D’arabeschi e D’azzurro
Il cinque marzo lo scrittore, regista e poeta bolognese avrebbe compiuto cento anni
La Chiesa di Santa Teresa d’Avila a Nardò ha tra i più complessi figurativi del Salento
Anno XVII - n 2 febbraio 2022 -
pierpaolo pasolini
anno 173 numero 2 febbraio 202 2
tiziano il Dolmen gurgulante
i luoghi Del cinema
Una antica testimonianza della civiltà messapica nelle campagne tra Melendugno e Calimera
Sul set di Nostra Signora dei Turchi di Carmelo Bene il film fu girato nei luoghi più belli del Salento
primo piano
le novità della casa
IL RAGGIO VERDE EDIZIONI
ilraggioverdesrl.it
EDITORIALE
TIZIANO , Venere e Marte, 1550 ca., Olio su tela, 97x109 cm Vienna, Kunsthistorisches Museum
Proprietà editoriale Il Raggio Verde S.r.l. Direttore responsabile Antonietta Fulvio progetto grafico Pierpaolo Gaballo impaginazione effegraphic
Redazione Antonietta Fulvio, Sara Di Caprio, Mario Cazzato, Nico Maggi, Giusy Petracca, Raffaele Polo
Hanno collaborato a questo numero: Lucia Accoto, Stefano Cambò, Mario Cazzato, Sara Di Caprio, Dario Ferreri, Sara Foti Sciavaliere, Marco Tedesco, Raffaele Polo,
Redazione: via del Luppolo, 6 - 73100 Lecce e-mail: info@arteeluoghi.it www.arteeluoghi.it
Iscritto al n 905 del Registro della Stampa del Tribunale di Lecce il 29-09-2005. La redazione non risponde del contenuto degli articoli e delle inserzioni e declina ogni responsabilità per le opinioni dei singoli articolisti e per le inserzioni trasmesse da terzi, essendo responsabili essi stessi del contenuto dei propri articoli e inserzioni. Si riserva inoltre di rifiutare insindacabilmente qualsiasi testo, qualsiasi foto e qualsiasi inserzioni. L’invio di qualsiasi tipo di materiale ne implica l’autorizzazione alla pubblicazione. Foto e scritti anche se pubblicati non si restituiscono. La collaborazione sotto qualsiasi forma è gratuita. I dati personali inviateci saranno utilizzati per esclusivo uso archivio e resteranno riservati come previsto dalla Legge 675/96. I diritti di proprietà artistica e letteraria sono riservati. Non è consentita la riproduzione, anche se parziale, di testi, documenti e fotografie senza autorizzazione.
Apriamo questo numero con Venere e Marte un’opera del Tiziano che dal 23 febbraio è a Palazzo Reale con una mostra dedicata all’immagine della donna nel Cinquecento veneziano. Un modo per affrontare temi e aspetti del femminile lontano da date celebrative. Celebrare è, in ogni caso, un segno positivo. Noi di Arte e Luoghi abbiamo scelto di celebrare l’arte e la bellezza, raccontandovi di luoghi noti e meno noti, di artisti famosi e non, di letture che aprono il cuore e di opere che sono spesso sotto i nostri occhi ma dimentichiamo il privilegio di poterle osservare sempre. Così, dai luoghi di Carmelo Bene sul set del film “Mamma Li Turchi” che ci presenta Stefano Cambò al dolmen Gurgulante di Melendugno che ci fa scoprire Raffaele Polo continua il nostro girovagare mentre lo storico Marco Tedesco ci porta in terra di Bari e Sara Foti Sciavaliere a Nardò. Sara Di Caprio ci illustra il dipinto Giovane donna che Picasso dipinse nel 1909 eccezionalmente in mostra a Roma e Dario Ferreri ci svela le figurazioni di Nicola Verlato. Spazio ai libri con le recensioni di Lucia Accoto con pagine da leggere e conservare nella memoria. E tra le date da ricordare c’è il 5 marzo 1922 giorno della nascita di Pier Paolo Pasolini, intellettuale a tutto tondo di cui quest’anno ricorre il centenario e sono tante le inziative a lui dedicate. Ce lo ricorderemo questo febbraio 2022. E non solo perchè fu nel febbraio 2020, precisamente il 21, il primo caso Covid in Italia, che ancora a due anni di distanza obbliga a restrizioni e soprattutto a non abbassare mai la guardia. Sembra un secolo quel febbraio 2020, l’inizio della pandemia che ci vedeva cantare sui balconi in pieno lockdown convinti che sarebbe andato tutto bene. Eh no, che niente va bene. Non ci è bastata la lezione del Coronavirus Covid 19 che ha mostrato la nostra fragilità come essere umani. Lo spettro della guerra, che non più tardi di un mese fa abbiamo ricordato nel giorno della memoria convinti di aver imparato la lezione, è invece alle porte, scuote l’Europa, devasta l’Ucraina, da sempre terra di confine. E viene in mente il titolo di un’acquaforte che il Goya realizzò nel 1797: Il sonno della ragione genera mostri. Quanto terribilmente vero suona il titolo di quell’opera! E quanto dovremo pregare affinché la pace possa con la sua luce irradiare il mondo... (an.fu.)
SOMMARIO luoghi|eventi| itinerari: girovagando |chiesa di santa teresa a nardò 42 | itinerarte 77 | un esempio di pittura veneta 55 | arte: tiziano 4|Da roma a mons nel segno di pasolini 20 | giovane donna di picasso 24| tra natura e simboli la pittura di marco De mirto 38 | Dipingere alla soglia del mistero 76 | i luoghi della parola: | curiosar(t)e: nicola Verlato 66 |caro 2022 83 interventi letterari|teatro |luoghi del mistero: pier paolo pasolini 16 | il Dolmen gurgulante 34 | salento segreto 94 musica | music for change 202 28 | babilonia il nuovo disco di antonio castrignanò 74 | musica e danza il rumore della storia nella galleria borbonica 78 perdutamente di paolo ruffini 31| i luoghi del cinema: nostra signora dei turchi di carmelo bene 85 libri | luoghi del sapere 80-82 | #ladevotalettrice 80 | #Dal salentocafè 82 i luoghi nella rete|interviste| palazzo beltrani 92
Numero 2- anno XVII - febbraio 2022
tiziano e l’immagine Della Donna nel cinquecento Veneziano Antonietta Fulvio
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Fino al 5 giugno 2022 a Milano, Palazzo Reale, accanto le opere di Tiziano, per lo più prestate dal Kunsthistorisches Museum di Vienna, dipinti di Giorgione, Lotto, Palma il Vecchio, Veronese e Tintoretto
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MILANO. Il volto austero ed elegante di Eleonora Gonzaga, lo sguardo fiero di Lucrezia, l’eleganza tra il pudico e il civettuolo della giovane donna con cappello di piume, gli occhi estatici di Maddalena o la sensualità di Venere che bacia Marte... Sono le donne ritratte dal Tiziano. Immagini di donne che dalla Storia al Mito, raccon-
tano la bellezza ma anche la sensualità, l’eleganza e la seduzione che l’arte ha reso eterne. Si intitola “Tiziano e l’immagine della donna nel Cinquecento veneziano” la grande mostra che dal 23 febbraio 2022 vestirà le sale di Palazzo Reale. Capolavori di Tiziano e dei suoi celebri contemporanei quali Giorgione, Lotto, Pal-
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Ritratto di Eleonora Gonzaga della Rovere, 1537 ca. Olio su tela, 114x103 cm Firenze, Galleria degli Uffizi
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Lucrezia e suo marito, 1515 ca. Olio su legno di pioppo, 82x68 cm Vienna, Kunsthistorisches Museum
ma il Vecchio, Veronese e Tintoretto racconteranno come spiega la curatrice Sylvia Ferino, già direttrice della Pinacoteca del Kunsthistorisches Museum, «il ruolo dominante della donna nella pittura veneziana del XVI secolo che non ha eguali nella storia della Repubblica o di altre aree della cultura europea del periodo”. E dal Kunsthistorisches Museum di Vienna provengono quindici dipinti di Tiziano ai quali si aggiungono sculture, oggetti di arte applicata come gioielli, una creazione omaggio di Roberto Capucci a Isabella d’Este (1994), libri e grafica per un totale di cento opere in mostra. Il percorso, scandito in otto sezioni, parte dal tema del ritratto realistico di donne appar-
tenenti a diverse classi sociali, per poi passare a quello idealizzato delle così dette “belle veneziane”: celebri eroine e sante, divinità del mito e allegorie indagano l’immagine femminile attraverso tutto l’ampio spettro delle tematiche possibili e nel contempo mettendo a confronto gli approcci artistici individuali tra Tiziano e gli altri pittori del tempo. Un focus importante della mostra è rappresentato dalla sezione Letterati e poetesse in cui vengono presentati i ritratti e gli scritti di famosi poeti che cantarono l’amore ed equipararono la ricerca del bello all’esaltazione della donna e della bellezza femminile e ritratti di donne scrittrici, nobildonne, cittadine e anche cortigiane.
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Il Cinquecento a Venezia fu un secolo straordinario l’immagine della donna assume un ruolo unico e una importanza mai vista prima nella storia della pittura. Se Tiziano raffigura la donna nella sua tenera carnalità e sofisticata eleganza, di fatto nella società veneziana le donne godevano un particolare status, le spose veneziane esercitavano infatti diritti non comuni: potevano disporre della propria dote e distribuirla tra i figli, dopo la morte del marito. Pur non potendo partecipare alla vita politica o finanziaria, avevano però un ruolo importante nella presentazione dell’immagine legata al cerimoniale pubblico della sontuosa e potente Repubblica. Particolarmente significativa è anche la produzione letteraria basti pensare al Canzoniere di Petrarca, l’Arcadia di Jacopo Sannazaro, l’Orlando furioso di Ariosto, importanti letterati come Pietro Aretino, Pietro Bembo, Giovanni Della Casa, Sperone Speroni e Baldassarre Castiglione, questi ultimi presenti in mostra in ritratti di Tiziano, nei loro scritti concentrano sempre di più l’attenzione sulle donne e sul loro ruolo di vitale importanza per la famiglia e per la continuità del genere umano. Notevole è poi l’apporto della poesia, anche di autrici femminili come Moderata Fonte
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con il suo sorprendente dialogo Il merito delle donne, e Lucrezia Marinella con il suo discorso su La nobiltá et l’eccellenza delle donne che, anticipando quelle che saranno le tematiche femministe, già nel tardo Cinquecento mettono in discussione la superiorità dell’uomo. A chiarire invece il lessico del corpo, ovvero ciò che si può celare dietro una testa reclinata, un braccio teso, la posa delle mani, una particolare acconciatura dei capelli, persino il colore di un vestito o il tono della voce... ci pensa il giudice e avvocato Giovanni Bonifacio che nel suo L’arte de’ cenni (editato nel 1616 a Vicenza) raccoglie e compila una sorta di enciclopedia dei gesti retorici, ritagliati dalle pagine dei libri. Grazie allo studio approfondito di questo testo le donne non vengono considerate più cortigiane ma spose. Le scollature dei vestiti che mostrano il seno non sono equiparate a simbolo di spregiudicatezza sessuale piuttosto apertura del cuore e sincerità della donna verso il proprio sposo. Tiziano pone la figura femminile al centro del suo mondo creativo. Non a caso il titolo dato alla mostra sottende al tema l’immagine della donna nel Cinquecento veneziano, già trattato nel libro Titian’s Women di Rona Goffen, pubblicato nel 1997 in cui la studiosa americana affronta la
Giovane donna con cappello piumato, 1534-1536 ca. Olio su tela, 96x75 cm San Pietroburgo, Museo dell’Hermitage
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TIZIANO e bottega , Maria Maddalena, 1565 ca. Olio su tela, 114x99 cm Stoccarda, Staatsgalerie Stuttgart
rappresentazione del femminile, indagando la condizione matrimoniale e la storia sociale delle donne veneziane. Per Tiziano la bellezza artistica corrisponde a quella femminile: meno interessato al
canone della bellezza esteriore rispetto alla personalità di una donna e alla femminilità in quanto tale, riesce a non sminuirne mai la dignità, indipendentemente dal contesto, dalla narrazione o dalla rappresenta-
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TIZIANO , Venere e Marte, 1550 ca., Olio su tela, 97x109 cm Vienna, Kunsthistorisches Museum
zione. Quando Tiziano ritrae donne reali si tratta di figure non veneziane, come Isabella d’Este, marchesa di Mantova o sua figlia Eleonora Gonzaga, duchessa di Urbino dal momento che il sistema oligarchico non consentiva il culto della personalità individuale. Le “belle veneziane” sono donne presumibilmente reali, icone di bellezza senza tempo. Come il colore rosso-tiziano, legato a un tipo di bellezza muliebre dai lunghi capelli sciolti, ideata e perfezionata dall’artista famoso per la resa pittorica degli incarnati, così vividi e naturali da apparire non ritratti ma figure in carne e ossa. Per dirla con le parole dell’artista Eugène Delacroix «Le qualità del pittore sono portate in lui al punto più alto: ciò che fa è fatto: gli occhi guardano e sono animati dal fuoco della vita. La vita e la ragione sono ovunque.» E sulla tela finiscono le eroine come Lucrezia, Giuditta o Susanna che rappresentano l’onore, la castità, il coraggio e il sacrificio o Maria Maddalena nella sua fase spirituale di penitenza. E infine le figure mitologiche come Venere che nasce dal mare come Venezia e personifica la città. Tiziano dipinge le donne esaltandone le molteplici qualità cogliendone la personalità, l’anima. Tra i dipinti più importanti di Tiziano, che sarà possibile ammirare in questo fantastico percorso, figurano: Ritratto di Eleonora Gonzaga della Rovere (1538) da Firenze, Gallerie degli Uffizi; Madonna col Bambino (1510 circa), Ritratto di Isabella d’Este (1534-1536 circa), Marte, Venere e Amore (1550 circa) Danae (1554 circa), La figlia in veste di Lavinia (?) (1565 circa), Tarquino e Lucrezia (1570-1576) da Vienna, Kunsthistorisches Museum; Ritratto di una giovane donna (1536) da San Pietroburgo Hermitage Museum; “Ritratto di giovinetta da Napoli”, Museo di Capodimonte; “Allegoria della Sapienza” (1560) da Venezia, Biblioteca Marciana. Di Giorgione: “Laura” (1506), da Vienna, Kunsthistorisches Museum. Di Lotto: “Giuditta con la testa di Oloferne” (1512), da Roma, Banca Nazionale del Lavoro. Di Tintoretto: “Peccato originale” (1550-1553), da Venezia, Galleria dell’Accademia, che apre la mostra insieme alla “Madonna col Bambino” di Tiziano a rappresentare Eva e Maria Vergine, le due emblematiche figure femminili del Vecchio e Nuovo Testamento; “Ritratto di una giovane donna” (1553-1555 circa) e “Susanna al bagno” (1555-1556 circa), da Vienna, Kunsthistorisches Museum; “Leda e il cigno” (1578 circa) da Firenze, Gallerie degli Uffizi. Di Palma il Vecchio: i due magnifici dipinti “Giovane donna con
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PAOLO VERONESE Lucrezia, 1580-1583 ca. Olio su tela, 109,5x90,5 cm Vienna, Kunsthistorisches Museum
vestito blu” e “Giovane donna con vestito verde” (1512-1514 circa) e “Ninfe al bagno” (1525-1528 circa) dal Kunsthistorisches Musem. Di Veronese: “Lucrezia” (1580-1583 circa), “Giuditta con la testa di Oloferne” (1580 circa), “Venere e Adone” (1586 circa) dal
Kunsthistorisches Museum e “Il Ratto di Europa” (1576-1580), da Venezia, Fondazione Musei Civici. Altri dipinti di grande forza espressiva di Paris Bordone, Giovanni Cariani, Bernardino Licinio, Giovan Battista Moroni, Palma il Giovane, Alessandro Bonvici-
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GIORGIONE; Laura, 1506 Olio su tela su legno di abete, 41x33,6 cm
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Vienna, Kunsthistorisches Museum
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TINTORETTO Susanna e i vecchioni, 1555-1556 ca. Olio su tela, 146x193,6 cm Vienna, Kunsthistorisches Museum
no detto il Moretto completano e arricchiscono questo affascinante itinerario nella pittura di soggetto femminile della Venezia cinquecentesca. Sotto la lente finiscono anche l’abbigliamento e le acconciature femminili sfoggiate nei ritratti, sia reali che ideali, fornendo uno sguardo d’insieme alla moda contemporanea con la sua predilezione per tessuti sontuosi, perle e costosi gioielli. Un cameo l’esposizione di una creazione omaggio di Roberto Capucci a Isabella d’Este (1994). Promossa e prodotta da Comune di Milano–Cultura, Palazzo Reale e Skira editore, la mostra è realizzata in collaborazione con il Kunsthistorisches Museum di Vienna con la cura di Sylvia Ferino coadiuvata da un prestigioso comitato scientifico internazionale composto da noti studiosi
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del settore, quali Anna Bellavitis, Jane Bridgeman, Beverly Louise Brown, Enrico Maria Dal Pozzolo, Wencke Deiters, Francesca Del Torre, Charles Hope, Amedeo Quondam. E sono oltre 35 mila le prenotazioni giunte prima dell’apertura. «Un fatto che ci conforta dopo due anni di pandemia - ha commentato l'assessore alla Cultura del Comune di Milano, Tommaso Sacchi - ed è un dato importante e già di per se parliamo di un successo pre apertura». Tiziano e l’immagine della donna nel Cinquecento 23 febbraio 2022 5 giugno 2022 Piazza Duomo 12, Milano Orari: Martedì, mercoledì, venerdì, sabato e domenica: dalle 10 alle 19.30. Giovedì: dalle 10 alle 22.30 Lunedì chiuso Ultimo ingresso un’ora prima della chiusura Biglietti:Tutti i biglietti sono inclusi di audioguida. Intero: 14 €; Ridotto: 12 €
cento anni fa pier paolo pasolini Raffaele Polo
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Nato il 5 marzo 1922 poeta, sceneggiatore, attore, regista, scrittore drammaturgo tra le voci più autorevoli del Novecento.
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C
ento anni fa nasceva Pier Paolo Pasolini. E tutto si può dire di questo personaggio, ma non che li dimostri, cento anni. Anzi, ci pare giovane, giovanissimo, ancora tutto da scoprire e da comprendere, proprio lui che ha attraversato un secolo di travagliatissime vicende, scontrandosi sovente con la stasi e la pressapochezza che lo cir-
condava, senza evitare polemiche e astiosi giudizi che lo hanno sempre accompagnato, e ancora adesso dividono chi lo vuole, a tutti i costi, quasi da beatificare e chi adombra invece in lui le vestigia del Maligno... Ma, proprio per questa sua peculiare capacità di attirarsi tutte le critiche e le vicissitudini giudiziarie, in fondo
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Pierpaolo Pasolini al cospetto della tomba di Gramsci (fonte: https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=4640013)
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Pierpaolo Pasolini (https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=4640013) Aldo Moro, Pier Paolo Pasolini, 1964, Mostra internazionale d'arte cinematografica, Venezia, presentazione del film Il Vangelo secondo Matteo
Pasolini suscita spontanei interrogativi che creano attorno alla sua figura di intellettuale a tutto tondo, una infinita gamma di 'perchè' e 'come mai'? Basta scorrere la sua biografia per stupirsi, ogni volta, davanti alla versatilità del suo ingegno ed alla mole delle sue opere. Non tutte di ottima levatura, s'intende. Di alcune egli stesso non era soddisfatto ma, alacremente, eccolo subito a riprendere la penna, la cinepresa, la macchina da scrivere per affrontare nuovi argomenti, nuove polemiche, nuove incredibili denunce.. Onestamente, di lui in vita, conoscemmo pochissimo: una splendida poesia che parlava dei gatti di Roma' e un orribile film, proprio 'Salò'. Poi un emblematico 'Vangelo' e l'ottimo 'Uccellacci e uccellini' che ci presentò un Totò diverso, che solo il genio di Pasolini poteva far emergere. Poi, accomunati da una corrente popolare e di intellettuali che non stravedeva per lui, aspettavamo i nuovi scandali, le nuove imprese di quel comunista che fu sconfessato pure dal PCI e che non aveva mai pace. Mai. Qualcuno suggerì che si fosse convertito al Cristianesimo, ma non era possibile. O forse si, alle volte... Poi, l'improvvisa, terribile morte, ci ha sorpreso ma non tanto
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in fondo, a frequentare certi ambienti e certa gente, i guai arrivavano, prima o poi, ci dicevamo, scrollando il capo. All'Università abbiamo scoperto con sorpresa i suoi scritti sulla poesia dialettale, sulla lingua, sulla poesia e sulla letteratura. Non li avevamo mai letti prima, ci hanno meravigliati per la lucida analisi e la polemica fortificata dalla capacità di sintesi che, da sempre, ha contraddistinto il suo procedere letterario. Continuando a leggere e conoscere i suoi scritti, i versi, le scenografie e gli articoli sui giornali, ecco che si è completato il quadro, immenso, della sua intera produzione volta alla critica nei riguardi delle abitudini borghesi in cui ci riconoscevamo, proprio noi che 'avevamo fatto il Sessantotto' ma ci eravamo fatti irretire dagli aspetti poco profondi di quel fenomeno che lo stesso Pasolini ci presentava con tutte le sue contraddizioni. E anche il suo rapporto con la propria omosessualità, al centro in maniera esorbitante del suo personaggio pubblico, solo oggi, circondati da una facile indifferenza per l'argomento, ha finito per convincerci di aver vissuto una intera esistenza nella ipocrita convinzione che esistesse un 'bene' e un 'male' e che andassero viste con riprovazione tutte le argomentazioni pubbliche sulle proprie scelte sessuali. Insomma, Pier Paolo era avanti di un po' di anni, rispetto ai suoi coetanei. E ancora oggi non riusciamo a credere che abbia cento anni, proprio lui che ha polemizzato e condannato con impeto il Fascismo, il Comunismo, l'ipocrita soddisfazione dei bravi borghesi e ha salvato soltanto i reietti della periferia che, poi, avrebbero contribuito in maniera importante alla sua tragica scomparsa. E non entriamo neppure per un attimo sulle vicende che hanno reso la morte del poeta come un oscuro fatto di cronaca, bandendo qualsiasi accenno ad una vera e propria esecuzione comminata ad un personaggio
scomodo, scomodissimo, che aveva l'incredibile capacità di sostenere tesi e paradigmi senza trarne alcun vantaggio per sè. Ancora adesso, nell'affrontare la lettura di un suo scritto, la nostra innata selezione intellettuale, quel filtro automatico che ci predispone positivamente o negativamente all'acquisizione di ciò che stiamo leggendo, esita e quasi si nasconde, perché sembra di essere fissati dal suo sguardo triste, uno sguardo che penetra dietro le nostre più radicate convinzioni e le ribalta, dimostrandoci come sia facile travisare tutto, anche i sentimenti più importanti, dietro la maschera del perbenismo e dell'interesse spicciolo. Pasolini, allora, riesce a farsi amare solo nei versi di 'Povero come un gatto del Colosseo', lo preferiamo così, serenamente a riposo dopo una vita difficile, dopo aver attraversato l'inferno che gli abbiamo creato intorno. Tutti noi. Povero come un gatto del Colosseo, vivevo in una borgata tutta calce e polverone, lontano dalla città e dalla campagna, stretto ogni giorno in un autobus rantolante: e ogni andata, ogni ritorno era un calvario di sudore e di ansie. Lunghe camminate in una calda caligine, lunghi crepuscoli davanti alle carte ammucchiate sul tavolo, tra le strade di fango, muriccioli, casette bagnate di calce e senza infissi, con tende per porte....
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Passavamo l'olivaio, lo straccivendolo, venendo da qualche altra borgata, con l'impolverata merce che pareva frutto di furto, e una faccia crudele di giovani invecchiati tra i vizi di chi ha una madre dura e affamata.
L’installazione di Matteo Casilli, particoalre, a lato una illustrazione di Massimo Pasca che sarà esposta a Mons
Da roma a mons nel segno Di pasolini Antonietta Fulvio
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Matteo Casilli con l’installazione Pasolini100 e Massimo Pasca a Mons con le sue illustrazioni dedicate all’intellettuale bolognese
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o sguardo di Pasolini è rimasto sul Pigneto, che lui per primo ha visto e "inventato" letterariamente. Le parole della scrittrice Nadia Terranova sembrano suggerire il fulcro di quello che è il progetto installativo di Matteo Casilli, Pasolini100, patrocinato dal Municipio V Roma Capitale e impreziosito da un testo di Federica Tardani. Ricordare Pasolini partendo da Roma città che ha messo a punto un programma lungo un anno con mostre, proiezioni, rassegne. E all’interno del programma delle celebrazioni del Centenario della nascita dello scrittore e regista bolognese, Matteo Casilli ritrova la terrazza del famoso bar del film d’esordio di Pasolini, “Accattone” (1961), sulla quale poggia un ritratto del regista che traduce in un’immagine fotografica in vettoriale su carta, estesa fino a
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coprire una superficie di 4 x 5 m. Una ripresa aerea ci dà la possibilità di vedere lo sguardo di Pasolini rivolto verso il cielo di Roma e di nuovo in contatto con il luogo dove abbiamo visto nascere la sua “cinematografia sgrammaticata”, come lui stesso la definiva, il Pigneto. Un progetto appassionato alla “piccola grandiosità” di una certa Roma, a quell'universo che nel film emerge dalle tonalità di un bianco e nero dai forti contrasti, dalle pose fisse, dai primi piani intensi, e nell’installazione di Casilli è tradotto sottolineando i lineamenti forti di Pasolini con lievi note di colore in contatto con le ombre della borgata romana, nella quale vive oggi lo stesso fotografo. «L’intervento di Casilli al Pigneto - si legge nel testo di Federica Tardani - ci dà il privilegio di rivivere l’originarietà di un incontro che ha iniziato la storia della cinematografia
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Illustrazioni di Massimo Pasca, (www.massimopasca.it)
pasoliniana, nella messa a fuoco, nella delineazione e nella moltiplicazione di ogni suo dettaglio.» Matteo Casilli con una laurea in Lettere e Filosofia, diplomato nel 2009 alla "Scuola Romana di Fotografia” ha collaborato con Olivero Toscani nella realizzazione del libro "Firenze Santo Spirito" e con Terry Richardson nel suo periodo newyorkese. La sua fotografia è focalizzata sulla presentazione di suggestivi ritratti umani, sottolineando con delicatezza l’aspetto psicologico dei soggetti che sceglie. Il video dell’installazione sarà visibile sul canale youtube dell’artista dal giorno 2 marzo 2022, data di apertura delle celebrazioni del Centenario (https://www.youtube.com/c/MatteoCasilli/vid eos). Sono davvero numerose le inziative dedicate a Pierpaolo Pasolini in Italia ma anche oltralpe. Pier Paolo Pasolini “Un artiste corsaire” è il titolo del convegno di studi che si terrà il 12 marzo 2022 a Mons (Belgio) presso l’Officina dei Cappuccini, organizzato da les Editions Crèations /Europe/Perspectives (CEP) in collaborazione con il Festival Interntional du Film de Mons e l’ASBL “Mon Culture Société”. Il convegno di studi, con interventi di spicco del mondo accademico, vedrà anche la
proiezione del suo primo film “Accattone” e della pellicola “Pasolini” di Abel Ferrara evento in collaborazione con il Mons International Film Festival. Ma il programma si arricchisce ulteriormente con l’esposizione di manifesti originali di diversi film di Pasolini a cura della galleria Rossicontemporary di Bruxelles e due mostre i dipinti dell’artista Andrea Clanetti e le illustrazioni che l’artista salentino Massimo Pasca ha dedicato a Pasolini con il suo inconfondibile segno graffiante. Tra i più attivi live painter italiani, sin dal 1994 porta sulle coste pugliesi il concetto di live painting con numerosi happening in compagnia di dj, musicisti e poeti. Ha illustrato libri, copertine di dischi e manifesti per spettacoli. Laureatosi a Pisa nel 1994 alla Facoltà di Lettere e Filosofia in Conservazione dei Beni Culturali con una tesi sul rapporto tra pittura e cinema nel lavoro cinematografico
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di Pier Paolo Pasolini e Danilo Donati. Ha lavorato inoltre come scenografo e aiuto scenografo in diverse produzioni, fra le più importanti lo spettacolo di Gabriele Lavia e Mariangela Melato, “Chi ha paura di Virginia Woolf’ “in cui è stato aiuto scenografo di Carmelo Giammello, al Teatro Verdi di Pisa,
ha lavorato alle scenografie di “Music Box Live show di Francesco Freyre presso il Teatro delle Celebrazioni di Bologna, e per produzioni di altri teatri come il Teatro S. Andrea di Pisa, Il Teatro delle sfide di Bientina e il Teatro del Te.
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Pablo Picasso, Giovane donna, 1909 - Photograph © The State Hermitage Museum, 2022 (ph. Pavel Demidov) (credits : ufficio stampa rhinoceros gallery)
Da sanpietroburgo a roma la “gioVane Donna” Di picasso Sara Di Caprio
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Dal 15 febbraio al 15 maggio negli spazi di rhinoceros gallery della Fondazione Alda Fendi
ROMA. Per la prima volta in Italia ,dal 15 febbraio al 15 maggio 2022, Giovane donna, il dipinto di Pablo Picasso sarà esposto a Roma negli spazi espositivi di rhinoceros gallery all’interno di Palazzo rhinoceros, il polo culturale della Fondazione Alda Fendi affacciato sull’Arco di Giano e progettato da Jean Nouvel. Dopo L’Adolescente di Michelangelo e i San Pietro e San Paolo di El Greco grazie al mecenatismo culturale della Fondazione Alda Fendi – Esperimenti il celebre dipinto di Picasso lascia le sale Museo Statale dell’Ermitage di
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San Pietroburgo per poter essere ammirato nello spazio espositivo della rhinoceros gallery in un percorso capace di mescolare musica, danza (dal Ballet Nacional de España al balletto Parade di Erik Satie) e memorie fotografiche della vita del pittore, dedicando inoltre un focus nella mostra al rapporto tra l’artista spagnolo e l’attore italiano Raf Vallone. Giovane donna, olio su tela del 1909, appartiene alle opere preminenti di Pablo Picasso ed è un esempio peculiare della ricerca del pittore nella fase del Cubismo analitico.
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La giovane d o n n a ritratta è Fernanda Olivier, che fu amante del pittore spagnolo e che viene rappresentata nuda in poltrona colta mentre dorme come sembrano suggerire i suoi occhi chiusi con la testa leggerm e n t e reclinata. Manca una fonte di luce e le parti in cui si scompone il suo corpo sembrano illuminarsi di una luce interna. La corporalità descritta da Picasso è atipica e scultorea. L’estrema semplificazione della forma che si squaderna in molteplici sfaccettature è la compon e n t e essenziale
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di una pittura che si libera di tutti i dettagli secondari, celebrando il trionfo del disegno con linee ora dritte ora arrotondate. « L’ a r t i s t a rifiuta la rigidezza e la palpabilità materiale», scrive nel testo critico che accompagna la mostra O l g a Leontjeva, curatrice della pittura francese d e l l a seconda metà del XIX e del XX secolo del Museo Statale Ermitage. «Il suo personaggio diventa quasi effimero, si dissolve nel gioco delle sfaccettature, delle macchie chiare, si fonde con lo
La sala Picasso di Sergej Ščukin con il quadro Giovane donna 1909 (credits : ufficio stampa rhinoceros gallery) )
sfondo». A dare il titolo al dipinto fu il collezionista e mercante moscovita Sergej Ščukin che acquistò l’opera direttamente dall’artista. Sergej Ščukin conobbe l’arte di Picasso a Parigi, dove il pittore si era trasferito a vivere nel 1904, frequentando l’appartamento di Leo e Gertrude Stein in Rue Fleurus che custodiva la più rappresentativa raccolta delle opere prodotte dall’artista fino ad allora. Fu Matisse nel 1908 ad accompagnare per la prima volta Ščukin nell’atelier di Picasso, dove potè ammirare Les demoiselles d'Avignon. Affascinato dalla pittura di Picasso il collezionista volle tutta la serie di tele del 1908 e dedicò nel 1914 una sala del suo palazzo a Pablo Picasso. In mostra è possibile ammirare una rara foto dove oltre all’opera Giovane donna si vedono altre ventuno opere dell’artista spagnolo appartenenti al periodo blu, rosa e cubista del pittore. Una collezio-
ne che Sergej Ščukin dal 1909 aprendo la sua residenza ogni domenica permise di far conoscere all'intellighenzia artistica russa tra cui giovani pittori che altrimenti non avrebbero mai potuto vedere le tele epocali della sua collezione. Questa visione fu fondamentale per la nascita dell’avanguardia russa. Requisite dallo Stato a seguito della Rivoluzione del 1917, tutte le opere della straordinaria collezione Ščukin furono nazionalizzate e tenute per oltre trenta anni nei depositi, bollate come “decadenti”. Nel 1948 una parte delle di esse venne destinata all’Ermitage e solo negli anni Cinquanta iniziò finalmente a essere esposta. Nel percorso espositivo concepito dal direttore artistico Raffaele Curi si parte un’avvolgente videoproiezione delle prove dello spettacolo La Templanza del Ballet Nacional de España, in cui il pubblico si trova direttamente immerso nella coreografia di Miguel Angel Berna, tra ritmi di nacchere e vivaci
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Pablo Picasso, Di Argentina. Revista Vea y Lea http://www.magicasruinas.com.ar/revistero/internacional/pintura-pablo-picasso.htm, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=3257370
fi, intellettuali. Il café viene evocato in mostra con una finestra video, come un sogno in cui riecheggiano le voci di Edith Piaf e Charles Trenet. Un focus nella mostra racconta il rapporto tra Picasso e l’attore Raf Vallone, uno dei pochi personaggi italiani di cui l’artista fu amico, attraverso le fotografie provenienti dall’archivio del figlio Saverio Vallone. Attore ma anche partigiano, calciatore e giornalista, Raf Vallone fu un vero intellettuale dal profilo originalissimo. Lo si vede ritratto a casa di Picasso a Parigi. In una foto del 1958, scattata nel suo camerino, Vallone è in compagnia del pittore, di Jean-Paul Sartre e di Jacques Prévert, dopo il suo debutto parigino nell’opera teatrale di grande successo Uno sguardo dal ponte di Arthur Miller con la regia di Peter Brook. Accanto alle fotografie di Vallone, una selezione di immagini della eccezionale vita privata di Pablo Picasso: scatti che lo vedono al fianco di tante personalità dell’epoca, appartenenti al mondo dell’arte, del cinema, della letteratura, della politica e che raccontano la costellazione delle sue amicizie, i suoi amori, la mondanità e l’intimità. Promossa dalla Fondazione Alda Fendi – Esperimenti e dal Museo Statale Ermitage e organizzata da Il Cigno GG Edizioni in collaborazione con Ermitage Italia e Villaggio Globale International, la mostra è aperta fino al 15 maggio, con ingresso libero, necessaria indicazioni impartite ai danzatori, e si arriva però la prenotazione direttamente dal sito alle immagini di Parade, il celebre balletto in rhinocerosroma.com. un atto del 1917 della compagnia dei Balletti russi di Sergej Djagilev, con musica di Erik Satie, soggetto di Jean Cocteau, coreografia di Léonide Massine, programma di Guillaume Apollinaire e con la direzione artistica di Pablo Picasso, che disegnò il sipario, le scene e i costumi. Tutti gli ambienti della rhinoceros gallery rhinoceros gallery sono contaminati da suggestioni picassiane Roma, via del Velabro 9A che alterano la percezione dei volumi. La mostra è aperta dal martedì alla domeniLasciandosi alle spalle le vestigia della Roma ca dalle 11.00 alle 24.00. antica che circondano il palazzo, i visitatori si Ingresso gratuito previa prenotazione. ritrovano improvvisamente catapultati nella Info: 340.6430435 Parigi di inizio Novecento, davanti allo stori- gallery@rhinocerosroma.com co Café de Flore di boulevard Saint-Germain, luogo di ritrovo di artisti, scrittori, filoso-
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Il comico Roberto Lipari e la cantante Rose Vilain (credits Ufficio stampa Music for Change)
music for change 2021 arriVa la musicassetta
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Presentata al 72° Festival di Sanremo contiene otto tracce del Premio 2021. Annunciati i nuovi Soci Onorari dell’Associazione Musica contro le mafie: Rose Villain, Roberta Rei, Gianni Maroccolo e Roberto Lipari
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rriva su musicassetta, prodotta e distribuita dalla label Musa Factory la prima Compilation "Music for Change 2021". Si è scelto un formato analogico la musicasetta appunto che fino agli inizi degli anni 2000 era il maggior veicolo di musica duplicata e che torna di moda diventando oggetto di culto insieme al vinile. Un supporto di fruizione musicale vintage e attuale coadiuvato al suo interno da un QRcode che permetterà di ascoltare la playlist su Spotify.
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Presentata in esclusiva al 72° Festival di Sanremo - presso gli studi di Casa Sanremo - sancisce la conclusione della dodicesima edizione di "Music for Change - Musica contro le mafie Award". Il contest, iniziato a giugno 2021, che ha avuto la sua ultima fase con il Premio Stream con gli 8 finalisti in gara e che figurano nella tracklist della Compilation “Music for Change 2021”. Con il brano "Cosa ci direbbe" dei perugini Fast Animals and Slow Kids, "AutocertifiCanzone" dei bolognesi Lo Stato Sociale, "Peggio Di Niente" dei milanesi I Ministri; tutti e 3 brani insigniti del premio speciale Music for Change 2021. Presenti anche "Un rider" del cantautore romano Avincola, "Com'è Possibile" del cuneese e band leader dei Marlene Kuntz Cristiano Godano e "Tu che sai tutto (Shallala)" della giovane e promettente cantautrice genovese Cance; tutti artisti che hanno condiviso palchi e giornate della kermesse estiva organizzata da “Musica contro le mafie” Tra i giovanissimi troviamo il cantautore napoletano, vincitore del Premio Musica contro le mafie 2021, della menzione Speciale del Club Tenco e del Premio Stream, Francesco Lettieri con "Inverno (il momento è arrivato)"; i salernitani Yosh Whale con il brano "Stanca"; il duo barese Alic'è con "Le chiavi di casa"; la veronese Sugar con "Regarde - Moi” (menzione spe-
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La giornalista Roberta Rei e il produttore Gianni Maroccolo (credits Ufficio stampa Music for Change)
ciale Musica contro le mafie); il giovane rapper romano Vybes con "Desirè"; i Cubirossi di Pisa con la traccia "Appesa al cielo"; la nippo-milanese Kumi con "Zoom out” (vincitrice del premio speciale della Polizia di Stato) e Cranìa da Brescia con la canzone "+ (più)”. «La compilation dichiara il direttore Gennaro De Rosa raccoglie fotografie musicali dei cambiamenti globali degli ultimi due anni e diventa un punto fermo della rigenerazione umana e sociale che “musica contro le mafie” ha deciso di attivare rifiutando l’immobilismo e mutuando 8 macro temi dall'Agenda 2030 dell’Onu promuovendo inclusione, sostenibilità ambientale e sviluppo sociale.» L’associazione Musica contro le mafie, dopo la nomina a Presidente onorario di Don Luigi Ciotti, fondatore di Libera (Associazioni, nomi e numeri contro le mafie) insieme ad 11
soci onorari, tra cui Giovanni Impastato, Dario Brunori, Cristiano Godano ed altri, dal 2018 non concedeva cariche onorifiche all’interno del suo organigramma. Oggi vengono nominati quattro nuovi soci onorari che hanno dimostrato vicinanza e condivisione alle tematiche e agli obiettivi dell’associazione presieduta da Gennaro de Rosa e sono: Roberto Lipari, comico vincitore e poi co–conduttore del talent "Eccezionale veramente" su La7, comico di "Colorado", inviato e conduttore di "Striscia la Notizia" e sceneggiatore e protagonista del film “TuttAPPosto”; Roberta Rei, giornalista, storica inviata e conduttrice di punta de “Le Iene”; Rose Villain, pseudonimo di Rosa Luini, una delle più interessanti e attuali cantanti e rapper italiane; Gianni Maroccolo, musicista e produttore discografico italiano, produttore artistico e scopritore di talenti.
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perDutamente Di paolo ruffini la cura e l’amore
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Parte dal Cinema Eden di Roma con l’uscita evento nelle sale il 14 15 e 16 febbraio il nuovo film che indaga la malattia dell’Alzheimer
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«Non si guarisce dall’Alzheimer, ma non si guarisce neanche dall’amore». Arriva nelle sale italiane per il giorno di San Valentino, il 14 febbraio, “PerdutaMente” con cui Paolo Ruffini, attore, autore e regista popolare in cinema, tv e teatro, in coregia con Ivana Di Biase, torna a toccare un tema di particolare impatto sociale: l’Alzheimer una malattia neurodegenerativa irreversibile, per la quale non esiste cura. Un modo già sperimentato con grande eco del precedente ‘Up&Down’, in questo nuovo lavoro, Ruffini si mette in viaggio per l’Italia alla ricerca di incontri, esperienze, confronti con persone affette dall’Alzheimer, e con chi se ne prende cura: parenti, amici, affetti. Quello che emerge, sorprendente e irrefrenabile, non è un racconto di malattia, ma è un racconto d’amore. Di un amore come cura, e non di chi è colpito dall’Alzheimer, ma di chi è vicino ai pazienti. In una stagione in cui ogni giorno e a ogni ora parliamo di ‘contagio’, il documentario ci racconta contagiandoci storie di un’Italia nascosta, colpita da un male, e allo stesso tempo colpita da una reazione straordinaria all’altezza del cuore.
Prodotto da Paolo Ruffini e Nicola Nocella per Vera Film, e Antonino Moscatt e Angelisa Castronovo per Well See, in collaborazione con la Fondazione Polli Stoppani, PerdutaMente vede il contributo di Roberto Cavalli. Arriva in uscita evento il 14, 15 e 16 febbraio, distribuito da Luce Cinecittà, e vedrà gli autori coinvolti in numerose presentazioni con il pubblico. https://www.facebook.com/paolinoruffini
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Melendugno, Dolmen Gurgulante, foto di O. Ferriero
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il Dolmen gurgulante tra melenDugno e calimera Raffaele Polo
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Basta andare nelle campagne salentine per scoprire dei siti straordinari testimonianze di cinquemila anni fa
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on i dolmen (e con i menhir) siamo a ripetere sempre gli stessi concetti: che non si sa ancora a cosa servissero (monumenti funebri o strutture per i sacrifici, le ipotesi più probabili) e che la datazione oscilla a circa cinquemila anni fa. Un po' poco, se non fosse che il fascino che questi ruderi sprigionano è certamente notevole.
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Luoghi misteriosi, sperduti nelle campagne, dove si stenta a credere che, pur nell'antichità, vi fossero insediamenti umani. E poi, possibile che quelle quattro pietre abbiano resistito alle intemperie e alle distruzioni volute dall'uomo, per tanto tempo? Tra i più emblematici dolmen della nostra realtà, c'è il Dolmen Gurgulante, un piccolo monumento
I LUOGhI DEL MISTERO
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I LUOGhI DEL MISTERO
Melendugno, Dolmen Gurgulante, foto di O. Ferriero
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Melendugno, Dolmen Placa, foto di O. Ferriero
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Melendugno, Dolmen Gurgulante, foto di O. Ferriero
dall'aspetto assai provato, seminascosto nella campagna alle porte di Melendugno, sulla via per Calimera. Non è di grande dimensioni (2,05 x 1,48 metri) e soprattutto è molto basso, tanto da essere ben mimetizzato tra gli sterpi. E questo, forse, lo ha preservato da una sicura distruzione. Un ammasso di pietre difficilmente può 'dare fastidio', soprattutto se non è molto elevato. Ma, osservando bene la struttura del 'Gurgulante' si notano tutte le caratteristiche principali dei 'dolmen': la lastra poggia su cinque monoliti e in parte su una sporgenza a secco. L'apertura è rivolta a Nord, Nord Ovest. E questo ci fa riflettere col paragone dell'altro dolmen, vicino a questo, sul prosieguo della strada per Calimera, addentrandosi nelle campagne al limite del confine tra i due comuni: si tratta del 'Placa', che è più esteso, ma ha un lato di misura uguale al Gurgulante' (2,05 metri) e l'apertura a Sud Ovest. In verità, nella zona vi erano altri monumenti simili, purtroppo andati distrutti (il dolmen Colaresta è ancora ricordato dagli anziani). Ora, il mistero s'infittisce perché la vicinanza di queste costruzioni metterebbe in discussione l'idea di un uso comunitario. Perché non utilizzare, infatti, un unico dolmen, visto che non è plausibile la presenza di insediamenti umani così vicini da richiedere dolmen diversi e di misure variabili? E anche l'idea di una sorta di 'calendario' per conoscere le posizioni degli astri in funzione dell'agricoltura e della caccia, non è giustificabile, sempre per la vicinanza e per il diverso
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orientamento che hanno le costruzioni. Sulla lastra appare un foro centrale e questo comproverebbe l'idea di un piano per i sacrifici, con l'utilizzo del foro per far scorrere il sangue delle vittime (piccoli animali, supponiamo)... Infine, ma non da ultimo, la comprovata diversità dell'atmosfera attorno ai dolmen: per un buon tratto attorno si respira e si 'sente' qualcosa di diverso nell'aria, che non è completamente occultato dalla vegetazione circostante. Sarà la suggestione ma provate a rimanere nei pressi di un dolmen, nella oscurità notturna, in perfetto silenzio. Ecco che lo stormire degli ulivi, i piccoli e insistenti rumori della campagna che vive di notte vi parranno come soffusi, come se venissero da lontano, da molto lontano... Soprattutto nei pressi del Gurgulante, dolmen seminascosto nella natura salentina, la sensazione è facilmente riscontrabile. E allora, vogliamo elencare anche questo lontanissimo reperto della nostra civiltà tra i 'luoghi misteriosi' di cui ci accorgiamo di non sapere proprio nulla?
tra natura e simboli la pittura Di marco De mirto Raffaele Polo
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Figurazioni di ispirazione classica che attingono dalla religione e dal mito per leggere la contemporaneità
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ertamente figurativo, con un pizzico di surreale che non guasta, il giovane Marco De Mirto ci racconta la sua vita e, soprattutto, ci parla delle sue scelte artistiche: «Sono nato nel 1979, sono cresciuto in una famiglia di artigiani a San Cesario di Lecce, piccola città nel Salento, estremo lembo meridionale della Puglia. Quando ho cominciato a interessarmi alla pittura, il mio punto di partenza è stata la tradizione pittorica del Barocco napoletano, così diffuso nella mia terra. Così, dopo aver frequentato l’Istituto d’Arte per un breve periodo, la mia unica ‘scuola’ è stata l’osservazione di quei
capolavori e lo studio dello stile e della tecnica dei Maestri del passato. Ho cercato di proporre l’interpretazione di un artista contemporaneo per questo sostrato ‘antico’, muovendomi sulla scia di un’ispirazione ironica e ricca di metafore. Ho collaborato con alcuni storici dell’arte dell’Università del Salento, che hanno curato le note critiche per le mie mostre, e con alcune gallerie nazionali e internazionali (Stati Uniti, Cina). Tra le mie mostre più recenti:”Mistico Pagano”, personale di pittura, Fondazione Palmieri, Lecce, con il patrocinio dell’Università del Salento, a cura
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Marco de Mirto, Capra Mistica
di R. De Giorgi (aprile 2016); “Lo specchio convesso. Il naturalismo di Marco De Mirto”, personale di pittura, Conservatorio Sant’Anna, Lecce, con il patrocinio del Comune di Lecce, a cura di L. Galante (luglio 2016);
“The fertile southern art. Lyric of colour and forms in the works of ten artists from Salento”, collettiva, Louvre-Musée des Art décoratifs, Parigi, settembre 2017; “Contemporary Italian masters and colonial art, collettiva, Carstens Galleries, Boca
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Ab Ovo, acrilico su tela, 70x120 cm (2021)
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Raton (US-FL), October 2017.» I tuoi dipinti paiono tendere al surreale, al naif, sembri perennemente alla ricerca di un modo per comunicare al meglio i tuoi messaggi... «L’essenziale è invisibile agli occhi» dice il Piccolo Principe. Al contrario, la mia ricerca artistica si focalizza sul raggiungere il nucleo delle cose, dando corpo e lineamento al materiale emotivo di cui si nutrono le mie opere. I personaggi e gli oggetti che abitano i miei dipinti superano una realtà esclusivamente visiva, fatta di apparenza. Cerco invece di ‘scavare’ questa realtà, attribuendole significati surreali e onirici. Animali, volti, elementi inanimati: il mio repertorio iconografico trova
le sue caratteristiche precipue nel senso della meraviglia e in una sorta di irrequietezza. La mia arte scaturisce da una cultura di ispirazione classica e rimane nell’alveo della figurazione tradizionale, anche per l’uso dell’olio su tela. Il simbolismo, come un fil rouge, connota sempre i miei dipinti. Si tratta di un realismo ‘metafisico’ e concettuale, con numerosi riferimenti alla religione e al mito, che si intrecciano e sono sempre elaborati in chiave trasfigurativa, che può essere rivelata attraverso i titoli che do alle mie opere. E, come racconti mitologici, carichi di mistero, ecco scorrere le immagini che De Mirto ci offre: Capra mistica, Ab ovo, Noli me tangere, L'intruso, La
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La caccia di Diana, olio su tela, 40x50 cm (2015)
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Nardò, Chiesa di Santa Teresa d’Avila, reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere
chiesa Di santa teresa a narDò: D’arabeschi e D’azzurro Sara Foti Sciavaliere
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Dedicata a Santa Teresa d’Avila la Chiesa è situata a pochi passi dalla Cattedrale e dal Castello. Al suo interno uno stupefacente apparato decorativo, attribuito a Giuseppe e Francesco Centolanze, tra i più complessi figurativi del Salento
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uella di Santa Teresa d’Avila è una delle chiese più interessanti ma forse tra le meno note della città di Nardò, a pochi passi dalla Cattedrale e dall’antico castello. In stile settescentesco, con una volta dalla singolare decorazione e con le sua architetture rococò, conserva anche una collezione di statuaria lignea e in cartapesta di notevole interesse. La Chiesa di Santa Teresa fu costruita dalle claustrali delle Carmelitane Scalze che vivevano nel monastero annesso, fondato sul finire del XVII secolo dalla neretina Suor Teresa di Gesù.
Qualche breve accenno al desiderio fortemente inseguito dalla fondatrice del monastero teresiano è d’obbligo. Al secolo Lidia Gaetana Adami, nata nel 1656, era la secondogenita di Giuseppe Adami di Cursi e Antonia Musachi di Nardò. Mostrò sin da bambina la volontà di abbracciare la vocazione religiosa e di fatto vestì, giovinetta, l’abito dell’ordine carmelitano, assumendo così il nome di Teresa di Gesù. Istituire il nuovo monastero teresiano a Nardò divenne da subito sua ferrea intenzione, seppure la realizzazione dell’opera incontrò non pochi ostacoli e interruzioni, nonostan-
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Nardò, Chiesa di Santa Teresa d’Avila, reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere
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te la sua caparbia dedizione a quel progetto. Il biografo Farina arriverà a paragonare le vicissitudini della suora neretina con le simili difficoltà in cui era incappata la santa spagnola omonima (alla quale la chiesa sarà intitolata) per fondare il suo monastero ad Avila, subendo perfino lo scandalo per i disappunti dei cittadini e delle autorità municipali. Suor Teresa di Gesù non si arrese però, non volle rinunciare mai a quel suo progetto e, malgrado le ostalità manifeste, riuscì a portare avanti i lavori grazie alla vicinanza di chi invece la sosteneva. L’ostinata e fervente monaca di Nardò sarà sepolta nella chiesa di quel monastero che aveva tanto voluto. In origine tale chiesa era parte integrante del complesso conventuale, finchè, a circa quarant’anni dalla fondazione, le Teresiane pensarono di costruire una nuova chiesa, per adeguarla alla moda artistica del tempo e soprattutto prevedendo un accesso dall’esterno, sul suolo donato dal nobile Marcantonio Sambiasi, che abitava il palazzo accanto al monastero. L'edificio tuttavia subì notevoli danni durante il terremoto del 20 febbraio 1743, tant’è che ne fu ricostruita tutta la parte interna e i lavori furono affidati ai fratelli De Angelis, tra le maestranze più prestigiose dell'epoca. La scenografica facciata è in carparo e si sviluppa in due ordini sovrapposti con le due ali laterali avanzate. Lo scalone mistileneo di cinque gradini conduce al sontuoso portale, dominante il primo ordine e affiancato da paraste con capitelli scolpiti. Il portale è sormontato da un grande scudo con lo stemma del vescovo Carafa (fu di fatto Francesco Carafa a inaugurare la chiesa). Nel secondo ordine invece troviamo un fine-
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strone mistilineo con l’emblema dell'ordine carmelitano. L’interno è ad aula unica ovoidale che sia apre sul presbiterio rettangolare, ben illuminata dalle numerose finestre e sovrastata da una volta unica nel suo genere che ti tiene con il naso all’insù a coglierne ogni dettaglio: è elegantemente decorata nelle sue specchiature con stucchi ornamentali bianchi che seguono motivi ondulati, a ricciolo e ad arabesco su un fondo celeste, che pare un cielo che si allarga lo spazio. Gli interventi in questione sono attribuiti a Giuseppe e Francesco Centolanze, ed è questo apparato decorativo la peculiarità della Chiesa di Santa Teresa, che le permette di poter essere annoverata tra i più importanti complessi figurativi del Salento. L’eleganza e la ricchezza delle forme è, di fatto, in parte ripresa nelle esuberanti cornici delle pareti e soprattutto nell’altare maggiore dedicato alla santa titolare, dove domina la tela settecentesca di scuola napoletana raffigurante l’“Estasi di Santa Teresa”. Le dorature, riprese nell’ultimo restau-
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Nardò, Chiesa di Santa Teresa d’Avila, reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere
ro, creano un elemento di risalto che ben si integra con la suntuosa scenografia di fondo. Sul lato sinistro del presbiterio vi era una grata - il cosiddetto comunichino - attraverso la quale le monache di clausura poteva ricevere l’Eucarestia durante la Messa; una volta caduto in disuso fu trasformato in un armadio a mura con antee lignee, speculare l’altro realizzato sulla parte di fronte. Meno sontuosi i due altari laterali, seppure seguono un repertorio decorativo affine a quello maggiore. Ai lati del presbiterio si trovano - in cornu Epistolae l’artistico pulpito in legno policromo, opera di artigianato meridionale della metà del secolo XVIII, e speculare - in cornu Evangelii - una pregevole cantoria con l’organo a canne, della stessa epoca e con evidenza di uguale manifattura, sul cui parapetto è scolpita l’arme deila nobile famiglia dei Tafuri, che contribuirono alla ricostruzione dell’edificio. Accennavo all’inizio alla statuaria qui custodita, e ricordiamo infatti le statue del Redentore - o del Salvatore -, della Madonna del Buon Consiglio, di San Biagio, di Sant’Agata, di San Espedito, di Santa Lucia (attribuita al cartapestaio leccese Giuseppe Manzo) e dell’Addolorata. Opere di gran pregio, testimonianza della fede dei neretini, manifestata anche dopo la soppressione del monastero. Punto di riferimento per i devoti di Nardò che qui accorrono per la ricorrenza religiosa di San Biagio, il 3 febbraio, con la benedizione della gola. Quest’ultima è una statua a grandezza naturale, un’eccellente opera in cartapesta policroma, di solito conservata nella nicchia soto la cantoria, per essere esposta alla devozione dei fedeli nei giorni dei festeggiamenti. Un’iscrizione sul basamento - “Neotenensium pietas” - attesta che venne realizzata a spese proprio dei fedeli neretini, nel 1888, forse da Antonio Maccagnani o dal più giovane Achille De Lucrezi. La chiesa di Santa Teresa, dall’inizio dell'Ottocento, è custodita dalla Confraternita del Santissimo Sacramento. Un piccolo gioiello dell’architettura tardobarocca del Salento che meriterebbe maggiore attenzione.
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un esempio Di pittura Veneta nell’italia meriDionale Marco Tedesco
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La “Sacra Conversazione” di Bartolomeo Vivarini nella basilica pontificia di San Nicola a Bari
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l sud Italia, è un autentico museo a cielo aperto che in ogni sua “sezione”contribuente alla sua composizione e struttura, nasconde nomi e storie di artisti che meritano di essere lette, apprese e comprese. È il caso del veneto Bartolomeo Vivarini, presente in San Nicola a Bari con la bellissima pala “Sacra Conversazione” del 1476. Il Vivarini, era esponente di una valente famiglia di pittori veneti, della quale facevano parte anche il fratello Antonio e il nipote Alvise. Bartolomeo Vivarini, subì l’influsso del Mantegna. Dovette aver sicuramente visto il Trittico di San Zeno che il Mantegna eseguì tra il 1456 e il 1459 per l’omonima chiesa di Verona, in cui il maestro pur attenendosi allo schema classico del trittico, ossia la composizione suddivisa in tre pannelli inserite tra colonnine intagliate, elimina il fondo d’oro tipico delle pale d’altare medioevali e da vita ad una nuova composizione in cui a fare da sfondo compare uno spazio architettonico al cui interno vi sono inseriti la Madonna con in braccio il Bambino e i Santi, i quali agiscono tra di loro come
una vera e propria Sacra Conversazione. Bartolomeo Vivarini, nella Sacra Conversazione di San Nicola a Bari, prende spunto dal Mantegna per la continuazione dell’architettura in pittura creando uno spazio architettonico che lascia intuire dietro di esso la presenza di un meraviglioso giardino alberato. All’interno di questo spazio architettonico, Bartolomeo Vivarini inserisce nello spazio architettonico al centro la Madonna in trono con in braccio il Bambino e intorno a lei quattro figure di Santi tra cui riconosciamo San Giacomo, San Ludovico di Tolosa, San Nicola e un quarto Santo dall’aureola meno accentuata rispetto agli altri, identificato con San Pietro. Tale identificazione non è accertabile in quanto manca l’elemento delle chiavi, elemento iconografico essenziale per identificare il principe degli Apostoli. Si può invece ipotizzare che questo quarto santo inserito dal Vivarini in questa sacra conversazione possa essere invece San Marco, in ragione del fatto che i committenti delle opere lagunari in Puglia non furono mai potenti
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famiglie autoctone ma famiglie di origine veneziana residenti in molte zone della regione ed in particolar modo anche nella terra di Bari. Scrive Michele D’Elia a tal riguardo che tra il XVo e il XVIo sec. le città pugliesi «disseminate sulla costa e all’interno, dedite per lo più ai traffici, tradizionalmente indipendenti e ciascuna con un proprio glorioso pas-sato alle spalle, subiscono in questo periodo il contraccolpo delle complesse vicende italiane ed europee e contese tra veneziani, francesi e spagnoli, divengono sede di signorie spesso effimere, che mutano signore ad ogni mutar di stagione, mentre carestie saccheggi e pesti-lenze si alternano a momenti di relativo splendore dovuto al mecenatismo di questo o quel barone». Vito Bianchi, a tal proposito ci parla di vere e proprie colonie della Serenissima in terra pugliese, sostenendo che i Veneti residenti all’epoca nelle Puglie erano numerosi e vivevano in particolar modo
a Bari. Colonie sorte grazie ai rapporti tra il Doge e il Vicerè di Napoli, rapporto che ebbero il loro epicentro in molte città pugliesi ed in particolar modo a Bari, ove dimoravano molte potenti famiglie di origine veneta e veneziana in particolar modo. Una presenza quella veneziana a Bari forse dovuta alla liberazione dall’occupazione saracena del capoluogo pugliese dai Saraceni da parte del doge di Venezia Pietro Orseolo III, avvenuta tra il 1002 e il 1003, periodo in cui, secondo Antonio Beatillo, a Bari si diede inizio alla costruzione della chiesa di San Marco dei Veneziani. Dunque sono queste le ragioni che portano ad identificare questo quarto Santo inserito dal Vivarini nella composizione qui presa in esame con San Marco, raffigurato dal Vivarini nella tavola di San Nicola a Bari. Nella composizione, il maestro pone quest’ultimo vicino alla figura di San Nicola, il santo patrono della città di Bari, riconoscibile dal pastorale e
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dalle tre sfere d’oro, in ricordo dei tre sacchi di denaro che Nicola calò nella casa di un povero uomo di Mira per salvare le sue tre figlie dall’avviamento alla prostituzione. Anche San Nicola, come San Marco, è un santo che costituisce un punto d’incontro tra le due città adriatiche Bari e Venezia ma, se San Marco unisce le due città adriatiche, San Nicola le “divide”. Le ragioni ci vengono spiegate da Vito Bianchi il quale scrive: “Per questioni sovranazionali che inerivano agli equilibri mediterranei, balcanici e vicino-orientali, le strade di Venezia e di Bari tendevano dunque a separarsi. Ma di fronte allo strapotere dei Lagunari, e nella consapevolezza che – per lo meno agli esordi – la politica commerciale normanna fosse certo poco evoluta, frammentata da un sistema amministrativo feudo-signorile dispersivo e centrifugo, i Baresi, meno protetti dall’apparato statale e lasciati all’iniziativa individuale, non potevano starsene a lungo con le mani in mano. Ben presto, in un modo o nell’altro, sarebbero inevitabilmente dovuti entrare in competizione con i Veneziani: una competizione che, non potendosi disputare su un piano di diretta concorrenza mercantile, si giocherà sul trafugamento di ossa sacre, sul furto delle spoglie, ambitissime, di colui che, sul declinare dell’XI secolo, era ritenuto il taumaturgo per
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eccellenza, il più grande intercessore del mondo cristiano, il protettore di tutto il popolo e di tutti i naviganti dell’Ecumene: san Nicola. Il sepolcro di questo personaggio era a Myra, una località situata in prossimità dell’attuale cittadina di Demre, sulla costa sud-occidentale della Turchia”. Prosegue Bianchi: “Distanze a parte, però, nell’Italia meridionale il santo vescovo della Licia era già ben noto, visto che la sua immagine campeggiava, poco dopo il Mille, fra gli affreschi della chiesa rupestre di Carpignano Salentino, e veniva riprodotta in un medaglione dell’exultet 1 di Bari, risalente al 1030 circa. A Venezia, invece, la presenza di San Nicola (o, alla veneziana San Niccolò) era stata “segnalata” più volte in ambito cittadino, durante alcune apparizioni in cui il santo si era palesato greco d’aspetto e d’abito, con un volto particolarmente intenso, quasi ieratico, e indumenti religiosi cristiano-orientali, comprensivi di phelonion e omophorion”. Una descrizione del santo che ritroviamo in toto anche nel Trittico della Madonna della Passione di derivazione Bizantina eseguito da Andrea Rico da Candia per la basilica nicolaiana di Bari, collocato nella cappella di San Martino dove originariamente trovò collocazione la Sacra Conversazione
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del Vivarini qui presa in esame, e che ritroviamo in parte anche nella pala del Vivarini raffigurante San Nicola, conservata presso la Pinacoteca metropolitana di Bari “Corrado Giaquinto”, presso la quale è indicato come scomparto di polittico, eseguito dal Vivarini nel 1486, dieci anni più tardi dalla Sacra Conversazione barese, per la chiesa di Santa Maria delle Grazie ad Altamura. Gli altri due Santi che compaiono nella Sacra Conversazione di San Nicola di Bari di Bartolomeo Vivarini qui presa in esame sono San Giacomo, riconoscibile dalla presenza del bastone da pellegrino con sopra una conchiglia e San Ludovico di Tolosa, al quale un tempo era dedicato l’altare nell’area di sinistra del transetto secondo quanto riportato da Padre Gerardo Cioffari, riconoscibile dal saio francescano al di sotto degli abiti e degli attributi vescovili. È questa un’iconografia tipica del Santo in quanto egli divenne francescano negli anni ’80 del XIIIo sec. e nel
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Storie l’uomo e il territorio
Basilica di San Nicola a Bari (www.basilicasannicola.it)
1294 venne nominato arcivescovo di Tolosa da parte di papa Celestino V, provvedimento revocato da Bonifacio VIII nel 1295. Con tali attributi, infatti, Ludovico di Tolosa ci viene presentato dallo stesso Bartolomeo Vivarini nel 1465 con il san Ludovico di Tolosa degli Uffizi, dal fratello Antonio Vivarini nel San Ludovico di Tolosa dello smembrato polittico della chiesa di Santa Maria Vetere di Andria6, datato al settimo decennio del XVo sec., attualmente conservato presso la pinacoteca metropolitana Corrado Giaquinto di Bari e, nel 1317 da Simone Marini nel San Ludovico di Tolosa che incorona il fratello Roberto d’Angiò in cui il Santo è raffigurato nell’atto simbolico di rinunciare alla corona del Regno di Napoli ponendola sul capo del fratello minore Roberto d’Angiò per seguire la vocazione ecclesiastica. Tornando alla pala di Bartolomeo Vivarini della basilica di San Nicola di Bari, nella cimasa abbiamo Cristo deposto che mostra i segni dei chiodi della crocifissione tra due figure di Santi delle quali riconosciamo San Francesco, la cui impostazione sembra tragga ispirazione dal San Francesco eseguito da Antonio Vivarini del Polittico smembrato della chiesa di Santa Maria Vetere ad Andria, oggi visibile presso la pinacoteca provinciale “Corrado Giaquinto” di Bari, citato in precedenza. Per quanto riguarda la committenza dell’opera, Cioffari sostiene che essa sia stata voluta dal canonico veneziano Alvise Cancho, sulla base di quanto sostenuto dagli studi di Michele D’Elia, di Adriana Pepe e di Francesco De Nicolo, il quale sostiene che il Cancho avrebbe commissionato a Bartolomeo Vivarini anche l’Annunciazione di Modugno, firmata e datata al 1472 e conservata nella chiesa matrice di Modugno. Secondo Clara Gelao, Alvise Cancho potrebbe essere stato una figura di rilievo nell’esecuzione di queste due opere, ma probabilmente non il committente, almeno per quanto riguarda il
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discorso incentrato sulla Sacra Conversazione Nicolaiana. Clara Gelao, mette anch’essa in dubbio questa committenza sostenendo che la figura di Alvise Cancho sarebbe stata un comune denominatore tra le opere citate, l’Annunciazione di Modugno e la Sacra Conversazione di Bari, qualunque sia stato il suo ruolo (mediatore o committente)11. L’ultima parola a riguardo ci viene detta dal dipinto stesso. Se è certa l’attribuzione a Bartolomeo Vivarini, confermata come nel caso dell’Annunciazione di Modugno, dalla presenza della firma del maestro e della datazione, un altro cartiglio presente nella Sacra Conversazione Nicolaiana ci indica il nome di un altro possibile committente: il veneziano Ludovico Cancho, probabilmente esponente della famiglia del canonico Alvise Cancho il quale avrebbe sicuramente fatto da mediatore tra Bartolomeo Vivarini e Ludovico, ma di sicuro, stando a quanto rivelato dal dipinto stesso, non avrebbe commissionato l’opera al maestro. Con la Sacra Conversazione di Bartolomeo Vivarini del 1476, la storia dell’arte dell’Italia meridionale ci mostra una pagina di essa ricca di mistero, puntando l’accento su un aspetto ancora a molti poco conosciuto quale è la diffusione di opere d’arte di origine veneta in Puglia e in generale in tutta l’Italia del sud. Una diffusione ricca di sorprendenti pagine di storia dell’arte che ancora oggi mirano a puntare l’attenzione sulla grandezza e la maestosità degli itinerari artistici del Quattrocento veneziano. Un itinerario caratterizzato dalla presenza di grandi nomi come lo stesso Bartolomeo Vivarini, il fratello Antonio e suo figlio Alvise Vivarini e Giovanni Bellini, presente nella pinacoteca metropolitana “Corrado Giaquinto” di Bari con il maestoso San Pietro Martire datato tra il 1490 e il 1500, proveniente dalla chiesa domenicana di Santa Maria la Nova a Monopoli12, il quale insieme alla Sacra Conversazione di Bartolomeo Vivarini qui presa in esame, contribuisce a far conoscere lo sviluppo della pittura veneta del Quattrocento, caratterizzata da un linguaggio contaminato artisticamente dai maestri fiamminghi della prima metà del XVo secolo come ad esempio Jan Van Eyck e la sua diffusione in terra pugliese, che si protrarrà anche nei secoli successivi grazie all’opera di Gaspar Hovic e del suo seguace Andrea Bordone, regalandoci autentici tesori da scoprire e da valorizzare.
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Basilica di San Nicola a Bari (www.basilicasannicola.it)
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Bibliografia Michele D’Elia, Aggiunte alla pittura del ’500 in Puglia, in «Studi di storia dell’arte, bibliologia ed erudizione in onore di Alfredo Petrucci», a cura di F. Barberi, A. Petrucci, MilanoRoma, 1969; Clara Gelao (a cura di), La pinacoteca provinciale di Bari, Roma, Istituto poligrafico e zecca dello stato, 2006; Antonio Beatillo, Historia di Bari, Napoli, 1637; Vito Bianchi, Fra Bari e Venezia, storia di destini incrociati, in Vito Bianchi, Clara Gelao, Bari, Venezia e la Puglia, Adda Editore, 2013; P. Gerardo Cioffari, La Basilica di San Nicola. Breve guida storicoartistica, Basilica di San Nicola Editore; Adriana Pepe, Dall’età aragonese a Bona Sforza, in Francesco Tateo (a cura di), Storia di Bari. Dalla conquista normanna al ducato sforzesco, Roma, 1990; Francesco De Nicolo, Prime attestazioni di pittura napoletana nella Puglia del Cinquecento. Le tavole dei SS. Pietro e Paolo del “Maestro dell’Adorazione di Glasgow” a Terlizzi, in Angelo D’Ambrosio e Francesco Di Palo (a cura di), Studi in memoria di Gaetano Valente, Molfetta, La Nuova Mezzina, 2018; Clara Gelao, “Puia cum Veniexia. Veniexia cum Puia”. Arte veneta nella Puglia storica dal tardo Medioevo al Settecento, in Vito Bianchi, Clara Gelao, Bari, Venezia e la Puglia, Adda Editore, 2013
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nicola Verlato, proDe caValiere Della figurazione Dario Ferreri
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Un viaggio tra i luoghi e nonluoghi fisici ed emozionali dell'arte contemporanea
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«Non ho particolari talenti, sono soltanto appassionatamente curioso»
CURIOSAR(T)E
Albert Einstein
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“Una macchina può fare il lavoro di cinquanta uomini ordinari, ma nessuna macchina può fare il lavoro di un uomo straordinario” (Elbert Green Hubbard)
ntimamente convinto della necessità di recupero del valore sociale dell’opera d’arte che non deve essere assoggettata alla temporalità ma, al contrario, si deve fare portatrice di un atteggiamento di opposizione sostanziale al culto del divenire, integrarsi anche col tessuto urbano e produrre affezione emotiva sulla
comunità, Nicola Verlato, classe 1965, è un artista italiano del firmamento pop surrealista, estremamente skillato, che opera a cavallo tra modellazione digitale tridimensionale e strutture compositive classiche ed è un fulgido cavaliere del figurativismo contemporaneo contro l’ormai da tempo imperante iconoclastia nel
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Nicola Verlato, Robert Johnson and the devil
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CURIOSAR(T)E
Nicola Verlato, Meduso (autoritratto)
mondo dell’arte. È un piacere seguire, oltre che la sua eccellente produzione artistica, anche i suoi articoli, interviste e dissertazioni sullo stato del figurativismo e delle poco etiche motivazioni capitalistiche che lo hanno da tempo confinato in luoghi, sistemi e dinamiche commerciali che con l’arte hanno poco a che vedere e non produce, se non per limitate categorie e tematiche, esiti da un punto di vista sociale. L’arte, quella bella, deve essere per tutti e deve poter assolvere ad una reale e variegata funzione sociale. Nato a Verona, Nicola Verlato ha iniziato a dipingere molto presto imparando da Fra 'Terenzio, un pittore nel monastero dei frati francescani di Lonigo. Si è inoltre formato in musica classica e ha studiato liuto e composizione presso i conservatori di Verona e Padova.
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Nicola Verlato, Mothers
Ha intrapreso anche gli studi di architettura all'Università IUAV di Venezia . Il suo primo spettacolo serio è stato all'età di 15 anni nel municipio di Lonigo, uno spettacolo di 3 persone in collaborazione con altri 2 artisti della zona. Dopo essersi trasferito a Venezia, ha iniziato a lavorare per l'aristocrazia locale e gli stranieri benestanti che vivevano in città. Durante questo periodo, oltre alla pittura, ha anche lavorato su quasi tutto ciò che era legato al disegno: scenografie, decorazioni temporanee, illustrazioni, fumetti e storyboard. Nel 1995 ha vinto un premio presso la Fondazione Bevilacqua La Masa. Intorno ai 28 anni, ha iniziato a dedicarsi alla scena dell'arte con-
temporanea e, di conseguenza, a esibirsi in numerose gallerie in Italia e all'estero in mostre personali e collettive. Nel 1996, Verlato si trasferisce a Milano, dove crea la sua ben radicata notorietà in Italia. Nello stesso anno espone le sue opere alla XII Quadriennale al Palazzo delle Esposizioni di Roma. Nel 2004, Verlato si è trasferito da Milano a New York. Mentre viveva a New York ha insegnato alla New York Academy of Art. Ha esposto i suoi dipinti, disegni e sculture sia negli Stati Uniti che a livello internazionale come nel Museum of Modern Art di Arnhem e alla Biennale di Praga. Una sua installazione è stata esposta alla Biennale di Venezia del 2009, nel
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Nicola Verlato, Conquest of the West
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Nicola Verlato, Big car crash
Per quanto riguarda la tecnica, come già accennato, quella di Verlato è un interessante connubio tra tecniche tradizionali e modellazione 3D (Maya e Zbrush tra i programmi preferiti); in proposito, in una sua recente intervista, l’artista ha detto che … “ho cominciato a dipingere ad olio prestissimo e ho avuto modo in tutto questo tempo di approfondire diverse tecniche, come quella del Pontormo, di Rosso Fiorentino, di Michelangelo. I miei interessi si rivolgono principalmente a quel periodo che va dal Quattrocento agli inizi del Seicento, quindi Rinascimento, Manierismo, Barocco, un momento molto fecondo e di grande sperimentazione”… “l’interesse nei confronti della modellazione tridimensionale è iniziata nel 1982, dopo aver visto il famoso film “Tron”. Mi avevano colpito tantissimo le prime sequenze di CGI (Computer generated imagery – “immagini generate al computer”, ndr) all’interno di un lungometraggio. Vedendolo mi sono reso conto della coincidenza fra i wireframe (“modello in fil di ferro” – indica un tipo di rappresentazione in computer grafica di oggetti tridimensionali, ndr) dei modelli 3D del film e
CURIOSAR(T)E
padiglione italiano. Tra il 2011 e il 2018 ha lavorato stabilmente a Los Angeles. Dal 2019 vive e lavora tra Roma e Los Angeles. Nel 2018 ha esposto all’Ayala Museum di Manila e nel 2020 al MART di Rovereto. Sono a breve in programma altre sue mostre museali al MACRO di Roma, all’ Haugar Vestfold Kunst Museum della Norvegia ed all’ Ateneum Art Museum (Finnish National Museum) della Finlandia Nelle sue opere è presente una narrazione piena, affollata, carica, violenta, talvolta eccessiva ed al contempo molto accattivante, protrudente, che esce dall’opera e piacevolmente aggredisce, stupisce e coinvolge emotivamente lo spettatore; la apparente dicotomia tra forme classicheggianti e temi e contesti contemporanei esita in violente atmosfere di tragicità quasi classica, ma rielaborate in maniera distaccata dalle sapienti poetica e tecnica dell’artista. La sua originale cifra artistica mutua dai grandi maestri rinascimentali le strutture compositive e le connotazioni fisiche dei personaggi, che risultano però sempre inseriti in contesti contemporanei ed attuali.
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Nicola Verlato, Mishima’s Seppuku
i disegni prospettici di Piero della Francesca e Paolo Uccello. Ho capito che l’essenza del Rinascimento, questa rappresentazione geometrizzata del mondo, corrispondeva esattamente a quello che veniva fatto con il computer dopo ben 500 anni. Questa tecnologia, dunque, ha permesso di riavviare un progetto lasciato in sospeso per secoli. Un aspetto questo totalmente opposto alla fotografia che ha invece messo in crisi la rappresentazione. Un paragone che faccio spesso per spiegare la differenza tra immagini fotografiche e immagini prodotte al computer, è quello tra Piero della Francesca e Jan van Eyck. Quest’ultimo, ad esempio, dipingendo i Coniugi Arnolfini ha realizzato una documentazione di quanto si è svolto davanti ai suoi occhi. E questo è ciò che accade esattamente con l’immagine fotografica. Nelle opere di Piero della Francesca è invece evidente un progetto di rappresentazione molto più articolato e complesso, basato su un approccio prospettico e geometrico dal quale è possibile sviluppare una nuova spazialità. Questo è lo stesso principio alla base dei videogiochi. Con le immagini digitali si sta quindi superando il paradigma fotografico. Dall’82 in poi ho quindi cercato spasmodicamente di impadronirmi della tecnologia, con non poche difficoltà devo dire, anche a causa dei costi elevatissimi. All’inizio degli anni ’90 ho cominciato a realizzare modelli di buona qualità. Inizialmente immaginavo l’architettura di una scena con il digitale e realizzavo altri elementi con modelli in creta, cercando poi di combinarli. Ora riesco a produrre quasi tutto il progetto esclusivamente in digitale. In due
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cipio di una produzione industriale di massa della pittura. Verlato ha sinora realizzato anche due murales dedicati a Pasolini, uno a Tor Pignattara, l’altro a Ostia, ed è in cantiere da anni la realizzazione di u n monumento/mausoleo dedicato a questa figura della contemporaneità. I suoi lavori sono in collezioni pubbliche e private di molti paesi e pubblicati su riviste americane ed europee come Flash Art, Juxtapoz , Hi Fructose, Vogue Italia, Art Pulse , LoDown Magazine, ecc . Per seguirlo sul web e sui social i riferimenti sono: https://it-it.facebook.com/nverlato, https://www.instagram.com/nicolav e r l a t o / , https://www.nicolaverlato.com/
CURIOSAR(T)E
giorni oggi realizzo quello per cui all’epoca impiegavo circa un anno” Verlato è un artista completo: pittura ad olio (il medium preferito), disegno, scultura, progettazione di monumenti ed anche arte digitale: a tale ultimo riguardo è interessante notare come l’artista si sia da poco cimentato in incursioni nella crypto art, o arte crittografica che dir si voglia, (la nuova frontiera della vendita in NFT -nonfungible token- un tipo speciale di token crittografico che rappresenta l'atto di proprietà ed il certificato di autenticità scritto su Blockchain di un bene unico -per lo più digitale-, tra i quali, appunto, anche opere d’arte), che può rappresentare un nuovo vero progetto culturale destinato a riaffermare, pur se con le ovvie speculazioni, la centralità dell’artista e della sua opera e presenta, forse, in nuce, il prin-
babilonia, un Viaggio nel corpo elettrico Del salento Di oggi
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Dal 18 febbraio il nuovo album del cantante e musicista salentino Antonio Castrignanò
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al 18 febbraio arriva Babilonia, il nuovo disco di Antonio Castrignanò per Ponderosa Music Records Babilonia. Figlio dei millenni e della tarantola e lucido interprete del presente Antonio Castrignanò è musicista, cantante, autore di estasi e trascinatore e vede nel suo nuovo album ospiti d’eccezione. é lui stesso a svelarli. «Babilonia è un viaggio corale fuori dai confini Salentini alla scoperta di lingue e culture differenti, con la voglia di raccontare se stessi e conoscere la storia altrui. Brani inediti, arrangiamenti originali, nuove esperienze, melodie e ritmi che si intrecciano ad anime provenienti da altri luoghi, come l’Africa Sub Sahariana, la Turchia, l’India. Babilonia siamo noi. Si parte da sud e si torna a sud, tappa dopo tappa, brano dopo brano, affrontando temi universali, natura, lavoro, amore, insieme ad artisti immensi come Sona Jobarteh, Enzo Avitabile, Don Rico e Badara Seck, Mercan Dede!». Un disco di ricchezza babilonese, con den-
tro tutte le lingue del mondo, a cominciare dal dialetto che affronta molti temi universali, antichi ma molto attuali: il rapporto tra uomo e natura, l’amore, il lavoro, il femminile. La musica di Antonio Castrignanò viene da lontano, da una lunga ricerca personale: «È un’esigenza individuale sempre accesa in me, quella di risalire alla fonte e riportare ai nostri giorni la musica di un antico rituale come quello della Taranta. Una musica viva e passionale che attraverso il tempo si arricchisce di sonorità, colori, volti storie, si carica di significato e si allarga al mondo diventando comunità, emozione, guarigione… luce.» Ma Babilonia non è un disco di visioni all’indietro, così tipiche nelle musiche folk, anzi: “Questa non è musica tradizionale, che è già stata. Questa è la musica che sarà. Racconta i temi e i dubbi che oggi ci attanagliano con un linguaggio volutamente rivolto ai giovani”. Anche i due singoli che hanno preceduto l’album vanno in questo senso: Taranta
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Antonio Castrignanò (fonte: ufficio stampa )
World è una fantasticheria elettrica sulla pizzica, tra fiamme rituali e i suoni specchianti del contemporaneo. Masseria Boncuri, luogo simbolo della lotta contro il caporalato, è un potente groove di corde intrecciate a percussioni che attinge alle sonorità del Mediterraneo per raccontare la realtà e lo sfruttamento nei campi salentini, pugliesi, del mondo intero. Il brano vede la partecipazione preziosa di Enzo Avitabile. Oltre ai musicisti che da sempre affiancano
e sostengono Castrignanò, il disco ospita numerosi artisti internazionali: la cantante del Gambia Sona Jobarteh, unica musicista donna a suonare la kora, ossia l’arpa africana, discendente da una famiglia Griot da sette generazioni. Il geniale musicista e produttore turco Mercan Dede, il grandissimo Enzo Avitabile, la voce storica di Sud Sound System Don Rico infine il cantante senegalese Badara Seck, energia vitale allo stato puro.
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L’artista Francesca Mele, particolare allestimento a Rheine, a lato la copertina del catalogo pubblicato da Aschendorff Verlag
Dipingere alla soglia Del mistero francesca mele in germania
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Prorogate fino al 15 maggio 2022 le due mostre in Germania. Il 19 e 20 febbraio due incontri con l’artista
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rande successo di pubblico e di critica per l’artista salentina Francesca Mele in mostra contemporaneamente a Münster nell’Accademia cattolica “Franz-Hitze-Haus” con la personale intitolata “Visioni e incantamenti” presentata dal filosofo Elmar Salmann e a Rheine nella Casa di formazione cattolica “Gertrudenstift” con i lavori pittorici del ciclo “L’invisibile della natura”. Per i due eventi espositivi la casa editrice tedesca Aschendorff Verlag ha pubblicato il catalogo “Written in Water” con i testi dello stesso Elmar Salmann e del vescovo Christoph Hegge con le opere presentate nei due eventi espositivi inaugurati sul finire del 2021. Un progetto culturale di ampio respiro, dunque, che vede entrambe le mostre prorogate fino al 15 maggio 2022 e organizzati
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due incontri con l’artista: il primo al “Gertrudenstift” (Rheine) il prossimo 19 febbraio il secondo, il 20 febbraio, una intensa matinée nel “Franz-Hitze-Haus” (Münster) sul tema “Visioni, riflessioni e trasformazioni Dipingere sulla soglia del
mistero” che vedrà Francesca Mele dialogare con il Vescovo Ausiliare Dr. Christoph Hegge e Antonius Kerkhoff direttore dell’accademia “Franz-Hitze-Haus” il tutto sulle note del pianista Anton Fürniss. Le oltre cento opere in
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mostra in Germania racchiudono la cifra stilistica di Francesca, la sua ricerca estetica ed etica perché le sue opere mettono in relazione l’Uomo con se stesso, la Natura e il Mondo. Le creazioni pittoriche di Francesca Mele hanno radici profonde nella storia della pittura italiana, in quel Rinascimento che rivive attraverso le figure femminili che lei riesce a riposizionare al centro della narrazione artistica intrisa di simboli e di figurazioni meravigliose. Nata a Novoli, Francesca Mele vanta una carriera quarantennale e ha all’attivo cento trenta mostre in Italia e all’estero. Segnalata nel numero 57 del Cam, Catalogo di Arte edito da Editoriale Giorgio Mondadori Francesca Mele è presente in collezioni pubbliche e private: sue le tele che impreziosiscono l’altare maggiore della Chiesa di Sant’Antonio Abbate a Carmiano e il ritratto del beato Padre Spoletini collocato nella Chiesa di S. Francesco a Ripa a Trastevere. Una sua opera è presente nella collezione del Musée De La Grande Loge De France a Parigi, nel 2019 ha realizzato il ritratto del Conte Nickolaus Leopold III, inserito nella Galleria del Museo Wasserburg Anholt, e l’opera “Le opere della Misericordia” donato a Papa Francesco incontrato in occasione della manifestazione “Il Papa incontra gli artisti del Concerto per i poveri” ed esposto nella sala del Concistoro a Città del Vaticano.
musica e Danza il rumore Della storia nella galleria borbonica
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Il 25 febbraio 2022 a Napoli
"El Ruido De La Historia" è il tema della visita guidata in programma il 25 febbraio 2022 a Napoli. Nei meandri della Galleria Borbonica si terrà lo spettacolo di flamenco di Manuela Iannelli ed Antonio Campaiola con Giada Buono, Genny Calvanese, Antonio Marino, un evento che intreccia storia e note. Il rumore è, per definizione, un suono inopportuno, non desiderato e per lo più fastidioso. Eppure, per fortuna o purtroppo, è proprio col rumore che spesso le voci più nascoste e ignorate riescono a farsi strada, le stesse voci grazie alle quali gli sviluppi più importanti della storia hanno preso forma. Il flamenco racconta la storia di un popolo che per secoli ha subito limitazioni e persecuzioni, ma è riuscito, nonostante tutto, a conquistare gli animi con il suo “rumore”, caratterizzato dalle inconfondibili parole dei cantaor, dal suono nostalgico della chitarra e il magnetismo dei bailaor. Un “rumore” considerato patrimonio culturale immateriale dell’umanità dall’Unesco. Lo spettacolo - spiegano gli organizzatori - si apre con un quadro flamenco, tipico dei tablao andalusi, dove si susseguono “palos” che descrivono il carattere forte, drammatico, sensuale e allegro del flamenco. Un secondo quadro, invece, porta in scena il legame tra l’arte del baile flamenco e la
storia della Napoli, di ieri e di oggi. “Quando”: una parola, mille intenzioni, innumerevoli sentimenti, infinite speranze. Le speranze di chi durante la Seconda Guerra Mondiale trovava rifugio in queste gallerie scavate nella roccia; e quelle di tutti noi, che costantemente confidiamo nella fine di questa pandemia che ha messo in ginocchio l’intero pianeta. È un grido di liberazione, per riprendere il contatto con quella realtà che ormai osserviamo soltanto attraverso l’invisibile ma costrittiva bolla dall’isolamento sociale, che ci priva dei reali contatti di cui tutti abbiamo bisogno. Ingresso: Quick Parking, Via Morelli n. 61 Ora: 21:00 - Costo: € 20,00 a persona Info: +39 3478230160 o +39 3333522690
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a.r. penck Museo d’arte Mendrisio Mendrisio, Piazzetta dei Serviti 1 24 ottobre 2021-13 febbraio 2022 www.mendrisio.ch/museo museo@mendrisio.ch tel. +41. 058.688.33.50 Orari: ma-ve: 10.00 – 12.00 / 14.00 – 17.00; sa-do e festivi: 10.00 – 18.00 lunedì chiuso, tranne festivi. il mito Di Venezia. Da hayez alla biennale Novara, Castello Visconteo Sforzesco 30 ottobre 2021 – 13 marzo 2022 a cura di Elisabetta Chiodini le anime Del tessile Convitto Palmieri, Piazzetta Carducci, Lecce fino al 3 giugno 2022 Visite dal lunedì al venerdì dalle 8 alle 20 e il sabato dalle 8 alle 14. Info e prenotazioni visite guidate: 0832.37.35.76 ‘cecilia mangini - Visioni e passioni (fotografie 1952-1965) 21 gennaio - 7 marzo 2022 Palazzo Regione Puglia Bari, via Gentile L’accesso è libero e gratuito, dal lunedì al venerdì dalle 9.00 alle 18.00, muniti di green pass rafforzato e mascherina FFP2
inferno fino al 13 marzo 2022 Scuderie del Quirinale Roma paesaggi possibili. Da De nittis a morlotti, da carrà a fontana lecco, palazzo delle paure Villa manzoni lunedì chiuso; martedì 10-13; mercoledì e giovedì 14-18; venerdì,sabato e domenica, 10-18 Villa Manzoni lunedì chiuso; martedì, 14-18; mercoledì e giovedì, 10-13; venerdì, sabato e domenica, 10-18 Biglietti: Intero: €10,00; Ridotto: €8,00; www.vivaticket.com Tel. 0341 286729 ugo la pietra oVunque a casa propria Film e video 1973/2015 A cura di Manuel Canelles Inaugurazione 10 febbraio 2022 ore 18.00 Centro Trevi Via dei Cappuccini 28 - Bolzano Fino al 20 marzo 2022
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michele sambin Archè/Téchne Il tempo consuma (1978-2022) Inaugurazione: 29 gennaio ore 18 30 gennaio – 27 marzo 2022 Museo Castromediano Lecce, Viale Gallipoli, 28 ingresso gratuito con prenotazione Dario nanì. altri fiori per camera tua Una mostra a cura di Francesco Paolo Del Re e Sabino de Nichilo Roma, Casa Vuota via Maia 12, int. 4A fino al 20 marzo 2022 visitabile su appuntamento, info: cell. 392.8918793 – 328.4615638 | email vuotacasa@gmail.com ingresso gratuito
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il cerchio spezzato collettiva d’arte 19 gennaio 2022 - 1° aprile 2022 The Rooom Palazzo Aldrovandi Montanari Bologna, Via Galliera n. 8 Orari di apertura: Lun-Ven 9.30-12.30; 15.00-18.00 su appuntamento info: 345 8944121 http://www.therooom.it salVatore saVa. l’altra scultura Lecce, Fondazione Biscozzi | Rimbaud Lecce piazzetta Baglivi 6 febbraio - 25 settembre 2022 chiara Dynys. melancholia A cura di Alessandro Castiglioni 26 Febbraio – 8 Maggio 2022 MA*GA - Museo Arte Gallarate mario giacomelli e giacomo leoparDi. poetare per immagini. Un’indagine sulla relazione tra fotografia, letteratura, filosofia, comunicazione PhOS, Via Giambattista Vico 1 Torino. fino al 28 febbraio 2022 Orari visite: Da lunedì a venerdì, dalle 15.30 alle 19.30 o su appuntamento. ViVian maier. ineDita Torino, Musei Reali | Sale Chiablese (piazza san Giovanni 2) 9 febbraio – 26 giugno 2022 Orari: dal martedì al venerdì dalle 10.00 alle 19.00; sabato e domenica dalle 10.00 alle 21.00 (ultimo ingresso un’ora prima della chiusura) Ingresso: 15€; ridotto: Ridotto: € 12,00; over 65, insegnanti, ragazzi tra 18 e 25 anni, gruppi, giornalisti non accreditati. Ridotto ragazzi: € 6,00, ragazzi tra 12 e 17 anni compiuti. Info: 338 169 1652 www.vivianmaier.it l’anima Del tessile ex Convitto Palmieri Lecce fino al 3 giugno 2022 (dal lunedì al venerdì dalle 8 alle 20 e il sabato dalle 8 alle 14; visite guidate e info 0832 373576
ITINER_ARTE...DOVE E QUANDO...
Verona, gam Galleria d’Arte Moderna Achille Forti – Palazzo della Ragione Cortile Mercato Vecchio 6 – Verona Tel. 045 8001903 www.gam.comune.verona.it Facebook @GAMverona Instagram @museiciviciverona YouTube http://bit.ly/YouTubeIMUV Orarida martedì a domenica, dalle 10 alle 18. ultimo ingresso alle 17.15 chiuso il lunedì, biglietto: Intero: 4,00 € Ridotto: 2,5 €
www.ilraggioverdesrl.it
LUOGhI DEL SAPERE
#laDeVotalettrice | le recensioni Di lucia accoto il richiamo Delle sirene
GAETANA POLLARA Il richiamo delle sirene Aletti editore 2014 pp.72 €124,00 ISBN 9788859168782
#recensione #luciaaccoto #recensore #giornalista #libri #ladevotalettric e
Brutto affare, la rassegnazione. Spegne l’entusiasmo e lo slancio verso conquiste e scoperte. La rassegnazione anestetizza i desideri mettendoli sottovuoto. Non si guadagna nulla ad essere rassegnati, solo, forse, un po’ di stordimento abitudinario in più e di felicità in meno. Eppure, la rassegnazione è anche una questione culturale e territoriale. Ci sono zone in cui essa fa parte del modo di vivere, come se chiedere a se stessi qualcosa di diverso fosse sbagliato. L’ambizione parrebbe quasi una perdita di tempo, fumo negli occhi, una cosa per chi ha già la pancia piena. Dietro alla rassegnazione e all’ambizione c’è il modo di pensare, stretto per chi ha una visione chiusa della vita e sconfinato per coloro che vogliono appartenere a se stessi e non a quello che la mentalità limitata impone di fare. Ognuno si regola a seconda delle sue esigenze, ma queste avranno delle priorità ed i sogni, spesso, vengono scavalcati da quello che è necessario fare prima di ogni altra cosa. Se si è insoddisfatti, però, occorre puntare lo sguardo verso ciò che più si vuole per se stessi, per cambiare, per migliorare, per non tradire l’impulso che ci porta, spesso, ad essere esattamente come vorremmo. In “Il richiamo delle sirene” di Gaetana Pallara vivi il cambiamento di un giovane che riesce a riconoscere la sua strada solo dopo aver visto la sofferenza. La stessa che ha vissuto, ma che dapprincipio lo ha spinto a un’esistenza dissoluta, vacua, senza stimoli e per nulla concreta. Ha pensato di seguire il richiamo delle sirene che ti offuscano il presente ed a causa delle quali perdi di vista anche il futuro. Poi, si rende conto che deve sentire la sua voce, i suoi desideri, quello che la sua anima gli suggerisce, se vuole uscir fuori dallo stretto canale in cui si è ficcato. Pulita la narrazione, semplice lo stile. Il lettore non è scosso da colpi di scena, ma respira riflessioni e messaggi che non può non fare sue. Molto breve la storia, cosa questa che ha portato a rinunciare alle descrizioni, alle ambientazioni. Gli animi sensibili, e non solo, troveranno giovamento dal libro, sapranno andare incontro al racconto nel migliore dei modi.
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VALE DEIDDA Clara e Maicol 2021 pp.412 €18 Edizione Italiana Amazon
L’insicurezza indebolisce i pensieri. Frena anche la lingua, per non sbagliare taci. Entri in uno stato d’allarme arrossendo persino per un nonnulla. Avvampi perché non sai cosa rispondere, cosa fare, lasciando che il silenzio parli per te. Se poi, ce la fai, e sei andato oltre il limite massimo la tua presa di posizione, dopo un certo lasso di tempo, non è più interessante. La prontezza pungola sempre lo stupore. Vacillare su qualcosa fa perdere la pazienza svaporando anche la curiosità.Essere insicuri significa, tra l’altro, perdersi. Si perde tempo per decidere il da farsi, su ciò che è giusto enecessario chiedere per sè. Insomma, ci si perde in un bicchiere d’acqua. Peggio è, poi, se l’insicurezza blocca la tua strada. Perdi te stesso e ritrovarti non è così facilee scontato perché devi mettere piede dove non sei mai stato: nel rischio. Quella zona d’ombra che si nutre si incertezza prima o poi devi valicarla, nessuno può farlo al posto tuo. Puoi rimandare, addirittura rifiutarti. Il conto però ti sarà presentato ogni istante dalla coscienza. E pesa. In “Clara e Maicol” di Vale Deidda vivi il tormento di Clara che ha fatto dell’indecisione il suo punto fermo. La sua non è stata una vita facile. Orfana di entrambi i genitori quando era solo una neonata perde, da adulta, anche la nonna che l’ha cresciuta come una figlia. Clara non ha confidenza con il rischio dell’imprevedibilità, non sa muoversi. Si blocca e questo la rende insicura e timida. Conoscerà l’amore, sapendo aspettare, ma si dovrà contrarre quando ha ben chiaro il dipinto che prende forma sulla base di quello che prova e che fa per la prima volta. Eppure, non tutto è come sembra. L’emotività, che rompe gli argini dell’insicurezza, la riportano alla fragilità iniziale, ma questa volta con la giusta consapevolezza. Intima ed evocativa la storia. La narrazione è suggestiva e lo stile pulito. Un solo colpo di scena fa tremare il lettore. Quel solo colpo teatrale, inserito al momento giusto, depista e schiaffeggia il lettore che erroneamente pensava ad un finale diverso. Chepeau. Il romanzo però ha una pecca, non esistono capitoli che dividono e che danno il ritmo al racconto. Se lo scrittore non fissa dei punti fermi da cui ripartire anche l’ordine e la forma ne risentono.
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LUOGhI DEL SAPERE
#laDeVotalettrice | le recensioni Di lucia accoto clara e maicol
LUOGhI DEL SAPERE
Dalsalentocafé | le recensioni Di stefano cambò nei silenzi Del monDo Di alessanDra politi
ALESSANDRA POLITI Nei silenzi del mondo Aletti Editore ISBN 9788859173618 2021 pp. 248 €14,00
Ritorna una delle autrici salentine più prolifiche con un nuovo libro dal titolo “Nei silenzi del mondo” (Aletti Editore). A differenza delle scorse volte però, Alessandra Politi cambia decisamente il genere e spiazzando un po' i suoi lettori si cimenta in un vero e proprio giallo che strizza l'occhio al thriller di matrice nordamericana, nonostante non manchino i momenti sentimentali dedicati all'amore. Colpisce l'ambientazione scelta, Letterkenny una piccola cittadina nella contea di Donegal in Irlanda, come colpisce la protagonista, ossia l'ispettore Meredith Nolan che se la dovrà vedere fin da subito con un assassino seriale che ha iniziato a seminare il terrore e a uccidere le sue vittime seguendo uno schema che inevitabilmente porterà, con il proseguimento della storia, a indagare nel passato della piccola comunità. Non mancano i momenti di suspence, come non mancano le situazioni adrenaliniche che spingeranno il lettore ad attaccarsi alla pagina. In un gioco ben architettato di attese e lampi di tensione, l'autrice ci porta per mano nei segreti più nascosti dell'animo umano, facendo luce su misteri e ombre che da sempre sono intrinsechi delle piccole città. Se vi piacciono dunque i gialli d'ambientazione che ricordano un po' le atmosfere di Twin Peaks del geniale David Lynch o alcune storie thriller di provincia del maestro Stephen King, allora “Nei silenzi del mondo” di Alessandra Politi è proprio il libro che fa per voi. Parola di appassionato.
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caro 2022 Giovanni Bruno
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Le riflessioni dello psicoterapeuta
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aro 2022 dammi qualcosa. Perché il futuro non va atteso va preso, subito, ora, quindi caro 2022 dammi qualcosa di concreto, di tangibile. Ma la realtà è multiforme, polivalente, come si fa a chiedere e avere indietro qualcosa ? E poi i bisogni sono innumerevoli e se cominciassimo a elencarli tutti sprofonderemmo nei nostri tormenti invece dobbiamo cercare di restare a galla e possibilmente salvarci. Non riduciamo dunque la vita a pura percezione, ma guardiamo oltre noi stessi perché il tempo che viviamo ci dà sempre nuovi strumenti e impensate tracce da individuare e seguire. Così caro 2022 abbiamo bisogno di corridoi umanitari, sì corridoi umanitari, tanti e in tutto il mondo non solo in Europa. Essi rappresentano l’unica via sicura e legale per tutte quelle persone che tentano di uscire da una realtà fatta di gravi abusi e di pericolo costante per la vita. Tutti gli Stati dovrebbero dotarsi di questi percorsi umanitari che vanno finalmente al di là della retorica della resilienza. E poi caro 2022 abbiamo ancora bisogno di una classe politica che guida e non segue gli umori di un popolo smarrito e spaventato. Perché la democrazia è fatta di parità e servizi che liberano le persone dai bisogni quotidiani e dalle ingiustizie, per vivere bene infatti occorre identità e dignità insieme. E infine caro 2022 abbiamo bisogno di sorprenderci ancora, perché la vita è prodigiosa
e la apprezziamo solo se accogliamo noi stessi e ognuno il proprio Sé, coltivando la grazia della propria particolarità e abitando l’antinomia che è in noi. Dunque caro 2022 abbiamo bisogno di questo: umanità, democrazia, consapevolezza e autenticità. In fondo non è tanto.
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Cattedrale di Otranto, foto di Stefano Cambò
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nostra signora Dei turchi il salento Di carmelo bene Stefano Cambò
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Per i luoghi del cinema itinerari meravigliosi da Nord a Sud
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dei Turchi del 1968 che gli valse il Premio Speciale della Giuria alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia (non senza aspre critiche e boicottaggi). Ma partiamo con ordine e analizziamo questo lungometraggio drammatico, che come gran parte della produzione del suo autore, è difficile da inquadrare all’interno di un genere unico. Seguendo la triste vicenda degli ottocento martiri di Otranto
I luoghi del cinema
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ollocare Carmelo Bene all’interno del panorama culturale nostrano non è semplice. Perché è stato al tempo stesso regista, attore, scrittore, drammaturgo, filosofo nonché poeta. Considerato da molti uno dei protagonisti della neoavanguardia teatrale italiana, ha legato il suo nome al mondo della settima arte con un film in particolare. Quel Nostra Signora
Otranto foto di Stefano Cambò
uccisi dai Turchi nel 1480, Carmelo Bene ripercorre nelle vesti di un uomo pugliese quella orribile storia, attraverso un personale cammino. In un monologo fuori campo, l’autore manifesta il proprio stato d’animo interiore colpito da forze esterne che cercano di renderlo insulso e sofferente. L’autodistruzione per lui diventa più che un obiettivo, un vero e proprio dovere. Parlare di trama per un film o per un’opera di Carmelo Bene diventa quasi impossibile e non renderebbe giustizia al suo nome. Di sicuro, in questa prima trasposizione, si sente e non poco l’ascendente dell’Ulisse di James Joyce sulla storia e di conseguenza si avverte fin da subito come il non detto sia quasi più importante di quello che viene riferito e come il non visto sia più d’impatto delle immagini che scorrono sullo schermo. Di conseguenza, definire Nostra Signora dei Turchi rimane il vero nocciolo della questione, perché vi è una chiara e circoscritta incapacità o perché no impossibilità di compiere nel film un’azione che si possa identificare come tale o di seguire una direzione che abbia un senso logico, in quanto tutto sembra essere pervaso da uno strano effetto stroboscopico che estrania completamente.
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I luoghi del cinema
Santa Cesarea Terme, foto di Stefano Cambò
Come per esempio nella scena in cui il personaggio interpretato da Carmelo Bene prova a gettarsi per la seconda volta dalla finestra. Non si capisce mai se il gesto sia voluto oppure se appoggia solo il piede giusto per far intuire, se ci sia un ripensamento o meno da parte sua. Per questo, si ha come l’impressione che il tanto sospirato intento sia alla fine un perenne smentire dell’azione così caro all’autore. Per fortuna, in questa opera a tratti grottesca, di sicuro ci sono i luoghi. E che luoghi… Visto che l’intera pellicola è stata girata nel Salento. Un Salento autentico ancora lontano dai fasti turistici di oggi e di conseguenza poco conosciuto, che si mostra in tutta la sua bellezza primordiale con dei posti unici che nel tempo sono diventati dei baluardi imprescindibili da vedere per chi sceglie questo lembo di terra baciato dal sole. In primis infatti, c’è Santa Cesarea Terme con Palazzo Sticchi dove sono state girate alcune scene principali. La sua cupola rosso porpora di stampo islamico e la volta con gli archi proiettano all’improvviso il visitatore in un mondo lontano ed esotico. In realtà questa bellissima dimora è una costruzione italiana progettata dall’ingegnere Giovanni Pasca negli ultimi anni del XIX secolo. L’intera struttura è concepita in stile moresco, perché vi era la chiara volontà di realizzare ed edificare un’opera che facesse quasi da perno tra il mondo occidentale e quello orientale. Tanto è vero che, questo suggestivo palazzo si staglia a venti metri dal mare con la loggia in pietra leccese che si affaccia direttamente sulla scogliera, donando agli amanti della fotografia uno skyline da immortalare soprattutto all’alba o al tramonto. A pochi passi da Palazzo Sticchi vennero girate poi le scene interne, nella
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villa paterna di Carmelo Bene (quelle dove arriva il cavallo che ancora oggi sono ricordate con simpatica nostalgia da alcuni abitanti che all’epoca erano pressappoco dei ragazzini), mentre la corsa forsennata dell’uomo avviene in via Roma, per il centro del paese. Altro luogo simbolo delle riprese fu la Cattedrale di Otranto, con tanto di inquadrature ravvicinate sui teschi e le ossa dei martiri custodite con cura nelle teche della Chiesa. Questo luogo di culto cattolico fu fondato nel 1068 dal vescovo normanno Guglielmo. La sua facciata è una sintesi di stili architettonici che comprendono elementi paleocristiani, bizantini e romanici. Purtroppo nel 1480 nella cattedrale avvenne l’orribile carneficina dei Turchi ai danni dei poveri cristiani otrantini che non vollero convertirsi al loro credo. Dopo l’avvento e lo sterminio, la Chiesa venne trasformata in Moschea e furono distrutti tutti i dipinti e gli affreschi risalenti ai secoli antecedenti. Per fortuna, il dominio arabo sulla città durò appena un anno perché nel 1481 Otranto venne liberata dalle truppe di Alfonso II di Aragona. Per chi fosse in tour è d’obbligo fermarsi ad ammirare il bellissimo mosaico pavimentale che
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I luoghi del cinema
Otranto Castello aragonese, foto di Stefano Cambò
si sviluppa lungo le navate della Cattedrale. Vi sono rappresentate infatti, scene riprese dall’antico Testamento e il famoso Albero della Vita che ripercorre l’esistenza umana dal peccato originale alla salvezza. Dopo la visita della Cattedrale, si consiglia un giro nel bellissimo centro storico caratterizzato da viuzze, botteghe e case bianche
che lo rendono davvero unico. Come unico è il Castello Aragonese di Otranto che si staglia con la sua imponente struttura a ridosso del Mare Adriatico. Pochi sanno che il suo nome e la sua leggenda hanno dato vita, grazie al romanzo dell’inglese Horace Walpole al genere letterario gotico, trasformato negli anni nel più
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celeberrimo e spopolato horror. Ultima location da visitare, set del film oltre ai luoghi citati e alle strade di Gallipoli, è la mitica Grotta Zinzulusa di Castro. Si tratta di un’insenatura scavata in una parete a picco sul mare il cui nome deriva dagli “zinguli”, ossia le stalattiti che si sono formate con il passare lento del tempo e che pendono dal soffitto come se fossero stracci. E con questa ultima informazione, lasciamo che il film ci porti verso i titoli di coda ricordando ancora una volta la figura di Carmelo Bene, un uomo di cultura che ha fatto conoscere il Salento in tutto il mondo.
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Palazzo Beltrani di Trani, (fonte ufficio srtmapa)
i colori Della banDiera ucraina Vestono palazzo beltrani Di trani
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Un segno simbolico per testimoniare la vicinanza al popolo ucraino. E dal 26 febbraio inaugurazione della mostra Il sentiero del viandante di Tarshito
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I colori della bandiera ucraina, il giallo e blu, in questi ultimi giorni di febbraio colorano il prospetto di Palazzo delle Arti Beltrani a Trani per testimoniare la vicinanza al popolo ucraino. Il Centro culturale polifunzionale della città di Trani esprime vicinanza al popolo ucraino con un gesto dal forte valore simbolico e sulle pagine social ufficiali di Palazzo delle Arti Beltrani, Centro culturale polifunzionale della città di Trani (BT) campeggiano i versi dello scrittore Gianni Rodari, tratti da Promemoria: “Ci sono cose da non fare mai, né di giorno né di notte, né per mare né per terra: per esempio, la guerra.” Scrigno di arte e custode di collezioni comunali e private, oltre che sede della Pinacoteca Ivo Scaringi, diventato negli anni polo strategico della vita culturale della città, il Palazzo si appresta ad inaugurare la mostra di Tarshito Il Sentiero del Viandante Innamorato (dal 26 febbraio al 25 aprile), promossa dai Poli biblio-museali di Puglia e dal Dipartimento Turismo, Economia della cultura e valorizzazione del territorio della Regione Puglia. «Il nostro schieramento – spiegano – è semplicemente contro la guerra. E in guer-
ra nessuno ha ragione. Un museo è tempio della cultura, custode della storia e presidio di Libertà con la elle maiuscola. L'arte rappresenta l'anima e lo spirito libero di chi la esprime». La bandiera dell'Ucraina è stata adottata nel 1918, e viene interpretata come il cielo blu (simboleggiante la pace) sopra i campi di grano (simboleggianti la prosperità). I colori azzurro e giallo utilizzati dall'Ucraina dopo la riconquista dell'indipendenza hanno origine dalle insegne dei principati medioevali, utilizzati nel XIII secolo durante la lotta contro l'invasione mongola e dallo stemma dell'eroe nazionale Bogdan Chmel'nickj che pose fine al dominio polacco e lituano nel XVII secolo. Durante il dominio sovietico questa bandiera venne vietata, in quanto simbolo di nazionalismo. «Il nostro gesto simbolico di illuminare con i colori della bandiera ucraina il Palazzo storico ha lo scopo di ricordare quanto sacra sia la Libertà e quanto folle e ingiusta sia la Guerra. Ciascuno, nel suo piccolo, può simbolicamente compiere un gesto, accendendo una candela, alzando per un minuto gli occhi al cielo, dipingendo un arcobaleno, scrivendo una poesia o una canzone. Ogni atto emblematico può aiutare a non dimenticare, ad essere presenti, a non restare indifferenti».
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foto di Mario Cazzato
la colonna angolare Di palazzo personé Mario Cazzato
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Passeggiando nel cuore antico tra vicoli e pagine di storia
Salento Segreto
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na delle differenze tra la città antica e quella contemporanea è che la prima era permeata di simboli che parlavano o volevano parlare a tutti. Prendiamo un caso noto ossia la colonna angolare di Palazzo Personé accanto a
Santa Croce. Sappiamo che questo edificio dove insisteva la sinagoga ormai cancellata dopo l'espulsione degli ebrei, fu acquistato dal commerciante veneto Marco Trono, meglio Tron, nel 1591.L'anno dopo fu autorizzato a ricostruire in
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Salento Segreto
Epigrafi, foto di Mario Cazzato
f o r m e decenti la cappella dell'Annunziata sorta in precedenza sulla sinagoga. La nuova cappella d o v e v a e s s e r e , come fu, lunga circa 8 metri. Intorno e sopra la nuova cappella il Tron costruì il suo palazzo, siamo intorno al 1595,con la colonna angolare e il capitello col suo stemma. Sopra questo volle scolpito lo stemma dei gesuiti col f a m o s o monogramma IHS. Era normale in quel tempo l'uso di questo particolare anche sulle case private, a Lecce se ne vede un altro esemplare nel Vico degli Albane-
si e significava: richiesta di protezione, simbolo di appartenenza e benedizione a chi entra. Ora, appare singolare che proprio accanto alla chiesa dei celestini il Marco Tron sottolinei, invece, la sua adesione ai gesuiti. L'ultima foto rappresenta lo stemma gesuitico nella chiesa romana del Gesù da confrontare con quello del Gesù di Lecce e sul quale si potrebbero dire tante cose a partire dalle fiamme che guizzano e si espandono accanto, proprio come l'ordine dei gesuiti si irradia a nel mondo.
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