggia di Caserta, itinerari di indiscutibile ed eterna bellezza
Il 2 aprile ci lasciava Aldo Fabrizi attore, regista, produttore romano. Il Festival del Cinema Europeo ha annunciato il restauro del celebre film
primo piano
le novità della casa
IL RAGGIO VERDE EDIZIONI
Due libri ora in anche in versione e-book
ilraggioverdesrl.it
EDITORIALE
Raffaello, Autoritratto , 1506-1508, olio su tavola di pioppo, Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture Gabinetto fotografico delle Gallerie degli Uffizi Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo
Proprietà editoriale Il Raggio Verde S.r.l.
Non potevamo non celebrare l’eterno Raffaello in occasione dei cinquecento anni dalla morte che per ironia della sorte volle il fato accadesse nello stesso giorno del suo compleanno, strappando la sua giovane vita all’apice del successo: aveva 37 anni e ciò che fu Raffaello per i suoi contemporanei ben lo chiarisce l’epitaffio scritto dal cardinale Pietro Bembo. Morì in un venerdì Santo lasciando il mondo incredulo e la grande mostra realizzata alle Scuderie del Quirinale in collaborazione con le Gallerie degli Uffizi ripercorre la straordinaria parabola dell’Urbinate e, in tempi di Coronavirus, apre virtualmente le sale per far incontrare quest’artista geniale tra i protagonisti indiscussi del Rinascimento. E sarà una Pasqua, a dir poco surreale. Come le immagini dei carri militari colmi di bare diventati il simbolo della tragedia che il nostro Paese sta vivendo per una pandemia che ci ha catapultati come in un limbo, togliendoci ciò che fino a due mesi fa davamo per scontato. E c’è un’altra immagine che resterà nei libri di Storia ed è la figura di Papa Francesco che solo, in una uggiosa serata di marzo, attraversa una surreale piazza San Pietro desolatamente vuota immersa in un silenzio assordante interrotto dal suono delle sirene. E paradossalmente la vita in quarantena continua grazie ai media, la rete consente di tessere nuove relazioni, di rinsaldare vecchi legami e la tv ci consente di ottenere anche l’indulgenza plenaria... Che strano anno questo 2020, sono appena trascorsi poco più di tre mesi e ci ha rivoluzionato la vita, sconvolto le esistenze ma c’è da ritenersi fortunati se a differenza dei numeri stratosferici di chi purtroppo non c’è più il male minore è restare a casa. E magari questo tempo sospeso impieghiamolo per rincorrere i nostri sogni, leggere, scoprire le bellezze on line di un patrimonio invidiabile quanto unico. E magari troviamo anche la forza di sorridere, come ci suggerisce Maurizio Casagrande che in tempi record ha coinvolti tanti professionisti dello spettacolo e ha reinventato il testo della famosa canzone, Ma la notte no!, di Renzo Arbore che ci ha visto crescere e invecchiare. Ma la notte sì, deve passare, citando un altro grande attore, il mitico Eduardo de Filippo e #iorestoacasamo e sorridere è un atto di resistenza! (an.fu.)
SOMMARIO
Direttore responsabile Antonietta Fulvio progetto grafico Pierpaolo Gaballo
Luoghi|Eventi| Itinerari: Girovagando I ILa meraviglia dei Giardini inglesi della Reggia di Caserta 30 |Riti pasquali nel Salento 40 | La settimana Santa in Sicilia 56| Sannio passo dopo passo 98 | Salento segreto 118
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Arte: Raffaello 1520-1483 4
Redazione Antonietta Fulvio, Sara Di Caprio, Mario Cazzato, Nico Maggi, Giusy Petracca, Raffaele Polo
Hanno collaborato a questo numero: Dario Bottaro, Stefano Cambò, Mario Cazzato, Sara Di Caprio, Antonio Giannini, Fabio Iuliano, Sara Foti Sciavaliere, Dario Ferreri, Michele Piccinno, Raffaele Polo, Lara Savoia, Giacomo Vespo Redazione: via del Luppolo, 6 - 73100 Lecce e-mail: info@arteeluoghi.it www.arteeluoghi.it
Musica: #iorestoacasamo 24 Casagrande
La videocanzone di
I luoghi della parola: | I luoghi della Parola| Inno alla terra 16 | L’Aquila undici anni dopo 19 | Curiosar(t)e: Kopera 80 | Interventi letterari|I luoghi dello sport Ricordo di Gianni Mura 93 Cinema: | Il film restaurato La famiglia Passaguai 22 |I luoghi del cinema : Non ti muovere. Il Molise è una bellezza mozzafiato 108 Libri | Luoghi del sapere 89-92
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I luoghi nella rete|Interviste|Forte di Bard I 26 l concorso: Il mare in una stanza 55 | M come miele, il concorso 88 Numero 4- anno XV - aprile 2020
RAFFAELLO, ON LINE LA MOSTRA DEDICATA AL DIVIN PITTORE
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Le Scuderie del Quirinale aprono virtualmente le porte della mostra Raffaello 1520-1483
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Qui è quel Raffaello da cui, fin che visse, MadreNatura temette di essere superata da lui e quando morì temette di morire con lui
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Epigrafe sulla tomba nel Pantheon
ROMA. Chi l’avrebbe mai potuto immaginare che la più grande mostra ideata per celebrare i cinquecento anni della morte di Raffaello dovesse chiudere i battenti a pochi giorni dalla sua apertura. La diffusione del Coronavirus e il conseguente DPCM dell’ 8 marzo 2020 ha reso di fatto inaccessibile tutti i luoghi di cultura, ma le Scuderie del Quirinale hanno aperto virtualmente le loro sale. «In un momento così difficile, è importante che le istituzioni culturali facciano la propria parte e rendano accessibile a tutti l’arte di cui sono custodi. Le Scuderie del Quirinale rispondono a questa chiamata proponendo un palinsesto di attività online che, a partire dalla visita virtuale, permetterà di conoscere
e di ammirare la maestria di Raffaello e le tante opere riunite eccezionalmente in questa grandiosa esposizione» ha dichiarato Mario De Simoni, Presidente Ales – Scuderie del Quirinale. E grazie al video “Una passeggiata in mostra” on line sui canali social e sullo stesso sito delle Scuderie è stato svelato e reso così fruibile il percorso espositivo della mostra “Raffaello 1520-1483”. Un itinerario, suggerito già nel titolo, che è un vero e proprio viaggio a ritroso nel tempo. Da quel 6 aprile 1520 nella notte in cui Raffaello muore a Roma, la città cui deve la sua fama universale al 6 aprile 1483 che per una coincidenza del fato vede nascere il pittore ad Urbino
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Raffaello, Autoritratto , 1506-1508, olio su tavola di pioppo, Firenze, Gallerie degli Uffizi, Galleria delle Statue e delle Pitture Gabinetto fotografico delle Gallerie degli Uffizi - Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo
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Raffaello , La Madonna della Rosa, 1518-1520 olio su tavola trasportata su tela, Madrid, Museo Nacional del Prado © 2020. Copyright immagine Museo Nacional del Prado
il «venerdì santo, alle tre di notte, da un tale Giovanni de' Santi, pittore non meno eccellente, ma sì bene uomo di buono ingegno, e atto a indirizzare i figli per quella buona via, che a lui, per mala fortuna sua, non era stata mostrata nella sua bellissima gioventù» come riportato da Giorgio Vasari, ne “Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori” (Firenze 1568). Una scelta - lo spiega nel saggio la presidente del Comitato scientifico Sylvia Ferino-Pagden - nata da un’idea di Matteo Lafranconi, (curatore della mostra insieme a Marzia Faietti) di osare un avvio audace del percorso espositivo con una replica della tomba di Raffaello. Per volontà testamentaria l’Urbinate chiese di essere seppellito nel Pantheon dopo aver predisposto il restauro di un’edicola e affidato al suo fidato collaboratore Lorenzo Lotti detto Lorenzetto la realizzazione di una Madonna con il bambino, la cosiddetta Madonna del Sasso, prendendo a modello un’antica scultura di Afrodite, coerente fino alla fine al suo desiderio di vivere e morire all’antica. Come d’altro canto sottolinea l’epitaffio in latino scritto dal cardinale Pietro Bembo, parole che a distanza di cinquecento anni restituiscono il senso e la grandezza di Raffaello,
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Raffaello , Raffaello, Madonna Tempi,1507-1508, olio su tavola, Monaco, Bayerische Staatsgemäldesammlung Alte Pinakothek ©
tra i più grandi artisti del Rinascimento morto a soli 37 anni. La spettacolare riproduzione a grandezza naturale della monumentale tomba di Raffaello è stata commissionata alla Factum Foundation digital technology in Conservation, leader mondiale dei rilievi digitali legati alla conservazione del patrimonio. E davvero imponenti sono state le forze in campo per la realizzazione della mostra evento che ricordiamo vede la sinergia tra Scuderie del Quirinale e le Gallerie degli Uffizi e vanta la collaborazione di Galleria Borghese, Parco Archeologico del Colosseo e Musei Vaticani. La mostra mette insieme 204 opere, di cui 120 dello stesso Raffaello, tra dipinti e disegni provenienti dai più importanti musei e da collezioni nazionali ed internazionali: Gallerie Nazionali di Arte Antica, Pinacoteca Nazionale di Bologna, Museo e Real Bosco di Capodimonte, Galleria Borghese, Museo Archeologico Nazionale di Napoli, Fondazione Brescia Musei, e poi ancora Musei Vaticani, Louvre, National Gallery di Londra, Museo del Prado,
Museo Nacional de Artes decorativas di Madrid, Patrimonio Nacional, National Gallery of Art di Washington, Metropolitan Museum di New York, Albertina di Vienna, British Museum, Royal Collection, Ashmolean Museum di Oxford, Musée des BeauxArts di Lille. Una mostra che legge a 360 gradi l’intera attività progettuale di Raffaello che fu pittore, architetto e progettista, fecondo disegnatore (e in quanto tale destinato a fornire invenzioni per diversi
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manufatti), collezionista appassionato dell’antico, archeologo e, dal 1515, “praefectus marmorum et lapidum omnium”. Il legame con l’antico, filo rosso che attraversa tutta l’esposizione, è il tema centrale della sala due che trova nella lettera a Papa Leone X il suo punto nodale. La lettera scritta con l’amico fraterno Baldassare di Castiglione, poeta e prosatore, era allegata come prefazione alla raccolta di disegni degli edifici della Roma imperiale eseguita dal pittore su
Raffaello, Madonna con il Bambino e san Giovannino (Madonna d'Alba), 1510 circa, olio su tavola trasferito su tela , Washington, D.C., National Gallery of Art, Andrew W. Mellon Collection © National Gallery of Art, Washington
incarico del papa, cuore di un progetto imponente «una ricostruzione grafica “per regioni” della Roma antica; un’operazione di inedita ambizione culturale, avviata negli ultimi mesi di vita, che prometteva di diventare la base fondativa di un riscatto della gloria di Roma.» Di quella lettera riportiamo un breve stralcio: «Di qui l’obbligo di proteggere le antichità: “Non debe, adonque, Padre Santissimo, esser tra li ultimi pensieri di Vostra Santitate, lo haver cura che quello poco che resta di questa anticha madre de la gloria e grandezza italiana […] non sii estirpato e guasto dal-
li maligni et ignoranti; che, pur troppo, si sono insino a qui fatte iniurie a quelle anime che col suo sangue parturiro tanta gloria al mondo». Con la sua opera di studioso e conservatore del patrimonio archeologico di Roma antica, Raffaello gettò le basi della tutela e della conservazione dei beni culturali. In questa sala, dialogano virtualmente i protagonisti di quella lettera attraverso l’esposizione di tre capolavori di Raffaello: l’Autoritratto del pittore conservato al Museo de Louvre in cui si ritrae con un amico, Ritratto di papa Leone X con i cardinali Giulio de’ Medici e Luigi de’
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Raffaello, Ritratto di donna nei panni di Venere (“Fornarina”), 1519-1520 circa olio su tavola, Roma, Gallerie Nazionali d'Arte Antica di Roma, Barberini Gallerie Nazionali di Arte Antica, Roma (MIBACT) - Biblioteca Hertziana, Istituto Max Planck per la storia dell’arte/Enrico Fontolan
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Raffaello , Ritratto di Leone X tra i cardinali Giulio de’ Medici e Luigi de’ Rossi, 1518-1519, olio su tavola, Firenze, Gallerie degli Uffizi, Il restauro dell’opera è stato possibile grazie al sostegno di Lottomatica Holding Gabinetto fotografico delle Gallerie degli Uffizi Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo
Baldassarre Castiglione , Lettera a Leone X , 1519 Inchiostro su carta , Mantova, Archivio di Stato Archivio di Stato, Mantova / Per concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo
Rossi (presentato per la prima volta dopo un accuratissimo restauro a cura dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze) che da raffinato collezionista osserva un antico manoscritto miniato e il ritratto del grande prosatore Baldassare di Castiglione (1513, Parigi, musée du Louvre). Nelle teche oltre all’originale della Lettera, nel prezioso esemplare manoscritto dell’Archivio di Stato di Mantova, disegni, epigrafi, codici architettonici, strumenti di misurazione e la ricostruzione della pianta di Roma antica riprodotta grazie ad un’installazione multimediale curata da Alessandro Viscogliosi. La sala tre - intitolata il paragone con gli antichi - evidenzia come sia stato determi-
nante in Raffaello il confronto con l’arte classica, dagli anni della formazione ad Urbino e a Firenze fin quando giunse poi a Roma dove visse dal 1509 al 1520. Undici anni intensi e prolifici, durante i quali poté esprimere il suo talento in forme nuove e sperimentali che lo consacrarono al pari di Michelangelo il massimo artista del Rinascimento maturo. Qui perfezionò lo studio e il metodo della sua pittura la cui naturalezza, grazia e armonia gli valsero numerosissime commissioni. Attività a cui si aggiunsero gli scavi archeologici per portare alla luce le antiche vestigia urbane di Roma e la sovrintendenza al grandioso cantiere della Basilica di San Pietro.
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Raffaello , Santa Cecilia con i santi Paolo, Giovanni Evangelista, Agostino e Maria Maddalena (Estasi di Santa Cecilia) ante 1518 tavola trasportata su tela, Bologna, Polo Museale dell’Emilia Romagna, Pinacoteca Nazionale Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo, Polo Museale dell’Emilia Romagna
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Manifattura di Pieter van Aeist , Il Sacrificio di Lystra, 1517-1519, ordito: lana: Città del Vaticano, Musei Vaticani, Pinacoteca Vaticana, Salone di Raffaello Foto © Governatorato S. C. V. – Direzione dei Musei
L’itinerario, sala dopo sala, evidenzia tutti gli aspetti della poliedrica attività artistica di Raffaello. Le grandi committenze sotto Leone X, papa colto figlio di quel grande mecenate che era stato Lorenzo De’ Medici, sono illustrate nella sala quattro dove è possibile ammirare tra le opere Estasi di Santa Cecilia (Santa Cecilia con i santi Paolo, Giovanni Evangelista, Agostino e Maria Maddalena) (1518, Pinacoteca Nazionale di Bologna); il San Giovanni Battista (1518, Firenze, Gallerie degli Uffizi) e relativo studio proveniente dal Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli stessi Uffizi; La Visitazione (1516-17) e la Madonna della rosa (1518-1520) direttamente dal Museo Nacional del Prado di Madrid. E ancora la Madonna del divino amore proveniente dal Museo e Real Bosco di Capodimonte (1516) e Venere e Amore (1516, Lent by Her Majesty Queen Elizabeth II). Particolarmente interessante sono gli studi per opere come la Visione della Croce o Adlocutio della Sala di Costantino) e il dialogo con opere del mondo classico come Testa di Iside (prima metà del I secolo d.C. ) proveniente dal Museo Archeo-
logico Nazionale di Napoli, il torso di Efebo, I secolo d.C. dal Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo alle Terme di Roma e l’Altare funerario con scena di dextrarum iunctio, 40 d.C. , dal Museo Nazionale Romano, Terme di Diocleziano. Una sala, la quinta, è invece dedicata agli arazzi vaticani, sulle storie dei santi Pietro e Paolo, che Raffaello concepì in stretto dialogo con gli affreschi dei maestri toscani e umbri del ‘400 che decoravano le pareti della Cappella Sistina e con quelli della volta michelangiolesca. La sesta sala indaga il tema della poesia e dell’ideale femminile «secondo la rivitalizzazione della cultura petrarchesca in chiave antiquaria avviata a inizio Cinquecento e proprio nella cerchia di Raffaello” spiega Sylvia Ferino-Pagden presidente del Comitato scientifico. Tra le opere in visione lo sguardo non può non soffermarsi a lungo sulla bellezza di Ritratto di donna nei panni di Venere (Fornarina) proveniente dalle Gallerie Nazionali di Arte Antica Palazzo Barberini e Ritratto di donna detta “La Velata” che Raffaello dipinge tra il 1512-13 che per l’occasione ha lasciato la Galleria Palatina delle Gallerie degli Uffizi di Firenze.
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A Raffaello, geniale architetto, è dedicata la settima sezione della mostra, dove si possono ammirare disegni architettonici ispirati a modelli classici e all’idea di una bellezza unitaria e universale. Infine, la sala dedicata alle grandi committenze sotto Giulio II, il più grande e influente mecenate della modernità fino a ripercorrere nelle ultime sale i periodi di formazione straordinari a Firenze all’epoca in cui due giganti come Leonardo da Vinci e Michelangelo Buonarroti si sfidavano nella battaglia di Anghiari fino ad arrivare al punto di partenza: Urbino e a chiudere il percorso della mostra con un Raffaello giovanissimo che nel 1506 -1508 si autoritrae nel dipinto, olio su tavola di pioppo, conservato alle Gallerie degli Uffizi. Un’immagine diventata icona stessa dell’artista capace di infondere alla
sua pittura, grazia, armonia e bellezza. Di quel genio che riuscirà a mettere insieme equilibrio delle forme e degli spazi vestendo le atmosfere di colore e di luce. «Con studio e fantasia - si legge nel saggio della curatrice Marzia Faietti - Raffaello ha attraversato un’esperienza artistica eccezionale, spingendosi oltre il concetto quattrocentesco della mimesis della natura e dell’antico per giungere alla rappresentazione in pittura del non visibile; ha inoltre ricercato una ricomposizione unitaria delle arti e una riconciliazione della storia passata con il presente. Lo ha fatto con apparente e lieve naturalezza, come solo può farlo un vero sognatore, che ha dalla sua la volontà di concretizzare i sogni.»
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Nel riquadro la poetesssa Lara Savoia
#L’AQUILA 6 APRILE 2009 INNO ALLA TERRA Lara Savoia
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Una ricorrenza tristissima in uno dei periodi più bui della nostra storia. Undici anni fa il terremoto a L’Aquila riproponiamo la lirica di Lara Savoia pubblicata nel libro “I versi della polvere”, edizioni Argo, 2014
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«Terra, terra sono, sogno d’aprile notte d’estate vento di montagna fiore di loto coltre funebre festa autunnale delirio casa moglie vecchia sogno di neve nube esposta pulviscolo stellare. Terra, terra sono, soffio di tramontana trama boschiva storia silvana torrente d’aromi tappeto autunnale foglia d’arancio natura che cade tronco proteso vita che aspetta parola che muore nota pronunciata caduta di pianista ramo spoglio abete secolare volute di tronchi. Terra, terra sono, terra esposta come mari d’Oriente alla chiglia delle navi esatta, obliqua sull’essere terra di racconti, sciami, disordini terra di sampietrini, fontane, chiese terra di frontoni, guglie, campanili
terra di bugnato, fontane, ghirlande alle finestre terra che riposa sospiro d’amore terra che percorre pietre, sudore terra di malinconia, musica terra di ricordi, parole gente semplice terra come tutte le altre terre terra viva terra di sangue terra che ha sepolto Dio. Terra, terra sono, e il mio ventre si è contratto. Qui, qui, il pane spezzato della comunione porto alle bocche il sacrificio: l’Agnello a morte, Unigenita anch’io! Qui, qui, è alto questo canto esalato dall’oblio di chi scrive, dalla radice che ha posto fiore e fiore terra; terra, terra sono, corrente primitiva rondine tempo battute d’ali fibra di compasso: potessi ridisegnarmi in sette giorni!
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i Luoghi della Parola
Terra, terra sono, demoni carne il peccato serpeggia sul mio stelo. Qui, qui, d’inverno sorgo e i miei frammenti portano altri mondi. Qui, qui, chiama compagnia per questo soffrire. Terra, terra sono, lama che ha trovato il suo percorso nella solitudine lo splendore ossessione attimo che precede la follia. Terra, terra sono, eremo, capezzale dormiente isolata rotta strappata amata odiata vissuta tradita frantumata deportata violata spenta tra candele che innalzano la luna. Terra, terra sono, fascio di luce, scrivo scandisco virgole e metafore. Terra, terra, misericordia Passione gioia carità preghiera fossa senza principio fine meta. Terra, terra, lacrima pozza perdono pietà. Perdono. Pietà. Terra, terra, sogno di diamante 85 fuoco tormento santa, protettrice m’intreccio ai vinti ballata sinfonia sussurro bisbiglio. Terra, terra sono e mi possiedo».
Le a Casa dello Studente ridotta in macerie
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L’AQUILA, 6 APRILE UNDICI ANNI DOPO Fabio Iuliano
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Finestre illuminate dalle luci delle candele per ricordare le vittime al suono di 309 rintocchi
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delle 309 vittime di quella terribile notte di 11 anni fa, ma anche di tutte le donne e gli uomini che a causa del contagio hanno perso la vita e se ne sono andati via da soli, senza il conforto di un familiare accanto, senza l'ultima carezza o l'ultimo sguardo di chi li ha amati e senza una cerimonia degli addii. Uno strazio che noi ben conosciamo e che aggiunge dolore al dolore. Chiediamo a tutto il Paese di partecipare a questo rito collettivo: una orazione fatta di luce. Così almeno quella notte saremo tutti meno soli". Questo è stato l’appello. E dalla mezzanotte di domenica, sono stati illuminati i luoghi simbolo del terremoto. Alla stessa ora si è tenuta a porte chiuse la Santa Messa nella chiesa di Santa Maria del Suffragio con la lettura dei nomi 'dei 309 martiri', presieduta dal Cardinale Giuseppe Petrocchi. Alle ore 3,32 hanno risuonato, invece, i 309 nuovi rintocchi. Pierluigi Biondi, sindaco dell'Aquila, la notte del 6 aprile, a 11 anni dal sisma, ha spiegato che "alla fine L'Aquila-Italia è stata non solo per le vittime di allora, ma anche per quelle di oggi: il corpo aquilano è il corpo dell'intera nazione". Biondi, che il 6 aprile 2009
i Luoghi della Parola
L'AQUILA. Finestre e balconi che si sono illuminati, con la luce del cellulare o di una candela, alla mezzanotte tra il 5 e il 6 aprile, in occasione dell'undicesimo anniversario del terremoto dell'Aquila che ha causato 309 morti e circa 1500 feriti. Un piccolo corteo immerso in una notte che da undici anni non è più la stessa. Eravamo abituati a vedere una lunga fiaccolata a precedere i rintocchi, uno per ogni vittima. Quest'anno, le misure legate alla prevenzione dei contagi contro il Coronavirus hanno impedito alla gente di uscire dalle strada. È stato un anniversario scandito dal silenzio e dall'isolamento quello che si è celebrato a L'Aquila. Lo ha imposto la situazione difficile e complessa determinata dal coronavirus che vieta ogni forma di assembramento. "Il rispetto delle regole - stare a casa - è un obbligo di assoluta e inderogabile civiltà poiché ne va della sicurezza di tutti", recita un appello divulgato in questi giorni. "Ma possiamo sentirci uniti, nel ricordo, con un semplice gesto: accendendo una candela o un lume alle finestre, ai balconi, nei giardini delle nostre case, la notte tra il 5 e il 6 aprile. In memoria
Alcune immagini della città dopo il sisma, le operazioni di soccorso alla Casa dello Studente eil crollo dell’edificio della Prefettura
era il sindaco di Villa Sant'Angelo, paese devastato e tanti morti, ha raccontato che questi giorni "sono quelli nei quali la compostezza del comportamento degli aquilani, senza isterismi o proteste, va omaggiato. Saremo anche abituati alle emergenze, ma la disciplina con la quale abbiamo affrontato le restrizioni è sinonimo di forza d'animo. Lo riconosco io per primo che ho la fortuna di usare tutta la mi adrenalina per lavorare mentre vedo la gente chiusa in casa: ma gli aquilani sanno cosa sono i comportamenti sbagliati e non ci cascano". Prima di questo stop legato al coronavirus, la ricostruzione era in pieno fermento. Questo 6 aprile ha un sapore strano perché "la
vita ci ha tolto la seconda Pasqua in 11 anni". Massimo Cialente è il sindaco del terremoto, per anni tra macerie e ricostruzione, prima di passare il testimone a Biondi. "Certo, girare per L'Aquila in questi giorni è un colpo duro: non si può vedere questo deserto, ti ricordi quei silenzi, ti vengono in mente i volti di persone che non ci sono più - racconta Cialente, ora medico in pensione. Da quel 6 aprile 2009 è passata mezza generazione, ma questi giorni ci fanno rivivere il dramma con un'intensità diversa". Ironia della sorte, anche quest'anno le 3,32 cadranno di lunedì, il lunedì della settimana di Pasqua. "Per noi aquilani è un'altra botta forte alla psiche; paradossalmente ci siamo già passati, sappiamo cosa voglia dire restare chiusi nelle tende o negli alberghi in solitudine o in silenzio. L'unica cosa vera è che con questo isolamento ci sarà più difficile elaborare un lutto collettivo". In ogni caso, l'ex primo cittadino giudica L'Aquila potenzialmente come "un esempio per il resto d'Italia in questo periodo di coronavirus. Soprattutto per quello che succederà dopo: se siamo bravi abbiamo 20 anni di crescita. Ci sono paesi evoluti, gli Stati Uniti, l'Italia i paesi del G8, che comprano aerei ma sono in ritardo sulla pandemia e senza mascherine. Eppure si sapeva che a rischio c'era ora. Noi spendiamo soldi per armamenti non investiamo da anni in mascherine per i medici: qui serve una ripartenza keynesiana, un piano Marshall. La rinascita ci può essere solo con infrastrutture, con l'edilizia. E tutto questo significa prevenzione, messa in
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sicurezza di un territorio - continua - noi ogni volta inseguiamo gli eventi e adeguiamo le nostre risorse andando dietro ai terremoti. Ora invece è possibile mettere mano al fotovoltaico, ai cappotti termici, agli infissi per far ripartire l'edilizia, alle infrastrutture territoriali e alla prevenzione sull'ambiente. E' una
grande occasione per ripensare la nostra società: e L'Aquila in questo è avanti a tutti". Cialente fa un altro esempio "il digitale: se aumentiamo le infrastrutture digitali possiamo lavorare per le scuole, ridistribuire il lavoro a casa nei piccoli centri, ridare vita quindi ai piccoli Borghi. C'è tanto lavoro".
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La Famiglia Passaguai fa fortuna,
IL FILM RESTAURATO LA FAMIGLIA PASSAGUAI
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In occasione del trentennale della scomparsa di Aldo Fabrizi, l’omaggio del Festival del Cinema Europeo
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LECCE. Slitta in data da destinarsi la XXI edizione del Festival del Cinema Europeo, a causa dell’emergenza del Covid-19 e in ottemperanza alle direttive Ministeriali e Regionali a tutela della salute pubblica. Non si ferma però la macchina organizzativa e la messa a punto di un programma che tra gli eventi clou vede l’omaggio all’indimenticabile Aldo Fabrizi, attore, regista , produttore, figura carismatica della cultura e del cinema italiano nel mondo. E in attesa di celebrarlo all’interno del festival e in occasione della data del trentennale della scomparsa, avvenuta il 2 aprile 1990, il Festival del Cinema Europeo, diretto da Alberto La Monica, annuncia il restauro de “La famiglia Passaguai” (1951) da Fabrizi diretto e interpretato. Il film, la Famiglia Passaguai, tratto dalla novella “LaCabina 124″ di Anton Germano Rossi, fu il primo di una trilogia
completata poi da altre due pellicole di successo: La Famiglia Passaguai fa fortuna (1952) e Papà diventa mamma (1952) campioni di incasso capaci ancora oggi di divertire il pubblico e gli appassionati vecchi e nuovi del grande cinema italiano. «Aspettiamo tempi migliori per rinnovare, a 30 anni dalla sua morte, l’impegno a promuovere la memoria e lo studio della lunga, brillante e variegata carriera di mio nonno – dichiara la nipote Cielo Pessione – e ciò anche grazie al Festival del Cinema Europeo. Esempio di autorialità e arte drammatica squisitamente artigianali, di questi tempi lui stesso avrebbe detto: ‘bisognerebbe contrapporre un poco alla logica del cervello, dei calcoli e della convenienza, quella del cuore, della poesia». Selezionato tra le cento pellicole da salvare , a restaurare “La famiglia Passaguai” è stata la Cineteca di Bologna e
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immagine della campagna #iorestoacasa
RTI – Mediaset presso il laboratorio L’Immagine Ritrovata. Il film, portato a nuova luce, sarà presentato in anteprima nell’ambito dell’omaggio che il Festival dedica a Fabrizi, con la retrospettiva delle opere da lui dirette, una mostra sulla sua arte a cura della nipote Cielo Pessione, con fotografie, manifesti, locandine, abiti di scena, sceneggiature, ricette gastronomiche, tratte dall’Archivio Fabrizi, la proiezione del film “Fabrizi & Fellini: lo strano incontro” in presenza dell’autore Luca Verdone, ed un incontro/tavola rotonda moderato
da Enrico Magrelli sull’importanza della figura di Fabrizi a cui prenderanno parte diversi addetti ai lavori. Il Festival del Cinema Europeo, ideato e organizzato dall’Associazione Culturale “Art Promotion”, è realizzato dalla Fondazione Apulia Film Commission e dalla Regione Puglia con risorse del Patto per la Puglia (FSC). Si avvale inoltre del sostegno del Comune di Lecce e del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo-Direzione Generale Cinema. (an.fu.)
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#IORESTOACASAMO SORRIDERE È UN ATTO DI RESISTENZA Antonietta Fulvio
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La geniale videocanzone di Maurizo Casagrande che ha reinventato il testo del noto brano di Renzo Arbore
“il sorriso è un atto di resistenza”. #IoRestoACasaMo è l’hashtag ma anche il titolo del brano che l’attore e regista napoletano Maurizio Casagrande ha realizzato, in tempi record, sulle note di un brano di successo di Renzo Arbore con i più grandi protagonisti dello show business italiano. E sarà che è insito nel Dna dei napoletani, figli del Vesuvio, abituati a convivere con la paura della morte da sempre, riuscire a far sorridere e trovare un modo per ironizzare anche su argomenti serissimi come la pandemia. Ma il riso non è mai fine a se stesso, anzi è un modo accattivante, creativo - e scanzonato - per lanciare un messaggio forte e chiaro sulla motivazione importantissima del restare a casa ma senza abbattersi e anzi trasformare questa condizione in un momento di positività. La pubblicazione del videoclip sulla pagina fan di Facebook di Casagrande ha scatenato i fan e migliaia sono le condivisioni e invitiamo ad ascoltare il brano su fb, https://www.facebook.com/superbighouse/vi deos/1034382140288464/ o a vederlo su Youtube. «Sorridere è un atto di resistenza» afferma Maurizio Casagrande, così ha unito diversi artisti in una video canzone di straordinaria libertà di espressione divertente e di positività per ricordare che, indipendentemente da quanto le cose peggiorino, torneremo molto più forti, non facendosi influenzare da questi eventi, sia nei pensieri sia nelle azioni.
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La pandemia ha fermato quasi tutto, l’arte è stata sospesa fin dai primi giorni, teatro, cinema, set, concerti, musei e gallerie, ma gli artisti hanno trovato altri modi per commentare la crisi. Maurizio Casagrande, che ha sospeso il tour teatrale del suo spettacolo “Mostri a Parte”, in questo periodo di quarantena, l’attiva frequentazione social che ha lasciato attivo il contatto con il suo pubblico gli ha fatto nascere l’idea del brano #IoRestoACasaMo, sulle note di Ma la notte no! (1985) sigla della famosa trasmissione Quelli della notte di Renzo Arbore. «In questo periodo, ho raccolto diverse testimonianze, racconta - dove potevi toccare con mano la fragilità delle persone, per l’avvilimento della morte di tante persone e presa dalla paura di questo virus maledetto. Ciò che mi preoccupa, però, è la gente da sola in casa, depressa, abbattuta, debole psicologicamente, angosciata e spaventata. E, quindi, ritengo che, in questo momento, le persone hanno bisogno di un sorriso, il mio grido di speranza è: “Sorridere è un atto di resistenza”. È per resistere che bisogna sorridere. Non è mancanza di rispetto per chi ci ha lasciato e a chi sta male, ma è sorridere per fare forza e dare sollievo a chi, in questo momento, è debole e sconfortato per la grave situazione». Casagrande è riuscito coinvolgere e a mettere insieme in veste di cantanti Luca Abete, Paolo Belli, Massimo Boldi, Paolo Conticini, Raul Cremona, Tiziana De Giacomo, Ella
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Goldmann, Nino Frassica, Massimiliano Gallo, Carmen Giannattasio, Pino Insegno, Simona Izzo, Angelo Pintus, Shalana Santana, Antonio “Stash” Fiordispino, the Jackal: Fabio Balsamo, Ciro Priello, Gianluca Fru e, infine, Ricky Tognazzi. Accompagnati da Fabrizio Buongiorno al basso, Giancarlo Ippolito alla batteria, Lorenzo Maffia alle tastiere e Pippo Seno alla chitarra. E mentre scorrono le immagini della insolita band che strappano inevitabilmente un sorriso, ci sorprendiamo a canticchiare il ritornello #iorestoacasamo e a condividere pienamente il messaggio di Casagrande che scorre nelle ultime sequenze del video. E non potrebbe essere altrimenti. Sorridere è un atto di resistenza... Hashtag #IoRestoACasaMo
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I giovani novellatori del Decameron in un dipinto di John William Waterhouse, A Tale from Decameron, 1916, Lady Lever Art Gallery, Liverpool
I LUOGHI NELLA RETE
#ANCHEIOSONOFORTE. QUANDO LA MOSTRA DIVENTA SOCIAL
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Nel difficile contesto storico che stiamo vivendo l’associazione Forte di Bard porta l’arte a casa attraverso i canali di comunicazione online
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Il Forte di Bard porta le sue mostre sui social: video pillole d’arte, schede informative e filmati inediti dedicati al territorio E lancia anche l’iniziativa #ancheiosonoforte Il Forte di Bard porta l’arte a casa attraverso i suoi canali di comunicazione online. In questi giorni di emergenza sanitaria, in cui è importante restare a casa e seguire le rego-
le, l’Associazione Forte di Bard sta veicolando attraverso i propri profili social, i contenuti delle mostre allestite nelle sue sale. Un palinsesto culturale fatto di video pillole d’arte - dedicate ad alcune delle opere della mostra Capolavori della Johannesburg Art Gallery. Dagli Impressionisti a Picasso - e di schede informative, legate alle immagini delle mostre
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I LUOGHI NELLA RETE fotografiche Wildlife Photographer of the Year, PhotoAnsa e On assignment, una vita selvaggia. «L’intenzione è quella di offrire una proposta culturale virtuale che sia occasione di approfondimento dell’offerta espositiva attuale del Forte, che non è ora possibile fruire – spiega il Direttore del Forte di Bard, Maria Cristina Ronc -. A questo si aggiunge un’ulteriore iniziativa sempre sui nostri canali social, che abbiamo chiamato #ancheiosonoforte, in cui invitiamo gli utenti a raccontare e a condividere, in questo difficile momento di emergenza, storie e racconti della loro vita quotidiana in cui, come una fortezza, hanno dovuto mostrare forza e coraggio. Un modo per
restare connessi e creare una rete di condivisione e di solidarietà». «È importante in questo momento di chiusura di tutte le attività mantenere accesi più canali di comunicazione con le persone a casa – evidenzia la Presidente del Forte di Bard, Ornella Badery -. Lo facciamo con video, fotografie, filmati che diventano così occasioni di svago e cultura. In parallelo ai contenuti sulle mostre, pubblichiamo sulla pagina Facebook anche video inediti dedicati ai 15 Comuni della Bassa Valle d’Aosta che hanno aderito lo scorso anno al Progetto Territorio. Promuoviamo agli occhi di chi sta a casa, le nostre bellezze artistiche e naturali, per invogliare i turisti a venire a trovarci non appena le condizioni sanitarie
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generali lo consentiranno. Noi siamo forti e vogliamo continuare in qualche modo ad essere presenti». I contenuti extra dedicati alle mostre e al territorio sono fruibili sulla pagina Facebook Forte di Bard, sulla pagina Instagram @forte_di_bard e sul sito fortedibard.it
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Il Giardino inglese nella Reggia di Caserta reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere
LA MERAVIGLIA DEI GIARDINI INGLESI DELLA REGGIA DI CASERTA
Storie l’uomo e il territorio
Sara Foti Sciavaliere
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Oltre il cancello della meravigliosa via dell’Acqua
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n salto in un’altra dimensione. Si varca il cancello in prossimità della straordinaria e monumentale fontana di Diana e Atteone in cima alla Via dell’acqua dei Giardini reali della Reggia di Caserta (sulla quale avevo scritto nel numero di aprile 2019 di Arte e Luoghi) ed è come muovere i passi in un mondo sospeso.
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Incontri altri visitatori come te, famiglie, coppie o qualche sportivo, eppure il silenzio è surreale, solo i suoni della natura, fuori dall'ordine geometrico del vicino giardino all'italiana progettato da Vanvitelli. Il grande Giardino Inglese si estende su una superficie di oltre 24 ettari e fu voluto
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Il Giardino inglese nella Reggia di Caserta reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere
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Storie l’uomo e il territorio
dalla regina Maria Carolina , influenzata sia dalla sorella Maria Antonietta - che a Versailles aveva realizzato il Petit Trianon - che dal ministro inglese a Napoli, Lord William Hamilton. A partire dal 1785, di fatto, la sovrana sovvenzionò con il suo personale patrimonio il progetto, che affidò al botanico e giardiniere inglese John Andrew Graefer in collaborazione con l’architetto Carlo Vanvitelli. Possiamo dire però che si tratto di una sorta di capriccio di Maria Carolina la quale presto ne perse interesse e quindi toccò al marito Ferdinando IV, dal 1788, a seguirne i lavori, senza però riuscire a completarlo a causa delle emergenze militari di fine secolo. Ai primi dell’Ottocento, durante il periodo francese, fu poi avviata la produzione di piante esotiche - con serre e innovative tecnologie - proseguite dai Borboni fino all’Unità nazionale. Seguendo quindi la moda che si stava diffondendo dall’Inghilterra furono costruite numerose “folies” (o capricci architettonici), utili e comode per le soste e il tempo libero dei reali; vennero comunque realizzati anche aranceti e serre destinate alla coltivazione e allo studio delle piante. Nella seconda metà del secolo, sotto la guida dei botanici Giovanni Gussone e Nicola Terracciano, il giardino preso così il nome di “Real Orto Botanico di Caserta”, preservando al suo interno esemplari eccezionali di Cinnamomum camphora (l’albero della canfora), Taxus baccata (il tasso comune), Cedrus libani (il cedro del Libano), nonchè la prima pianta di camelia arrivata in Europa dal Giappone. Come scrivevo e tanti già sanno, il giardino inglese si contraddistingue dal formale e ordinato modello italiano per gli scorci pittoreschi e suggestivi dominati da una natura apparentemente selvatica, seppure in realtà sia frutto di un’accurata proget-
Storie l’uomo e il territorio
Storie l’uomo e il territorio
tazione. L’acqua che alimenta questo giardino proviene dall’Acquedotto Carolino e quasi tutto è frutto dell’intervento dell'uomo, colline e prati, stagni e canali, oltre alle piante importante da ogni latitudine del globo. Le suggestive “scenografie” che si incontrano lungo questo percorso immersivo, di fatto, furono abilmente costruite da Graefer che curò la composizione delle piante insieme a Carlo Vanvitelli che invece si occupò di inserire nei luoghi strategici una serie di ruderi architettonici, che sembrano essere sempre stati lì, dalla notte dei tempi. Nel cosiddetto “Labirinto”, un boschetto realizzato da Vanvitelli, troviamo un laghetto di ninfee che accoglie nelle sue acque due isolette ricche di vegetazione, la più grande delle quali ospita un tempietto in rovina, con colonne di granito provenienti dagli scavi archeologici di Pompei, mentre l’isolotto più piccolo presenta una sorta di padiglione utilizzato come ricovero per anatre, cigni e altri uccelli acquatici che vivono nel lago.
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Il Giardino inglese nella Reggia di Caserta reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere
Storie l’uomo e il territorio
Bagno di Venere, Il Giardino inglese nella Reggia di Caserta reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere
Passeggiando per i viali del Giardino Inglese tuttavia l’ambiente più suggestivo e scorci che suscitano grande meraviglia e invitano al silenzio della contemplazione della bellezza del luogo è senza dubbio il laghetto abbracciato dal Criptoportico, nelle cui acque si specchia il cosiddetto Bagno di Venere. Il criptoportico - ricavato da un’antica cava di pozzolana - è un finto ninfeo, a pianta circolare, con pareti di tufo scandite da colonne e pilastri, lungo le quali si aprono le nicchie che ospitano delle statue classiche, provenienti dai coevi scavi borbonici di Pompei e dalla Collezione Farnese. La struttura, scenograficamente costruita per apparire in rovina, ha grossi squarci nel soffitto a lacunari, che lasciano infiltrare la luce e scorgere la fitta vegetazione che l’avvolge; il pavimento è in armi colorati a tassello, volutamente sconnessi, e alle pareti, affrescate all’antica, mostrano crepe che mettono in evidenza pezzi di finto opus reticolatum. Dunque una finta rovina, volutamente realizzata come tale per dare agli ospiti della Corte che passeggiavano per quei giardini la sensazione di camminare nella città romana di Pompei recentemente riportata alla luce e conosceva le sue prime fasi di scavo. Una sorta di parco tematico, una realtà alternativa e immersiva, potremmo definirla oggi. Un boschetto di allori, lecci e monumentali tassi, contornati da rigogliose felci e una lussureg-
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giante vegetazione, racchiude in un’atmosfera misteriosa un’ansa del laghetto, riproducendo la scena di una sorgente in cui si specchia la statua di “Venere nell’atto di uscire dall’acqua”, scolpita nel 1762 da Tommaso Solari nel marmo di Carrara. Proprio quest’opera dà il nome al più emblematico degli scorci del giardino, conosciuto appunto come Bagno di Venere. Pare assistere a un balzo indietro in tempi mitici, mentre l’animo si placa cullato dal gorgoglio della cascatella che sgorga dalle radici del grande tasso posto al centro dell’emiciclo.
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Gallipoli, Processione dell’Addolorata nel venerdì che precede la domenica delle Palme, foto di Michele Piccinno
RITI PASQUALI NEL SALENTO Raffaele Polo
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Momenti di spiritualità che potremo rivivere solo nei ricordi. Il reportage del fotografo Michele Piccinno ci riporta indietro nel 2015 alle processioni tra Gallipoli e Maglie
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É
u n a Pasqua strana, inusuale, questa del 2020. Con una emergenza sanitaria che ci costringe, peggio che durante la guerra, a stare a casa e ad annullare tutti i diversivi che avremmo programmato
altrimenti. E anche i 'riti pasquali' che, da sempre, hanno caratterizzato la nostra tradizione, subiscono la medesima sorte. Insomma, niente processioni delle Palme, niente Vie Crucis, abolite anche le Tavole di
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Sotto e foto in basso: Gallipoli, Processione dell’Addolorata nel venerdì che precede la domenica delle Palme, foto di Michele Piccinno
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Michele Piccinno, Gallipoli, Processione dei Misteri detta anche Processione dell’Urnia, foto di Michele Piccinno
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Gallipoli, Processione dei Misteri detta anche Processione dell’Urnia, foto di Michele Piccinno
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Gallipoli, Giovedì Santo visita ai Sepolcri, foto di Michele Piccinno
san Giuseppe e tutto il corollario di manifestazioni che confluisce, poi, nell'allegria del Lunedì, con la scampagnata al mare, con accompagnamento di 'stanati' di pasta al forno e parmigiana. Dopo i tempi bui della Quaresima, insomma, la gioia di festeggiare una Resurrezione che non è solo gioia per i fedeli, ma apre alla speranza e alla rinascita tutta la Natura, portandoci verso climi più miti e, in definitiva, all'estate. Come sempre, sacro e profano si mescolano piacevolmente, e l'Uomo ritrova la sua rinascita, dopo il gelo dell'inverno e la forzata inattività. Ma questo in tempi normali... Non più tardi dell'anno scorso, per san Giu-
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Giurdignano, Le tavole di San Giuseppe, foto di Michele Piccinno,
seppe, abbiamo effettuato un itinerario nei paesi più tradizionalmente legati a questa tradizione: Casamassella, su tutti. Ma anche Uggiano La Chiesa e tutto l'hinterland di Otranto. In piazza, con una comune consuetudine, viene allestita una grande tavolata dove compaiono i piatti tradizionali della Pasqua: soprattutto i 'ciceri e tria' dove la 'tria' altro non è che una parte della pasta utilizzata per la saporita pasta e ceci, accuratamente fritta, tanto da diventare scura e croccante. La processione, con i personaggi della tradizione, giunta alla tavola imbandita, prende posto secondo un ordine ben stabilito: Gesù, la Madonna, San Giuseppe, gli Apostoli. E, secondo una antica sceneggiatura, avviene la consumazione delle vivande.
Ma, una volta che termina questa rappresentazione, la folla che segue attentamente e con curiosità tutto lo svolgersi del rito, è invitata a favorire, ovvero a consumare le tante vivande presenti... C'è, poi, l'usanza ancora presente ma in via di estinzione, di offrire ai visitatori una 'tavola imbandita', di solito allestita nella stanza più ampia della casa: e lì, in una grande coreografia alimentare, vengono esposti i piatti della tradizione, dove il pesce è protagonista ma vi sono anche tutti gli elementi della cucina 'povera', dalle pittule alla 'paparine', ai taralli, al pane fatto in casa. Di solito, c'è una sorta di gara fra le tre o quattro case 'ospiti' che invitano i visitatori, cercando di superarsi nell'allestimento spettaco-
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In questa paigna: Maglie, Processione del Venerdì Santo, foto di Michele Piccinno,
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Maglie, Processione del Venerdì Santo, foto di Michele Piccinno
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Maglie, Maglie, i misteri esposti nella Chiesa Madre, foto di Michele Piccinno,
lare di queste specie di 'altari' gastronomici... Tantissime, poi, le rappresentazione della Via Crucis, animata da volontari e sempre allestite con cura dei particolari. A Taranto, si aspettano questi giorni per partecipare al millenario percorso da effettuarsi con andatura cadenzata e che sottolinea la sofferenza di chi segue un feretro in raccoglimento. Ma suggestiva è la via Crucis di Gallipoli, quando dalla chiesa di San Francesco viene portato in processione il 'Mallatrone', sempre orrido e inviso ai fedeli che non mancano di insultarlo e maledirlo... Non dimentichiamo, poi, le creazioni particolari della pasticceria locale, con le ormai tradizionali 'coddhure', ovvero pasta dolce che racchiude una o più uova allesse.. E le zeppole che dominano tra le altre specialità dolciarie di cui i nostri pasticceri sono sempre ben forniti. Poi, poi, arriva 'lu Riu', ovvero il lunedì dell'Angelo (che a Lecce è protratto al martedì, con l'allegro pellegrinaggio alla Madonna D'Aurio) e poi... Niente. Quest'anno, niente di tutto questo.
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In questa pagina: Maglie, Processione del Venerdì Santo, foto di Michele Piccinno,
Ma la speranza che, già dalla prossima Pasqua, potremo riconciliarci, sicuramente con rinnovata Fede, ai nostri tradizionali riti primaverili.
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indicato. Sono previsti premi speciali e segnalazioni. 9.Il giorno e il luogo della presentazione ufficiale dei vincitori sarà tempestivamente comunicato tramite mail a ciascun concorrente. 10. La giuria sarà formata da appartenenti al mondo della cultura, del giornalismo, dell’ANMI, della Lega Navale, della Scuola Navale Militare "F. Morosini” e dell’Associazione Nazionale Scuola Navale Militare “F. Morosini”. I loro nomi saranno resi pubblici durante la cerimonia di premiazione. Il giudizio della giuria è insindacabile. 11. La partecipazione al concorso comporta la piena accettazione del presente Regolamento; l’inosservanza di una qualsiasi norma qui espressamente indicata, comporta l’esclusione dalla graduatoria. 12. La cerimonia di premiazione si svolgerà il 26 settembre in una location istituzionale di prestigio che verrà comunicata in occasione della conferenza di presentazione della manifestazione. Info e contatti Segreteria organizzativa Associazione culturale ICARUS e-mail ilmareinunastanza@ilraggioverdesrl.it mobile. +39.3495791200
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I LUOGHI NELLA RETE | IL CONCORSO
1.I partecipanti dovranno inviare una prova di narrativa, racconto o novella, con il mare protagonista “in una stanza”. Il limite massimo di scrittura è di quattro cartelle, spazio due (2), con rigo di cinquanta battute, tipo di carattere Times New Roman, dimensione 12, entro e non oltre la data del 10 giugno 2020. Non è consentito l’invio del cartaceo, con qualsiasi mezzo. 2.Alla domanda di partecipazione, ogni concorrente allegherà una scheda, max 10 righe, con le note biografiche. 3.Il lavoro deve risultare inedito e mai premiato (e tale deve restare fino alla prima presentazione pubblica). 4.Possono partecipare al Concorso Nazionale di narrativa “Il mare in una stanza” i cittadini italiani, civili e militari, che abbiano compiuto la maggiore età alla data della pubblicazione del presente bando. 5.Tutti i racconti in concorso dovranno pervenire entro la data stabilita tramite una mail che sarà di seguito indicata. 6.I racconti selezionati saranno pubblicati su apposita pubblicazione. 7.La partecipazione al Concorso non prevede quota di iscrizione. Sarà cura di ogni concorrente, provvedere all’acquisto di un minimo di 3 (tre) copie, senza obbligo di collaborazione futura. 8.I premi consistono in: coppe, targhe e pergamene, oltre alla pubblicazione come già
Fig.1, Caltanisetta , Processione dei Misteri, Gesù davanti al Sinedrio, foto di Dario Bottaro
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LA SETTIMANA SANTA IN SICILIA Dario Bottaro
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Un viaggio alla scoperta di usi, costumi, tradizioni e sapori pasquali
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a Settimana Santa in Sicilia.
Un viaggio alla scoperta di usi, costumi, tradizioni e sapori pasquali Chi visita la Sicilia in periodo di Quaresima, ma soprattutto nei giorni della Settimana Santa, non può non imbattersi in riti, processioni e tradizioni che affondano le loro
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radici nella storia di tutte le località che esistono in questa regione. In ogni città, grande o piccola che sia, i giorni più importanti per la cristianità vengono vissuti intensamente e con tempi che sembrano fermare il presente per ripresentare puntualmente un passato ricco di fascino, di memoria, di devozio-
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Storie l’uomo e il territorio
ne e di mistero. Il “Mistero d e l l a Salvezza”, infatti, è vissuto dai siciliani in modo del tutto particolare, legati come siamo alla figura del Redentore e della Vergine Maria. I viaggiatori che assistono alla solennità di questi riti, rimangono affascinati e immersi in una dimensione spazio/temporale, scandita dal suono della “troccula”, dei lamenti e delle marce funebri che come un’unica melodia di mestizia, sottolineano in tutta la Sicilia le fasi cruciali delle ultime ore di vita di Gesù, mettendone in risalto l’umanità oltre che la divinità. A questa umanità contrita, che assiste al rinnovarsi della Passione
del Signore, è affidato il compito di tramandare le antiche tradizioni, molte delle quali di impronta spagnola come ad esempio le processioni dei “Misteri” ( fig. 1) che in buona parte della Sicilia, dalla parte orientale fino a quella occidentale, caratterizzano i giorni del “Triduo Pasquale”. Uno degli aspetti più importanti e messi in primo piano dal popolo siciliano è certamente l’attaccamento viscerale alla figura della Madre: “l’Addolorata” (fig. 2). A Maria dolente sono dedicati molti momenti già durante la Quaresima – in particolare i venerdì - per fare memoria di una Donna che è Madre di Dio e dell’uma-
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Fig. 3, Sacra rappresentazione a Vittoria (RG), foto di Dario Bottaro
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Fig. 4, Confraternita in processione nel Venerdì santo di Pietraperzia (EN), foto di D. Bottaro
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Fig. 5, Cristo alla Colonna, Caltanisetta foto D. Bottaro
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Fig. 2, Statua dell’Addolorata venerata nella Chiesa del Carmine a Siracusa, foto di D. Bot-
Fig. 8, Gruppo statuario dell’Addolorata a Scicli (RG), foto di Dario Bottaro
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Fig. 11, Processione del Cristo alla colonna ad Ispica (RG) nel Giovedì Santo, foto di Dario Bottaro
Fig.13, Crocifisso venerato a Barrafranca il Venerdì Santo detto “Trunu” (il Trono), foto di Dario Bottaro
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Fig. 9, Addolorata venerata nella chiesa dei Cappuccini a Caltagirone (CT), foto G. Vespo
nità e in quanto tale, questo popolo siciliano si stringe intorno alle sue effigi piangenti trafitte da spade, per portare l’omaggio della preghiera e del silenzio, della contrizione e dell’amore filiale. Sono numerosissime le tradizioni che in questo periodo pongono Maria al centro della devozione e della religiosità popolare, quasi a voler manifestare il desidero profondo di consolarla e abbracciarla, consapevoli di quel dolore che è parte integrante dell’essere umano, da cui nessuno è indenne. L’attaccamento alla Madre deriva certamente dall’antichità dei riti che, dal paganesimo, sono stati trasformati e adattati per inculturazione al cristianesimo e che prima dedicati alla madre terra, a Cerere o Deme-
tra, sono stati calati nel mistero della morte e risurrezione di Cristo. Il fatto stesso che il periodo pasquale coincida con il rinnovarsi della terra, quindi con la rinascita e rigenerazione del creato, simboleggia quanto essi siano pregnanti con gli antichi culti pagani. Questo però è soltanto l’inizio, poiché l’evoluzione di tali usanze, nel corso dei secoli, ha acquisito consapevolezza e certezza di questo dramma umano che si consuma per la redenzione del mondo. Ed ecco che la Vergine Maria, in quanto Madre dell’umanità, viene messa al centro della devozione popolare, andando ad arricchire la centralità del mistero di Dio che nella morte e risurrezione del Figlio Gesù trova il suo culmine. Nel periodo che
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Fig. 10, Altare della Reposizione nel Santuario di S. Lucia al Sepolcro di Siracusa, foto G. Vespo
precede la “Pasqua”, ma soprattutto durante i giorni della “Settimana Santa” in Sicilia a farla da protagonisti sono i “drammi sacri” (fig. 3) e i momenti comunitari di grande fascino che sottolineano il mistero dell’uomo, la morte e la
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resurrezione. Ed ecco che in giro per i centri storici le “Confraternite” (fig. 4) sfilano con i loro abiti, contraddistinti dalle cappe di colori differenti che ne identificano l’appartenenza, spesso con i copricapo che celano interamente
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Fig. 15, Corteo delle addolorate nel Venerdì santo di Pietraperzia (EN), foto D. Bottaro
il volto, e ancora le “vare” con le statue che raffigurano i “Misteri della Passione”, dall’agonia nell’orto del Getsemani al Cristo flagellato (fig. 5), al Cristo che porta la croce, il Crocifisso, la Deposizione, il Cristo morto e l’Addolorata. Singole statue o gruppi statuari che risalgono all’epoca della dominazione spagnola, che in tanti luoghi purtroppo sono andati perduti, in altri smembrati e nuovamente assemblati, in altri ancora si vedono come un tempo, sfilare tra i lamenti degli uomini e le litanie delle donne, o al suono delle marce funebri delle bande musicali. Sfilano tra ali di folla che snocciola preghiere, lancia un invocazione, si c o m m u o v e durante i caratteristici “incontri” (fig. 6) che avvengono solita-
mente nelle processioni del “Venerdì Santo” quando l’immagine di Cristo che sale al Calvario fronteggia quella della Vergine Addolorata che ha disperatamente cercato il Figlio per le strade della città, fino ad incontrarlo sulla via dolorosa. Sono momenti di forte commozione, di silenzio, di riflessione. Sin dalla “Domenica delle Palme”, alcune città si mobilitano per mettere in moto la macchina organizzativa della “Settimana Santa”, con il lavoro e la collaborazione di confrati e associazioni si realizzano spettacolari “Via Crucis” (fig. 7), si intronizzano e si addobbano le sacre immagini per il giorno della processione, si vestono le addolorate. Anche questo è un rito antichissimo, che vede coinvolte pochissime per-
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Fig.6 Incontro dell’Addolorata con il Cristo morto nel Venerdì Santo di Augusta (SR), foto di Dario Bottaro
sone, in certi luoghi a porte chiuse, in altri durante riti pubblici, ma dove solo alcune donne provvedono alla vestizione della statua della Madonna. Alle statue lignee o i manichini settecenteschi vengono fatti indossare gli abiti più preziosi e i ricchi manti neri decorati a trame d’oro e d’argento, spesso dono di alcuni fedeli o dell’intera comunità. Sfilano su alti e preziosi baldacchini già dalla “Domenica delle Palme”, come nel caso “dell’Addolorata” di S. Maria la Nova a Scicli, il cui fercolo è addobbato da decine e decine di bambinelli in cera (fig. 8), simbolo di una grazia ricevuta o di un voto fatto. Ci sono poi quelle funzioni religiose che non prevedono necessariamente una processione, ma che registrano la partecipazione di un flusso continuo di popolo durante tutta la giornata, come accade a Caltagirone nel convento dei Cappuccini, dove la statua “dell’Addolorata” accanto alla
croce vuota, contempla il Figlio deposto ai suoi piedi (fig. 9). L’atmosfera solenne però raggiunge il suo culmine a partire dal “Giovedì Santo”, quando in serata dopo la celebrazione in “Coena Domini”, la pisside con l’Eucarestia viene solennemente portata nell’altare della Reposizione, in dialetto “Sepulcru” (Sepolcro) anche se questa definizione sappiamo essere teologicamente errata poiché Cristo non è ancora morto. Dopo questo rito sono moltissime le persone che iniziano a fare il giro delle chiese per visitare questi altari, allestiti con fiori, candele, drappi e i caratteristici “lavureddi” (lavoretti) portati in chiesa dai più piccoli. Si tratta di piccole ciotole nelle quali sono stati lasciati a germogliare chicchi di grano o legumi, adagiati su una base di cotone e deposti in un luogo al buio. In questa giornata vengono tirati fuori e addobbati con carta colorata, nastri e fiori e portati in chie-
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Fig.17. Processione del Cristo morto e dell'Addolorata nel venerdì Santo di Noto (SR)i
Fig.7. Via Crucis vivente a Mussomeli (CL), foto di Dario Bottaro
Fig.12. lamento intonato da un uomo nel Venerdì Santo di Barrafranca (EN), foto di Dario Bottaro
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Fig. 16, Corteo dell'Addolorata nel venerdì Santo di Pietraperzia (EN), foto D. Bottaro
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18. L'Addolorata al termine della processione del Venerdì Santo di Buccheri (SR), foto D. Bottaro
sa ad arricchire i già fastosi altari (fig. 10). In molte città è anche il giorno della processione del “Cristo nell’orto” o del “Cristo alla Colonna” seguito da numeroso popolo come nel caso di Ispica (fig. 11) in provincia di Ragusa dove sin dal mercoledì notte i “cavari” - antica denominazione degli abitanti dei ceti minori – si recano presso l’antica chiesa della Cava dove secoli fa era custodito un antico Crocifisso, poi trasformato nella venerata immagine del “Patri a culonna” (Cristo alla colonna). Il “Venerdì Santo” è il giorno del lutto. Tutte le funzioni e le manifestazioni della religiosità popolare, benché solenni, vengono vissute con uno spirito ancora più peni-
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tente. A tratti il silenzio viene rotto dal suono della “troccula” , uno strumento in legno sul quale battono dei ferri che sostituisce la campana e dà il passo alla processione. A questo suono duro fanno eco i “lamenti” intonati da gruppi di uomini che si tramandano questa tradizione di famiglia in famiglia e sono custodi di un immenso patrimonio antropologico (fig. 12). Cantano ai piedi del “Crocifisso” o del “Cristo morto” comunemente chiamato “Monumentu” come succede nelle cittadine dell’ennese ad esempio Barrafranca (fig. 13) o Pietraperzia (fig. 14) per citarne alcune intonano il loro lamento a cappella, senza l’ausilio di uno strumento musi-
Fig.23, San Pietro nella Domenica di Pasqua a Caltagirone, (CT), foto D. Bottaro
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Fig.14, Venerdì Santo a Pietraperzia (EN), U Signuri di li fasci (Il Signore delle fasce), foto di D. Bottaro
Fig.20, Sciaccariata Ferla (SR) nella notte del Sabato Santo, foto S. Puccio
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Fig.22, “A Paci” (La Pace) della Domenica di Pasqua ad Avola (SR), foto D. Bottaro
cale. Agli uomini fanno eco le donne che cantano le loro strofe in dialetto rivolgendosi alla Madre Addolorata, vestite rigorosamente di nero, spesso con il capo coperto da un velo (fig. 15). Solenni e a volte stremanti sono le processioni di questa giornata poiché capita non di rado che in molti luoghi esse scandiscano l’intera giornata del “Venerdì Santo”, con la “cerca dell’Addolorata” di mattina (fig. 16), poi l’intronizzazione del “Crocifisso” nel cor-
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grandi tele di origine seicentesca e settecentesca raffigurano le scene cruciali della “Via Crucis” o il “Golgota” con la scena della “Crocifissione”. A mezzanotte, improvvisamente questi grandi teli vengono lasciati cadere giù, le chiese si illuminano, i cori cantano l’alleluja e sull’altare maggiore appare la statua del “Cristo risorto”. “Non è qui, è risorto” ci ricorda il Vangelo, e su questa frase il popolo siciliano ha costituito alcuni dei momenti più belli che possano viversi in Sicilia, ovvero le manifestazioni della “Domenica di Pasqua”. Ci sono luoghi dove già alla mezzanotte del “Sabato Santo” la statua del “Risorto” viene portata in trionfo per le vie della città come nel caso di Ferla, piccolo comune del siracusano incastonato sui Monti Iblei, che con la caratteristica e unica “Sciaccariata” saluta il trionfo di Dio sulla morte (fig. 20). Centinaia di “ciaccare” – fasci di rami secchi e paglia, vengono accesi ai bordi del corso principale per fare luce con la loro fiamma al passaggio della statua di “Gesù risorto” che correndo, risale la via preceduto e seguito da numerosi giovani e adulti che trascinano in strada queste enormi torce dando vita ad uno spettacolo unico e suggestivo di fuoco e scintille. La “Domenica di Pasqua” è dun-
Storie l’uomo e il territorio
so della liturgia in chiesa, per andare avanti fino a notte fonda con la processione dei “Misteri” o quella del “Cristo morto e l’Addolorata” (fig. 17). Il “Sabato Santo” è il giorno del silenzio assoluto e della pia pratica di tenere compagnia a Maria presso il sepolcro del Figlio. In molte chiese infatti, la statua della Vergine ammantata di nero non viene riposta nella sua cappella, ma su un altare o trono addobbato di fiori e candele, così che i fedeli possano andare a pregare e a consolare questa Madre per la perdita del Figlio. Sono ore scandite dal silenzio, passate a sgranare rosari e recitare preghiere sottovoce, limitando i gesti al segno della croce o a un veloce bacio alla Madonna (fig. 18). Ma il “Sabato Santo” è anche la vigilia del giorno più importante, quello della Resurrezione di Cristo che vince la morte e risorge a vita eterna. Ancora una volta nelle parrocchie e nelle città ci si mobilita per mettere in scena la fine del dramma e spazzare via il dolore con il grande grido di gioia. Al canto del gloria in moltissime chiese di tutta la Sicilia si assiste alla “calata da tila”, letteralmente la caduta della tela (fig. 19), con cui le grandi absidi delle chiese più importanti sono state coperte durante tutto il periodo quaresimale. Queste
Storie l’uomo e il territorio
Fig.25, Madonna di Pasqua a Caltagirone (CT), foto di D. Bottaro
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Fig.21, Processione del Cristo risorto a Scicli (RG), chiamato “U Gioia”, foto D. Bottaro
que il giorno della gioia, dell’incontro in moltissime città, delle statue del “Cristo Risorto” (fig. 21) con la “Madonna di Pasqua o della Pace” (fig. 22). In questa occasione la statua della Vergine viene coperta con un manto nero che perderà alla vista del Figlio in un moto di gioia che commuove ed emoziona il popolo che partecipa con gli evviva e gli applausi. Lo sparo di mortaretti è il segno che la “Pace” è avvenuta, adesso le statue vengono condotte in gioiosa processione mentre le campane suonano a festa e ci si scambia gli auguri con parenti, amici e conoscenti. Una delle più belle tradizioni della “Domenica di Pasqua” è certamente la “Giunta” di Caltagirone dove l’attore principale è un grande manichino in cartapesta che raffigura “San Pietro” con in mano le chiavi della Chiesa, suo segno iconografico (fig. 23). Questo grande pupazzo – che in altre parti della Sicilia prende il nome di “Santone” – è costituito da una struttura interna ricoperta da una veste che viene fatta indossare ad un uomo il quale ha il compito di portare l’annuncio della Risurrezione. Nella piazza centrale della città, ai piedi della grande scalinata di S. Maria del
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Fig.24, Gruppo statuario del Cristo che risorge dal sepolcro, Caltagirone (CT), foto G. Vespo
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Monte che brulica di gente, “San Pietro” inizia la sua corsa da un angolo all’altro tra gli applausi della folla festante. Per ben tre volte procede velocemente avanti e indietro tra il carro con l’antico gruppo statuario del “Cristo trionfante” (fig. 24) che si erge sul sepolcro e il fercolo della Vergine Maria ancora coperta dal manto nero. Al terzo inchino alla Vergine, ella aprendo le braccia con un meccanismo interno lascia cadere il manto nero, mostrandosi in tutta la sua bellezza, vestita di bianco e d’azzurro ed incoronata da una regale corona e dallo stellario (fig. 25). E’ in questo esatto istante che la folla esplode in un lungo applauso di gioia e negli evviva dei bambini che abbracciano i loro genitori e mandano un bacio alla Madonna, mentre lei lentamente si inchina davanti al Figlio che ha sconfitto la morte. Ma la Sicilia della Pasqua non è solo processioni e religiosità popolare. Anche la buona cucina fa la sua parte in questi ritmi antichi, con i dolci della tradizione che ancora oggi colorano e rallegrano le vetrine della pasticcerie affollate di paste di marzapane, agnellini di zucchero e dai caratteristici “panareddi” (fig. 26) che si usano consumare in famiglia il giorno di Pasqua. Si tratta di forme di “cestini, cuori, agnelli e colombe” realizzate con un impasto di pane dolce e decorato da uova sode e zuccherini colorati (fig. 27). Vere opere d’arte che prendono forma dalle ricette di famiglia, tramandate dalla tradizione e che arricchiscono le tavole siciliane in questa occasione, come una degna conclusione di tutto quel dolore che si è attraversato per giungere poi alla gioia del ritrovarsi insieme a condividere la bellezza della nostra storia che prende forma anche a tavola e aspetta soltanto di essere gustata.
Fig.27, Dolci pasquali in forma di core con decorazione in zucchero, foto G. Vespo-
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Fig.26, Panarelli pasquali, foto G. Vespo
IL SURREALISMO MAGICO DI TOMASZ ALEN KOPERA Dario Ferreri
“
Un viaggio tra i luoghi e nonluoghi fisici ed emozionali dell'arte contemporanea
”
«Non ho particolari talenti, sono soltanto
"I sogni non vogliono farvi dormire ma al contrario svegliare" René Magritte
appassionatamente curioso»
CURIOSAR(T)E
Albert Einstein
T
omasz Alen Kopera, classe 1976, è un ingegnere edile che nasce a Kożuchów, in Polonia, ma il cui talento artistico viene alla luce già nella prima infanzia, allorquando si cimenta con pennelli e pittura ad olio, tecnica della quale diviene ben presto maestro grazie alla sua acuta attenzione al dettaglio, alla padronanza del colore ed
alla paziente e maniacale stesura degli strati di colore. Nel 2005 si trasferisce in Irlanda del Nord, dove attualmente vive e lavora. Dal 2010 è membro del "Libellule Contemporary Renaissance" collettiva di artisti molto skillati creata da Lukas Kandl (esponente del realismo magico francese).
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African peace
La poetica delle opere Alen Kopera è ispirata tanto dalla natura umana quanto dai misteri dell'universo: le sue splendide creazioni sono permeate di simboli che spesso rimandano alla psiche umana ed al rapporto
dell'uomo con il mondo circostante: si tratta sovente di dipinti oscuri e misteriosi. Sospeso tra sogno e realtà, tra vero e immaginato, tra fiaba ed apocalisse, tra abisso dell'inconscio e visioni bucoliche, l'artista scan-
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CURIOSAR(T)E
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daglia l'animo umano nella sua multiforme poliedricità: elementi ricorrenti del suo universo di riferimento sono il fuoco, simbolo di catarsi e rinascita, esseri umani tramutati in roccia o in rigogliosi alberi, ali e piume che richiamano angeli caduti o in ascesa e sentimenti di libertà; Il suo universo espressivo è senza alcuna ombra di dubbio riferibile al surrealismo e, per tematiche indagate e rappresentate, alcuni parlano di un "surrealismo magico". Punta un faro nel suo coinvolgente mondo una recente intervista dell'artista nella quale ha dichiarato: "Nel mio lavoro cerco di raggiungere il subconscio. Voglio mantenere l'attenzione dello spettatore per un momento che sia più lungo. Il mio desiderio è che lo spettatore senta il bisogno di un minuto di silenziosa riflessione e di contemplazione. Solitamente le idee per nuovi dipinti sopraggiungono nei momenti meno attesi: talvolta l'idea di una nuova
creazione appare per caso nella mia testa, alcune idee vengono da mia moglie, ci piace stare seduti e parlare insieme per ore, ed a volte queste conversazioni si trasformano in nuove sorprendenti creazioni. La parte più importante e anche più difficile della creazione è in realtà visualizzare l'idea, vedere il soggetto negli occhi della mia immaginazione. Molto spesso mentre lavoro su un dipinto, vedo un'idea per il mio prossimo lavoro. Sono affascinato dal fuoco. Per me è il simbolo della creazione, ma agisce anche come una forza purificatrice - epura i nostri peccati, è il nuovo che si crea dal vecchio, e, naturalmente, la distruzione è strettamente legata alla risurrezione- ed un simbolo di cambiamento. Quando dipingo, mi piace lavorare senza considerare il tempo: inizio al mattino presto, quando sono fresco e riposato, e dipingo tutto il giorno; avere una mente chiara durante
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CURIOSAR(T)E
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il processo creativo è, per me, della massima importanza. Il focus della creazione è l'incipit: in questa fase preferisco la solitudine e nessuna distrazione. Non faccio schizzi, o lo faccio molto raramente e in forma approssimativa, semplicemente inizio a dipingere su tela. L'idea iniziale si sviluppa quindi in un'immagine più chiara, a volte anche in un'idea nuova e completamente diversa: la creazione iniziale è quindi anche la fase più instabile, poiché molto spesso elaboro nuove idee, cambio ed aggiungo elementi. La musica è una cosa intrinsecamente connessa con la mia creazione, gioca un ruolo cruciale e va di pari passo con il mio umore: ascolto di tutto, dalla musica classica (pianoforte o orchestra) alla musica più moderna, senza escludere il gotico e l'heavy metal. Molto spesso le persone mi chiedono di parlare della mia arte, ma dico sempre che se
potessi descrivere i miei quadri non dipingerei, ma scriverei: non riesco ad interpretare i miei dipinti con le parole, non so come farlo, perciò dipingo e dipingo per questo motivo; il mio messaggio arriva allo spettatore non attraverso le parole ma attraverso il dipinto: è questo il motivo per cui la maggior parte delle mie opere non ha un titolo; lascio questo allo spettatore". Epigoni di riferimento dichiarati sono, ovviamente, Zdzisław Beksiński , ma anche Gustave Dorè. Tomasz Alen Kopera ha sinora esposto in collettive o mostre personali in Polonia, Irlanda, Olanda, Francia, Germania, Austria, Belgio, Gran Bretagna, Spagna, Australia e Stati Uniti. La sua pagina Faceb o o k (https://www.facebook.com/TomaszAlen-Kopera153589598121489/) conta attualmente circa 32.000 follower.
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Nei riquadrI, dall’alto: Pretend e 11E; a lato E12
CURIOSAR(T)E
Per perdersi magicamente nei suoi dipinti surreali l'indirizzo (virtuale) è: https://alenkopera.com/gallery.html
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I LUOGHI NELLA RETE | IL CONCORSO
LUOGHI DEL SAPERE
LE STRADE DELL’APARTHEID PAROLE E IMMAGINI DI LUCA GRECO Le strade dell’Apartheid di Luca Greco, edizioni Il Mondo Nuovo è un racconto fotografico che scova, attraverso le immagini, un tratto comune, un filo rosso, nelle storie di tre paesi e di tre popoli solo in apparenza lontani. A spiegare il concept è lo stesso autore:
LUCA GRECO Le strade dell’Apartheid Il MOndo Nuovo edizioni 2020 ISBN 978-88-32115-16-1 pp.92 € 16,00
«Nucleo dell’incastro di fili, di storie e di sguardi che qui si prova a raccontare è la continua e progressiva privazione della libertà che ha colpito e tuttora colpisce il popolo palestinese, quello saharawi e quello di religione cattolica dell’Irlanda del Nord. La segregazione fisica e mentale nella quale essi sono costretti a vivere la loro quotidianità lega ed accomuna queste storie. Le strade di Belfast, come quelle di Hebron, Tulkarem, Dheishe, New Askar, Dakhla e Smara trasudano claustrofobia. La si legge nei muri, ma anche negli occhi. Sono piene di questa assenza. Ed ecco che il filo rosso emerge potentemente. Fra lamiere e sabbia, filo spinato e vento, cemento e neve, veloce si snoda, tutto abbraccia e tutto intreccia. E poi, come un fiume carsico, d’improvviso scompare. Narrare questo fiume. Questo è lo scopo di questo racconto.» Dottore di ricerca in filosofia teoretica,Luca Greco nasce a Termoli nel 1979. Sui banchi del liceo incontra Walter Benjamin e la sua flânerie. Sindacalista della CGIL, educatore, no global ai tempi del 2001, volontario, cooperante, fondatore della sezione ANPI “Vittorio Arrigoni”. “Le strade dell’Apartheid” altro non è che l’ultimo, l’ennesimo, tentativo di raccontare la storia dalla parte degli oppressi.
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LUOGHI DEL SAPERE
I PASANO IL ROMANZO DI FEDERICA MURGIA
FEDERICA MURGIA I PASANO Il Raggio Verde edizioni pp.120 2019 €15 ISBN
Quando si prende in mano il libro I Pasano dell’autrice Federica Murgia (edito da Il Raggio Verde Edizioni di Lecce), l’occhio inevitabilmente cade sulla bella copertina realizzata dall’artista Dax Daniele Paladini che con uno scatto sublime ha impresso perfettamente il senso di quello che la scrittrice di origini sarde, ma residente da anni nel bellissimo borgo di Specchia nel Salento, ha cercato di illustrare e spiegare nelle pagine del suo romanzo per l’appunto intitolato I Pasano. Infatti, in bella vista, abbiamo un piccolo portone in legno grezzo consumato dagli anni, una sedia leggermente sgarrupata (come direbbero alcuni personaggi del film Io speriamo che me la cavo con il grande e compianto Paolo Villaggio) e alcuni panni stesi probabilmente ad asciugare al sole. Un contesto semplice e umile, proprio come il quadro rappresentato dall’autrice nella sua storia. Un’autrice che, con sorprendente grazia e particolare attenzione, è riuscita a rappresentare al meglio il Salento in un periodo storico che va dagli anni venti agli anni cinquanta, con tutti i mutamenti storici, politici e culturali che ne hanno fatto da cornice durante gli accadimenti narrati. Leggendo le pagine del libro entriamo nella quotidianità di quegli anni, pieni di sacrifici e denti stretti, dove la vita si prendeva a morsi e le scelte erano dettate a volte più dall’istinto di sopravvivenza che dalla ragione. Le ingiustizie sociali e la disparità di classe sono il perno su cui ruota la storia de I Pasano, in un Meridione per certi versi ancestrale che sembra essere quasi uscito da una pellicola del grande Giuseppe Tornatore (in questo caso più L’uomo delle stelle con Sergio Castellitto che Nuovo Cinema Paradiso che gli valse l’Oscar e la fama mondiale facendoci conoscere il suo quadro personale della Sicilia dei primi anni del dopoguerra). Per il lettore diventa quasi istantaneo appassionarsi ai protagonisti, simpatizzando inevitabilmente per “i buoni” della storia, nonostante la trama e gli intrecci nascondano una narrazione sempre tesa e bilanciata a non scoprirsi mai e a concedersi di tanto in tanto qualche colpo di scena. Perché, più che una storia di vita quotidiana, quella di Federica Murgia è una lezione sulle nostre lontane origini che troppo spesso abbiamo dimenticato o peggio ancora rimosso, in un dipinto nostalgico del Salento, oggi ahimé… Buono solo per acchiappare l’occhio del turista. Stefano Cambò
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LA CONTESSA DI SALASCO RACCONTATA DA MARIA DELFINA TOMMASINI
MARIA DELFINA TOMMASINI La Contessa di Salasco Yume pp.160 2019 € 15 ISBN 978-88-5494-020-8
La contessa di Salasco donna del Risorgimento italiano, per lo più sconosciuta al grande pubblico rivive nella storia e nelle trame di corte grazie al minuzioso lavoro della scrittrice Maria Delfina Tommasini, che nel libro “La contessa di Salasco” porta alla luce la storia romanzata di una nobildonna affascinante e anticonformista che ha vissuto l’epopea del Risorgimento. La contessa di Salasco, una donna intraprendente, audace, incontra nel suo percorso Cavour, George Sand, Torquiville, Mazzini, Luciano Manara ed entra in intimo contatto con Giuseppe Garibaldi al quale si sentirà legata per sempre. Un libro su una donna che ci fa vedere quanta strada abbiamo fatto dall’800 a oggi, ma quanta ancora ne dobbiamo fare. Fino a quando si penserà che il nostro modo di vestire è provocatorio e quindi è colpa nostra se siamo oggetto di stupro; fino a quando fra le pareti domestiche vivremo i nostri amori malati tacendo e sopportando angherie; fino a quando per lo stesso lavoro saremo pagate di meno rispetto a un uomo, fino ad allora dovremo ancora molto lavorare su comunicazione ed educazione. Inoltre la passione di Maria per “fare l’Italia” era molto forte, un sentimento vero che chi fa politica oggi non possiede se non in minima parte. Di origini calabrese, Maria Delfina Tommasini è nata a Roma, dove vive. Conosciuta Viterbo e la sua provincia se ne è innamorata. Laureata in giurisprudenza ha lavorato per quarant’anni presso un istituto di credito occupandosi di finanza ed economia. Tra le pubblicazioni, “Quel certo cicinin” Alter Ego editore nel 2015 e “Mascioli e i suoi cicinin” Robin editore nel 2017. Ad agosto 2017 è risultata vincitrice del premio “Argenpic scrivere donna Daniela Marrozzi” di Tarquinia e prima classificata premio Argenpic 2017 sez.Racconti. Nel 2019, insieme ad Alessandra Giacomini, ha pubblicato il romanzo ”In riva al male - omicidio al Pirgo” e ,sempre nel 2019, è uscito il suo ultimo libro “ La contessa di Salasco”.
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Gianni Mura,@enrico, International Journalism Festival from Perugia, Italia
SULLE MONTAGNE DI MARCO PANTANI RICORDANDO GIANNI MURA Stefano Cambò
“
Omaggio al giornalista che ha raccontato in Italia lo Sport e i suoi protagonisti
”
i Luoghi dello Sport
I
l 21 marzo, mentre tutta l’Italia era assediata dal terribile coronavirus, ci ha lasciato Gianni Mura la storica penna del giornalismo sportivo italiano. Da sempre i suoi articoli sono apparsi sulle testate dei più importanti tabloid della nostra amata Penisola (soprattutto su La Repubblica e La Gazzetta dello Sport). Eppure il suo nome, volente o nolente, si lega indissolubilmente a quello di un grande campione del ciclismo. Sì, perché non si può parlare di Gianni Mura senza non ricordare Marco Pantani, proprio oggi che il mitico scalatore romagnolo avrebbe compiuto cinquant’anni. E sono passati esattamente ventidue anni, da quando fece impazzire la nazione intera con le sue prodezze in sella ad una bicicletta da corsa, mentre il giornalista dall’interno del suo gabbiotto ne esaltava le gesta sui suoi memorabili articoli. Nel 1998 infatti, “Pantadattilo” come lo aveva da sempre battezzato Gianni Mura, si aggiudicò prima il Giro d’Italia nel mese di maggio e poi il Tour de France a luglio, mettendo a segno un’impresa sportiva che ancora oggi, molti campioni delle due ruote, cercano invano di imitare (dopo Alberto Contador e Nairo Quintana, ci ha provato inutilmente anche il fuoriclasse Christopher Froome). Quella del pirata, il soprannome che lo ha sempre identificato, è una storia ormai cono-
sciuta da tutti, amanti della bicicletta e non. Spesso associata ingiustamente a fatti di cronaca, che poco centrano con lo sport ed in particolare con il mondo del ciclismo. Perché, prima di essere un uomo con tutte le debolezze del caso, Marco Pantani è stato un campione che ha dimostrato sulla strada il suo valore entrando nel mito grazie sopratutto a quelle imprese che hanno emozionato milioni di appassionati. E per quanto gli anni possano sembrare un giudice implacabile, oggi come allora, rimangono le sue montagne a fare da cornice perfetta a quello che a maggio diventa il palcoscenico naturale perfetto per tutti i grandi campioni del ciclismo. Perché il Giro d’Italia come il Tour de France e la Vuelta d’Espana, fanno parte della nostra storia. Ad essi sono associati fatti ed eventi che hanno segnato il corso delle stagioni, per non parlare delle immagini che racchiudono un fascino unico ed indescrivibile. Nel secondo dopoguerra, fu proprio la vittoria del grande Gino Bartali sulle salite transalpine a ridare speranza al nostro Paese martoriato dai conflitti interni, per non parlare della sua storica rivalità con Fausto Coppi immortalata per sempre nell’indimenticabile fotografia del passaggio di borraccia. E tutti lì a chiedersi chi avesse compiuto il gesto, come dei veri tifosi pronti a simpatiz-
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zare per l’uno o l’altro campione. Perché il ciclismo è questo, l’essenza stessa della vita racchiusa nelle gesta di uomini che sulle salite più arcigne hanno impresso le loro vittorie più belle, diventando con il passare degli anni l’emblema stesso dello sport. E proprio ripercorrendo le orme di questi giganti, che oggi riviviamo grazie agli
articoli del maestro Gianni Mura, le imprese dello scalatore romagnolo soffermandoci sulle salite e le montagne che lo hanno visto trionfare negli anni. Era il 1994, quando il Pirata si fece notare per la prima volta sulle nostre strade. In una calda e anomala giornata di fine maggio, al Giro d’Italia si scalava il terribile Passo del Mortirolo
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(ancora oggi considerata la Montagna Pantani per antonomasia). In maglia rosa c’era il russo Evgenij Berzin (che a sorpresa andrà ad aggiudicarsi quella edizione della corsa a tappe), mentre alle sue spalle il campione spagnolo Miguel Indurain provava a tenergli testa in un duello per nulla scontato. Sulle prime rampe della salita, succede però quello che non ti aspetti. Un piccolo scalatore (vincitore della frazione del giorno prima), scatta all’improvviso sui pedali e in meno di trenta secondi fa il vuoto alle sue spalle. Dopo qualche chilometro, tutti i pronostici vengono ribaltati e per quanto difficile da credere, il campione Miguel Indurain va per la prima volta in seria difficoltà. La maglia rosa riesce comunque a limitare i danni, anche se al traguardo di tappa pagherà dazio al giovane Marco Pantani che suo malgrado, nonostante l’impresa di giornata, arriverà poi secondo nella classifica finale di quel Giro d’Italia. L’anno successivo, lo scalatore romagnolo causa un infortunio, disputerà solo il Tour de France. Non riuscirà a bissare il podio dell’anno prima, eppure chissà per quale motivo, entrerà lo stesso nei cuori dei tifosi transalpini con un’impresa sportiva ancora oggi celebrata ed osannata. Perché quel caldo giorno di metà luglio, alla Grand Boucle si scalava la mitica
Monumento dedicato a Pantani sul Col du Galibier. Fonte: www.Gazzetta.it Giro d'Italia 1998 (Montecampione) - Marco Pantani
successo al Giro D’Italia nel 1996. In uno scontro faccia a faccia epico, Marco Pantani negli ultimi chilometri della salita che porta a Plan di Montecampione, riesce a liberarsi finalmente del suo avversario andando a cogliere la sua prima vittoria in maglia rosa (da applausi la telecronaca a tal proposito dello storico commentatore Rai Adriano Dezan). Per tutti gli appassionati e i tifosi del Pirata è finalmente la consacrazione definitiva del campione. Ma come nelle grandi storie succede che, a pochi giorni dalla gloriosa vittoria del Giro d’Italia, il patron della squadra che tiene sotto contratto Marco Pantani muore, e lo scalatore romagnolo si sentirà in dovere di andare a correre per onorare la sua memoria anche il Tour de France. Nonostante i pronostici sono completamente a suo sfavore, il ciclista tenta lo stesso l’assalto alla maglia gialla indossata con spavalderia dal campione tedesco Jan Ullrich, pronto a bissare il successo dell’anno precedente. In una giornata da leggenda (con tanto di pioggia copiosa nonostante fosse luglio),
i Luoghi dello Sport
Alpe D’Huez e quello stesso giorno Marco Pantani scatterà in faccia ai suoi avversari, andando a riprendere ad uno ad uno tutti i fuggitivi arrivando a braccia alzate sul traguardo finale di tappa (la stessa cosa succederà nel 1997 in una doppietta che ancora oggi mette i brividi). Ma per l’apoteosi vera, quella che lo consacrerà per sempre nell’olimpo del ciclismo, dobbiamo aspettare ancora un anno. Era infatti il 1998, quando Marco Pantani prende di nuovo parte al Giro d’Italia. I pronostici della vigilia non gli vanno incontro, perché secondo gli appassionati, il vero favorito per la maglia rosa di quell’anno è lo svizzero Alex Zulle. Eppure sulle prime rampe che salgono sul famoso Passo Fedaia (La Marmolada), succede l’imprevedibile. Lo scalatore romagnolo scatta sulle arcigne pendenze e in pochi minuti fa il vuoto, mettendo in difficoltà tutti i suoi avversari. A fine giornata la classifica viene completamente ribaltata e il favorito della vigilia, dovrà addirittura ritirarsi da lì ad un paio di giorni. A quel punto l’avversario principale diventa Pavel Tonkov, il russo che aveva centrato il
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Marco Pantani a metà salita del terribile Col du Galibier, scatta in faccia al suo avversario che rimane impassibile. In breve tempo i secondi guadagnati, si trasformano in minuti e il distacco in classifica generale si accorcia fino al traguardo di tappa dove, lo scalatore romagnolo (con tanto di bandana in quell’occasione), vincerà a braccia alzate e si prenderà tra l’entusiasmo dei tifosi, la maglia gialla portandola fino a Parigi. Da quel momento, inizia la leggenda del Pirata! Perché quello che succede dopo non importa, e nonostante gli anni e alcune vittorie prestigiose (la famosa scalata al Santuario d’Oropa nel 1999 con il salto di catena e il testa a testa sulle rampe del mitico Mont Ventoux con Lance Armstrong), negli occhi dei tifosi rimane fissa ed indelebile quell’immagine in particolare. Quella appunto di un campione mai domo, bagnato e stravolto dalla fatica, che sotto la pioggia battente fa un piccolo sospiro di sollievo mentre alza le braccia al cielo in segno di vittoria.
Marco Pantani Cesena, 13 gennaio 1970 Rimini, 14 febbraio 2004
Galibier Come se non bastasse piove E questo complica di molto le cose. Siamo rimasti un pugno di uomini Su questa strada che si inerpica verso l’alto. Sui nostri visi si legge la fatica Mentre gli occhi sono fissi sull’asfalto bagnato. Una lingua nera che non finisce mai E sale su Sempre più su. Non c’è più tempo per pensare Bisogna agire! Prendere il coraggio tra le mani E lanciarsi a capofitto in avanti. L’istinto mi ordina di partire La ragione invece di aspettare. Ma chi aspetta non entra nella leggenda. E qui signori miei Si fa la storia del Tour! Quindi Forza Marco È arrivato il momento di darsi da fare Alzare le gambe e scattare! Perché i tifosi non aspettano altro. Perché la gloria è effimera La gloria è istantanea. Bisogna coglierla al momento giusto. Dopotutto gli Eroi non esistono Esistono solo gli uomini E questa maledetta salita Che non finisce mai E si chiama Galibier!
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reportage fotografico di Antonio Giannini
SANNIO PASSO DOPO PASSO TRA I MONTI Antonio Giannini
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dove è nata l’idea di una nazione chiamata ITALIA
”
GIROVAGANDO
P
ercorrendo i sentieri dell’Alto Sannio, scenario dopo scenario, borgo dopo borgo, lentamente, passo dopo passo, siamo stati conquistati dalla struggente bellezza di quello scrigno naturale che è il cuore del Molise. Siamo entrati in punta di piedi per non rompere quella quiete sospesa e ci siamo sentiti spesso come osservati da uno sguardo arcano e misterioso che ci seguiva costantemente tra i monti, le valli e gli altipiani.
A volte il nostro andare era accompagnato dal sottofondo sonoro di un corso d’acqua che riproduceva in alcuni tratti il tintinnio metallico di sonagli mossi dalla brezza. La sospensione del tempo e il suo dilatarsi ci spingeva in una dimensione dove avvertivi la sua stessa irrilevanza e quella della meta da raggiungere. Vivendo l’esperienza straordinaria dell’armonia tra il corpo, l’ambiente circostante e la mente, in un continuo qui e adesso, percepivi, con un cer-
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GIROVAGANDO
reportage fotografico di Antonio Giannini
to senso di frustrazione, quanta vita sprechiamo in attività spesso futili e ripetitive che ci portano inevitabilmente su binari morti dell’esistenza. E pensi al frenetico menarsi in nome della produzione mai sazia di beni che spesso sono poveri surrogati delle cose di cui abbiamo veramente bisogno. Camminando tra quei monti silenziosi e non violentati dal turismo di massa, non puoi fare a meno di sentire la tua esistenza funzionale alla sola natura ed al suo continuo rinnovarsi. Sorpresi dal nostro passaggio, sparute mandrie ci hanno accompagnato con sguardi impassibili fino all’ultima svolta prima di scomparire alla loro vista, per trovarsi di nuovo in altri spazi e scenari. Ed è in uno di quelli che, alzando lo
sguardo verso levante, sulla sommità di una collinetta oblunga, in controluce, si è rivelata in tutta la sua bellezza l’immagine di un gregge allineato lungo il crinale seguito dal pastore. Sullo sfondo, l’azzurro del cielo interrotto qua e la da gruppi compatti di nuvole basse evidenziava, ancora di più, quelle sagome bordate da un leggero, dorato riflesso di luce , completando una scena, immagino, immutata nei secoli e nei millenni. I cani pastore, più a valle, rompendo il silenzio con il loro abbaiare, ci tenevano a debita distanza. Tutto meraviglioso sui passi della transumanza, tra il Sagro e il Trigno , sui tratturi dove da sempre si è consumata la storia dei Sanniti, dei Pentri, dei Marsi e tanti altri
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reportage fotogrfico di Antonoi Giannini
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reportage fotografico di Antonio Giannini
popoli che si sono riconosciuti in quella natura selvaggia e misteriosa. Luoghi teatro di epiche battaglie contro Roma combattute da gente valorosa per difendere la libertà e per realizzare il sogno di una nazione unita e libera denominata ITALIA. E’ li che è stato coniato quel nome. Isernia, Pesche, Miranda, Carovilli, Vastogirardi, Capracotta, Agnone in ognuno di questi borghi e Paesi abbiamo potuto riconoscere quell’intimità ed umanità tipica di chi dell’ospitalità disinteressata ne fa una ragione di vita perché vede nel viandante forse un estremo appiglio per non essere dimenticati. E’ stato emozionante per un Pugliese come me aver riconosciuto nei tratturi il segno millenario del forte legame storico ed economico che unisce il Sannio e la Daunia. Lungo quei tratturi si è svolta l’esistenza di intere generazioni di pastori nella continua lotta per la sopravvivenza anche quando quell’attività, e con essa la transumanza tra montagna e pianura, diventò fonte di ricchezza dei potenti.
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GIROVAGANDO
https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Campobasso_Campanile_S._Bartolomeo.jpg Emmin (E. Minardi) / Public domain
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NON TI MUOVERE. IL MOLISE È UNA BELLEZZA MOZZAFIATO Stefano Cambò
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Per i luoghi del cinema a spasso tra i set del film diretto da Sergio Castellitto
”
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olto spesso il cinema attinge a piene mani dal mondo della letteratura contemporanea, per far rivivere su pellicola storie ed emozioni di solito impregnate nel profumo della carta stampata o nei fogli che svolazzano liberi sotto l’effetto di una piacevole brezza primaverile. Quasi sempre il risultato non è mai
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all’altezza del romanzo a cui si riferisce e tolte alcune rare eccezioni, i critici e i nostalgici preferiscono di gran lunga l’occhio poetico dello scrittore a quello asciutto e freddo del regista, nonostante la materia presa in esame sia praticamente la stessa. Se poi si va a toccare un grande capolavoro, magari letto e conosciuto da tut-
I luoghi del cinema
rally Carlo Caponediretto da Matteo Rovere liberamente ispirato
Un immagine del film “Non ti muovere” di e con Sergio Castellitto e Penelope Cruz
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ti, allora il compito si fa ancora più arduo se non addirittura impossibile, perché le aspettative riposte diventano tante e troppo esigenti. Eppure ci sono dei casi particolari in cui, la messa in atto su pellicola di una storia raccontata su carta, riesce ad eguagliare se non a superare la bravura dello scrittore o della scrittrice che l’ha creata. E questo grazie sicuramente ad alcuni fattori determinanti quali la scelta degli attori, il taglio della sceneggiatura e le locations scelte per l’ambientazione. Come accaduto, per esempio nel 2004 con il film “Non ti muovere” di Sergio Castellitto. In quell’occasione il regista romano ha voluto omaggiare il romanzo omonimo scritto da Margaret Mazzantini (sua moglie nella vita di tutti i giorni), con una pellicola in grado di far rivivere e trasmettere in pieno le emozioni e gli stati d’animo dei personaggi raccontati su carta. La storia, proprio come descritto nel libro, inizia con un incidente stradale e un chirurgo frustato ed infelice sposato con Elsa (interpretata dalla magnetica Claudia Gerini) che si rifiuta di operare, a causa dello shock provato, la sua stessa figlia vittima dello schianto appena avvenuto. Durante l’attesa Timoteo, il protagonista interpretato da Sergio Castellitto, inizia a viaggiare con la mente nel tempo e a ricordarsi di un incontro speciale avvenuto quindici anni prima con Italia, una giovane extracomunitaria, inter-
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Basilica Minore Addolorata-Castelpetroso, (Fonte: pag. Facebook Basilica Minore Addolorata-Castelpetros)
pretata magistralmente da Penelope Cruz (vincitrice del David di Donatello come migliore attrice protagonista), con la quale inizia un’intensa e tormentata relazione amorosa. Da quel momento si ripercorreranno tutte le vicende che hanno segnato la storia di questi due personaggi, trascinando lo spettatore in un vortice di emozioni e ricordi fino al finale strappalacrime. È innegabile che la forza del film (e di conseguenza anche del romanzo) è legata indissolubilmente al personaggio di Italia, una giovane ragazza di origini albanesi, trapiantata in Molise che per aspetto e configurazione si adatta alla fisionomia e all’esuberanza di Penelope Cruz, entrata perfettamente nella parte grazie anche ad un uso strategico dell’accento che da sempre la contraddistingue. Altro particolare da non sottovalutare sono le suggestive locations molisane scelte dal regista per ambientare alcune vicende della storia, in particolare quelle che riguardano il rapporto tormentato tra i due protagonisti principali. Infatti, gran parte delle scene sono state girate a Bojano in provincia di Campobasso (tra cui anche quelle del disperato intervento chirurgico durante il quale Timoteo cerca inutilmente di salvare la vita ad Italia). Si tratta di un antico centro
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Sepino, Altilia, foto d’Archivio dell’Associazione Me.MO Cantieri Culturali (FB)
che ha visto transitare nel suo glorioso passato, prima il popolo dei Sanniti, poi quello dei Romani che ne fecero una delle roccaforti dell’Impero ed infine quello dei Longobardi con l’edificazione del Ducato di Benevento. Tra gli edifici di spicco di Bojano vi sono la Cattedrale di San Bartolomeo, costruita dal conte Ugo di Molise su un edificio preesistente distrutto da un terremoto nel XI secolo, la Chiesa di Sant’Erasmo, con testimonianze del Medioevo e dei periodi successivi e la Chiesa di Santa Maria del Parco nei pressi della porta antica di Santa Maria. Altri luoghi simbolo di Bojano sono l’Eremo di S.Egidio (a 1025 mt sul massiccio matese) edificato presumibilmente intorno al IX secolo ad opera dei Cistercensi o dei Templari e il borgo antico di Civita Superiore, adagiato su un colle alla cui sommità è ben visibile ciò che resta del castello medievale. Per chi volesse salirci, si consiglia un abbigliamento sportivo e la macchina fotografica per catturare gli angoli più suggestivi, con i caratteristici vicoli che si intravedono tra le vecchie costruzioni ancora ben conservate. A pochi chilometri dal paese, e più precisamente nel territorio del comune di Castelpetroso, è possibile inoltre recarsi in visita ad una delle basiliche più belle e apprezzate d’Italia. Si tratta infatti del Santuario della Santissima Addolorata, un maestoso edificio progettato da Giuseppe Gualandi alla fine del 1800, raggiunto anche da Papa Francesco nel 2014 durante una visita pastorale con i giovani d’Abruzzo e del Molise. Questa imponente costruzione mostra tutto il suo splendore sia per la facciata esterna, che sembra essere uscita direttamente dal mondo delle fiabe, sia per l’interno dove si custodisce gelosamente un organo a canne creato appositamente nel 1993 dai fratelli Ruffatti. Per ritornare al film, oltre a Bojano, sono
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Sepino, Altilia, foto d’Archivio dell’Associazione Me.MO Cantieri Culturali (FB)
stati coinvolti anche i centri di Fossalto e Campobasso con tre giorni di riprese presso il Motel Roberto a Castropignano, dove i protagonisti si fermano per mangiare un boccone e dormire in una delle stanze disponibili (ed è proprio qui che Italia avrà il suo primo malore). Altro scorcio inconfondibile è quello che affianca l’auto di Timoteo lungo il passaggio all’interno di Sepino tra gli antichi scavi di Altilia, la piccola città romana del I secolo d.C. incastonata lungo le pendici del Matese ed uno dei siti archeologici più importanti del Molise. Entrando da Porta Bovianum, l’unica che ancora conserva il suo splendore architettonico, con i due germani fatti prigionieri e incatenati, si percorre il decumano dotato di basoli pedonali rialzati per evitare di bagnarsi i piedi (ricorda in parte le antiche strade di Pompei) e si arriva nella suggestiva piazza del foro, da dove si può aspettare, magari baciati dal sole di un caldo pomeriggio estivo, il passaggio delle mucche che, come in una nuova transumanza, escono dalla città dopo aver pascolato sui prati che ricoprono le aree ancora non scavate. Perché tutta la bellezza degli scavi di Altilia è proprio racchiusa nei segni ancora ben visibili della vita quotidiana appartenuta al passato romano con le fontane, la fullonica, il macellum (il vecchio mercato della carne e del pesce), le terme, il teatro, le botteghe e le abitazioni. E con questa meraviglia legata alle nostre radici, lasciamo Sepino e gli altri luoghi del Molise che hanno fatto da sfondo alle vicende narrate nel film Non ti muovere di Sergio Castellitto con una frase estratta da una lettera scritta nel 1846 dallo storico Theodor Mommsen durante il suo viaggio tra gli scavi di Altilia e che racchiude perfettamente il senso di quanto detto fino ad ora: Tutto l’agro è ancora intatto, così come lo sono le porte della città, tanto che una di essa ha ancora l’arco intero… Macerie ed iscrizioni sono sparse dovunque, come dappertutto vi sono colonne. E questo sicuramente un luogo unico!
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Foto di Mario Cazzato
PER LA STORIA DELLE EPIDEMIE Mario Cazzato
“
Rileggendo i libri antichi... La peste nel Salento
Salento Segreto
a cura di Mario Cazzato
”
A
ffrontare quest'aspet- quella del Decamerone, per to oggi sembra ovvio, capirci. La prima peste nota ma vi assicuro che in è quella del 1446 che a Lecmerito, come materiale di ce in due anni fece 14 mila studio c'è poco. E questo vittime: una tragedia, la città non per mera curiosità ma, fu liberata quando apparve per esempio, verificare la un angelo luminoso, apparicostanza nel corso dei zione che convinse a secoli di alcuni atteggia- costruire la chiesa di Santa menti umani, per primo il Maria della Luce. Peste fu ricorso al sacro e ai santi in nel 1478 e soprattutto dopo particolare perché si era più il 1480 che colpì tutta la in confidenza. Non abbiamo provincia che si ribellò notizie sulla peste del 1348, all'aumento delle tasse
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guarda caso. Nel 1485 si contarono 12 mila decessi. Nel 1520 sembrò decimare i leccesi fino a quando decisero di costruire in onore di S. Sebastiano l'omonima chiesa. La peste ci fu sicuramente a Taranto nel 1523 e nel 1527 a Mesagne, ne parla il medico mesagnese E. Ferdinando nel suo libro "Aureus de peste libellus" che contiene una serie di avvertimenti, per esempio lavarsi le mani con aceto e medicamenti che oggi ci fanno sorridere ma che erano accettati dalla scienza ufficiale. Ovviamente sappiamo tutto sulla peste del 1656 che segnò l'affermazione del culto di S. Oronzo: a proposito della sua tipica iconografia, sulla sx del santo volteggia l'angelo della peste che con la spada fiammeggiante scaccia la peste raffigurata come una orribile vecchia. Molto sappiamo della peste detta di Conversano del 1690 che risparmiò Lecce grazie pure
ad una serie di provvedimenti tra cui la chiusura della 4 porte. Prima nel 1679 una grave carestia aveva innescato una non meglio precisata malattia che provocò ben 2 mila morti. Nel 1712 la malattia colpì gli animali e il focolaio fu individuato a Carmiano. Da Napoli arrivò la ricetta: succo di cipolle bianche, vino con ruta, sale rosso ecc. Nel 1728 un'altra epidemia ridusse i più poveri a dormire sotto i portici o vicino alle chiese, stremati e dimagriti. E potremmo continuare notando, per esempio, l'efficacia dei cordoni sanitari marittimi come quello del 1743 (la peste di Messina) dimostra. A Lecce quasi sempre si portava in processione il protettore e si dispensava agli ammalati l'olio della sua lampada in cattedrale. Altro episodio è quello dei lazzaretto provvisori per la quarantena allestiti nelle località marine come Gallipoli dove il controllo era severissimo. E
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chiudiamo in bellezza. Nel corso del colera del 1884 il sindaco Panzera chiuse le porte onde il popolo cantò: OH QUANTA È BELLA LECCE/NU BBENE LU CULERA/LU SINDACU PANZERA/HA CHIUSU LA CETA',RICCIU-RICCIU LARIULALA'. e poi pensiamo che ce l'abbiamo sempre fatta, ci siamo sempre rialzati qui e altrove.
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