a Laurenzana
Da Sud a Nord le mostre, chiuse al pubblico, aprono virtualmente le porte sul web
Inedito confronto tra gli artisti: Todisco che guarda la pittura di Caravaggio
Anno XV - n 12 dicembre 2020 -
arte onLine
anno 153 numero 12 dicembre 202 0
maradona
omaggio ad eduardo de fiLippo
i Luoghi deL cinema
Nell’anniversario dei 130 anni dalla nascita, in onda sulla Rai il film di Natale in casa Cupiello
I portici di Bologna e i luoghi dei set dei film del regista Pupi Avati
primo piano
le novitĂ della casa
IL RAGGIO VERDE EDIZIONI
ilraggioverdesrl.it
EDITORIALE
Murales di Maradona ai Quartieri Spagnoli, foto di Ferdinando Kaiser, 2020 ©
Proprietà editoriale Il Raggio Verde S.r.l. Direttore responsabile Antonietta Fulvio progetto grafico Pierpaolo Gaballo impaginazione effegraphic
Redazione Antonietta Fulvio, Sara Di Caprio, Mario Cazzato, Nico Maggi, Giusy Petracca, Raffaele Polo
Hanno collaborato a questo numero: Lucia Accoto, Susana Alves, Dario Bottaro, Giovanni Bruno, Stefano Cambò, Francesco Canale, Simona Carloni, Elena Ciani, Mario Cazzato, Dario Ferreri, Ferdinando Kaiser, Andrea Matacena, Giusy Gatti Perlangeli, Fabio Placì, Ambrogio Scarpato, Luigi Scarpato, Sara Foti Sciavaliere, Raffaele Polo, Marco Tedesco Redazione: via del Luppolo, 6 - 73100 Lecce e-mail: info@arteeluoghi.it www.arteeluoghi.it
Iscritto al n 905 del Registro della Stampa del Tribunale di Lecce il 29-09-2005. La redazione non risponde del contenuto degli articoli e delle inserzioni e declina ogni responsabilità per le opinioni dei singoli articolisti e per le inserzioni trasmesse da terzi, essendo responsabili essi stessi del contenuto dei propri articoli e inserzioni. Si riserva inoltre di rifiutare insindacabilmente qualsiasi testo, qualsiasi foto e qualsiasi inserzioni. L’invio di qualsiasi tipo di materiale ne implica l’autorizzazione alla pubblicazione. Foto e scritti anche se pubblicati non si restituiscono. La collaborazione sotto qualsiasi forma è gratuita. I dati personali inviateci saranno utilizzati per esclusivo uso archivio e resteranno riservati come previsto dalla Legge 675/96. I diritti di proprietà artistica e letteraria sono riservati. Non è consentita la riproduzione, anche se parziale, di testi, documenti e fotografie senza autorizzazione.
Sarà un Natale diverso, non giriamoci intorno. Le cose sono cambiate, la pandemia ha stravolto le nostre vite a livello globale ed è ancora tutta in salita la strada della ripresa. Consapevolezza e rinunce, dolorose, si sa, e questo Natale ci apprestiamo a trascorrerlo lontano dai nostri cari, chiusi in casa, ritenendoci fortunati che il virus ci abbia risparmiato. I mille morti, nel solo giorno di ieri, sono un dato inequivocabile. Ma bisogna reagire ed essere positivi, non al Covid, ma alla fiducia e alla speranza altrimenti sarà stato inutile il dolore e lo spaesamento che abbiamo vissuto in questo 2020. Dobbiamo mettercela tutta per affrontare e salutare il nuovo anno in un modo che mai avremmo lontanamente immaginato appena un anno fa... Tanti sono stati i personaggi che ci hanno lasciato, e chiedo venia per il campanilismo, ma non potevo non dedicare la copertina a Maradona ripercorrendo il suo passaggio a Napoli, spiegando l’amore reciproco della città e del campione che ancor oggi “rivive” nei tanti murales disseminati nella città, nelle bandiere che dal quel lontano 1984 sventolano allo stadio... Ringrazio l’amico Raffaele Polo per aver raccontato Maradona dal suo punto di vista e i tanti collaboratori che ogni mese contribuiscono a rendere interessante la rivista. Ringrazio, invitando a leggere i loro articoli e reportage, Lucia Accoto, Dario Bottaro, Giovanni Bruno, Stefano Cambò, Mario Cazzato, Dario Ferreri, Antonio Giannini, Giusy Gatti Perlangeli, Sara Foti Sciavaliere, Marco Tedesco. E la squadra intera con Giusy Petracca, Sara Di Caprio, Stefano Quarta, Nico Maggi. Un ringraziamento particolare va all’artista Giancarlo Montelli grande sostenitore di Arte e Luoghi così come all’artista Francesco Zavattari e allo scrittore Walter Cerfeda e, ancora, ai tanti sostenitori come Maria Assunta Russo, Peppe Guida, Enzo De Giorgi, Anna Paola Pascali e chiedo scusa se, commuovendomi, sto dimenticando qualcuno. Diamoci virtualmente appuntamento a Natale, magari davanti al tv per assistere alla trasposizione filmica di “Natale in casa Cupiello” uno dei capolavori di Eduardo, attraverso la magia del presepe e alla tragedie della vita fermiamoci a riflettere sul valore dell’umanità. E ritroviamoci. Buon anno! (an.fu.)
SOMMARIO Luoghi|eventi| itinerari: girovagando |Siracusa in festa per la sua Santa 66 |pianura padana verso il delta del po 80 arte: maradona un mito nella città del mito 4 |todisco e la chiesa della Laurenzana 22 |dai luoghi ellefoni a Biella le mostre riaprono sul web108 i luoghi della parola: | maradona un pezzo di storia 18 | Sulle tracce dell’identità 41 curiosar(t)e: L’enigma Jon Jaylo 44 | musica: cupido non fare lo stupido 21 | due inediti di mia martini 113 | La reunion del Quartiere coffe 123 interventi letterari|teatro aspettando il natale in tempo di pandemia 56 | romeo e giulietta negli ater 64 | L’attesa e la gioia 98 | natale in casa cupiello 111 Salento Segreto 124 cinema il natale pupi avati e gli storici portici di Bologna 114 | zavattini live 112 | natale in casa cupiello 111 Libri | Luoghi del sapere 100-106 |#ladevotalettrice 100 | #dal Salentocafè 106 i luoghi nella rete|interviste| diversità è ricchezza 32 | XVi giornata del contemporaneo a roma capitale 54 Numero 12- anno XV - dicembre 2020
Maradona fa il suo ingresso in un San Paolo gremito per la presentazione come nuovo acquisto del Napoli, 5 luglio 1984
maradona e napoLi, un mito neLLa città deL mito Antonietta Fulvio
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è morto a Buenos Aires il 25 novembre 2020 Diego Armando Maradona il pibe de oro. Napoli e il mondo lo piange
”
NAPOLI. Un mito nella città del mito. Dalla polvere di Villa Fiorito, nella provincia di Buenos Aires, all'erba del San Paolo a Napoli...da Sud a Sud... e in mezzo il sogno e il riscatto di una città che ha amato, che ha scelto e non ha mai tradito. Dall’azzurro di Napoli all’azzurro del cielo. Ci ha lasciato il 25 novembre, lo stesso giorno di Fidel Castro, Diego Armando Maradona legando a doppio filo, anche con la sua morte, due capitali del Sud, la Buenos Aires delle origini e la Napoli della rinascita. Perché a Napoli Maradona rinacque re. Re dei lazzari felici di aver trova-
to in lui il nuovo Masaniello quello che ebbe il coraggio di schierarsi contro il sistema dalla parte dei più deboli. Lui, il calciatore dal talento irripetibile, lui il rivoluzionario capace di trasformare il calcio in opera d’arte disegnando traiettorie impossibili, sfidando leggi di gravità con quel suo sinistro capace di far gonfiare la rete. Lui re degli scugnizzi, del popolo di una città da sempre messa all’angolo, dilaniata dal terremoto e dalle lunghe mani della camorra sempre pronta ad insanguinare le sue strade a sporcarla e a farla sbattere sempre in prima pagina come un mostro,
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Murales ai Quartieri Spagnoli ideato da Mario Filardi per il secondo scudetto del Napoli, restaurato poi da Iodice e dallo street artist argentino Francesco Bossoletti nel 2017, foto di Ferdinando Kaiser ©
una città perduta e irrecuperabile. E lo comprese immediatamente. «Ci ricevettero con uno striscione che mi aiutò a capire di colpo che la battaglia del Napoli non era solo calcistica: “Benvenuti in Italia” diceva. Era il Nord contro il Sud, i razzisti contro i poveri». E si schierò in difesa della città. Sempre. E forse è per questo che i napoletani lo amarono subito, per la prima volta qualcuno che avrebbe potuto andare in qualsiasi club blasonato aveva scelto invece un’anonima città che calcisticamente non contava niente. Una città che in tanti ancora oggi, purtroppo, e nonostante le campagne contro il razzismo e l’omofobia, si augurano che il Vesuvio la faccia esplodere e la ricopra di lava ardente... riversando odio su una città ferita che chiede da sempre solo amore e cura. Diego e Napoli, una lunga e infinita storia d'amore. E chest’è, avrebbe detto De Crescenzo. Anche in una delle sue ultime interviste, rilasciate in occasione del suo sessantesimo compleanno aveva detto: «E se è vero che non c’è due senza tre, vorrei che un altro scudetto lo vincesse presto pure il Napoli. Lo seguo. Mi piace. Caro Gattuso, vai avanti così: con la tua grinta e la tua capacità
di fare calcio. Faccio il tifo per te e voglio dirti una cosa: c’è gente che si vanta di aver giocato nel Barcellona, nel Real Madrid, nella Juventus. Io mi vanto e sono orgoglioso di aver fatto parte del Napoli.» Ecco perché oggi i napoletani piangono il suo campione, perché Maradona raccolse i cocci di questa città distrutta e le regalò più di un sogno. Risvegliò il sopito orgoglio partenopeo, in un tempo in cui stava germogliando quello che sarebbe diventato il Rinascimento napoletano con una vivacità artistica senza pari grazie ad artisti come i fratelli Edoardo ed Eugenio Bennato, Pino Daniele e Massimo Troisi che non a caso divennero suoi amici. Diego restituì ai napoletani il senso di appartenenza ad una città dalla cultura millennaria, che va amata e non disprezzata, un senso di appartenenza che passa inevitabilmente dal colore azzurro della maglia della sua squadra di calcio, più di uno sport uno status quo nella città che sa declinare sacro e profano mettendo sullo stesso piano il santo protettore e il calciatore. La sua maglia era la numero 10. E con quel numero ha fatto sognare intere generazioni, padri e figli e nipoti che si sono passati il testimone, gli aneddoti, i cimeli,
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Storie l’uomo e il territorio
Altarino a Maradona con sacro capello miracoloso. Oggi rimosso. Esterno Bar Nilo, Largo Corpo di Napoli (foto del 2007), foto di Luigi Scarpato ©
l’amore per il campione che “era uno di noi“. Perché anche se era nato in Argentina, Diego da quel 5 luglio 1984, quando entrò acclamato dagli ottantamila assiepati allo stadio divenne napoletano verace, figlio di Partenope. E gli bastò una frase. «Voglio diventare l’idolo dei ragazzi poveri di Napoli, perché loro sono come ero io a Buenos Aires». Ricordo ancora il boato che si sentiva dalla casa di mia madre, in quei giorni preparavo l’esame di maturità al liceo e le strade di Napoli si erano vestite a festa in quella calda estate piena di promesse. E Diego, le sue le ha mantenute. Due scudetti (19861987/1989/1990), una Coppa Italia (1986-
87), una Supercoppa Italiana (1990), una coppa Uefa (1988-89) e la bellezza del calcio che ancora oggi è un piacere degli occhi rivedere, la lealtà verso i compagni e gli avversari perché Diego giocava in modo sublime e i falli li subiva perché non c’era altro modo per fermarlo in campo. A Barcellona lo avevano quasi massacrato. Ma poi scelse Napoli e qui nella più discussa città del Sud ha scritto le pagine di una storia calcistica irripetibile, segnando un’epoca che per molti di noi è coincisa con la nostra gioventù. è entrato in sintonia con il popolo napoletano, ne ha carpito l’essenza e lo ha amato con slanci di generosità fraterna, come testimoniano
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Maradona in Vico Lungo Gelso nei Quartieri spagnoli (foto del 2019), foto di Luigi Scarpato ©
anche i tanti episodi volutamente tenuti nascosti perché come recita un detto napoletano “il bene si fa e non si dice». Perciò non meravigliatevi se al pari di Totò, Eduardo, Massimo, Pino, Luciano lo troverete nel tessuto urbano, parte integrante di una città che lo ha accolto e non lo ha lasciato più, neanche quando è dovuto andar via. Ogni quartiere a Napoli ha da qualche parte l’effige del calciatore che è diventato l’icona del calcio mondiale e al tempo stesso vessillo di Napoli e non solo del Napoli. Perché qui l’i-
dentificazione è totale. Curioso pensare a quei cinquecento e più bambini che nei magnifici sette anni con la squadra partenopea furono chiamati come lui, due addirittura anche con nome e cognome per esteso... esternazioni d’affetto che solo a Napoli possono succedere perché, in fondo sarà colpa del Vesuvio, questa nostra calorosa esuberanza... Da edicola votiva con lacrime napulitane in una installazione del 2007 al Bar Nilo nei pressi del Largo Corpo di Napoli, poi rimossa, ai tanti murales disseminati nei
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Maradona con il saio angolo via San Biagio dei Librai, foto di Ferdinando Kaiser Š
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vicoli del cuore antico per non parlare delle foto nei locali e le statuine del presepe nate dall’estro dei maestri artigiani di San Gregorio Armeno. Immagini e persino segnaletiche per indicare i suoi luoghi. Singolare è a tal proposito la storia del murales ai Quartieri spagnoli realizzato da Mario Filardi che nell’arco di due notti, sotto le luci accese dei fari delle auto degli amici del rione, disegnò il campione, che aveva regalato il secondo scudetto al Napoli, in versione fumettistica. Verso la fine degli anni Novanta l’apertura di una finestra abusiva e il deterioramento avevano scolorito il volto del pibe de oro e lo stesso Mario si propose di restaurarlo dipingendo sulla finestra. Ma non riuscì a realizzare quel sogno, scomparve improvvisamente nel 2010. Nel 2016 dell’opera restava ormai un alone scolorito ma grazie all’impegno dell’artista Salvatore Iodice, anche lui del Quartiere, il murales fu restaurato mantenendo la struttura compositiva dell’opera originale e riuscendo ad ottenere dal nuovo proprietario il permesso di dipingere la tapparella in modo da ricostruire il volto del campione rispettandone lo stile fumettistico. Nel 2017, infine, lo street artist argentino Francesco Bosoletti, impegnato nella realizzazione del murales della Pudicizia del Corradini (una delle statue della Cappella di San Severo), sempre in via De Deo nell’ambito di un progetto di riqualificazione urbana, restaurò il murales lasciando intatto il resto del corpo ma dando ai lineamenti
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In questa pagina: Maradona e i suoi nipoti, in via San Gregorio Armeno, foto di Luigi Scarpato (2019)©
veglia in un abbraccio ideale con la gente di Buenos Aires e con il mondo intero che lo piange. Nelle ore che sono seguite alla notizia della sua scomparsa, striscioni, fiori, sciarpe, cartelli, disegni di bambini che non lo hanno mai conosciuto se non attraverso i racconti dei nonni, in una processione senza fine sono stati depositati al San Paolo che muterà il suo nome in Diego Armando Maradona. Si chiuderà così il cerchio di quel tributo iniziato nel 2017 quando il 5 luglio il sindaco Luigi De Magistris lo nominò cittadino onorario di Napoli. Ne gennaio di quello stesso anno, il 17, per festeggiare i trent’anni dal primo scudetto per lui si aprirono le porte del tempio del teatro napoletano, il San Carlo. Di quella notte straordinaria tra ricordi ed emozioni in cui il pibe de oro si raccontava e incontrava i compagni di gioco e il suo pub-
Storie l’uomo e il territorio
del viso di Diego una maggiore naturalezza. E tra le tante opere realizzate per rendere omaggio a Maradona il murales dei Quartieri Spagnoli è diventato una vera attrazione per appassionati e semplici curiosi. Diego è ovunque come i grandi figli di questa città. è nel corpo di Napoli. E lo sarà sempre. Perciò lo incontrerete nei Quartieri spagnoli, in via Emanuele De Deo e in Vico Lungo Gelso nel quartiere Montecalvario in vico Lungo e in via Portacarrese dove è raffigurato mentre solleva la Coppa UEFA, a San Giovanni a Teduccio dove l’artista Jorit Agoch lo ha immortalato sulla facciata cieca di una delle palazzine del popoloso comune nella provincia di Napoli est nel suo progetto “Esseri Umani”... fino ad arrivare alla gigantografia incastonata sulla facciata di Palazzo Reale, in piazza del Plebiscito, nella lunga notte di
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Napoli, Quartieri spagnoli, il murales di Leone Perretti realizzato per ricordare la vittoria della Coppa Uefa, foto di Ferdinando Kaiser Š
In basso: Santo Diego, Manifesto in vico Lungo a Montecalvario nei Quartieri spagnoli (2019); "Cartello stradale" in vico Due Porte a Toledo nei Quartieri spagnoli indica la direzione per raggiungere il murale di Maradona (2017), Maradona come Stencil in via Concezione a Montecalvario nei Quartieri spagnolifoto di Luigi Scarpato
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San Giovanni a Teduccio, Essere Umani. Opera di Jorit Agoch, foto di Luigi Scarpato, 2019 ©
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Maradona solleva la Coppa UEFA, via Portacarrese a Montecalvario nei Quartieri spagnoli, foto del 2018 di Luigi Scarpato Š Sotto omaggio dei tifosi in prossimità dello stadio dopo la morte di Maradona (fonte: Napoli S:S.C.)
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Storie l’uomo e il territorio
foto: Andrea Matacena e Ambrogio Scarpato @matacena_ph @ambrogio_scarpato_asdrone
blico resta una vera perla lo scritto dell’attore Gigi Savoia che, a dispetto del nome d’evocazione sabauda, è un napoletano cresciuto alla corte del g r a n d e Eduardo. «Il terremoto aveva aperto crepe sui muri delle case e sui cuori disperati della gente poi qualche anno dopo il 5 luglio 1984 la terra tremò ancora... ma in quel caso l’unica crepa fu un sorriso, come un lampo di gioia che si fermò sulla faccia di tutta la città: un grido, un grido per troppo tempo soffocato nella gola del Vesuvio si libera, assordante, per dar corpo ad un botto di felicità. Gio-
vedì 5 luglio 1984 arriva Diego, che riempie le banche e le bancarelle, s f a m a migliaia di bocche con l’industria della vita che si è attivata nel suo nome, una città tradita dalla storia che finalmente attraverso il calcio poteva prendersi la sua rivincita. Napoli come era in quegli anni in cui anche il grande Eduardo ci aveva lasciato? era piena di problemi, sicuramente aveva passà ‘a nuttata ma con Diego la nuttata sembrava essere passata. La gioia fu così sconfinata che parve essersi ipotecata il futuro». Un discorso che rivedere fa venire ancora
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di più i brividi. E la commozione sale e si scioglie in lacrime come quelle che seguirono tra lo stesso Gigi e Diego in un abbraccio che oggi ha il sapore di un addio. E il tempo corre veloce, tiranno, e il futuro è già passato. E anche Diego se n’è andato ma come il Caravaggio, che a Napoli lasciò alcune tra le sue opere più belle, Diego ha lasciato in ogni cuore napoletano un grande dono: il seme della speranza, del sogno che si può sempre avverare, della possibilità che la vittoria nel campo come nella vita va inseguita e
afferrata. E le parole più belle su Diego le ha scritte un altro napoletano, lo scrittore Erri De Luca, cogliendo il senso del rapporto tra l’idolo e la sua gente: «Napoli ha avuto Maradona non come re, ma come anello al dito, quello nuziale. I re spettano a città monarchiche, Roma, Torino. Napoli città anarchica ha avuto Maradona in dono dall’America del sud, a contropartita dei milioni di emigranti salpati dal molo Beverello per Rio De La Plata. Napoli ha avuto i carati preziosi dei suoi piedi a titolo di restituzione. Maradona le assomigliava.»
Fuori dallo stadio San Paolo la devozione dei tifosi, foto pagina ufficiale fb SSC Napoli
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Maradona segna il "Gol del secolo" contro l'Inghilterra a Messico 1986, Diego Armando Maradona (SSC Napoli) - Supercoppa italiana 1990
maradona un pezzo di Storia Raffaele Polo
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Un personaggio unico e irripetibile
I
n un certo senso, la sua era veramente 'Arte'. Arte pedatoria, certo. Ma sempre di grande importanza e capace di smuovere folle e sentimenti. Se n'è andato, con Maradona, un pezzo di storia, calcistica, cronachistica e.... partenopea. Adesso siamo qui a chiederci, come fa il Manzoni nel '5 maggio', se fu vera gloria. E, attoniti, ripercorriamo
”
una lunga storia che lo ha visto protagonista, indirettamente, anche della nostra esistenza. Dove, tra il 1986 e il 1987, impegnati a Napoli per lavoro, abbiamo assistito all'effetto che la sua notorietà, la sua fama e, insomma, il suo carisma, esercitavano su una popolazione che aspettava, ancora, la possibilità di una sonora rivincita verso i 'Piemontesi'
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che, grazie all'oriundo Garibaldi e alle trame di un Conte di Cavour, erano riusciti a rovesciare la storica casata dei Borbone e a realizzare qualcosa che, ancora oggi, noi Meridionali non ci capacitiamo di come sia potuto avvenire. Sia ben chiaro, l'Unità d'Italia è stata una vittoria di Tutti gli italiani, ce lo dice anche Goffredo Mameli nel suo 'Canto degli italiani'. Ma l'amarezza per questi del Nord che sono venuti a prendersi tutto, ci è rimasta sempre dentro. Fino a quando, grazie a lui, novello Garibaldi, anche il Sud, anche Napoli ha avuto la sua gloria, dopo un secolo abbondante. E lo strapotere delle squadre del Nord (anche qui piemontesi e del Lombardo-Veneto) è stato tacitato, semel in anno, portando la squadra partenopea alla conquista dello scudetto. E la squadra, che ha come simbolo la 'N' di Napoleone, somiglia veramente a quello che fu l'esercito invincibile del francese. Lui, invece, è argenti-
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no e si chiama Diego Armando. è piccoletto e tende alla pinguedine, a vederlo non gli dai nessun credito, soprattutto in uno sport dove dominano i longagnoni e gli 'abatini'. Ma Maradona ha l'innato spirito di chi tratta con tanta naturalezza il pallone, da incantare per le traiettorie che riesce ad ideare. A Napoli, impazziscono per lui. Ricordo di aver visto addirittura i vasi da fiore che rappresentavano il volto e la chioma del calciatore prediletto, di aver notato come tutto, ma veramente tutto, respirasse l'aria della sua dirompente presenza. Anche quando, ormai in declino, la sua squadra non raggiungeva più traguardi di grande prestigio. Ma, se pure ai Mondiali tifammo contro di lui, che con la sua nazionale ci tolse il gusto della finalissima con la Germania e finimmo per fischiare l'inno argentino, appoggiando i teutonici nella loro vittoriosa conquista del titolo, il suo visibile labiale (ci apostrofò figli di put-
particolare del murales dedicato a Maradona Quartieri spagnoli (foto del 2019), foto di Luigi Scarpato ©
tana, detto in spagnolo...) non fece altro che consolidare un legame continuo, pressante, corroborato anche dalle vicende giudiziarie e dal faraonico matrimonio con la bella moglie. Per sublimarsi in alcuni flash che, di fatto, hanno fatto la storia del calcio. Come il gol segnato con la mano agli inglesi, non visto dall'arbitro e anche da quasi tutto il pubblico, il fotogramma lo ritrae così, sospeso a mezz'aria, con la mano attaccata alla testa, a deviare la palla in rete. Che volete, Garibaldi lo vediamo che dice a Teano 'Ecco il re d' Italia' o qualcosa del genere. E la storia poi ci dice che non era Teano, che non si sono stretti la mano e che chissà cosa ha detto Garibaldi. Ma per noi, lui è così, col mantello rosso e il cavallo bianco. E Maradona è lì, fermo a mezz'aria, ad accarezzare il pallone con la mano nascosta, che volete la Storia non è fatta forse da un'immagine che riassume tutto un evento, come i Marines che piantano la bandiera o il piede del primo uomo sulla luna o il sorriso di Marilyn Monroe e il presidente Kennedy che viene colpito nell'auto... Si, lo so che sono tutte immagini che vengo-
no dagli States, ma di fatto sono entrate prepotentemente nella nostra esistenza, hanno caratterizzato anche le assolate spiagge del Salento e gli ulivi che non conoscevano ancora la xylella. Mi accorgo che ho lasciato pochissimo spazio al Campione che fu Maradona: antipatico, irritante, irridente, pieno di prosopopea e di albagia. Ma, come anche accennato in uno dei film capolavoro di Luciano De Crescenzo '...Ma na finta 'e Maradona scioglie 'o sanghe dind'e vene'. Ora, non ci resta che chiederci se fu vera gloria... Nel mondo del calcio, un mondo parallelo con una storia che è sempre piacevole percorrere, mescolando amari ricordi ad esaltazioni sempiterne, Maradona è un pilastro. Assieme a pochi altri e assieme ai beniamini della squadra per cui facciamo il tifo. Ma pure noi, che lo abbiamo fischiato quando affrontò con la sua nazionale la Germania per il titolo mondiale, non resta che il rammarico, perché se n'è andato un personaggio unico ed irripetibile.
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cupido non fare Lo Stupido iL nuoVo aLBum di gianLuigi coSi
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Tutti i volti dell’amore nel nuovo album del cantautore brindisino
”
U
scirà il 14 dicembre, su tutti gli store digitali per etichetta Lunarock record Edizioni lungoviaggio di Enrico Ranalli, “Cupido non fare lo stupido” il nuovo album del cantautore brindisino Gianluigi Cosi che racconta « I brani di "Cupido non fare lo stupido" (titolo che nasce dal brano "Nicoletta") sono nati durante il periodo pandemico. Mi sono dedicato alla scrittura di canzoni e non solo. Questa forma di "immobilismo artistico" ha prodotto tanto humus musicale che ha dato vita a questo lavoro composto da otto tracce, sette inediti e una cover.» Le nuove canzoni spaziano nel mare magnum dei sentimenti: Belcuore, Segni del destino, Crepet (brano dedicato all'amore, alle parole e i libri del sociologo Paolo), Amore bisestile, Ti credi che sia facile, Curarsi e Nicoletta, sono gli inediti, brani tutti diversi tra di loro ma con un unico filo condut-
tore, l'amore in tutte le sue sfaccettature fino alla chicca, la cover del famoso brano Il Mare inverno di Enrico Ruggeri. L’arrangiamento è a firma di Fabio Masi(Famas) che ha curato anche il mastering e il progetto grafico, la foto è stata fatta da Mimmo Disamistade. Brindisino doc, Gianluigi
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Cosi scrive canzoni da diversi anni, suona chitarra e pianoforte, e ha all’attivo tre pubblicazioni di filastrocche per bambini che hanno come filo conduttore la sensibilizzazione alla salvaguardia dell’ambiente e della natura: Betta Caretta, Camilla Clorofilla, Iole Girasole, tutti editi da Il Raggio Verde edizioni.
Girolamo Todisco, Adorazione dei pastori, 1606, Laurenzana, chiesa madre dell'Assunta (foto di Andrea Lettini)
L’adorazione dei paStori di todiSco neLLa chieSa madre di Laurenzana Marco Tedesco *
“ Storie l’uomo e il territorio
Girolamo Todisco l’arte figurativa in terra Lucana: un’affascinante confronto con Caravaggio
”
G
irolamo Todisco è, insieme al suo predecessore e forse padre Giovanni, è uno dei nomi più importanti della storia della pittura lucana. Lo è in particolar modo per quanto riguarda la cultura figurativa pittorica lucana degli inizi del XVII secolo, anni in cui Girolamo Todisco era molto attivo in Basilicata. In quegli anni, la cultura artistica lucana si aprì, grazie ad una folta committenza locale, ad un interesse verso espressioni artistiche che mirano
meno alle tendenze intellettualistiche e più ad una ricerca del naturalismo delle cose, riscontrabile nella pittura napoletana seicentesca, caratterizzata dalla forte irruzione del naturalismo importata da Michelangelo Merisi detto il Caravaggio. Questa strada, ci dice Anna Grelle fu aperta nel XVI secolo “soprattutto dalla importazione in Basilicata di opere fiamminghe”, con le quali “le classi emergenti recuperano l’aggancio con la cultura napoletana e per essa delle regioni
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Giovanni Todisco, Natività, 1559, Anzi, chiesa di Santa Maria (fonte: http://www.old.consiglio.basilicata.it/; pagina a lato: Girolamo Todisco, Visitazione, 1616, Calvello, chiesa di Santa Maria degli Angeli (foto d’archivio)
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centro settentrionali, relegando nei confini del «popolare» le tendenze al simbolismo, alla schematica astrazione, al racconto per giustapposizione di elementi unitari” (Anna Grelle Iusco, Arte in Basilicata, De Luca Editore, II Edizione, 2001, p.107). L’opera di Girolamo Todisco che qui viene presentata è l’Adorazione dei Pastori della chiesa madre dell’Assunta di Laurenzana, oggi nella cappella del SS. Sacramento ma
un tempo conservata nella cappella della Natività che i documenti riportano nel XVIII secolo sotto il patronato della Famiglia D’Alessandro. Questo aspetto è confermato da alcuni documenti conservati presso l’archivio diocesano di Acerenza riportati da Mauro Vincenzo Fontana, i quali confermano che l’altare della Natività, di cui l’Adorazione dei pastori di Girolamo Todisco dovette forse costituire la cona, risultava patrocinato
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confronto tra Todisco e Caravaggio
dalla famiglia D’Alessandro. Si legge infatti in tale documento “Altare Nativitatis D.(omini) N.(ostri) I.(esu) C.(hristi) de jure patronatus familiae Alesandri” (Mauro Vincenzo Fontana, Da Girolamo Todisco a Cesare Scerra. Ovvero gli “scricchiolii discreti” della pittura riformata a Laurenzana, in AA. VV., Laurenzana studi e ricerche, a cura di Elisa Canfora e Mauro Vincenzo Fontana, Claudio Grenzi Editore, 2018, p. 47). L’Adorazione dei Pastori di Laurenzana, riporta la datazione 1606, ed è stato possibile ascriverla a Girolamo Todisco grazie alla firma che compare sulla tela. La data 1606, conferma tale ipotesi a tal punto da permettere agli studiosi di inserire questa Adorazione dei pastori nella prima maturità artistica di Girolamo Todisco. Maturità che egli raggiunse nei primi decenni del Seicento, periodo in cui la sua attività era molto florida in Basilicata. Risalgono a quegli anni infatti gli affreschi della chiesa di Santa Maria degli Angeli a Calvello del 1616 e dello stesso anno la Ricognizione del corpo di San Francesco e l’inserto con San Carlo Borromeo nel convento francescano di Miglionico, opere postume all’Adorazione dei pastori della chiesa madre di Laurenzana.
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L’Adorazione dei Pastori di Girolamo Todisco qui presa in esame è ambientata all’interno di un paesaggio nel quale scorgiamo un fiume e sullo sfondo una catena montuosa in lontananza la cui prospettiva alimentata ancora di più dal sapiente uso del colore, al di la del ponte sulla quale appare una scia luminosa che fa pensare all’anticipo di tutto il racconto evangelico qui raffigurato: l’annuncio ai pastori della nascita di Cristo da parte dell’angelo, le cui parole si traducono nella scena centrale del dipinto “oggi nella città di Davide è nato un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno, troverete un bambino in fasce che giace in una mangiatoia” (Vangelo di Luca, cap. 2, vers. 8-20). Al centro della scena, alcuni pastori sono giunti presso la mangiatoia e sono divisi in gruppi di due. In ogni gruppo le figure sembra che stiano discutendo tra loro indicando il Bambino e contemplando il mistero di Dio che si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi. Alle spalle della Vergine che si accinge a prendere in braccio il Bambino, assistiamo ad un altro tipo di dialogo: quello tra l’angelo e San Giuseppe, che ci rimanda all’apparizione dell’angelo in sogno a Giuseppe raccontata nel vangelo di Mat-
Michelangelo Merisi da Caravaggio, Vocazione di San Matteo, 1599-1600, Roma, chiesa di San Luigi dei Francesi, cappella Contarelli, (foto d’archivio)
Michelangelo Merisi da Caravaggio, Natività con i Santi Francesco e Lorenzo, 1600, rubato, già Palermo, oratorio della chiesa di San Lorenzo, foto d’archivio)
teo. L’angelo indica a Giuseppe la Vergine e il Bambino e sembra gli stia dicendo “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria tua moglie, perché ciò che in lei è generato, viene dallo Spirito Santo. Ella partorirà un figlio e tu gli porrai nome Gesù, perché è lui che salverà il suo popolo dai
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peccati” (Vangelo di Matteo, cap. 1, vers. 18-21). San Giuseppe, risponde a questa chiamata divina attraverso l’indicare se stesso. Un gesto che ci ricorda un’altra celebre risposta ad un altra chiamata divina, ossia quella proposta da Michelangelo Merisi detto il Caravaggio nella figura di San
Michelangelo Merisi da Caravaggio, Madonna dei pellegrini, 1604-1606, Roma, chiesa di Sant'Agostino in campo Marzio, Cappella Cavalletti (foto d’archivio)
Matteo nella celebre Vocazione di San Matteo della cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi a Roma. Ma non è l’unico richiamo al Caravaggio che troviamo in questo dipinto di Girolamo Todisco: difatti nel pastore inginocchiato raffigurato di spalle e con i calzoni color verde bianco e rosso, notiamo una ispirazione al personaggio raffigurato di spalle nella Natività con i Santi Lorenzo e Francesco, commissionata al Caravaggio nel 1600 per l’oratorio della chiesa di San Lorenzo a Palermo forse dal commerciante Fabio Nuti che aveva rapporti con l’oratorio palermitano. Tesi formulata dal Moir ed accolta da molti autorevoli studiosi tra cui il compianto
Maurizio Calvesi, Vittorio Sgarbi e Nicola Spinosa. Lo stesso personaggio, racchiude in se un altro elemento che ricorda la pittura del Caravaggio: i piedi sporchi in primo piano che ci riportano alla mente le figure dei pellegrini inginocchiati davanti alla Vergine nella Madonna dei pellegrini della chiesa romana di Sant’Agostino in Campo Marzio, eseguita dal Caravaggio tra il 1604 e il 1606 per la cappella Cavalletti. Tutti questi aspetti che abbiamo fin qui analizzato nell’Adorazione dei pastori di Girolamo Todisco nella chiesa madre dell’Assunta di Laurenzana, insieme all’illusione prospettica della veduta delle montagne in
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lontananza, al basto saldamente tenuto sul dorso dell’asino, alla cesta colma di panni recata da una delle due pastorelle e alla bisaccia poggiata sul tronco dietro la mangiatoia che riscontriamo anche nella Natività eseguita da Giovanni Todisco nella serie di affreschi del 1559 commissionati dai coniugi Muccio e Guglielma Cagnone per la chiesa di Santa Maria ad Anzi, proiettano l’episodio evangelico in una dimensione spirituale quotidiana ed accessibile, vicina “ad una spiritualità popolare semplice ed estranea agli artificiosi giochi intellettualistici della tradizione tardo manierista” (Mauro Vincenzo Fontana, Da Girolamo Todisco a Cesare Scerra. Ovvero gli “scricchiolii discreti” della pittura riformata a Laurenzana, in AA. VV., Laurenzana studi e ricerche, a cura di Elisa Canfora e Mauro Vincenzo Fontana, Claudio Grenzi Editore, 2018). è dunque evidente in questo dipinto, che Girolamo Todisco abbia colto in pieno le novità pittoriche apportate dal
Caravaggio nella storia della pittura italiana, le quali nei primi decenni del XVII sec., vennero importate dallo stesso Caravaggio a Napoli prima e a Messina successivamente, continuando la rivoluzione della tradizione pittorica italiana che fino a quel momento si era adeguata alle tendenze manieristiche della controriforma cattolica e che da quegli anni comincerà ad essere vista come una sorta di specchio della realtà vista nei suoi aspetti più intimi e veri. Ancora una volta, la terra lucana svela dunque un altro dei suoi autentici tesori degni di nota, consentendo al pittore Girolamo Todisco di continuare a raccontare la sua storia, perché in ogni dipinto si cela la storia di un artista e del mondo in cui egli è vissuto, scrivendo ancora una affascinante pagina della storia artistica italiana.
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Dott. Marco Tedesco, storico dell’arte RAM Rinascita Artistica del Mezzogiorno Il presente lavoro è stato svolto in collaborazione con Andrea Lettini, membro del consiglio direttivo della pro loco di Laurenzana e con Italia Manolio che ha contribuito con preziose indicazioni, ai quali va il più sentito ringraziamento. Questo lavoro si inserisce nel progetto #contagioartecultura del Coordinamento Nazionale Patrimonio Culturale Bibliografia consultata: E. Canfora, Laurenzana, la riscoperta di un borgo di arte e di storia, in www.sineresiarte.it, link num. 6, E. Canfora, M. V. Fontana (a cura di), Laurenzana studi e ricerche, 2018, Claudio Grenzi editore, A. Grelle, S. Iusco, Arte in Basilicata, De Luca Editore, ed. cons. 2001, B. De Dominici, Le vite dei più eccellenti pittori, scultori ed architetti napoletani, 1742-1745, H. Wölfflin, Rinascimento e barocco. Ricerche intorno all’essenza e all’origine dello stile barocco in Italia, Milano, Abscondita, 2017, R. Longhi, Breve ma veridica storia della pittura italiana, Milano, Abscondita, 2013, B. Berenson, Pellegrinaggi d’arte, Milano, Abscondita, 2012
diVerSità è ricchezza incLuSione e creatiVità
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I luoghi nella rete
Online la manifestazione, giunta alla quinta edizione, nel segno della creatività. Un’ideale staffetta tra Lecce e Modigliana in occasione del 3 Dicembre giornata internazionale delle persone con disabilità
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«La nostra ricchezza è fatta dalla nostra diversità: l'altro ci è prezioso nella misura in cui ci è diverso.» La frase di Albert Jacquard aderisce perfettamente allo spirito della manifestazione "Diversità è Ricchezza", giunta alla quinta edizione, promossa dalla casa editrice Il Raggio Verde in collaborazione con l'associazione Le ali di Pandora, la cooperativa Kara Bobowski, la rivista telematica Arte e Luoghi. L'evento si è svolto online ed è stato ospitato nelle stanze di Arte e Luoghi in diretta fb a partire dalle ore 15:30 del 3 dicembre, Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità. In una virtuale staffetta, che lega ormai da anni Lecce e Modigliana, si sono registrati gli interventi del Gruppo Kara Bobowski: Franca Soglia, Alberta Tedioli, Susana Alves, Simona Carloni, Elena Ciani e Ambra Biscuso, Francesco Canale (Anima Blu), Maurizio Martina, Enzo Vitti, Fabio Placì. Sfogliamo insieme le pagine di un album per
raccontarvi e mostrarvi la bellezza e la ricchezza delle diversità. Cominciamo dal racconto di Simona Carloni: «Da studentessa di filosofia non sapevo bene quale sarebbe potuto essere il mio contributo alle attività della Cooperativa. La presidente ha saputo riconoscere e valorizzare le mie qualità e così ho iniziato il mio percorso. Per me la prima forma di diversità sperimentata alla KB è stata proprio la possibilità di mettermi alla prova in diversi servizi: prima lezioni di italiano ai volontari stranieri, poi animatrice in centri estivi e laboratori per minori, poi i primi esperimenti con la progettazione, l’informagiovani, i volontari europei, il laboratorio La Coccinella… fino ad approdare al settore progettazione e comunicazione. LA LIBELLULA Il nostro centro socio-riabilitativo La Libellula è uno dei primi servizi nati nell’ormai lontano 1995 e riflette un po’ quello che è la KB: una famiglia aperta all’arrivo di nuovi componenti, ognuno con la sua unicità. Nel centro ci
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sono 16 ospiti, di diverse età e con diverse tipologie di fragilità, dall’autismo a problematiche psichiatriche, a sindromi degenerative. Avere una famiglia così variegata è una nostra precisa scelta. La sfida è quella di guardare al di là delle apparenze, cercare una forma di comunicazione con la singola persona e scoprire le sue potenzialità, come quando abbiamo coinvolto gli ospiti in laboratori di pittura. Ci hanno sorpreso con le loro creazioni che sono state anche esposte in una mostra realizzata insieme ad amici francesi… LA COCCINELLA Diciassette anni fa, abbiamo aperto il labora-
torio socio-occupazionale La Coccinella per accogliere persone con disabilità della nostra comunità che attraverso la condivisione di momenti di lavoro e di socializzazione hanno trovato la loro dimensione oltre le sicurezze della famiglia d’origine, acquisendo anche maggiori autonomie, autostima. Sono cresciuti insieme ai loro educatori, in un clima di accettazione e inclusione. Da un paio d’anni è stato aperto un punto vendita degli oggetti di artigianato che loro realizzano con una doppia finalità: permettere loro di acquisire nuove competenze e dare maggiore visibilità ad una realtà che a tutti gli effetti è parte della comunità di Modigliana.
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GLI SCAMBI EUROPEI Nell’ambito della nostra attività in ambito europeo, abbiamo realizzato 39 scambi europei in cui giovani di diversi Paesi si sono incontrati per conoscersi, confrontarsi e abbattere barriere e stereotipi. Diversi scambi hanno visto la partecipazione di giovani con disabilità. E’ stato sorprendente e istruttivo vedere la semplicità con cui si relazionano con persone che non conoscono, la voglia di partecipare e di divertirsi, senza che le fragilità siano un ostacolo.» Ma il racconto continua con la testimonianza di Elena Ciani. «Sono nata e vivo a Modigliana; dal 2003 lavoro alla Coop. KB ma mi piace pensare che il mio essere alla Kara risalga a qualche anno prima quando, durante il mio Erasmus in Francia da studentessa universitaria, mi
sono detta che “da grande” avrei voluto fare un lavoro “internazionale” in cui si vivesse quel clima che stavo respirando intriso di multiculturalità e multilinguismo. E ho avuto la fortuna di trovare questo lavoro proprio a Modigliana, a casa mia.. Alla Kara, mi occupo di progettazione europea per cui nel mio lavoro, tutti i giorni vedo “abbracciarsi” il nostro motto “Diversità è Ricchezza” con il motto dell’Unione Europea “Uniti nella diversità”. Li vedo intrecciarsi quotidianamente attraverso i volti, le emozioni e le esperienze dei giovani (con e senza disabilità) che partecipano ai nostri progetti Erasmus di tirocinio all’estero. Li vivo (ma questo vale anche per le mie due colleghe Simona e Susana) attraverso la collaborazione quotidiana con i colleghi stranieri, alcuni dei quali ormai sono anche amici. Da qualche anno, poi, la Kara fa parte di un network
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zione di difficoltà con i loro bambini e ALMA, comunità di accoglienza per minori allontanati dal nucleo famigliare d’origine. In queste case, ogni giorno si mescolano età, storie personali, dolori e gioie andando a creare una nuova grande famiglia.Ampliandosi i servizi, anche lo staff della Kara in questi anni è cresciuto (siamo ora 58): ogni giorno, quindi, vanno ad intrecciarsi saperi, idee, competenze: ognuna frutto non solo di età e generazioni diverse ma anche di culture diverse. Infine, l’esperienza di Susana Alves. Mi chiamo SUSANA, sono portoghese e abito in Italia da quasi 7 anni. Lavoro alla Kara da quasi 5. La diversità la vivo tutti i giorni da quando sono qua, con un'altra lingua e cultura, come altre lavoratrici qui della Kara, che ha uno staff multiculturale, con origini dalla Slovacchia, Albania, Moldavia, Ucraina, Marocco, Repubblica Dominicana, Polonia, ecc. Dal '97 che Franca (nella foto) ha avuto la visione di aprirsi a questa Europa multiculturale, avendo accolto il suo primo volontario europeo a Modigliana. Fino ad oggi abbiamo coinvolto 244 giovani in progetti di volontariato europeo. Abbiamo sempre avuto la preoccupazione dell'inclusione e di dare l'opportunità a tutti i giovani di partecipare, nonostante le loro apparenti limitazioni. Perciò i nostri progetti di volontariato inclusivo hanno già coinvolto 36 giovani con minori opportunità o bisogni speciali, allargando ancora di più la ricchezza della diversità. Attualmente, abbiamo in corso un progetto di volontariato europeo che accoglie 4 volontari con minori opportunità a Modigliana per 12 mesi. Marta dalla Spagna, Emma dalla Francia, Aniela dalla Polonia e Gamal dall'Egitto sono arrivati a Modigliana il 1 ottobre 2020. Ognuno di loro porta la sua diversità tramite le loro competenze e interessi, com'è il caso di Aniela, che sta preparando un progetto
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composto da enti di 10 Paesi europei che si occupano di disabilità e con cui portiamo avanti progetti sul tema dell’inclusione: ognuno con le proprie esperienze, competenze e diversità culturali per camminare insieme verso un unico obiettivo, arricchendoci a vicenda e dando uno slancio internazionale alle nostre attività quotidiane. Alla Kara, la Diversità trova anche una sua espressione intergenerazionale: a partire dalla presidente Franca che, figlia del dopoguerra, ha creduto fortemente nell’Europa trasmettendoci il suo entusiasmo (a volte è lei la più “carica” e innovativa tra di noi. Così come abbiamo visto ultra cinquantenni (i cosiddetti volontari senior) mettersi in gioco e partire da Modigliana per fare un’esperienza di volontariato all’estero oppure venire a Modigliana per donare un po’ del loro tempo nei servizi della Kara Bobowski. Rispondendo ai bisogni del territorio, in questi ultimi anni, la cooperativa Kara Bobowski ha ampliato i suoi servizi. Sono nate così la Casa di Gaia comunità per mamme in situa-
portunità di far vedere ai ragazzi che lo frequentano la normalità di una comunità multiculturale. Sono ragazzi che hanno tra i 6 e i 14 anni, molti di loro con origini straniere. Insieme ai volontari di servizio civile, i nostri volontari europei stanno preparando delle attività interculturali da fare con i ragazzi che promuovono la ricchezza della diversità culturale, aumentando la conoscenza di diversi Paesi, come il laboratorio di spagnolo già iniziato dalla nostra volontaria Marta.
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artistico inspirato ad un'attività che ha fatto al Liceo, da coinvolgere diversi servizi. Proverà a riprodurre dei quadri famosi insieme ai nostri utenti, e invitando i nostri partner europei a partecipare con i loro ragazzi disabili per una mostra virtuale da fare l'anno prossimo. La loro presenza porta un'energia multiculturale ai nostri servizi: "La Coccinella", "La Libellula", "Punto X" e "La Casa di Gaia". Invece, la presenza dei nostri volontari europei al centro educativo "Punto X", ci dà l'op-
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enzo Vitti, iL campione paraLimpico attraVerSando Lo Sport Atleta leccese in carrozzina Enzo Vitti ha ottenuto prestigiosi riconoscimenti in diverse discipline. Il suo palmares è davero ricco: 23 titoli italiani negli sport: Atletica leggera; Scherma; Bocce; Tennistavolo e Penthatlon. Medaglia d'oro alle Olimpiadi del Salento nel tennistavolo Paraolimpico. Atleta Leccese dell'anno 2003; Premio Sedile d'
Argento; Riconoscimenti per meriti sportivi da: Coni ; Amministrazione Comunale; Provincia e da'Unione Sportiva Lecce. Premio come Migliore atleta Paraolimpico del Centro- Sud Italia; Nazionale nella schermata e Partecipazione alle Paralimpiadi di Stocke Mendiville ( Inghilterra). Vincitore di innumerevoli tornei di Tennistavolo.
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La forza neLLa poeSia faBio pLacì
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Laureato in Economia Fabio Placì è autore del libro “Specchia: Turismo esviluppo sostenibili”. Segretario presso la sezione della FIDAS di Specchia ha operato presso la locale Pro Loco. Caposquadradel rione di appartenenza, “Salite – Campo Sportivo” in occasione delle Specchiadi 2016. La scrittura è la sua grande passione, ha pubblicato il libro “I cunti di Nonna Cia” e continua a scrivere poesie. UOMO Nessun uomo ha diritto di calpestare. Nessun uomo ha diritto di denigrare. Nessun uomo ha diritto di oltraggiare. Nessun uomo ha diritto di La mia nota “ma” strumentalizzare. In un giorno d’autunno, grigio e apparentemente calmo, Nessun uomo ha diritto su cerco la mia nota “ma”. nessuno. I pensieri si affollano in una mente ormai satura. Ognuno è libero di vivere. Fabio Placì Suono una musica, ma è stonata, manca la mia nota “ma”. Scruto, cerco, provo ma niente, la nota non esce. La nota è importante per poter, finalmente, suonare una musica colma di felicità. Nulla, la mia nota “ma” non c’è. Mi illudo, della sua esistenza ma, forse, non è mai esistita. La nota, a me, tanto cara e desiderata, forse è durata solo un attimo colmo di dolore seguito da un pianto liberatorio di un fagotto ancora ignaro e felice di un mondo allora sconosciuto. Vivo ancora sperando nel ritrovare la mia nota “ma” Che mi dia la possibilità di suonare una melodia di vita piena di ogni bene. Forse la ritroverò nell’aldilà dove, si dice, ogni sofferenza sarà gioia. Fabio Placì
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Le opere di Francesco Canale sono pubblicate e acquistabili sul sito https://www.abilityart.it/
La forza deLL’arte, L’anima BLu di franceSco canaLe
ga alla conoscenza di se stessi, all’avere degli ideali che muovano lo Spirito, al riuscire ad osservare e riflettere con la propria testa sul tempo che si sta vivendo, all’elevarsi sopra questa società delle apparenze e delle idiozie. Il mio motto è vivere sempre, sopravvivere mai! Francesco Canale
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I
l mio nome d’Arte è Anima Blu: Anima perché è la parte dell’uomo che preferisco e Blu perché mi ricorda l’infinito. Ho capito che per per non essere vittima della mia disabilità e di una società che categorizza le persone in diversità inesistenti, bastava soltanto che mi guardassi dentro: per comprendere chi fossi davvero, quali erano le mie potenzialità, e cosa avrei potuto dare al Mondo. Questo è il “segreto” per aspirare ad una vita serena e realizzata (“segreto”che, ovviamente, può essere applicato a chiunque...)! Grazie a questo meccanismo, credo di esser riuscito a trasformare una storia considerata persa in partenza in un’esistenza unica e meravigliosa! La mia Arte,q uindi, desidera la gente a guardarsi dentro, affinché si giun-
Nelle foto due opere di Maurizio Martina
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maurizio martina ciaScuno è entramBi, iL manifeSto Mi sia concesso di ricordare questo pensiero di Fernandez Villa: “L'importante non è ciò che noi facciamo di noi stessi, piuttosto ciò che noi facciamo di ciò che hanno fatto di noi” Da “I colori dell'assenza” poesie dalle Carceri d'Europa Sono Maurizio Martina, questa lettera non nasce per esporre solo una problematica personale, ma intendo proporre un'efficace azione nell'ambito della difficile integrazione sociale dei disabili, di cui sono parte. è mia intenzione soffermarmi sulle motivazioni del disagio che si avverte di fronte alla diversità. Di solito noi disabili abbiamo delle gravi difficoltà ad esprimere le più semplici manifestazioni che possono essere dei sentimenti, opinioni, gioie, piaceri... Nel senso comune ci è concesso solo di soffrire. E questo concetto va sradicato dal tessuto sociale: infatti non ci sarà mai equità se la diversità verrà comparata alla sofferenza. Si deve apprendere la capacità di avvertire la normalità dei disabili: si soffre in modo normale, si gioisce in modo normale. Mi chiedo in quale maniera si deve agire, in definitiva in quale modo dobbiamo interagire con i nostri simili, se non per mezzo delle espressioni. Esprimersi significa esserci, invece le nostre manifestazioni, la nostra stessa presenza provocano sconcerto, imbarazzo, timore, fastidio; il ruolo che ci assegnano è quello amorfo di figure evanescenti possibilmente ghettizzate o inserite nelle famiglie d'origine come fossimo eterni fanciulli. L'accusa che muovo contro la collettività è proprio questa: ovvero la constatazione del fatto che si tende a non favorire le nostre espressioni a sopprimere la nostra libertà: ciò significa non farci essere. Dunque diventa più facile allontanarci, dimenticarci, rimuoverci. Ma cosa si vuole allontanare? Cosa si vuole dimenticare? Cosa si vuol rimuovere? Solo un vostro concetto mentale precostituito perché noi non siamo ciò che voi concepite e questo va detto forte... Noi non siamo ciò che concepite!!!
La diversità è un'immagine distorta, rappresenta un'autodifesa, dunque è un processo, una difficoltà prettamente psicologica. Viceversa possiamo considerarci tutti dei diversi, chi più chi meno e in quest'ordine di idee la diversità può essere assimilata. Ma rimangono in campo troppe lotte ed infiniti percorsi ancora da seguire (curando di non perdersi, strada facendo) per arrivare ad un risultato di giustizia, bisogna essere maratoneti: occorre una lunga resistenza per percorrere lunghe distanze. La nostra insoddisfazione deve incarnare una spinta nella direzione del nostro miglioramento lottare per non soccombere, vivere per non sopravvivere. Parole come pietà, misericordia, commiserazione rappresentano un serio ostacolo alla nostra dignità di uomini. Si deve lavorare per dissolvere
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Ecco noi siamo gli ultimi, noi parliamo come ultimi e questo è solo il primo passo perché noi siamo capaci di vegliare fra i dormienti, siamo in grado di drizzarci per scrollarci di dosso il torpore della nostra condizione. Rivendico con forza la mia normalità. Non certo quella corporale esterna, ma quella del mio animo, quella della mia natura, quella della mia coscienza; in tal senso l'unità delle persone, per chiunque venga considerato diverso. Che queste frasi siano una ferma denuncia. Vorrei fossero delle lame taglienti, tese a recidere le più recondite resistenze sociali, affermando che le speranze sono le vere armi della nostra nascita. è bene ricordare per l'ultima volta, che “ Ciascuno è Entrambi” Maurizio Martina, © Il Raggio Verde edizioni 2018
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il senso di opacità che queste parole, questi concetti proiettano nella nostra quotidianità, concetti questi che tardano ad essere cambiati. Si dovrebbe poter raggiungere finalmente una prima luce con il superamento e l'abbattimento delle barriere culturali che dominano la sfera sociale, possiamo incominciare a vederci in modo reale come uomini. E allora ci si rende conto del fatto che sono privi di fondamento tutti i vari pregiudizi. Adesso occorre diventare uomini, adesso occorre diventare simili. Chiedo: di aprire una profonda riflessione sul concetto di pietà, lavorando a dissolvere il senso di opacità che lo avvolge ripulendolo da impurità intollerabili quali le forma di pietismo, fraintendimenti e abusi; delineando un percorso inequivocabile in direzione del rinnovo, per raggiungere un primo risultato di equità. La pagina dei muri è da voltare. Si ricorda che “Ciascuno è Entrambi”. La generosità verso gli altri genera giustizia.
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I LUOGhI DELLA PAROLA
SuLLe tracce deLL’identità Giovanni Bruno
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Le riflessioni dello psicologo psicoterapeuta
«Quando un bambino era bambino era l’epoca di queste domande: perché io sono io? …Perché sono qui e perché non sono lì...» Peter Handke Un caposaldo della cultura europea, ma direi mondiale, è sicuramente la tragedia sofoclea Antigone dove l’introduzione della vicenda è affidata al Coro che recita una frase di straordinaria potenza: molte sono le cose del mondo ma nessuna è fondamentale come la figura dell’Uomo. L’Uomo che è una meraviglia da far paura, incantevole e tremendo insieme, Leopardi sempre dell’Uomo direbbe mirabile e spaventoso. Una endiadi che racchiude una antifrasi interna : due estremi dello stesso soggetto, due versanti, due poli opposti. Tutto questo per introdurre il concetto di identità, tema molto dibattuto in psicologia , in psichiatria e nelle scienze sociali in genere. L’identità è quel nucleo originario e strutturale costituito dal proprio “IO” e dal proprio “SE’ “che si congegna nel tempo e racchiu-
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de tutta una serie di componenti personali che porteranno in seguito ad una autodefinizione. Freud e tutta la scuola psicoanalitica individuano i primi sei anni di vita come il tempo nel quale si compie questo processo. Oggi le neuroscienze riconoscono nei primi tre anni del bambino il periodo in cui si costituisce il carattere e la personalità del soggetto. Sembrerebbe infatti che allo scadere dei tre anni i giochi siano già fatti. Ma comunque mettendo in sospensione le idee della scienza e della ricerca pensiamo alla identità come a un principio filosofico che genericamente indica l’ eguaglianza di un soggetto rispetto a sé stesso, con un insieme di qualità e caratteristiche che sono sue proprie che lo fanno stare al mondo per ciò che è , e lo distinguono da tutti gli altri soggetti. Tuttavia la costituzione, l’organizzazione della identità di ognuno non è un evento meramente intrapsichico ma ha forti variabili e connotati sociali e di contesto. Essa dipende molto per esempio dalle gratificazioni e riconoscimenti che un bambino ha
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ricevuto e accolto nei suoi primi stadi di svi- denza l’identità non è unica ed esclusiva, può avere più compresenze, idee, sentiluppo affettivo ed emotivo. Si è visto che il ruolo del gioco è una com- menti e tendenze di segno opposto possoponente importante nella formazione di una no convivere nella stessa persona, nella identità sana e percepibile. Il gioco infatti stessa identità. Così Bleuler, famoso psipermette una soddisfazione sostitutiva dei chiatra svizzero: “già l’individuo normale ha desideri e l’accettazione del singolo nel come l’impressione di avere come due anigruppo dei pari crea un migliore dominio me, paventa un evento e desidera che della realtà esterna, fortificando l’idea di un accada… “. Ma senza arrivare alla patologia pensiamo che la cooperazione di stati Sé primario adeguato . L’identità dunque che nel tempo si è siste- opposti fra loro è semplicemente possibile, matizzata rende l’individuo unico e è importante accettare questo conflitto ma è inconfondibile. Il processo è stato lungo e altrettanto importante governarlo indiviha comportato stadi che sono stati raggiun- duando una funzione unificatrice che conti sia consapevolmente sia a livello incon- duca oltre gli opposti. I versi iniziali del premio Nobel Handke indiscio . Le componenti di identificazione, individua- viduano poeticamente l’abbrivio di una zione, di imitazione e di interiorizzazione si coscienza che porterà alla identità, a uno sono continuamente alternate, l’una ha pre- statuto della mente, intimamente imbricato valso sulle altre, ci sono state sostituzioni e nel sociale, che condurrà quel bambino al scambi in un processo che diventa percorso centro dello spazio della vita che dovrà senza soste. L’equilibrio fra le diverse com- dominare . ponenti sarà sempre instabile. A un certo punto tuttavia il senso del proprio essere sembrerà raggiunto. L’identità come “costruzione della memoria” sarà stata realizzata. Ma Sofocle ci dice che l’Uomo è mirabile e spaventoso insieme, prodigioso e tremendo allo stesso tempo. Come si colloca l’identità in tutto questo? Per tutto quello che abbiamo detto in prece-
Mettiamo in cantiere i vostri sogni!
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L'enigma Jon JaYLo Dario Ferreri
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Un viaggio tra i luoghi e nonluoghi fisici ed emozionali dell'arte contemporanea
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«Non ho particolari talenti, sono soltanto appassionatamente curioso»
" La mia vita è così surreale che sarebbe uno spreco non dipingerla" Jon Jaylo
CURIOSAR(T)E
Albert Einstein
"We will always be dreamers on the other side of the moon" ("Saremo sempre sognatori dall'altra parte della luna") è l'aforisma coniato da Jon Jaylo, valente artista figurativo internazionale, oriundo filippino e naturalizzato americano, che sintetizza in modo mirabile l'elemento fondante della sua poetica: il sogno. Conosciuto anche come "l'Enigma" per la
natura surrealista della sua arte, ispirata da poesie e racconti onirici e sconcertanti a cui dà vita nelle sue opere, nasce a Manila nel 1975. La famiglia si trasferisce a Chicago, nell'Illinois, dove Jon termina l'istruzione superiore e ritorna nelle Filippine dopo la laurea per studiare Advertising alla Far Eastern University. Attualmente vive e lavora a Manhattan.
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Jon Jaylo, Alluvion
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CURIOSAR(T)E
Jon Jaylo, We will always be dreamers on the other side of the moon
Gli epigoni di riferimento di Jon Jaylo sono Rene Magritte, Paul Delvaux, Gustav Klimt, Frida Kahlo, Salvador Dalí e William Bougereau e, come spesso dichiarato nel corso di interviste, le fonti della sua straordinaria creatività sono sogni, avvenimenti quotidiani, esperienze dirette, storie di amici ed i suoi figli, spesso ritratti nelle opere. Il mondo onirico fluttuante e surreale di Jon Jaylo è in continua evoluzione sia nell'idea che nella forma, insieme all'artista stesso. Nell'universo artistico di Jon Jaylo, immagini surreali che sono al contempo giocose e sti-
molanti, escono direttamente dal suo subconscio e raccontano una profonda filosofia di pensiero attraverso una intensa rappresentazione dai brillanti colori ed insoliti riferimenti visivi spesso allocati, temporalmente, in un tempo e luogo fin de siècle, un'ambientazione storica alternativa, talvolta vittoriana, talvolta "come sarebbe stato il passato se il futuro fosse accaduto prima", con riferimenti vintage giustapposti ad elementi pop fantasy che catturano l'attenzione dello spettatore e lo incuriosiscono. Elemento di grande interesse della sua pro-
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Jon Jaylo, There’s non place for promises here
duzione artistica è che la maschera onirica decodifica, lascia il posto ad un enigma da che appare, spesso invitante e gradevole risolvere; enigma spesso rappresentato da esteticamente, allorquando si tenta una elementi, riferibili alla vita o alla filosofia di
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Jon Jaylo, As If You Can Kill Time, a lato: Unlocking A Renaissance Puzzle
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CURIOSAR(T)E
Jon Jaylo, Descendants of the truth
vita dell'artista, che, attraverso il messaggio concettuale dell'opera, assurgono ad archetipi poichè le opere di Jaylo non sono solo rappresentazioni di estetica visiva ma una ricerca sulla vita stessa e l'enigma del pensiero sotteso ad essa, come in una sorta di specchio rovesciato dei desideri e delle fantasie dell'uomo che è al contempo, però, manifestazione di conoscenza. Nel corso degli anni i suoi lavori si sono evoluti dimostrando, attraverso affascinanti rappresentazioni estetico-simboliche, un artista maturo che scava in profondità, dentro se stesso così come nella mente e nel gusto di chi osserva le sue creazioni. Jon Jaylo padroneggia con maestria matite, acquerelli, pennelli e colori, soprattutto ad olio. Il suo obiettivo è quello di essere catalizzatore e propulsore di idee e lasciare allo spettatore la sensazione di aver imparato o di aver vissuto qualcosa di positivo, per indurre nello stesso un'idea che potrebbe potenzialmente cambiare il corso della sua vita; per Jaylo l'arte è un linguaggio universale in grado di creare forti connessioni tra tutti. Espone regolarmente, ma con una produzione limitata e qualitativamente elevata, in tutto il mondo (Filippine, Singapore, Corea del Sud, Germania, Italia, Svizzera, Stati Uniti , Australia, ecc) ; ha esposto sia in gallerie private che in musei (Ayala , BenCab, Vargas, California Center For The Arts, Escondido Museum, ecc), alcune sue opere hanno già fatto passaggi in asta da Sotheby's e
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Jon Jaylo, Il custode del cuore sanguina
molto attivo sui social. I riferimenti sul web per seguirlo sono: https://www.facebook.com/jon.jaylo/; htt-
CURIOSAR(T)E
Christies a Hong Kong e Singapore e i suoi lavori sono ricercati ed apprezzati da collezionisti d'arte e profani. E'
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ps://www.instagram.com/jon enigmajaylo/ ; http://www.jonjaylo.com/ "
Jon Jaylo, Stories of faith, hope & perseverance
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Foto in basso: Anna Onesti - Un mondo fluttuante ph Massimo Fioravanti foto a lato, Veronica Montanino - Rami, 2020, ph @M3Studio nel riquadro il logo della manifestazione
XVi giornata deL contemporaneo roma capitaLe Va onLine
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Un programma di iniziative fruibili sul web coinvolgono il Museo Carlo Bilotti, I Musei di Villa Torlonia, la Galleria d’Arte Moderna e Villa Borghese
I LUOGhI NELLA RETE
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ROMA. Sarà un’edizione diversa ma irrinunciabile. Torna lla sedicesima edizione della Giornata del Contemporaneo, la grande manifestazione promossa da AMACI - Associazione dei Musei d’Arte Contemporanea Italiani, alla quale aderisce sabato 5 dicembre 2020 Roma Capitale con una serie di appuntamenti online, promossi dall’Assessorato alla Crescita culturale - Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, che fanno parte di Romarama, il programma di eventi culturali di Roma Capitale. Iniziative online, dunque, sui profili social della Sovrintendenza dal Museo Carlo Bilotti, Musei di Villa Torlonia, Galleria d’Arte Moderna e da Villa Borghese con la mostra Back to Nature. Arte Contemporanea a Villa Borghese e su quelli di Musei in Comune Roma (Facebook, Twitter, Instragram).
Nel Talk I mondi immaginifici di Veronica Montanino e Anna Onesti, le due artiste – in mostra rispettivamente al Casino Nobile di Villa Torlonia con “Rami” e alla Casina delle Civette di Villa Torlonia con “Un mondo fluttuante”– incontrano le curatrici in un dialogo a sei in cui il mondo fluttuante degli aquiloni e degli arazzi in carta giapponese di Anna Onesti si confronta con la realtà delle metamorfosi di Veronica Montanino. Alle ore 14.00 artiste e curatrici affronteranno i temi della natura e della sua trasformazione, il rapporto con il mondo classico e quello orientale, contestualizzando ogni ricerca artistica nel luogo che le ospita. Anna Onesti dialogherà con la natura nelle forme, nei colori, nelle sagome dei fiori e delle foglie di ginko, creando un mondo di suoni e odori che trasporta nel paesaggio giapponese.
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Veronica Montanino presenterà i “rami”, materie vive, forme di vita appartenenti al mondo terrestre, al cielo e all’acquatico, che raccontano la natura e il divenire con un nuovo alfabeto nel quale le parole sono le foglie, i fiori, gli animali, le figurine umane che si trasformano in immagini e si fanno racconto poetico. Con Veronica Montanino e Anna Onesti, Alessia Ferraro, Maria Grazia Massafra, Anna Simone, Maria Grazia Tolomeo. Introduce Anna Paola Agati e modera Roberta Melasecca.
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Gli angeli terracotta di Claudio Capone, Keramos studio
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aSpettando iL nataLe in tempo di pandemia Raffaele Polo
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Come saranno le prossime feste? Considerazioni ricordando le tradizioni d’un tempo che sembra lontano...
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ntriamo subito in argomento, visto che la situazione è quella che è. E c'è la possibilità di essere subito contestati, avete provato ad andare su Facebook e scrivere una qualsiasi sciocchezza, chessò, l'acqua di mare è salata. Bene, nel giro di pochissimo tempo, arrivano una caterva di messaggi, quasi tutti irati e pieni di invettive, insulti o, nel migliore dei casi, ironici apprezzamenti. Si va dal 'grazie al caxxo' al meno esplicito 'e dove lo avresti letto? ' per inoltrarci poi nella politica ('L'avete votato? Adesso tenetevelo, con l'acqua salata!') e nella pseudo cultura ('Tutto da verificare, da dimostrare e da confrontare con dati certi. Non bisogna fare affermazioni se
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non si hanno controprove di inconfutabile e assoluta chiarezza.'). Insomma, siamo nel guado senza volerlo, non ci resta che fuggire, dopo aver chiesto scusa a tutti. Allora, visto che siamo a Natale e il Natale comincia ormai alla fine di ottobre, in quella data i supermercati esibiscono i primi panettoni. ('A me piacciono i pandori. Perché discriminare sempre? Non c'è democrazia..' Visto, cosa vi dicevo?) allora è giocoforza parlare delle 'tradizioni natalizie nel Salento', che ci pare, anno dopo anno, si allontanino sempre più, nel tempo e nella memoria e siano ormai diventate un anacronismo esemplare di 'cose belle che non si fanno più'.
Lecce, Presepe in Piazza Duomo, 2019 (foto d’archivio.)
E, comunque, le recenti costrizioni colorate volute dalla guerra al Covid, ci hanno insegnato che l'uomo è un animale sociale. (Anche qui, una precisazione: nella nuova Liturgia, arrivati al 'Confesso' che prima si chiamava 'Confiteor' ma adesso il latino è come le tradizioni di Natale, cioè non c'è più, c'era la frase che diceva 'confesso ai fratelli'. Adesso bisogna dire 'ai fratelli e alle sorelle'. Perciò, anche per la frase precedente, bisognerà dire che 'l'uomo e la donna sono animali sociali', in barba ai bravi latini che indicavano con 'Homo' tutto il genere umano... Ma se, dopo tanti secoli ha cambiato la Chiesa, chi siamo noi per contraddirla? E qui il telefonino crepita per la ricezione di centinaia di messaggi roventi che sono in disaccordo e che, tra l'altro, inveiscono contro tutti: dal Padreterno al Sindaco, con la solita formula: 'Li avete voluti? Adesso teneteveli') E tutto quello che il genere umano (uomini e donne sul serio, non come il programma della De Filippi... E spe-
gniamo il cellulare, ad ogni parola, arrivano insulti e precisazioni, non manca quello che dice:'L'avete voluta? E tenetevela...') realizza e frequenta, è sotto la specie della 'societas', ovvero del gruppo, della 'ecclesia' e dell'assemblea. (Breve digressione: San Paolo, l'ebreo che fondò il cristianesimo, come viene definito da chi non ha altro da fare che reinterpretare anche gli appellativi dei santi, affermava perentorio: Le donne non parlino nelle assemblee. E una ragione ci dove essere, magari c'è ancora... Meno male che il telefonino lo abbiamo spento, meno male...) Perciò e in buona sostanza, se sono vietati gli assembramenti, come si può parlare di 'tradizioni nel Natale del Salento', dovendo escludere il pranzo, la cena, la tombola, la visita ai presepi e la messa di mezzanotte, ovvero tutte occasioni di assembramento e mascherine. Forse peggio di ogni altra cosa, le terribili mascherine, che ti fanno appannare gli occhiali, ti travisano il volto e ti impediscono
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Lecce, Presepe in Piazza Duomo, Natale 2019 (foto d’archivio.)
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di vedere la faccia del tuo interlocutore, puoi vedere solo gli occhi, le donne prestano particolare cura al trucco degli occhi, ancora più di prima, visto che sono ormai l'unica parte del corpo che possono esibire, assieme alle mani che, però, vanno lavate di frequente... Vedete, anche nella fraseologia quotidiana, è entrato prepotente il monito 'Lavati le mani' e l'interrogativo 'Ma ce l'hai la mascherina?', viatico familiare prima di uscire di casa. Uscire? Scopriamo che Gesù nasce a mezzanotte, che Capodanno si festeggia a mezzanotte e che la Befana (la Befana, proprio quella che Pascoli fa stare sul monte, con la ruga sulla fronte, agevole rima con il monte, appunto) porta vento e tramontana ma anche lei agisce nelle ore notturne. Ovvero, tutto vietato dalle precauzioni anti pandemia, siamo sociali, festeggiamo tutto con le tenebre ma quest'anno niente, c'è il coprifuoco e comunque, chi si azzarderebbe a circolare di sera tardi, con tutti gli esercizi chiusi e il pericolo di pesanti sanzioni? Restano le tradizioni legate al presepe e all'al-
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bero: ma scusate, l'assembramento dei pupi non ci sentiamo di favorirlo, non possiamo andare a comprare le statuine nuove alla Mostra del Presepe e niente mercatini di Natale. Tiriamo fuori i pupi dell'anno scorso, ma non è proprio la stessa cosa. Con l'albero, forse, non ci sono problemi: solo che tutte quelle luci, assieme a quelle delle lampadine 'fusci-fusci' adesso sostituite dalle sempiterne luci a led di marca cinese (ahi!...) sono uniche testimoni del Natale di oggi, lampeggiano e rallegrano vie deserte, negozi chiusi, vetrine spente, ospedali stracolmi... Ecco allora che rimangono le tradizioni alimentari. Ma quelle perdono gran parte del loro valore perchè, ormai da tempo, siamo rintanati in cucina ad inventare novità gastronomiche che ci sollevino un poco dagli affanni giornalieri. Anche alla TV ci propinano trasmissioni con cuochi e ricette che, ormai, hanno più seguito di Canzonissima e della Lotteria di Capodanno. Restano i giocattoli, ovvero i doni che Babbo Natale e la Befana continueranno a portare, un po' a tutti.
Lecce, Piazza Duomo e piazza Sant’Oronzo, Natale 2019
Ma, sempre alla televisione, abbiamo scoperto che bisogna acquistarli per tempo, naturalmente tramite Amazon o siti similari, in modo che ce li portino comodamente a casa. Niente ricerche affannose dell'ultimo minuto, niente code di ore nelle strade intasate che conducono agli Ipermercati... Ecco che le 'tradizioni del Natale salentino' sono andate a farsi friggere, sono spariti (meno male!) anche i fastidiosi 'botti' che erano un'altra pessima tradizione di questo periodo. Va bene. Ma dai, non fate il muso. In fondo siamo Italiani e vedrete che qualcosa ce la inventeremo. Per distinguerci dagli altri e per far tornare qualcuna di quelle tradizioni che ricordiamo ancora. Ma i tempi sono cambiati, decisamente cambiati. Quasi quasi non capiamo come si possa ancora sopravvivere in questo triste mondo. Poi carezziamo con lo sguardo i nostri cari, i nipotini che giocano ignari di tutto quello che c'era e non c'è più, e ci diciamo che, finchè ci sono loro, vale ancora la pena di combattere... Riaccendiamo il telefonino e, su Facebook, ci sono decine di messaggi. Tutti di palese contestazione, spicca il solito che scrive: 'Avete voluto tutto ciò? E adesso tenetevelo...'
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romeo e giuLietta negLi ater: un amore popoLare
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Uno Shakespeare da guardare affacciati alle finestre, nei cortili dei palazzi popolari dell’ATER dal 10 al 13 Dicembre 2020 E online su www.facebook.com/lacittaideale ROMA. Nella periferia romana rinasce il teatro popolare. Il teatro nelle periferie e "ai margini", come negli anni Settanta. Un teatro da guardare affacciati alle finestre, per portare l’arte lì dove di solito non se ne fa: ai confini di Roma, nei cortili dei palazzi popolari dell'ATER. è il nuovo progetto de La Città Ideale che dal 10 al 13 dicembre propone Romeo e Giulietta negli ATER: un amore popolare, regia di Leonardo Buttaroni, nei cortili dei palazzi popolari dei quartieri di Primavalle e Quarticciolo, per regalare un assaggio di bellezza al territorio, trasformando l’affaccio di ogni privata abitazione nel palchetto in prima fila di un inedito teatro all’italiana. “L’idea nasce durante una passeggiata per il quartiere del Quarticciolo” spiega il curatore Fabio Morgan. «Su un muro c’era una scritta recente che diceva: La quarantena in 20 mq non si può fare!. Non era semplicemente una scritta ma un vero e proprio grido di dolore e di attenzione. Era il momento di inventare qualcosa che potesse intrattenere e mettere insieme, pur non potendo stare insieme. Nei momenti di crisi chi ci rimette di più sono sempre le persone che
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vivono situazioni già molto delicate. Un’artista ha il compito di inventare nuove forme per cercare di non lasciare sole queste persone. Il compito di coinvolgerle e farle sentire che qualcuno si occupa di loro, che qualcuno si prende l’onore e l’onore di fargli passare un paio di ore in modo diverso. E’ bastato osservare da vicino il quartiere e studiare la conformazione dei vari lotti di case popolari presenti a Roma, per vedere che in tutti ci sono grandi cortili attorniati da palazzi: ecco l’idea! Far diventare il cortile per un giorno un palcoscenico. Invitare i vari condomini dei palazzi ad affacciarsi alle finestre per vedere lo spettacolo, ognuno nella sua abitazione, tutti uniti nella visione di Romeo e Giulietta». L’amore alla fine non paga e se paga, paga poco. L’amore che te sarva la vita, se lo trovi costa caro. Così, il regista Leonardo Buttaroni ha scelto lo spettacolo di Romeo e Giulietta: “…la storia di due ragazzi, che per destino e fato avversi, si ritrovano a vivere un amore impossibile. Tra mille ostacoli e sospinti dagli eventi navigheranno verso il tragico finale. Tra battute folcloristiche, converse, musicassette e canzoni
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degli anni 80, ho incastonato la nostra storia, ho immaginato come un romano D.o.c. di quei tempi, me l’avrebbe raccontata, come avrebbe esaltato con sontuose iperboli la parte comica e come avrebbe affondato il coltello nella tragedia.” Un’esibizione piena di emozioni, in punta di piedi nelle case del popolo e nei loro balconi, nelle finestre e nelle terrazze. “Tutto per ricordare non quello che eravamo, ma quello che per sempre saremo. Perché la Roma che conosco, non perderà mai il vizio di essere… POPolare”, conclude Buttaroni. Shakespeare negli ATER è l’ultimo progetto ideato da La Città Ideale e vede la co-realiz-
zazione di un classico del teatro nelle corti interne degli ATER, strutture di edilizia popolare della Regione Lazio. Il progetto nasce nel periodo di lockdown, a teatri chiusi, e insiste sulla natura collettiva (e conviviale) del processo produttivo. Il progetto nasce dalla riflessione sulla qualità della relazione umana negli spazi di edilizia popolare, ponendosi come obiettivo la creazione di un evento che sia esperienza condivisa e momento di connessione “tra i diversi balconi”. Il teatro torna una realtà, in un modo diverso rispetto a quello in cui eravamo abituati a concepirlo. www.facebook.com/lacittaideale
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Il Simulacro argenteo di S. Lucia, opera dell'argentiere palermitano Pietro Rizzo, 1599, foto Michele Battaglia, www.siracusaarteecultura.it
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SiracuSa in feSta è iL 13 dicemBre, è Santa Lucia Dario Bottaro
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crivere di Santa Lucia è un’esperienza particolare per un siracusano devoto, quale è il sottoscritto. Specialmente in questo periodo particolarmente sofferente per l’intera umanità e per la nostra nazione, non è facile tentare di scrivere in modo lucido, oggettivo, senza scadere nel sentimentalismo. Nello scorrere di queste righe proverò a descrivervi la festa più sentita e partecipata della mia città, Siracusa, la festa di Santa Lucia, andando a ritroso nei ricordi, perché quella di quest’anno sarà una festa diversa, dove molte cose mancheranno, soprattutto le manifestazioni esteriori, quelle che rappresentano i siracusani, che ci fanno sentire viva la nostra fede, nel giorno più importante ed emozionante per la città intera: il 13 dicembre. Santa Lucia è per prima cosa la Concittadina
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L’atmosfera, la processione per le strade di Siracusa, i segni della devozione alla Santa della Luce Il racconto della festa prima del Covid
d’eccellenza, colei alla quale noi tutti ricorriamo nei momenti più bui della nostra vita, è la santa della Luce, quella guida, quel faro che illumina il cammino di un intero popolo, quella sentinella che protegge la sua città natale, quella stessa in cui per supremo sacrificio d’amore verso Gesù Cristo, andò incontro al martirio e versò il suo sangue. Quel sangue versato dalla giovinetta il 13 dicembre del 304, pochi anni prima dell’editto di Costantino del 313 che consentiva il pubblico culto ai Cristiani, ha reso florida questa terra. Dinanzi al suo sepolcro per secoli si sono avvicendati uomini e donne d’ogni estrazione sociale, perché in lei tutti hanno visto la sorella, la compagna di viaggio, l’amica pronta a sostenere e ascoltare le necessità del suo popolo. Non è un caso se dopo più di 1700
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Il Simulacro di S. Lucia sul sagrato della Cattedrale di Siracusa, foto Dario Bottaro
anni, ancora oggi, è una delle sante più amate e conosciute in tutto il mondo cattolico e celebrata anche nella Chiesa d’ Oriente e in quella Anglicana. Lucia è colei che possiamo sentire vicina in ogni momento, per ogni nostra necessità. Nella città di Siracusa il clima di festa inizia a farsi sentire già dalla fine di novembre, che con giorno 30 segna l’inizio della Tredicina alla santa, una pia pratica devozionale ancora oggi molto in uso nelle chiese cittadine e specialmente nel Santuario a lei dedicato, quella Basilica e quel Sepolcro che, nel quartiere della Borgata che ne porta il nome, si innalzano davanti agli occhi sbalorditi dei fedeli e dei turisti, nella loro bellezza antica. Sono testimonianze di storia, una storia di fede che la devo-
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zione ha plasmato secondo il linguaggio dell’arte, dai tempi più remoti a quelli più recenti. Le due chiese, sorte a poche decine di metri l’una dall’altra, sono la testimonianza dei fatti avvenuti quel 13 dicembre del 304, testimoniati dal-
l’epigrafe di Euskia risalente al V secolo e poi ancora dai tanti devoti che nei secoli hanno attraversato questi luoghi alla ricerca di una grazia, di un segno, di una benedizione. Siracusa si veste a festa, nell’attesa che arrivi il giorno tanto desiderato, per
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un intero anno. I rintocchi delle campane hanno un suono diverso, nell’aria c’è l’atmosfera di chi gioisce perché tra poco, rivedrà e riabbraccerà una persona importante, perché questo è per i siracusani Lucia, una persona di famiglia. Le luminarie colorano le tante strade che percorre la processione, illuminano di riflessi sfavillanti i profili dei palazzi, i negozi fanno a gara per realizzare vetrine che possano rendere onore alla Santa Patrona, in un tripudio di colori e di prelibatezze che ricordano le tante storie e le tradizioni che sono legate al giorno della festa. Così nelle pasticcerie e nella case si rinnova la tradizione della “cuccìa”, il dolce tipico fatto con ricotta e granturco e arricchito di canditi o di pezzetti di cioccolato. Intanto il tempo scorre, i giorni passano e le emozioni crescono negli occhi e nel cuore della città. Il giorno della vigilia, il 12 dicembre, si vive la prima grande emozione. Alle 11.30 dentro la Cattedrale gremita di persone si compie il rito che apre ufficialmente i festeggiamenti luciani, la Traslazione del Simulacro argenteo dalla sua Cappella fino all’altare maggiore. Sin dalle prime ore del mattino molti uomini si riuniscono in piccoli gruppi, segnando i lori nomi per far parte della lista dei 48 portatori che avranno
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Ingresso del Simulacro di S. Lucia nel Santuario della Borgata
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l’onore di portare sulle loro spalle il dolce peso della Santa, nel breve tratto che separa la Cappella dall’altare maggiore. Pochi metri sì, ma vissuti con intensa emozione, perché all’affacciarsi dell’argentea statua dal colonnato ricavato nell’antica cella del tempio di Atena, le emozioni esplodono in un lungo fragoroso applauso e le invocazioni si susseguono incessanti al grido di “Sarausana jè!” – Siracusana è – mentre lentamente Lucia incede fra due ali di folla, stretta nell’abbraccio della sua città che si emoziona e si commuove nel vederla così splendente, bella e maestosa. Il rintocco della campanella d’argento, segna l’inizio dello spostamento del Simulacro, le spalle dei portatori sono pronte per accogliere le lunghe travi che sorreggono la pesante cassa d’argento sulla quale campeggia in cima la statua della Patrona. Tre colpi di campana e il Simulacro viene alzato. Il fiato rimane sospeso, si compiono le manovre giuste affinché i “berretti verdi” – i portatori di Santa Lucia – siano correttamente sistemati per iniziare ad incedere nella
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Processione del 13 dicembre, festa di Santa Lucia a Siracusa, foto Dario Bottaro
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navata centrale della Cattedrale. Ancora altri colpi di campana, ancora grida di invocazione e pian piano il Simulacro raggiunge il presbiterio per l’ultima manovra. Sarà portato sopra i gradini ai piedi dell’altare maggiore in un’unica tappa, nessuna fermata se non lassù, al centro dell’altare parato a festa, con il paliotto d’argento e gli alti candelieri che le faranno da cornice. Il rito è compiuto, Santa Lucia è sull’altare maggiore, verranno sistemati i fiori e le candele, tantissimi bambini verranno presentati a lei, innalzati dalle braccia forti dei collaboratori della Deputazione della Cappella di S. Lucia, per la gioia e l’emozione grande dei genitori che a Lucia affideranno i loro figli. La solennità è sempre più vicina, si attende il giorno successivo, il 13 dicembre. Dalla mattina presto piazza Duomo brulica di gente che cerca di guadagnarsi un posto per la celebrazione del solenne pontificale, c’è la banda che annuncia il giorno di festa, ci sono i tanti devoti che iniziano a farsi vedere per le strade, pronti per affrontare il lungo cammino che porterà il Simulacro argenteo dalla Cattedrale al Santuario della Borgata. Alle 15.30 esatte la piccola “vara” con le Reliquie della Santa si affaccia sul portale
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Processione delle Reliquie di S. Lucia in piazza Duomo, foto dario Bottaro
centrale della Cattedrale barocca, le possenti colonne di pietra sembrano rimpicciolirsi davanti a questa moltitudine di uomini, donne e bambini che fissano il loro sguardo sul sagrato della chiesa, nell’attesa di vederla
comparire. Si sente in lontananza il campanellaio che detta il ritmo ai portatori e poi si odono le grida di invocazione e quel “Viva Santa Lucia� ripetuto decine e decine di volte, senza mai stancarsi, dalle voci dei porta-
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Portaroi del Simulacro di S. Lucia, foto Luca Scamporlino
tori che si alternano in questa antica melodia tutta siracusana. Il sole bacia la grandiosa facciata del Duomo, ormai è il momento, il rintocco dei sacri bronzi annuncia la
festa, eccola è lì, proprio sulla soglia della Cattedrale, appare così, fiera e luminosa nel suo incedere, solenne nella sua bellezza antica, colei che il Vicerè di Sicilia e Duca di Maqueda definì come “la più bell’opera d’Italia”, è tutta per il suo popolo. Esplodono gli applausi e la commozione scioglie il cuore di molti in lacrime di gioia che rigano il viso, ci si guarda l’un l’altro, ci si conforta e sostiene con uno sguardo di comprensione. E’ un continuo gioco di sguardi, Lucia che guarda la sua città, e la città che ammira la sua Avvocata e Patrona, battendo come in unico grande cuore. Lentamente la processione si fa spazio tra la folla, poco per volta avanza per lasciare piazza Duomo e iniziare il cammino processionale lungo il quale Lucia riceverà gli omaggi dei suoi devoti, fiori,
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preghiere, e tanti sorrisi. E’ Siracusa, è la città di Lucia che l’abbraccia e le fa da scorta fino a tarda sera, quando raggiungerà il Santuario sorto sul luogo del martirio. Ad accoglierla ancora migliaia di persone, un’intera comunità parrocchiale al suo servizio e al servizio dei tanti devoti e pellegrini che per otto giorni sosteranno presso questa chiesa, si inginocchieranno dinanzi a lei, nella Basilica o nel più piccolo Tempietto del Sepolcro. La chiesa parata a festa con lunghi drappi rossi e il grande tosello rosso dell’altare maggiore renderanno ancora più solenne questo luogo dove ogni cosa parla di lei, dove si percepisce forte la sua presenza. Al termine dell’ottavario il 20 dicembre il Simulacro farà ritorno in Cattedrale, accompagnato dal solito bagno di folla, ma questa vol-
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ta il percorso della processione farà due soste molto sentite, la prima presso il Santuario della Madonna delle Lacrime, la seconda presso l’Ospedale Generale Umberto I. Nel primo l’incontro tra la Madre e la Figlia, alla presenza della sezione dell’Unitalsi di Siracusa che rende omaggio a Santa Lucia, nel secondo la toccante visita del Simulacro ai degenti dell’ospedale, molti di loro affacciati ai balconi o alle finestre, abbracciati ai loro parenti, tutti ad applaudire e a pregare la Santa perché possa alleviare le loro sofferenze. L’uscita dal viale dell’ospedale sembra essere ancora più trionfale, stretta tra la folla Lucia è acclamata da ogni dove, dall’alto dei balconi, come dalla folla che amorevolmente a lei si stringe per accompagnarla nel suo cammino. Il tragitto prosegue dettato dal suono della campanella e dalle marce sinfoniche della banda musicale alle quali non di rado i portatori rispondono facendo incedere il pesante Simulacro a passo di musica. La processione dopo lunghe ore raggiunge il ponte Umberto I, che segna il limite fra la terraferma e l’isolotto di Ortigia, cuore della città, sede dell’antica acropoli
greca dove si innalza la Cattedrale, pronta nuovamente ad accogliere la Santa Patrona. Le ultime centinaia di metri del tragitto processionale sono commoventi perché i portatori non si fermano nell’urlare con tutto il fiato “Sarausana jè” e ad invocarla in coro con il “Viva Santa Lucia” fino a raggiungere il sagrato della Cattedrale. Qui la folla attende il rientro, la chiesa è già gremita di tanti fedeli che desiderano partecipare alla chiusura della Cappella. Sono istanti che rimangono impressi nella mente e nel cuore. Il rumore dei ferri che indicano lo spostamento delle travi che fino ad allora hanno condotto il Simulacro per le vie di Siracusa, segna l’inizio delle operazioni di sistemazione della grande statua. Ancora pochi minuti e Santa Lucia verrà condotta all’interno della settecentesca cappella decorata di marmi, che per tutto l’anno la custodisce. Ancora pochi istanti e una volta in loco, le pesanti porte di bronzo verranno chiuse, il bel Simulacro occultato alla vista dei fedeli. Lentamente, accompagnato dal popolo in preghiera, il Maestro di Cappella chiuderà quelle pesanti porte e tutti saluteremo Santa
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Uscita del Simulacro di S. Lucia dalla cattedrale di Siracusa, foto Dario Bottaro
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Fuochi d'artificio su ponte Umberto I, foto Andrea Monego
Lucia con il nostro arrivederci nel cuore. Sono questi i momenti che scandiscono la festa più importante della città che quest’anno, ai tempi del Covid, verrà vissuta con rigorose misure di sicurezza per contenere la pandemia. Una cosa è certa, il virus non conterrà la devozione e la fede dei siracusani per la loro Santa Patrona. è il 13 dicembre, è Santa Lucia!
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Verso il Delta del Po, fotoreportage di Antonio Giannini
pianura padana. VerSo iL deLta deL po. attraVerSo i penSieri.
Girovagando
Antonio Giannini
è strano l’effetto che procura la nebbia quando, all’improvviso, una mattina qualunque d’autunno ti scopri immerso nella sua massa lattiginosa e ti senti sospeso come in un ventre materno. In una zona franca. Ancora più strano è l’effetto benefico che ha sulla mente l’illusione dell’isolamento, almeno temporaneo, dal mondo esterno. Forse che abbiamo bisogno, di tanto in tanto, di una pausa? Come a dire che siamo trascinati in un vortice quotidiano che consuma il nostro tempo, e questa breve sospensione ci fa prendere fiato? Ci fa riflettere sulle nostre esistenze? Non lo so. Posso dire solamente che in questi momenti,
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Nella nebbia gocce sospese come i pensieri. Quando il paesaggio suggerisce i sentimenti
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Verso il Delta del Po, fotoreportage di Antonio Giannini
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Verso il Delta del Po, fotoreportage di Antonio Giannini
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Verso il Delta del Po, fotoreportage di Antonio Giannini
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quando il mondo sembra fermarsi ho come un senso di sollievo. Quando dalla mia finestra, dove spesso la mattina si apre un quadro nitido di luce e colori, fa capolino la nebbia, il pensiero mi
riporta sempre, quasi in modo automatico, a immagini e sensazioni rimaste in un angolo della mente pronti ad emergere come da un sogno incoerente di cui ci sfugge il senso. Mi vengono in mente le brughiere del nord,
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Verso il Delta del Po, fotoreportage di Antonio Giannini
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Vestibolo superiore verso l'ingresso, reportage fotografico Peppe Guida
Ricordo quel leggero stordimento di una notte insonne passata quasi tutta a guidare; quel sapore amaro ed impastato della saliva dopo chissà quante sigarette fumate; l’odore strano e aspro di mangimi e dei fertilizzanti; quel senso di desolazione e solitudine che ti prendeva e quasi rimpiangevi il gran traffico della sera precedente. Quando però lentamente le cime di un pioppeto o la forma tozza di un casolare, in lonta-
Girovagando
quella campagna immensa che all’alba, lentamente, prende forma e colore man mano che la nebbia dirada e una pallida luce prende il sopravvento. Io di quelle albe ne ho vissute tante quando, nella immensa Pianura Padana, giungevo alla mattina presto col mio autoarticolato 619 FIAT color panna in prossimità di qualche zona industriale di chissà quale città del triangolo industriale italiano.
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Verso il Delta del Po, fotoreportage di Antonio Giannini
nanza, facevano capolino da questo mare di ovatta, capivo che il sole era appena oltre l’orizzonte e che avrebbe, di li a poco, progressivamente, fatto emergere, uno ad uno, i contorni di un paesaggio inverosimile ed affascinante ai miei occhi abituati alla collina, ai muri a secco, alle piccole vie, alle contrade tutte così vicine. Man mano che il sole prendeva il sopravvento, poi, tutto iniziava a colorarsi di tonalità tenui e composite i cui riflessi, al crescere della luce diretta, in corrispondeva della linea dell’orizzonte, sfumavano in tonalità tra il rosa e l’indaco sulla massa grigia del terreno segnato monotonamente da infiniti solchi paralleli. Il volo improvviso spiccato da terra da un uccello solitario dalle grandi ali, alla ricerca di chissà quale approdo, mi segnalava la presenza di vita in quel paesaggio fisso e surreale e mi riportava alla realtà. Se sulle prime questo scenario aveva su di me l’effetto un po’ inquietante, poi, come per magia, progressivamente, mi procurava una strana fascinazione e, quando più tardi il paesaggio diventava più nitido, quasi rimpiangevo quella sensazione di mistero che si andava dissolvendo. Di solito arrivavo prima dell’ora di apertura davanti ai cancelli della fabbrica dove era destinata la merce che trasportavo e, nell’attesa, il silenzio e un senso di sospensione tutto
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intorno veniva bruscamente rotto dall’arrivo baldanzoso, prima alla spicciolata e poi in gruppi consistenti, degli operai. E tutto era un animarsi, un parlottare in un dialetto incomprensibile, interrotto da frequenti scoppi di risa. Il vapore emesso dai loro corpi caldi e dal fitto parlare, che nell’insieme ed in controluce sembrava lo sbuffo di un treno in movimento, segnalava che lì fuori, malgrado la giornata di sole, faceva freddo.
Si vedeva che loro erano ben riposati e che iniziavano la giornata pieni di nuova energia. Io invece, chiudevo gli occhi in uno stato di dormiveglia, finché qualcuno non veniva a bussare alla mia portiera. Erano gli anni settanta e quell’apparente armonia, in sintonia con l’ambiente circostante, aveva il sapore di una tregua dalle turbolenze e violenze che la società stava vivendo.
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Verso il Delta del Po, fotoreportage di Antonio Giannini
Quando la mia destinazione finale si spingeva a nord est verso il veneto, nei pressi del Delta del Po, quei paesaggi così vasti e dall’apparente monotonia, lentamente si arricchivano della presenza dei corsi d’acqua e dei canali formati dal fiume prima di fluire in mare. E lì, quando le circostanze me lo hanno permesso, ho potuto scoprire l’altra faccia della pianura. Immergendomi in quell’ambiente così speciale, ho potuto scoprire il delicato equilibrio tra terra e mare creato dal fiume e difeso dall’uomo.
Al paesaggio dagli spazi vasti ed alieni dell’entroterra subentrava adesso un alternarsi di aree agricole, dune fossili, fiumi e golene, pinete e boschi, lagune e canneti. Il paesaggio intorno diventava più piccolo e a portata di mano. Il frullio di ali nel canneto o il gracidare cadenzato nello stagno, la presenza immobile e solitaria di un pescatore, teso all’ascolto di eventuali vibrazioni della canna; tutto questo riportava il mio spirito in una dimensione decisamente familiare e rassicurante. Ma il ricordo di quelle visioni
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Verso il Delta del Po, fotoreportage di Antonio Giannini
fantastiche dell’alba padana pur nella loro E mi chiedevo se avrei vissuto ancora quei indeterminatezza continuavano ad esercita- momenti magici. E, siccome ero giovane, re su di me un certo richiamo, come l’attra- riponevo molta fiducia in quella eventualità. zione di qualcosa di inedito fuori della mia portata, su cui avrei voluto soffermarmi di più per decifrarne a pieno il mistero.
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Foto di Clker-Free-Vector-Images da Pixabay
L’atteSa e La gioia, iL miracoLo deL nataLe Giusy Gatti Perlangeli
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I luoghi della poesia
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i Luoghi della poesia
I. Questo cielo ingombro Saturo d’inverno, di vento e di pioggia Quel giorno si aprirà La luce vincerà sulle tenebre E il miracolo si rinnoverà E tutto ciò che falsamente scintilla Tutto ciò che è lucido Argenteo Dorato Tutto ciò che è materiale Impallidirà Al cospetto Di Colui che nasce povero E, ogni anno, rivolge a noi, sordi, un appello Che resta inascoltato L’appello all’Autenticità Alla Spiritualità All’Affetto Alla Sincerità Al Rispetto All’Onestà All’Amore
Lui, che nasce povero, viene celebrato nei fasti, tra cibi raffinati e regali costosi Lui, che nasce povero E muore giovane Ci parla ancora attraverso quella cometa Quella grotta Quella mangiatoia Ma rimane inascoltato. Donaci, o Signore il Miracolo del Silenzio e nel Silenzio il Miracolo Sentire la Tua voce!
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III. Auguro a tutti voi Un Natale “bambino” Che i vostri occhi si facciano "piccoli" Per cogliere con infantile stupore Questo Mistero che ci affascina da mille e mille anni.
II. Quando ti scorgerò tra i passeggeri Al checkout Quando ti vedrò svettare tra piumini e cappelli Quando sentirò le ruote del trolley che si avvicinano Capirò il perché di quell’ansia Di quella frenesia Del senso d’attesa Ti riconoscerò ancor prima di vedere i tuoi occhi Al di là della mascherina Della tua Della mia Di un sorriso che non si vede Occhi negli occhi Sguardi come carezze “Mamma” Questa è la mia Vigilia Questo è il mio Natale. Ogni Natale è un figlio che torna. Ogni volta che un figlio torna è Natale.
Auguro un Anno ricco di cose da scrivere, Esperienze da raccontare, Storie da narrare! Vi auguro di leggere tanto, ma non solo libri Vi auguro di leggere nei volti Negli occhi Nell'anima delle persone che incontriamo ogni giorno E che ignoriamo o trattiamo con superficialità! Leggiamo in noi stessi La nostra storia La nostra unicità Il nostro potenziale Le nostre fragilità Le piccole gioie E le malinconie. Buon Natale e Felicità per un 2021 di dolcezza e di sollievo!
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LUOGhI DEL SAPERE
#LadeVotaLettrice | Le recenSioni di Lucia accoto La confraternita deL re di giuSeppe paScaLi
GIUSEPPE PASCALI Nel viaggio al centro di un Millennial Aoidos Editore 2020 ISBN 978-88-945422-5-7 pp.115 € 11,50
#recensione #luciaaccoto #recensore #giornalista #libri #ladevotalettrice
Non si può fingere e mentire dinanzi alla bellezza. Essa stessa ti impone la verità. Se fossi bugiardo, falso, sentiresti il sudicio attaccato alla pelle già all’idea di mentire. E la menzogna si ricorderebbe, se hai coscienza, che sei uno stupido ad oscurare la nitidezza di ciò che è chiaro. Succede anche con i libri. Con certi, però. Con quelli che hanno tutto e non difettano in niente. Libri che hanno la bellezza delle storie, della scrittura, del fluire delle emozioni che dalla carta si fanno battiti, respiri. I tuoi, da lettore. Ti senti soddisfatto di avere tra le mani un libro che porta l’animo in festa. I sogni esistono anche su inchiostro e viverli attraverso la lettura rimpicciolisce, di molto, la distanza tra normalità e felicità. E allora, con libri del genere non ti azzarderesti a dire ciò che non è. Saresti sbugiardato all’istante dalla tua stessa coscienza che si ricorderebbe quanto tu sia misero ed irrispettoso davanti alla bellezza. I libri mettono ordine su tutto. Hanno il potere di far tacere i falsi riscattando la sostanza del volo verso l’immaginario. Il romanzo La Confraternita del Re di Giuseppe Pascali è una risacca di mistero, di segreti, di coraggio, di determinazione, di ricchezza, di potere, di verità nascoste. Il lettore sente ogni suo singolo muscolo stendersi o indebolirsi da come la storia cammina sulle pagine attraverso l’indole dei personaggi. Si sente mancare per la loro sorte e si rianima sulla base della forza di alcuni di loro. Per altri, invece, scattano sentimenti duri, di sdegno e di collera. Il lettore diventa esso stesso il cuore dei protagonisti. Occhi ed orecchie, invece, sono quelli di spie che si annidano nelle notti di una Venezia minacciata da un’oscura Confraternita che vuole dominare non solo sulla Serenissima, ma sul mondo intero per via di qualcosa che viene da molto lontano anche nel tempo. Dapprima un omicidio, quello di un ricco patrizio e membro del Consiglio dei Dieci, poi un sospettato sino ad una girandola di eventi che avanzano come una risacca, ed infine il coraggio e determinazione di una donna. Curato lo stile dello scrittore. Nulla di artificioso o di artificiale, la sua è una penna brillante. è talentuoso, Giuseppe Pascali. Ha una grande capacità narrativa, riesce a scrivere portandosi dietro il lettore senza mai affaticarlo regalandogli la bellezza di una storia che finisce al cuore di chi legge. E lì sarà conservata la bellezza senza alcuna menzogna. #recensione #libri #libribelli #libridaleggere #daleggere #books
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Storia Senza Voce di tSao ceVoLi racconto di un deLitto impunito Archeomafie e gli illeciti contro i beni culturali: silenziose vicende storiche e giudiziarie di Sara Foti Sciavaliere
TSAO CEVOLI Storia senza voce Centro per gli Studi Criminologici 2020 €23,83 ISBN 9788894528503
«Questo è il racconto di un delitto impunito impunito. Gli ingredienti di un giallo ci sono tutti: l’assassino, i mandanti i complici, i conniventi, chi assiste al delitto indifferente, chi non vede e ci preferisce non vedere, gli investigatori e gli inquirenti che inseguono faticosamente la verità attraverso scarsi indizi e complessi depistaggi, gli avvocati cercano di sfruttare ogni punto debole per consentire ai loro clienti di farla franca. Eppure non è un romanzo, ma la cronaca di un tremendo delitto realmente perpetrato nel nostro Paese. Un delitto la cui vittima è la memoria comune di tutti noi.» è così che si apre la premessa di Tsao Cevoli per introdurci in queste “Storia senza voce”, non un giallo, un legal thriller, ma il racconto vero (non veristico!) di una realtà di cui si è fatto nel tempo portavoce. “Storia senza voce” è un articolato e dettagliato dossier sulla piaga che affligge silenziosa, da decenni, il nostro patrimonio culturale. Tsao Cevoli, archeologo e giornalista, con stile pulito e asciutto, un approccio più giornalistico, scevro dalla ridondanza sintattica e dai tecnicismi a volte criptici tipici della saggistica, offre a un pubblico che si immagina, e si spera - non necessariamente di settore, una ben definita e aggiornata (almeno fino ad oggi) panoramica del fenomeno (ancora spesso ignorato e semisconosciuto) del traffico illecito dei beni culturali e delle connesse “archeomafie”. Viviamo in un Paese da sempre in una posizione strategica, e per questo crocevia di popoli e culture. Ciò ha determinato un patrimonio culturale unico al mondo per ricchezza e varietà, che è impossibile incasellare in un elenco puntuale e dettagliato, tale è la sua vastità, destando nel tempo ammirazione e invidia. L’Italia è diventata così, negli ultimi due secoli, preda di sistematici saccheggi e interessi illeciti da parte di criminali senza scrupoli, vittima della «Grande Razzia», come l’ha definita il giornalista Fabio Isman, autore anche di un libro, tra altri, dal titolo significativo “I predatori dell’arte
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perduta”. è principalmente per soddisfare gli “appetiti” di collezionisti privati e musei stranieri se si verificano scavi clandestini e furti di opere d’arte, con la grave e ignorata conseguenza di ledere e impoverire la memoria collettiva e l’identità dei territorio da cui i beni sono stati strappati. “Storia senza voce” non può naturalmente esaurire in sé l’ampia portata di un simile fenomeno, e non pretende di farlo, ma i tantissimi episodi di saccheggi che stendono i loro fili da una parte all’altro del mondo ne sceglie uno più esemplificativo, per rendere l’idea di quello che sono i traffici illeciti di antichità. Tsao Cevoli ci racconta di fatto di un acquirente di eccellenza, che per decenni con politiche spregiudicate di acquisizione è stato al centro del grande mercato internazionale di opere d’arte antica: mi riferisco al Jean Paul Getty Museum di Malibù, in California, che ha fatto incetta di materiali soprattutto greci, romani ed etruschi, in gran parte di “provenienza sconosciuta”, ma dei quali era in verità facile immaginare il reale contesto d’origine. La politica di acquisti del Getty Museum, sostenuta dalla immensa disponibilità economica prima del suo fondatore e poi del Getty Trust, ha alimentato scavi clandestini, traffici illeciti e falsari, senza che nessuno vi si opponesse. Ne nascerà un caso con articolate indagini e un altrettanto complesso processo, che getta il ponte tra l’Italia e gli Stati Uniti per i personaggi coinvolti, e che metteranno in luce un intricato meccanismo di sottrazione e circolazione illegale di beni archeologici, tra tombaroli, mediatori e trafficanti, sedicenti esperti e acquirenti privi di coscienza. Tali vicende giudiziarie saranno un avvertimento per altri musei stranieri di guardare con più attenzione alle proprie politiche di acquisto: il processo a Marion True, curatrice del Getty, e company ha infatti avuto il risvolto positivo di creare un’eco mediatica che ha spinto la classe politica e l’opinione pubblica a una maggiore sensibilità rispetto al tema della tutela del patrimonio culturale e del contrasto ai traffici illeciti. Allo stesso modo “Storia senza voce” mira a raggiungere l’opinione pubblica, e non esclusivamente gli specialisti dell’ambito, perché per poter attuare delle buone pratiche di prevenzione riguardo agli atti criminali a danno dei beni culturali è necessario sensibilizzare le coscienze della collettività e sollecitare la corresponsabilità, poiché il saccheggio dei beni monumentali e storico archeologici
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del nostro territorio e dei loro contesti sono un danno alla memoria di una comunità e di un territorio. Non a caso, sulla quarta di copertina si leggono le parole del Generale dei Carabinieri Roberto Conforti - in passato Comandante del Reparto per la tutela del Patrimonio Culturale Italiano: “I beni culturali non protestano, non reagiscono di fronte all’abbandono, al degrado, alla superficialità nella tutela. Si lasciano morire attendendo il Tribunale della Storia. E le colpe sono maggiori in aree ad alta densità culturale, in città che ospitano preziose testimonianze dell’arte di ogni tempo. La nostra responsabilità verso l’umanità è incommensurabile”. Per chi ama il piacere di sfogliare un libro tra le mani, la versione cartacea di “Storia senza voce” di Tsao Cevoli, pubblicato dal Centro per gli Studi Criminologici, è disponibile su Amazon, mentre la versione digitale è in free download su Academia.edu (www.academia.edu) e su Criminologi.com (www.criminologi.com). Con questa pubblicazione, tra l’altro, il Centro Studi Criminologici inaugura, dopo la rivista scientifica euNOMIKA, anche una collana editoriale di monografie dedicate agli studi e alle ricerche condotte dai propri docenti e ricercatori. L’autore. Tsao Cevoli, archeologo e giornalista, è attivista della difesa del patrimonio culturale e dei professionisti del settore. Nel 2004 ha fondato l’Osservatorio Internazionale Archeomafie, che attualmente presiede. Nel 2005 l’Associazione Nazionale Archeologi, che ha presieduto fino al 2013 e di cui dal 2019 è Socio Onorario. Dal 2008 dirige “Archeomafie”, prima rivista scientifica dedicata in Italia al tema dei traffici illeciti di antichità. Dal 2015 dirige il Master in Archeologia Giudiziaria e Crimini contro il Patrimonio Culturale del Centro per gli Studi Criminologici di Viterbo, un percorso formativo unico nel suo genere in Italia e in Europa, di cui è attualmente in corso il bando di ammissione alla sesta edizione, che mira a fornire le competenze per collaborare con la giustizia, con le forze dell’ordine e con gli enti pubblici e privati nel campo della prevenzione, della repressione e della valutazione dei crimini contro il Patrimonio Culturale.
Per l’invio di libri da recensire scrivere a redazione@arteeluoghi.it
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CRISTALLI, IL NUOVO ROMANZO DI WALTER CERFEDA LA PANDEMIA E LA FEROCIA SOCIALE
WALTER CERFEDA Cristalli Il Raggio Verde edizioni 2020 pp. 164 ISBN 9788899679965 €15
Una vita come tante quella di Raffaele e sua moglie Valeria, scandita da imprevisti e problemi quotidiani affrontati sempre insieme in modo ordinato e sereno. E il loro figlio, Filippo, non ha avuto alcuna incertezza ad andarsene lontano per provare non solo a costruirsi un futuro ma ancora di più per mettersi alla prova e misurarsi con le asperità della vita. Una storia che si svolge nello scenario di un paesino del Salento, situato vicino ad un mare limpido e lucente, dominato da un promontorio che si affaccia sulla bellezza stordente di una natura pressoché incontaminata. Tutto però all’improvviso viene sconvolto da un virus inafferrabile e crudele che, in poco tempo, distrugge ogni cosa, ricacciando il mondo in un buio gelido che sembra non finire mai. Così un’umanità che si riteneva potente e sicura di sé, si è invece di colpo scoperta indifesa e fragile, proprio come un cristallo che un niente può ridurre in frantumi. Cosa fare allora perché ciò non accada? E come riuscire a produrre un altro vaccino in grado di sconfiggere anche la malattia della paura e dello smarrimento, della solitudine e della povertà? “Cristalli” è un libro avvincente che, attraverso il racconto di vicende e personaggi non facilmente dimenticabili, apre uno squarcio nel buio in cui siamo caduti e getta una luce possente per illuminare la strada che ora finalmente dovremmo riuscire a percorrere. Walter Cerfeda, narratore e saggista, è nato a Bari, con una lunga carriera professionale nel campo delle politiche economiche e sociali svolta anche a livello internazionale come dirigente dell’Unione europea, a Bruxelles. Ha pubblicato numerosi romanzi quali: Il diaframma dell’infelicità, Lunedì, I Pupari, Solstizio d’inverno, Domani, Senza Preavviso e per i tipi de Il Raggio Verde, Allegoria, Coprifuoco, Con le scarpe di cartone e ora Cristalli, conseguendo numerosi premi e riconoscimenti tra cui il Premio Firenze e il premio Roma. è stato selezionato come finalista al premio Mario Soldati, al premio Le Muse di Pisa, al premio Corato, al premio Lucca e al premio Città di Castello. Molte le opere di saggistica tra le quali: Un nuovo contratto sociale, La nuova Europa, Finale di partita e nel 2019 Discorso sull’economia nel tempo del sovranismo, edito dal Raggio Verde. Nel 2020 gli è stato riconosciuto un premio alla carriera di scrittore e saggista dal prestigioso Premio internazionale Marzani. Collabora con numerose Università italiane ed estere e riviste nazionali e internazionali.
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SANTA LUCIA NELLA PITTURA ARETUSEA UN ATTENTO STUDIO SULLE OPERE D’ARTE SIRACUSANE
DARIO BOTTARO Santa Lucia nella pittura aretusea. Pale d’altare e dipinti devozionali nelle chiese della provincia di Siracusa Il Raggio Verde edizioni pp-50 2020 ISBN 9788899679972 €10,00
Santa Lucia nella pittura aretusea. Pale d’altare e dipinti devozionali nelle chiese della provincia di Siracusa è il titolo del nuovo libro a cura di Dario Bottaro che indaga e presenta, in quest’opera monografica, lo studio attento e minuzioso delle opere d’arte che hanno per soggetto Santa Lucia, raffigurata singolarmente, nel martirio o con altri santi, attualmente custodite nelle chiese della provincia di Siracusa che comprende anche la diocesi di Noto. Il volume edito da Il Raggio Verde con progetto grafico di Santa Argentino è presentato dall’avv. Pucci Piccione, presidente della Deputazione della Cappella di S. Lucia di Siracusa ed è impreziosito anche dai testi di Mons. Sebastiano Amenta e dalle schede a cura dello stesso Dario Bottaro insieme a Michele Cuppone e Michele Romano. è suddiviso in pale d’altare e dipinti devozionali (di dimensione più piccola), presentati in ordine alfabetico per città subito dopo Siracusa che è stata inserita per prima in qualità di capoluogo e per l’importanza che riveste nel culto a S. Lucia. Ad ogni opera presentata con fotografie ad alta risoluzione, è associata una scheda di catalogo secondo la tipologia semplice di scheda OA fornita dal Ministero dei BB CC e AA. è lo stesso Dario Bottaro, profondo conoscitore e studioso dell’arte siracusana fondatore tra l’altro del sito Siracusa Arte e Cultura nonché collaboratore della nostra rivista, ad anticiparci i contenuti e le motivazioni che lo hanno spinto alla stesura di questa opera che sarà disponibile sul sito della casa editrice a partire dallà metà di dicembre. «Avvicinarsi alla figura di santa Lucia può significare tante cose. Fede, devozione, storia, arte, culto, cultura, tradizioni popolari e molto altro. Il mondo di Lucia è un mondo pieno di sfumature che, da studioso siracusano, penso meritino di essere ricercate, incontrate, vissute e approfondite. Nell’incontrare Lucia c’è la gioia della luce che si rivela poco per volta, illuminando le pieghe del passato e rendendole nitide. Certamente questo studio non ha la pretesa di essere un lavoro completo in tutte le accezioni del mondo di Lucia, ma cerca di gettare nuova luce sulle testimonianze artistiche che, come veri e autentici tesori di arte e di fede, è possibile conoscere e osservare percorrendo le strade della provincia di Siracusa, entrando nelle chiese dei tanti paesi che ne fanno parte, curiosando con lo sguardo all’insù, alla ricerca delle opere che la ricordano e la rappresentano. Per questo motivo, mi auguro che ciò che in queste pagine è presentato, possa suscitare il desiderio di riscoprire la nostra storia e la bellezza di una devozione che oltrepassa i confini della fede, diventando oggi, memoria e identità del territorio aretuseo.»
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daLSaLentocafé | Le recenSioni di Stefano camBò
LUOGhI DEL SAPERE
iL mare in BaSe aL Vento iL romanzo di VaLentina perrone
VALENTINA PERRONE Il mare in base al vento Kimerick 2019 ISBN 9788855162340 pp.200 € 15
Per raccontare questo romanzo bisogna partire dal titolo, poetico nella sua semplice costruzione sintattica e metafora perfetta di ciò che viene analizzato con cura nella storia. Perché, in Salento, è strano a dirlo… Ma si sceglie di andare al mare in base a come soffia il vento! E questa caratteristica unica e rara la si può trovare solo in questo lembo di terra, che la scrittrice e giornalista Valentina Perrone ha saputo descrivere in maniera raffinata ed elegante nel suo nuovo libro pubblicato dalla casa editrice Kimerik, attraverso una rappresentazione dei luoghi che sembrano essere usciti da un dipinto di stampo impressionistico. Ma partiamo con ordine e raccontiamo brevemente la trama. Si inizia con Silvia, una giovane libraia legata profondamente al suo lavoro e ai suoi effetti più cari, che si ritrova a fare i conti un giorno con Carlo, affascinante ingegnere dal passato ombroso. Parafrasando il titolo di un famoso film di Lina Wertmüller, i due protagonisti saranno ben presto travolti da un insolito destino, proprio come se fossero due cuori nella tempesta. Una tempesta fatta di sentimenti e passione, mentre alle loro spalle i vicoli del centro storico di Lecce e le spiagge di Santa Maria al Bagno faranno da splendida cornice ad una storia che parla di scelte difficili, che mettono in luce la fragilità e il coraggio di chi non si arrende mai ed è disposto anche a perdonare per ritornare a sentirsi vivo. Perché, come scrive la stessa autrice: "Nel Salento, dove il mare si sceglie… L'amore sfida qualunque tempesta!"
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Immagine centrale: Corigliano-Castrignano-Melpignano, Dolmen-Plaumin, nei riquadri piccoli: Sternatia-Martignano,Chiesetta Madonna dei Farauli, Corigliano-Zollino, Lu Mbroia
dai Luoghi eLLefoni a BieLLa Le moStre riaprono SuL weB
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Dal progetto virtuale sui luoghi della Grecia Salentina al Selvatica Arte e Natura Festival di Biella. Le mostre, chiuse al pubblico, sono fruibili online
In tempo di pandemia, in ottemperanza alle misure del dpcm del 3 dicembre è prolungata la chiusura dei luoghi della cultura fino al 15 gennaio. Ma la cultura e l’arte non si fermano così molte mostre riaprono online o sono ideate per essere fruibili in rete. è questo il caso del progetto “Tòpo asce Lisària, dal griko “Luogo di Pietre” ideata dal gruppo Esterno Notte che ha pensato di realizzare l’allestimento virtuale dal 21 novembre al 12 dicembre 2020, nell’ambito del progetto EcoMostre – Luoghi d’Arte Etica, in collaborazione Viaggi e Miraggi e con il patrocinio dell’Unione Grecìa Salentina. Un viaggio fotografico verso i confini tra i comuni dei paesi della Grecìa Salentina. Un progetto che valorizza l’immenso patrimonio immateriale della lingua grika attraverso lo studio della toponomastica rintracciando il significato dei nomi delle
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campagne che segnano il confine tra i diversi comuni della Grecìa Salentina. Ripercorrendo le vie dei campi e riscoprendo la storia dei paesi griki e le origini dei toponimi dei terreni rurali, - spiegano gli ideatori - si è tentato di ricostruire l’identità dei luoghi evidenziandone le loro particolarità, le funzionalità e le leggende che li hanno resi unici nel corso dei secoli sino ad oggi. Addentrandosi lungo i sentieri delle zone agricole di confine, la ricerca si è arricchita con il ritratto fotografico delle antiche strutture rurali ritenute patrimonio dell’umanità da parte dell’Unesco. Nel mirino sono finiti così furnieddhi, pajare, aie, pozzelle, tratturi e muretti a secco, elementi fortemente identitari della civiltà contadina, ma anche architetture religiose come chiesette e icone votive e monumenti megalitici di epoche lontanissime come menhir, dol-
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men e specchie. Con un ‘vernissage’ virtuale al l i n k https://www.est e r n o notte.com/mos tra-fotograficavirtuale/ la mostra si è aperta nella mattinata di sabato 21 Novembre 2020 in occasione della Giornata Mondiale dell’Albero, e agli alberi è dedicato il progetto. Gli alberi, specie quelli salentini stanno vivendo un momento difficile a causa della xylella. E dal Sud al Nord con un’altra bella iniziativa, Selvatica, Arte e Natura in Festival, inaugurato lo scorso 26 settembre nei palazzi che compongono il Polo Culturale di Biella Piazzo e che le misure previste dal Dpcm del 3 novembre 2020 aveva visto chiudere i battenti. Ma nonostante la chiusura al
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Alcune immagini di Selvatica. Arte e Natura Festival: Paradiso Perduto 3, Luciano Mello 2, 3 Jürgen Lingl, Barbagianni, legno di abete, 2019;
pubblico l’ottava edizione di Selvatica dal 4 dicembre diventa accessibile a tutti e riapre online con un tour virtuale alle mostre. Selvatica è un evento biennale in cui le arti visive dialogano con la bellezza della natura diventando un filtro con cui osservare il mondo. Il Festival, progettato da Palazzo Gromo Losa Srl, ideato da E20Progetti e da Fondazione Cassa di Risparmio di Biella, si svolge nella storica Biella Piazzo e unisce artisti, fotografi, creativi e ricercatori che coniugano mostre di pittura, fotografia, scultura, incontri e conferenze incentrati sul tema della natura e i diversi modi di rappresentarla. Nelle settimane scorse il pubblico di Selvatica è stato coinvolto attraverso un aggiornamento quotidiano del sito internet e delle pagine social del Festival - Facebook, Instagram e YouTube – con contenuti video, immagini, interviste e storie che hanno raccontano il lavoro degli artisti presenti in mostra. Dal 4 dicembre al 10 gennaio 2021, dunque, viene aggiunta una nuova modalità di fruizione, grazie alla visita virtuale delle mostre allestite nei tre palazzi che compongono il Polo Culturale di Biella Piazzo – Palazzo Ferrero, Palazzo Gromo Losa e Palazzo La Marmora. I visitatori, collegandosi al sito https://www.selvaticafestival.net/2020/ potranno ammirare virtualmente le opere degli artisti in mostra come le sculture lignee di Jürgen Lingl, i lavori sulla flora tropicale della pittrice botanica Margherita Leoni, le sculture di Luciano Mello Witkowski Pinto, gli Alberi Monumentali Italiani incisi all’acquaforte da Federica Galli, gli acquerelli e i disegni botanici realizzati nell’Ottocento dalle sorelle Emilia e Filippina La Marmora e le opere dei giorni nostri di Angela Petrini e Maria Lombardi. Ma anche gli incredibili scatti del concorso fotografico Glanzlichter, il progetto fotografico Habitat di Marco Gaiotti e l’esposizione scientifica a cura dei naturalisti Emanuele Biggi e Francesco Tomasinelli dedicata alle strategie di sopravvivenza d’insetti, anfibi e rettili. Inoltre, Selvatica offre l’occasione alle scuole primarie e secondarie di primo grado di conoscere gli animali della mostra “Predatori del microcosmo. La corsa
agli armamenti di ragni, insetti, anfibi e rettili” con una lezione online gratuita di 90 minuti condotta da Clorofilla Soc. Coop. e WWF Oasi e Aree Protette Piemontesi. (an.fu.)
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nataLe in caSa cupieLLo L’opera di eduardo diVenta un fiLm Antonietta Fuvio
La Rai rende omaggio ad Eduardo De Filippo (Napoli 24 Maggio 1900 Roma, 31 ottobre 1984) con il film di Edoardo De Angelis in onda il 25 dicembre
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on si poteva scegliere titolo migliore da mandare in onda a Natale, in prima visione, che la famosa commedia di Eduardo De Filippo per celebrare i 130 anni dalla nascita del grande drammaturgo. Il titolo è “Natale in casa Cupiello”, l’opera teatrale di cui lo stesso Eduardo firmò le trasposizioni per la televisione nel 1962 con lo stesso Eduardo, Nina De Padova e Pietro De Vico e nel '77 con lui anche il figlio Luca De Filippo, Pupella Maggio, Gino Maringola, Lina Sastri. Prodotto da Roberto Sessa per Picomedia in collaborazione con Rai Fiction, il film con la regia di Edoardo De Angelis vedrà l’attore romano Sergio Castellitto vestire i panni di Luca Cupiello. Con lui Marina Confalone, (che esordì in teatro proprio con la compagnia di Eduardo De Filippo e fu anche nel cast della trasposizione televisiva del 1977), Pina Turco, Adriano Pantaleo Official, Alessio Lapice, Tony Laudadio, Antonio Milo, Andrea Renzi, Massimiliano Rossi, Carmen Pommella, Marco Mario de Notaris, Margherita Romeo, Anna Bocchino, Clara Bocchino. Interamente girato a Napoli in un appartamento in via dei Tribunali, il film racconta la storia verosimile di una famiglia napoletana mettendo in scena i drammi della vita che riservano risate di cuore e lacrime amare in
un continuum senza soluzione di continuità. Andata in scena la prima volta al Teatro Kursaal di Napoli (oggi Cinema Filangieri), il 25 dicembre 1931 fu definita dallo stesso Eduardo un “parto trigemino con 4 anni di gravidanza” passando dal primo atto inziale a tre atti con un prologo e una conclusione. Al centro la gioia dell’attesa per il Natale con la costruzione del presepe, un culto che da napoletano verace Luca Cupiello costruisce con dedizione assoluta. Fantasia e certezza nella sacra composizione, allegoria del proprio mondo, che se per Luca è espressione pura del Natale non è invece riconosciuta dal figlio Tommasino che lo osteggia - “No, ‘o presepe nun me piace!” - e criticata dalla moglie Concetta, impegnata a tenere a freno la figlia Ninuccia decisa a lasciare il marito Nicolino per il suo primo amore Vittorio. Una scelta che la giovane donna affida ad una lettera, recuperata dalla mamma, ma ingenuamente trovata da Luca, ignaro di tutto, e consegnata al genero. è un attimo e la commedia diventa tragedia. La scoperta del tradimento, il disincanto e la delusione fanno crollare le certezze: è una società che va in frantumi partendo dal suo nucleo primario, la famiglia, che non è più un’isola felice dove trovare rifugio, amore e comprensione.
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zaVattini LiVe, fiLm e autori da non perdere di ViSta
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Continua, rigorosamente online, il ciclo di incontri incentrate sul riuso creativo del materiale d'archivio
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ontinua con successo anche a dicembre il ciclo di incontrI Zavattini Live. Film e autori da non perdere di vista: dopo il primo appuntamento, previsto il 2 dicembre, con la regista Wilma Labate e il montatore Mario Marrone per il film Arrivederci Saigon, sarà la volta di tre nuovi approfondimenti prima della fine dell'anno: lunedì 7 dicembre saranno ospiti della rassegna Davide Ferrario e Sergio Toffetti per parlare di La zuppa del demonio di Davide Ferrario (film già visibile su RaiPlay); venerdì 11 Dicembre sarà invece la volta di Paolo Pisanelli e Michele Riondino (TBC) per parlare del film Buongiorno Taranto di Paolo Pisanelli (film disponibile gratuitamente sulla piattaforma Youtube dell'Aamod dalle 8 di venerdì 11 dicembre a mezzanotte di domenica 13 dicembre 2020); infine, martedì 15 dicembre, a presentare Mondo Za di Gianfranco Pannone ci saranno Gianfranco Pannone e Primo Giroldini (TBC); anche questo film sarà disponibile gratuitamente sulla piattaforma Youtube dell'Aamod, dalle 8 di martedì 15 dicembre a mezzanotte di giovedì 17
dicembre 2020). Tutti gli incontri, sempre in programma dalle ore 18:30, saranno visionabili in diretta e nei giorni a seguire sui canali ufficiali FB del Premio Zavattini e di Arci UCCA, ideatori e organizzatori dell'iniziativa, e sul canale ufficiale YouTube dell'AAMOD (Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico). Insieme agli autori, ad introdurre e moderare gli interventi, saranno presenti Antonio Medici, direttore del Premio Zavattini, Aurora Palandrani, CdA AAMOD, Roberto Roversi e Antonio Borrelli, rispettivamente presidente e vicepresidente nazionale di Arci UCCA. Zavattini Live si propone di promuovere la visione e la conoscenza di film, di finzione e documentari, che utilizzano in modo creativo e originale i materiali tratti da archivi filmici e televisivi. On line su sulle pagine FB ufficiali del Premio Zavattini e di Arci Ucca https://www.facebook.com/PremioZavattini https://www.facebook.com/UCCApagina e sul canale YouTube dell'AAMOD: https://www.youtube.com/AAMODAAMOD/
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due inediti di mia martini neL cataLogo digitaLe deLLa Suan
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Vinili rari e introvabili, con l’avvento di cd, vengono resituiti all’ascolto del grande pubblico
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Un inaspettato regalo di Natale, quello della Suan Edizioni che in occasione della sua seconda uscita digitale a metà dicembre con un centinaio di brani tra cui Tony Dallara a Mike Bongiorno, da Milva a Bruno Nicolai, da Renato Rascel a Joe Sentieri, da Gianni Meccia a Tony Del Monaco, presenterà due inediti di Mia Martini. Si tratta dei brani “Pere sempre resterò con te” e “Soli ad amarci”scritti per la cantante da Giorgio Calabrese, compianto autore musicale e padre di Christian Calabrese curatore dell’iniziativa insieme a Francesco Coniglio. Si tratta di provini registrati con sola voce, chitarra e batteria che verranno immessi sulle principali piattaforme digitali in due momenti: a dicembre il primo brano, a gennaio il secondo. Per i cultori, dalla lacca dei brani verrà anche stampato un vinile in edizione limitatissima la cui copertina è stata ideata e disegnata dalla sorella dell’artista Olivia Berté che ha così commentato: “Reputo geniale questa iniziativa – afferma Olivia – L’aver recuperato tra i cassetti del maestro Calabrese questa lacca che è un vero e proprio reperto storico non può che riempirmi di gioia. La prima volta che ho ascoltato i brani è stato un tuffo al cuore nonché un ritorno al nostro passato remoto,
dove la sua voce era estremamente fresca, cristallina e pura. Considero questo ritrovamento strategico un’altra casella significativa nella trasmissione della nostra memoria sonora e un pezzo che si aggiunge alla nostra più bella storia culturale italiana di cui sia Mimì che il grande Giorgio Calabrese hanno fatto parte”. “Questi due brani ritrovati nello scrigno dell’archivio di Giorgio Calabrese – ricorda Coniglio - dimostrano la genialità del Maestro Carlo Alberto Rossi che individuò per primo il talento di Mia Martini, ma anche la sua grande insicurezza come discografico. Invece di affidarle dei pezzi suoi originali come questi ritrovati, la fece esordire nel 1963 con delle cover yè-yè di moda in quel periodo, come You Can never stop me loving you di Johnny Tillotson e I want to stay here di Eydie Gorme. Come mandare al macello la voce jazzata di Mimì, che infatti riuscirà a riprendersi e a ripartire alla grande solo nel 1971, sprecando ben otto anni! I brani in questioni sono i classici provini dell'epoca: voce, pianoforte (che quello non manca mai), spazzole (o "pennelli") bene in evidenza e basso. Come veniva, veniva. Ma se il cantante o la cantante erano bravi, sembrava già "disco". Come in questo caso.”
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Bologna, piazza Santo Stefano foto di Stefano Cambò
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iL nataLe, pupi aVati e gLi Storici portici di BoLogna Stefano Cambò
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Se la città di Rimini sta a Federico Fellini, quella di Bologna sta a Pupi Avati. Infatti, c’è un profondissimo legame tra il capoluogo emiliano e la produzione cinematografica del
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regista che, proprio tra gli storici portici, ha ambientato alcuni dei suoi film più belli e riusciti. D’altronde, per quanto lo si possa considerare un vero e proprio maestro della settima
I luoghi del cinema
Per i luoghi del cinema ripercorriamo i set del film di Pupi Avati
Basilica di San Petronio, foto di Stefano Cambò
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I luoghi del cinema
arte, in grado di spaziare senza problemi dall’horror alla commedia, il suo cinema di stampo artigianale è diventato un vero marchio di fabbrica che lo contraddistingue e lo rende unico in un panorama che negli ultimi tempi ha pensato più a rincorrere gli incassi al botteghino che a ricercare la qualità con la Q maiuscola. E per quanto questo aspetto sia ormai diventato una triste consuetudine nostrana, Pupi Avati è riuscito, nonostante tutto, a raccontare le sue storie senza fronzoli e senza inutili virtuosismi, ponendo le basi del suo cinema sulla solidità della sceneggiatura, la scelta accurata dei luoghi e la bravura degli interpreti. E proprio facendo attenzione a questi fondamentali elementi che oggi vi porterò per mano tra i portici di Bologna insieme a due film che hanno fatto la storia della sua personale produzione cinematografica. Perché sono due piccoli gioielli che racchiudono in pieno il cinema di questo grande maestro italiano. Sto parlando naturalmente di Regalo di Natale e La rivincita di Natale. Il primo, uscito nel lontano 1986, è un affresco per alcuni versi cinico dell’Italia di quegli anni e segue per tutta la durata le vicende di quattro amici che si ritrovano a Bologna la notte del ventiquattro dicembre per una partita a poker. Quella che all’apparenza può sembrare una gioiosa rimpatriata, con il passare delle ore, diventa un vero e proprio regolamento di conti con le varie storie personali che s’intrecciano le une nelle altre, mentre le carte cadono sul tavolo verde e un misterioso industriale partecipa come ospite ricco e indifferente. La partita è serratissima fino al colpo di scena finale, che spiega bene il titolo del film e rende omaggio alla prova attoriale dei protagonisti. Tra tutti spiccano Carlo Delle Piane (premiato a Venezia con la Coppa Volpi per la miglior interpretazione maschile) e Diego Abatantuono (per la prima volta alle prese con un ruolo drammatico).
Santuario di San Luca, foto di Stefano Cambò
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I luoghi del cinema
Bologna - Le due torri, foto a lato,uno scorcio di Bologna, foto di Stefano Cambò
Nel 2004 Pupi Avati ritorna a raccontare le vicende dei quattro amici emiliani dirigendo La rivincita di Natale, il sequel del primo fortunato film. I fatti ci riportano di nuovo alla vigilia di Natale, anche se sono passati ben diciotto anni dall’ultima volta. Ritorna la città di Bologna ornata a festa e ritorna il tavolo verde della partita a poker. Tutti vengono richiamati a rapporto da Franco (Diego Abatantuono), che vuole risedersi un’altra volta per la rivincita, visto la tremenda sconfitta che lo ha segnato economicamente nel lontano 1986. Gli altri lo seguono e a loro si unisce anche il misterioso industriale che aveva deciso le sorti di quel precedente incontro. Tutta la tensione e i dissapori sono di nuovo dentro il mazzo di carte, metafora di una amicizia che continua a mostrare i suoi lati più oscuri anche grazie alle interpretazioni degli attori, perfetti nel riproporsi in scena davanti al tavolo verde. Come nel primo film, la tensione sale alle stelle man mano che la partita entra nel vivo fino al pirotecnico finale che non delude, mostrando il lato agrodolce di un regista che mantiene fede alla sua storia, rinunciando al classico happy-end. Oltre alla prova attoriale dei protagonisti e nonostante entrambe le pellicole siano da considerarsi delle vere e proprie “opere da camera”, visto che gran parte della storia si inscena davanti ad un tavolo da gioco, resta comunque evidente negli occhi degli spettatori la città di Bologna, scelta come luogo ideale per entrambe le rimpatriate.
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I vecchi portici fanno da sfondo ad alcuni momenti che anticipano le famigerate partite, con molte inquadrature che si soffermano in particolare sulle due Torri, il simbolo storico del capoluogo emiliano. Anche Piazza Maggiore (o Piazza Grande come la elogiava Lucio Dalla in una sua celebre canzone) fa spolvero della sua bellezza in una scena de La Rivincita di Natale, quando il personaggio interpretato da Diego Abatantuono incontra sul sagrato della Basilica di San Petronio, la sua amante. A tal proposito, c’è da ricordare che questa imponente chiesa, oltre ad essere la più importante della città e anche la quinta al mondo per dimensioni, viene considerata da molti studiosi come l’ultima grande opera gotica realizzata in Italia. Se siamo in zona per un viaggio di piacere è possibile poi visitare la celeberrima Fontana di Nettuno, davanti alla quale si affacciano i più prestigiosi edifici medievali della città: ad Est c’è infatti il cinquecentesco Palazzo dei Banchi, ad Ovest il trecentesco Palazzo Comunale e a sud l’imponente Basilica di San Petronio di fronte alla quale si mostra in tutta la sua eleganza il Palazzo del Podestà. Non lontano dal centro cittadino si arriva, passeggiando sotto gli storici portici, alla Basilica di Santo Stefano, un insieme di edifici che formano il noto complesso Un frame del film, Regalo di Natale, di Pupi Avati
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la locandina del film
I luoghi del cinema
delle Sette Chiese collegate tra loro dall’anomala forma triangolare della Piazza. Ultima doverosa tappa se ci si trova a Bologna è la visita al famoso Santuario di San Luca, che si erge sul Colle della Guardia e che si può raggiungere percorrendo il portico che dal centro sale per ben quattro chilometri fino al sagrato dell’edificio sacro. Perché Bologna non sarebbe la città che tutti conoscono senza i suoi storici portici che, oltre ad essere un elemento architettonico utilissimo per proteggersi sia in caso di pioggia che nelle assolate giornate estive, sono anche e soprattutto l’essenza stessa della città. Una città che il maestro Pupi Avati ha saputo raccontare come pochi nei suoi tanti film e che rivive ogni volta che sullo schermo viene riproposto un suo piccolo gioiello che sa tanto di vecchio cinema. Quello di una volta… Che ti incolla al divano nelle sere d’inverno, ti cattura con la storia e gli interpreti e poi, poco prima dei titoli di coda, ti emoziona!
Buon Natale e Felice 2021 dalla casa editrice Il Raggio Verde e dalla rivista Arte e Luoghi
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“Back in town ceLeBra La reunion dei Quartiere coffee
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dal 3 dicembre sulle piattaforme digitali
“Back in Town” è il titolo del nuovo singolo e videoclip della reggae band toscana Quartiere Coffee, disponibile da giovedì 3 dicembre su tutte le piattaforme digitali. Era il 2014 quando la voce solista della band, KG Man alias Tommaso Bai, decise di abbandonare la formazione per trasferirsi a Milano per seguire i suoi progetti solisti. Ora dopo sei anni la band torna alla sua formazione completa e annuncia nuovi progetti per il futuro. KG Man a tornare a cantare con loro, d’ora in poi con una formazione a doppia voce con Filippo “Rootman” Fratangeli. L'amicizia che legava i due ha cancellato ogni tipo di incomprensione ed una nuova energia è tornata a dettare i tempi produttivi e compositivi della band che comprende anche Matteo Maggio (batteria), Marco Vagheggini (tastiere), Matteo Varricchio (basso), Filippo Scandroglio (chitarra), Giulio
Grillo (tastiere) e Marco Donnarumma (producer). Tutto è tornato com'era e l'idea di cantare assieme chiude un cerchio, un progetto nato sui banchi di scuola che dipana ad oggi la sua maturità. La reunion è ora ufficializzata con questo nuovo singolo che è la sintesi perfetta del sound che ha reso questo gruppo uno dei più originali ed identitari del panorama musicale italiano, “Back in Town” racconta di come tutto è cominciato, parla di amicizia unita da una grande passione e di un'avventura che non è mai finita, ma, che in questa occasione ricomincia più forte che mai. Il sound è tipicamente reggae, ma, contaminato dal “touch” tipico del collettivo e da una parte drum and bass che aggiunge vibes nella parte finale del brano. L’uscita è accompagnata dall’omonimo videoclip diretto da Lorenzo Biadi. www.quartierecoffee.it
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particolare di un’opera di Virgilio Carotti
VirgiLio carotti, un artiSta da riScoprire Mario Cazzato
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Nella sua produzione, dipinti a soggetto storico e mitologico, vedute di interni e paesaggi surreali
Salento Segreto
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ato ad Osimo nel 1897 e non nel 1882 come sulle note biografiche di studiosi leccesi, Virgilio Carotti frequentò prima l’istituto delle Belle Arti di Urbino, successivamente entrò all’Accademia delle Belle Arti di Perugia per poi completare la sua formazione a Roma negli anni compresi tra il 1920 e il 1923. Nella capitale, l’artista apprese la tecnica della decorazione e della modellazione della ceramica dai maestri Alfredo Bigini, Giovanni Prini e Duilio Cambellotti.
A partire dagli anni 20, Carotti partecipò a note rassegne nazionali ottenendo vari riconoscimenti. Nel 1921, insegnò plastica e decorazione presso la regia Scuola Comunale di Arte Applicata di Cività Castellana, assumendo successivamente la direzione dello stesso istituto. Dopo aver insegnato a Sulmona, tra il 1941 e il 1951 Virgilio Carotti si stabilì a Lecce dove insegnò decorazione nella Regia Scuola Artistica Industriale “ G. Pellegrino” almeno per un decennio, sicuramente dal 1941 al 1951.
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Il manifesto disegnato per la fiera leccese
mico. Scomparve poco dopo il 1976.Tipica la sua aguzza firma autografa come risulta da questa apposta come nota di possesso su una monografia di Tintoretto, completamente postillata. Le opere qui documentate danno un segno evidente delle sue notevoli capacità pittoriche. Appunto, un artista da scoprire.
Salento Segreto
Si inserì benissimo nell'ambiente artistico locale e sue opere si trovano in non poche collezioni private. Oltre all'attività didattica e pittorica fornì, solo per fare qualche esempio, i disegni per i lampioni di piazza Salandra a Nardò e disegnò il bel manifesto della fiera leccese del vino del 1949. Suo è anche il dipinto raffigurante "Tobiolo e l'Angelo". olio su tela, cm. 230 x 130 per la Chiesa Matrice di Monteroni di Lecce. In anno imprecisato si trasferì a Firenze dirigendo una famosa fornace di materiale cera-
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