giancarlo moscara
La basilica in Campo Marzio a Roma tanto cara alle “puttane emerite”
Inaugurata al Must di Lecce la retrospettiva dedicata all’artista leccese
anno 163 numero 10 ottobre 202 1
Anno XVI - n 10 ottobre 2021 -
sant’agostino
caruso e napoli
i luoghi del cinema
Al Memus la mostra documentaria dedicata al grande tenore nel centenario della morte
Omaggio al film “Pane amore e fantasia” e al comune di Castel San Pietro Romano
primo piano
le novità della casa
IL RAGGIO VERDE EDIZIONI
ilraggioverdesrl.it
EDITORIALE
José Benliure Gil, La barca di Caronte, 1896, olio su tela Valencia, Museo de Bellas Artes de, Valencia, Inv. 805 © Museo de Bellas Artes de Valencia
La grande mostra inaugurata alle Scuderie del Quirinale e incentrata sull’iconografia dell’Inferno di Dante è senz’altro tra gli eventi clou organizzati in occasione del settimo centenario della morte del Sommo Poeta. Sempre sull’iconografia dantesca, segnaliamo anche la mostra documentaria alla Biblioteca Nazionale di Napoli ma come da consuetudine sono tanti gli approfondimenti racchiusi in questo numero. A cominciare dall’intervista a Simone Annicchiarico ospite del Gala Lu Mière Calici di cinema che ha voluto rendere omaggio all’attore Walter Chiari nel trentennale della sua scomparsa. Un’occasione per ricordare un autore e la sua vis comica ma anche un’epoca e un modo di fare cinema e televisione. D’altronde, ricordare è vivere, come ci spiega lo psicoterapeuta Giovanni Bruno. E i luoghi hanno storie da ricordare, come ci spiega Sara Foti Sciavaliere che ci svela le bellezze architettoniche e artistiche della Basilica di Sant’Agostino in Campo Marzio a Roma e a Dario Bottaro che indaga la pittura del seicento aretuseo; grazie a Dario Ferreri che per Curiosa(r)te ci presenta la pittura di Max Hamlet Sauvage, a Stefano Cambò che ci porta sul set di un classico in bianco e nero “Pane, amore e fantasia” e a Raffaele Polo che ci racconta la storia del campanile interrotto di Corigliano d’Otranto oltre a ricordarci la grandezza dell’arte di Giancarlo Moscara al quale è dedicata un’ampia retrospettiva al Must di Lecce. Puntuale la rubrica con le recensioni, a partire da quelle della #devotalettrice Lucia Accoto. Inoltre ringraziamo Giovanna Ciracì per averci raccontato il successo della rassegna Cinè e, tra le anticipazioni, segnaliamo la rassegna di musica classica in programma al Castromediano di Lecce e la serie “Il mio nome è leggenda” in onda su Sky Arte e che vedrà come narratrice l’attrice Matilda De Angelis. Abbiamo provato a raccontarvi infine due belle mostre che si sono svolte a Lecce: “Il soffio” di Luca Bray nell’ex Chiesa di San Francesco della Scarpa e quella di Eric von Berger lungo i muri perimetrali del Castromediano, un museo “spazio vivo” che si apre alla città, avamposto di cultura e bellezza che raccoglie e accoglie. (an.fu.)
Proprietà editoriale Il Raggio Verde S.r.l. Direttore responsabile Antonietta Fulvio
SOMMARIO
progetto grafico Pierpaolo Gaballo
luoghi|eventi| itinerari: girovagando |Basilica di sant’agostino in campo marzio 44 |siracusa non solo caravaggio 86 itinerarte 101 |
impaginazione effegraphic
arte: Viaggio nell’iconografia dell’inferno dantesco 4|il sottile atto di dimenticare ed essere dimenticati 38 | luca Bray 56|
Redazione Antonietta Fulvio, Sara Di Caprio, Mario Cazzato, Nico Maggi, Giusy Petracca, Raffaele Polo
Hanno collaborato a questo numero: Lucia Accoto, Dario Bottaro, Giovanni Bruno, Stefano Cambò, Mario Cazzato, Giovanna Ciracì, Dario Ferreri, Sara Foti Sciavaliere, Raffaele Polo,
Redazione: via del Luppolo, 6 - 73100 Lecce e-mail: info@arteeluoghi.it www.arteeluoghi.it
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Viaggio nell’iconografia dell’inferno dantesco Antonietta Fulvio
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Dal 15 ottobre al 9 gennaio 2022 alle scuderie del Quirinale più di duecento opere d’arte per celebrare Dante Alighieri nel settimo centenario della morte
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ROMA. Dalla porta di Rodin al capolavoro di Botticelli, la voragine dell’Inferno, dipinta su pergamena e oggi smembrato e concesso in prestito eccezionalmente dalla Biblioteca Apostolica Vaticana per le prime due settimane della mostra.
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“Inferno” la mostra a cura dello scrittore e storico dell’arte Jean Clair, inaugurata il 13 ottobre 2021 nelle Scuderie del Quirinale dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, si configura come il più grande evento espositivo d’autunno momento culminante
Auguste Rodin (Parigi, 1840 – Meudon, 1917), La porta dell’Inferno (1880-1917), Calco in gesso in due parti del 1989 Parigi, Musée Rodin, inv. E33, © 2021 Musée Rodin / ADAGP
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Anonimo, Inferno, 1510 - 1520 circa, olio su tavola Lisbona, Museu Nacional de Arte
tra le celebrazioni dantesche per i settecento anni della morte del Sommo Poeta promosse e sostenute dal Comitato nazionale presieduto dal professor Carlo Ossola. Intitolata come la prima cantica della Commedia, che narra l’etterno dolore e la perduta gente, la mostra “Inferno” racconta la persistenza dell’iconografia del mondo dei dannati in un viaggio temporale che dal Medioevo arriva ai nostri giorni. La firma è di Jean Clair, già curatore nel 1995 della Biennale di Venezia, e ideatore di un progetto espositivo a dir poco spettacolare che riunisce nelle prestigiose sale delle Scuderie più di duecento opere d’arte concesse in prestito da oltre ottanta tra grandi musei, raccolte pub-
bliche e prestigiose collezioni private provenienti, oltre che dall’Italia e dal Vaticano, da Francia, Regno Unito, Germania, Spagna, Portogallo, Belgio, Svizzera, Lussemburgo, Bulgaria. Lo ha affiancato nella curatela di “Inferno” Laura Bossi e insieme hanno così motivato così la scelta del tema della mostra: «Per celebrare degnamente con una mostra d’arte il settimo centenario della morte di Dante Alighieri, il tema dell’Inferno si è imposto come un’evidenza. Non solo perché rispetto alle altre cantiche è senza dubbio la straordinaria iconografia infernale ad aver maggiormente ispirato gli artisti, con un duraturo impatto sulla cultura visiva europea; ma anche per la sua attualità, in un
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Sant' Agostino, La città di Dio, dopo il 1473, manoscritto, Parigi, Bibliothèque Sainte Genevieve, Inv.: Ms. 246, fol. 389 © Bibliothe que Sainte-Genevieve, Paris, cliché IRHT
mondo in cui la distruzione della natura, la crisi sociale e culturale ci inducono a riflettere sul destino dell’umanità e sulle cose ultime. Che sia espressa nei cupi avvertimenti di sofferenza eterna nelle miniature medievali, nell’incontro con un universo satanico fatto di tragedie terrene nell’arte rinascimentale e barocca, nei tormenti dell’anima raffigurati nelle tele romantiche e simboliste, o nelle moderne interpretazioni psichiatriche del mistero del Male, la credenza in un possibile traguardo di dannazione si è dimostrata straordinariamente persistente, esercitando di volta in volta terrore, pietà, fascino morboso o curiosità ‘scientifica’.» Accompagna la mostra il catalogo curato da
Electa con un meraviglioso apparato di immagini e notevoli contributi tra i quali l’introduzione di Mario De Simoni presidente delle Scuderie che scrive «“Inferno” è una mostra potente, capace di condurre il visitatore in ambiti inattesi. Attraverso l’iconografia dell’Inferno dantesco, si giunge infatti non solo nei territori della forma e del gusto nelle arti, ma in quelli della storia delle idee e delle mentalità, con un’indagine serrata, per quanto consentito dagli specifici linguaggi di una mostra, anche sulla persistenza dei concetti di peccato e castigo, di dannazione e salvezza.» Il percorso espositivo si apre con il modello di fusione in gesso in scala 1:1 della monu-
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William Adolphe Bouguereau, Dante e Virgilio, 1850, olio su tela, Parigi, Musée d'Orsay, acuis pardation en 2010, Inv. 153692 © 2021.RMN-Grand Palais
Storie l’uomo e il territorio
mentale e celeberrima Porta dell’Inferno di Auguste Rodin: vertice delle riflessioni artistiche di tutti i tempi sul poema di Dante, eccezionalmente concesso in prestito dal Musée Rodin di Parigi. Una visione che rimanda inevitabilmente all l’incipit della Commedia: «Per me si va ne la città dolente, per me si va ne l’etterno dolore, per me si va tra la perduta gente. Giustizia mosse il mio alto fattore: fecemi la divina potestate, la somma sapienza e ‘l primo amore; dinanzi a me non fuor cose create se non etterne, e io etterno duro. Lasciate ogne speranza, o voi ch’ intrate.» Versi potenti, che ancora oggi hanno il poter di scuotere l’anima e aprire alla mente visioni laceranti. Il viaggio ultraterreno di Dante, poeta e uomo, affascina e affabula con la potenza della parola, nella lingua che è ancora la nostra lingua, capace di descrivere il male in tutte le sue sfaccettature per indicare all’umanità lo stato di infelicità e di peccato che è possibile superare perché il fine della Commedia è cambiare la vita degli uomini, “liberarli” dalle miserie e dagli orrori de «l’aiuola che ci fa tanto feroci» (Par. XXII, 151) verso una condizione di felicità e di salvezza. «Le dieci sale delle Scuderie - scrive lo stesso De Simone - illustrano il viaggio dantesco nelle sue rappresentazioni succedutesi nei secoli, ma alcune di esse sono dedicate alla traslitterazione dell’Inferno sulla terra: la follia, i totalitarismi, la guerra. Non a caso, la frequentazione del
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Gerhard Richter, Sternbild (Constellation), 1969, olio su tela, Londra, Ben Brown Fine Arts, Inv. RIC00059 © the Artist, courtesy Ben Brown, Fine Arts, London
testo della Commedia era drammaticamente presente nella memoria degli internati dei campi di concentramento: il riferimento all’Inferno dantesco sembrava l’unico a cui potersi appigliare per trovare le parole
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che altrimenti sarebbero mancate, le parole per descrivere l’indicibile, quello che era successo nell’anus mundi dei campi nazisti.» Tra gli altri capolavori, il Giudizio Finale di Beato Angelico,
Bottega di Hyeronimus Bosch, La visione di Tundalo, 1500 circa, Tempera su tavola, Madrid, Museo Lazaro, Galdiano, inv. 2892
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Le tentazioni di Sant’Antonio Abate di Jan Brueghel, Lucifero di Franz Von Stuck, Sternenfall di Anselm Kiefer. E ancora, il c e l e b r e Demonio di Valladolid in legno policromo, la maestosa tela di quattro metri di Gustave Doré Virgilio e Dante nel IX girone dell’Inferno fino al Teatrino napoletano “Inferno” con pupi catanesi e palermitani, proveniente dal Museo internazionale delle marionette Antonio Pasqualino di Palermo. Grazie alle le numerose collaborazioni istituzionali tra cui quelle con le Gallerie degli Uffizi, il Musée d’Orsay ma
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anche la Royal Academy di Londra, la Bibliothèque Nationale de France, il M u s e o Nacional de Escultura di Valladolid, il M u s e u Nacional de Arte Antiga di Lisbona saranno esposte opere di Bosch, G o y a , Manet, Delacroix, Cezanne, von Stuck, Balla, Dix, Taslitzky, Richter, Kiefer che condurranno il visitatore alla scoperta delle immagini che i versi del poema hanno suggerito agli artisti di tutti i tempi. «Dall’immaginario infernale del Medioevo cristiano, ben rappresentato con ricchezza iconografica e documenta-
Boris Taslitzky, Le petit camp à Buchenwald, 1945, olio su tela, Parigi, Centre Pompidou, Musée national d’art moderne – Centre de création industrielle Inv. AM 2743 P, © 2021. RMN-Grand Palais, © Boris Taslitzky, by SIAE 2021
Sandro Botticelli, (Firenze, 1444/45-1510), La Divina Commedia: la voragine infernale, 1481-1488, Punta d'argento e inchiostro su pergamena Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, inv. Reginense Lat. 1896, pt. A, f. 101r © Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano
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Gustave Doré, (Strasburgo, 1832 – Parigi, 1883), Virgilio e Dante nel IX girone dell’Inferno, 1861 Olio su tela Bourg-en-Bresse, Centre des, Monuments Nationaux – Musée du, Monastère Royal de Brou
ria nella prima parte, - scrive nel catalogo il ministro alla Cultura Dario Franceschini - si passa infatti agli inferni in terra dei totalitarismi del Novecento, dei campi di sterminio, delle guerre religiose, delle persecuzioni, dei genocidi, così come agli inferni mentali della follia, dei manicomi e dei sanatori: niente è dimenticato in questo terribile excursus, alla fine del quale si esce davvero con gioia a “riveder le stelle”: con la piena consapevolezza, però, di quanto il genio dantesco ci aiuti a rappresentare e a riconoscere pienamente ciò che è parte integrante della nostra vita.» A latere della mostra, una serie di incontri collaterali dal titolo “Infernauti” finalizzati ad approfondire alcuni aspetti peculiari della rassegna che, nel corso dei secoli, hanno contribuito a definire la portata dell’opera
dantesca ancora così attuale e determinante per la cultura contemporanea. Seguendo il percorso tracciato dallo stesso Jean Clair e grazie alla partecipazione di studiosi, specialisti e figure di spicco del mondo della cultura, gli incontri saranno incentrati su alcuni temi-chiave: dalla visione di Dante e dei suoi contemporanei sul mondo degli inferi, fino all’evoluzione storica del concetto del male. Il programma degli incontri è disponibile su: www.scuderiequirinale.it
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In questa pagina e nella seguente alcuni momenti dell’inaugurazione della mostra con la vicedirettrice, Maria Iannotti, Teresa D'Urso, Andrea Mazzucchi, del Comitato Nazionale delle celebrazioni Dantesche, foto di G. Di Dato
settecento anni di iconografia dantesca
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La mostra bibliografica e iconografica alla Biblioteca Nazionale di Napoli fino al 31 gennaio 2022
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NAPOLI. Anche a Napoli un imperdibile evento espositivo inserito tra le celebrazioni per i settecento anni dalla nascita del Sommo Poeta che nel capoluogo partenopeo sono iniziate lo scorso 24 giugno con una serie di giornate di studio. Pur non essendo tra le città dantesche, Napoli è tra i luoghi in cui Dante Alighieri ha avuto una rilevante influenza culturale nel corso dei secoli. Lo testimonia la presenza dei vari codici quattrocenteschi e cinquecenteschi, conservati nella biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III e la Biblioteca Universitaria, particolarmente apprezzamenti da parte di illustri autori che cercarono di conoscere il poeta e da artisti italiani e stranieri che si cimentarono nell’illustrarne l’opera, dando vita ad edizioni pregiate che arricchiscono le collezioni napoletane. Inoltre durante il 700 e poi in epoca risorgimen-
tale e post unitaria grande interesse sollecitarono gli studi sul poeta che assunsero significati etici e libertari. Inaugurata il 27 settembre la mostra bibliografica e iconografica “Settecento anni di iconografia dantesca”, visitabile fino al 31 gennaio 2022, celebra l’immaginario dantesco documenta, in modo completo, ma sintetico, i momenti diversi della tradizione figurativa della Divina Commedia dal XIV ai giorni nostri. Allegorie, simboli e luoghi fantastici descritti nei versi sublimi delle tre Cantiche da sempre hanno suggerito agli artisti di ogni epoca immagini straordinarie. Come non lasciarsi affascinare dalle figurazioni contenute negli splendidi miniati. Il più antico quasi coevo della Divina Commedia risale alla seconda metà del trecento e presenta settantasei disegni a penna, talvolta leggermente
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lio sovrastati dalle anime purganti. “Settecento anni di iconografia dantesca” è un percorso affascinante che seduce e accompagna il visitatore alla scoperta di autentici tesori come le tavole in rame di Giovan Giacomo Machiavelli, relative ai disegni originali realizzati da Machiavelli tra il 1806 e il 1807, che affiancano l’edizione della Commedia curata da Filippo Machiavelli, apparsa a Bologna per Gamberini e Parmeggiani tra il 1819 e il 1821 con le 101 tavole dell’incisore.
I luoghi nella rete
coloriti in rosso, riconducibili alla cultura figurativa del periodo in Umbria. Riccamente miniato è un altro codice della fine 300 ed inizio 400 provienente dalla collezione del medico e bibliofilo Domenico Cotugno, e contiene il poema dantesco con il commento di Francesco da Buti che incornicia il testo. Appartiene alla collezione farnesiana, invece, il manoscritto datato al 1411 con iniziali miniate: significativa quella posta ad apertura del Purgatorio che raffigura Dante e Virgi-
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Aggirandosi tra le teche è possibile scoprire le miniature dei primi codici medievali, gli accurati disegni del Quattrocento, e le prime edizioni a stampa. E ancora le illustrazioni più famose come la pregiata edizione di Antonio Zatta (Venezia, 1757 -1758 Dedicata alla Sagra Imperial Maestà di Elisabetta Petrowna imperatrice di tutte le Russie), l’Atlante Dantesco di John Flaxman, le illustrazioni di Francesco Scaramuzza e quelle più celebri di Gustave Doré (Parigi, Hachette 1861) nella Prima tiratura delle composizio-
ni. Tra le curiosità l’albero genealogico degli Alighieri, una Divina Commedia in napoletano ed una tradotta in ebraico. Il posto d’onore lo occupano gli autografi di Leopardi e De Santis. Di Giacomo Leopardi sono esposte alcune pagine autografe dello Zibaldone e la canzone Sopra il monumento di Dante con note di pugno del poeta. E per la Domenica di Carta, in programma il 10 ottobre, sono previste visite guidate dalle 10.30 alle 13,30. L’ingresso è gratuito ma con prenotazione obbligatoria sul sito www.bnnonline.it
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L’asino arpista di Giancarlo Moscara, 2018, acrilico su tela, cm 120 x 100
giancarlo moscara e i linguaggi dell’arte Raffaele Polo
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Dal 16 ottobre al Must di Lecce la retrospettiva dedicata all’artista leccese organizzata da Casa Museo Moscara/Archivio d’artista Giancarlo Moscara
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ato a Lecce nel 1940, un artista senza tempo, Giancarlo Moscara ha capace di assimilare e riproattraversato tutto il porre quello che le tante Novecento, approdando alle realtà contemporanee gli sollecitazioni del XXI secolo suggeriscono. Non sorprene facendole proprie, come da, perciò, la sua predileziosua consuetudine. Figlio e ne per manifesti e calendari testimone del suo tempo è, (proprio in autentica chiave usando un facile ossimoro, futuristica...) e la sua appro-
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Gigi Proietti nel Cyrano, in basso Shahid Mammod Nadeem
priazione del 'fumetto' che diventa, con la sapiente regia di pennarelli, colori a china, acrilici e ritrovati dell'ultima ora, un percorso a sé stante, dove non solo l'ironia e la forma descrittiva, ma l'alternanza delle macchie di colori, sono il suo pacato contributo ad una 'modernità' che non dimentica, mai, le sue origini che sono le basi di un'Arte che viene ancora insegnata, senza soste, nell'Istituto che lo ha visto tra i suoi insegnanti più importanti e più rimpianti. Anche la produzione di Moscara, come per i più grandi artisti, può essere divisa in 'periodi', testimoni delle specifiche ricerche del Maestro, quasi sempre
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condivise con gli alunni e con gli intellettuali contemporanei che riconoscono in lui tutte le positive 'novità' che i guizzi colorati sottopongono, quasi senza parere, a chi rimane sorpreso dalla semplice, facile, fresca verve pittorica che ha sempre contraddistinto la sua produzione. Ricordiamo, fra tutti, i suoi splendidi 'Intrecci', dove alla sapiente gestione degli acquerelli, si unisce lo spessore delle carte strappate e trattate con gusto manuale, a formare incredibili scenari di colore e movimento. Moscara, tra l'altro, è un artista a tutto tondo, disponibile e presente nelle più importanti mostre, sollecitato ad esporre sem-
Giancarlo Moscara, Eh si!!! la pittura appare solo mentre la si fa 45x45, 2019
pre nuovi lavori, facilmente riconoscibile per quel tratto che è diventato la sua immagine più spontanea, quella raffigurazione che mescola un po' di tutte le arti, compresa la tecnica digitale che offre ulteriori, sconfinate pianure inesplorate per la fantasia di Giancarlo. Ma sono i materiali cartacei che, sotto sotto, lo attirano più di ogni altra cosa: siano essi i già citati intrecci oppure i rifili o anche semplici 'carte dipinte impastate a mano' (come amava definirle). In ogni caso
la soluzione finale lascia stupiti per l'incredibile impatto che ha nella considerazione visiva e psicologica di suggestioni facilmente abbordabili ma sempre portatrici di un retaggio intellettuale di fresca sapienza artistica. Ecco, di Giancarlo, della sua arte, piace soprattutto l'immarcescibile vena di innovazione, la sua evidente ricerca che non ci estranea ma, anzi, è un forte, sentito tentativo di comunicarci che l'Arte è un continuo
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Giancarlo Moscara, Confini, 1985, olio su tela , cm 200x 140
divenire, il Bello non è un'utopia o uno spauracchio da trascurare. Anzi, come nella vita di tutti i giorni, bisogna ricercarne il profilo e i colori, proprio come nelle splendide composizioni che, non a caso, ci devono accompagnare in fantastici calendari creati proprio per affermare che, nonostante tutto e tutti, solo la Bellezza salverà il nostro povero mondo... Must Lecce Museo Storico Città di Lecce dal 16 ottobre 2021 al 13 marzo 2022 Ex Convento di Santa Chiara Via degli Ammirati, 11, 73100 Lecce Tel. 0832.241067 www.mustlecce.it mail info e prenotazioni: biglietteria@mustlecce.it
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Simone Annicchiarico e Antonio Manzo
lu mière calici di cinema omaggio a walter chiari Antonietta Fulvio
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Il figlio dell’attore e comico italiano ospite d’onore della rassegna ideata da Antonio Manzo che si è svolta a Lecce a Palazzo Brunetti lo scorso 12 settembre
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rent’anni fa ci lasciava Walter Chiari, attore teatrale, cinematografico e televisivo, tra i personaggi di spicco della commedia all’italiana. A lui è stata dedicata l’edizione del Lu Mière Calici di Cinema Gala, che si è svolta a Lecce nella splendida corte di Palazzo Brunetti, alla presenza di Simone Annicchiarico che ha ritirato il premio alla memoria di suo padre. Figlio d’arte, sua mamma era la famosa Alida Chelli e suo nonno Carlo Rustichelli celebre compositore e musicista, Simone Annicchiarico è conduttore televisivo nonché appassionato di musica rock (ha suonato anche nella cover band Led Zeppelin Night Flight) e di suo padre l’indimenticabile Walter ha la stessa ironia e simpatia. Lo abbiamo incontrato poco prima dell’inizio del Gala. «Sono venuto in Puglia tantissime volte, mio padre era di origini pugliesi, il nonno era di Grottaglie, la nonna di Andria, però a memoria credo sia la mia prima volta a Lecce,
anche se ho girato molto nel Salento con “La valigia dei sogni”. Mi hai anticipato la domanda, un programma fantastico, che andava in onda su La 7, un vero peccato che si sia concluso”. Piaceva molto anche a noi che lo facevamo. Con l’operatore, il regista e il fonico eravamo una squadra, decidevamo insieme tutto e abbiamo girato l’Italia e di sicuro sono venuto anche un paio di volte in Puglia. Si parla sempre tanto di crisi del mondo del cinema e un format così bello perché non riproporlo ancora? Il problema degli ultimi tempi è che programmi di qualità vengono spesso soppressi in favore anche di tribune politiche e, purtroppo, questo è quello che è successo a La valigia dei sogni. Urbano Cairo ha comprato La 7 e hanno cambiato il palinsesto, hanno tagliato
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Simone Annicchiarico ritira il Premio in memoria di suo padre
tanti programmi anche quello di cucina di Cristina Parodi per mettere altro purtroppo la cultura non è stata una necessità prioritaria. è sempre la cenerentola in questo nostro paese? Se togli la cultura al nostro paese l’Italia non ha niente da offrire. Sì è un bellissimo paese ma nel mondo ce ne sono tanti penso alla Nuova Zelanda, al Giappone... l’Italia ha una cultura quasi imbarazzante nei confronti degli altri paesi eppure di quella cultura non riusciamo a ricavare nemmeno il 5%, purtroppo è dal dopoguerra che siamo mal gestiti, e dobbiamo fare i conti con padroni che non hanno a cuore la cultura ma il profitto. Stiamo morendo come società, e anche come arte, cultura perfino lo sport. Quale squadra tifi? Anche se sono nato a Roma sono milanista... Stasera Antonio Manzo, deus ex machina di Lumiere Calici di cinema ha stilato un programma d’eccezione che si chiuderà con la proiezione di uno dei film più belli di tuo padre “Il giovedì” con la regia di Dino Risi dove esce fuori una vena malinconica che è prerogativa dei veri comici. Assolutamente sì, ed è uno dei miei film preferiti. Le poche volte che mio padre ha fatto film malinconici che, conoscendolo, non gli piaceva assolutamente fare - Bellissima Luchino Visconti (1951), La rimpatriata (1963) di Damiano Damiani, Il giovedì di Dino Risi (1964) - sono ruoli non comici e in quei film lui è quotatissimo ha delle grandissime recensioni. Mo padre era uno che ha perso tanti treni perché era fatto così, era un comico di natura senza il palcoscenico non poteva stare doveva seguire la sua pulsione come il cacciatore che deve andare a caccia, lui era un vero artista comico. Basti pensare che, a differenza di quanto accade oggi, lui
era autore dei suoi testi, dei suoi monologhi; lui dettava a se stesso i suoi tempi ecco perché amava alla follia il teatro, amoreggiava così e così con il cinema e non tollerava la televisione nonostante paradossalmente negli anni Sessanta sia stato il veicolo del suo successo mostruoso. A quei tempi c’era un solo canale ed era ovvio che si diventasse famosi in un attimo, c’è da dire però che non c’è una puntata di quelle trasmissioni che ci sia qualcuno fuori posto, basta andare
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su Youtube per rivederle e troverete sempre il meglio del meglio, la regia di Falqui, Gorni Kramer che scriveva le musiche, Mina, Walter Chiari, Totò, Tognazzi, Corrado... una televisione che era fatta in bianco e nero con quattro scenografie ma iconiche molto più di quelle di adesso fatte con i laser... stiamo parlando di verità, persone vere, registi veri, una televisione di vera cultura.
incentrata sul rapporto padre figlio, tu che rapporto hai avuto con il tuo papà? Ho avuto un rapporto fantastico, favoloso non posso neanche descriverlo, al di là del fatto che lui fosse mio padre era per me un amico, un compagno di giochi, un mago, un eroe, un pirata. Mio padre mi ha portato nei posti più belli del mondo. E non mi ha mai imposto niente, non mi ha mai detto devi fare questo o quell’altro, ho imparato guardandoLa trama del film che rivedremo stasera è lo. E sono stato fortunato, lui con i bambini
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Il conduttore Simone Annicchiarico e la giornalista Giovanna Ciracì a lato l’attore Walter Chiari e l’attrice Alida Chelli genitori di Simone Annicchiarico
riusciva a mettersi in sintonia a far ridere poi era fantastico se senti Enrico Vanzina, (Carlo purtroppo non c’è più) parlano di mio padre come se fosse il loro padre. La grandezza è che lui era un vero animale comico, cioè come Pelè è il calciatore e non potevi togliergli la palla, mio padre viveva per far star bene gli altri e non potevi togliergli la risata. E ha pagato un prezzo altissimo per questa sua libertà. Ha fatto sei vite in una. Ed è morto giovane, a 67 anni. è vera la storia dell’epitaffio? No, non c’è. Lui scherzava con gli amici dicendo “non preoccupatevi è tutto sonno arretrato” ma questa frase non c’è. C’è a Verona, però in via in via Quattro Spade dove è nato, l’ho letto su internet, sull’entrata del palazzo dove nacque, una targa (apposta nel 2013, al civico 18, di fronte all’ex Cinema Corallo, ndr) che riporta: «Qui nacque l’8 Marzo 1924 Walter Chiari e… anche vi dormì. Ma da quel giorno… cessarono di dormire gli altri inquilini di questa casa.» Una cosa molto divertente.
quilli. Hai presente il brano degli Skiantos “Non c'è gusto in Italia ad essere intelligenti?” In questo paese, parlo dello spettacolo, ma è incredibile se punti sulla mediocrità vai più in alto. Hai mai pensato di scrivere un libro sugli aneddoti nel mondo dello spettacolo? Ho scritto dieci anni fa un libro su mio padre e pensa è fallito l’editore, no quello no se so che ho una malattia incurabile allora scriverò tutto ciò che ho visto in tv però devo essere sicuro che ho poco tempo. Ritornerai a fare il conduttore? Spero che mi propongano qualcosa di buono... Un tuo format che vorresti tirar fuori dal cassetto? Mi piacerebbe fare qualcosa con la musica purtroppo in televisione c’è questo grandissimo tabù sui programmi musicali che non hanno successo...
Eppure non si direbbe pensando alla Tu hai avuto anche una mamma straordi- voglia di cantare che scatena il festival di naria, Alida Chelli.. Sanremo, tutti lo criticano e poi tutti lo E il nonno Carlo Rustichelli. guardano... Saremo è come il Natale, è una data fissa La passione per la musica l’hai ereditata che piace agli italiani, ma gli ultimi vent’anni da lui... sono stati musicalmente abbastanza discutiSì, ma mi piacciono tutte le arti, sono appas- bili, tra gli amici spesso se ne parla e viene sionato di arte, musica, cinema al di là che i fuori che l’ultimo pezzo collocabile nella miei genitori e mio nonno siano stati in questo memoria collettiva italiana è “Fiumi di parole” campo. In sottofondo stiamo sentendo le note dei Jalisse del 1997... Se ci pensi è strano della canzone “Sinnò me moro” composta da sono passati 25 anni, vero è che quest’ultimo mio nonno per il film “Un Maledetto Imbroglio” periodo non sarà ricordato storicamente (1959) e che fu cantata da mia madre. Questa negli annali come un gran periodo per l’umacanzone in Giappone divenne così famosa nità... che un ministro addirittura la propose come base musicale per l’inno nazionale. E la pandemia ha finito di creare danni anche al mondo dello spettacolo. Ma ha Progetti futuri? ti rivedremo in tv? anche fatto capire in qualche modo l’imIn questo momento è meglio starsene tran- portanza del web, delle nuove tecnologie
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e gli eventi in streaming. Secondo te qualche programma in futuro potrebbe sfruttare quest’onda visto che siamo tutti etenamente connessi? Credo che fra dieci anni sarà tutto cambiato anche perché c’è questo processo irreversibile della digitalizzazione dai documenti alla moneta addirittura Bitcoin... non so quanto bene faccia tutto questo, mi sembra un po’ una terra di nessuno. Mi è stato detto “perché non fai un programma in rete”, purtroppo sono della vecchia generazione, non sono nato con il computer al limite con i videogiochi e sono tradizionalista... C’è un film tra quelli di tuo padre che ti sarebbe piaciuto interpretare? Bella domanda... fammi pensare... sì ce n’è uno “Walter e i suoi cugini” (regia di Marino Girolami, 1961) dove mio padre fa quattro parti, con le tecniche di una volta siamo all’inizio degli anni Sessanta, interpreta lui e tre fratelli di Andria, una commedia degli equivoci. Quando ero bambino lo adoravo perché vedevo sbucare tante volte mio padre... un film divertentissimo.
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Enrico Caruso foto con dedica a Salvatore Di Giacomo
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caruso e napoli il tenore Antonietta Fulvio
“
Materiali e autografi della Bibioteca Nazionale di Napoli in mostra al Museo MEMUS, Museo Memoria e Musica, fino al 15 dicembre 2021
”
NAPOLI. Cento anni fa, il 2 agosto 1921, si spegneva a Napoli, nel Grand Hotel Vesuvio, Enrico Caruso considerato tra i più grandi tenori di tutti i tempi. Le sue spoglie riposano in una cappella situata nel Cimitero di Santa Maria del Pianto a Poggioreale nel cosiddetto "recinto degli uomini illustri", dove riposano tra gli altri anche Totò, Scarpetta, Nino Taranto e Guglielmo Sanfelice. Al grande tenore, nell’ambito delle manifestazioni ufficiali del Comitato Nazionale delle Celebrazioni di Caruso (1921-2021), la Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III, in collaborazione con il Teatro San Carlo, dedica una grande mostra documentaria esponendo per la prima volta al Memus una parte ampiamente rappresentativa della collezione di documenti di e su Caruso, conservati dalla Sezione Lucchesi Palli della Biblioteca (specializzata nella storia dello spettacolo napoletano), acquisiti dallo
Stato da un antiquario romano nel 1973. “Enrico Caruso e Napoli” è il titolo della mostra, curata da Maria Iannotti (vicedirettrice della Biblioteca Nazionale e responsabile della Sezione Lucchesi Palli) e da Dinko Fabris (responsabile scientifico del Dipartimento di ricerca del Teatro di San Carlo), che si potrà visitare fino al prossimo 15 dicembre. Nato a Napoli nel Quartiere San Carlo all’Arena il 25 febbraio 1873, Enrico Caruso, di origini umilissime, giovanissimo andò a lavorare con suo padre in una fonderia ma fu grazie alla madre che si iscrisse ad una scuola serale dove apprese l’arte del disegno per il quale aveva una predisposizione naturale così come per il canto. I suoi primi maestri furono Schirardi e De Lutio ma fu grazie al baritono Eduardo Missiano, che sentendolo cantare durante un funerale nella chiesa di Sant’Anna alle paludi che
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volle presentarlo al maestro Guglielmo Vergine. L’esordio arrivò nel 1894 con una parte ne "L'amico Francesco" di Domenico Morelli. Fu l’inizio di una carriera artistica che lo vide conquistare i teatri di Napoli, la Scala di Milano e il Metropolitan di New York con un repertorio vastissimo, da "La bohème" a "Rigoletto", passando per l'"Aida" e "Pagliacci”. la vita non gli risparmiò grandi dolori, dalla morte della madre quando era ancora giovane al tradimento dell’amore della sua vita, il soprano Ada Botti Giachetti, che fuggì con il loro autista dopo undici anni insieme e due figli. A lei il tenore dedicò la famosa canzone “Core ‘ngrato”. Nella mostra si ripercorrono gli anni della sua brillante carriera ma anche l’altra faccia del tenore quella dell’uomo ironico, che amava fare scherzi ai suoi compagni e ritraeva se stesso con grande senso di autoironia. «Lo studio del Caruso disegnatore è tanto più interes-
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sante in quanto ci rimanda un’immagine discordante dal cliché dell’uomo incolto che, secondo gli americani, comprava i quadri a metraggio. Anzi esso ci fornisce una prova del suo istinto rivoluzionario che accompagnò e talvolta anticipò i fenomeni d’avamguardia del primo novecento.» Non a caso l'immagine scelta per la locandina della Mostra – Caruso mentre canta “O Paradiso” - è una auto-caricatura, disegnata dallo stesso Enrico Caruso e dedicata nel 1913 a Parigi alla sorella del Conte Lucchesi Palli, fondatore della Biblioteca dove è oggi conservato il fondo. L’aria cantata dal tenore “O Paradiso” è tratta dall’opera L’Africana di Meyerbeer di cui un disco originale [ da collezione privata] interpretato dal grande tenore ed esposto in mostra in copia autografata e fatta ascoltare su un grammofono d’epoca). In evidenza, dunque, il piccolo ma significativo fondo della Lucchesi Palli, circa 80 documenti
caricatura di Enrico Caruso
che descrivono il rapporto estremamente affettuoso e di fiducia di Caruso con un personaggio misterioso, mai studiato finora dai biografi carusiani, che ritroviamo, però, citato come uno dei suoi migliori amici a Napoli nelle biografie più attendibili scritte immediatamente dopo la morte del tenore. Lettere, cartoline e fotografie con dedica costituiscono gran parte della straordinaria esposizione, si tratta della corrispondenza di Enrico
Caruso e dei suoi familiari con Angelo Arachite, e le informazioni fornite da molte lettere si rivelano fondamentali per ricostruire in modo rigoroso la biografia del cantante. In esposizione anche alcune fotografie con dedica autografa di Caruso a Salvatore Di Giacomo, risalenti al periodo in cui Di Giacomo era direttore della Biblioteca Lucchesi Palli. Caruso aveva cantato come primo interprete la versione operistica eseguita a
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Salerno il 28 novembre 1896 del poema dialettale A San Francisco di Salvatore Di Giacomo, fresco di edizione (1895-96) musicato da Carlo Sebastiano. L’esposizione è stata inaugurata da una Giornata di Studi dedicata a “Enrico Caruso da Napoli all’America” che ha visto la partecipazione di studiosi di diverse discipline come Giuliana Muscio (Università di Padova) e Simona Frasca (Università Federico II di Napoli), e Luigi Vicinanza (Presidente del MAV di Ercolano) oltre ai curatori. In occasione della Giornata sono stati proiettati spezzoni di docufilm su Caruso ed è stato proposto l’ascolto guidato di alcuni dischi originali e autografati di Caruso resi disponi-
bili dal collezionista e amico personale del figlio di Caruso, Guido D’Onofrio, su un grammofono “Columbia” del tempo. E dallo scorso 2 agosto, segnaliamo l’apertura della "Casa Museo Enrico Caruso" nella sua casa natale, a Napoli al numero 7 di via Santi Giovanni e Paolo n. 7 . Ideata e fondata da Gaetano Bonelli (già fondatore, del "Museo di Napoli" che vanta una strepitosa collezione della storia di Napoli), Raffaele Reale e Armando Jossa. La Casa Museo raccoglie l'elegante biancheria di lino con le iniziali di Caruso, uno dei suoi bastoni da passeggio, locandine, programmi di sala e cimeli vari.
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Una sala della Casa Museo Enrico Caruso a Napoli nella casa natale del tenore; la targa apposta sulla facciata dell’edificio e targa della Casa Museo (foto di Margherita Chiaramonte)
memus Inaugurato il primo ottobre 2011, “Memus” è il Museo e Archivio Storico del San Carlo. Non pensato come un tradizionale museo, il nuovo spazio del Lirico napoletano ospitato nei locali di Palazzo Reale, si presenta come un vero e proprio centro polifunzionale. Dotato delle più moderne tecnologie, racchiude un'ampia area espositiva di 300 mq, una galleria virtuale in 3D, una sala per eventi di almeno 50 posti, un bookshop, dove è possibile acquistare prodotti realizzati ad hoc dalla sartoria del Teatro e un centro documentazione sulla prestigiosa storia del San Carlo, corredata da documenti e testimonianze multimediali consultabili tramite iPad e condivisibili in rete attraverso e-mail e social network. è possibile visitare il Memus nei seguenti giorni: Lunedì, Martedì, Giovedì, Venerdì e Sabato dalle ore 10.00 alle ore 17.30 Domenica dalle ore 10.00 alle ore 14.30. memus Teatro san Carlo Palazzo Reale Napoli Piazza del Plebiscito www.memus.org/ 081 797 2449 memus@teatrosancarlo.it
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artecinema a napoli e online
Storie l’uomo e il territorio
Tutto pronto per la ventiseiesima edizione del festival internazionale di film sull’Arte contemporanea curata da Laura Trisorio. Al San Carlo e all’Augusteo oltre che sul sito del festival
NAPOLI. Due teatri, il San carlo e l’Augusteo, per la ventiseiesima edizione di Artecinema. Il festival internazionale di Film sull’Arte Contemporanea si terrà a Napoli dal 15 al 22 ottobre 2021 e contemporaneamente - dal 16 al 22 ottobre - sulla nuova piattaforma digitale online.artecinema.com per consentire al pubblico di fruire dei film in programma anche da casa. Anche se dal 15 ottobre si ritornerà alla capienza massima per teatri e cinema se pur con mascherina e gren pass. Curato da Laura Trisorio, il festival, nato nel 1996 con l'obiettivo di far conoscere al grande pubblico le diverse espressioni dell'arte, presenta un’ampia selezione di film dedicati all’arte, alla fotografia, all’architettura e al design contemporanei per approfondire
aspetti legati alla genesi creativa spesso celati o non raccontati: attraverso documentari sui maggiori artisti, architetti e fotografi della scena internazionale, gli spettatori potranno accedere ai loro studi, osservare e comprendere i loro lavori, immergersi nei materiali che usano. Ventiquattro i film in programma (l’80% in anteprima nazionale e alcuni titoli saranno in anteprima mondiale) – divisi nelle tre sezioni: Arte e dintorni, Architettura e design, Fotografia – provenienti da diversi paesi, fra cui Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania, Finlandia, Australia, Serbia. Tutti i film saranno proiettati in lingua originale con sottotitoli in italiano e/o in inglese. All’inaugurazione registi e artisti interverranno personalmente per presentare i film.
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Artecinema , 25 edizione, 2020 foto di Francesco Squeglia
Sono inseriti in programma, fra gli altri, film su Marina Abramović, Mel Bochner, Joseph Beuys, Alighiero Boetti, Christian Boltanski, Albrecht Dürer, Lucio Fontana, Wolfgang Laib, Guadalupe Maravilla, Helmut Newton, Pino Pascali, Michael Rakowitz, Eugenio Tibaldi, John Wood & Paul Harrison, sull’architetto Alvar Aalto e sull’architetto e designer Ettore Sottsass. Infine il film su Man Ray,
ripreso nel 1937 durante le vacanze ad Antibes, con gli amici Pablo Picasso, Dora Maar, Paul Eluard, Lee Miller. Il Festival ha consolidato negli anni il proprio impegno nel sociale lavorando in sinergia con altre istituzioni cittadine. Oltre alle consuete proiezioni presso i due teatri, sono previste: proiezioni per gli studenti delle scuole secondarie di Napoli e provincia, presso l’Isti-
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Artecinema , 25 edizione, 2020 foto di Francesco Squeglia
tuto francese e per le scuole superiori del Comune di Anacapri; incontri e proiezioni dedicati agli studenti del Liceo Artistico e dell’Università Suor Orsola Benincasa e del Liceo Vittorio Emanuele II di Napoli; proiezioni per i detenuti presso le Case Circondariali di Nisida e Secondigliano. L’edizione 2021 di Artecinema sarà inaugurata venerdì 15 ottobre alle ore 20.00 al Teatro San Carlo di Napoli con la proiezione del cortometraggio Sguardo nomade, un omaggio a Marisa Albanese, artista napoletana recentemente scomparsa, e del film Banksy Most Wanted, di Aurélia Rouvier e Seamus Haley.
All’inaugurazione saranno presenti: Laura Trisorio, curatrice del Festival Artecinema, Seamus Haley e Aurélia Rouvier, registi di Banksy Most Wanted, e Fiamma Marchione, regista di Sguardo nomade. Ospiti della rassegna, nei giorni successivi di proiezioni al Teatro Augusteo: Corinna Belz, regista di Inside the Uffizi, Gilles Coudert, regista di Jean Dupuy Ypudu, Walter Fasano, regista di Pino, Alain Fleischer, regista di J’ai retrouvé Christian B., François Levy-Kuentz, regista di Un été a la Garoupe, Domenico Palma, regista di Bochner Boetti Fontana, Francesco G. Raganato, regista di Roselena Ramistella - L’isola delle femmi-
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ne, Roselena Ramistella, fotografa, Sergio Risaliti, Direttore del Museo Novecento di Firenze. Il programma completo disponibile sul sito www.artecinema.com. Info: 081.414306 artecinema 26 15 ottobre ore 20 Teatro San Carlo serata inaugurale aperta al pubblico biglietto 15€ 16 — 18 ottobre ore 16 - 24 Teatro Augusteo ingresso gratuito è necessario esibire il green pass 16 — 22 ottobre online online.artecinema.com festival pass € 15
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il sottile atto di dimenticare ed essere dimenticati Antonietta Fulvio
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Alec von Bargen a Lecce per Tempora/Contempora #2 al Museo Castromediano
LECCE. Da un lato il Museo Castromediano, il più antico museo di Puglia, sempre più avamposto delle esigenze della comunità, dentro Museo con le sue collezioni archeologiche, la pinacoteca con opere dal 400 al 700 arricchita di recente con la donazione di Maurizio Aiuto e attualmente anche hub vaccinale. Fuori spazio installativo che continua a far dialogare l’arte con il pubblico sen-
”
za soluzione di continuità. Dall’altro, Tempora/Contempora #2 prova il progetto innovativo di Ama che intende ripensare il rapporto tra artisti e pubblico, tra artisti e spazio di creazione, tra pensiero critico e pratiche performative. «Il focus - spiega Franco Ungaro - è sul tema del corpo, dei corpi e delle identità, espressione e simbolo di una resistenza necessaria al tempo che
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Foto Alec Von Bargen (fonte pagina fb dell’artista)
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Foto Alec Von Bargen (fonte pagina fb dell’artista)
stiamo attraversando e dei cambiamenti sociali e culturali in atto.» Ed ecco allora che il Castromediano diventa terreno di incontro e confronto per le sperimentazioni e le creazioni di artisti e performer internazionali. Così dopo il progetto A occhi aperti” dei fotografi Flavio & Frank, dal 20 agosto al 30 settembre 2021 visibile h 24 l’installazione dell’artista americano Alec Von Bargen. Sulle finestre del primo piano del museo e lungo il muro perimetrale è stato possibile ammirare - anche in notturno grazie ad uno strabiliante studio di luci - un ciclo di dittici che giocano sul doppio effetto positivo negativo e ritraggono i tanti senzatetto che Bargen ha fotografato in giro per il mondo.
Lavori di un notevole impatto visivo che evidenziano ciò che che poi è espresso nel titolo dell’installazione fotografica: “Il sottile atto di dimenticare ed essere dimenticati”. In questa nostra società dell’immagine che fagocita con la stessa velocità con cui genera volti e uomini, Bargen con la sua arte fa esattamente il contrario, rimette al centro l’umanità, le persone che quotidianamente sfioriamo con lo sguardo ma senza vedere. Sono gli invisibili, gli ultimi, gli emarginati tanto cari al Vangelo ma non agli uomini di poca volontà che chiusi nel proprio egoismo continuano ad ignorare la loro presenza. Uno studio su sagome e corpi e in particolare volti che rimandano al concetto di identità, un concetto indagato anche nel teatro che fa
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Foto Alec Von Bargen (fonte pagina fb dell’artista)
fa parte della formazione artistica di Bargen che vanta anche un passato di attore in numerose serie televisive messicane. «Tutti questi personaggi – spiega Von Bargen – hanno in comune il fatto che diventano invisibili alla società e poco a poco vengono dimenticati anche da loro stessi. La mostra è uno studio sul colore e sullo spazio negativo nel quale i protagonisti, anche se solo per un breve istante, hanno una piattaforma sulla quale poter raccontare la loro storia». Nato a New York City il 9 febbraio 1972, Alec Von Bargen ha esposto alla 54a e alla 56a edizione della Biennale di Venezia, al Victoria and Albert Museum di Londra, all'OCT Museum di Shanghai, in Cina, al Museo d'Arte Moderna di Città del Messico e a Les Rencontres D'Arles Festival, Francia. Il suo lavoro ha vinto numerosi premi tra cui l'IPA di Los Angeles e il PX3 di Parigi. È stato finalista al Dubai Emerging Artist Award e
Aesthetica Magazine, nel Regno Unito, lo ha selezionato come uno dei 100 migliori artisti del 2020. È stato finalista al Terry O'Neill Award e al Celeste Prize a Berlino, in Germania. Von Bargen è direttore del programma di sviluppo creativo di The Swatch @art Pe@ce Hotel e consulente creativo del Biennale College della Mostra del Cinema di Venezia oltre che direttore del collettivo di artisti Crema Collettiva. Curata dalla storica dell’arte Marinilde Giannadrea, la mostra “Il sottile atto di dimenticare ed essere dimenticati” ha presentato trenta grandi pannelli (ognuno 1x3 m, installati su #Now le strutture espositive perimetrali create da EsternoNotte) che sono stati posizionati sulla facciata principale del Museo e lungo il muro per cui visibili tutto il giorno e destinati in questo modo ad essere in stretto contatto con i ritmi del quotidiano di cittadini e turisti. Un’esposizione costantemente aperta al pubblico e suscettibile di riflessioni
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Nella foto l’artista Alec Von Bargen
su temi tanto attuali e drammatici dalla solitudine esistenziale all’emarginazione sociale. Con la sua fotocamera, Van Bargen, con l’occhio dell’antropologo, ha inquadrato e catturato immagini che descrivono contesti storici, politici e sociali. Successivamente, su quelle fotografie è intervenuto graficamente riuscendo a coniugare bellezza e contenuto, storie e memoria, annullando le dimensioni del luogo e del tempo, focalizzando l’attenzione sulle persone togliendole dall’oblio. Quei volti di persone che non conosciamo e
non conosceremo mai restano impressi nella memoria. Spingere l’osservatore a guardare e a riflettere su temi di attualità è infatti tra le prerogative dell’agire artistico di Eric von Bargen, ricordiamo a tal proposito, tra le mostre, il progetto “Veritas Feminae” allestito negli spazi dell’Ex Filanda Meroni di Soncino incentrato sulla forza delle donne capaci di vincere le avversità della vita nonostante siano relegate spesso e purtroppo a margine dalla società.
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Roma Basilica di Sant’Agostino, reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere
Basilica di sant’agostino in campo marzio Sara Foti Sciavaliere
“ Storie l’uomo e il territorio
Tra sacro e profano, la chiesa cara alle “puttane emerite”
C
hi conosce un po’ di agiografia sa bene che il filosofo Agostino d’Ippona, prima di essere convertito da Sant’Ambrogio ed entrare del novero dei Padri e dottori della Chiesa con espressioni ormai note come “Ama e fa’ ciò che vuoi” e autore delle “Confessioni”, non è stato proprio uno stinco di santo! Anzi tutt’altro… È stato la disperazione della madre, Santa Monica, donna invece di grande fede, che non ha perso mai la fiducia nella possibilità di una redenzione per quel figlio peccatore impenitente, solito “alla crapula e all’ubria-
”
chezza, alla lussuria e all’impurità”. Questa premesse per dire che forse, in fondo, poi non è tanto singolare che la Basilica di Sant’Agostino in Campo Marzio, dedicata al santo sulla piazzetta omonima, prossima a via della Scrofa, sia per certi versi lo specchio di quella sua giovinezza all’insegna del peccato: di fatto la chiesa legata a santi, madonne, cortigiane e fuggiaschi, costituisce per antica tradizione un incontro tra sacro e profano. A cominciare dal capolavoro di Caravaggio che è nella Cappella Cavalletti, sulla nava-
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Storie l’uomo e il territorio
Roma Basilica di Sant’Agostino, reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere
ta di sinistra, la “Madonna dei Pellegrini”. La leggenda vuole che l’artista, all’apice del suo successo, si rifugiò nella chiesa per sfuggire all’arresto, dopo aver ferito nella vicina piazza Navona il notaio Mariano Pasqualone, spasimante della bella Maddalena Antognetti, detta Lena. L’opera venne commissionata al Caravaggio, ai primi del Seicento, dal notaio bolognese Cavalletti per essere posizionata nella cappella di famiglia, ma quando il dipinto fu esposto al pubblico “ne fu fatto dai preti e da’ popolani estremo schiamazzo”. Secondo alcuni studiosi l’opera suscitò scalpore perché il Caravaggio utilizzò, come modella per la Madonna, proprio Lena, che varie fonti indicano come prostituta, altre
come amante dello stesso Caravaggio. L’artista finì così per contravvenire alle direttive pontificie che vietavano la raffigurazione, in veste di santi e madonne, di donne ritenute spudorate peccatrici. E da qui il passo è breve verso un’altra tradizione che vuole questa chiesa, unica in Roma, a essere frequentata dalla cortigiane. Nel XVI secolo la Roma papale è anche la città della prostituzione, con oltre 7000 donne dedite alla professione e provenienti da tutta Europa, il Pontefice tentò di arginare il fenomeno con scarso successo e, infine, per favorire almeno il ritorno alla vita onesta di questa, venivano obbligate ad assistere, specialmente nel periodo quaresimale, ad apposi-
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Roma Basilica di Sant’Agostino, reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere
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A raccontare le circostanze fuori dal comune è una famosa cortigiana di alto bordo, immortalata da Raffaello in varia dipinti, Beatrice Ferrara o Ferrarese, in una lettera a Lorenzo de’ Medici: «… così, mezzo contrita, mi confessai dal predicatore di Sant’Agostino; dico nostro, perché quante puttane siamo in Roma, tutte veniamo alla sua
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Storie l’uomo e il territorio
te prediche con l’obbligo di partecipazione. Troviamo così le “puttane emerite” o “cortigiane oneste” (prostitute d’alto bordo, che come le etère dell’antica Grecia, avevano una buona cultura e una certa educazione) sedute ai banchi delle prime file della Chiesa di Sant’Agostino a loro riservati, non perché si accostassero maggiormente al Signore ma per evitare che i fedeli, guardandole, si distraessero dalle sacre funzioni. Seppure, di certo non passavano inosservate: arrivavano accompagnate dai nobili “clienti” e da un corteo di paggi e servitori, indossando abiti appariscenti, a far bella mostra del loro fascino e sfoggio della loro ricchezza.
Roma Basilica di Sant’Agostino, reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere
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predica, ond’esso, vedendosi sì notabile audentia, ad altro non attende se non a volerne convertire tutte. Oh, dura impresa!». E quelle stesse cortigiane hanno avuto sepoltura nella Basilica di Sant’Agostino, in terra consacrata, proprio per distinguersi dalle prostitute di basso ceto, che venivano sepolte in terra sconsacrata nella zona del Muro Torto, luogo dove erano sepolti i criminali e gli assassini. Vi furono sepolte qui Giulia Campana, Tullia d’Aragona e la sorella Penelope, nonché Fiammetta Michaelis, amante di Cesare Borgia, figlio di Alessandro VI. Così è capitato che in mezzo a queste “puttane emerite” abbiano trovato sepoltura persone di alto rango, come i cardinali Lorenzo e Renato Imperiali e perfino Santa Monica, madre di Sant’Agostino, alla quale è dedicata la cappella della navata di sinistra, adiacente all’altare maggiore. Sembrerebbe che proprio, poco lontano dal sarcofago si dice vi sia il corpo della madre del vescovo di Tagaste (morta ad
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Roma Basilica di Sant’Agostino, reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere
Ostia nel 387 e i cui resti furono portati in Roma nel 1430) che si trovano alcune tombe di queste celebri prostitute che, godendo di alte protezioni, potevano avere sepoltura ecclesiastica. Voglio narrare la storia di una di loro, della quale si trovano altre tracce non lontano da questa chiesa e da Piazza Navona, percorrendo una traversa si incontra una piazzetta con un nome particolare: piazza Fiammetta, e sulla medesima piazzetta, dove incontra via dell’Acquasparta, affaccia un quattrocentesco palazzetto porticato che porta lo stesso nome. Non è comune la toponomastica riferita a figure femminili, quindi ci si può interrogare su chi fosse questa Fiammetta, addirittura ricor-
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istruita, capace di sostenere conversazioni dotte con uomini di cultura, ai quali offriva quindi oltre al suo corpo anche la sua piacevole compagnia dialettica. Riuscì così in breve tempo a conquistare i favori di uomini facoltosi e porporati. Tale era la sua fama che prima divenne
Storie l’uomo e il territorio
data nel centro di Roma: né una nobile né una benefattrice, ma appunto una prostituta. La ragazza era giunta tredicenne a Roma da Firenze e incomincia presto, insieme alla madre, l’attività meretricia, divenendo una delle cortigiane più famose. Fiammetta era colta e
Roma Basilica di Sant’Agostino, reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere
erede unica dei beni del cardinale Iacopo Ammannati Piccolomini, di cui era stata amante, almeno finché un intervento di papa Sisto IV fece sì che l’eredità le fosse affidata solo una parte del lascito, ossia una vigna con casino ubicata nei pressi del Vaticano e tre palazzi, di cui uno – appunto quello che porta il suo nome – possiamo si può ancora oggi nell’omonima piazzetta, a pochi decine di metri dal Tevere.La carriera di Fiammetta proseguì, divenendo l’amante preferita del cardinale e condottiero Cesare Borgia. Scandalizzò ancora la Roma cattolica perfino in occasione della sua morte, quando decise di essere seppellita all’interno della chiesa di Sant’Agostino, laddove era sepolto il suo vecchio protettore, il cardinale Ammannati Piccolomini. La Basilica di Sant’Agostino, una
delle prime chiese del Rinascimento romano, sorge nel luogo del campo Marzio detto Bustum, dove era stato bruciato il corpo di Augusto e in seguito i corpi di tutti gli altri imperatori. Fu fatta costruire, utilizzando il travertino sottratto dal Colosseo, nel 1483 dal cardinale Guglielmo d’Estonteville, ministro di Francia a Roma, ad opera dell’architetto Giacomo di Pietrasanta. Nel 1750 Luigi Vanvitelli rifece completamente l’interno dandogli la forma attuale e successivamente, nel 1855, i padri Agostiniani la fecero restaurare e decorare di nuove pitture. L’interno, costituito da tre navate sorrette da pilastri decorati da bronzi e dorature, ha un corredo artistico di notevole pregio, dall’altare maggiore costruito dal Bernini nel 1627, al dipinto del Guercino raffigurante Sant’Agostino, San Giovanni Evangelista e San
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Girolamo, fino all’opera ad affresco di Raffaello che rappresenta il Profeta Isaia dipinto dal pittore nel 1512. Nella navata centrale i pilastri sostengono arcate a tutto sesto, sopra le quali si snodano dodici storie della vita della Vergine Maria: in particolare, il terzo pilastro sinistro custodisce un gruppo marmoreo rappresentante “S.Anna che riunisce in un unico abbraccio la Vergine Maria ed il Bambino”, opera di Andrea Sansovino: nel giorno di Sant’Anna tutti i poeti di Roma venivano ad appendere intorno al simulacro i loro componimenti poetici, che si conservano ancora in un volume conservato nella chiesa. Un’altra attrattiva di questa Chiesa è la veneratissima Madonna del Parto, che la tradizione popolare vuole fosse stata realizzata da Jacopo Sansovino con l’adattamento di un’antica statua raffigurante Agrippina con in braccio il figlio Nerone. L’elemento pagano di fondo, con il riferimento al sanguinario imperatore, accendeva la fantasia popolare, facendo emergere un altro elemento fuori dagli schemi all’interno di questa chiesa,
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che è ormai evidente singolare per molti aspetti. Si pensava che fosse un’immagine miracolosa, come testimoniano i preziosi ornamenti che la circondano e i numerosi ex voto, in un aspetto profano assunto dalla venerazione. A tal punto da apparire in Belli protagonista di una blasfemia pantomima: «Tra ddu’ spajjère de grazzie dipinte/se ne sta a ssede co Ggesù bbambino,/ co li su’ bbravi orloggi ar borzellino, /ccatene, e ssciocccajje, e anelli e ccinte,/Dde bbrillanti e dde perle, eh! ccià l’apparto: /tiè vvezzi, tiè smanjjj, ttiè ccollana:/ e dde diademi sce n’ha er terzo e ‘r quarto. /Inzomma, accusì riccaa e accusì ciana, / quella povera Vergine der Parto/ non è più ‘na Madonna: è ‘na puttana». Il culto per questa Madonna risale ai primi dell’Ottocento, legato al voto di un operaio, la cui moglie aspettava un bambino: nato il figlio, l’operaio mantenne accesa, a sue spese, , a testimonianza di eterna gratitudine, una lampada a olio davanti alla statua della Madonna. Da allora è considerata la protettrice delle partorienti.
Il Soffio, opere di Luca Bray, foto di Massimino
luca Bray. il soffio. la liBertà nel colore Antonietta Fulvio
“
Si è tenuta negli spazi dell’ex Chiesa di San Francesco della Scarpa la personale di pittura dell’artista bresciano trapiantato nel Salento. Le sue grandi tele, realizzate durante la pandemia, sono state in mostra dal 24 agosto al 10 settembre 2021
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«Non mi piace l’arte che si sovrappone all’arte. Sono entrato nell’ex Chiesa di San Francesco della Scarpa con il massimo pudore e rispetto, creando con l’allestimento una sorta di stand per non essere invadente rispetto al barocco della Chiesa.»
Parola di Luca Bray che lo scorso settembre ha abitato gli spazi dell’ex complesso monumentale leccese, in piazzetta Carducci, con una sua personale che ha lasciato il segno. “Il soffio”, questo il titolo della mostra, inserita nel progetto promosso
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Il Soffio, opere di Luca Bray, foto di Massimino
dal Polo biblio-museale in collaborazione con AMA – Accademia mediterranea dell’attore. Nato in provincia di Brescia, classe 1971, Luca Bray ha frequentato l'Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, dove si è laureato con lode e vanta una carriera espositiva semplicemente strabiliante che lo ha visto esporre in luoghi prestigiosi in particolare in Messico dove ha trascorso sedici anni entrando in perfetta sintonia con i luoghi, il mare. Una terra caliente e vulcanica come le sue creazioni pittoriche: solchi di acrilici ma anche sabbia e gesso che disegnano percorsi come tracce magmatiche... Luca Bray predilige tele di grandi dimensioni, supporti pittorici anche inconsueti come materassi, barattoli, cancelli, ante di armadi su cui intervenire a mani nude e stendere i pigmenti in assoluta libertà lasciando fluire libero insieme al pensiero le parole che traducono ricordi, emozioni, persone, incontri. Non c’è da sorprendersi dunque se, di tanto
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Il Soffio, opere di Luca Bray; nel riquadro l’artista, foto di Massimino
in tanto, emergono dal fondo cromatico parole o frasi, per lo più in italiano e spagnolo perché considerate linguaggi dell’anima che forniscono ulteriori chiavi di lettura alla stessa opera. La pittura per Luca Bray è carnale, anima e sangue. E, soprattutto, libertà. Libertà emozionale che si traduce anche nel passo successivo della genesi pittorica quando Luca inonda le sue tele, facendo allagare un angolo del suo studio permettendo così ai dipinti di immergersi parzialmente o completamente nell'acqua. Il caso, forse, fa il resto. Probabilmente è la bellezza dell’imperfezione così come quella della vita ciò che l’artista vuole suggerire invitandoci a guardare con occhi nuovi forme e colori, espressione di un universo pit-
torico in cui decodificare la nostra appartenenza umana. Sue opere figurano in numerose collezioni pubbliche, tra cui la Jumex Collection, Città del Messico; Museo Antiguo Palacio Del Azobispado, Città del Messico; Museo d'Arte Moderna di Sinaloa; Fondazione Daniel Chappard, Venezuela; Museo d'Arte Contemporanea Morelia, Messico; Museo Amparo, Messico; e la Fondazione Culturale Bancomer, Messico oltre che in numerose collezioni private in tutto il mondo. E dopo il successo dell’esposizione leccese, dal 6 al 24 ottobre è tra gli artisti che espongono al MAXXI di Roma dove si svolge l’evento Swatch Art Peace Hotel, progetto di residenza d’artista di Swatch.
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successo per cinÉ iV edizione “diari dalla proVincia” Giovanna Ciracì
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Ideata con l’obiettivo di raccontare la poetica dei territori “periferici” attraverso lo sguardo delle giovani registe italiane e non solo. La quarta edizione della rassegna itinerante di cinema italiano si è svolta a San Vito dei Normanni
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Grande successo per la rassegna itinerante di cinema italiano “Ciné”, organizzata da Cattive Produzioni, fondata da Marco Mingolla. L’evento si è tenuto dal 14 al 16 settembre scorsi , nella sede di XFarm Agricolturra Prossima, a San Vito dei Normanni (BR). La manifestazione, giunta alla sua quarta edizione e patrocinata da Apulia Film Commission, Teatro Pubblico Pugliese e Regione Puglia, quest’anno è stata intitolata “Diari dalla provincia” ed è stata ideata con l’obiettivo di raccontare la poetica della “periferia”. Tre serate in cui le vere protagoniste sono state registe italiane che
hanno saputo raccontare nei loro lavori quei territori periferici in cui nascono storie intense e forti. Una realtà quanto dura tanto così vicina al vero, uno spaccato importante della nostra società che va assolutamente considerato. Ed è quello che hanno fatto Anita Rivaroli, Valentina Pedicini e Francesca Mazzoleni, alcune delle donne omaggiate in questa rassegna di grande rilievo. Mafia, storia locale, riscatto sociale si mescolano nelle pellicole firmate da queste registe, proiettate durante le tre serate e che hanno coinvolto notevolmente gli spettatori. La scelta della location che ha
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ospitato la manifestazione non è stata casuale: Xfarm è una azienda agricola nata sui terreni confiscati alla criminalità organizzata locale e che i
partecipanti hanno potuto visitare in una passeggiata aperta guidata da Marco Notarnicola, ceo xFarm. L’inaugurazione di Ciné si è
aperta il 14 settembre con “Portrait Project”, una serie web originale di Cattive Produzioni, con proiezione montage a cura di Rossana Tricarico, a cui ha fatto seguito il film “We are the thousand” di Anita Rivaroli con la quale si è aperto un dibattito sui temi della sua pellicola. Estremamente significativa l’appuntamento del 15 settembre, con un estratto del servizio vincitore del premio Ilaria Alpi 2012 “Mesagne e la SCU” di Lucia Portolano, ospite della serata, e l’omaggio a Valentina Pedicini, la
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regista brindisina scomparsa di recente, con la proiezione del suo ultimo film “My Malboro City”. Interessante e importante il dibattito che ne è seguito con la presenza di Michele Emiliano, presidente della Regione Puglia, intervenuto telefonicamente, Simonetta Dellomonaco, presidente Apulia Film Commission, Toni Matarrelli, Sindaco di Mesagne, e Riccardo Rossi, Sindaco di Brindisi. Cinè si è chiuso il 16 Settembre, con l’intervento di Vincenzo Madaro, direttore artistico del festival Vicoli Corti di cui è stato presentato il corto vincitore della XV edizione “Exam” di Sonia K. Hadad, e con “Punta Sacra” di Francesca Mazzoleni, presente all’evento.
genti. Cattive Produzioni Srls è una società di produzione e distribuzione cinematografica con sede a Roma e in Puglia, a San Vito dei Normanni, che nonostante le difficoltà del periodo ha deciso di organizzare una nuova edizione di questa rassegna con ottimi riscontri sotto ogni punto di vista. “Crediamo – afferma il fondatore Mingolla - sia importante dare un segnale forte a tutta la cittadinanza sanvitese e non solo: non ci si può arrendere.”
La programmazione ha previsto anche una residenza artistica per giovani autori emer-
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Matilda De Angelis, Il mio nome è leggenda, Credit Camilla Cattabriga
il mio nome è leggenda con matilda de angelis
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Dal 7 dicembre su Sky Arte la serie dedicata ai personaggi che hanno ispirato i grandi miti da Indiana Jones a Frankenstein, da Zorro a Betty Boop
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Gli spazi suggestivi del Salone del Podestà a Palazzo Re Enzo saranno il set della nuova produzione Sky Arte con l’attrice bolognese Matilda De Angelis. Il mio nome è leggenda, il nome della serie in sei puntate ideata e realizzata da Bottega Finzioni con Matilda De Angelis, in collaborazione con il Comune di Bologna e Bologna Welcome. Un viaggio nelle storie vere di illustri sconosciuti dai quali sono nati alcuni dei personaggi più noti dell’immaginario collettivo contemporaneo come Indiana Jones ideato da George Lucas, Frankenstein di Mary Shelley o Zorro. Con un sottile gioco metacinematografico, Matilda De Angelis narrerà l'origine di questi “miti d’oggi”, che saranno approfonditi dagli interventi del mass-mediologo Roberto Grandi. Il format è stato scritto da Miche-
le Cogo e dagli ex-allievi di Bottega Finzioni Gianmarco Guazzo, Alberta Lepri e Silvia Pelati, con la produzione esecutiva di Giuseppe Cassaro e la regia di Antonio Monti. La prima puntata andrà in onda il 7 dicembre su Sky Arte, On Demand e in streaming su NOW e avrà come primo protagonista Indiana Jones con Giovanni Battista Belzoni. Gli altri protagonisti saranno Frankenstein – Giovanni Aldini; Zorro – Joaquin Murrieta; Betty Boop – Helen Kane; Pippi Calzelunghe – Astrid Lindgren; Dracula – Conte Vlad III di Valacchia. «Il mio nome è leggenda - ha anticipato Matilda De Angelis - è la mia prima esperienza come narratrice e interprete di un programma televisivo solo mio. Era una cosa nuova, che un po’ mi spaventava. Ho deciso di provare
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perché le storie vere che stanno alle radici di personaggi come Frankenstein, Betty Boop o Indiana Jones, sono storie bellissime, incredibili, e mi hanno fatto venir voglia fin da subito di raccontarle a tutti.» L’autore e capo-progetto Michele Cogo di Bottega Finzioni ha spiegato: «Il mio nome è leggenda è un progetto nato per caso, come accade spesso con le cose belle. Ero al lavoro su un documentario per Sky Arte quando mi sono imbattuto nella bellissima storia di Giovan Battista Belzoni, l’archeologo Padovano che ha ispirato la nascita di Indiana Jones. Ecco, da quel momento, dia-
logando con Roberto Pisoni è nata l’idea di cercare altre storie di personaggi realmente esistiti che hanno dato origini a miti d’oggi come Frankenstein, Dracula, Betty Boop e tanti altri. Un lavoro che ci porta a entrare in contatto con storie meravigliose». «Il mio nome è leggenda - ha dichiarato il regista Antonio Monti - è uno strano essere a cavallo fra i linguaggi, che procede mescolando i generi: non è un monologo teatrale, non è uno studio tv, non è una location e non è un film. Al contempo è tutti questi elementi assieme che hanno il compito di evocare le leggende e gli elementi di realtà
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La sala circolare del Museo Sigismondo Castromediano di Lecce e il sassofonoista Roberto Ottaviano
mozart italia la musica al castromediano
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Ritorna a Lecce la musica al Museo grazie alla stagione concertistica dell’associazione musicale guidata da Antonio Montinaro. Concerti gratuiti da ottobre a febbraio 2022
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LECCE. Roberto Ottaviano, Alessandro Licchetta e altri musicisti protagonisti della nuova stagione di Mozart Italia. Con ottobre riprende la Stagione concertistica dell’Associazione Mozart Italia che avrà come palcoscenico la sala circolare della Collezione archeologica del Museo Castromediano di Lecce. Si rinsalda la collaborazione fra il Polo biblio-museale e l’Associazione Mozart, che ha fra l’altro fornito un supporto musicale nel corso delle attività presso l’hub vaccinale ospitato nel museo. Nata nel 2017, l’Associazione Mozart predilige il percorso di integrazione tra linguaggi e forme d’arte. Ecco perché prima di ogni concerto sarà possibile usufruire di una visita guidata gratuita (su prenotazione attraverso l’app IoPrenoto) all’interno della sezione archeologica del museo per poi soffermarsi all’ascolto di repertori musicali eseguiti da solisti prestigiosi e comples-
si strumentali di grande notorietà. Si parte il 1 ottobre con Salvatore Cutrino, pianoforte a seguire il 9 ottobre: Andrea Sequestro – Alessandro Licchetta (Pianoforte a 4 mani); il 15 ottobre sarà la volta di Francesco Scarcella con Le Armoniche Stravaganze. Roberto Ottaviano e Nando Di Modugno (Sax Soprano – Chitarra) sarà di scena il 29 ottobre; il 12 novembre Fabio Di Gennaro (Pianoforte) ore 20.30 mentre il Trio Alessandro Gazza, Enrico Tricarico, Domenico Zezza (Fisarmonica-PianoforteViolino) si esibirà il 18 novembre. Il 26 novembre il duo pianoforte e violoncello Maurizio Zaccaria e Gaetano Simone mentre il 18 dicembre si potrà assistere al concerto con Luigi Mazzotta e il Coro e Orchestra da Camera di Lecce e del Salento. L’appuntamento nel nuovo anno sarà il 7 gennaio con Andrea Carrozzo e Valeria Fasiello (Sassofono- Pianoforte) si prose-
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guirà il 14 gennaio: con il pianoforte di Giacomo Fronzi mentre il 28 gennaio sarà di scena il trio con Valentina Madonna, Domenico Balducci, Domenico Zezza (Voce – Pianoforte - Violino). Quattro gli appuntamenti previsti per il mese di febbraio: il 4 con l’Ensemble Jupiter: Pier Paolo Del Prete - Maurizio Lillo – Nicola Scalcione – Maurizio Ria – Giovanna Tricarico (Violino I, - II - Viola – Violone – Cembalo); l’11 con il pianoforte di Francesco Pasqualotto; il 18 con il duo Tito Ciccarese e Valerio De Giorgi (Flauto – Pianoforte) e il 25 febbraio con il Sonar Trio: Marco Delisi – Roberto D’Urbano – Vanessa Sotgiu (Flauto -Clarinetto-Pianoforte) e Giuseppe Giannotti. Tutti i concerti saranno gratuiti con prenotazione obbligatoria al 338.64.06.076.
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ViVere è ricordare Giovanni Bruno
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Le riflessioni dello psicologo psicoterapeuta
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a nuova stagione cinematografica ha inizio con un film straordinariamente interessante: Supernova è un road movie scritto e diretto da Harry Macqueen, interpretato da Stanley Tucci e Colin Firth. I due protagonisti sono compagni nella vita, hanno professioni diverse che conducono con successo, l’arte e la ricerca del bello sono quasi la loro ragione di vita. La malattia, purtroppo, irrompe nelle loro esistenze, a Tusker infatti viene diagnosticata una demenza precoce, così la loro relazione adesso ha un terzo elemento la malattia appunto, che richiede cambiamenti, trasformazioni, nuovi punti di vista. Il tema della demenza precoce o senile e della malattia di Alzheimer è stato affrontato da numerosi film, romanzi e letteratura divulgativa in genere. È un argomento che tocca moltissimo gli individui che devono affrontare la malattia , le famiglie che devono supportare i malati, ma anche le persone sane in quanto il disturbo lede ciò che
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ognuno di noi ha di più caro: la memoria. La memoria è una funzione cognitiva molto complessa e rappresenta la nostra capacità di ricordare. Anche se non vogliamo addentrarci in aspetti anatomici o neurofisiologici ci basta sottolineare che il ricordo, la traccia mnestica è di tipo dinamico, non è localizzata in una sola area del cervello, anche se il consolidamento del ricordo si realizza nell’ippocampo che è situato nella regione interna del lobo temporale. Tuttavia una distinzione interessante che va sottolineata è quella tra memoria esplicita e memoria implicita. La prima fa riferimento a quei ricordi, fatti, persone che ricordiamo consapevolmente. La seconda invece è caratterizzata da un utilizzo inconsapevole, automatico del ricordo. La memoria procedurale, per esempio, si riferisce proprio a quelle conoscenze depositate nella nostra memoria e che mettiamo in atto in modo automatico come quando gui-
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Foto di Piyapong Saydaung da Pixabay
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I luoghi della parola
diamo l’auto o suoniamo uno strumento. Ma perché la memoria, al di là degli aspetti patologici, suscita un così grande interesse in tutti noi? Le risposte potrebbero essere tante, la prima che ci viene in mente è che la memoria è indissolubilmente legata alla nostra identità. Nell’uomo c’è angoscia quando mancano i riferimenti. E i riferimenti per noi umani sono i nostri ricordi. I ricordi sono la rete nella quale siamo avviluppati, sono le emozioni forti che abbiamo provato, le persone che abbiamo amato, gli accadimenti che ci hanno coinvolto. Il ricordo, la memoria ci rimette al passo con noi stessi, ci permette di percepire e valutare in modo costante nel tempo il nostro essere. Il nostro stare al mondo. Nella malattia, nella demenza precoce o senile si fa strada una congenita disappartenenza. La rete di ricordi presenta dei grossi buchi e la persona è persa in un limbo di inconsapevolezza. Risulta molto difficile comunicare e stabilire una relazione con questi malati. A volte può succedere che parliamo loro come se fossero dei bambini. Ma non sono bambini sono degli adulti con una propria soggettività e dignità e lo sforzo è proprio quello di definire un dialogo alla pari. Le difficoltà non ci devono scoraggiare ma il tentativo è di entrare nel loro mondo e tentare di trovare una bussola, un filo conduttore. Anche solo con lo sguardo, lo sguardo è la prima forma di noi con cui accogliamo gli altri. E poi c’è la forza dell’amore che deve prevalere. Proprio come nel film citato all’inizio, dove, alla scoperta della malattia, si fa strada una profonda devozione tra due esseri umani che vivono l’uno per l’altro. E nel groviglio di sentimenti, spesso ambivalenti, prevale sempre l’idea della restituzione dell’affetto che è anche prendersi cura dei corpi che un tempo si sono amati.
lo scostumato pop surrealismo di max hamlet sauVage Dario Ferreri
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Un viaggio tra i luoghi e nonluoghi fisici ed emozionali dell'arte contemporanea
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«Non ho particolari talenti, sono soltanto appassionatamente curioso»
CURIOSAR(T)E
Albert Einstein
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" Ci sono due cose che mi hanno sempre sorpreso: l’intelligenza degli animali e la bestialità degli uomini" (Tristan Bernard)
l mio primo incontro con la colorata e peculiare arte di Max Hamlet Sauvage avvenne circa una ventina di anni fa grazie alla vista di una sua litografia in casa di una parente. Confesso che il disturbante impatto iniziale, attutito negli anni grazie alle ripetute analisi visive dell'opera, si è nel tempo tramutato in interesse per l'arti-
sta grazie all'approfondimento ed apprezzamento dei filoni artistici noti come pop surrealism e lowbrow, di chiara provenienza e matrice americana e che in Italia, almeno fino a pochi anni or sono, hanno goduto di scarsa popolarità nel mondo dell'arte cosiddetta "highbrow" (arte “colta”). Da circa una decina d'anni, nel
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Max Hamlet Sauvage, Sex Party 2006
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CURIOSAR(T)E
Max Hamlet Sauvage, Il bigamo e l’orgia, 2007,
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nostro paese, sono aumentati gli artisti ritenuti ispirati dal movimento pop surrealista americano (e spesso snobbati dalla critica in quanto, secondo alcuni, meri riproduttori di clichè ed iconografie già sperimentate oltreoceano nei precedenti anni) e che hanno iniziato a far apprezzare l' universo creativo di riferimento di tale filone artistico che, proprio perchè pop, è immediato, accattivante ed assai apprezzato dal pubblico. Alcuni di questi artisti, che oggi collaborano con gallerie underground e circuiti lowbrow, pur avendo il loro pubblico e mercato di riferimento, non godono di favore di critica per i motivi sopra espressi, altri, invece, ed a titolo esemplificativo cito quelli assegnati al "progetto" italian newbrow (neologismo coniato dal critico d'arte Ivan Quaroni), collaborano anche con gallerie storiche e sono inseriti in circuiti collezionistici più tradizionali. In tale contesto, la "strana" presenza ed opera di Max Hamlet Sauvage, attivo sulla scena artistica già dalla fine degli anni '70, proprio nel periodo in cui emerge in California il pop surrealismo, rappresenta certamente, per cifra artistica, gusto pop ed elementi iconografici e culturali di ispirazione, uno dei pochi casi di artisti italia-
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ni originali che possono essere meritatamente ascritti a tale filone artistico. L'artista dipinge (l'acrilico è il suo medium preferito) e crea statue in molti diversi materiali; l'ossessione per la serialità del pop si traduce anche nell'utilizzo di tecnica mista (serigrafia su tela ed acrilico) che fa riproporre, all'artista, negli anni, alcune sue scene ed immagini iconiche con leggere variazioni di dimensione, colore e/o particolari del dipinto, che vanno a comporre una sorta di "multipli", solo leggermente differenti gli uni dagli altri, che raccontano l'ispirazione, la vita e le esperienze contingenti dell'artista (e forse anche una strizzata d’occhio al mercato). Esibizionista, sfrontato, sessista, respingente e talentuoso sono aggettivi che potrebbero calzare a pennello per definire di primo impatto l'artista, salvo poi ricredersi o confermare la prima impressione dopo averlo incontrato di persona. Max Hamlet Sauvage, classe 1950, nasce a Gallipoli (LE). La formazione di questo poliedrico artista parte dal 1969, anno in cui segue i corsi di pittura della Scuola d’Arte Castello Sforzesco di Milano e successivamente frequenta l’atelier di Arti incisorie sotto la guida del professor Pasquale D’Orlando.
Max Hamlet Sauvage, Adescatrice della notte; Piscina mediterranea o pomeriggio in piscina;
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Nel 1972 frequenta i corsi della scuola libera di Anatomia a Brera (Milano). Nel 1984 si iscrive ai corsi di fotografia all’Istituto ISAD con Luciana Mulas e successivamente al Circolo Filologico Milanese (sezione fotografica) con l’insegnante prof. Virgilio Carnisio. Fotografa dal 1970. Ha incontrato molti artisti famosi nella sua vita. Suoi epigoni di riferimento, più volte omaggiati con delle serie tematiche, sono i grandi Andy Warhol, Max Ernst, Renè Magritte, Giorgio De Chirico, Roy Lichtenstein e Salvador Dalì, solo per citarne alcuni. Se Max Hamlet Sauvage fosse vissuto in America, patria del pop surrealismo, forse le sue fortune artistiche sarebbero nettamente superiori; lo ha penalizzato, ritengo, il fatto di aver frequentato, artisticamente parlando, soprattutto mercati ed ambienti francofoni e nazionali che, come ho già avuto modo di sottolineare, hanno tributato poco interesse ed attenzione al filone artistico cui lui, pur se con le sue peculiarità, potrebbe essere ascritto. Ciò che colpisce della sua produzione è il rifiu-
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to di indulgere in una iconografia estetica socialmente accettabile, caratteristica invece abbastanza frequente nel pop surrealismo, e privilegiare tematiche di denuncia sociale, critica storica e rivisitazioni artistiche attraverso il suo ormai famigerato "universo zoomorfo metropolitano". Il sesso, i soldi, il potere, l'erotismo, l'androcentrismo, il piacere, lo zoomorfismo e la saturazione dei colori rappresentano i leitmotiv della pittura surrealista di Max Hamlet Sauvage, che attinge a piene mani, ma rielaborando originalmente, dal macrocosmo del pop e dall'iconografia dei cartoon. Le sue opere, sia i dipinti che le sculture, non passano inosservate e la carnalità e la crudezza di molti suoi lavori non sono per tutti, soprattutto nel Salento, dove in molte case sovente la fanno da padrone noiosi dipinti che ritraggono paesaggi, fiori, silhouette classiche e visi rassicuranti che garantiscono una confort zone domestica. Come ha detto Banksy "l'arte deve disturbare il comodo e confortare il disturbato" e le opere di Max Hamlet Sauvage
Max Hamlet Sauvage,, Venere acquatica, 1987; Pittore e modella
assolvono egregiamente al duplice scopo e molti suoi lavori rappresentano di certo "pezzi da conversazione". Nel corso della sua carriera artistica ha sinora esposto in Italia e Francia, con qualche puntata anche, in passato, a Londra, Praga e New York. Il Museo Pinacoteca “Enrico Giannelli” di Parabita, ospita in permanenza il corpus di sue opere “Sculture biomorfichedall’idea all’anima della forma (opere inedite disegni e scultureanni ’75-85)”. Attualmente Max Hamlet Sauvage vive e lavora a Tuglie (LE). Per seguire l'artista: https://maxhamletsauvage.wordpress.com/about/; su Facebook https://www.facebook.com/MaxHamletSauvage.official; su Instagram https://www.instagram.com/hamletsauvage/?hl=it
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Corigliano d’Otranto, La Chiesa madre di San Nicola, Claudio Vuck (set 2021)
il mistero del campanile 'interrotto' della chiesa madre Raffaele Polo
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A Corigliano d’Otranto un altro luogo misterioso
C I LUOGHI DEL MSITERO
'è una certa confusione di date: come in tutti i fatti che si perdono nella notte dei tempi, per il nostro Salento contano di più le tradizioni orali, i racconti, le leggende che finiscono per costituire una Verità non provata storicamente, ma piacevolissima da registrare e condividere. Così, alzando gli occhi verso la sommità della 'guglia' di Soleto, ovvero del magnifico campanile che svetta agile e splendido nonostante una accentuata inclinazione dovuta all'assestamento del terreno argilloso, ci viene solo in mente la figura del 'mago' Matteo Tafuri che, si narra, utilizzò per la costruzione del campanile l'opera di diavoletti e spiritelli di tutte le forme, lavoratori alacri per una intera notte, fino ad essere sorpresi alle prime luci del mattino e rimanere, a mo' di statua, proprio ai lati della torre, a testimoniare l'intervento esoterico necessario per completare quella bellezza... Tanta filosofia, tanta storia con contraddizioni evidenti (la costruzione del campanile sarebbe anteriore alla presenza del Tafuro...) ma la realtà è proprio sotto i nostri occhi, un esempio unico della maestria dei costruttori di casa nostra... Unico?
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Lo credevamo, finché non siamo capitati a Corigliano d'Otranto, davanti alla Chiesa Madre, oggi quasi nascosta, alle spalle di Palazzo Comi e con la memoria turistica oscurata dalla imponenza del Castello e dalla particolarità dell'Arco Lucchetti. Accanto alla Chiesa di San Nicola c'è il campanile, che ha una storia simile al coevo fratello maggiore di Soleto. Edificato, anche lui, su una preesistente torre, si sviluppa proprio come il campanile di Soleto, interrompendosi bruscamente al terzo stadio. Una striminzita 'legenda' spiega che i lavori di edificazione furono interrotti perché i soletani, invidiosi e arcigni depositari della unicità del proprio campanile, provvidero a eliminare il maestro costruttore, sottraendogli la scala e provocandone la morte. Nessuno pensò di continuare i lavori (non si sa perché...) e dunque il potenziale concorrente della 'guglia' soletana è rimasto incompiuto. Ma, anche ad una superficiale osservazione, si riscontra una incredibile somiglianza e viene da chiedersi se, anche qui, non sia stato necessario un intervento sovrumano per edificare il torrione. Poi, magari, ancora le luci del mattino sono intervenute a bloccare i lavori e i diavoletti hanno fatto in tempo a svolazzare via, segui-
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ti da tutte le figure mostruose che abitano, da sempre, sulle facciate degli edifici religiosi. E le cronache ignorano completamente questo episodio, non si conosce il nome dello sfortunato costruttore, e neppure una approssimativa attribuzione viene tentata, nonostante l'opera incompiuta sia sotto gli occhi di tutti: sarebbe stato un serio concorrente alla agile imponenza soletana, e i coriglianesi avrebbero avuto di che vantarsi, nei secoli dei secoli. In una sorta di consolazione, nell'Ottocento la Chiesa è stata abbellita con un pavimento 'museale', un mosaico che rimanda a quello di Otranto, ma con un Albero della Vita
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molto ridotto e semplificato. E, dulcis in fundo, nel periodo fascista, l'ingresso della chiesa è stato integrato con una cortina che copre il ballatoio di congiunzione dei due tratti laterali di scale che convergono verso il centro. Poca cosa, in verità. Perché a noi interessava particolarmente la storia del campanile e quella del suo sfortunato capomastro, morto perché l'opera non fosse terminata e Corigliano non potesse concorrere direttamente con Soleto. Questo ci viene da pensare, alzando gli occhi sulla facciata di San Nicola a Corigliano, nella più tradizionale Grecìa del Salento, in Puglia, in Italia.
Alcuni momenti della presntazione, foto del Rotary Club Brindisi Valesio
il compasso morale del cane il punto sulla pandemia
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Il libro di Aldo Recchia presentato a Brindisi grazie all’incontro organizzato dal Rotary Club Brindisi Valesio. Un libro che fa luce sul “buio” che abbiamo vissuto
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I LUOGHI DELLA PAROLA
Si è svolto lo scorso 23 settembre in anteprima a Brindisi, nella sala reale del Grande Albergo Internazionale, la presentazione del libro “Il compasso morale del cane” di Aldo Recchia, edito da Il Raggio Verde. La manifestazione, organizzata dal Rotary Club Brindisi Valesio presieduta dall’ingegnere Teodoto Muscogiuri, ha visto una grande partecipazione di pubblico. Al tavolo dei relatori il professore Ettore Catalano, già Professore di Letteratura Italiana e ora Professore onorario dell’Università del Salento, che firma la prefazione al libro, lo stesso presidente del Rotary, il dottor Francesco Colizzi, psichiatra, psicoterapeuta, direttore del Centro di Salute Mentale di Brindisi, Coordinatore Regionale Aifo e la giornalista Antonietta Fulvio direttore editoriale della casa editrice.
“Il compasso morale del cane” è stato accolto con grande entusiasmo dai relatori che hanno evidenziato l’importanza del testo scritto dal giornalista Aldo Recchia nato a Torre Santa Susanna (BR) il 17 gennaio 1945, già docente di materie letterarie nelle scuole medie, ha lavorato presso “La Gazzetta del Mezzogiorno” dal giugno 1969 al gennaio 2003: per dodici anni presso la sede centrale di Bari, in qualità di correttore di bozze; poi presso la redazione di Brindisi da giornalista professionista. Prima de “Il compasso morale del cane”, nel ’93 e nel ’97, Aldo Recchia ha pubblicato due saggi dal titolo “Orientagiovani”, apprezzate guide per neodiplomati, alle prese con la scelta di una facoltà universitaria. Nei primi Anni ‘90 è stato insignito del titolo di Cavaliere al merito della Repubblica.
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Di libri che si sono scritti e che parlano di pandemia ne sono stati pubblicati tanti ma, come scrive il professore Ettore Catalano, «il titolo, “Il compasso morale del cane”, sfrutta, da un punto di vista linguistico, l’anisomorfismo per generare un effetto conoscitivo divisivo tra ambiguità voluta e ricchezza semantica procurata, giocando anche sulle ricerche del noto etologo americano Marc Bekoff, studioso della vita emotiva degli animali. L’obiettivo del libro - gustoso e scritto con vivacità che lo avvicina certo al suo Lettore - è quello di offrire spunti di riflessione, volti a contrastare la pretesa mania di onnipotenza degli esseri umani e spingerli a modificare i loro comportamenti, per evitare guai peggiori al
pianeta Terra. Nel contempo l’autore sottolinea il ruolo insostituibile dell’Informazione, elemento costitutivo della Democrazia e del sempre più latitante Bene Comune.» Durante la presentazione sono stati evidenziati gli aspetti salienti del libro come l’analisi attenta e documentata dei fatti accaduti dall’inizio della pandemia riportando le fonti con rigore e chiarezza espositiva. Ciò che accaduto è già Storia e ha cambiato il corso della vita di tutti, gli scenari politici ed economici del mondo, le nostre sicurezze... è bastato un virus, un nemico invisibile, per sovvertire il nostro stile di vita, toglierci con un battito di ciglia ciò che davamo per scontato come gli abbracci, le carezze ai nostri cari, il potersi
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riunire intorno ad un tavolo conviviale... La clausura è stata dura quanto necessaria, ma la battaglia non è stata ancora vinta, la campagna vaccinale sta dando i suoi effetti ma non ci si può permettere di abbassare la guardia. Siamo ancora estremamente fragili e vulnerabili. E, soprattutto, non ci si può più permettere di continuare ad inquinare e depredare il pianeta perché gli effetti dell’inquinamento e del riscaldamento globale sono già sotto gli occhi di tutti e il futuro è già compromesso. Nel suo libro Aldo Recchia è riuscito a porre l’accento sulle “diverse” pandemie, sulla pericolosità del qualun-
quismo ben raccontato nella prima parte del libro con il dialogo tra due protagonisti sul lungomare...sul ruolo centrale dell’informazione, sulla difesa della lingua italiana, contro i facili anglicismi. Un appello che suona ancora più accorato nel settimo centenario della morte del sommo poeta. E pensando ai tanti impegni culturali del Rotary Club Brindisi Valesio non possiamo non ricordare tra le prossime iniziative il concerto solidale “VianDante” con la voce narrante di Marilena Lucente e la chitarra, pianoforte e voce di Beppe Delre in programma nell’Auditorium del Morvillo Falcone il prossimo 24 ottobre.
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Fig. 1, Michelangelo Merisi da Caravaggio, Seppellimento di S. Lucia, 1608, Siracusa, Santuario di S. Lucia
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siracusa non solo caraVaggio Dario Bottaro
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I pittori del Seicento aretuseo
attorno al suo corpo esanime che attende di trovare il riposo eterno, abbracciato dalle viscere della terra. E non c’è alcun dubbio che l’esempio del pittore fuggiasco dall’isola di Malta, abbia influenzato la cerchia dei suoi conoscenti e molti altri artisti che dalla sua tecnica hanno preso in prestito l’importanza della luce, che plasma la materia, la rende viva e percepibile, capace non soltanto di dare vita ai corpi, ma anche e soprattutto alle anime. Ed è proprio grazie alla presenza di questo artista - riscoperto dal Longhi dopo la metà del secolo scorso – ed all’opera sopra citata, realizzata su commissione del Senato Siracusano per la chiesa di S. Lucia fuori le
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Storie. L’uomo e il territorio
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ella città di Aretusa, di Archimede, di santa Lucia – ovvero Siracusa - il dipinto più importante e probabilmente quello di cui si è parlato e si parla il più delle volte è certamente il celebre “Seppellimento di Santa Lucia” (fig. 1), opera del pittore Michelangelo Merisi da Caravaggio o semplicemente detto Caravaggio. È certamente l’opera simbolo della città, non fosse altro per ciò che rappresenta, esplicito riferimento al martirio della Patrona e Concittadina Lucia. Certo Caravaggio, seppe interpretare il sentimento di devozione religiosa, il pathos della drammatica fine terrena della giovane cristiana, i sentimenti di quel popolo stretto
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Storie. L’uomo e il territorio
Fig. 2, Mario Minniti, Miracolo della vedova di Naim, 1614-1620, Museo Regionale, Messina
mura, che altri artisti suoi contemporanei e non, hanno trovato ispirazione per le loro opere che arricchiscono ancora oggi il grande patrimonio storico-artistico della città siciliana. Il più vicino allo stile di Caravaggio fu l’artista Mario Minniti, siracusano di nascita (8 dicembre 1577 – 22 novembre 1640) che dal “maestro della luce” seppe prendere in prestito la tavolozza cromatica dai toni caldi e in modo particolare i giochi chiaroscurali che caratterizzano la sua cifra stilistica. Un continuo rimando di ombre, di profondità e di luci che illuminano i protagonisti delle sue opere, rendendoli altrettanto vivi e capaci di instaurare un dialogo con chi è davanti alla tela. Uno di questi esempi, per la bellezza della gestualità che si arricchisce dell’esperienza romana del pittore è il “Miracolo della vedova di Naim” (fig. 2), oggi esposto presso il Museo Regionale di Messina dove la concitazione per il mira-
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La processione di San Sebastiano a Siracusa, foto di Dario Bottaro
colo – che è sotto gli occhi di tutti gli astanti – è espressa dalle espressioni dei volti e in modo particolare dalla gestualità continua che sembra percorrere l’intera superficie dell’opera come una serie di linee convergenti al centro, dove è posizionata la mano del Cristo che compie il prodigio. Siracusa conserva diverse opere del Minniti, il quale fu anche artista del Senato cittadino e a tal proposito chiamato a realizzare alcune importanti opere come ad esempio una pala con soggetto “L’Angelo custode” per la cappella dello stesso Senato, così come riferito in un documento della seduta consiliare del 6 dicembre 1637 – da poco pubblicato nel libro “Caravaggeschi, la pittura del Seicento a Siracusa” a cura del prof. Michele Romano e di chi scrive questo articolo, conservato presso l’Archivio di Stato di Siracusa. Purtroppo di quest’opera non si ha più traccia, probabilmente rovinata o andata distrutta a seguito del terremoto del 1693, ma altre sono ancora oggi visibili presso alcune chiese e in modo particolare nella sala dedicata al pittore presso la Galleria Regionale di Palazzo Bellomo, uno dei luoghi simbolo della cultura di Siracusa, un contenitore d’arte che racconta secoli di storia. Nella chiesa di S. Pietro al
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Fig. 3, Mario Minniti, Quattro santi coronati, prima metà XVII sec., Chiesa S. Pietro al Carmine, Siracusa
Carmine è possibile ammirare la pala centinata con “I quattro santi coronati”(fig.3), un tempo esposta presso l’omonima chiesa di cui oggi non restano che pochissime rovine, poco distante dalla sede attuale. Nella chiesa del Monastero di S. Benedetto, di antica fondazione, è la grande pala d’altare con sua cornice, raffigurante il “Transito di San Benedetto” (fig. 4) e molto particolare perché mostra in primo piano, sul lato del sarcofago, lo stemma nobiliare della famiglia Imperatore che commissionò l’opera. Anche in questa tela, la lezione caravaggesca si esprime attraverso l’utilizzo della luce che mette in rilievo i personaggi e separando la scena in due ben distinte zone, quella inferiore e umana con il santo a braccia aperte che guarda in alto, dove una voragine fra le nubi si riempie di luce dorata che evidenzia la gerarchia celeste, pronta ad accogliere il santo in Paradiso. Spostandoci nella sala di Palazzo Bellomo troviamo le altre opere del Minniti che testimoniano non soltanto il capace utilizzo del metodo caravaggesco, ma anche la sua capacità di saper rendere alcuni dettagli tipici della “Maniera”, in un insieme il cui risultato è armonia di gesti, colori, luci e ombre. Colpisce in modo particolare la tela del “Martirio di Santa Lucia” (fig. 5), di dimensioni ridotte rispetto alle pale d’alta-
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Fig. 4, Mario Minniti, Transito di S. Benedetto, 1625, Chiesa di S. Benedetto, Siracusa
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Fig. 5, Mario Minniti, Martirio di S. Lucia, 1630-40, Galleria Regionale di Palazzo Bellomo, Siracusa
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Fig. 6, Mario Minnit, Miracolo di S. Chiara, 1624, Siracusa, Galleria Regionale di Palazzo Bellomo Fig. 7, Mario Minniti, Deposizione, 1618, Siracusa, Galleria Regionale di Palazzo Bellomo
re e quindi di probabile committenza privata per il culto in famiglia. Di quest’opera colpisce la bellezza della figura di Lucia, l’espressione estatica che trasmette il pathos del martirio, cui si appresta il manigoldo con il pugnale in mano che sta per sferzare il colpo mortale. Qui l’immagine di Lucia, dal ricco abito arricchito di motivi damascati, immobile e con le braccia incrociate al petto, si contrappone a quella dell’aguzzino colto nel momento in cui il gesto che dev’essere compiuto, implica la concentrazione della forza che scaturisce
nel moto di tutto il corpo, maggiormente evidenziato dal movimento del manto rosso che svolazza creando una danza circolare di pieghe e panneggi. L’opera come di recente pubblicato, entrò a far parte della collezione museale nel 1996, dono di Luigi Bernabò Brea in memoria della moglie C. Ghighizola. Altre due opere del pittore, “Il miracolo di Santa Chiara” e la “Deposizione” (fig. 6 e 7) presentano le caratteristiche del suo linguaggio pittorico, espresso inoltre nelle raffigurazioni paesaggistiche che si aprono a
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Fig. 8, Onofrio Gabrieli, Martirio di S. Lucia, 1660-70, Chiesa S.M. della Concezione, Siracusa
fare da sfondo alle scene rappresentate. Un elemento quest’ultimo che, se in parte circoscrive l’artista nell’ambito di quei pittori ancora legati alla raffigurazione scenica, ne testimonia comunque la padronanza della tecnica e la cura del dettaglio. Accanto a questa figura importante per lo sviluppo artistico della città di Siracusa – ricordiamo che molte opere del Minniti sono custodite in diverse chiese della Sicilia centroorientale, a Malta e presso diversi Musei della Regione – si accostano quelle di altri pittori come ad esempio Daniele Monteleone, Giuseppe e Giovanni Reati ed altri, tutti artisti del Seicento che con le loro opere hanno dato lustro alla città di Siracusa. Queste testimonianze artistiche sono tutt’oggi visi-
bili nelle chiese di S. Lucia alla Badia, di S. Maria della Concezione, dove troviamo due pale d’altare del messinese Onofrio Gabrieli, aventi per soggetto il “Martirio di S. Lucia” e la “Madonna della Lettera” (fig. 8 e 9), testimonianza quest’ultima degli intensi rapporti di scambio tra le due città siciliane. Nella stessa chiesa di questo antico monastero possiamo ammirare la grande pala dell’altare maggiore con “ L’ I m m a c o l a t a Concezione” (fig. 10) dipinta da un altro artista messinese, Agostino Scilla, lo stesso cui venne dato incarico di affrescare la nuova cappella del Ss.mo Sacramento nella Cattedrale di Siracusa. Infine, non possiamo non citare il dipinto della “Madonna dei pericoli” (fig. 11) attribuito a Fra Domenico da
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Fig. 9, Onofrio Gabrieli, Madonna della Lettera, 1658-1662, Siracusa, Chiesa di S. Maria della Concezione
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Fig. 10, Agostino Scilla, Immacolata Concezione, sec. XVII, Chiesa di S. Maria della Concezione, Siracusafoto di Dario Bottaro
Palermo, opera della seconda metà del XVII secolo, cui sono chiari i riferimenti alla “Madonna dei pellegrini” di Caravaggio, ma che risente fortemente dell’impronta di una pittura nordica, che si evince dalla volumetria del manto azzurro della Vergine e si manifesta anche per alcuni dettagli preziosi che ne adornano la figura, come l’orecchino a goccia e il filo di perle fra i capelli. Siracusa ci presenta quindi il suo Seicento, ci parla di committenze private e di opere per il pubblico culto che hanno segnato un’epoca ed hanno confermato la presenza di artisti importanti, oltre Caravaggio, che con il loro lavoro hanno dato ampio respiro alle esigenze della città, trasformandole in una meravigliosa policromia che ancora oggi è possibile osservare e sperimentare seguendo i tanti itinerari della cultura aretusea.
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Fig. 11, Fra Domenico da Palermo, Madonna dei pericoli, seconda metà XVII sec., Siracusa, Chiesa di S. Maria della Misericordia e dei Pericoli, Siracusa
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il grande male. ciak a Bari per il film di mario tani
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Al via le riprese del film con Roberto Corradino interprete de “Il paese delle spose infelici” di Pippo Mezzapesa
”
Hanno preso il via venerdì 8 ottobre, nella città di Bari per quattro settimane, le riprese del film de “Il grande male” scritto e diretto da Mario Tani, con Roberto Corradino, Michele Sinisi, Elena Cotugno, Lucia Zotti, Danilo Giuva, Vincenzo De Michele e Christian Di Domenico. Dopo un incubo notturno, Giulio (Roberto Corradino, “Il paese delle spose infelici” di Pippo Mezzapesa) non riesce più ad uscire dal cortile di casa. Da quel momento mancano sette giorni alla fine del mondo. La verità si
nasconde dietro ad un sibilo proveniente dal sottosuolo del suo palazzo. “Il grande male” è un film particolare, differente nella linea narrativa e nella ricerca estetica; è un film di genere, ma è anche un film drammatico i cui elementi principali sono però quelli tipici di un thriller, con mistero e suspense a condire una storia dai risvolti fantastici. Il motivo principale è la scelta del punto di vista: la mente del protagonista” queste le parole del regista Mario Tani che anticipa le linee guida del
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film. Nel cast, fra gli altri, anche Michele Sinisi e Elena Cotugno, quest’ultima recente vincitrice del prestigioso Premio Le maschere del teatro Italiano. Mario Tani sin dal 1990 si realizza corti, spot pubblicitari, video musicali e documentari, e partecipa ad importanti festival di cinema sia italiani che stranieri. Nel 2002 è Gillo Pontecorvo a premiare il suo cortometraggio L’affaire a Cinecittà, mentre numerosi sono i riconoscimenti ottenuti con i successivi cortometraggi, Un certain regard (2006) e Le dernier combat (2010). È coautore e produttore del documentario Temporary Road. (una) Vita di Franco Battiato, distribuito da NEXO Digital, presentato al Torino Film Festival e 1° incasso medio italiano
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nella uscita in sala del 2013. Tra i fondatori di MAC film, di cui è amministratore dal 2005, è anche Direttore artistico dell’evento Cinema Show insieme a Stefano Belli. Nella sua filmografia, tra gli altri: Dies Irae (1998), L’anello di Moebius (2000), The Buzz (2001), L’Ospite (2003), Emigranti (2008), Passione Carbonara (2011), Roseline (2020). Prodotto da Mac Film/Amaranta Frame, il film è realizzato con il contributo del Ministero della Cultura e dell’Apulia Film Fund di Apulia Film Commission e Regione Puglia a valere su risorse del POR Puglia F E S R - F S E 2014/2020 2014/2020, con l’impiego di 26 unità lavorative pugliesi.
raffaello e la domus aurea l’inVenzione delle grottesche 23 giu 2021 – 07 gen 2022 Domus Aurea via Serapide nel parco del Colle Oppio Roma raffaellodomusaurea.it Verona, gam Galleria d’Arte Moderna Achille Forti – Palazzo della Ragione Cortile Mercato Vecchio 6 – Verona Tel. 045 8001903 www.gam.comune.verona.it Facebook @GAMverona Instagram @museiciviciverona YouTube http://bit.ly/YouTubeIMUV Orarida martedì a domenica, dalle 10 alle 18. ultimo ingresso alle 17.15 chiuso il lunedì, biglietto: Intero: 4,00 € Ridotto: 2,5 € ottaVio missoni (11 febbraio 192111 febbraio 2021) Museo MA*GA Gallarate, Via E. de Magri 1 Tel. +39 0331 706011; info@museomaga.it; www.museomaga.it Orari: dal martedì al venerdì, dalle ore 11.00 alle ore 16.00 Per visitare le mostre è preferibile prenotare al numero tel. 0331.706011. italiae. dagli alinari ai maestri della fotografia contemporanea fino al 10 ottobre 2021
inferno fino al 13 marzo 2022 Scuderie del Quirinale Roms
il mito di Venezia. da hayez alla Biennale Novara, Castello Visconteo Sforzesco 30 ottobre 2021 – 13 marzo 2022 a cura di Elisabetta Chiodini
fuori dai cori tre "quadri di tarsia" di fra damiano zamBelli da Bergamo (1480 circa - 1549) A cura di Mark Gregory D'Apuzzo, Lorenzo Mascheretti, Massimo Medica Museo Civico d'Arte Industriale e Galleria Davia Bargellini Strada Maggiore 44, Bologna 2 ottobre - 5 dicembre 2021 Inaugurazione venerdì 1 ottobre 2021 h 17.30 (prenotazione obbligatoria)
santiago calatraVa - nella luce di napoli - Chiesa di San Gennaro fino al 24 ottobre 2021 Reggia (secondo piano), tutti i giorni (chiuso il mercoledì) dalle ore 10 alle ore 17.30 Cellaio nel Real Bosco (venerdì, sabato e domenica, dalle ore 10.00 alle ore 16.00 ultimo accesso alle ore 15.30) / gratuito Chiesa di San Gennaro, Real Bosco (venerdì, sabato e domenica, dalle ore 10.00 alle ore 16.00 ultimo accesso alle ore 15.30) / gratuito Chiesa di San Gennaro via Miano 2, Napoli
a.r. penck Museo d’arte Mendrisio Mendrisio, Piazzetta dei Serviti 1 24 ottobre 2021-13 febbraio 2022 www.mendrisio.ch/museo museo@mendrisio.ch tel. +41. 058.688.33.50 Orari: ma-ve: 10.00 – 12.00 / 14.00 – 17.00; sa-do e festivi: 10.00 – 18.00 lunedì chiuso, tranne festivi. Chiuso 24/25 dicembre 2021 e 1 gennaio 2022 paesaggi possiBili. da de nittis a morlotti, da carrà a fontana lecco, palazzo delle paure Villa manzoni lunedì chiuso; martedì 10-13; mercoledì e giovedì 14-18; venerdì,sabato e domenica, 10-18 Villa Manzoni lunedì chiuso; martedì, 14-18; mercoledì e giovedì, 10-13; venerdì, sabato e domenica, 10-18 Biglietti: Intero: €10,00; Ridotto: €8,00; www.vivaticket.com Tel. 0341 286729
ieri, oggi, domani. italia autoritratto allo specchio Firenze, Forte di Belvedere Info e prenotazioni Tel. 055 2768224
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nelle sommosse e nelle guerre. gli archiVi milanesi durante l’età napoleonica 10.10.2021 31.01.2022 Milano, Archivio di Stato Orari: giovedì e venerdì, dalle 11 alle 12 e dalle 13 alle 14 Ingresso gratuito con prenotazione obbligatoria: https://bit.ly/PrenotazioneMostraAsmi. www.archiviodistatomilano.beniculturali.it ferdinando scianna. non chiamatemi maestro Milano, Still Fotografia (Via Zamenhof, 11) 27 ottobre 2021 – 23 gennaio 2022 +39 02 36744528 www.stillfotografia.it/ #incursioni. un dialogo fra le opere della galleria nazionale dell’umbria e della fondazione cassa di risparmio di perugia fino al 14 novembre 2021 Perugia, Palazzo Baldeschi al Corso (corso Pietro Vannucci, 66)
ITINER_ARTE...DOVE E QUANDO...
omaggio a Virgilio guidi con uno sguardo alla collezione Sonino 17 settembre 2021 - 7 gennaio 2022, Venezia Fondazione Bevilacqua La Masa San Marco, Palazzo Tito, Ca d’Oro
L’ENIGMA DI MATTEO PEREZ IL NUOVO LIBRO DI LUCIO MAIORANO
LUCIO MAIORANO L’enigma di Matteo Perez Il Raggio Verde edizioni p.112 2021 ISBN 979-12-80556-06-6 15,00€
Voglio, per un attimo, trasportarmi all'indietro nel tempo, esattamente ai primi anni Sessanta. Allora, poiché i genitori di mia madre erano di Alezio (il nonno era Talà e la nonna Gabellone, cognomi tipici di questa realtà. Come Raheli, Marzo, Sances, Barone, D'Aprile...) per un po' di tempo frequentai la scuola media in uno stabile di via Immacolata, c'erano due o tre classi soltanto, si sperimentava la prima Scuola Media Unificata. Ricordo pochissimo di quel periodo, solo che la mia curiosità, relativa alle origini e al lustro del luogo che mi ospitava, era sempre attratta dai 'misteri messapici' che, proprio allora, cominciavano ad entrare nel cuore degli aletini. C'era, presso il telefono pubblico, un singolare personaggio che era uno studioso dei Messapi e delle antiche vestigia di Alezio. Si chiamava Pippi, ma non ricordo altro. A lui, una volta, chiesi, con grande semplicità:«Scusa Pippi, ma ad Alezio non è nato nessun personaggio illustre?» Il mio interlocutore stette a lungo a pensarci e infine, con aria avvilita, scosse il capo. Niente personaggi illustri, solo i misteriosi Messapi. E come, del resto, poteva esserci qualcosa importante che provenisse proprio da lì, da 'Li Picciotti'? Sembra di essere nella Bibbia, quando si afferma, con sicumera, che nulla di buono può venire da Nazareth. Ebbene, sembra incredibile, ma con questa importante, importantissima 'scoperta' artistica e culturale, si colma un vuoto che rischiava di divenire congenito e si riafferma tutto il valore delle ambizioni storiche della città del 'Post fata resurgo'. Dobbiamo dire grazie, perciò, al bravo Lucio Maiorano che ha dedicato le sue certosine ricerche (peraltro molto laboriose e complicate) per realizzare un esaustivo ritratto a rilievo del concittadino Matteo Perez che, dalle pagine di questo libro, prende vita e vigore, diventando il protagonista di una intensa vita vissuta pericolosamente e dedita all'Arte. In particolare, per quel che riguarda questo lavoro, voglio sottolineare come l'autore si sia sforzato di gestire le scarne notizie che si hanno su Matteo Perez, con una rivisitazione ambientale, sentimentale e psicologica che è veramente molto intrigante e riesce a calare il lettore nel periodo storico così diverso e lontano da quello attuale, mantenendo una ricca sfaccettatura di considerazioni e moti dell'animo e, in fin dei conti, realizzando una vera a propria 'sceneggiatura' degna dei migliori creatori di 'fiction'. Abbiamo finito per sentire Matteo come 'uno dei nostri' e per immedesimarci nei suoi dubbi, nelle paure e nelle incertezze che lo hanno accompagnato per tutta la vita, grazie alla lettura delle pagine di questo libro. E il 'personaggio' Matteo ci ha affascinato, inspessendo e corroborando la altrimenti esile figura storica che non si può certamente dedurre esclusivamente dall'esame dei suoi dipinti. Siamo, perciò, particolarmente grati a Lucio Maiorano che è riuscito, con mirabile perizia, ad 'umanizzare' un protagonista importante ma sconosciuto della storia dell'Arte italiana. Ecco, se ci fosse Pippi del telefono pubblico, sarebbe felice. Proprio lui che, immagino, è ancora alla ricerca della soluzione della scrittura dei Messapi. Adesso si metterà a cercare Matteo, Matteo Perez da Aleccio, perché lì dove sono i nostri progenitori, non esistono distanze di tempo e di spazio. In Paradiso, insomma, li ritroviamo tutti, ma proprio tutti, gli aletini divenuti immortali. Raffaele Polo
LIQUIDE EMOZIONI DI EZIO CALEMI TRA POESIA E PROSA UNO ZIBALDONE DI PENSIERI
EZIO CALEMI Liquide Emozioni Il Raggio Verde edizioni 2021 p.98 ISBN 979-12-80556-14-1 €13,50
Si intitola “Liquide emozioni” la raccolta di poesie e testi di Ezio Calemi docente all’Università di Milano. In copertina la bella immagine dell’opera realizzata dall’artista Francesca Mele suggerisce la materia “liquida” della parola che sa attraversare e scandagliare l’animo umano e la miriade di pensieri e di emozioni, appunto. Inapertura del volume, un cameo. È uno scritto autografo della poetessa Alda Merini, le sue considerazioni in merito ai versi del nostro autore. «Quello di Ezio Calemi - scrive in postfazione Raffaele Polo - è un vero e proprio Zibaldone, che alterna prosa e poesia in un accorto ed armonico fluire che lascia emergere i sensibili versi, le intenzioni di un delicato poeta che affronta senza timore i temi più importanti della Poesia. A partire dall'Amore o, meglio, dall'amore per l'Amata che, come nella più classica delle tradizioni, impersonifica un po' tutte le donne ma, per Ezio, è chiaramente una sola destinataria: un refrain già conosciuto con Dante Alighieri e Francesco Petrarca, in verità. Ma che è sempre attuale, se si riesce ad inserirlo in un contesto che ai sospiri ed alle formule poetiche d'antan, sostituisca un pregnante accenno alla contemporaneità. E il nostro Autore è molto abile proprio in questa operazione, riuscendo ad intessere i vari temi (l'amore per il proprio Paese, i ricordi, le tematiche sociali, le simbologie dei periodi culturali che si sovrappongono) con una piacevole musicalità ed in atmosfere che sono rarefatte e ben evidenti nello stesso tempo, impregnate di quel 'soffio' poetico che anima le composizioni, alternate ad alcune prose che servono quasi da cesura per gli afflati poetici... Da osservare che l'incipit con un dattiloscritto di 'aldamerini' è un ottimo apripista per meglio conoscere l'autore di 'Tu non chiamarle poesie': '...rimango affascinata dalle poesie giovanili di questo poeta così perfette apparentemente giovanili come oggi potrei dire di me apparentemente vecchie solitarie e difficili che hanno raggiunto però il corpus magnetico che le fa vivere sole una per uno come un germoglio che ride in un arido prato del moderno spesso difforme...' In questa antologia, sono solo alcune delle composizioni di Ezio Calemi. Sono state selezionate per offrire una conoscenza quanto più esaustiva possibile di questo Poeta che ci parla con tono sommesso ma ci scuote con la forza della sua Poesia.» Raffaele Polo
LUOGHI DEL SAPERE
L’ACCHIATURA. UN LIBRO. UNA TESTIMONIANZA IL CORAGGIO E LA FORZA DI UNA DONNA
Maria Grazia Garrapa L’Acchiatura Il Raggio Verde edizioni p.70 2021 ISBN 12€
È accaduto in settembre di due anni orsono. In un giardino salentino, il rito del caffè mattutino si è trasformato in un incontro di grande intensità. Avevo già incontrato Maria Grazia in altre occasioni ed avevo notato lo sguardo trasparente, l’intelligenza ed il forte carattere. Fra una battuta e l’altra sono emersi i ricordi dolorosi della sua vita passata. L’esigenza di uno sfogo improvviso per emozioni ancora troppo forti e vive». Mi disse: «…Se sapessi scrivere, avrei cose da raccontare…!» Di getto risposi: «non è importante il come, ma cosa si scrive». In quel momento mi son tornati in mente innumerevoli artisti “outsider” che, partendo dai contenuti e con motivazioni profonde, hanno poi trovato il mezzo espressivo e anche uno stile personale. Maria Grazia, rassicurata sul piano della tecnica, sono certo, si è messa a scrivere il giorno stesso. Tutta la sua storia era già presente alla memoria ed è nato un manoscritto di sessanta pagine in stampatello. Sin dalle prime righe sono apparse chiare immagini, descrizioni minuziose, personaggi e ambienti. Tutto un mondo che anche io ho conosciuto. Come in un album fotografico del passato è venuto fuori un affresco completo. Il fatto che Maria Grazia abbia una padronanza limitata della lingua scritta ha contribuito a conservare la freschezza del ricordo nei termini originali e credo sia stato un vantaggio per il risultato finale. Ha dimostrato grande coraggio nel testimoniare quanto ha vissuto e visto, senza omissioni, narrando dettagli personali molto dolorosi. Dal suo racconto possiamo intuire le storie di molte altre donne che hanno vissuto in condizioni di grande difficoltà ed oppressione nella famiglia e nella società. Un grande coraggio che si esprime nel narrare con semplicità la parte più oscura dei comportamenti umani arcaici che ancora sopravvivono in Salento nelle pieghe delle storie familiari e quasi sempre sono rimossi o peggio coperti da ipocrisia e perbenismo. Una parte “oscura”, contraltare di un’altra parte solare e splendente. Lo scritto è il diario di una combattente che non si è arresa davanti a niente. Nel libro si incontrano eventi della grande Storia ed episodi della vita quotidiana di grande intensità e freschezza. Interessanti ritratti di persone con un proprio vissuto. Leggiamo la fatica dei contadini, lo sfruttamento del lavoro delle tabacchine, le superstizioni, le tradizioni popolari, l’emigrazione in Svizzera e alla Fiat di Torino. È proprio vero che la Storia siamo noi! Mi piace sottolineare alcuni passaggi che credo siano di grande valore narrativo e poetico. In particolare la figura commovente del nonno lavoratore e povero con i lupini per cibo e il suo corpo ridotto a “frisella bagnata” (!); i Santi che parlano alla nonna malata; la madre che
elacrea.wordpress.com FB: Elacrea
Per l’invio di libri da recensire scrivere a redazione@arteeluoghi.it
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prepara il suo corredo di “panni venti” e la biancheria ricamata; i miti del mondo magico di “striare” e “sciacuddhi” che ascoltavo da ragazzo; le donne che ballano la “pizzica”; i soprannomi dei paesani; gli aspetti della vita coniugale e della famiglia. Osservo oggi quanto di quel mondo povero ma non misero è rimasto nelle case e nelle strade del Salento. Infine due note sulla copertina. I termini” Striare”,”Sciacuddhri”,”Acchiatura” mi accompagnano dai primi anni della mia infanzia salentina. Sono cresciuto in un mondo in cui il Mito e la Magia erano cose reali. Nei racconti degli adulti accanto al focolare non mancava mai “ l’Acchiatura”. Il mitico tesoro di grande valore nascosto e difeso da spiriti che impedivano il ritrovamento. Leggendo il testo è giunta cosi l’immagine di un tesoro come “fuoco sacro” vivo e nascosto nella profondità della terra, lo stesso fuoco vitale che ha sostenuto ed ispirato la scrittrice nella vita quotidiana e nei momenti della creatività. Francesco Gaetani
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#ladeVotalettrice | le recensioni di lucia accoto la storia della pioggia di nail williams
NIAL WILLIAMS Storia della pioggia Neri Pozza Editore 2021 pp.368 €17,00 ISBN 978-88-545-0943-6
#recensione #luciaaccoto #recensore #giornalista #libri #ladevotalettric e
Le cose nella vita non vanno sempre come si vorrebbe. Ci sono gli intoppi, le scelte sbagliate ed i fallimenti. E quando hai a che fare con la scrittura, con la poesia, perdersi è facile. Di fronte ad un verso che non va avanti, che non ha spinta, ti senti un fallito. Sei il niente su uno sfondo bianco. L’ispirazione non ti viene incontro per caso, ha bisogno di carburante per innescare la scintilla. Ha bisogno di magia e non tutti ce l’hanno negli occhi, nell’anima. A volte, i pensieri volteggiano ma non si posano sui fogli. Vengono scritti per un istante e poi cancellati e nella peggiore delle ipotesi sono fumo nella mente. L’ispirazione è capricciosa, sfuggente, canaglia anche crudele perché ci mette tempo, ti scava le occhiaie e ti fa venire i nervi a fior di pelle. Allora, leggere aiuta come osservare la vita, la storia degli altri. Ed è lì che poi arriva la tua. Le parole si sciolgono, l’ispirazione diventa pioggia e tu nasci ancora una volta su carta. Certo, c’è anche chi scrive senza ispirazione accostando parole senza alcuna sostanza, contenuto, solo per il gusto di scrivere. In questo modo non vivono il tormento e il mistero dell’ispirazione, per loro va sempre bene tutto ciò che lasciano sui fogli. Nel romanzo Storia della pioggia di Niall Williams senti addosso l’amore per i libri. Non sono mai abbastanza da leggere, ti senti sempre povero di storie se sei un lettore forte. Allora leggi, accumuli libri e speri di avere la possibilità economica per comprarne tanti e tanti altri ancora. Il tempo un lettore lo trova sempre anche quando è risicato, corto, quasi inesistente. I libri sono vita, respiro, fiato, emozioni, sogno. Lo sa bene Ruth, la protagonista del romanzo, una ragazza costretta a letto malata. Nella mansarda di casa, su cui batte la pioggia d’Irlanda, Ruth legge. Legge molto, sempre. Nella stanza ha tremilanovecentocinquantotto libri. Libri del padre poeta, del nonno, suoi, e cerca la sua storia. Leggere e scrivere è come una specie di malattia, non sei mai in pace se non hai tra le mani un libro. Hai il cuore spento, freddo, vuoi vivere la somma di tutti i libri, farli tuoi. E se viene la scrittura sarai predestinato al tormento, al fallimento, alla rinascita e alla magia. Se, invece, le tue mani resteranno secche senza pensieri da scrivere, non importa. Farai altro. La scrittura prende con se solo chi ha tumulto, chi raccoglie sofferenza per sperare in qualcosa in cui crede, sente, vive. Le parole abitano in chi ha un libro dentro se stesso. Intimo, caldo lo stile dello scrittore. Il romanzo è una vera dichiarazione d’amore verso la letteratura. È un atto di fede, un salto nella magia. È pioggia, fiume. Respiro.
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VALTER GARATTI Il merletto Panda Edizioni 2021 pp.120 €12,00 ISBN 9788893782432
La malasorte, in certi casi, si insinua già nel seme dell’esistenza. Nasci, così, sventurato. La sfortuna quando si accanisce senza riguardo alcuno non ha limiti e non fa distinzione, eppure non è detta l’ultima parola. Le cose possono cambiare evitando, in questo modo, la marchiatura a fuoco. Se il punto di partenza è fiaccopuoi sempre recuperare. Certo, devi avere slancio e determinazione per cambiare il passo. Se la vita ti mortifica spetta a te trasformarne il corso aiutandoti con il carattere, se hai la volontà di lasciarti alle spalle la disgrazia. Insomma, resisti e reagisci. Cerchi una via d’uscita, una soluzione che possa darti respiro. Cerchi anche di mantenere salda la moralità che è il lasciapassare più prezioso, la tua incolumità verso disgrazie maggiori. Non sarai affrancato, però, dai disonesti che ti metteranno il bastone tra le ruote perché le persone integre sono un bersaglio facile per chi tenta di prevaricare con l’astuzia ed il raggiro. Anche se nessuno è senza colpa, sai che è meglio stare attenti. La distrazione e la superficialità ingannano facilmente e non ci sono riserve per chi si mostra ingenuo. Nel libro Il merletto di Valter Garatti avverti la forza d’animo di una giovane donna, Ann, che ha conosciuto la sventura sin dalla nascita, ma ha avuto, dalla sua,l’amore di persone che l’hanno aiutata. Lei non si è mai persa d’animo anche quando ha perso tutto, finanche la libertà. Ingabbiata dal suo stesso istinto si è riscatta grazie ad esso che l’ha portata lontano, ad una vita più che soddisfacente. Ann presta servizio come domestica presso una ricca ed importante famiglia londinese. È una ragazza rispettosa e diffidente. Ha anche un talento, conosce l’arte nel fare il merletto e sa vedere quello che gli altri ignorano e che hanno voluto nascondere. Eppure, il raggio della svolta gli appare luminoso e chiaro. Mette in pericolo se stessa, ma il valore e la bellezza della ballata dei merletti hanno un significato. Lei sa. Bellissima la storia. La prosa è quasi poetica, intensa, vera. Pulito lo stile. Il lettore si immedesima in ogni personaggio, si fa respiro e silenzi, notte e luna, rabbia e consolazione. La narrazione conquista.
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#ladeVotalettrice | le recensioni di lucia accoto il merletto di Valter garatti
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dalsalentocafÉ | le recensioni di stefano camBò 29 luglio di anna pia merico
ANNA PIA MERICO 29 Luglio Il Raggio Verde Edizioni pp.1 €15,00 ISBN
Una data per entrare in punta di piedi nel nuovo libro di Anna Pia Merico. Con 29 Luglio - La memoria e i Versi (pubblicato da Il Raggio Verde), la scrittrice salentina ci porta a scoprire le sue poesie e la sua prosa attraverso versi e parole che hanno trovato spazio, prima sui social come lei stesso ha riferito durante alcune presentazioni e poi sulle pagine bianche di un libro che si mostra in tutta la sua delicata bellezza anche grazie al dipinto di Patrizia Chiriacò in copertina. Anna Pia, fin da subito, ci prende per mano per accompagnarci in un mondo imperniato di ricordi, legati alla sua personale visione del passato. Lo fa attraverso una serie di versi perfettamente bilanciati che analizzano i gesti semplici di un tempo lontano. Un tempo che ritorna presente nel cuore di chi legge anche grazie a un continuum narrativo accattivante e vivace. Man mano che le pagine scorrono infatti, il libro sembra trasformarsi quasi in un album fotografico con le immagini che prendono vita e forma davanti agli occhi, come vecchie polaroid mai dimenticate. Colpisce in particolare la poesia Gomitoli di Memoria e il racconto sul cinema all'aperto della zona di mare, una sintesi perfetta di quanto l'autrice voglia comunicare, della sua dolce rimembranza, del suo sguardo rivolto all'indietro nostalgico ma non troppo. I suoi ricordi sono testimonianze preziose che vanno condivise con le nuove generazioni, in un presente che getta sì un occhio al passato ma anche il cuore al futuro. Stefano Cambò
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MARIA CAMPEGGIO Cristalli d’anima Independently published 2021 pp.116 € 12
Pluripremiata in vari concorsi letterari, Maria Campeggio esce in libreria con una nuova raccolta di poesie intitolata Cristalli d'Anima (in copertina ad ammaliare il lettore c'è il bel disegno di Maria Marzano). Di profonda formazione culturale e musicale, l'autrice di Parabita ci porta per mano nel labirintico mondo dei sentimenti che albergano il cuore di ognuno di noi e lo fa attraverso una serie di liriche che rispecchiano il suo modo di vedere la vita e tutto ciò che ci circonda. Tra i temi che caratterizzano il viaggio tra le pagine vi sono l'amore con le sue sfaccettature e i suoi tormenti, il paesaggio con un occhio di riguardo per il Salento e la spiritualità legata spesso alle festività del calendario liturgico. Molto apprezzate sono poi le poesie a sfondo sociale che trattano problemi di forte attualità. Tra queste spiccano 28 Marzo 2020 che ricorda con delicatezza il periodo di chiusura indotto dalla pandemia e l'Attimo dedicata al magistrato Giovanni Falcone, a sua moglie e a tutti gli agenti della scorta (in parte fa ritornare alla mente la canzone Signor Tenente del grande e compianto Giorgio Faletti). Da segnalare la poesia Alla Luna, un inno d'amore per il nostro caro satellite che da sempre è fonte d'ispirazione per tanti scrittori e artisti. Dunque, non vi resta che prendere in mano questa bella raccolta di poesie e immergervi totalmente tra i versi composti con grazia e armoniosa passione da Maria Campeggio. Stefano Cambò
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LUOGHI DEL SAPERE
dalsalentocafÉ | le recensioni di stefano camBò cristalli d’anima di maria campeggio
San Pietro Romano fotografie di Gianluca Gasbarri fonte: http://www.castelsanpietroromano.net/:
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pane, amore e fantasia a castel san pietro romano Stefano Cambò
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Per i luoghi del cinema itinerari meravigliosi da Nord a Sud
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uando nel 1953 usciva nelle sale cinematografiche Pane, amore e fantasia di Luigi Comencini, nessuno degli addetti ai lavori avrebbe mai potuto immaginare che questa gradevole commedia italiana sarebbe diventata con il passare degli anni uno dei capisaldi del nostro cinema d’esportazione, tanto da contribuire al successo
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mondiale dell’attrice Gina Lollobrigida nel ruolo della buona Pizzicarella la Bersagliera, il personaggio cult dell’intera pellicola. Perché di fondo, questo film nella sua piccola magnificenza (vinse l’Orso d’Argento a Berlino nel 1954 e venne candidato nello stesso anno agli Oscar nella categoria Miglior Soggetto), rappresentava al
I luoghi del cinema
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San Pietro Romano fotografie di Gianluca Gasbarri fonte: http://www.castelsanpietroromano.net/:
meglio e in maniera alquanto realistica gli anni del secondo dopoguerra italiano, fatti per lo più di sacrifici, lavoro e sopratutto speranza in un futuro migliore. Speranza reincarnata perfettamente dagli occhi fiduciosi della nostra Gina Lollobrigida e del suo cavalier di sventura, il mitico Vittorio De Sica perfetto nei panni del maresciallo Antonio Carotenuto. Così perfetto che lo ritroveremo negli altri film che chiudono la tetralogia, sempre pronto a correre dietro le gonne delle donne e a farsi conoscere per il suo fascino da carabiniere tutto d’un pezzo devoto all’Arma e ai suoi valori. Infatti dopo il successo del primo, vennero girati in ordine strettamente cronologico Pane, amore e gelosia (il cui regista nel 1954 fu sempre Luigi Comencini), Pane, amore e… sotto la guida sapiente di Dino Risi con Sophia Loren nel ruolo della Smargiassa e infine Pane, amore e Andalusia diretto dal Javier Setò con la supervisione di Vittorio De Sica. Ma oltre ad un intreccio narrativo perfetto e alla bravura degli attori, il film deve molto del suo fascino anche alle locations
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immaginate da Luigi Comencini. Più che locations, al paese scelto dal regista per girare la maggior parte delle scene, il cui nome Sagliena (del tutto inventato dalla sua fantasia) richiama alla mente quello invece realistico di Polena, piccolo borgo di 1400 abitanti in provincia di Chieti, che all’epoca della pellicola era il paese natio dello sceneggiatore Ettore Maria Margadonna, e diventato durante le riprese fonte indiscutibile d’ispirazione per la commedia raccontata. Così d’ispirazione che il personaggio cardine della bersagliera sembra essere realmente esistito, anche se il nome “Lucietta bella” non aveva nulla a che vedere con quello di Pizzicarella. Resta comunque provato, che nel primo Novecento, a Polena vi fosse una donna esuberante che affascinava tutti gli uomini che incrociavano il suo sguardo durante il cammino e che ne rimanevano del tutto estasiati. Come è provato che Luigi Comencini volesse girare effettivamente il film in questo borgo abruzzese, per poi riscontrare delle oggettive difficoltà dovute più che altro alle modifiche strutturali che il paese stava subendo in quegli anni, poco adatte all’atmosfera che Pane, amore e fantasia doveva rispecchiare. Ecco spiegato dunque, perché la scelta ricadde su Castel
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Gina Lollobrigida e Vittorio De Sica in una sequenza del film
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La Chiesa di San Pietro Apostolo
San Pietro Romano, un comune del Lazio abitato oggi da poco meno di un migliaio di persone e situato sulle estreme pendici occidentali dei Monti Prenestini, in posizione dominante rispetto a Palestrina ad oltre 700 metri sul livello del mare (e a pochi chilometri in linea d’aria dalla Capitale). Leggenda vuole che negli anni antecedenti al film, il piccolo borgo venne addirittura definito il paese più scassato d’Italia dal sindaco e fotoreporter Adolfo Porry Pastorel, amico fidato di Vittorio De Sica. Quella strana dicitura, convinse però Luigi Comencini a portare la sua troupe proprio qui, perché secondo lui incarnava allo stesso tempo quell’aria distrutta e disincantata fortemente rurale e dunque, perfetta per la sua commedia. Tanto è vero che, nonostante siano passati più di cinquant’anni dall’uscita nelle sale, è ancora possibile individuare luoghi realmente esistenti, come la suggestiva via Borgo San Pietro, la stradina principale che il maresciallo Antonio Carotenuto
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San Pietro Romano fotografie di Gianluca Gasbarri fonte: http://www.castelsanpietroromano.net/:
percorreva per recarsi in caserma, anche quest’ultima realmente esistente in Piazza San Pietro, come la chiesa dove il protagonista s’incontra spesso con il parroco durante tutta la storia. Entrambe le locations fanno parte del centro storico del paese, che oltre ad essere intrecciato da piacevoli vicoli, detiene diversi punti panoramici da cui è possibile osservare dei bellissimi scorci della sottostante Valle Del Sacco, nonché addirittura le prime propaggini della Capitale. C’è da dire che questo piccolo paese laziale, è così legato al film, che con gli anni ha deciso di intitolare una strada proprio a Vittorio De Sica (sarebbe quella che l’attore percorreva alla fine vestito di tutto punto con la sua uniforme per recarsi alla festa patronale). Inoltre, bisogna ricordare che Castel San Pietro Romano non è soltanto la Sogliena di Pane, amore e fantasia e degli altri due capitoli successivi girati in Italia. Infatti, tra le traverse di questo paese è stato ambientato il film I due marescialli di Sergio Corbucci con Vittorio De Sica e l’indimenticabile Totò. Nel 1970 fu la volta di Pietro Germi (il grande regista di Divorzio all’italiana di cui abbiamo già avuto modo di discorrere in passato in un articolo dedicato alla Val di Noto e al bellissimo Duomo di San Giorgio a Ragusa), che qui girò alcune scene di Le castagne sono buone, mentre la piazza centrale del paese è stata a metà degli anni Sessanta il set principale di Menage all’italiana di Franco Indovina con Ugo Tognazzi. Il motivo di tanta grazia è legato indissolubilmente al fatto che Castel San Pietro Romano in quel fortunato periodo storico riusciva a rappresentare con una certa bellezza disincantata un Paese uscito sì con le ossa rotte dalla Seconda Guerra Mondiale, ma convinto anche di potersi riprendere al più presto, grazie soprattutto all’occhio magnetico di alcuni registi come Luigi Comencini e ad attori del calibro di Vittorio De Sica e Gina Lollobrigida, belli ed eterei come i grandi divi del cinema americano.
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foto di Mario Cazzato
ancora tracce leccesi della Battaglia di lepanto Mario Cazzato
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Passeggiando nel cuore antico tra vicoli e pagine di storia
Salento Segreto
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l recente convegno veneziano sul centenario della battaglia (1571) organizzato dalla Scuola di S. Marco e da Artwork ha sottolineato ancora una volta che il tema iconografico della Vergine del Rosario si sviluppa, specialmente da noi, subito dopo dopo quello strepitoso avvenimento. Ora, tra la grande quantità di testimonian-
ze salentine, ve ne propongo due passate inosservate, la prima è una splendida tela del Rosario, già in cattedrale ed ora inella chiesa parrocchiale S. Pio X Lecce. L'altra è la statua di San Domenico con il vessillo della Santa lega (fatta da Venezia, Filippo II e il Papa) sulla facciata della chiesa leccese del Rosario o s. Giovanni Battista.
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Epigrafi, foto di Mario Cazzato
e di cui non abbiamo ancora una completa cognizione. P. S. La tela è attribuita a Giandomenico Catalano di Gallipoli
Salento Segreto
Due testimonianze tra sei e settecento di un filone affollatissimo che conferma la grande partecipazione di Terra d'Otranto all'evento
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