Arte e Luoghi | Febbraio 2020

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tra le necropoli

la fontana aretusa

Alla scoperta dei misteriosi Etruschi e i luoghi misteriosi delle necropoli

A Siracusa l’amore si intreccia con il mito: Alfeo e Aretusa e la mitica fontana

anno 153 numero 2 febbraio 202 0

Anno XV - n 2 febbraio 2020 -

federico fellini

torre mammalie

a fabriano

La suggestiva Torre situata sulla costa ionica custode della storia d’amore e di crudeltà del Principe Trebisonda

Dal 29 febbraio al 29 marzo nel Museo della Carta la mostra di Giuseppe Ansovino Cappelli e i suoi 31 borghi medievali in punta di matita


primo piano

le novitĂ della casa

IL RAGGIO VERDE EDIZIONI

ilraggioverdesrl.it


EDITORIALE

Rimini, Borgo San Giuliano, murales dedicato al maestro Fellini

Proprietà editoriale Il Raggio Verde S.r.l.

In questo numero dedicato all’amore e alle sue diverse declinazioni abbiamo scelto di dedicare la copertina e l’articolo di apertura al regista Federico Fellini privilegiando non una sua foto o il manifesto ancor oggi accattivante della celebre coppia de La Dolce Vita, bensì uno dei tanti murales che sbucano quasi all’improvviso tra le stradine dell’antico Borgo San Giuliano di Rimini rievocando le atmosfere dei suoi film. E nella sua Rimini, città natale, è in corso una mostra straordinaria primo atto di un fittissimo calendario di eventi che culminerà, ma sarà solo l’inizio, nell’inaugurazione del Museo Internazionale Federico Fellini che connetterà tre luoghi storici ed emblematici della città che ha sempre amato e dove è voluto ritornare. Anche questo è amore, a parte quello per il cinema e l’arte. Ed è amore, anzi devozione, ciò che ha portato in onore del santo patrono a Novoli una bellissima collezione di immagini iconografiche di Sant’Antonio provenienti dal British Museum. E l’amore ha tanti aspetti: anche il culto per i morti è una forma d’amore ce la insegnano gli etruschi e le loro misteriose necropoli che ha visitato per noi Sara Foti Sciavaliere che ci ha svelato anche l’aspetto, quello erotico, raccontato dall’arte romana e racchiuso nel gabinetto segreto del Mann di Napoli. E sono intrise di amore per Lecce e il Salento le pagine del suo romanzo, fresco di stampa, “La sposa del Chiostro”. Ed è amore anche quello per lo sport, analizzato dal psicoterapeuta Giovanni Bruno e che si tramuta anche in arte come è accaduto per la tela donata dall’artista Vittorio Tapparini alla sua squadra del cuore. L’amore per i luoghi ci conduce ogni mese alla scoperta di luoghi misteriosi grazie al giornalista Raffaele Polo e allo scrittore Stefano Cambò che ci porta in Sicilia sui set di un noto film di Benigni. E ancora una volta in Sicilia, e precisamente a Siracusa, l’amore si intreccia al mito grazie a Dario Bottaro ma non sveliamo altro. In fondo l’amore è comprendere il senso dell’assenza e abbattere il silenzio come ci insegna il neovincitore sanremese Diodato. Cosa altro aggiungere? speriamo di esservi mancati... ma eccoci sul nostro privilegiato terreno d’incontro. (an.fu.)

SOMMARIO

Direttore responsabile Antonietta Fulvio progetto grafico Pierpaolo Gaballo impaginazione effegraphic

Redazione Antonietta Fulvio, Sara Di Caprio, Mario Cazzato, Nico Maggi, Giusy Petracca, Raffaele Polo

Hanno collaborato a questo numero: Lucia Accoto, Dario Bottaro, Giovanni Bruno, Stefano Cambò, Mario Cazzato, Sara Di Caprio, Sara Foti Sciavaliere, Dario Ferreri, Dafne Frasca, Giusy Gatti Perlangeli, Raffaele Polo, Alessandro Romano, Giuseppe Salerno Redazione: via del Luppolo, 6 - 73100 Lecce e-mail: info@arteeluoghi.it www.arteeluoghi.it

luoghi|eventi| itinerari: Girovagando i le necropoli di cerveteri e tarquinia 28 | luoghi del mistero torre mammalie 44|il Gabinetto segreto del mann 48 | il mito dell’amore nella fontana aretusa 56 | itinerarte 78 | ! salento segreto 104 arte: fellini 100 Genio immortale 4| sant’antonio abate iconografia di un santo 14 | a fabriano Volare alto per ritrovare radici 20| tapparini 92 |photoansa 2019 94| musica: una vita meravigliosa l’incanto della musica di diodato 71 |la sonosfera a pesaro 90 i luoghi della parola: | i luoghi della parola | poesia 88 | arte fuori dal comune 66 | curiosar(t)e: ettore aldo del Vigo 72 teatro|danza| il teatro ad ortelle si fa in cinque 72 cinema: | premio mario Verdone 19 |i luoghi del cinema : la sicilia di Johnny stecchino 98 libri | luoghi del sapere 80 -86 #ladevotalettrice 84

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i luoghi nella rete|interviste| il concorso: il mare in una stanza 46 | m come miele, il concorso 78 Numero 2- anno XV - febbraio 2020


In basso il logo per le celebrazioni da un disegno di Paolo Virzì

fellini 100 Genio immortale dedicato all’uniVerso felliniano Antonietta Fulvio

Ha aperto i battenti lo scorso 14 dicembre dando inizio alle celebrazioni del Centenario La mostra, allestita a Castel Sismondo è prorogata fino al 13 aprile 2020

” cinematografica di Fellini al tessuto urbano della città. Fellini 100 Genio Immortale è il titolo della mostra, inaugurata il 14 dicembre 2019 e prorogata fino al 13 aprile 2020, che celebra l’arte felliniana a Castel Sismondo, la rocca che fu dei Malatesta. Regista, scrittore, sceneggiatore, fumettista. L’arte di Fellini ha varcato l’oceano e viaggia ancora per il mondo. Dai film che gli sono valsi ben quattro premi Oscar, più uno alla carriera alcuni mesi prima della sua scomparsa, il 31 ottobre 1993, al suo Libro dei Sogni diario intimo dove annotava sogni e incubi notturni quei "segnacci, appunti affrettati e sgrammaticati" inseguendo la realtà perché l’unico vero realista è il visionario. Probabilmente sul filo della malinconia, uno stato d'animo nobilissimo: il più nutriente e il più fertile. E di creazioni il maestro ne ha firmate tante, dalle prime caricature, appena diciottenne, sulla rivista satirica Marc’Aurelio, ai

RIMINI. Ci sono visioni destinate a restare nel tempo, anzi a fermarlo per sempre come è riuscito a realizzare con la sua “arte” l’insuperabile maestro Federico Fellini. A lui e alle poetiche visioni del suo cinema alcuni pittori riminesi hanno dedicato i murales che spuntano tra i vicoli e le casette dell’antico Borgo San Giuliano. Un chiaro omaggio ma anche il segno di una naturale presenza di colui che partito dalla sua Rimini, “dimensione della memoria”, ha conquistato il mondo con le sue geniali visioni tra fantasia, sogno e realtà. E la sua Rimini ha voluto ricordarlo nel centenario della nascita, avvenuta il 12 gennaio 1920, con un evento espositivo senza precedenti che farà da preludio ad una serie di iniziative collaterali con ben quattro portali telematici a lui dedicati e che avranno nell’apertura del Museo Internazionale Fellini, a fine anno, la realizzazione di un progetto trasversale che connetterà la dimensione

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Il Cinema Fulgor oggi, riaperto nel 2018, in basso il cinema fotografato da Davide Minghini sul set di Amarcord

ritratti degli attori più importanti commissionatigli dal gestore del Cinema Fulgor, alle illustrazioni per il settimanale fiorentino satirico 420. Dai copioni e le gag, alle prime sceneggiature durante gli anni della guerra a quelle per il cinema del neorealismo di Roberto Rossellini (Roma città aperta e Paisà), Pietro Germi (In nome della legge, Il cammino della speranza e La città si difende), Alberto Lattuada (Il delitto di Giovanni Episcopo, Senza pietà e Il mulino del Po). Nel 1951 Luci del varietà, fu il primo film che lo vide esordire dietro la macchina da presa in compagnia proprio di Alberto Lattuada. Poi arrivarono le pellicole Lo sceicco bianco (1952), I vitelloni (1953), La strada (1954), con cui vinse il suo primo Oscar, Il bidone (1955), Le notti di Cabiria (1957) che gli valse il secondo Oscar, La dolce vita, premiato a Cannes con la Palma d'oro. Nel 1963 con 8½, si aggiudicò due statuette, per il miglior film straniero e per i costumi. Un successo dopo l’altro. Seguirono Giulietta degli spiri-

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Il Grand Hotel di Rimini

ti (1965) e Fellini-Satyricon (1969), Roma (1972), Amarcord (1973) che gli valse il quarto Oscar, Il Casanova (1976), Prova d'orchestra (1979), La città delle donne (1980), E la nave va (1983), Ginger e Fred (1985), Intervista (1987) fino al suo ultimo film La voce della Luna (1990). Titoli che ripercorrono non solo la storia del cinema italiano ma anche quella del Belpaese, dagli anni del boom economico alla crisi della società di fine secolo. Se l’Italia è diventata per tutto il mondo il paese della Dolce Vita lo si deve al suo sguardo unico e inconfondibile e all’immaginario con

il quale è riuscito a raccontare la propria generazione - quella di chi ha vissuto le più importanti tappe del Novecento - ma capace allo stesso tempo di entrare in contatto con quelle successive. Fellini ha mostrato come, viaggiando a ritroso nel tempo, si possano trovare magici suggerimenti per comprendere il presente. “Tutto si immagina” non è solo una celebre espressione del regista riminese ma la chiave di volta per fotografarne l’eredità artistica e creativa attuale e senza tempo. L’occasione del centenario della nascita è diventata perciò il momento propizio per celebrare il maestro

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riminese legando insieme un fittissimo calendario di iniziative - mostre proiezioni, concerti, dibattiti - identificate dal logo che vede il maestro nelle vesti di un domatore, elaborazione grafica di un disegno del regista Paolo Virzì, ispirato a una delle foto più famose della storia del cinema scattata da Tazio Secchiaroli sul set di 8 ½. E con l’allestimento della mostra “Fellini 100. Genio Immortale” Castel Sismondo è diventata il centro dell’universo felliniano, la presenza tangibile del Genio. La mostra a carattere itinerante da Rimini approderà in primavera a Roma, a Palazzo Venezia, per poi


Rimini, Castel Sismondo prende il proprio nome dal suo ideatore e costruttore, Sigismondo Pandolfo Malatesta, (fonte: ufficio stampa)

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arrivare a Los Angeles, Mosca e Berlino. Film, disegni, costumi, documenti, manoscritti e fotografie provenienti sia dal ricco patrimonio accumulato negli anni dall’ex Fondazione Fellini, ora proprietà del Comune di Rimini, sia da fondazioni, archivi pubblici e collezioni private che hanno fornito il materiale in loro possesso, in alcuni casi ancora inedito, per allestire la mostra itinerante progettata da Studio Azzurro di Milano. Dalla porta di Luce, struttura luminosa che evoca la Cassa del Cinema Fulgor si entra nel percorso dove una Silvia-Anita in scala gigante, con alle spalle la cascata d’acqua della fontana di Trevi, nella indimenticabile scena clou del film La dolce vita, invita i visitatori a raggiungerla. Una singolare linea del tempo, attraverso 30 foto emblematiche che raccontano la vita e la carriera di Federico Fellini si legge in controluce la storia italiana del ‘900, primo nucleo della sezione, cinema Fulgor: in una sala cinematografica, instabile e mutevole, che diventa macchina del tempo: a partire dagli anni ’20-‘30 per poi passare al dopoguerra e agli anni ’80 racconta il Belpaese attraverso l’immaginario dei film di Fellini. Il secondo nucleo è dedicato al racconto dei compagni di viaggio del regista Fellini, reali, immaginari. Ben quattro sale dedicate ai costumisti, scenografici, scrittori, poeti, attori, musicisti che hanno accompagnato il regista nella sua opera e nella sua vita.

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Rimini, Borgo San Giuliano, il murales di Gelsomina in piazzetta Gabena, (fonte: ufficio stmapa),

In primis, il compositore Nino Rota legato a Fellini da una profonda amicizia e che ha firmato per lui la maggior parte delle colonne sonore dei suoi film. Grazie al Fondo Nino Rota per la prima volta è possibile ammirare una serie di taccuini originali sui quali il compositore appuntava le indicazioni di Fellini sulla musica che avrebbe dovuto accompagnare ed esaltare le sue scelte registiche. E tra i materiali inediti sono esposte la primissima sceneggiatura di quello che poi sarebbe diventato Amarcord, il titolo della prima stesura era “è il Bourg”, «Se si uniscono amare, core, ricordare e amaro, si arriva a Amarcord» spiegò lo stesso Fellini. E la sceneggiatura di Otto e mezzo di proprietà di Lina Wertmuller, che all’epoca fu assistente alla regia , lo stesso regista raccontò di come il film fosse nato da una crisi di ispirazione e di come l’idea fosse scaturita durante la festa di compleanno di un capomacchinista a Cinecittà. Ma se il cinema è indissolubilmente legato alla musica lo è anche alla moda, costumi e scene sono parte integrante e contribuiscono a decretare il successo di un film. Così nella grande sala del primo piano sono in mostra il defilé degli abiti ecclesiastici nel film Roma e i costumi del film Il Casanova, per i quali il costumista e scenografo Danilo Donati ottenne l’Oscar. Dal set di

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Federico Fellini sul set del film “Amarcord�, oto di Davide Minghini

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Federico Fellini sul set del film “Amarcord”, oto di Davide Minghini

Casanova, direttamente dalla Fondazione Fellini di Sion in mostra il ciak originale insieme agli altri materiali inediti provenienti dall’archivio dell’Associazione Tonino Guerra. Poeta e sceneggiatore Tonino Guerra, anche per lui quest’anno ricorre il centenario (era nato Santarcangelo di Romagna, 16 marzo 1920) firmò per Fellini nel 1973 la sceneggiatura di Amarcord seguite da quelle per E la nave va (1983) e Ginger e Fred (1986). Un capitolo a parte è dedicato al mitico Libro dei Sogni, di cui è possibile sfogliare una serie di pagine digitalizzate grazie alla tecnologia e un particolare allestimento. Terzo nucleo della mostra è la presentazione del progetto permanente del Museo Internazionale Federico Fellini che aprirà in dicembre, un progetto di ampio respiro che si sviluppa intorno a tre luoghi: Palazzo Valloni, un edificio di origine settecente-

sca recentemente restaurato, al cui piano terra ha sede il mitico cinema Fulgor dove Fellini vide il suo primo film, Maciste all’inferno scoprendo così la magia della settima arte. Inaugurato nel gennaio 2018, dopo il restauro con gli allestimenti ideati dallo scenografo, tre volte premio Oscar, Dante Ferretti, il cinema Fulgor con l’anessa casa del cinema che sorgerà sui tre piani del settecentesco palazzo Valloni, saranno gli spazi ideali per contenere i segni della poetica di Fellini. E Castel Sismondo, la rocca del Quattrocento al cui progetto contribuì Filippo Brunelleschi. Infine una grande area urbana pedonalizzata, chiamata CircAmarcord, che farà da tessuto connettivo tra Castello e Cinema Fulgor. Il percorso con le opere d’arte open air daranno vita ad una vera e propria Piazza dei Sogni, un creativo ‘fil rouge’ tra i due edifici dallo straordinario valore archi-

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Federico Fellini e Giulietta Masina, Rimini, Grand Hotel, foto di Davide Minghini

tettonico e simbolico destinati a diventare il luogo di una narrazione coinvolgente attraverso film, documentari, interviste, sceneggiature, lettere, spartiti, oggetti di scena e, insieme a questi, i disegni – che tanta parte hanno avuto nel processo ideativo del Maestro - e i costumi. In questo modo sarà documentata anche la qualità e l’originalità delle collaborazioni e delle maestranze coinvolte in ognuno dei progetti di Fellini. «Questa mostra, dedicata al genio immortale di Federico Fellini, è il primo passo di un traguardo ambizioso – ha commentato il Sindaco di Rimini Andrea Gnassi. Il

Museo Internazionale Federico Fellini, che aprirà i suoi battenti a Rimini nel 2020, centenario del Maestro, e che ospiterà in collezione permanente anche l’esposizione che presentiamo oggi, (Fellini 100. Genio Immortale, ndr) ha il dichiarato obiettivo di non essere una sequenza di teche. Semmai un luogo visionario in continuo divenire, dove la ricerca, l’approfondimento, l’apporto incessante di arte e artisti di ogni Paese si combini con l’innovazione, la tecnologia, per esaltare non soltanto la memoria ma l’eredità di Fellini.”

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Martin Schongauer, Le Tentazioni di Sant'Antonio © British Museum

sant’antonio, iconoGrafia del santo delle tentazioni

Dal British Museum a Novoli, in provincia di Lecce, in occasione dei festeggiamenti del Santo Patrono. In mostra 81 incisioni nel Palazzo Baronale grazie alla cura e all’impegno di Mario Rossi

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a devozione lega da secoli il santo alla sua gente. E fa di una piccola cittadina, nel cuore del Salento, il palcoscenico di uno spettacolo pirotecnico straordinario che rinnova ogni anno stupore e incanto nei giorni soprannominati del Fuoco. Stiamo parlando di Novoli e il Santo in questione è Sant’Antonio celebrato non solo nei riti religiosi - e in quello più profano della celebre Focara, la più alta del bacino del Mediterraneo con i suoi 25 metri di altezza con un diametro di 20, realizzata interamente con

tralci di vite - ma anche con una singolare mostra curata da Mario Rossi allestita nel Palazzo Baronale. Così è giunta quest’anno a Novoli una straordinaria collezione di notevole interesse artistico e storico. Incisioni, acqueforti, disegni e xilografie provenienti dal British Museum, con un unico denominatore comune, appunto, la raffigurazione di Sant’Antonio. Amico degli ultimi, degli emarginati e degli animali il santo patrono di Novoli è per lo più rappresentato dagli artisti -

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come spiega lo storico di arte moderna il professor Lucio Galante «a figura singola o nelle rappresentazioni di episodi particolarmente significativi verso la santità. Come si può desumere dal numero delle opere presenti in mostra, il tema più rilevante è quello delle tentazioni, a conferma di quanto più volte è stato già osservato, e cioè che per la storia dell’arte Sant’Antonio è soprattutto il Santo delle tentazioni.» In occasione dell’evento espositivo, di sicuro tra quelli più interessanti che hanno arricchito la proposta culturale dei Giorni del Fuoco, la pregevole pubblicazione intitolata “Iconografia di Sant’Antonio abate nell’arte dell’incisione” curata da Il Parametro editore. Il saggio dello stesso Galante impreziosisce il catalogo che raccoglie le immagini delle ottantuno opere esposte. Il primo gruppo di incisioni che ha aperto il percorso vede il Santo raffigurato a figura intera con gli abituali segni, cioè il Tau, la campanella, il maiale, il fuoco e talvolta con l’aggiunta del rosario e del libro, spiega lo stesso Galante, facendo notare come poi nel tempo siano prevalse le ragioni dell’arte che hanno fatto emergere le caratteristiche espressive e stilistiche degli artisti. Il risultato si traduce nelle tante

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Hieronymus Wierix, sant'Antonio, incisione Olanda, 1589 Š British Museum

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L’alletimento della mostra e un momento della serata inaugurale

varianti di raffigurazioni che il visitatore attento ha potuto osservare. Ed ecco, allora, che tra le opere, di indiscusso valore artistico e storico, spiccano le incisioni di Nicoletto da Modena (1500), che rappresenta sempre il Santo con l’inseparabile maialino, Albrecht Dürer (1519) che lo raffigura come un eremita, il bastone con la doppia croce e appeso un campanello caratterizzando prevalentemente però l’ambientazione paesaggistica. Lucas Van Leyden, invece, (1521) lo rappresenta intento a leggere un libro che stringe nella mano sinistra mentre nella destra ha un bastone. In questa incisione si intravede un maialetto con una campanella al collo. Curiosa invece è la posizione che assume il maialetto nascosto tra le gambe del santo, nella incisione colorata a mano dell’artista olandese Master S che sceglie di rappresentare Sant’Antonio in piedi mentre legge con attenzione un libro. E se autori come il francese Vignon o l’italiano Piazzetta concentrano l’attenzione sulla raffigurazione del volto del santo particolarmente suggestive oltre che numerose sono le incisioni dedicate al tema delle tentazioni riconducibile alla «natura narrativa che costituiva un sicuro stimolo per la capacità immaginativa degli artisti» e

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Un momento della serata inaugurale

Cinquecento e la tentazione è incarnata dalla presenza di donne, spesso, dal seno nudo. Le tentazioni però sono talvolta raffigurate anche con motivi simbolici non riconducibili solo alla lussuria. Nell’incisione di Hieronymus Wierix, per esempio, la donna con orecchie appintite e il piede artigliato come zampa porge al santo un’urna contenente delle monete. Ma il Santo, noncurante dell’animale piumato e dell’offerta, continua la sua lettura senza cedere alle lusinghe ricevute. Questi sono solo alcuni degli esempi della bellezza, della complessità delle raffigurazioni e della scoperta iconografica intorno ad un Santo tra i più amati e celebrati nel mondo.

i Luoghi della Parola

che porta ad una sorta di classificazione tra le tentazioni diaboliche e quelle definite carnali o muliebri. «Le prime, a loro volta, che riguardano la “lotta” ingaggiata dal Santo contro le forze del male, sono state distinte in attacco nell’aria e attacco terrestre dei demoni. Il percorso delle incisioni comincia con l’attacco nell’aria con l’incisione più famosa, quella di Martin Schongauer, alla cui fortuna concorsero anche altri artisti che la riprodussero letteralmente, come ad esempio Agostino Carracci, esercitando anche una influenza successivamente su altri artisti, quali Luca Cranach il Vecchio, Hans Springinklee e Hans Weiditz.» Anche l’iconografia delle tentazioni carnali ha subito un’evoluzione nel tempo agli inizi del

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Premio Mario Verdone 2019, Carlo Verdone premia Fabio D’Innocenzo, foto Piero Giannuzzi | photo © Archivio Art Promotion

premio mario Verdone annunciata la rosa dei finalisti

La premiazione a Lecce nell’ambito della XXI edizione del Festival del Cinema Europeo

Lecce. Tra gli eventi più attesi della primavera torna dal 18-25 aprile il Festival del cinema europeo e nel suo caledoiscopio di eventi il Premio dedicato a Mario Verdone. «e’ l’undicesima edizione del Premio intitolato a nostro padre Mario grazie al Festival del cinema europeo, e anche quest’anno ci troviamo di fronte a una scelta non facile. Tutti i giovani autori in concorso hanno talento e hanno dimostrato grande capacità nella realizzazione della loro opera - sottolineano i fratelli Verdone -. Siamo contenti di vedere come ogni anno il cinema italiano si arricchisca di registi e veda crescere autori di indubbio valore artistico. Il Festival del cinema europeo di Lecce si conferma un bel trampolino di lancio per molti di loro» Dieci gli autori scelti per questa XI edizione: Gianni Aureli per Aquile randagie, Phaim Bhuiyan per Bangla, Marco Bonfanti per L’uomo senza gravità, Simone catania per Drive me home, Stefano cipani per Mio fratello rincorre i dinosauri, Marco D’Amore

per L’immortale, Roberto De Feo per The nest - Il nido, Karole Di Tommaso per Mamma + mamma, Manfredi Lucibello per Tutte le mie notti, carlo Sironi per Sole. Il Premio Mario Verdone, riservato a un giovane autore italiano che si sia particolarmente contraddistinto nell'ultima stagione cinematografica per la sua opera prima sarà consegnato nell’ambito del Festival dai fratelli carlo, Luca e Silvia Verdone che scelgono il vincitore dalla rosa di autori selezionati. Il Premio dedicato a Mario Verdone è stato istituito in accordo con la famiglia Verdone dal Festival del cinema europeo, in collaborazione con il centro Sperimentale di cinematografia e il Sindacato Nazionale Giornalisti cinematografici Italiani. Le precedenti edizioni sono state vinte da: Susanna Nicchiarelli per cosmonauta, Aureliano Amadei per 20 sigarette, Andrea Segre per Io sono Li, claudio Giovannesi per Alì ha gli occhi azzurri, Matteo Oleotto per Zoran, il mio nipote scemo, Sebastiano Riso per Più buio di mezzanotte, Duccio chiarini per Short skin, da Marco Danieli per La ragazza del mondo, da Roberto De Paolis per Cuori Puri e, l'anno scorso, da Damiano e Fabio D'Innocenzo per La terra dell’abbastanza.

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Giuseppe AnsoviNella foto in basso Nathalie Caldonazzo insieme a Francesco Branchetti no Cappelli, Fabriano,

a fabriano: Volare alto per ritroVare le radici Giuseppe Salerno

Dal 29 febbraio al 29 marzo al Museo della Carta la mostra di Giuseppe Ansovino Cappelli, 31 borghi medievali in punta di matita

In febbraio si inaugura presso il Museo della Carta e della Filigrana di Fabriano “volare alto per ritrovare le radici”, mostra di disegni architettonici composta da ben quarantuno opere di Giuseppe Ansovino Cappelli che, a tratto di matita, riconduce all’inte-

grità originaria trentuno borghi medioevali delle Marche. Docente di composizione presso la facoltà romana di Architettura Valle Giulia, Giuseppe Ansovino Cappelli è originario di Fiastra ed è alla sua regione d’appartenenza che dedica questi suoi

lavori recenti su carta Fabriano. Un ambito quello dell’architettura al quale, congiuntamente agli innegabili meriti, vanno ascritte gravi responsabilità quando, nel rapporto con il mondo di superficie, la gestione dello spazio ha vieppiù incarnato l’aspira-

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zione umana a dominare le forze della natura e l’assurda presunzione di poter tutto controllare e plasmare. Fondamentalmente al servizio dei potenti, al pari di tutta

l’arte figurativa sino alla prima metà dell’800, un architetto dimostra di essere tale quando afferma la sua visione anche nei confronti del committente cui compete

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dettare le regole. Sta a lui ricavare spazi vitali di espressione all’interno degli ambiti costretti. Altra storia è quando il chiamato a progettare abbracci l’ideologia del




Nella pagina precedente: Giuseppe Ansovino Cappelli, Urbino, in questa pagina Recanati

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Giuseppe Ansovino Cappelli, San Severino Marche, disegno architettonico

potere e faccia proprie altrui visioni. Privo di un’etica che lo ponga in rapporto con gli equilibri dell’universo, è l’uomo/architetto ad aver conflitto, in tempi recenti, con condizioni ed andamenti naturali ingegnandosi ad incanalare e deviare il corso delle acque, a contrastare gli andamenti delle maree, a perforare le montagne, a creare isole, a mettere in comunicazione terre e ad erigere barriere. E’ ancora a lui che una società mossa unicamente dal profitto ha chiesto di rendere possibile la massima concentrazione di esseri umani in città verticali che,

funzionali ai bisogni della produzione e del consumo, sono le prigioni nelle quali non ci è dato distinguere il giorno dalla notte, il caldo dal freddo. In combutta con gli interessi della finanza internazionale è l’architettura ad aver sottratto l’uomo all’ambiente naturale, all’alternarsi delle stagioni, alla pioggia che bagna ed al sole che scalda costringendoci in ambienti confortevoli al cui interno il tempo, annullata ogni diversità, scorre sempre uguale. Architetto amante della classicità e fortemente rispettoso del mondo naturale, Giuseppe Ansovino Cappelli vive la

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propria estraneità nei confronti di questa società massificata che non concede spazio al pensiero ed all’emozione individuali; società che, dimenticato il senso della vita, va ogni giorno di più alla deriva. Artista nell’animo, disprezza quel fare scollegato dal sentire profondo che ha prodotto la crescita incontrollata dei grandi agglomerati urbani nei quali si sono succeduti interventi distruttivi e sostitutivi che hanno compromesso ogni precedente armonia d’insieme riducendo le aree cittadine a luoghi dell’accumulo e della coesistenza. Nostalgico di una idealizzata


integrità perduta, Cappelli, uomo/architetto/disegnatore/sognatore, sorvola con la gomma e la matita piccoli e grandi borghi delle amate terre marchigiane per restituirci, liberate da rimaneggiamenti e superfetazioni inquinanti, architetture rivisitate nella loro essenzialità, circoscritte, protettive, protagoniste un tempo di quel dualismo città/campagna oggi sconosciuto. Al “Less is more” sembrano rifarsi questi suoi interventi giustizialisti su strutture che ancor oggi, nonostante tutto, permangono quali testimonianze preziose d’una concezione urbanistica collettiva, spontanea, a misura d’uomo. Volare alto per ritrovare le radici è la missione abbracciata da Giuseppe Ansovino Cappelli che, a tratto forte di penna e matita, realizza su carta Fabriano queste sue tavole bianche e nere di fronte alle quali, in scenari architettonici essenziali e silenti di dechirichiana memoria, respiriamo l’equilibrio e la grandezza di un pensiero collettivo. La mostra resterà aperta al pubblico dal 29 febbraio al 29 marzo.

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Giuseppe Ansovino Cappelli, Cerreto d’Esi, disegno architettonico

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Necropoli di Monterozzi Tarquinia, reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere

le necropoli di cerVeteri e tarquinia a spasso tra i tumuli etruschi

Sara Foti Sciavaliere

Storie l’uomo e il territorio

Incanto, mistero, girovagando nella terra dei Rasna

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uella degli Etruschi – i Rasna o Rasenna così come loro usavano definirsi – è la storia di un popolo misterioso che ha suscitato la fantasia di appassionati e studiosi. Le origini di tale civiltà sono state argomento di discussione dai tempi più remoti, ma pare fossero restii a svelarsi appieno lasciando

scarse tracce e testimonianze di loro e contribuendo così a creare il mistero che gli avvolge in parte tutt’oggi. C’è un incanto naturale in quei luoghi dove vissero e senza dubbio non si può negare la bellezza delle loro tombe dipinte o delle necropoli rupestri, ammirabili anche da chi è digiuno di archeologia. Pare che

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Viterbo sotterranea, reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere

le città, nello facies etrusca, siano letteralmente scomparse, al contrario delle loro manifestazioni funerarie, assai imponenti e ben documentate, forse questo è da imputare anche al fatto che gli Etruschi destinavano i materiali più resistenti e duraturi per le opere monu-

mentali che, a loro avviso, dovevano confrontarsi con il trascorrere del tempo e resistere per l’eternità. Nei tempi più antichi questo popolo credeva in una qualche forma di sopravvivenza terrena del defunto; da ciò quindi nasceva l’esigenza, come forma di rispettoso omaggio,

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di garantirne la sepoltura e di dotarla di richiami al mondo dei viventi. La tomba in tal senso era realizzata in modo da sembrare la casa del defunto, sia nell’architettura che negli arredi.


va via mare con i paesi del Mediterraneo grazie ai suoi tre porti (Pirgy, Punicum e Alsium). Grandiose le sue necropoli, di cui quella della Banditaccia è la più grande, con numerose tombe e tumuli in parecchi casi in ottimo stato di conservazione, e solo nella zona chiamata del Recinto si possono contare oltre duemila tombe. Queste meravigliano non solo per le dimensioni ma anche per la raffinatezza: percorrendo i dromos, i corridoi che con-

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ducono alle celle sepolcrali, possiamo ancora oggi notare come i letti funebri siano scolpiti a ricordo dei letti dei vivi, con le testiere e i guanciali. Il complesso rappresenta il capolavoro del “genio creativo dell’uomo” e della società etrusca ed è considerato uno dei più suggestivi paesaggi archeologici italiani fino a essere riconosciuto dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità. Il nome della necropoli cerite deriva dai bandi che il Comune nell’Ottocento usa-

Storie l’uomo e il territorio

Necropoli di Banditaccia Cerveteri “Andiamo a Cerveteri, l’antica Caere, o Cere, chee aveva anche un nome greco, Agylla. Era una vivace e gioiosa città etrusca quando Roma imbastiva le sue prime sparute capanne”. (David Herbert Lawrence, “Etruscan Places”, London 1932) Cerveteri era una delle città più prestigiose dell’Etruria costiera, e già tale doveva apparire agli antichi, grazie all’intensa attività commerciale che intrattene-




Storie l’uomo e il territorio

Necropoli di Banditaccia, tombe a cumulo, Cerveteri, foto di Sara Foti Sciavaliere

va per dare in concessione i terreni, le terre su cui sorge la necropoli venivano chiamati bandi tacce in quanto non adatti per l’agricoltura o l’allevamento. Le tombe si disponevano lungo una strada principale, dove sono ancora impresse le tracce delle ruote dei carri che la percorrevano, ma mentre i tumuli più antichi (datati entro il VI sec.a.C.) sono distribuiti in modo casuale e disordinato, nel corso del Vi secolo a.C. la costruzione anche della città dei morti viene pianificata su un asse viario razionalizzato, come avveniva per quella dei vivi. Così lungo la strada principale, già densamente occupata da tumuli di varie dimensioni, si aprono vie trasversali, e altri monumenti sono scavati in corpi quadrangolari, con le facciate aperte su vie sepolcrali dritte che si intersecano ortogonalmente. Esterni abbelliti da cornici architettoniche semplici, in blocchi di tufo e nenfro, ma pure accenni di decorazioni policrome.

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Storie l’uomo e il territorio

Roma, Museo Etrusco di Villa Giulia, Il sarcofago degli Sposi, foto Sara Foti Sciavaliere

Un ritrovamento tra i più noti, proprio in questa necropoli è il cosiddetto “Sarcofago degli sposi”, un sarcofago in terracotta che risale al VI secolo a.C., conservato nel Museo nazionale etrusco di Villa Giulia a Roma e rinvenuto nel XIX secolo durante scavi nella Banditaccia. La scultura raffigura una coppia di sposi sdraiata in un triclinio a un banchetto. Entrambe le figure hanno i capelli lunghi, gli occhi allungati e il sorriso arcaico. La donna indossa un copricapo caratteristico e dei sandali ai piedi, mentre il marito presenta una barba lunga e appuntita. I due coniugi sono raffigurati semidistesi su una klìne, un letto a piazza matrimoniale di bronzo ricoperto di stoffe e cuscini, sopra il quale gli ospiti si adagiavano durante le feste. Questa klìne si presenta con zampe a volute e gli sposi giacciono su un materasso munito di coperta e cuscino, in posizione di perfetta parità, come se partecipassero ad un banchetto. La posizione di rilevanza della donna nella società non fu ripresa dai Romani, che invece non ammettevano le donne al convivio, se non in epoca imperiale

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Necropoli di Monterozzi Tarquinia, foto di Sara Foti Sciavaliere

Necropoli di Monterozzi – Tarquinia “E presto vedemmo Tarquinia, con le sue torri appuntite come antenne su un fianco del basso promontorio di una collina, qualche chilometro lontano dal mare. E questa era la metropoli dell’Etruria, la più illustre città della grande Lega etrusca. Ma morì come tutte le altre città etrusche, ed ebbe una qualche rinascita nel Medioevo, con un nuovo nome. Dante la conosceva, e così per secoli è stata conosciuta, come Corneto dimenticando il suo passato etrusco” (David Herbert Lawrence, “Etruscan Places”). Le impressioni scritte dallo scrittore inglese sono ancora piuttosto risalendo dalla costa verso il centro storico di Tarquinia ancora racchiuso nelle possente mura urbiche. Questo centro della Tuscia viterbese aveva un’area di influenza che si estendeva dal mare fino ai Monti Cimini e al lago di Bolsena ed era una tra le più potenti della Dodecapoli etrusca, che si distinse anche per le sue necropoli. A Monterozzi, tra le migliaia di trombe ritrovate, quasi duecento riportano pitture murarie, di queste sono 19 quelli visibili, protette da teche di cristallo, nell’area cosiddetta del Calvario. A primo sguardo, visitando il sito, non si ha la percezione reale del patrimonio che conserva in quegli ipogei. Sulla collina infatti si ergono decine di casette, strette e lunghe, in cemento, che nascondono e proteggono l’ingresso alle meravigliose tombe, è lì, nelle camere di sepoltura che questa necropoli trova la sua espressione massima. Le tombe affrescate rappresentano un aspetto

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Necropoli di Monterozzi Tarquinia, foto di Sara Foti Sciavaliere

peculiare della cultura artistica etrusca, unico esempio della pittura parietale antica, conosciuta attraverso la testimonianza delle fonti. La necropoli di Tarquinia ci offre dunque una pinacoteca sotterranea, affreschi di vita nelle dimore dei morti. Nei sepolcri più antichi la decorazione interessa solo i frontoncini delle pareti corte, ma a partire dalla seconda metà del VI sec. a.C. le pitture ormai coprono tutte le pareti con grandi scene figurate che alludono alla vita e alla morte dei defunti a cui era destinata la tomba. Le tombe dipinte costituiscono tuttavia una minima parte dei sepolcri cittadini, in quanto espressione della classe aristocratica che sola poteva permettersi il lusso di decorare i propri sepolcri. La Necropoli è situata su un pianoro denominato Monterozzi per la presenza di tumuli in forma di piccoli monticelli di terra, che si sviluppa parallelamente alla costa tirrenica. Negli anni Trenta del XIX secolo, una serie di avvenimenti favorì anche l’afflusso di studiosi e viaggiatori, nella tradizione del Grand Tour, accrescendo di conseguenza la notorietà delle tombe dipinte in Europa: Stendhal, Elizabeth Caroline Hamilton Gray, James Byres, George Dennis, attraverso la scoperta delle tombe, rimasero affascinati dalla cultura etrusca. «Gli Etruschi rappresentano ancora oggi una delle pagine più affascinanti, misteriose e complesse del percorso evolutivo del bacino del Mediterraneo. Popolo fiero e combattente giunse ad altissimi livelli nelle arti e nella struttura sociale. Ebbero un’egemonia secolare

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soprattutto nella bassa Toscana e nel Lazio prima dell’avvento dei Roma. Il grande senso di devozione e rispetto per i defunti è testimoniato negli straordinari siti funerari come le necropoli di Cerveteri e Tarquinia», così si spiega l’iscrizione nel 2004 tra i tesori dell’UNESCO di questi due siti dell’Etruria laziale. «[Queste] (n.d.r.) sono dei capolavori del genio creativo dell’uomo: l’estensione delle pitture decorative di Tarquinia sono eccezionali sia per le forme che per i contenuti poiché rivelano gli aspetti della vita, della morte e delle credenza religiose degli antichi Etruschi. Cerveteri presenta, nel

contesto funerario, le stesse concezioni urbanistiche e architettoniche di una città antica. Le due necropoli costituiscono una testimonianza unica ed eccezionale dell’antica civiltà etrusca, unica tipologia di civilizzazione urbana dell’Italia pre-romana. […] Molte delle tombe di Tarquinia e Cerveteri rappresentano tipologie di costruzione che non esistono in nessuna altra forma. I cimiteri, progettati come le città etrusche, sono fra i più antichi della regione».

Necropoli di Monterozzi Tarquinia, foto di Sara Foti Sciavaliere

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Necropoli di Monterozzi Tarquinia, foto di Sara Foti Sciavaliere

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Torre Mammalie, foto di Alessandro Romano www.salentoacolory.it/

torre mammalie e il principe trebisonda Raffaele Polo

Girovagando nel Salento

I LuOGhI DEL MISTERO

C

'è un luogo, sulla costa jonica, che mi pare il simbolo più adatto ad una storia d'amore piena di crudeltà e lontana nel tempo. Ma indicativa di come anche tra scorrerie e invasioni barbariche nelle nostre coste, il sentimento per eccellenza fosse sempre ben presente. Allora, spostiamoci nel luogo, verso la costa di Ugento, esattamente alla torre denominata 'Mammalie'. E, nel tempo, facciamo un salto indietro di quasi cinque secoli. Ecco cosa narrano le cronache: “Addì, 4 luglio 1547, sabato mattina una manica di 400 turchi sbarcati da 22 galee su l'acque di Ugento innanzi l'isola dei pazzi arrivarono alla torre, a tempo che li massari mungevano le pecore, s'impadronirono della porta e la gente si pose a fuggire sopra la

torre, e quando uno vellano tirava le porte, un turco li tirò una archibugiata da una taula che dal ponte era rotta e lo buttò in terra per il chè, il ponte si abbasso e li turchi presero con la torre tutta la gente che furono tra donne e figliole un nove, e si caricarono delle robbe che si trovarono e andarsene a mare senza che li cavallai né torrieri l'avessero avvisto di niente”. Sono trascorsi cinque secoli, ma è come se l'aria avesse conservato l'odore delle lotte, intessendo la storia affascinante e drammatica del principe Trebisonda, il quale scelse a dimora codesta torre, la più vicina al mare e alla dolce fanciulla che gli costò la vita. Al primo assalto verso Torre Mammalie, si narra, “ il principe notò una giovinetta bellissima che, chiome al vento, dal-

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Melendugno, Dolmen Placa, foto di Alessandro Romano www.salentoacolory.it/

l'alto della rocca, si distingueva col dar manforte ai difensori. Trebisonda ne rimase affascinato così tanto, da impartire immediati ordini ai suoi di desistere dall'assalto. Ritornò al suo campo, e la calma tornò nella contrada... ma non nel suo cuore. Tanto grande fu il suo tormento così che da solo, la notte, avanzò incontro alla torre nemica, sfidandola con lo sguardo. Ma amore e imprudenza l'avevano perduto. Fu catturato e una morte orribile fu lui decretata... di essere arso vivo nel fuoco.

Intanto, la giovinetta mirandolo da vicino, ne fu così colpita che restò pietrificata dall'orribile rogo e, gridando: “Nessuno mi avrà!” in mezzo al raccapriccio generale si gettò dalla torre, sdeguendo l'amato...” Antiche cronache, è vero. Ma provate ad avvicinarvi alla Torre, di cui resta ancora qualcosa: guardate il mare, eliminate i rumori della 'civiltà' contemporanea. E sarete un tutt'uno con il meraviglioso sentimento che, in altri tempi, fece superare diversità e differenze, sino al sacrificio della propria vita.

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indicato. Sono previsti premi speciali e segnalazioni. 9.Il giorno e il luogo della presentazione ufficiale dei vincitori sarà tempestivamente comunicato tramite mail a ciascun concorrente. 10. La giuria sarà formata da appartenenti al mondo della cultura, del giornalismo, dell’ANMI, della Lega Navale, della Scuola Navale Militare "F. Morosini” e dell’Associazione Nazionale Scuola Navale Militare “F. Morosini”. I loro nomi saranno resi pubblici durante la cerimonia di premiazione. Il giudizio della giuria è insindacabile. 11. La partecipazione al concorso comporta la piena accettazione del presente Regolamento; l’inosservanza di una qualsiasi norma qui espressamente indicata, comporta l’esclusione dalla graduatoria. 12. La cerimonia di premiazione si svolgerà il 26 settembre in una location istituzionale di prestigio che verrà comunicata in occasione della conferenza di presentazione della manifestazione. Info e contatti Segreteria organizzativa Associazione culturale IcARUS e-mail ilmareinunastanza@ilraggioverdesrl.it mobile. +39.3495791200

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I LuOGhI NELLA RETE | IL CONCORSO

1.I partecipanti dovranno inviare una prova di narrativa, racconto o novella, con il mare protagonista “in una stanza”. Il limite massimo di scrittura è di quattro cartelle, spazio due (2), con rigo di cinquanta battute, tipo di carattere Times New Roman, dimensione 12, entro e non oltre la data del 10 giugno 2020. Non è consentito l’invio del cartaceo, con qualsiasi mezzo. 2.Alla domanda di partecipazione, ogni concorrente allegherà una scheda, max 10 righe, con le note biografiche. 3.Il lavoro deve risultare inedito e mai premiato (e tale deve restare fino alla prima presentazione pubblica). 4.Possono partecipare al concorso Nazionale di narrativa “Il mare in una stanza” i cittadini italiani, civili e militari, che abbiano compiuto la maggiore età alla data della pubblicazione del presente bando. 5.Tutti i racconti in concorso dovranno pervenire entro la data stabilita tramite una mail che sarà di seguito indicata. 6.I racconti selezionati saranno pubblicati su apposita pubblicazione. 7.La partecipazione al concorso non prevede quota di iscrizione. Sarà cura di ogni concorrente, provvedere all’acquisto di un minimo di 3 (tre) copie, senza obbligo di collaborazione futura. 8.I premi consistono in: coppe, targhe e pergamene, oltre alla pubblicazione come già


Le foto sono di Sara Foti Sciavaliere tranne quella della Catena angioina (fonte sito ufficiale)

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il Gabinetto seGreto del mann arte ed erotismo Sara Foti Sciavaliere

La collezione dell’arte erotica nelle “sale proibite”

NAPOLI. Nel piano ammezzato del Museo Archeologico Nazionale di Napoli (MANN), nelle 62 e 65, troviamo l’esposizione di una collezione assai particolare, reperti con natura unicamente a sfondo erotico e sessuale che man mano venivano alla luce negli scavi di Pompei ed Ercolano, o acquistati in altro modo. è la sezione del Gabinetto Segreto. Dopo i moti rivoluzionari del 1848 il Gabinetto divenne simbolo delle libertà civili e di espressione, quindi viene censurato in quanto considerato politicamente pericoloso. Fu perfino proposta la distruzione dei reperti, in quanto “infami monumenti della gentil esca licenza”, al fine di salvaguardare la

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buona reputazione della casa reale dei Borboni. Tuttavia l’allora direttore del Real Museo riuscì a ottenere che la collezione venisse chiusa ai visitatori e resa difficile la sua visita: difatti il portone di accesso venne fornito di ben tre serrature con altrettante chiavi diverse, in possesso rispettivamente del direttore del museo, del “controloro”, e del real maggiordomo maggiore. Il culmine della censura la si ebbe nel 1851 quando, dopo che vi furono rinchiuse anche tutte le Veneri semplicemente perché nude, la collezione fu definitivamente sigillata ed infine anche murata affinché “...se ne disperdesse per quanto era possibile la funesta memoria”.

Storie l’uomo e il territorio


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Il Gabinetto segreto del Mann, reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere

Quando nel settembre 1860 Garibaldi arrivò a Napoli, egli diede subito l'ordine di rendere accessibile la sala "giornalmente al pubblico". Delle tre chiavi, non trovandosi quella in dotazione alla casa reale, Garibaldi non esitò, tra lo sconcerto generale, ad ordinare di "scassinare le porte". Nel corso dei decenni successivi, alla libertà ridata da Garibaldi subentrò progressivamente la censura del Regno d'Italia che vide il suo culmine durante il Ventennio fascista, quando per visitare il Gabinetto occorreva il permesso del Ministro dell'Educazione nazionale a Roma. La censura ha perdurato nel dopoguerra fino al 1967, allentandosi solo dopo il 1971 quando dal Ministero furono impartite le nuove regole per regolamentare le richieste di visita e l'accesso alla sezione. Oggi la collezione è definitivamente aperta al pubblico nell'aprile del 2000 e

sebbene non sussista più alcun tipo di censura, tuttavia i minori di 14 anni possono visitare la sezione unicamente se accompagnati da persona, docente o familiare che sia. Oltrepassata il cancello che segna il confine del “Gabinetto Segreto”, si accede a quattro sale disposte a staffa di cavallo dove sono allestite la maggior parte dei pezzi della collezione erotica, statue, sculture, bassorilievi, pitture e oggetti vari, provenienti da differenti ambienti degli scavi di Pompei ed Ercolano, dalle strade ai giardini passando inevitabilmente per i lupanari, a testimonianza di una spiccata centralità della tematica sessuale, del piacere e di aspetti a essi connessi, letti sotto diverse sfumature. Il Gabinetto del MANN, a lungo censurato, illustra di fatto diversi aspetti della “sessualità” antica: religioso e culturale, caricaturale e commerciale, magico e

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funerario, fino a quello riconducibile all’amore e al piacere di coppia. Partiamo dai riferimenti ai giardini, che in quanto luogo creato dalla cultura umana per riprodurre il mondo della natura, era anche il mondo degli esseri misteriosi e divini dei boschi: i Satiri, le Ninfe, Pan, Dioniso, le Menadi. Ornava così il giardino della Villa dei Papiri di Ercolano gruppo scultoreo in marmo con il dio Pan che si accoppia faccia a faccia con una capra che tiene fermamente riversa sul dorso (I a.C. - I d.C.), opera giudicata dal Vanvitelli “lascivissima, ma bella” ma che fu, in assoluto, il pezzo più censurato e nascosto in epoca borbonica. Da un’altra villa viene una scultura che ricalca il tema, diffuso in special modo in pittura, del “satiro”, che cerca di far sedere sul suo sesso eretto una ninfa abbracciandola per il torso. Gli stessi temi tornano poi in alcuni


sione anche artistica erano i lupanari, i postriboli romani, e a Pompei ne sono stati individuati circa venticinque. Certo gli affreschi pornografici rinvenuti in questi luoghi sono di qualità artistica modesta, si tratta principalmente di una pittura per lo più popolare, che ritrae scene di accoppiamenti nelle diverUn altro ambito dove se posizioni. Sull’afl’erotismo aveva la fresco con scena di sua massima espres- penetrazione anale vi rilievi marmorei, autentichi dipinti scolpiti, prodotti nelle officine neoattiche; questi ripropongono il mondo dionisiaco, rappresentato per esempio dal rilievo con Ninfa e Satiro (da Ercolano, I d.C.) in cui la fanciulla resiste al vecchio dio dei boschi afferrandolo per la barba.

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soprattutto nell’uso del fallo in funzione apotropaica e di amuleto. Oggetti emblematici di questa credenza sono soprattutto i “tintinnabuli" in bronzo, che venivano sospesi a catenelle agli ingressi delle case o delle botteghe con la specifica funzione di preservarle e difenderle dal malocchio, dallo sguardo invidioso, dalla mala sorte. Di questi oggetti se ne possono vede-

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sono tracce di una iscrizione dipinta: “Lente impelle”, una richiesta della prostituta ai suoi clienti che invita a “Spingere piano”; su di un altro affresco figura un'iscrizione graffita: “Sic Emiliu” scritta da un cliente, tale Emilio, che ricorda a tutti “(di aver fatto) proprio così”. Nell’antica società romana la sessualità si presenta pure sotto un aspetto magico, tale è riconosciuto

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re vari esemplari nelle vetrine del Gabinetto Segreto, di davvero curiosi e anche buffi per l’aspetto un po’ caricaturale. Il “tintinnabulum” classico è un pene eretto con un corpo di leone (simbolo di forza e potenza) e due ali aperte, provvisto (a discrezione) di altri falli; immancabili sono i numerosi campanelli pendenti da altre catenelle, anch’essi dal valore apotropaico, destinati


di fatto a scacciare col loro suono gli spiriti malvagi. E poiché anche il ridere scaccia gli influssi maligni, si giustifica in tal modo le forme caricaturali di alcuni tintinnabuli: pezzo eccezionale - e forse unico al mondo - è quello in forma di gladiatore che combatte con pugnali contro il suo stesso pene eretto trasformato in una pantera aggressiva; divertente anche il pigmeo che

cavalca un cavallo-fallo, lo incorona addirittura, ed intanto non si accorge che sta per essere penetrato dalla coda fallica. Forse una funzione apotropaica può essere ravvisata anche nelle tre lucerne in bronzo rappresentanti operai fabbri che, impugnando un martello, si danno colpi ben assestati sul proprio immenso fallo. In una vetrinetta vi sono invece numerosi amuleti fal-

lici (chiamati dai Romani “fascinum”) destinati per lo più ai bambini, al collo dei quali essi venivano sospesi per tutelarli da incidenti e malattie; ma anche amuleti destinati agli adulti (p.es. gli orecchini fallici in argento). I fàscina sono in materiali diversi: osso lavorato ed avorio, bronzo, cristallo di rocca, ecc. Interessante il fallo in corallo, precursore dell'amuleto, tuttora diffusis-

Il Gabinetto segreto del Mann, a lato Satiro e NInfa, sotto. Tintinnabula; reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere

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Il Gabinetto segreto del Mann, reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere

simo nel napoletano, del corno rosso. Gli amuleti fallici erano molto diffusi anche tra le matrone di estrazione patrizia a propiziare la loro fecondità e capacità di generare la continuità della gens. Molto frequente è il fallo eretto di traverso, in bronzo, tenuto ad una estremità dalla cosiddetta “mano impudica”, al quale è sospeso un pene infantile; oppure il piccolo pugno che fa il gesto detto del “le fiche”. Sono esposti inoltre un paio di falli in tufo attaccati alle pareti, o insegne falliche, rinvenute all’esterno di alcune botteghe pompeiane: essi hanno la stessa funzione e scopo dei tintinnaboli, però come auspicio di buoni affari. In genere, in quanto potente amuleto il fallo era inoltre posto, in tutte le città antiche, sulle mura, sui marciapiedi e lungo le strade; a Pompei era spesso usato nei cantonali delle case a scopo protettivo, ma anche – come si leggeva prima – sulle facciate delle botteghe, spesso dei panifici, dov’era scolpito sugli architravi dei forni. Celebre è il rilievo in travertino con fallo e scritta “hic habitat felicitas” dal panificio nel-

l’insula della Casa di Pansa. Ma troviamo pure il “fascinus” sull’acciottolato di Pompei a indicare la direzione da prendere per raggiungere il lupanare più vicino, uno di questi va ricercato sui conci della via dell’Armonia, in prossimità delle Terme Stabiane, dove non lontano si può visitare un lupanare con le pitture sulle cellae meritricae. La collezione erotica del Gabinetto Segreto forse è la sezione meno conosciuta dello straordinario repertorio storico, artistico e archeologico in esposizione del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, ma non per questo meno importante, anzi ha un suo valore nella ricostruzione degli usi e costumi, della cultura e le credenze ai tempi degli Antichi Romani nelle città vesuviane, laddove (come si diceva all’inizio dell’articolo) la sessualità ha una pluralità di sfaccettatura, infiltrandosi nella quotidianità. Sicuramente merita un’attenzione che non sia filtrata dall’inevitabile malizia che la collezione può suscitare e il pudore va deposto fuori dalle “sale proibite” del Gabinetto Segreto per non guardarla con bigotta severità.

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La fontana Aretusa a Siracusa, foto di Dario Bottaro

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il mito dell’amore nella fonte aretusa di siracusa Dario Bottaro

L’incanto della storia di Alfeo e Aretusa nella bellissima fontana tra i luoghi magici della città siciliana

SIRACUSA. Le vicende umane di tutti i tempi sono sempre state contrassegnate dal sentimento dell’amore. L’amore nel senso più ampio del termine; l’amore fatto di passioni, di melanconia, di gioia, l’amore che si concede senza nulla pretendere in cambio, l’amore che desidera solo bellezza interiore per l’amato, noncurante di se stesso bensì solo del bene altrui. Tutta la storia ci ha consegna-

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to magnifici esempi di amore, le cui narrazioni sono sgorgate dalle penne di scrittori e poeti, dipinte negli antichi affreschi, nei vasi greci, immagini impresse su tele piccole e grandi, in ogni epoca. L’amore è stato celebrato da sempre, sotto varie forme e con diverse connotazioni e linguaggi che di volta in volta hanno costituito la testimonianza di un bisogno, una necessità che è insita


nell’uomo e al quale non può sfuggire. Ci sono storie che grazie alla prepotenza di questo sentimento sono diventate immortali e che fanno parte del nostro bagaglio culturale, trasmesse in continuità con l’avanzare del tempo. Persone e luoghi hanno così assunto simbologie e significati del tutto eccezionali, proprio in virtù del sentimento universale che definiamo “amore”. Come non pensare alla struggente storia d’amore fra Romeo e Giulietta che ha reso la città di Verona uno dei luoghi simbolo dell’amore. E ancora come non citare la città di Terni, il cui Santo Patrono, Valentino, è invocato come protettore degli innamorati che da tutta Italia raggiungono la chiesa del santo in occasione dell’annuale festività

celebrata il 14 febbraio. E se l’amore è senza dubbio un sentimento in qualche caso è anche mito, più di una semplice storia. L’amore ha i suoi miti e senza dubbio uno dei più antichi e affascinanti è quello che coinvolge direttamente la cittadina siciliana di Siracusa. Perla mediterranea adagiata a sud della costa orientale della Sicilia, Siracusa possiede uno dei luoghi che rappresenta l’amore, come mito, per eccellenza. La storia di un amore tramandata per secoli, che ha assunto una sua forma del tutto unica al mondo, quella di una fonte d’acqua sorgiva. Amore e mito dunque si narrano nella vicenda dell’antica fonte che ha per protagonisti Alfeo e Aretusa, che hanno le loro origini nell’antica

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La fontana Aretusa a Siracusa, foto di Dario Bottaro

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La fontana Aretusa a Siracusa, particolare, foto di Dario Bottaro

Grecia. Alfeo è un dio fluviale dell’Elide , mentre Aretusa è una Nereide dei boschi dell’Acaia al seguito di Artemide. Narra la leggenda, celebrata e resa immortale dai versi del poeta Ovidio nel V libro delle Metamorfosi, che un giorno la bella Aretusa decise di trovare ristoro nelle acque del fiume. Si immerse lentamente, prima i piedi e le braccia; poi volendo ancora più ristoro decise di togliersi le vesti ed entrare completamente in acqua. Al vedere la bellezza di questa fanciulla, Alfeo preso da una forte passione tentò di rapirla, ma Aretusa che non aveva mai cercato l’amore di un uomo né la vanità, chiese aiuto alla sua Artemide. La dea non tardò ad ascoltare la richiesta di Aretusa e fu allora che trasformò la

sua ninfa in una fonte di acque dolci facendola sgorgare nell’isolotto di Ortigia. Non si arrese però Alfeo il quale scorrendo sotto il mare, inseguì colei di cui si era innamorato , fino a raggiungere quella fonte e mescolarsi così con lei per l’eternità. La Fonte Aretusa è ancora oggi uno dei luoghi più belli e suggestivi della città. Seppur con alcune modifiche rese necessarie dai cambiamenti sociali nel corso dei secoli, Fonte Aretusa è al confine con il mare e separata da esso solo da un muro che un tempo era assai più basso, mentre dal 1843 ha assunto l’aspetto attuale con una via di passeggio che da un lato consente di ammirare la fonte con il suo rigoglioso papiro egiziano e dall’altro il mare del Porto Grande di Sira-

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La fontana Aretusa a Siracusa, reportage fotografico di Dario Bottaro

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La fontana Aretusa a Siracusa, particolare, foto di Dario Bottaro

cusa. Nel corso della storia la Fonte Aretusa è stata cnoscoiuta e celebrata da scrittori come Gabriele D’Annunzio, Salvatore Quasimodo, Giosuè Carducci, ma anche da importanti personalità politiche come l’ammiraglio Nelson che, il 22 luglio del 1798 nel suo diario prima di affrontare la battaglia contro l’armata napoleonica ad Aboukir, così scrive: “Grazie ai vostri sforzi noi ci siamo riforniti di viveri ed acqua, e sicuramente avendo attinto alla Fonte Aretusa, la vittoria non ci può mancare”.

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A lato Geremia Re, Dopo il lavoro, olio su tela

I LuOGhI DELLA PAROLA

arte fuori dal comune il patrimonio si sVela alla città Dafne Frasca*

Al Must, Museo Storico della Città di Lecce le opere della collezione museale raccolte tra il XIX e il XX secolo nella mostra curata da Carmelo Cipriani

LECCE. Novanta di trecentocinquanta opere raccolte tra il XIX e XX secolo e celate negli uffici del Comune di Lecce, sono state registrate e catalogate per poi essere esposte dal 16 novembre 2019 al 16 febbraio 2020 al MUST (Museo Storico della Città di Lecce) nella mostra battezzata Arte fuori dal Comune. Opere del Comune di Lecce in mostra, promossa e finanziata dal Comune di Lecce – Assessorato alla Cultura. A cura di Carmelo Cipriani, la mostra scaturisce da un lavoro di catalogazione del medesimo patrimonio e dello stesso curatore, pubblicato nel 2018 con il titolo Arte in Comune per i tipi di Locorotondo editore. La mostra si configura, pertanto, come una sorta di “casa complessiva” per il patrimonio artistico prevalentemente pugliese non musealizzato, altrimenti dimenticato e sottovalutato. L’obiettivo primario è, dunque, quello di indurre il fruitore a riflettere in meri-

to alla tutela, valorizzazione, conservazione e alla promozione di quello che è considerato un bene artistico, nonché un frammento di storia della propria cultura. Per anni, infatti, diverse opere di cui 271 dipinti (oli, tempere, pastelli, acquerelli, disegni), 26 grafiche, 4 fotografie e 34 sculture, sono state un patrimonio latente di sale e scantinati salentini, come nel caso del Sant’Antonio Abate del pittore del tardo barocco Oronzo Tiso1, conservato nella Sala Giunta di Palazzo Carafa. Opere se pur di grande valore, ritenute semplicemente un mero oggetto di arredamento. La mostra si snoda al piano terra del museo in tre distinte sezioni, “Il Museo Civico”, “La Galleria Il Sedile”2 e “La Raccolta s’intensifica”, comprese cronologicamente tra il 1898 e il 1996 e organizzate seguendo i criteri di raccolta delle opere stesse. In questa esposizione spiccano lavori di artisti celebri

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I LuOGhI DELLA PAROLA

quali: Giuseppe Casciaro, Vincenzo Ciardo, Pietro Guida, Ezechiele Leandro, Giulio Pagliano, Michele Palumbo, Giovanni Pinto, Geremia Re, Gioacchino Toma e Oronzo Tiso. Singolare è la presenza di un pannello percorribile recante informazioni (durata, titolo e comprensione dell’esposizione), che funge da guida, poiché seguendo la sua direzione immette lo spettatore nella prima ala della mostra. Varcata la soglia, infatti, si è immersi in una sala dall’atmosfera tradizionale, intimistica e accogliente, destinata alla sezione de “Il Museo Civico”. Le sculture e i dipinti ottocenteschi qui presenti, sembrerebbero dar vita a una sorta di dialogo tra vicende sacre illustrate (il Sant’Antonio Abate e il Sacrificio di Noè dopo il diluvio del Tiso e il San Francesco d’Assisi in terracotta del Malecore) e tra le tematiche sociali e pubbliche di quel tempo (i ritratti di Forcignanò e di Maccagnani). L’atmosfera calda e la diffusione della musica classica in sottofondo accompagna il fruitore facendolo immergere in quel trionfo raffinato di pennellate e matericità scultorea. Nella sala sono palpabili l’armonia, l’equilibrio e la maestria tipiche dell’arte di Toma3 e di Tiso. Si riscontra, inoltre, un segno grafico, velocissimo e di grande inten-


Arte fuori dal Comune, un momento dell’inaugurazione e una veduta dell’allestimento della mostra, a lato l’opera di Pietro Guida

sità, proprio dell’artista del pastello Casciaro4 e di De Vitis5, nei rispettivi I Camaldoli di Napoli e nel Ritratto d’uomo. Nella seconda sala, pervasa da piena luce, riecheggia il tema delle radici insito nel paesaggio naturale e nella quotidianità, come nel caso del Dopo il lavoro (Francesco e Antonia Re) di Geremia Re e la Natura Morta di Ammassari, esposti nella sezione intitolata “La Galleria Il Sedile”. Nella terza e ultima sezione della mostra, “La Raccolta s’intensifica”, in conclusione, ci si trova dinanzi ad opere raccolte dal 1925 ai primi anni del Novecento, tra le quali spiccano le vibranti sculture di cemento e materiale inorganico di Pietro Guida6. Contrariamente a quanto avviene nel catalogo editato in precedenza, sui pannelli illustrativi presenti alla mostra, non è chiarita, purtroppo, la provenienza effettiva delle opere, lasciando così il fruitore privo di una informazione di sicuro interesse. 1Oronzo Tiso (Lecce, 18 maggio 1726 – Lecce, 18 maggio 1800), esponente del Tardo Barocco, a seguito di un soggiorno a Napoli (tra il 1746 e il 1749) per studiare diritto canonico e formarsi artisticamente, ritorna a Lecce per dedicarsi nel 1752 alla decorazione del Duomo di Lecce in qualità di mansionario. Numerose sue opere sono presenti nel territorio salentino. https://www.guidedocartis.it/?page_ id=1359, consultato il 10/12/2019. 2 Il Palazzo del Seggio, noto anche come Il Sedile è un maestoso edificio di spirito gotico e rinascimentale, situato in Piazza S. Oronzo a Lecce. Fu edificato nel 1592 per sostituire il palazzo precedente, abbattuto nel 1588. Tra l’Ottocento e il Novecento fu sede del Museo Civico. Dagli anni ’50 e ’60 circa è divenuto, invece, spazio culturale, dedicato a mostre d’arte ed esposizioni. http://www.leccenelsalento.it/sedilelecce/, consultato il 10/12/2019. 3 Gioacchino Toma (Galatina, 24

Arte fuori dal Comune rivela, dunque, la bellezza che può celarsi sotto il nostro sguardo e ci porta a riscoprirne il valore civico ed artistico. è dunque, al contempo, un punto di arrivo e di partenza che induce a modificare lo sguardo per rivalutare un patrimonio, cogliendone a pieno ogni sua essenza. *Dafne Frasca (allieva dell’Accademia di Belle Arti di Lecce, corso di Pittura, Biennio Specialistico) Mostra visitata il 29 novembre 2019 Must– Museo Storico della Città di Lecce Ex monastero di santa Chiara, Via degli Ammirati 11 , 73100 Lecce Orario: dal martedì alla domenica ore 10.00 - 13.30 / 15.30 - 19.00 Chiuso il lunedì

gennaio 1836 – Napoli, 12 gennaio 1891) è uno dei protagonisti dell’800 napoletano. è definito il “pittore del grigio” per il tratto malinconico che caratterizza le sue opere. http://www.arte.it/artista/gioacchinotoma-362, consultato il 10/12/2019. 4 Giuseppe Casciaro uno dei più grandi esponenti della scuola pittorica napoletana dell’Ottocento, è noto per i suoi paesaggi, la tecnica impeccabile e la grande valenza della luce nei suoi dipinti. 5 Temistocle De Vitis è un pittore del nato a Carpignano Salentino nel 1094. I suoi dipinti sono contrassegnati dai riflessi di luce suggestivi e dal virtuosismo della tecnica 6 La produzione di Pietro Giuda è caratterizzata dall’abbandono dei mezzi tradizionali scultorei per adoperare materiali industriali grezzi (mattoni, tubi, ferro e acciaio). https://www.musma.it/index.php?op tion=com_content&task=view&id=4 19, consultato il 10/12/2019.

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Nella foto in basso Nathalie Caldonazzo insieme a Francesco Branchetti (fonte: ufficio stampNella foto in basso

il teatro ad ortelle si fa in cinque

Un interessante cartellone di eventi, in arrivo, tra gli altri, Nathalie Caldonazzo, Pino Ingrosso, Chiara Buratti ORTELLE (LECCE). Cinque spettacoli per un cartellone teatrale imperdibile, organizzata dal Comune di Ortelle e dal Comitato di Gestione della Biblioteca "Maria Paiano" di Vignacastrisi.. Ad alzare il sipario l’11 febbraio “Un grande grido d’amore”, la pièce, scritta dal genio di Josiane Balasko, di taglio comico ma non solo con una coppia affiatata del Teatro come Barbara De Rossi e Francesco Branchett. Il 29 febbraio sarà la volta di Pino Ingrosso con il suo nuovo spettacolo teatrale musicale che intende essere un rispettoso omaggio al grande Pino Daniele. Il 26 marzo sarà la volta di Parlami d’amore di Philippe Claudel

con Nathalie Caldonazzo e Francesco Branchetti diretti dal regista Francesco Branchetti. Attraverso uno sguardo profondamente umano e con pungente ironia, Philippe Claudel affonda la lama nelle pieghe più intime e inconfessabili di un rapporto di coppia. Fragilità, debolezze e addirittura in alcuni momenti candore trovano spazio in un duetto di coppia sempre accompagnato da irresistibile humour. Una straordinaria capacità d’indagare l’animo umano e le tortuose relazioni che abbiamo con noi stessi e poi con gli altri; tra momenti di grande ironia e amarezze profonde ci muoviamo come investigatori alla ricerca di verità nel “privato” di un rapporto di coppia e di un incontro. L’8 aprile 2020 andrà in scena L’ultimo giorno di sole, uno spettacolo di Giorgio Faletti testi e musiche di Giorgio Faletti con Chiara Buratti e la direzione musicale Andrea Mirò e la regia di Fausto Brizzi. Un "romanzo a teatro"; sette monologhi intrecciati ad otto canzoni inedite compongono questo intenso, commovente lavoro, ultimo scaturito dalla fantasia irrefrenabile di questo grande artista. Gran finale il 18 aprile con Suite dei Sensi sul palco il soprano Lucia Conte, il mezzosoprano Serena Scarinzi e l’ensemble Le Armoniche Stravaganze diretti da Francesco Scarcella per la regia - e voce - di Salvatore Della Villa. Abbonamento a 5 spettacoli € 30,00 Biglietto posto unico € 8,00 Info e prenotazioni: 329.7155894/329.3173865

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Diodato, (fonte: sito ufficiale dell’artista)

una Vita meraViGliosa l’incanto delle musica di diodato

In uscita il 14 febbraio il suo nuovo album

Sensibile, autentico, talentuoso. Un nome. Diodato e poche frasi per raccontarsi. «Ho cominciato negli anni '90, suonando nella cantina del mio amico batterista, ma si allagava spesso e allora pian piano sono passato ai locali e poi, trovando le persone giuste, ho scritto e registrato dischi, suonato su palchi sempre più prestigiosi, partecipato a due Festival di Sanremo, messo il cuore nell’UnoMaggioTaranto e fatto della musica la mia vita, per provare a riempire di musica la mia vita. Ci sto lavorando.» Con queste parole semplici si presenta ai suoi fan Diodato, vincitore al 70° Festival di Sanremo con il brano “Fai rumore”. Un brano perfetto nella musica e nel testo che ha saputo interpretare magistralmente conquistando il pubblico sanremese e non solo. Perché Diodato riesce a trasmettere quando canta tutto il suo amore per la musica. E non poteva scegliere data diversa per l’uscita del suo nuovo album “Vita meravigliosa” ed è lui stesso a raccontarsi e a raccontarlo.

«Non credo di essere mai stato così tanto me stesso, d’essere mai stato in grado di mettere così a fuoco il mio vissuto e tutte le sensazioni che mi hanno portato a dare questo titolo prima a una canzone e poi a questo album. Ero pronto a condividere, a raccontare questa condizione di perenne viaggiatore, navigante felicemente disperso, di osservatore talvolta malinconico, talvolta disincantato, di eterno bambino innamorato di questa giostra folle.» Un inno alla vita, all’amore e alla voglia di continuare a sperimentare e rinnovarsi. Undici brani, tra i quali quello vicitore di Sanremo, nello stile inconfondibile della sua musica capace di entrare nella testa e nel cuore di chi la ascolta. Il tour di presentazione partirà da Roma il 15 febbraio e lo porterà progressivamente a Firenze, Bologna, Milano, Torino, Napoli, Salerno, Bari, Brindisi (22 febbraio) fino ad arrivare alla sua Taranto il 23 febbraio. www.diodatomusic.it

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il sancta sanctorum di ettore aldo del ViGo Dario Ferreri

Un viaggio tra i luoghi e nonluoghi fisici ed emozionali dell'arte contemporanea

«Alcuni luoghi sono un enigma. Altri una spiegazione» Fabrizio Caramagna

CuRIOSAR(T)E

è

nell'immaginario collettivo della tradizione cristiana l'episodio dei Vangeli che narra la breve e splendente apparizione di Gesù Cristo, con Mosè ed Elia, ai discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni sul monte Tabor ... "si trasfigurò davanti a loro, e la sua faccia splendette come il sole e le sue vesti diventarono bianche come la neve" .... l'impatto emotivo ed emozionale di tale immagine, traslata nella dimensione del surrealismo visionario ed abbracciata dagli oscuri abissi del subconscio ed inconscio, si ritrova, potente, nelle recenti opere della serie Sancta Sanctorum di Ettore Aldo del Vigo, "uno gnostico perfettamente conscio di non essere ancora a conoscenza di esserlo". Nato nel 1952 a Basilea in Svizzera, Ettore Aldo Del Vigo sin dall’infanzia si dedica al disegno, attirato in particolar modo dal Surrealismo che definisce “Pura essenza della verità interiore”. All’età di soli 12 anni esegue

il suo primo dipinto monocromo “Autoritratto Anziano” sulla base di scritti personali relativi alla scrittura automatica. Consegue nel 1969 il diploma in grafica editoriale presso una tipografia locale ove ha modo di conoscere Max Ernst in occasione della pubblicazione del catalogo di una sua personale a Basilea. Nel 1976 si trasferisce in Sardegna a Sassari ed entra in contatto con vari artisti locali; dopo aver partecipato a numerosi concorsi e collettive d’arte, allestisce con successo nel 1979 la sua prima personale. Nel 1990 gli viene commissionata la decorazione della sede dell’INA, nel 2000 esegue una serie di dipinti per la Chiesa di San Paolo Apostolo a Sassari tra cui la Pala dell'Altare e sempre nel 2000 entra a far parte del movimento “Visionary Artmovement” di Otto Rapp, in seguito di “International Surrealism Now” di Santiago Ribeiro da cui scaturiscono una serie di mostre itineranti in Portogallo. Nel

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Aldo Del Vigo, La visione di Giuda

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In questa pagina: Aldo Del Vigo, Onofrio trasfigurato, La dolcezza di Maria Maddalena

CuRIOSAR(T)E

2004 esegue una serie di dipinti per la Sala Ricevimenti dell’Ambasciata di Londra. Del 2015 la nomina a direttore artistico della “TianXing international Art Association” in Cina. Nel 2016 fonda il “Movimento Surrealista Contemporaneo” ed entra a far parte della ArtBank con sede in Cina. Numerose sue opere sono presenti in collezioni private e pubbliche sia in Italia che all’estero. Attualmente vive e lavora a Sassari. La raffinata escatologia di Ettore Aldo del Vigo trascende il mondo fisico, dando forma attraverso le sue opere ad una visione più ampia della conoscenza. In una recente intervista su Cagliariartmagazine l'artista ha ribadito che "dobbiamo innanzitutto capire che il Surrealismo non è una scuola artistica, né un movimento estetico, ma una filosofia di vita che si esprime attraverso l’ arte, la poesia, la cinematogra-

fia. Il Surrealismo racchiude tematiche quali amore, sogno, follia e liberazione, concetti fondamentali correlati tra loro, che hanno come solo scopo arrivare alla “ Conoscenza “. Nell’uomo è insita una distinzione tra l’amore e la conoscenza, mentre nella ricerca sur-realista questa polarità superata è unificata, affermando non che la conoscenza trovi la sua esaltazione nell’amore, ma al contrario che l’ Amore ( cosa individuale ), trova la sua sublimazione nella conoscenza pura dell’ essere, ed è attraverso il sogno e la follia descritta così magistralmente da Jung come la nostra parte in “Ombra” che il Surrealismo si avvale di questi mezzi per individuare e combattere la “ razionalità “ insita in ognuno di noi, ma oppressa dal Sistema che attraverso determinate trappole tende ad annullare la non razionalità dell’ individuo a proprio favore. E’ solo attraverso la “ Propria


Aldo Del Vigo, Aenigma

Conoscenza “ che si arriverà alla Liberazione dell’ essere da tutte le convenzioni sociali." Epigoni di ispirazione dell'artista, sin dalla giovane età, sono Caravaggio, Bocklin, Max Ernest, Hans Ruedi Giger, ecc. Per quanto attiene alla poetica dei suoi ultimi lavori appare utile ricordare quanto dallo stesso artista riportato nell'intervista citata prima: "nel 2010 dipinsi il mio terzo autoritratto “ Lo strano caso del dottor Jekyll e mister Hyde “ in cui viene spiegato il dualismo tra Ettore Aldo Del Vigo uomo ed Ettore Aldo Del Vigo artista, il Buio e la Luce. L’uno Materia, l’altro Spirito, in contrasto tra loro, ma due principi complementari ed inscindibili. E’ il principio dell’integrazione degli opposti. Solo attraverso il Buio, la Luce prende forma. Solo attraverso il Male, il Bene viene esaltato così come maschile e femminile. Solo attraverso l’esperienza del Buio e della Paura si arriva a

partorire. L’uno ha bisogno dell’altro per arrivare alla Conoscenza e alla Luce e ciò si percepisce attraverso la mia ultima ricerca artistica denominata “ Sancta Sanctorum." Sancta sanctorum è una nota locuzione latina il cui significato è “il santo dei santi”, l’espressione è presente varie volte nell’Antico Testamento nel quale indica la parte più interna del tempio di Gerusalemme ove, in origine, veniva custodita la preziosissima arca dell’alleanza; successivamente la locuzione ha assunto vari altri significati; sempre restando nell’ambito religioso, indicando sia la parte delle chiese cristiane prossima all’altare maggiore oppure al tabernacolo sia la cappella privata del papa; tuttavia l’accezione più nota di sancta sanctorum è quella di “luogo esclusivo, particolarmente riservato, al quale soltanto una persona o pochissimi altri possono accedere” in quanto vi si trova-


CuRIOSAR(T)E

Aldo Del Vigo, Apoteosi trasfigurazionale di Natanaele

no cose di notevolissimo valore o importanza. Fortunatamente, da un lato le recenti mostre in cui queste opere dell'artista sono state in parte esibite ("Sancta sanctorum" presso la Pinacoteca Contini di Oristano, "Il sogno di Circe" presso l'Arca degli Esposti di Palermo, " Venezia contemporanea. Luci e colori dell’arte" presso Palazzo Albrizzi Capello di Venezia, "Biennale internazionale Torino-Roma" presso il Museo Miit a Torino, "Tra sogno e realtà" presso la Cancelleria del Vaticano, ecc), dall'altro, le grandi vetrine dei social media, permettono oggi a tutti di accedere in questo moderno Sancta Sanctorum senza tempo che ha dato modo all'artista di intraprende un viaggio interiore alla ricerca ed al recupero dei pezzi mancanti del suo puzzle interiore. Il tema della trasfigurazione delle opere di Del Vigo ci mette di fronte alle paure più recondite, ma anche alle credenze più ancestrali, ricordandoci la caducità

della vita e, per chi crede, il potere consolatorio della fede. La tecnica del disegno con carboncino grafite e polvere di grafite e poi della pittura ad acrilico e dell'aerografo sono padroneggiate con eccellente maestria sulle tele, per l'artista semplice materia che lascia però impresso il suo pensiero individuale, scaturito, come i soggetti che popolano il suo mondo, da una sorta di delirio, melius estasi totale, direttamente dal subconscio. L'impatto visivo ed emozionale dinanzi a questi suoi recenti lavori è grande e merita di essere vissuto: è un viaggio oltre la carne alla ricerca di verità profonde e passaggi spirituali, una rigenerante e catartica deflagrazione di corpi dove la morte, però, non esiste. Per saperne di più e seguire l'artista : https://www.facebook.c om/ettorealdo.delvig o . 5 ; https://www.instagram.com/ettorealdodelvigo/

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I LuOGhI NELLA RETE | IL CONCORSO


natura in posa capolavori dal kunsthistorisches museum di Vienna in dialogo con la fotografia contemporanea Treviso - Museo Santa Caterina Dal 30 novembre 2019 al 31 maggio 2020 leonardo da Vinci: Visions le sfide tecnologiche del genio universale Sansepolcro, Museo Civico fino al 24 febbraio 2020 nuoVo allestimento della collezione di ceramiche Piacenza, Musei di Palazzo Farnese | Appartamento stuccato (piazza Cittadella 29) Orari: dal martedì al giovedì, 9.0013.00; venerdì e sabato, 9.00-13.00 e 15.0018.00; domenica, 9.30-13.00 e 15.00-18.00 Alla sezione si accede con il biglietto d’ingresso dei musei. Tutte le sezioni: €6,00; una sola sezione: €3,00 Info biglietteria: tel. 0523.492658 capolaVori della JohannesburG art GallerY dagli impressionisti a picasso Forte di Bard. Valle d’Aosta 14 febbraio – 2 giugno 2020 Orari: sino al 2 marzo feriali: 10.00 | 17.00 sabato, domenica, festivi: 10.00 | 18.00; chiuso lunedì Intero: 10,00 euro; ridotto: 8,00 euro Scuole: 5,00 euro Infotel 0125 833811

What a Wonderful World. la lunga storia dell'ornamento tra arte e natura Reggio Emilia, Palazzo Magnani (corso Garibaldi, 29), Chiostri di San Pietro (via Emilia San Pietro 44/C) 16 novembre 2019 - 8 marzo 2020 Orari: da martedì a venerdì 10.00 13.00 / 15.00 - 19.00 Sabato e Festivi 10.00 - 19.00 Intero 12 €; ridotto 10 € www.palazzomagnani.it

donne nell’arte. da tiziano a boldini Brescia, Palazzo Martinengo (via dei Musei 30) 18 gennaio - 7 giugno 2020 Orari: mercoledì, giovedì e venerdì, dalle 9:00 alle 17:00; sabato, domenica e festivi, dalle 10:00 alle 20:00 lunedì e martedì chiuso. Biglietti (audioguida compresa): intero, €12,00; ridotto, €10,00 Infotel. 320.0130694

leonardo da Vinci e Guido da ViGeVano. anatomia in fiGure a cura di Paola Salvi 7 febbraio – 29 marzo 2020 Milano, Sala Sottofedericiana dell‘Ambrosiana (ingresso da Piazza San Sepolcro) Orari: Martedì - venerdì, dalle 12.00 alle 18.00; Sabato, domenica e festivi dalle 10.00 alle 18.00. Lunedì chiuso Cripta San Sepolcro, inclusa mostra: intero, €8,00; ridotto, €6,00 Infotel. 02.806921

steVe mccurrY. leggere Arengario - Monza (Piazza Roma) 17 gennaio – 13 aprile 2020 A cura di Biba Giacchetti e Roberto Cotroneo Orari: dal martedì al venerdì 10.00 – 13.00 / 14.00 – 19.00 Sabato e domenica: 10.00 – 20.00 Intero 10,00€; Ridotto 8,00€.

helmut neWton. Works Torino, Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea 30 gennaio 2020 – 3 maggio 2020 Via Magenta, 31 - 10128 Torino tel. +39 011 4429518 – +39 011 4436907 email: gam@fondazionetorinomusei.it www.gamtorino.it Orari di apertura: da martedì a domenica: 10.00 - 18.00, lunedì chiuso. La biglietteria chiude un’ora prima. Biglietti: Intero 10,00€ Ridotto 8,00€ Ingresso gratuito Abbonamento Musei e Torino Card. ulisse. l’arte e il mito Forli, Musei San Domenico, Piazza Guido da Montefeltro 12 15 febbraio – 21 giugno 2020 Intero € 13,00 Ridotto € 11,00 Infotel: 199 151 134 web: www.mostraulisse.it

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alberto Gandolfo. quello che resta Palermo, Dimora Oz, Palazzo Sambuca (via Francesco Riso, 9) 15 – 29 febbraio 2020 Ingresso libero Orari: dal martedì al sabato, 16.00-19.00 www.egliseart.com – www.dimoraoz.it il carro d'oro di Johann paul schor. l’effimero splendore dei carnevali barocchi Firenze, Palazzo Pitti, Galleria Palatina, Sala delle Nicchie 20 febbraio - 5 maggio 2019 palazzo maffei | casa museo Collezione d’Arte Piazza Erbe 38-38A, Verona info@palazzomaffeiverona.com Tel. +39 045 5118529 Da Lunedì a Venerdì: 10.00 - 18.00 Sabato, Domenica e Festivi: 11.00 19.00 Inaugurazione: 15 febbraio 2020

ITINER_ARTE...DOVE E QuANDO...

la collezione franco farina. arte e aVanGuardia a ferrara 1963-1993 Ferrara, Padiglione d’Arte Contemporanea 21 dicembre 2019 – 15 marzo 2020 Orari 9.30 – 13.00 / 15.00 – 18.00 Chiuso il lunedì info e prenotazioni www.palazzodiamanti.it; tel. 0532 244949


LuOGhI DEL SAPERE

la sposa del chiostro il nuoVo romance di sara foti sciaValiere

SARA FOTI SCIAVALIERE La sposa del Chiostro Il Raggio Verde edizioni 2020 ISBN-978-88-99679-86-6 pp.182 15,00 €

Applaudiamo con viva soddisfazione all'approdo tra le 'brave scrittrici' di Sara Foti Sciavaliere che pubblica con il 'Raggio Verde' questa sua opera d'esordio che rispecchia tranquillamente tutti i 'topoi' e le finalità positive di questo genere letterario. Il 'Romance' non è solo argomento di disquisizione tra pedanti critici letterari ma è, per molti, una scelta di vita, magari innata e neppure conosciuta. Ma, soprattutto se si possiede un animo sensibile e una cultura mai fine a sé stessa , fatta non solo di date e alberi nobiliari, allora la scelta ci fa belli e siamo tutti per il romance, riscoprendo I viaggi di Gulliver e, magari, la trilogia di Calvino. Sennò, ci tocca la circostanziata 'novel' che sa molto degli storici latini e non ci smuove più di tanto.... L'abilità di Sara, questa volta, è quella di far confluire una appassionante vicenda d'amore in una plausibile scena storica che privilegia la fine del diciottesimo secolo e ambienta nel Salento attuale la vita e le pulsioni dei protagonisti che si muovono in una Lecce (e in una Gallipoli) credibilissima e senza sbavature, più vicina all'attuale capuologo di Terra d'Otranto di quel che si possa pensare. Ma, in questo avvincente romanzo, la storia la cultura la tradizione il gusto per i particolari più intriganti sono amalgamati con sapienza e hanno tutto il fascino della riconferma piacevole di ciò che avevamo sentito ma era poi mancata l'occasione per dilungarci sull'argomento.... Un esempio mirabile è la manifattura dei dolcini di pasta di mandorla con la faldacchera, un episodio che, tuttora, fa parte dei più genuini momenti di vita leccese... Brava, bravissima Sara a non annoiare -mai- il lettore, pur se l'argomento si dipana fra intrighi e conventi, in una realtà cinematograficamente perfetta, dove la sceneggiatura attenta e mai bugiarda rende, da sola, tutto il piacere della contemplazione e dell'immersione in un mondo che se non era proprio così, pure nel nostro immaginario conferma tutto il suo fascino. Nè la vicenda in sé presenta cadute o stucchevoli indugi: persino la vicenda d'amore è trattata con garbo, pudore e superiorità, in un armonico avvicendarsi verso l'esito finale che, come nella tradizione del 'romance' è positivo ed appagante. Insomma, il viaggio in questa realtà che adombra un verosimile 'come eravamo' è piacevolissimo e intrigante. E rivela una scrittrice di razza che, del resto, ha fatto della ricerca storica e dello studio Buona lettura, allora, con questo scritto; che ha tutte le caratteristiche del 'romance' ma è, credetemi, soprattutto un libro ben scritto, che racconta una bella storia. Raffaele Polo

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LuOGhI DEL SAPERE

il pianto dell’elicriso la poesia di assuntina marzotta

ASSuNTINA MARzOTTA Il pianto dell’elicriso Il Raggio Verde edizioni pp.64 2020 €12 ISBN 978-88-99679-85-9

Apre la raccolta “Oltre il tempo” poesia vincitrice Premio Vitruvio 2019 organizzato dall’associazione culturale salentina “Vitruvio”

Si premette che la poesia della Marzotta è poesia ermetica, poesia pura, libera, cioè, non solo dalle forme metriche tradizionali, ma anche da ogni finalità celebrativa. Il tema è il senso della solitudine di chi ha perduto la fede nei valori universali, l’impossibilità di un colloquio fiducioso e aperto con gli altri, o, meglio, la coscienza del contrasto tra la realtà quotidiana e l’ideale di una vita diversa, irrealizzabile. è l’ossessiva ricerca di nuove forme, è lo strazio di chi, perduta l’illusione e la fede, si ripiega su sé stesso e scopre la propria fragilità esistenziale (…un indugio...e tristezza...d’innumerevoli forme e sembianze, /che passando rubano l’anima/ senza dar tregua, come aghi di seta…).Ma lei reagisce a tanta angoscia e sviluppa un crescendo creativo che, da una visione dolente dell’esistere, perviene al godimento della quiete, del silenzio; dal ruggito dell’anima ad un rapporto d’amore per il suo ambiente sociale (…ho risalito dirupi /annaspando tra i ruderi dell’anima/ e là/ silenzio,/ …o forse diamante tagliente/ che scalfisce… i vetri della mia prigione/ … e tra i voli alti dei gabbiani/ ritrovar la luce). Un conflitto interiore che evidenzia l’anima di sé stessa pervasa da manie, ossessioni, nevrosi destinate all’incomunicabilità attraverso un linguaggio ermetico, grazie al quale la sua vicenda poetica inizierà quel lavoro di scavo intimistico da cui emergerà la volontà di conoscere e razionalizzare ciò che è confuso e caotico nella realtà (…tornerò alla ricerca del tempo perduto/alla mia terra ricoperta d’ulivi/… e, tra i singhiozzi/ abbatterò gli errori con rapide risate/ e abbandonerò le lacrime / sull’aride pietre). Sono poesie che “parlano” della sua lacerante delusione sulla caducità esistenziale, sull’ansia di una spinta catartica verso uno spazio senza voce, come quello del suo mare (E quando tutto avrà fine/ rivoglio l’abbraccio della mia terra/ …. e possa giungermi l’eco del mare/ a cantarmi dolci ninnenanne…). Il lirismo della Marzotta è la storia di accadimenti illogici e speranzosi, è il distacco da quella ironia un po’ malinconica che le consentono di comprendere più a fondo gli aspetti multiformi ed ambigui della vita (La vita è una clessidra frantumata/ di questo tempo che passa/ tenace/ e consuma il suo fuoco di rossa candela/…chiudo i cassetti/ e metto a dormire i pensieri,/ fra cianfrusaglie dei ricordi più tristi/ e di sgradite amarezze/ sgualciti sul fondo…). Tuttavia, al di là di questi accadimenti illogici e speranzosi, la poetessa trova conforto nel ricordo degli affetti, delle nostalgie, dei rimpianti, nel distacco struggente del suo mondo familiare: la lontananza del figlio Riccardo, l’amore e l’ansia per la figlia Lavinia e, soprattutto, l’assenza e la lontananza di Troy, il nipotino che, al solo pensarlo, rievoca il ritorno

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di un mondo incontaminato, ingenuo e istintivo, che coincide in lei nel recupero memoriale dell’infanzia. In fondo, nella sintassi poetica della Marzotta, c’è un po’ di tutti noi, c’è un po’ di quel pathos che quotidianamente ci tormenta, anche se a volte quella maledetta malinconia squarcia il velo delle care illusioni: sollievo dei mortali che sono stanchi di soffrire (ma io starò qui / oltre il confine del tempo…). Vincenzo Abati

Vittorio bachelet Gli anni ‘70 tra speranze e disillusioni

GIANCARLO DE CATALDO Gli anni ‘70 tra speranze e disillusioni Poligrafico e zecca dello Stato pp.224 2020 ISBN 978-88-240-2789-2

“Vittorio Bachelet. Gli anni 70 tra speranze e disillusioni” è il titolo del libro a cura di Giancarlo De Cataldo ed edito dal Poligrafico e Zecca dello Stato. Un volume fortemente voluto dal Consiglio Superiore della Magistratura nel quarantennale del tragico assassinio di Vittorio Bachelet da parte delle Brigate Rosse. L'opera vuole rendere omaggio a una figura a tutto tondo: un uomo politico, un professore e vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura. La sua esperienza di vita diventa occasione per riflettere su un decennio che ha segnato in modo decisivo la storia della Repubblica Italiana. Il libro si apre con una presentazione del Presidente Sergio Mattarella e include, tra gli altri, i contributi di David Ermini, Alberto Maria Benedetti, Armando Spataro, Massimo Brutti, Carlo Guarnieri, Benedetta Tobagi, Flavia Perina, Gianni Mura e Rosy Bindi. Il testo è arricchito da una serie di scatti fotografici che catturano lo spirito del tempo e rendono più semplice la narrazione anche per chi, tra le nuove generazioni, di quegli anni ha poca conoscenza. Ricordare la figura di Vittorio Bachelet, e veicolare il suo messaggio verso i più giovani, rappresenta un esercizio di memoria collettiva importante che vede ancora una volta il Poligrafico e Zecca dello Stato in prima linea come custode del patrimonio identitario italiano. Il volume è già acquistabile nei punti vendita e sul sito ufficiale del Poligrafico e Zecca dello Stato (www.shop.ipzs.it).

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“le tre minestre” in un’italia di proVincia nel romanzo di andrea Vitali

LuOGhI DEL SAPERE

#LADEVOTALETTRICE | LuCIA ACCOTO

ANDREA VITALI Le tre minestre Mondadori 2014 PP.200 ISBN: 9788804640226 9,00 €

Tre zie zitelle ed una vita in campagna. Ognuna con un compito e un ruolo, precisi. Nessuna prevaricava mai sull’altra ed insieme si combinavano perfettamente come nei mosaici. Ognuna, a modo suo, era dotata di un singolare senso pratico, di attenzioni verso il mondo esterno e tutte accettavano i cambiamenti. La minestra era il piatto base della loro cucina, dicevano che era l’alimento essenziale per lo sviluppo fisico e psichico di un bambino. E il nipote Andrea andava messo su a brodo. Le tre minestre, racconto autobiografico di Andrea Vitali, rappresenta un gioco innocente che l’autore usa per ribattezzare tre ministre le zie che accompagnano gli anni della sua infanzia. Cristina, ministro degli Interni, lei si occupa esclusivamente delle faccende domestiche e della cucina; Colomba, ministro dell’Agricoltura, si occupa dell’orto e dei terreni di famiglia; Paola ministro degli Esteri, è impegnata sempre fuori casa e cura le relazioni con parenti e vicini. A loro l’autore bambino deve i primi insegnamenti. In casa si parlava in dialetto, poche parole ma precise come quelle sulla minestra. “Se ho imparato che la minestra è la biada dell’uomo, lo devo al fatto che le mie tre zie di campagna me lo hanno ripetuto un considerevole numero di volte, generando in me il pensiero che se anche l’uomo ha bisogno di una biada purchessia, significa che è bestia al pari delle altre. Non che mi abbiano convinto del tutto. ma quando sotto il naso mi mettevano un piatto di minestra, dal minestrone al semolino, dal riso e latte al riso e prezzemolo per finire con i “granèi”, dovevo mangiarlo. L’alternativa non era contemplata.” Il racconto di Andrea Vitali si snoda attraverso le qualità dei cibi preparati in casa, sulle loro presunte qualità terapeutiche e ad ogni piatto ci svela un aneddoto. Siamo negli anni Sessanta, in un’Italia di provincia dove “la saggezza si esprime in assiomi che non

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ilraggioverdesrl.it

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ammettono repliche”. Si fatica non poco ad entrare in casa delle tre ministre. La semplicità della narrazione a tratti si stoppa per via uno stile grezzo. Per questo non convince pienamente, deludendo. Perfino. Sembra di trovarsi di fronte ad un libro mal riuscito. Ma nel complesso ne emerge uno spaccato di vita vissuta e di costume suggestiva. Insomma, un tuffo nel passato in cui viene riportato alla memoria anche il ricettario della tradizione locale, tra le sponde del lago di Como e le valli vicine. Delicate sono le pagine in cui le zie si prendono cura del nipote guidandolo anche nei momenti difficili. Le riunioni di famiglia rappresentano uno dei momenti di unità. Poche parole, sempre pertinenti, seguite da fatti concreti per aiutare Vitali quando non si raccapezzava nelle scelte o nei problemi della vita. Il loro “un affetto rustico e profumato” dettato dal buon senso, ma anche pregno di superstizioni, retaggio di una cultura popolare di altri tempi.

la strana Giornata di alexandre dumas i consiGli della #deVota lettrice

OLIIER BLEyS Edizioni Piemme p3 75 2009 ISBN978-8856601763

La strana giornata di Alexandre Dumas di Rita Charbonnier, edizioni Piemme (2009) Quella sarebbe stata una giornata come tutte le altre per Alexandre Dumas, se non fosse stato per una strana donna che gli aveva proposto di leggergli gli astri per l'anno successivo, il 1844. Tutto aveva avuto inizio in Romagna dove la madre della chiromante, Vincenza, l'aveva data alla luce e l'aveva chiamata Maria Stella. In breve, però, Vincenza si era accorta che l'accenno di chioma scarlatta della neonata non potevano venire né da lei né da suo marito, entrambi neri come la pece. Quella non era sua figlia. Maria Stella aveva deciso di raccontare la storia delle sue origini al grande scrittore. Uno scandalo che avrebbe potuto minare il regno di Francia. Ve lo consiglio!

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la seconda Volta che sono nata di Valeria coi la VoGlia di ViVere oltre oGni limite

VALERIA COI La seconda volta che sono nata Il Raggio Verde edizioni 2019 pp.166 ISBN 9788899679682 € 15,00

Quando si inizia a leggere il libro La seconda volta che sono nata della giornalista e scrittrice Valeria Coi (edito da Il Raggio Verde Edizioni di Lecce), si ha come l’impressione di essere catapultati sul set del film Sliding Doors con Gwyneth Paltrow. Anzi, più che sul set, nel momento esatto in cui la protagonista si ritrova a dover prendere il treno che dalla stazione della metropolitana la riporterà da lì a poco a casa. Ebbene, come in quella scena cult, anche in questa storia raccontata con delicatezza e passione, una donna si ritrova nel bel mezzo della sua vita a dover fare una scelta importante che le cambierà l’esistenza (con tanto di fato che ci metterà del suo proprio come accade al personaggio interpretato nel film sopra citato da Gwyneth Paltrow). Infatti, fin da subito, facciamo la conoscenza di Marta una donna semplice, in fuga da un passato tormentato che la perseguita. Un passato in cui, il rapporto complicato con una madre onnipresente si intreccia inesorabilmente con quello sfortunato di un matrimonio finito male, nonostante la nascita di un figlio. Le violenze fisiche e psicologiche di cui Marta è stata vittima, non scalfiscono comunque la sua forza d’animo e la sua tenacia, tanto che la donna riprova con tutta la sua forza ad innamorarsi e ad essere di nuovo felice. Così felice, che nella sua vita compare un nuovo uomo e dal loro amore scaturisce anche la nascita di un altro figlio, che la protagonista sente suo fin dai primi giorni in cui scopre di essere rimasta incinta. Il desiderio materno la spinge nuovamente a cercare dentro di sé la forza per continuare a riprovarci, nonostante il destino le giochi per l’ennesima volta un brutto scherzo e lei sia costretta a ricadere e a rimettersi di nuovo in gioco. Perché la voglia di vivere supera ogni limite e ogni ostacolo, tanto che nel giorno del solstizio d’estate, all’interno di un Pronto Soccorso, mentre è in attesa del responso di una Tac celebrale, Marta scopre cosa significhi davvero rinascere. In questo posto anonimo, la protagonista della storia acquisisce finalmente la consapevolezza che per essere liberi è necessario avere il coraggio di essere autentici anche a costo di non “vincere”, poiché, come scrive l’autrice del libro in una delle pagine più belle, l’unica vera sconfitta è solo quella di rinnegare se stessi. Stefano Cambò

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la confraternita del re il nuoVo romanzo storico di Giuseppe pascali

GIuSEPPE PASCALI La confraternita del re Kimerik 2020 pp. 278 ISBN 9788855162715

Venezia, febbraio 1562. Mentre in Piazza San Marco impazzano i festeggiamenti per il carnevale, una misteriosa maschera in bauta consegna furtivamente nella Bocca delle Denontie Segrete di Palazzo Ducale un foglio con una delazione. In essa si leggerà che la Serenissima sarebbe sotto la minaccia di un'oscura Confraternita, custode da millenni del leggendario Libro di Toth che starebbe per riportare alla luce per comandare sul mondo. Da questo assunto parte il nuovo romanzo storico dello scrittore e giornalista Giuseppe Pascali, intitolato La Confraternita del Re, edito da Kimerik. Dopo il successo de “Il sigillo del marchese” e “La maledizione di Toledo” il giornalista de La Gazzetta del Mezzogiorno, direttore responsabile del quotidiano online Salentoinlinea.it. e scrittore di successo - tra i suoi libri i saggi La banda di Lecce. Dal concerto cittadino alla Schipa-D’Ascoli (2006), Bande di Puglia. Il teatro sotto le stelle (2008), Gli Spiziotti. Storia della banda dell’Ospizio Garibaldi di Lecce (2009) consegna ai suoi lettori un altro testo ambientato questa volta a Venezia. A essere incaricato di condurre le indagini sulla vicenda è Matteo Scarpa, membro del Consiglio dei Dieci. Scarpa però, viene misteriosamente assassinato nella sua biblioteca, la stessa notte in cui ritrova un indizio interessante. Le accuse cadono sul giovane consigliere Giovanni Malipiero, suo antagonista, ma il doge Girolamo Priuli, prima di accusarlo pubblicamente, gli concede il privilegio di due settimane di tempo per trovare il colpevole. Sulla strada delle sue indagini, una notte, il consigliere incontrerà la spia Caterina Cavazza, donna scaltra e risoluta, maestra di travestimenti. E sarà lei a indagare, imbattendosi in una verità inattesa che le svelerà un mistero lungo vent'anni. Il libro sarà presentato in anteprima il prossimo 27 febbrario, ore 18:30, nella Galleria Ducale di Cavallino (Lecce).

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Otranto, 2004, af

i luoGhi della poesia l’amore Giusy Gatti Perlangeli

E se mi chiedi chi sono Non ti parlerò di me.

i Luoghi della Parola | Poesia

Ti mostrerò una ruga sulla fronte In mezzo agli occhi Che come il tempo si allunga. Saprai che ho molto pensato.

Ti indicherò due segni Ai lati della bocca Come le parentesi del mio sorriso. Ho imparato a far caso alle piccole cose Alle circostanze quotidiane All'assenza di fastidio Alla mancanza di dolore

Ti accorgerai che molto ho gioito.

Ti porgerò la mano destra Senza smalto senza ornamenti Un ispessimento dove l'indice il medio e il Faccio caso se non ho mal di testa pollice hanno stretto per decenni una penna. Se le scarpe non sono strette Se un elastico non mi stringe Ho provato a esprimere i miei pensieri E preso appunti sulla vita. Faccio caso se i miei stanno bene Se nessuno ha telefonato per creare probleSe mi chiedi chi sono mi Non ti parlerò di me Se non ho caldo nè troppo freddo Faccio caso alla mia coscienza pulita Ai miei doveri assolti Ai momenti di tregua con me stessa. Una sensazione che assomiglia alla felicità. Ci faccio caso.

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Perché se avrai mente e cuore Ti basterà guardarmi.


Quando me ne andrò Voglio che rimangano sorrisi

Di chi da me ha sempre avuto risposte Soluzioni sostegno e supporto

Voglio che accada prima Di vedere compassione negli occhi

Me ne andrò mentre mi reggo ancora in piedi Prima di vedere nello specchio un volto che Prima di avvertire ironici ammiccamenti non riconosco Spallucce alzate Prima di dimenticare nomi e amori Risposte distratte Prima di accorgermi che non ho un futuro E ipocrite compiacenze Quando non avrò più poesie da dedicare Quando me ne andrò Non più storie da raccontare Voglio che accada con leggerezza Non più luna da contemplare Perché non c'è amore Non più tramonti da sospirare Che resista all'assalto di una quotidianità Nè più stelle da rivedere Sofferta e condivisa Quel giorno Voglio che accada prima di trasformarmi Quel preciso giorno Da risorsa preziosa a pesante fardello Io me ne andrò Non aspiro a diventare centro e problema Non voglio respirare aria di sufficienza Nè vedere sopportazione negli sguardi

GiusyGatti©tutti i diritti riservati


Foto: Alex D'Emilia (fonte pagina istituzionale FB, Pesaro Musei)

la sonosfera, un ambiente acusticamente perfetto

Inaugurato a Pesaro il primo teatro eco-acustico mobile PESARO. Ne sarebbe stato fiero probabilmente Rossini che nacque a Pesaro il 29 febbraio 1792 un compleanno che l’anno bisestile rende possibile festeggiare appieno. Scusandoci per la brevissima digressione sull’anniversario del geniale compositore di Pesaro, ci piace dare risalto alla recente inaugurazione di un quanto mai singolare teatro proprio nella città natale del musicista. Sì, dal 6 gennaio 2020 Pesaro Città Creativa Unesco della Musica ha la sua “Sonosfera”. Un teatro per l’ascolto profondo di ecosistemi e musica. «Un patrimonio mobile costruito non solo per la nostra città, ma per l’Europa intera ha spiegato il sindaco Matteo Ricci -. La Sonosferà può contenere tanta cultura e bellezza e sono sicuro che l’Europa si salverà con la cultura e la bellezza. Questa è la nostra carta d’identità nel mondo, non è un caso che qualche settimana fa Pesaro e Urbino hanno presentato a Matera la candidatura a Capitale Europea della Cultura 2033: una sfida da lasciare in eredità alle generazioni del futuro. La Sonosfera diventerà un ulteriore investimento per sostenere questa candidatura.» Collocata all’interno di Palazzo Mosca sede dei Musei Civici, la Sonosfera è parte integrante del patrimonio del Museo Nazionale Rossini. Progettata da David Monacchi, docente di Elettroacustica presso il Conservatorio Rossini di Pesaro, la struttura consiste in una cavea circolare dove il pubblico - sessanta posti in tutto, siede come in un anfiteatro ma trasparente al suono. Il geode è costruito per essere

acusticamente perfetto, isolato dall’esterno e completamente fono-assorbente all’interno. 45 altoparlanti posizionati nell’intera superficie semi-sferica intorno al pubblico diffondono il suono e contenuti audiovisivi sono proiettati in una corona video a 360° ad altissima definizione. Un’esperienza . La Sonosfera sarà fruibile 6 mesi l’anno come strumento multifunzionale semistabile a Palazzo Mosca; per il resto potrà viaggiare portando su scala internazionale i contenuti prodotti a Pesaro Città Creativa Unesco della Musica a partire dal pluripremiato progetto “Fragments of Extinction” che studia e propone al grande pubblico i paesaggi sonori delle foreste primarie equatoriali registrati durante spedizioni in tutto il mondo.

Sonosfera, orario: utti i giorni su prenotazione (gruppi da 15 a 60 persone) ore 10:30-17.30 venerdì, sabato, domenica e festivi: mattino ore 10.30, 11.30, 12.30, pomeriggio ore 15.30, 16.30, 17.30 (posti limitati, prenotazione consigliata) prenotazione 0721 387541 biglietteria Palazzo Mosca - Musei Civici pesaro@sistemamuseo.it

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amore e sport Vita, corpo e mente Giovanni Bruno

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L’importanza delle parole Le riflessioni del psicoterapeuta

n questi nostri tempi ci sono termini, sostantivi, aggettivazioni spesso usati con una buona dose di leggerezza,vacuità, irriflessione che snaturano il connotato intrinseco delle parole. Le parole, appunto, sono invece importanti, bisogna dargli il giusto peso,l’esatta attribuzione di significato. Una di queste parole è sicuramente il termine “Amore” che declinato in tante varianti indica la dedizione assoluta ed esclusiva verso persone, situazioni, contesti per i quali si ha un forte sentimento di passione positiva di attrazione disinteressata. L’Amore dunque non è una cosa che si fa, ma una cosa che si sente. Ma di più penso che l’Amore sia anche una forma di conoscenza di sé, della propria centratura mentale, del proprio equilibrio. In questa ottica dunque l’Amore è qualcosa che trascende il contingente e può essere applicato ai contesti più diversi. Nel ciclo della vita il passaggio dall’adolescenza all’età adulta si rivela a volte doloroso o comunque pieno di antinomie e di contrasti. è una fase in cui la famiglia gioca un ruolo fondante, ma è anche vero che i contesti extrafamiliari hanno il ruolo di uscita del giovane dal cerchio chiuso, a volte asfittico, dei conviventi per poter esplorare territori nuovi, nuovi sentimenti amorosi che possano suggerire prospettive mai conosciute. L’Amore per lo sport può avere un ruolo fondamentale in periodi come questi confusi e a volte contraddittori. Lo sport e in generale l’attività fisica contribuisce a migliorare lo sviluppo psicofisico e la salute individuale e in

questo senso l’educazione fisica nelle scuole è proprio quella branca dell’insegnamento che considera il movimento non solo dal punto di vista dell’efficacia e della qualità della prestazione ma anche dell’adeguato sviluppo della personalità. L’educazione fisica, spesso sottovalutata nelle scuole, gioca dunque una funzione che è da un lato individuale e dall’altro sociale. Ed è proprio nella fase di approccio a questo insegnamento che può nascere nel giovane l’Amore per lo sport. Sport che ha tante valenze, che ha tanti significati: cura per il corpo, acquisizione di competenze spaziali, sviluppo di una intelligenza intuitiva. è importante dunque che si sviluppi una particolare attenzione per un equilibrato sviluppo del corpo e della mente, mens sana in corpore sano, è un aforisma valido in ogni epoca. Nel giovane poi lo sport richiama tanti altri ragionamenti . Uno di questi è sicuramente il tema della “ giusta misura “che sempre deve essere individuata: non tutti infatti potranno diventare dei campioni assoluti di quella disciplina ma ogni sforzo deve essere commisurato ai propri mezzi, alla propria fisicità. Lo sport inoltre tende a responsabilizzare l’individuo, ma anche a renderlo cittadino con i propri diritti e i propri doveri, a farlo diventare parte attiva di una comunità . Vediamo dunque quanti ruoli gioca lo sport; sport che non è solo agonismo competizione ma anche attività sociale, conoscenza di se stessi, modalità per rintracciare spaziose avventure.

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Il maestro Vittorio Tapparini mentre svela la sua opera nella sede dell’Unione Spotiva Lecce

l’abbraccio di tapparini che unisce arte e sport

La tela è stata donata alla società sportiva Lecce Calcio per celebrare l’ingresso nella serie A e invitare a recuperare il vero significato dello sport più amato dagli italiani

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onostante ci siano tanti tipi di sport, di sicuro il calcio è senza dubbio quello più amato dagli italiani. Indiscutibile il potere aggregante: allo stadio, davanti alla tv, persino in auto via radio che sia la Nazionale o la squadra del cuore la passione per il calcio unisce da nord a sud pur tifando ognuno per la propria squadra. una volta si aspettava la domenica e si tentava anche la sorte con la famosa schedina del Totocalcio. Quei tempi sono passati oggi i calen-

dari sono molto più vari si gioca più volte alla settimana e per diverse competizioni e il calcio continua a far da padrone anche nei palinsesti televisivi per non parlare delle paytv. Ed è dedicato alla celebrazione di questo sport e chiaramente alla sua squadra del cuore l’opera che il maestro Vittorio Tapparini ha voluto dedicare all’unione Sportiva Lecce. L’Abbraccio che resta” è il titolo della grande tela ad olio, di 150 x 100 cm, che ritrae l’abbraccio

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dei calciatori dopo la vittoria decisiva per l’ingresso in Serie A “In questa tela si racconta la storia e il presente del Lecce calcio, pensando ai giocatori di oggi, ma anche a quelli di ieri, personaggi per noi storici che hanno indossato quelle maglie, come Moriero, Barbas, Causio, Lima e tanti altri” - ha spiegato Tappa-

rini rimarcando come il calciatore di colore al centro della tela sia un segnale netto, dell’artista e della Società, ad un vento incivile a cui chiudere fermamente le porte. un chiaro rimando in generale al valore del gioco di squadra che invita alla condivisione e a fare resistenza a disgregazioni e conflitti che logorano oggi la società. “

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photoansa 2019 al fort di bard e l’attualità si mostra

Le immagini più significative del 2019 in Italia e nel mondo in mostra fino al 7 giugno

FORTE DI BARD. VALLE D’AOSTA. Dal libro alla mostra è il caso di dire. Si traduce per la prima volta in un progetto espositivo il volume fotografico PHOTOANSA che raccoglie le immagini più significative dell’anno legate ai grandi fatti di attualità in Italia e nel mondo, realizzate dai fotografi dell’agenzia. Una selezione di oltre cento immagini della quindicesima edizione della pubblicazione, relativa all’anno 2019, è esposta al Forte di Bard, in Valle d’Aosta, dallo scorso 8 febbraio fino al prossimo 7 giugno 2020. «Abbiamo accolto con grande interesse la proposta di ANSA di trasformare in una grande mostra una selezione delle più significative immagini presenti all’interno dell’edizione 2019 del volume spiega il presidente del Forte di Bard,

Ornella Badery -. La collaborazione con la più importante agenzia di informazione del nostro Paese testimonia l’autorevolezza che il Forte ha assunto in questi anni nel campo della fotografia, in particolare nell’ambito del fotogiornalismo. L’esposizione è un prodotto del tutto originale, ideato e prodotto dall’Associazione Forte di Bard in sinergia con ANSA. Alla mostra è abbinato un ciclo di conferenze di approfondimento che porterà al Forte personaggi illustri della cultura e del giornalismo italiano». Dodici le sezioni corrispondenti alle tematiche trattate nel volume, a cominciare dalle elezioni europee che per la prima volta vedono una donna, Ursula von der Leyen, alla guida della Commissione della Ue. Seguono le immagini straordinarie della demolizione del

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Nel riquadro panoramica del Forte di Bard, Valle d’Aosta Luis Torres, 28 luglio, Ciudad Juarez, Messico. Bambini giocano sulle altalene installate dal designer californiano Ronald Rael tra le sbarre del muro che divide US-MX

ponte Morandi a Genova, che non fanno passare in secondo piano l’angoscia delle famiglie sfollate dalle loro case e la disperazione dei parenti delle vittime. è la volta di un’altra immagine che simboleggia, nella sua tragicità, l’anno trascorso, quella di

padre e figlia morti abbracciati sul greto di un torrente al confine tra Messico e Stati Uniti nel tentativo di aggirare il muro fatto consolidare dal presidente Trump. Si ritorna poi in Italia dove, dalle spiagge della riviera romagnola ai palazzi della politica nella Capitale, si assiste

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In basso:- Justin Lane, 23 settembre, New York, USA. Greta Thunberg durante il suo discorso all'ONU. A lato: Karine Perret, 15 giugno, Parigi, Francia. A messa con l'elmetto per la prima funzione religiosa all'interno della cattedrale.

alla fine del governo giallo-verde che lascia il passo, sotto lo sguardo del presidente Mattarella, alla nuova coalizione Pd-5 stelle. Poi Parigi: colpita in pochi mesi dalle violente manifestazioni dei Gilet gialli e dall’incendio della cattedrale di Notre-Dame. Le manifestazioni di intolleranza scuotono anche le periferie romane, tra sgomberi di case occupate e proteste contro le famiglie di etnia rom, dove a pagare sono sempre gli ultimi e più indifesi, i bambini. Ma il volto dominante dell’anno è quello di Greta Thunberg, la sedicenne svedese che ha trascinato nelle piazze del pianeta milioni di giovani a manifestare sulla tragedia dell’ambiente. Quindi la parola allo sport, con l’assegnazione a Milano-Cortina dei Giochi invernali del 2026, 70 anni dopo quelli che si erano tenuti nella località ampezzana, e con la squadra di calcio femminile che, pur eliminata ai quarti di finale, vive la sua esperienza ai mondiali di Francia come una vittoria in

uno sport da sempre ritenuto territorio esclusivo dei maschi. Mentre i giovani internettiani che passano ore incollati ai monitor scoprono i ricchissimi tornei di eGames, è ancora una donna, Federica Pellegrini, a chiudere il PHOTOANSA 2019 con la sua ottava medaglia dei 200 stile libero e regalando a tutti noi un momento di leggerezza e di gioia.

PHOTOANSA 2019 8 febbraio – 7 giugno 2020 Orari Sino al 2 marzo feriali: 10.00 | 17.00 sabato, domenica, festivi: 10.00 | 18.00 chiuso lunedì Intero: 8,00 €, ridotto: 7,00 €, scuole: 5,00 € www.fortedibard.it

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Sotto: Massimo Percossi, 15 luglio, Roma, Italia. Un piccolo nomade viene sgomberato dalla scuola occupata di via Capranica a Primavalle.

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la sicilia Vista con Gli occhi di JohnnY stecchino Stefano Cambò

Per i luoghi del cinema a spasso tra i set del pluripremiato film di Roberto Benigni

diretto da Matteo Rovere liberamente ispirato alla vita del pilota rally Carlo Caponediretto da Matteo Rovere liberamente ispirato alla vita del pilota rally Carlo Capone

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na delle commedie più belle, originali e brillanti degli anni Novanta rimane sicuramente Johnny Stecchino del mitico Roberto Benigni. Girata per lunghi tratti in Sicilia, la pellicola diretta dal grande attore toscano è un classico esempio di cinema satirico e di denuncia, dove la società italiana viene analizzata in tutti i suoi aspetti negativi secondo i canovacci tipici del genere che, se da un lato strappano chiassose risate, dall’altro puntano il dito su una riflessione a posteriori che cerca di far pensare ed irritare. Perché in questo film, più che negli altri girati da Benigni, vengono messi in scena tutti i vizi e i peccati del malcostume nostrano in un quadro generale fatto di ingiustizie e corruzione, dove si cerca di nascondere sotto il

facile sorriso, l’aspetto drammatico se non addirittura tragico. Ecco, così, che Johnny Stecchino diventa il capofila di una serie di film che vedranno negli anni avventurarsi dietro la cinepresa molti personaggi della nostra comicità contemporanea, da Antonio Albanese a Ficarra e Picone fino ad arrivare a Checco Zalone, re indiscusso dei botteghini grazie alle sue pellicole divertenti che prendono in giro il sistema sociale e culturale del nostro Paese. In realtà, facendo un passo indietro, il film diretto da Roberto Benigni ha addirittura l’onore o l’onere di aver in qualche modo anticipato i tempi di una stagione politica in cui i vecchi dogmi e le vecchie usanze sarebbero crollate sotto i colpi di una tempesta giudiziaria chiamata Mani Pulite.

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L'attore e regista italiano Roberto Benigni in uno scatto di scena sul set del film Johnny Stecchino (1991) di Roberto Benigni, all'interno del Teatro Massimo Vincenzo Bellini di Catania (nella finzione scenica, il Teatro Massimo Vittorio Emanuele di Palermo); a lato nella mitica scena con Nicoletta Braschi.

precisamente nel suo capoluogo storico di Regione, ossia Palermo. Qui iniziano una serie di avvenimenti e di gag esilaranti fatte per lo più di equivoci e malintesi, tutti incentrati sul classico tema del doppio, molto caro al genere thriller e in questa pellicola messo in scena seguendo i perfetti canoni della commedia. Proprio inseguendo questi canoni, insieme al protagonista, ripercorreremo le scene più divertenti indicando con precisione e perizia i

I luoghi del cinema

Era infatti il 1991 e ai botteghini Johnny Stecchino fu un gran successo, nonostante la critica all’inizio lo accolse tiepidamente riconoscendone il valore (e anche il coraggio) solo molto tempo dopo, quando ormai il film era diventato una vera icona del cinema italiano. Girato nella prima parte in un quartiere periferico tutto palazzoni e condomini, il film prende una nuova piega nel momento in cui il protagonista interpretato da Roberto Benigni arriva in Sicilia e più

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luoghi in cui sono state girate (che come avremo modo di vedere non riguardano sempre la bellissima Palermo). Infatti il famoso momento al fruttivendolo, quello nel quale il personaggio interpretato da Benigni prova a rubare una banana, è stato ripreso in via Torrento Mazzeo e nel vicolo Torto a Mazzeo, frazione di Taormina. Mentre il bar dove il protagonista incontra il giudice che gli chiede cortesemente di ritrarre tutta la confessione che metterebbe in cattive


acque molti esponenti politici regionali e non, si trova in Piazza Roma a Giardini Naxos (provincia di Messina). Sempre a Giardini Naxos è ubicata la caserma dei carabiniere dove il personaggio di Benigni si ripara e cerca di raccontare i fatti di ciò che è accaduto poco prima dal fruttivendolo. Per chi fosse in visita e volesse fare il turista si tratta nella realtà del Palazzo Municipale (ora Abate Cacciola ubicato sempre in Piazza Roma). Altro momento esilarante è quello a Teatro, con il protagonista che si ritrova a dirne di pesta e corna a tutta la platea in sala allibita nel

vederlo presente allo spettacolo in programma (con tanto di sketch con il vicino di balcone che gli ripete in continuazione assassino storpiando sempre la S). Ebbene, pur sembrando nella finzione lo storico Teatro Massimo di Palermo (all’epoca delle riprese era in ristrutturazione), in realtà si tratta dell’imponente Teatro di Catania dedicato al grande compositore Vincenzo Bellini. Altre locations importanti che vale la pena di menzionare e visitare nel caso vi andasse di fare un tour della Sicilia Nord Occidentale, sono le bellissime ville in cui sono state girate alcune scene cult.

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Per quelle che riguardano i momenti di vita quotidiana, in cui i protagonisti di solito cenano all’aperto, mentre il vero Johnny Stecchino aspetta il suo turno nel seminterrato e abbaia facendo finta di essere il cane Bobby, si è optato per la suggestiva Villa Spedalotto. Per la scena del gran galà (quella in cui partecipa il Ministro che propone al protagonista di nascosto un accordo per non parlare) si è scelto la sublime e famosissima villa Malfitano Whitaker a Palermo con il suo bellissimo giardino diventato per esigenze di copione il luogo prescelto per allestire la festa e tutto il cerimoniale.


I luoghi del cinema

Villa Malfitano (Dedda71 [CC BY-SA (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0)])

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Infine, per girare la scena del ristorante, quella in cui due protagonisti pranzano amichevolmente, con la donna che ribattezza per la prima volta come Johnny Stecchino il povero Benigni, è stato ripreso il salone in stile liberty sito nell’Hotel Villa Igiea a Palermo. Ultima location da indicare in terra sicula (perché riguarda uno dei momenti più esilaranti dell’intera pellicola) è quella del famoso barbiere. Nella realtà, l’esercizio commerciale si trova nel centro storico di Letojanni in provincia di Messina. Dulcis in fundo, una piccola perla che vale la pena di menzionare. Nonostante gran parte del film sia stato girato in Sicilia con alcune riprese addirittura sulle strade e le tangenziali più frequentate (ricordare a tal proposito il momento della chiacchierata in macchina tra lo zio e Roberto Benigni riguardante i problemi che affliggono la povera isola e soprattutto il dramma tutto palermitano del traffico), per alcune scene si è optato per l’Emilia Romagna. Tra tutte spicca in particolar modo quella dell’Hotel Excelsior in cui soggiorna la protagonista che nella hall intrattiene un breve colloquio in inglese con il personaggio interpretato da Benigni. Ebbene, nella realtà, si tratta del mitico Grand Hotel di Rimini, tanto caro al grande ed inarrivabile cineasta Federico Fellini. E con questa citazione cult, lasciamo che il film scorra verso i titoli finali non prima di avervi salutato con la battuta in siciliano stretto che più di tutte è riuscita a farci conoscere ed innamorare di questa pellicola. Perché, detto tra noi… Guardandoci fisso negli occhi… Quello lì che recita… Non me sommigghia pe’ niente!

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Foto di Mario Cazzato

un pelleGrino francese nel 1490 dalla terra santa arriVa a otranto Mario Cazzato

Salento Segreto

a cura di Mario Cazzato

Rileggendo i libri antichi...

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l 16 aprile 1490 Philippe de Voisins lascia il suo castello per andare a visitare le lontane regioni dove uno dei suoi avi, Pierre II de Voisins, aveva lasciato il chiaro ricordo della sua follia e del suo coraggio come si legge nel libro Voyage À Jérusalem de Philippe de Voisins, Seigneur de Montaut (Éd.1883). Di ritorno da Gerusalemme, da Corfù arriva ad Otranto nel novembre del 1490. Trova la città che porta ancora i segni

dell'assalto turco di dieci anni prima. Afferma testualmente: «Le ossa dei martiri furono poste nella cattedrale in due grandi arche e,seconto quanto si dice,di notte si vedeva una grande luce.» Il giorno dopo si mette in viaggio e raggiunge Lecce ma qui non annota nulla. Peccato. Passa dunque a Guaceto, Brindisi, Monopoli e Barletta che gli appare "molto bella". A Bari visita ovviamente il corpo di S.Nicola. Punta con il

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Hotel Patria un tempo Palazzo D’Anna

suo seguito poi verso Roma non senza prima aver notato come in Puglia «si trova più gente malvagia e traditrice che in altre parti del mondo, peggiore dei mori e dei miscredenti». Chissà cosa gli era accaduto per esprimer-

si così. La pianta a colori di Otranto (foto n basso) è contenuta nel resoconto di un altro pellegrino in visita nel 1531 quando la città era in forte ripresa. In alto a sinistra si vede la Torre del Serpe ancora integra e credo che sia

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Nel riquadro il frontespizio del testo consultabile al link https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k1026166/f2.image.texteImage e la foto della Torre del Serpe (foto: fonte istituzionale Comune di Otranto)

Salento Segreto

a cura di Mario Cazzato

la prima raffigurazione grafica del monumento simbolo della città. Il viaggio del pellegrino francese, pubblicato per la prima volta in Francia nel 1883, è stato recentemente proposto, con traduzione e buon commento da F. Porsia sull'Archivio Storico pugliese del 2006. A proposito della Torre, lo scorso anno grazie al progetto "La Torre del Serpe, il luogo del cuore" il comune di Otranto ha partecipato all’avviso pubblico pubblico della Regione Puglia "Interventi per la valorizzazione e la fruizione del patrimonio culturale", POR Puglia 2014/2020. Asse VI - Azione 6.7, e ha ottenuto un finanziamento r e g i o n a l e (27.700,00 euro). L'Assessore cristina De Benedetto ha seguito l'iter fin dall'inizioe ha

commentato: «Il principale obiettivo che volevamo raggiungere era quello di creare un ponte tra l'Amministrazione comunale e la scuola attraverso la storia. Sono i ragazzi i veri protagonisti del progetto, conosceranno il simbolo della loro città, un luogo del cuore, attraverso le attività che costruiremo con loro intorno ad esso. Il progetto favorirà la riscoperta e la valorizzazione della Torre del Serpe in quanto bene culturale locale, per rendere significativo il legame tra il presente e il passato e contribuire alla formazione civica dei futuri cittadini.

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