il fotografo domon Ken
l’arte della ceramica
A Roma la mostra del maestro giapponese allestita fino al 18 settembre all’Ara Pacis
intervista a Maurizio Tittarelli Rubboli nella “fabbrica” oggi museo a gualdo Tadino
anno 1163 numero 8 agosto 201 6
Anno Xi - n 8 Agosto 2016 -
Enzo dE gioRgi
il castello di oria
addio, Hazel di greenHam common
Uno splendido itinerario federiciano che testimonia il rapporto tra Stupor Mundi e il Salento. E grande attesa, il 14 agosto, per il Corteo storico e il Torneo dei Rioni
Si è spenta la pacifista inglese protagonista del campo di donne per la pace a greenham Common. il ricordo dell’attivista della Wilpf, scrittrice e poeta, che ha combattuto per la pace e il disarmo
primo piano
le novitĂ della casa
IL RAGGIO VERDE EDIZIONI
ilraggioverdesrl.it
EdiToRiALE
In copertina e sopra: Enzo De Giorgi, Come i miei occhi, 2016
Proprietà editoriale Il Raggio Verde S.r.l. Direttore responsabile Antonietta Fulvio progetto grafico Pierpaolo Gaballo impaginazione effegraphic
Redazione Antonietta Fulvio, Sara Di Caprio, Mario Cazzato, Nico Maggi, Giusy Petracca, Michele Bombacigno
Un gigante della fotografia, domon Ken, e un genio della musica, l’ indimenticabile Lucio dalla, due mostre romane da non perdere e che la nostra inviata Claudia Forcignanò ha raccontato per noi. non mancano le storie dell’uomo e del territorio attraverso gli sguardi di Sara Foti Sciavaliere che ci porta ad oria, tra gli itinerari federiciani nel Salento, di Fabiana Lubelli che ci svela le bellezze dell’antica Chiesa di Santa Lucia a Brindisi e di Anna Paola Pascali che ci fa scoprire il bellissimo borgo di Brisighella a Ravenna. E ancora donato nuzzaci che descrive la storia della Chiesa dei diavoli e Mario Cazzato che ci racconta di quando il parlamento si riuniva nel Sedile, naturalmente stiamo parlando della città di Lecce. insomma tantissimi luoghi ed eventi da scoprire e altri che abbiamo deciso di seguire e raccontare come la Passeggiata letteraria a Specchia grazie a Maurizio Antonazzo e il tour letterario nel Salento di Catena Fiorello intervistata da Francesco Rella. Paola Butera invece ha incontrato il maestro ceramista Maurizio Tittarelli Bubboli, recentemente premiato, nel suo museo a gualdo Tadino mentre il sociologo Mario Perrone ha esaminato il rapporto tra sagre e ritualità tra identità sociale e marketing territoriale. Un ricordo a due persone speciali lo scrittore Antonio Verri e la pacifista Hazel Rennie attraverso le parole di Maurizio nocera e Ada donno. La copertina è questo mese dedicata all’artista Enzo de giorgi e ai suoi primi vent’anni d’arte! Tanti ne sono passati da quando un giovane talentuoso varcò a Lecce la soglia dell’associazione “Raggio Verde” condividendone entusiasmo e sogni. é un privilegio aver percorso un tratto di strada insieme ed è bello ritrovarsi, a distanza di anni, con lo stesso desiderio di fare e l’inossidabile passione per l’arte. La stessa che ci farà organizzare, nell’ambito della mostra degli artisti Luigi e Maurizio Martina, il prossimo 11 settembre a Lecce il convegno “La bellezza che si tramanda” con la partecipazione dell’onorevole Serena Pellegrino. Buona lettura!
SoMMARio luoghi|eventi| itinerari: la chiesa dei diavoli e lamia 23 Brisighella e la via degli asini 32 la chiesa di santa lucia a Brindisi 38 salento segreto 44 |avetrana food festival 48 | oria e il salento di federico ii 56| la diocesi del capo di leuca 60 festival decò 78 arte: la realtà e la verità di domon Ken 10| lucio dalla 20 |itinerarte 27| le fil rouge 37 |in perfectione 54 al museo di locri il cavaliere marafioti 53 arte e devozione 67 |naturabilia i paesaggi di luigi de giovanni 74 | il volto di don liborio romano e il museo a Patù 76-77 musica: i primi cinquant’anni di musica del melodista amedeo minghi 63| sguardi recital concerto al castello del Buonconsiglio 80
Hanno collaborato a questo numero: Maurizio Antonazzo, Michele Bombacigno, Paola Butera, Mario Cazzato, Ada Donno, Claudia Forcignanò, Sara Foti Sciavaliere, Fabiana Lubelli, Maurizio Nocera, Donato Nuzzaci, Anna Paola Pascali, Mario Perrone, Francesco Rella.
i luoghi della parola: come salvai un testo di a. Verri 17|edicola 518 così rinascono i luoghi 26|la passeggiata letteraria a specchia 34 sagre e ritualità 66 addio, Hazel di greenHam 70 teatro|danza: la prima residenza teatrale alla chiesa dei diavoli: 25 iaia forte apre mitika 46 a lecce la grande danza del Balletto del sud 72
Redazione: via del Luppolo,6 - 73100 Lecce e-mail: info@arteeluoghi.it www.arteeluoghi.it
libri: luoghi del sapere 28-31 |catena fiorello, una storia tra ulivi e pucce 65
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cinema: aspettando siff 68 Un mare di corti otranto film fund festival 69 i luoghi nella rete|interviste: Vent’anni dopo. le visioni oniriche di enzo de giorgi 4 intervista a maurizio tittarelli rubboli maestro d’arte 50 catena fiorello, il sud, la Puglia 64 Numero 8 - anno XI - agosto 2016
L’artista Enzo de Giorgi nel suo atelier
Vent’anni doPo. le Visioni oniricHe di enzo de giorgi di Antonietta Fulvio
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dal 3 al 16 settembre a lecce nelle sale della fondazione Palmieri
LECCE. Colori caldi, atmosfere sospese e il potere evocativo dell’immagine che si fa racconto, storia ed emozione. Il segno dell’artista Enzo de Giorgi è inconfondibile. Nato a Nizza Monferrato da genitori salentini nella sua tavolozza ha i colori del Sud che si porta dentro. Con il suo tratto morbido e leggero riesce a delineare i paesaggi e i personaggi che popolano le sue tele. E a catturare la musica che pervade le cose. Perché le note non sono solo fatte di suoni ma possono anche essere sfumature di colori che disegnano il mondo e i sogni. Ci sono immagini nella vastissima produzione pittorica di Enzo De Giorgi che rimandano all’onirico, alla sfera dei sentimenti più intimi e segreti che fanno parte dell’universo collettivo. Davanti ad una sua tela non si resta solo affascinati ma ci si ritrova, per magia, catturati al suo interno. Quando attinge ai miti classici, come Apollo e Dafne, Narciso, Arianna, Icaro o quando immagina il Don Chisciotte in sella al suo destriero con tanto di spada sguainata contro i mulini al vento…. O ancora se dipinge il mare, i paesaggi del suo Sud, la pizzica tra i muretti a secco o i monumenti della sua Lecce finiti in un calendario tanti anni fa… Ho avuto il privilegio di conoscere
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e seguire la carriera di Enzo De Giorgi sin dalla sua prima personale a Lecce. Ricordo ancora il titolo, “Consce Angosce e altri veleni” e inaugurava uno spazio espositivo che aveva lo stesso nome del film di Eric Rohmer e che insieme a Giusy Petracca e ad Ambra Biscuso avevamo creato per dare visibilità ai giovani. All’epoca quel ragazzo dall’aspetto gentile frequentava ancora l’Accademia di Belle Arti e per mantenersi gli studi faceva il portiere di notte e talvolta vendeva i suoi quadri agli ospiti dell’albergo. Oggi è docente del Liceo Artistico “Ciardo Pellegrino” che lui stesso ha frequentato con maestri del calibro di Castelluccio e Moscara diplomandosi nella sezione metalli ma - come lui stesso racconta - strizzando l’occhio furtivo alla pittura, sua grande passione. E dopo tanti sacrifici e anche duri anni di insegnamenti da precario nel Nord, Enzo è riuscito a coronare il sogno di insegnare pittura e grafica nell’istituto dove si è formato, ritornando nella sua terra. Con la mostra “Vent’anni dopo” che si apre a Lecce il 3 settembre nelle sale della Fondazione Palmieri ripropone gli stessi soggetti della sua prima personale, rivisitati sia dal punto di vista tecnico che
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emotivo. Abbiamo incontrato Enzo De Giorgi nel suo atelier che ci ha anticipato i contenuti del suo nuovo progetto artistico. Vent'anni dopo...come nasce l'idea di questa mostra? Sfogliando le vecchie foto ci sorprendiamo, nel bene e nel male, dei cambiamenti del nostro corpo; quasi sicuramente rimpiangiamo le nostre folte capigliature, la pelle giovane e un’età più spensierata. Sorridiamo guardando il modo in cui vestivamo, la nostra pettinatura e le montature degli occhiali che portavamo. Siamo cambiati gra-
dualmente, senza accorgercene. Però ci sono degli avvenimenti, dei momenti particolari che segnano per sempre la nostra esistenza e che rimangono impressi nella nostra mente. Non è nostalgia dei tempi andati, né il voler rievocare un bel momento; è piuttosto il “fare il punto della situazione”, il fermarsi a guardare il presente e il passato per capire che direzione abbiamo preso e dove stiamo andando. Giuriamo a noi stessi di essere sempre quelli, ma pensiamo e parliamo una lingua diversa da quindici-venti anni fa e usiamo una voce ormai
cambiata e con i nostri corpi sono cambiate anche le nostre anime. Sì, “Consce Angosce ed altri veleni” era il nome della mia prima personale di pittura tenuta a Lecce nel 1996. Con la mia mostra si inauguravano anche le attività e la sede dell’associazione artistica “Raggio Verde” che offriva visibilità ad artisti emergenti in una città assetata di cultura, ma troppo chiusa nelle sue sacre “caste” espositive. Il presidente e i soci del “Raggio Verde”, a cui devo il mio esordio, avevano creduto delle mie potenzialità ed avevano organizzato e fissato la
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mia prima mostra personale prima ancora ch’io avessi avuto il tempo di realizzare dei quadri. Quadri che ho prodotto in pochi giorni e che furono brillantemente presentati da Ilderosa Laudisa in una bella serata di inizio aprile. Tutti i dipinti di quella mostra erano ispirati a frasi o atmosfere tratte dai testi del cantautore e scrittore Claudio Lolli. Testi che ho sempre amato e in cui mi rispecchiavo. Nel 1996 avevo ventisette anni e le parole del mio autore preferito esprimevano molto bene quelli che erano allora i miei stati d’animo, il mio mondo inte-
Sotto: Enzo de Giorgi, Sotto il peso di una tremenda...., 1996; a lato alcune immagini dei nuovi dipinti confrontati ai soggetti della mostra “Consce Angoscie e nuovi veleni” tenuta nel 1996
riore. Una narrazione per immagini, dunque... Ci sono molti modi per raccontare o esprimere dei pensieri con le immagini. I miei quadri non vogliono però essere illustrazioni di situazioni narrate dalle parole di un poeta, non intendono rappresentare delle “storie” con immagini puramente descrittive. Tutti i miei dipinti sono evocazioni soggettive, visioni personali che riemergono
da un inconscio nascosto e prendono forma, richiamate, semmai, da specifiche musiche e parole. Mi parli del tuo tuo rapporto con la musica e in particolare con i testi di Claudio Lolli che ispirarono i dipinti della tua prima personale? Ho sempre dato molta importanza alla musica e sicuramente la pittura ha molte affinità con le note e le canzoni d’autore. Tutti i dipinti della mia prima personale di pittu-
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ra nascevano da brani musicali. Molti musicisti sentono l’esigenza, a distanza di anni, di adattare in modo differente alcuni loro pezzi, riproponendoli al pubblico con nuovi arrangiamenti e con tonalità vocali ormai cambiate nel tempo. La stessa esigenza l’ho sentita confrontando la mia produzione pittorica più recente con quella delle mie prime mostre. Sono passati esattamente vent’anni dalla mia prima personale di pittura. Volevo
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Brie, France, 1968 © Henri Cartier-Bresson / Magnum Photos; Henri Cartier-Bresson, Normandy, France, 1970 © Martine Franck / Magnum Photos
in qualche modo celebrare quel 1996 che ha rappresentato una tappa fondamentale della mia vita professionale, coincidente anche con l’anno della mia prima nomina di insegnante (“Figura disegnata” presso il Liceo Artistico di Alba). Ho deciso di ricordare quella mostra riesponendo quei nove dipinti insieme ad altrettante nuove riletture, vent’anni dopo. Perché di acqua, sotto i ponti ne è passata tanta da allora, nel bene e nel male e anche quei quadri, oggi, sarebbero nati sotto una luce diversa, sia tecnicamente che concettualmente. Sei stato tanti anni un precario “vagabondo” poi il ritorno a Lecce dove ritorni ad esporre. Come si sono evolute le tecniche pittoriche e quali motivazioni? Lecce è cambiata molto da quell’a-
prile del 1996. Il locale di via D’Aragona che ospitava la mia mostra è diventata una delle tante pizzerie della “movida” cittadina, ma fortunatamente sono sorti, nel tempo, anche molti nuovi spazi espositivi. La mia nuova mostra non sarà molto distante dalla sede originale poiché avrà luogo dal 3 al 16 settembre presso la Fondazione Palmieri, nell’ex chiesa di San Sebastiano. Per questo progetto che ho intitolato “Vent’anni dopo” (con vaghe allusioni a Dumas e Guccini…), ho rielaborato notevolmente i dipinti originali abbandonando la tecnica polimaterica preferendo a questa una pittura ad olio più pura, come faccio già da diversi anni. I nuovi soggetti si aprono a spazi più vasti e le figure non fanno più riferimento a forme espressioniste. Le stan-
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ze anguste, le fredde prigioni con le pareti lacerate di vent’anni fa hanno lasciato il posto ad albe luminose che invadono coi loro colori caldi e avvolgenti le scene di nuovi sogni. Perché è vero, l’arte può essere espressione, comunicazione, provocazione… ma anche e soprattutto “bellezza”. Viviamo una vita sola, tra scelte personali e costrizioni sociali e forse questa consapevolezza mi ha portato, nel tempo, a guardare ciò che mi circonda usando un filtro meno tragico e drammatico di quanto poteva emergere nei lavori dei miei esordi. Le “angosce” di vent’anni fa non fanno più paura perché il mio sguardo “ironico-onirico” fissa sulla tela visioni che vertono più al sogno che all’incubo, nonostante il contenuto sia tutt’altro che consolatorio. Non ho mai smesso di ascoltare le poesie del mio “amico” Claudio Lolli: mi emozionano ancora e nonostante il passare dei decenni le trovo sempre moderne e rivoluzionarie. Cosa ti senti di consigliare ai tuoi alunni che hanno la tua stessa passione per l'arte? Vent’anni fa, come già detto, iniziavo anche il mio “mestiere” di insegnante. Oggi i miei alunni hanno l’età di mio figlio, ed anche a loro non posso che consigliare, per il futuro, di investire il loro tempo in quelle che sono le passioni e gli interessi personali: se una cosa ci piace, la facciamo meglio e con meno fatica. La creatività, poi, è un valore aggiunto e produrrà i suoi frutti in qualunque attività lavorativa e in ogni contesto sociale.
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JiJitsU e sHinJitsU la realtà e la Verità di domon Ken di Claudia Forcignanò
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La mostra del maestro giapponese a Roma, nel Museo dell’Ara Pacis, fino al 18 settembre
ROMA. Esiste una frazione di secondo che intercorre tra l’attimo in cui un’immagine colpisce l’attenzione e quello in cui viene consegnata all’immortalità, ed è in quella frazione di secondo che si sviluppa l’essenza stessa della fotografia: nella consa-
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pevolezza di aver colto qualcosa di irripetibile, di essere stati protagonisti di un prodigio raro, mentre un brivido percorre ogni centimetro della pelle del fotografo e non lo abbandona fino al momento di vedere su carta il risultato di quello scatto e donarlo al mondo. Siamo nell’era del digitale e della fotografia alla portata di tutti, circondati da pseudo fotografi armati di reflex pagata a rate che si illudono di poter fotografare ignari passanti e dichiararsi per questo guru della street photography dinanzi ad uno sparuto gruppo di follower, ma la fotografia è altro, non vive sui social media e non viaggia in internet, la fotografia, quella vera, pura, trascende spazio e tempo e racconta attimi di rara poesia, la fotografia è Domon Ken. In ogni suo scatto vive la sua
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anima, la sua idea di mondo, il suo spirito ribelle, la sua indescrivibile umanità. Poco prima della sua morte, avvenuta nel 1990 all’età di ottantatre anni, a Sakata è stato inaugurato il primo museo dedicato ad un fotografo con oltre 70.000 sue foto, mentre la “Raccolta completa di Domon Ken”, pubblicata anch’essa nel
1983, è stata suddivisa in ben tredici volumi. Finalmente, anche in Italia, sarà possibile ammirare le sue opere, poiché fino al 18 settembre il Museo dell’Ara Pacis di Roma ospiterà una mostra monografica a lui dedicata con oltre 150 scatti realizzati tra gli Anni ‘20 e gli Anni ’70, a cura di Rossella Menegazzo, docente di Storia
Domon Ken, Bagno presso il fiume davanti al Hiroshima Dome, dalla serie Hiroshima, 1957, 535×748, Domon Ken, Domon Ken, Autoritratto pubblicato sul numero di novembre della rivista Sankei Camera, 1958, 457×560 Ken Domon Museum of Photography
Domon Ken, Foto commemorative della cerimonia di diploma del corpo della Marina, 1944, 1047×747 Ken Domon Museum of Photography
dell’Arte dell’Asia Orientale all’Università degli Studi di Milano e del Maestro Takeshi Fujimori, direttore artistico del Ken Domon Museum of Photography. La mostra è un percorso intenso che parta dalle fotografie che documentano la vita in Giappone, scattate nel periodo in cui lavorava per la rivista “Nippon” realizzando reportage a fini propagandistici, mostrando al mondo una Nazione in forte ascesa, sicura del proprio potere, gelosa
delle proprie tradizioni e sempre più orientata verso una politica nazionalista. Si viene accolti dagli scatti che ritraggono il rituale della presentazione dei bambini al tempio, giovani tuffatori, pescatori, scene di vita quotidiana, tra ore che trascorrono lente e la gioia esplosiva di un bambino che ha catturato un pesce, mentre altri giovani sorridono emozionati nella foto commemorativa della cerimonia di diploma del corpo della Marina, fase finale di un
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allenamento duro, fedelmente documentato, in cui le crocerossine in divisa sfilano accanto a soldati intenti nello svolgimento delle prove fisiche. In questi scatti, realizzati poco prima della Seconda guerra mondiale, appaiono volti in primo piano di donne il cui coraggio si legge nello sguardo, giovani uomini che guardano al futuro con sicurezza, orgogliosi della divisa che si accingono ad indossare, fieri di aver sposato il proprio mestiere, inconsapevoli della tragedia che bussa alle porte e del grande inganno che sarà la propaganda di guerra. Con lo scoppio delle prime bombe, molte cose cambiano, alcune testate giornalistiche vengono chiuse, solo alcuni fotografi hanno diritto ad eccedere al materiale che viene assegnato in base a ciò che il governo reputa essenziale documentare. Lo spauracchio della chiamata al fronte come fotogiornalista spinge Domon Ken a dedicarsi ai templi buddisti e al teatro di burattini Bunraku dove realizza reportage unici al mondo ritraendo i grandi maestri burattinai con le loro creature e dove l’8 dicembre 1941 apprenderà la notizia della dichiarazione di guerra agli Stati Uniti. Il Giappone uscirà sconfitto dal conflitto, la bomba atomica cambierà per sempre il volto di un Paese e lo spirito dei suoi abitanti, piazzandosi come un
Domon Ken, Donne a passeggio, Sendai, 1950, 457×560 Ken Domon Museum of Photography
avvoltoio sulle loro spalle e ricordandogli per sempre una tragedia che nessuna parole potrà mai raccontare. Anche in Domon Ken qualcosa cambia, il suo spirito è in rivolta, sente il bisogno di agire, di raccontare, di dire al mondo intero cosa vede e cosa realmente accade in Giappone, anche se questo potrebbe significare mettersi apertamente contro il governo e perdere tutti i privilegi acquisiti in precedenza. Domon Ken parla, è un fiume in piena, parla l’u-
nica lingua che conosce: la fotografia. Inizia così il suo cammino verso il realismo raccontando una società in profondo cambiamento. Le donne non sono più crocerossine devote al paese e alla propria missione: sciolgono i capelli, indossano abiti occidentali, passeggiano per strada sfoggiando vestiti che scoprono le gambe e riparandosi dal sole con un elegante ombrellino; le dive del cinema irrompono nella vita di ogni giorno, le loro immagini campeggiano tra le bancarelle dei mercati rionali, sono bellissime, hanno
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Domon Ken, Sorelline orfane, Rumiechan e Sayurichan, dalla serie ChikuhĹ? no kodomotachi, 1959, 535Ă—748, Ken Domon Museum of Photography
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sguardi ammalianti e sorrisi languidi, si mostrano al mondo in tutto il loro splendore, ammiccano all’obiettivo di Domon Ken che ritrae senza distinzione, il mondo dorato delle brave ragazze e il mondo segreto delle prostitute relegate nei “quartieri di piacere”, dove donne di ogni età, svestite e abbrutite, attendono i loro clienti. La passeggiata tra i tasselli della storia, prosegue in una delle sezioni più commoventi: quella dedicata ai bambini, tanto amati da Domon Ken e da lui ritratti a partire dal 1952 in tutto il Giappone, con una predilezione per quelli del quartiere in cui vive. Sono foto di un realismo impressionante, i volti dei bambini sembrano voler parlare con lo spettatore, confidargli i disagi di una vita ingiusta, di sogni interrotti. Emerge tutta l’anima lacerata dell’artista, che pochi anni prima aveva perso la sua secondogenita a causa di un incidente e che sempre più sente il bisogno di lacerare il velo di Maya che offusca la realtà. Racconta la disperazione dei piccoli orfani costretti a crescere tra lacrime e disperazione, racconta la mesta desolazione dei bambini che in classe, durante la pausa pranzo, fissano il banco mentre i compagni mangiano, racconta la bellissima Rumie, con i suoi occhi infiniti e un sorriso perduto. Gli anni scorrono, nel 1957, sulla rivista “Photo Art” esce
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A lato: Domon Ken, Pioggerella, Atami, 1952‐54, 457×560 Sotto: Gemelle non vedenti, dalla serie Hiroshima, 1957, 457x560 Ken Domon Museum of Photography
un articolo a firma di Domon Ken, nel quale parla di quelli che per lui sono i due capisaldi della fotografia: “jijitsu”, ovvero realtà e “shinjitsu”, verità. Nel frattempo, il maestro del realismo prepara una raccolta che farà tremare le coscienze del mondo intero: “Hiroshima”. 7.800 negativi che porteranno alla realizzazione di 180 immagini precedute da una breve introduzione di poche pagine, 180 attimi che rimarranno impressi per sempre negli occhi di chi avrà il privilegio di vederli, 180 colpi dritti allo stomaco. Le lacrime di Domon Ken si uniscono al fiume in piena del dolore di chi è stato vittima dell’infamia più grande, mentre riprende cicatrici, amputazio-
ni, follia, operazioni chirurgiche, deformazioni, malformazioni con il chiaro intento di affrontare il tema dalla bomba atomica parlando di chi a essa è sopravvissuto e non di chi è morto. La fotografia è un’arte? Indubbiamente sì, ma la fotografia di Damon Ken è l’arte del realismo per eccellenza, non si ferma di fronte a nulla, cattura l’immagine senza giudicarla, lasciando a chi la osserverà l’onere di fare i conti con la propria coscienza. Varcando la soglia del museo e tornando all’aperto, guardando gli alberi e il cielo, non si avrà voglia di sorridere, ma semplicemente di sedersi e rimanere in silenzio, cullando lo sgomento della bellezza e della bruttezza che solo questo mondo può donare e resistendo all’impulso di tornare dentro e accarezzare ogni singola foto chiedendo perdono.
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come salVai Un testo di a. l. Verri altrimenti destinato al macero
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di Maurizio Nocera
Presentato a Lecce, al Fondo Verri il “Journal” del poeta e scrittore leccese edito da Spagine e curato da Mauro Marino e Maurizio Nocera
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nella foto la copertina di “Journal”
L
o stesso giorno (8 luglio 2016) in cui si andava a presentare a Lecce Journal di A. L. Verri, sulle pagine culturali del «Quotidiano di Puglia», Teo Pepe, scriveva una recensione che coglieva nel profondo il vissuto e l'esperienza letteraria del poeta di Caprarica di Lecce: «Journal - scrive il responsabile delle pagine culturali del «Quotidiano» - [è] un libro singolare non solo perché nato dall'affetto e dalla stima di suoi due veri amici, ma perché si tratta di un diario, in cui è lo stesso Verri a parlare di sé, delle sue iniziative, della sua vita quotidiana. Un documento unico per saperne e capire di più. E per scoprire, con nome e cognome, quali furono davvero i suoi compagni di avventura, le persone che con lui condivisero il sogno di un arrembaggio culturale nel Salento di trent'anni fa, una realtà assai diversa da quella che conosciamo oggi./ Un irregolare, un outsider, certo. Ma anche un uomo straordinariamente sincero,
affabile, tanto entusiasta quanto rassegnato alla sconfitta laddove la sconfitta consisteva nel suo essere preso sul serio. [...] Un libro strano, [...] C'è, in queste pagine, la passione di un uomo generoso ed empatico, a suo agio nell'utopia, ma capace di comunicare con tutti, cattedratici e ignoranti, straordinariamente vicino a personaggi che oggi, nel ricordo e nella trasfigurazione del tempo, hanno trovato perfino uno spazio sull'altare della cultura salentina, ma che allora conobbero solo l'emarginazione e l'indifferenza. [...] Se ci fosse lo spazio, andrebbero elencati tutti quei progetti, così come i nomi di sodali e compagni d'avventura citati nel Journal. Una lettura illuminante, ventitré anni dopo la morte del suo autore, soprattutto per chi quella ormai remota e fervida dimensione del Salento, priva di luci e di grancasse mediatiche, non l'ha mai conosciuta». Chiedo scusa a Pepe per la lunga citazione, ma non trovo di meglio per iniziare una breve rifles-
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Sotto un’immagine di Antonio L. Verri e un ritratto del poeta realizzato dal’’artista Edoardo De Candia
sione sulla storia di questo manoscritto verriano. Intanto com'è stato possibile salvarlo da sicura morte? Journal è il diario “segreto” sul quale Verri scriveva le sue amarezze, difficoltà di vita, dispiaceri, sofferenze, disperazioni. Va dal 7 ottobre 1983 all’8 luglio 1992, cioè a nove mesi dalla sua morte con un’interruzione dal 12 febbraio 1986 al 17 giugno 1992. In un fine settimana del febbraio 1993, come spesso mi accadeva di fare nei 20 anni di sodalizio letterario fra me e Antonio, andai a Caprarica di Lecce per il pranzo, servito dalla grande mamma Filumena (mamma di Verri). Partii da Lecce un po’ prima del solito. Quando arrivai in via Milite Ignoto, il poeta mi aprì la porta di casa e, sapendo che era ancora presto per mangiare i “disperati”, mi invitò a salire. Non so quanti sanno che Antonio lavora-
va in uno studiolo (probabilmente in origine doveva essere stato una sorta di stipo) minuscolo, in tutto due metri per tre. Qui, in questa stanzetta che poteva sembrare piccola per tutti, egli riusciva a contenere tutte le sue passioni di vita e letterarie. Anch’io qui, in questo minuscolo luogo, c’ho passato buona parte del mio tempo verriano. Entrati in casa, Verri andò a riprendere il posto che occupava prima che io arrivassi, cioè nello studiolo. Davanti aveva un cestino della carta e sulla scrivania un bel mucchio di carte. Il cestino era quasi colmo di carte strappate o appollottolate. In quel momento stava strappando (la copertina nera del quadernetto di scuola elementare era ormai partita e languiva in bella vista nel cestino) il Journal. Aveva le sue grosse mani sulla prima pagina e stava per tirare. Mi sono accorto subito che su di essa c’era inconfondibile la sua scrittura. Quante volte non ho salvato da quel cestino tanti suoi manoscritti e quante volte egli, col suo vocione da “cavernicolo”, non mi apostrofasse: «Ma che c[….] te ne fai di questa carta straccia?». «Tu pensa ai c[….] tuoi che io penso ai miei!». Ed ora: «Ma che stai facendo?». Per un attimo si fermò, anche perché io avevo alzato la voce un po’ più del solito. «Si tratta di robaccia. Non voglio che resti in giro. Non è letteratura. Non è poesia. Va strappata e bruciata». Con una mossa fulminea gli sfilai dalle mani il quadernetto e mi allontanai di qualche passo, mettendomi sulla soglia dello studiolo, pronto a fuggire. Verri si alzò dalla sedia e mi venne incontro. Bisogna ricordare che il poeta era un gigante quanto a corporatura, io invece la metà di lui. «Dammelo. Non fare lo scemo. Non sai neanche di che si tratta». «Non m’importa di che si tratta e non m’importa di che cosa ci sta scritto. Solo che questa volta tu non lo strappi. Ed ora io scendo giù da mamma Filumena a mangiare i “disperati”».
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Verri sapeva che quando m’inc[…..], infilavo la porta e me ne andavo. Non me ne sono mai andato del tutto, magari scendevo giù in casa di sua madre e aspettavo che scendesse per poi ricominciare o litigare o trovare la mediazione. Riprese: «Dammelo. Non fare lo scemo. Non voglio che questa cosa resti in giro. Non puoi capire». «No, Verri. Questa volta non la vinci. Non te lo do. Anzi, piuttosto che strappare, sarebbe meglio raccogliere e consegnarmi tutte quelle carte che per te sono robaccia. Conosci la mia passione per i libri e per tutto ciò che significa storia. E poi non mi hai già dato tutta la corrispondenza che ti riguarda? E allora, perché ora vuoi distruggere?». «Tu non puoi capire. In quel quadernetto c’è scritta la mia disperazione ed io non voglio che altri la leggano». Ci fu una breve colluttazione. Io avevo paura di Antonio quando, anche per scherzo, mi prendeva per le spalle e mi stringeva a tenaglia. A volte, senza accorgersi, rischiava di stritolarmi il torace come, per gioco, accadde una sera nel giardino della “Fucasseria” di Cavallino che, con Fernando Bevilacqua, vollero fare gli scemi a prendermi di dietro e stringermi le spalle. Quella volta, Fernando se lo ricorda, m’inc[.….] veramente di brutto, tant’è che il Verri non lo fece più. Mi liberai dalla morsa delle sue mani. «Va bene. Tutto quello che vuoi. Ti prometto che non lo leggerà nessuno. Neanch’io lo farò. Ma ti prego, non distruggilo». Verri mollò la presa ed io ricominciai a respirare. «Va bene andiamo giù, ma il quadernetto lasciamolo qui». «Neanche per il c[…] lo lascio qui. Lo porto con me, perché altrimenti non so che fine farà». Infilai la porta e cominciai a scendere le scale. Verri mi seguì. Da dietro lo sentii dire: «Maurizio, almeno promettimi che non lo pubblicherai!». «Lo prometto!». Quel giorno, e quel pranzo, e quei “disperati” di
mamma Filumena furono veramente all’insegna della disperazione. E tuttavia la dolcezza del poeta di Caprarica di Lecce non lo potrò mai dimenticare. Nel pubblicare questo testo di Verri, ho sentito il dovere di anticiparlo con questo prescritto: «Caro Antonio, promessa non mantenuta. Ma tu già mi conosci molto bene. Sono lo zallo salentino che ti è venuto dietro per anni a correre sui grandi massi delle mura delle antiche città messapiche a fare insieme (almeno così abbiamo creduto) poesia e letteratura. Ma ti giuro sul bene che mi è più caro, non pubblico il tuo Journal per mio preciso desiderio, lo faccio solo perché si continuano a dire tante cose di te, che ormai non sopporto più e che voglio che almeno una volta tanto sia tu a parlare e a farti leggere per come hai inteso le cose di questa nostra amata (“amara” ha cantato Mimmo Modugno) terra. Intanto però ti chiedo perdono per questo nuovo e credo ultimo affronto che ti faccio. Ciao. M.».
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Foto di Claudia Forcignanò, in basso Lucio Dalla immagine guida della mostra “Lucio Dalla. Immagini e suoni” a cura del critico musicale Ernesto Assante, allestita fino al 2 ottobre nella sala Zanardelli del Vittoriano
“lUcio dallla. immagini e sUoni” Per Un Poeta contemPoraneo di Claudia Forcignanò
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La mostra monografica dedicata al cantautore bolognese è visitabile fino al 2 ottobre 2016
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ROMA. Era il primo marzo del 2012 quando il cuore di uno dei più grandi poeti italiani ha smesso di battere, e quel giorno anche il tempo si è inchinato in segno di rispetto, il mondo per un attimo ha taciuto, incredulo, davanti alle immagini dei telegiornali, mentre i cronisti raccontavano con voce atona la fine di un uomo. Mancavano tre giorni al suo sessantanovesimo compleanno e nella mente, le parole dei tg si confondevano con le note cha hanno accompagnato intere generazioni: “Dice che era un bell’uomo e veniva, veniva dal mare. Parlava un’altra lingua però sapeva amare…”. Lucio Dalla è stato un cantautore, un poeta, un musicista, un autore teatrale, attore e scrittore, ma soprattutto è stato un filantropo, un uomo grande, di quelli che lasciano il segno in ogni cosa che fanno perché hanno il dono di poter raccontare la vita altrui attraverso la propria pelle. L’Italia intera era la sua casa, le ingiustizie del mondo erano battaglie contro cui scendeva in campo senza paura. Aveva il dono, raro, della sensibilità, sapeva ascoltare le storie e le rendeva poesie in musica interpretando le emozioni collettive in mix visionario, a volte ironico, spesso coraggioso, perché la necessità di crescere, evolversi, lo ha portato a sperimentazioni ardite, anche a costo di dover assaporare il gusto acre dell’insuccesso. Dal primo marzo del 2102 molte cose sono cambiate, la sua Italia amatissima si è progressivamente avventurata lungo strade contorte, sul
panorama musicale si sono avvicendati giovani autori che hanno prodotto singoli presto dimenticati, la politica ha dato il peggio di sé, e il mondo dello spettacolo piange i grandi del passato, ma nessuno ha smesso di ascoltare le sue canzoni che ogni tanto affiorano sulle labbra strappando un sorriso. Manca tanto Lucio Dalla, manca la sua figura carismatica e discreta, il suo sorriso sornione, gli occhi buoni, la voce pacata. La portata della sua assenza emerge percorrendo la sala Zanardelli del Vittoriano che dal 22 luglio al prossimo 2 ottobre, ospitano una mostra monografica a lui dedicata: “Lucio Dalla, immagini e suoni”, a cura del critico musicale Ernesto Assante, che attraverso i meravigliosi scatti di fotografi come Giovanni Canitano, Guido Harari, Fabio Lovino, Carlo Massarini, Fausto Ristori e Luciano Viti, ha realizzato un percorso alla scoperta dell’artista e dell’uomo.
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Le luci soffuse e il sottofondo musicale che manda in loop i brani più celebri di Lucio Dalla, hanno un effetto terapeutico sullo spettatore che istintivamente mette da parte il mondo esterno per calarsi in una nuova dimensione in cui poter assistere al prodigioso incontro con un uomo ritratto in momenti pubblici e privati che ne restituiscono un quadro umano e professionale variegato e coloratissimo che parte delle immagini di “Banana Republic”, il tour storico che Dalla fece nel 1979 insieme a Francesco De Gregori, gli Stadio e Ron, e si conclude nel il 2012, sullo sfondo di Montreux, in Svizzera, dove la sera dopo un concerto, perse la vita a causa di un infarto. Agli scatti e alla musica si mescolano le parole degli amici di sempre raccolte nel documentario di Sesti: Marco Alemanno, Renzo Arbore, Charles Aznavour, Paolo Nutini e John Turturro raccontano l’uomo che ha percorso l’Italia in lungo e in largo, raccontandola giocando con le parole e i dialetti, intrecciando fitte trame tra regioni e borghi. Lo zucchetto di lana e gli occhialini tondi sbucano nelle foto insieme alle barba lunga e alle collane, l’ironia delle pose che lo vedono piccolo accanto ai giocatori di basket si scontra con la tenerezza di una mela verde addentata e un libro in mano, l’intimità degli attimi preziosi che intercorrono tra una canzone e l’altra durante i concerti, in compagnia degli amici e colleghi, viene avvalorata dai ritratti in cui appaiono le prime rughe che non scalfiscono, anzi, impreziosiscono un sorriso e uno sguardo che hanno compreso come va il mondo e hanno trovato il modo per
affrontarlo, mentre camminando e soffermandosi sulle foto o semplicemente canticchiando uno dei pezzi trasmessi, ci si illude di poter rivedere le sue mani su un pianoforte mentre intona ancora Caruso e di nuovo racconta la storia sua, la storia nostra.
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La Chiesa dei Diavoli, foto di Donato Nuzzaci
la cHiesa dei diaVoli e lamia la cUltUra nel Paesaggio
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L’architetto Leonardo Caliato da Lequile la progettò con una originale pianta ottagonale di Donato Nuzzaci
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TRICASE (Lecce). Un bene culturale a disposizione, la Chiesa dei Diavoli di Tricase con annessa "Lamia", e un gruppo affiatato che da oltre un anno si sforza ogni giorno, sotto le insegne dell'Associazione culturale Meditinere, per rendere fruibile questo spazio, quasi fiabesco. La struttura sorge a poche centinaia di metri dall'abitato della città di Tricase nei pressi dell'incrocio tra le strade che portano una verso la vicina Andrano e l'altra verso la strada vecchia Porto di Tricase. Scrive Carlo Vito Morciano: “Si tratta di una chiesa che viene aperta al culto nel 1685 da Jacopo Francesco Arborio Gattinara, marchese di S. Martino, Cavaliere dell’Ordine di Santiago, condottiero e duce degli eserciti delle maestà cattoliche Filippo IV e Carlo II di Spagna, il quale matura la volontà di realizzare un tempio cristiano dedicato alla Madre di Dio. Il nobile piemontese,«in una pausa dallo strepito delle armi», affida la progettazione architettonica a Leonardo Caliato da Lequile, il quale realizza un’originale struttura ottagonale, nella fertile campagna, «fuori le porte di Tricase»,
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dove già sorgeva un’antica cappella dedicata alla Vergine di Costantinopoli. In seguito, il Vicerè di Napoli, don Gaspar Méndez de Haro y Guzmán, concede la facoltà di poter organizzare una fiera con la vendita di ogni «sorte di robbe, mercanzie, vettovaglie e animali» da tenersi tutti i martedì di Pentecoste, per quattro giorni consecutivi, nello spiazzo di fronte alla chiesa. La famiglia Gallone, dei Principi di Tricase, deterrà la proprietà ed i diritti di patronato sino al 1966: anno in cui l’amministrazione comunale Codacci-Pisanelli acquisterà l’edificio, oramai cultualmente in disuso dagli inizi del Novecento”. Un bene culturale preziosissimo, dunque, che il Parco naturale regionale Otranto-S.M. di Leuca e bosco di Tricase ha voluto dare in gestione, - insieme all'ente proprietario, il Comune -, all'interno del programma Sac Porta d'Oriente (Sistemi ambientali e culturali), proprio per far rinascere questo luogo e il vicino sito denominato "Biotopo Giardino delle Vallonee". Oggi l'Associazione Meditinere, - presieduta da Michele Turco, guida turistica abilitata -,
che porta avanti già dal 2008 l'Ufficio IAT (informazioni turistiche) del Comune collocato nel Palazzo Gallone nei pressi di piazza Pisanelli, ha avviato un programma di riscoperta del sito di cui la Chiesa e l'annessa Lamia fanno parte istituendo un Ufficio d’Informazione e di Gestione che coordina di volta in volta le attività, favorendo allo stesso tempo una programmazione ampia in sinergia con gli uffici istituzionali del sistema SAC e del Parco. Innumerevoli sono stati in un anno e mezzo di attività gli eventi organizzati dall'associazione Meditinere: presentazione di libri, concerti, manifestazioni teatrali, convegni, sala prove per gruppi teatrali e musicali; installazione di un punto di ristoro, organizzazione di colazioni, pranzi o cene di lavoro, matrimoni civili; una vetrina per esposizione di prodotti agroalimentari e artigianali locali. E ancora: organizzazione di itinerari turistici e didattici attraverso la messa in rete del patrimonio dei beni culturali presenti nel SAC con le risorse culturali, storiche e paesaggistiche del territorio, le imprese agricole e produttive locali, finalizzata all'esaltazione delle identità eno-gastronomiche e agro-alimentari, gestione degli spazi museali per esposizioni itineranti e inserimento dei beni Chiesa e Lamia all'interno di un percorso turistico-culturale di respiro nazionale e internazionale. Tra le tante giornate organizzate nel 2016, due fra tutte sono state i "fiori all'occhiello" realizzati finora all'interno del "Complesso Chiesa dei Diavoli": lo svolgimento di una serata di teatro con l'attore Enrico Lo Verso che ha interpretato, all'interno della prima edizione della Rassegna "Parole da Bere", un testo di Pirandello "Uno Nessuno Centomila" e poi lo straordinario Festival "Il Cammino Celeste", ispirato ai percorsi musicali legati alla via Francigena della Puglia Meridionale, con l'ensemble "Al Majaz" con Nabil Bey, fondatore del gruppo Radiodervish e Al Darawish. Per farla breve, la "rinascita" di questi splendidi luoghi sembra essere appena cominciata e si preannuncia ricca di iniziative e progetti, finalizzati a far riaffezionare la cittadinanza di Tricase e salentina a questa località. foto Donato Nuzzaci
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la Prima residenza teatrale e tanti incontri d’aUtore
TRICASE (Lecce). E continuano senza sosta le attività culturali alla Chiesa dei Diavoli promossi dall’associazione Meditinere. Sabato di mezz’agosto all’insegna della lettura e del teatro. Al centro dell’attenzione il 13 agosto dalle ore 20:30 saranno il nuovo libro della dott.ssa Paola Assunta Buccarella, tricasina, dal titolo "Dimagrire, che stress! ovvero del perché le diete non funzionano quasi mai" edito dalla casa editrice Ultra life, un volume pensato “per chi, nel corso della sua vita, ha seguito diete di tutti i tipi ma con risultati poco soddisfacenti”. Con l’autrice dialogherà lo scrittore Alberto Colangiulo. A seguire spazio, dalle ore 22:30, alla rappresentazione teatrale “Novella Vaga”, una tragicommedia grottesca e surreale, che sarà presentata al pubblico quale risultato della
prima residenza teatrale tenuta presso la Chiesa dei Diavoli dall’1 agosto scorso e portata avanti da cinque attori: Valentino Infuso, Valentina Cidda Maldesi, Donatello Iacullo, Fabio Pagano, Paola Crisostomo (nella foto una performance). “I cinque personaggi sono imprigionati in un ciclo sincopato di azioni ed
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emozioni sempre uguale a se stesso, risultano ostinatamente aggrappati alle proprie questioni, alle proprie paure, alle proprie speranze, distratti dalla loro stessa esistenza”... è questo l’introduzione del lavoro teatrale. Seguirà un confronto pubblico con gli attori e gli autori dello spettacolo.
edicola 518.così rinascono i lUogHi
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di Antonietta Fulvio
A Perugia sulle scalette di Sant’Ercolano un nuovo spazio luogo di dialogo e di incontro
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PERUGIA. Percorrendo le scalette di Sant’Ercolano ci si imbatte ad un certo punto nell’Edicola 518. Quattro metri quadrati di spazio infinito dove è possibile trovare insieme ai giornali di Emergenze, prodotti editoriali e artistici che arrivano da tutto il mondo, a volte introvabili, tutti scelti con cura. In passato era un luogo sacro per i perugini, e non solo, poi la chiusura. La dimenticanza. Da giugno invece l’edicola ha riaperto dopo essere stata restaurata e recuperata ed è oggi crocevia di cultura, luogo d’incontro e progettualità comunitaria. Uno spazio aperto per la diffusione di idee, di libri e di giornali di tutto il mondo. Artefice di questo miracolo, nel paese in cui i teatri e i cinema diventano supermercati o sale bingo- è il direttivo dell’associazione culturale Emergenze presieduto dal giornalista Antonio Cipriani e completato da Antonio Brizioli, Valentina Montisci (autrice degli scatti, ndr), Kristina Borg, Mattia "FIENO" Torelli,
Paolo Marchettoni, Alberto Brizioli. Un collettivo che nel lontano 2014 diede vita al progetto di un giornale che narrasse in prima persona la progettualità e l’incontro, ponendo la questione della forma artistica e della qualità, e rivendicasse nella bellezza dell’oggetto la possibilità di percorrere una strada non segnata dalle mappe ufficiali. Un numero zero più quattro numeri da collezione per tracciare la rotta dei primi passi del progetto artisticoeditoriale Emergenze. Ora i giornali sono in esposizione e vendita nell’Edicola 518. Un piccolo chiosco nel cuore di Perugia come avamposto innovativo: per discutere il sistema dell’editoria, della distribuzione e dei modelli che impediscono a progetti indipendenti di mettersi in moto, di spiccare il volo e mostrare una faccia diversa nella narrazione di quello che viviamo spiega Antonio Brizioli del collettivo Emergenze che continua: si tratta di un progetto pilota, innovativo e spettacolare, in cui si sono fuse alchemicamente energie diverse, generazioni ed esperienze, ardire giovanile e saggezza millenaria. Nell’idea dell’incontro e della conoscenza l’Edicola 518 sarà aperta tutta l’estate e ogni mercoledì incontrerà artisti, cantanti, poeti, giornalisti, scrittori, cittadini, studiosi e viaggiatori per discutere insieme di editoria, di arte, di mondo. Per praticare l’arte del dialogo e dell’ascolto, merce sempre più rara e di cui si ha un urgente bisogno insieme alla valorizzazione dei luoghi. Con lo stesso spirito il collettivo lo scorso inverno ha rigenerato l’ex chiesa della Misericordia facendo arrivare nello spazio espositivo abbandonato nel centro storico di Perugia le mostre di Walter Meregalli e di Steve Gobesso. Perché la vera emergenza è riscoprire la bellezza e diffonderne il contagio.
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matteo PUgliese. spiriti ostinati
antonio da faBriano. la madonna della misericordia Museo diocesano di Milano (Milano, c.so Porta Ticinese 95) fino al 20 novembre 2016 Orari: martedì-domenica, 10.0018.00 (La biglietteria chiude alle ore 17.30) chiuso lunedì (eccetto Festivi)
HelmUt neWton fotografie WHite Women / sleePless nigHts / Big nUdes fino al 7 agosto 2016 Venezia, Casa dei Tre oci Fondamenta delle zitelle, 43 30133 giudecca - Venezia Vaporetto: Fermata Zitelle; Da piazzale Roma e dalla Ferrovia linea 4.1 -2 Da San Zaccaria linea 2 - 4.2 Orari: Tutti i giorni 10– 19; chiuso martedì. Infotel. +39 041 24 12 332
carlo Bernardini. dimensioni invisibili fino al 18 ottobre 2016 Aeroporto di Milano Malpensa, Porta di Milano Orari: dalle 8.00 alle 22.00 Ingresso libero. Infotel. 02 232323 alPHonse mUcHa curata da tomoko sato fino al 11 settembre 2016 Roma, Complesso del Vittoriano Ala Brasini William Klein. il mondo a modo sUo Milano, Palazzo della Ragione fino all’11 settembre 2016
sol leWitt fino al 25 novembre 2016 STUdio giAngALEAzzo ViSConTi Milano, C.so Monforte 23 Orari: da lunedì a venerdì, 11.00 13.00; 15.00 – 19.00. Ingresso libero
diVina Bellezza dreaming siena duomo di Siena, Piazza Jacopo della Quercia 4 luglio – 30 settembre 2016 Tutti i giorni ad eccezione della domenica e del periodo dal 13 al 16 agosto. Una rappresentazione al giorno alle ore 21:30, con degustazione di prodotti tipici a partire dalle ore 21:00. Biglietti: € 15,00 intero; € 12,00 ridotto: residenti nel comune di Siena. Gratuito: bambini fino a 6 anni, portatori di handicap e un accompagnatore; € 27,00 combinato con Opa si Pass all inclusive ticket. Info e prenotazioni: 0577.286300 riccardo dalisi idEE in VoLo fino al 31 dicembre 2016 MUST, Museo storico Lecce,Ex monastero di Santa Chiara Via degli Ammirati, n° 11 mustlecce.it 0832.0832.241067 Bendini Ultimo (2000-2013) Roma, Accademia di San Luca piazza Accademia di S. Luca, 77 fino al 1 ottobre 2016 tel.06.6790324 ingresso libero i naBis, gaUgUin e la PittUra italiana d'aVangUardia Rovigo, Palazzo Roverella dal 17 settembre 2016 al 14 gennaio 2017 Via giuseppe Laurenti, 8/10 tel. 0425.460093 info@palazzoroverella.com temPi della storia, temPi dell’arte. cesare Battisti tra Vienna e roma Trento, Castello del Buonconsiglio Via Bernardo Clesio, 5 tel. +39 0461 492811 fino al 6 novembre 2016 l’UmBria sUllo scHermo. dal cinema mUto a don matteo Perugia, Palazzo Baldeschi al Corso fino al 15 gennaio 2017 www.fondazionecariperugiaarte.it tel. 075. 5724563
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il mondo di steVe mccUrry Citroniera delle Scuderie Juvarriane fino al 25 settembre 2016 Info e prenotazioni: tel. + 39 011 4992333 steVe mccUrry. icons Castello di otranto fino al 2 ottobre 2016 VUlcani.origine, evoluzione, storie e segreti delle montagne di fuoco Museo di Storia naturale di Milano fino al 11 settembre 2016 corso Venezia 55 M1 Palestro Orari: chiuso il lunedì, da martedì a domenica: 9.00 - 17.30 (ultimo ingresso ore 17.00) Biglietti: 10 € intero Info point Museo di Storia Naturale 02 88 46 33 37 garry Winogrand. Women (are beautiful) MAn, Museo d’Arte Provincia di nuoro via S. Satta 27, nuoro fino al 9 ottobre 2016 tel. +39 0784 25 21 10 eadWeard mUyBridge (1830 – 1904). Tra scienza e arte Milano, galleria gruppo Credito Valtellinese Fino al 1 ottobre 2016 tel. +39 0248.008.015 meraViglie dello stato di cHU Museo nazionale Atestino di Este (Pd), Museo Archeologico nazionale, di Adria (Ro), Museo d’arte orientale di Venezia Fino al 25 settembre 2016 Infotel: +39 392 9048069 mostra-chu.it PerUgino PintUriccHio e gli altri. la fondazione cassa di risparmio di Perugia apre lo scrigno dei suoi tesori Perugia, Palazzo Lippi Alessandri corso Vannucci 39 fino al 20 novembre 2016 dal martedì al venerdì, 15.30-19.30 sabato, 11-22; domenica, 11-20 ingresso libero
iTinER_ARTE...doVE E QUAndo...
Marina di Pietrasanta (LU), La Versiliana (viale Enrico Morin, 16) fino al 15 settembre 2016 Ingresso libero. Orario: tutti i giorni, 17.00-23.30. Infotel 0584.265757
risate intelligenti con edUardo mendoza l’alieno e i giocHi olimPici del 1992
LUogHi dEL SAPERE
di Michele Bombacigno “Swift? Bradbury? No. Semplicemente Mendoza, quel privilegiato sguardo ludico alla scoperta di quanta irrealtà si travesta da realtà e viceversa, quel moralismo da romanziere inglese del XVIII secolo passato dal divano del consultorio psichiatrico di Groucho Marx, elementi che hanno fatto di Eduardo Mendoza uno scrittore obbligatorio in tutti i programmi di igiene mentale europea fine di millennio." (Manuel Vázquez Montalbán)
EdUARdo MEndozA nessuna notizia di gurb novembre, 1992 Feltrinelli traduttore: gianni guadalupi pagg. 120 €6,50 collana: Universale economica iSBn 9788807812231
Due alieni, di forma extracorporea fatta di intelletto puro, incaricati di una missione di ricognizione, sbarcano sulla Terra, esattamente nella caotica Barcellona – un enorme cantiere –che prepara i Giochi Olimpici del 1992. Uno dei due, Gurb, assunto l’aspetto “dell’essere umano denominato Marta Sanchez”, si allontana con un professore universitario su di “mezzo di trasporto di grande semplicità strutturale ma di maneggio complicatissimo, denominato Ford Fiesta”e fa sparire le sue tracce. L’altro, che sarà poi l’io narrante e del quale non sapremo il nome, si mette alla ricerca del compagno scomparso, immergendosi nella grande città catalana, annotando puntigliosamente su un diario ogni movimento ed ogni fatto dei ventiquattro giorni nei quali si svolge la vicenda. In estrema sintesi questa la trama di uno dei romanzi più divertenti che io abbia mai letto (lo trovo secondo solo a “La scomparsa di Patò” di Camilleri), e cioè “Nessuna notizia di Gurb” di Eduardo Mendoza, popolarissimo scrittore spagnolo. La ricerca del compagno Gurb induce l’alieno ad entrare in contatto con quegli strani esseri che abitano la Terra ed il breve romanzo di Mendoza (120 pagine da gustare una per una) si risolve in una spassosissima descrizione dell’Umanità, vista con gli occhi di un essere superintelligente ma anche un po’ ingenuo e affetto da una inguaribile fiducia nel prossimo. Esilarante, surreale, il romanzo di Mendoza strappa risate ad ogni piè sospinto, ma il divertimento che assicura non è mai fine a se stesso (cosa che, peraltro, non farebbe nemmeno male, ogni tanto…). Si tratta di una intelligente, originale, ironica, dissacrante caricatura della nostra società contemporanea, così spesso complicata e contraddittoria, ipocrita e irrazionale, frenetica e meschina, convenzionale e banale, incomprensibile e strampalata. La vicenda si svolge, come ho detto, a Barcellona, ma naturalmente la città spagnola è qui anche luogo metaforico che può ben rappresentare qualunque altra città della Terra. Dunque, il protagonista, mimetizzata la sua astronave, che trasforma in una ordinaria villetta, si mette alla ricerca di Gurb. Naturalmente dovrà assumere sembianze umane (piuttosto malvolentieri perché trova assurda l’anatomia umana: “Non c’è in tutto l’Universo porcheria più grossa né arnese peggio fabbricato del corpo umano”) che gli consentano di muoversi tra gli abitanti di Barcellona senza dare nell’occhio. Ma, non avendo altri punti di riferimento, se non quelli dei personaggi famosi studiati prima della missione, per non attirare l’attenzione della fauna autoctona, assume le sembianze ora del Papa, ora di Gary Cooper, ora del duca e della duchessa di Kent (contemporaneamente…), ora di Yves Montand (ma per un errore mentre canta si muta in Jacques-Yves Cousteau «e con lo scafandro nessuno riesce a essere intonato»), ora di Pio XII, dell’ammira-
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glio giapponese Yamamoto, di Gandhi,di Gilbert Becaud vestito da ninja, di Alfonso V, del faraone Tutmosi… Pur trovando sorprendente e il più delle volte strambo e deludente il comportamento degli umani, il nostro alieno, pian piano, nonostante il forte atteggiamento critico, si integra e si “umanizza” sempre più (mette le mani su una grossa somma di denaro, compra una casa e la ristruttura, si veste come le persone che incontra, diventa vittima di shopping compulsivo, si innamora della vicina di casa, si appassiona al cibo e in particolare ai tipici “churros” che mangia a decine di chili) e verso il finale arriva a pensare che la Terra, per quanto bizzarra, non sia poi quel brutto posto che gli è sembrato in principio e che l’imperfezione, le stranezze e l’imprevedibilità degli uomini ne costituiscono l’aspetto più gradevole e interessante, e comincia persino a meditare di stabilirsi sul nostro pianeta. Non rivelo il finale, e cioè se l’alieno riuscirà a ritrovare Gurb, né se deciderà di fermarsi davvero sulla Terra, perché se qualcuno vorrà leggerlo non veda compromesso il piacere della sorpresa (se non lo trovate in libreria – costa pochissimo – sono disposto a prestarvelo), ma chi ha voglia di trascorrere un paio d’ore piacevolissime, gustando questo originale affresco del nostro mondo, e farsi quattro risate, non si faccia sfuggire questo libro allegro e intelligente, esilarante ma anche ricco di citazioni colte e raffinate, un libro il cui unico grande difetto è quello di essere troppo corto… Con la certezza che qualunque lettore si renderà conto, dopo la lettura, come è capitato a me, di quanto spesso siamo inconsapevoli, noi umani, di essere ridicoli, contraddittori e strampalati, e che, come ha scritto qualcuno, “chiuso il libro, non si potrà più guardare il movimento di una città senza provare il desiderio di farsi due risate.” **** “Non c’è in tutto l’Universo porcheria più grossa né arnese peggio fabbricato del corpo umano. Già le orecchie, appiccicate al cranio come capita, basterebbero a squalificarlo. I piedi sono ridicoli. Le interiora, schifose. Tutti i teschi hanno un’espressione sogghignante che non ha alcun senso. Di tutto ciò gli essere umani sono consapevoli solo fino a un certo punto. La verità è che hanno avuto sfortuna con l’evoluzione…” “Mi sveglia un fracasso tremendo. Milioni di anni fa (o più) la Terra si formò grazie a orrendi cataclismi: gli oceani infuriati frantumavano le coste e seppellivano isole, mentre gigantesche catene di montagne crollavano e vulcani in eruzione generavano nuovi monti; i terremoti spostavano i continenti. Per commemorare questi fenomeni, il Municipio manda in giro ogni notte speciali apparecchi, chiamati camion della nettezza urbana, che riproducono sotto le finestre dei cittadini quei fragori tellurici.” “Non è difficile comunque capire di cosa stanno parlando, perché i catalani parlano sempre della stessa cosa, cioè di lavoro. Appena si riuniscono due o più catalani, ciascuno racconta del suo lavoro con profusione di dettagli. Con sette o otto termini (esclusiva, commissioni, portafoglio clienti e qualche altro) montano un dibattito animatissimo, che può durare all'infinito. Non esiste sulla Terra gente più dedita al lavoro dei catalani. Se sapessero fare qualcosa, diventerebbero padroni del mondo.” “In un locale vicino all’albergo chiedo e ingerisco un hamburger. È un conglomerato di frammenti provenienti da diversi animali. Un’analisi sommaria mi permette di riconoscere il bue, l’asino, il dromedario, l’elefante (asiatico e africano), il mandrillo, lo gnu e il megaterio. Trovo anche, in percentuali minime, moscerini e libellule, mezza racchetta da volano, due bulloni, sughero e un po’ di ghiaia. Accompagno la cena con una bottiglia grande di Zumifot.” “Pago il conto dell’albergo e lascio libera la stanza. La occupa immediatamente un rappresentante di prodotti alimentari che ha passato la notte in bianco. Mi racconta che la ditta per cui viaggia è riuscita a creare polli senza ossa, il che li rende molto apprezzati a tavola, ma un po’ sgraziati finché sono in vita.”
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LUogHi dEL SAPERE
iL RoMAnzo di dAVidE CARRozzA
dAVidE CARRozzA 3 giugno 1981 il giorno dopo il Raggio Verde 2016 pagg. 104 € 12,00 iSBn 978-88-99679-08-8
Cosa sarebbe accaduto a Rino Gaetano se quel 2 giugno 1981 fosse sopravvissuto all’incidente? Con il suo romanzo d’esordio, 3 giugno 1981 Il giorno dopo, lo scrittore gallipolino riporta all’attenzione del lettore la vita di Rino Gaetano, ma - come scrive Claudia Forcignanò nella prefazione al testo - “non si limita ad una mera biografia postuma: concede al giovane cantautore un’altra possibilità, gli restituisce il sorriso facendolo rivivere in una dimensione completamente nuova, nella quale ha il tempo di riflettere e reinventarsi. (...) è un romanzo completo in cui non manca nulla e nulla è lasciato al caso, tra le pagine si respira odore di un Sud dimenticato, quello più autentico e forte, fatto di gesti semplici e incontri speciali, dove il centro assoluto della vita è la piazza con il bar storico e il tempo trascorre lento, concedendo a tutti la possibilità di volersi un po’ più bene e prendere decisioni importanti”. Senza entrare nel dettaglio della trama, 3 giugno 1981 il giorno dopo è un romanzo che si legge tutto d’un fiato, in cui è possibile soffermarsi sul valore dei testi del cantautore calabrese, che riuscì a descrivere il cinismo di una società che avrebbe portato il paese alla deriva, e oggi più che mai sorprende la loro attualità. Il libro, impreziosito dall’immagine in copertina di Valentina Campa, vuole essere un omaggio all’artista e proporre una rilettura dei suoi testi da un punto di vista poetico e filosofico. Un intento largamente spiegato nelle note dell’autore a margine, quasi un altro libro nel libro, in cui si dipana la lunga genesi del romanzo e le persone che in qualche modo ne hanno condiviso il percorso. Il tour nazionale partirà da San Cassiano (Lecce) “quel paesino del Sud che spiega l’autore - credo immaginasse scrivendo “Ad esempio a me piace il sud” o “Anche questo è Sud”, fatto di “persiane che inventano la notte” e di “vecchi gozzi alla deriva che si preparano alla pesca”. Nell’ambito della Festa di San Rocco sarà presentato il prossimo 20 agosto nell’atrio della sala consiliare del Comune salentino. Dialogherà con l’autore Giorgia Ottaviani mentre le letture saranno affidate a Enzo Lazzari tra gli organizzatori dello strepitoso concerto che Rino Gaetano tenne nel lontano 1977 proprio a San Cassiano. Davide Carrozza nasce a Gallipoli 37 anni fa, vive a Roma dove insegna Lingua e Letteratura Inglese presso il Liceo Classico-Scientifico Manieri-Copernico e il British Institute, traduttore e interprete d’Inglese, appassionato di saggistica, filosofia, letteratura e cinema. Collabora inoltre attivamente con il “Festival Del Cinema Europeo” di Lecce per il quale traduce i sottotitoli dei film in concorso e cura i contatti internazionali e con il “Forum di Coproduzione Euromediterraneo”. 3 Giugno 1981 Il giorno dopo è il suo primo romanzo liberamente ispirato alla figura dell’artista Rino Gaetano. Un romanzo che ha già collezionato alcuni riconoscimenti partecipando a concorsi letterari, nella sezione “testi inediti”, e classificandosi rispettivamente al terzo posto del Premio Casentino, Poppi (AR) 2012- XXXVII edizione e al quarto del Premio Montefiore 2013 (RN) (con il titolo Forse, non essenzialmente). Inoltre nel 2012 ha partecipato alla trasmissione radiofonica "Tramate con noi" di Radio 1.
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TRE AUToRi E iL LoRo SgUARdo... SULL’USCio di CASA
niCo MAggi AnnA PAoLA PASCALi ViTA SiLVESTRi Sull’uscio di casa Tre sguardi tre storie andata e ritorno il Raggio Verde 2016 pagg.96 € 12,00 iSBn 978-88-99679-07-1
Sull’uscio di casa Tre sguardi tre storie andata e ritorno è il terzo titolo della collana Storie e Natura diretta da Giusy Petracca per Il Raggio Verde edizioni. Tre punti di vista e un unico fil rouge: il concetto di casa ovvero il paese natio dal quale chi per un verso chi per un altro ci si è allontanati. Una raccolta che indaga sul sentimento di appartenenza. Si può appartenere ad un luogo diverso da quello di origine? E ancora ci si può sentire veramente a casa solo nel luogo in cui si è nati? O la casa è dove noi siamo, dove noi costruiamo e viviamo il nostro presente con le persone che amiamo? Da questi interrogativi prende l’avvio la narrazione che trascina il lettore dentro le storie dei tre autori, Nico Maggi, Anna Paola Pascali, Vita Silvestri, tutti originari di Melendugno ma che non si sono conosciuti tra le vie del paese in un giorno qualunque ma anni dopo, sul web, e non nuovi ad esperienze editoriali che li accomunano. Lo scorso anno sono stati, infatti, tra i protagonisti di C’è facebook per te - emozioni e pensieri condivisi in rete. Per loro tre la condivisione in questo nuovo progetto è ancora più profonda perchè è una sorta di viaggio a ritroso nel tempo dell’infanzia e della giovinezza un’occasione per riannodare i fili della memoria eppure restare lì, su quell’uscio di casa che per certi versi non è più possibile oltrepassare. La bella immagine in copertina, lo scatto di Matteo Schiavo, sintetizza i contenuti del libro: un uscio diroccato che si apre sul mare che ciascuno si ritrova dentro. Ed ecco la forza terapeutica della scrittura che libera i pensieri come le onde del mare che li ha visti bambini, quando bastava un niente per essere felici. Oggi il sapore della felicità è dentro nuove emozioni per Nico Maggi che finalmente si trova a realizzare il sogno di una vita, assaporando quei Confetti arcobaleno che sono il simbolo della propria diversa individualità che può manifestarsi alla luce del sole. L’accettazione di se stessa prima ancora del suo destino - così simile al dolore degli “Essi” è la costante della felicità per Anna Paola Pascali che, nonostante le avversità, ha imparato ad accettare il suo sentirsi apolide e farlo diventare uno dei suoi punti di forza che traduce in poesia. Che dire di Vita Silvestri? Una contemporanea “Gianburrasca” da bambina ribelle a donna appassionata oggi con la sua dolcezza e vivacità e il suo racconto, La casa parla, condivide gli aspetti più teneri e drammatici del suo passato dove il distacco dalla casa natia è vissuto con nostalgico dolore ma anche nella consapevolezza che come diceva Eraclito tutto scorre e non è mai possibile tornare indietro. Partendo da storie diverse - scrive il sociologo Mario Perrone in prefazione, - il volume ricostruisce nella sostanza un quadro generale di vita di un piccolo paese del Sud, con le sue problematiche sociali culturali, con le sue contraddizioni e spesso con il suo retaggio storico culturale, che inconsapevolmente diviene fonte di discriminazione sociale, in particolar modo sulla propria identità sociale e sessuale. Un’identità spesso negata, nascosta, per paura di sentirsi diversi, offesi, emarginati. Il libro offre un quadro realistico di un vissuto storico di tre amici che, come in un film, posano il loro sguardo in modo trasversale sulla vita sociale di un territorio che è anche il nostro”. Al centro dei tre racconti la casa, nido, rifugio, luogo della memoria. “Ma la casa, a volte, è anche il luogo dell’assenza, dell’infanzia perduta e ritrovata dei traumi grandi e piccoli vissuti in quelle mura - si legge nella postfazione curata dallo psicologo Giovanni Bruno che aggiunge: “Sono temi che attraversano i tre testi e che quasi diventano luoghi fisici dove il lettore si muove identificandosi con i personaggi, confrontandosi continuamente con la propria storia”. E sarà la sala conferenze della Scuola Media di Melendugno il banco di prova per la prima presentazione del libro "Sull'uscio di casa - tre sguardi tre storie andata e ritorno" di Nico Maggi Anna Paola Pascali Vita Silvestri in programma il 22 agosto ore 20. Dopo i saluti istituzionali dialogheranno con gli autori il sociologo Mario Perrone di Studi Ricerche Sociali e la postfazione dello psicologo Giovanni Bruno. (an.fu.)
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BrisigHella e la Via degli asini di Anna Paola Pascali
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Girovagando per le strade del nostro meraviglioso Paese e scoprire tesori nascosti tra borghi e strade
RAVENNA. Non conoscevo Brisighella. In Romagna c’ero già stata qualche volta (Faenza, Modigliana, Portici) ma, pur avendo visto le indicazioni stradali e appurato la poca distanza che intercorreva tra i luoghi visitati e Brisighella non mi ci ero mai addentrata. Un evento letterario, lo scorso 26 giugno 2016, mi conduce proprio qui: a Brisighella. Da subito noto la grande somiglianza con la Toscana ed i suoi luoghi persi nel tempo. Lo scenario è lo stesso: piccolo borgo medievale e suggestivo che “profuma” ancora di semplice autenticità. Le sue origini risalgono alla fine del duecento. Situata nella bassa valle del Lamone, in provincia di Ravenna, Brisighella ha conservato la sua struttura architettonica originaria. Vicoli, strade, piazze attirano la curiosità del visitatore riportandolo indietro, in atmosfere sognanti. Una via, in particolare ha suscitato in me singolare attenzione. Si tratta della Via del Borgo o, più comunemente detta, Via degli Asini. È una strada sopraelevata, coperta e travata in legno, illuminata dalle caratteristiche finestre ad arco di differente
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ampiezza, che si snoda tra le abitazioni. Risalente al XII secolo e unica al mondo, si dice che un tempo era baluardo difensivo del paese e diventata, in seguito, ricovero dei birocciai che, con i loro animali (asini), trasportavano il gesso dalle vicine cave. Appena si entra da Porta delle Dame (nome attribuito per il fatto che qui le signore del luogo accoglievano i viandanti) si può visitare la casa detta “Boschi-Raggi” scavata nella roccia in età preistorica e paragonata ai sassi di Matera. Lungo tutta la via si notano tutte le “porticine” in legno (alcune ancora intatte e non restaurate) delle vecchie botteghe, il pavimento semi-sconnesso e consumato dal passaggio di centinaia di bestie e persone. La sera del 26 giugno, tra l’altro, tutto il borgo era in tema con la manifestazione organizzata dal comune: Borgo Romantico. Tappeti bianchi cosparsi di petali di rose, musica nelle piazze, poesie recitate, lumicini accesi per tutto il centro storico e lungo la Via degli Asini ridestavano ed enfatizzavano l’antico profumo del tempo. Brisighella romantica e medievale: un’altra delle tante bellezze della nostra Italia.
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Nelle foto alcuni momenti della “Passeggiata letteraria”, foto di Raffaele Maisto
Una Passeggiata letteraria nel Borgo di sPeccHia di Maurizio Antonazzo
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Tredici autori danno voce ai loro testi nella notte dedicata alla lettura
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SPECCHIA (LECCE). Coloro che rimangono affascinati dall’originalità del borgo antico di Specchia non sono a conoscenza che la storia racconta che la cittadina, tra gli anni 1434 e 1435, fu cinta d’assedio da Giacomo Caldora, famoso capitano di ventura, agli ordini di Luigi III d'Angiò, che una volta espugnata, la rase al suolo. Circa vent’anni dopo, nel 1452, Raimondello del Orsini Del Balzo ottenne da Alfonso I d'Aragona, Re di Napoli e di Sicilia, di ripopolare Specchia. Grazie a Raimondello furono riedificati il castello e le mura, e il borgo divenne luogo scelto dai fuggiaschi che abitavano la costa, terrorizzati dai Turchi dopo la loro presa di Otranto nel 1480. La sera del 31 luglio scorso, in diverse centinaia di persone hanno attraversato viuzze, vicoli, gradinate e corti, ammirato i cortili di antichi palazzi, una scenografia di pietre su un palcoscenico ricostruito oltre cinque secoli fa, per ascoltare 13 scrittori fra le voci letterarie più interessanti della Puglia, che hanno offerto la lettura di pagine tratte dai loro libri, in un evento culturale che nelle precedenti due edizioni aveva già riscosso un notevole successo di pubblico, la “Passeggiata letteraria nel borgo”, un “mega-reading” organizzato dall’Associazione Culturale “LibrArti” di Specchia. In una calda sera di estate, negli angoli del borgo antico: “Arco della Gemma”, Corte Riccio, Corte Valente, Palazzo Venuti, “Colonna dell'immunità”e altri ancora hanno risuonato della musicalità della poesia e della prosa, l’atmosfera narrativa di romanzi e racconti ha preso vita,
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per un pubblico fluido che, passeggiando, si è fermato ad ascoltare le emozioni che prendevano vita dalle pagine dei testi proposti. Un evento culturale che ha richiamato per Musicaos Editore: Luciano Pagano con “Beati i puri”, Antonella Screti con “Storia di Raidha e la chiesetta”, Alessandro Stamer, “Panciollo, il terrore degli Gagnabhuu”, Marco Vetrugno con “Proiettili Di-versi”. Mentre per Il Raggio Verde: Federica Murgia con “ Il paese della rosa peonia”, Donato Cuppone, “Il giardino murato”, Stefano Cambò con “Cyrano tra delitti e misteri”. Per Lupo Editore: Giuseppe Calogiuri con “Cloro”, Giulia Campa con “Una parte di me”, per Manni Editore: Paolo La Peruta con “Senza pace”, per Salento D’EsportazioneiQdB: Alessandra Peluso con “Sul boxer del nonno verso la poesia”. Per Edizioni Esperidi: Ivan Ferrari con “Storie sbandate”. La novità dell’edizione 2016 è stato lo spazio “Un libro… domani”, dedicato a colui che ancora non ha pubblicato nessun libro, come Graziano Gala, vincitore del Premio Gazzetta del Mezzogiorno 2012, del terzo premio del Premio Letterario Nazionale Bukowski 2015, che come tredicesimo autore ha presentato il racconto inedito, “Sentir messa” insieme all’ attore e regista, Pasquale Santoro. Ancora una volta la cittadina del Capo di Leuca è tornata a suscitare il suo naturale fascino letterario e artistico. Con la “Passeggiata letteraria nel borgo”, una prosa poetica e attenta ha
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Alcuni momenti della passeggiata letteraria nel borgo di Specchia, foto di Raffaele Maisto
accompagnato il pubblico in un viaggio caleidoscopico, in cui, i tanti frammenti sono diventati le tessere di un puzzle che ciascuno visitatore ha completato, lasciando un segno indelebile nel proprio animo, diventando protagonista anche di un gioco: “Caccia all’aforisma”. Al termine della serata, intorno alla mezzanotte,tutti coloro che dopo essersi fermati ad ascoltare, sono riusciti a comporre correttamente l’aforisma, con le parole ritirate da ogni scrittore, hanno ricevuto in premio 6 libri partecipanti all’iniziativa. Un evento culturale che aveva già ottenuto apprezzamenti e riconoscimenti dalla lontana Sicilia: grazie all’efficace comunicazione dei social network delle precedenti due edizioni,l’iniziativa dell’Associazione “LibrArti”, è stata scoperta e apprezzata anche nella cittadina di Riposto, in provincia di Catania, dove, grazie all’esperienza specchiese, per la prima volta quest’anno, nelle serate del 30 e 31 Luglio, il 5, 6 e 7 Agosto, si è svolta la “Passeggiata Letteraria Ripostese” che ha ricalcato l’esperienza organizzativa e la filosofia di quella salentina. Anche i partecipanti al "mega - reading" rimasti colpiti dalla lettura o dall’ascolto di un libro hanno avuto la possibilità di acquistarlo nella “Libreria sotto le stelle del borgo”, allestita per l'occasione in Piazza del Popolo e solo per i libri degli autori presenti all'evento. Con l’iniziativa si sono scoperti i mille volti non sono soltanto delle chiese, dei palazzi nobiliari, delle corti, delle stradine e dei vicoli di cui Specchia è ricca, ma anche quelli della buona letteratura, grazie all’impegno della Direttrice Artistica della Tiziana Cazzato,scrittrice, all’allestimento scenografico dall'Architetta Stefania Branca e di Maria Grazia De Rinaldis e alle letture degli incipit dei libri interessati curate dalle voci narranti di Alessandro Rizzo e Laura Petracca. Nell’edizione 2016 l’evento ha annoverato la partnership del Gruppo Specchiasol, azienda con sede a Verona, fondata nel 1973, leader nella realizzazione di prodotti fitoterapici e cosmetici, realizzati coniugando la tradizione erboristica con la ricerca scientifica e la più moderna tecnologia e l’Opificio Erboristico Sandemetrio, azienda che a Specchia produce e commercializza nel rispetto delle procedure dell’agricoltura biologica, entrambe guidate da un “imprenditore illuminato” come il Dott. Giuseppe Maria Ricchiuto, sempre molto attento alla crescita culturale del territorio ed editore di pubblicazioni sulla medicina naturale. A conclusione della serata, l’Associazione “LibrArti” ha dato appuntamento all’edizione 2017, per nuove emozioni con nuovi scrittori e altri libri, con la possibilità di scoprire nuovi angoli del borgo medievale specchiese, raggiunti attraversando stradine rivestite di basoli bianchi, arrampincandosi o scendendo le gradinate, per poi arrivare alla sommità delle Mure di Levante per affacciarsi ad ammirare una parte del Capo di Leuca o sbucare sulla grandiosa Piazza del Popolo sovrastata dall’imponente Castello Risolo.
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SPECCHIA (Lecce). Palazzo Risolo, nel cuore del centro storico, ha ospitato nelle sue sale la seconda edizione della collettiva “Le Fil Rouge” ideata e curata dall’artista Viviana Cazzato. Una mostra che crea un legame, che esprime in una tonalità di colore, il rosso appunto, un pensiero, uno stato d’animo, un filo conduttore per ogni artista. Espongono Carmine Antonucci, Roberta Apparuti, Erika Azzarello, Angelo Barile, Edoardo Boccanfuso, Brizzo, HalderBucar, Saturno Buttò, Valentina Campagni, Myriam Cappelletti, Massimo Casalini, Viviana Cazzato, Enrico Corti, Maria Di Cosmo, Tonia Erbino, Michel Giliberti, Eleonora Helbones, Serena Laborante, Marina Mancuso, Calogero Marrali, Mauro Masi, Donatella Nicolardi, Daria Pallotti, Valeria Perversi, Luca Piccini, Shanti Ranchetti, Elisa Rescaldani, Michela Margherita Sarti, Giuditta Solito, Antonella Soria, Marcello Toma. La mostra inaugurata lo scorso 30 luglio si potrà visitare fino al 14 agosto dalle 21 alle 23.
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foto di Fabiana Lubelli
alla scoPerta di Brindisi l’antica cHiesa di santa lUcia di Fabiana Lubelli
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Un patrimonio da riscoprire grazie all’opera di Giovanni Tarantini
BRINDISI. Quello di cui stavamo per avere esperienza da lì a poco era chiaro nelle parole con cui la professoressa Giovanna Bozzi aveva chiuso la sua introduzione al percorso che ci avrebbe condotto per la chiesa di Santa Lucia: «La Storia dell’arte forma il cittadino». Eravamo lì riuniti, davanti al sagrato della chiesa per la seconda tappa dell’appuntamento “Alla scoperta di Brindisi”, dopo una prima che si era snodata tra Tempietto di San Giovanni al Sepolcro, la Chiesa e Convento di San Benedetto e la Chiesa di Santa Maria del Casale, grazie all’organizzazione della dott.ssa Anna Cinti, Presidente della Associazione Le Colonne – “Collezione Archeologica Faldetta”, e della dott.ssa Katiuscia Di Rocco, Direttore della Biblioteca Pubblica Arcivescovile "A. De Leo". Da dove partire dunque
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per parlare della formazione del cittadino attraverso l’arte se non dal ricordo di chi l’ha resa possibile? Nell’aria tranquilla del pomeriggio, le parole esperte della dott.ssa Di Rocco hanno riportato immediatamente alla memoria l’illustre personaggio brindisino grazie al quale possiamo ancora oggi godere di alcuni gioielli del patrimonio della nostra città (anche se il percorso di presa di coscienza è ancora lungo): Giovanni Tarantini. Nato nel 1805 e scomparso nel 1889, dopo essersi laureato in Teologia a Napoli, Tarantini tornò a Brindisi, dove portò avanti una rara campagna di salvaguardia del patrimonio artistico e archeologico della città. Tarantini fu ottimo direttore della biblioteca “A. De Leo”, alla quale fece in tempo ad affidare molti libri preziosi, anche a fronte della minaccia del-
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Storie. L’uomo e il territorio
l’esproprio dei beni della Chiesa, con la “liquidazione dell’asse ecclesiastico”, voluto dal decreto regio del 1866; riuscì inoltre a far restaurare il Tempio di San Giovanni al Sepolcro, la chiesa di Santa Maria del Casale e la cripta di Santa Lucia. Profondo conoscitore di sanscrito, greco, latino ed ebraico, Tarantini consapevolmente avviò un dialogo con i più grandi studiosi del suo tempo, specialmente in quei campi dove il suo sapere si faceva più incerto, per integrare le sue nozioni.
Notissime sono le lettere scambiate con il Mommsen, ma ebbe anche il merito di attirare sul patrimonio brindisino, come per la chiesa di Santa Lucia, l’attenzione dei più grandi storici del suo tempo, in modo che potessero aiutarlo a svelare i segreti che i secoli avevano sovrapposto e mescolato; lo scopo, sempre, quello di fornire alle generazioni future, all’interno di impegnate opere monografiche, una ricostruzione dei fatti che fosse quanto più vicina possibile alla realtà.
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Il periodo storico in cui si trovava a operare Tarantini, l’Ottocento, sembrava particolarmente incerto per la conservazione del passato, e quindi della propria identità storica, a seguito di un mercato senza scrupoli che si era sviluppato attorno a tutto ciò che portava le vestigie dell’antico. Dopo secoli di silenzio, le “anticaglie” che dormivano sottoterra, iniziavano a tintinnare e i loro rumore attirava studiosi, e non solo, che venivano a rimuoverle dai loro giacigli, destinandole spesso a un mercato spietato per cui “giorno verrà in cui questa terra classica, la quale si disse possedeva sotto ogni zolla una memoria, non avrà più zolle che nascondessero una memoria”, per citare le parole di Sigismondo Castromediano a Giovanni Tarantini nel 1874. L’acutezza visionaria e la sapienza di Tarantini riuscirono a tutelare anche la chiesa di Santa Lucia. Sorta nella metà del XIII secolo, fu rimaneggiata diverse volte nel corso dei secoli, come dimostra la coesistenza di materiali, spesso riutilizzati da altri siti, e la compresenza di stili, sia
all’interno che al suo esterno. La mappa della chiesa è un chiaro monito al cittadino, che viene inteso come parte strutturante di una comunità. Inizialmente la chiesa occupava uno spazio senza suddivisioni, ma, alla metà del Cinquecento, fu divisa in tre parti dall’introduzione di colonne con archi acuti. Tuttavia, a differenza della soluzione gotica d’oltralpe, in cui l’attenzione del fedele era canalizzata verso l’altare, nella tradizione mediterranea la costruzione era tale in modo da rafforzare l’idea di comunità, conservando la forma ad aula, in modo che tutti potessero guardare chi li circondava e sentire l’altro vicino. L’altra funzione fondamentale che la chiesa ricopriva si conficca direttamente, come la punta di un pugnale, in un dibattito sanguinolento che ci tiene impegnati ancora al giorno d’oggi, sebbene con un linguaggio tecnico diverso. Fino al 1500, infatti, la chiesa di Santa Lucia era affiancata da un annesso monastero, la cui funzione era ospitare le donne malmaritate che sentivano la necessità di allontanarsi dal nucleo familiare per diversi motivi. L’esistenza del monastero delle malmaritate è raccontato da due storici brindisini e da due pergamene, una del 1320 e del 1355, custodite nell’archivio capitolare nella Biblioteca De Leo. Entrambe parlano di donazioni offerte al monastero, che aveva bisogno di questo genere di introiti per garantire vitto e alloggio alle sue ospiti, oltre che la manutenzione dello stabilimento. All’interno della struttura era fortissimo il culto di Maria Maddalena, che, agli occhi della società, sembrava riproporre il percorso di penitenza della donna che si separa dal marito, dal peccato alla vita monacale. Non a caso una parte significativa dell’iconografia che arricchisce la chiesa sia nella sua parte superiore, sia nella parte inferiore, erroneamente chiamata cripta, è dedicata alle sante donne della Chiesa. Tra gli affreschi originari del Trecento, nella parte superiore di Santa Lucia, spicca una Madonna col Bambino. Questi affreschi sono stati riportati alla luce nel 1950, essendo stati ricoperti da uno strato di intonaco nel Cinquecento. L’affresco della Madonna racconta la storia della maternità della madre di Dio seguendo la tradizione bizan-
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Un momento della conferenza, la dottt.ssa Katiuscia Di Rocco mostra un prezioso codice
tina, che si era andata diffondendosi dopo il concilio di Nicea nel V secolo, quando era stata promossa la divinità della Madonna. Nell’affresco la Madonna siede come una principessa bizantina, con il corpo del figlio perfettamente allineato al suo; la mano è sulla spalla del bambino, che regge in mano il rotolo della Legge. La Vergine è rappresentata in tutta la gloria della sua divinità, in atteggiamento ieratico, collocata al di fuori del tempo e dello spazio, in quell’eterno a cui il credente non si può avvicinare, ma a cui aspira. Nella parte inferiore della chiesa, gli affreschi ricalcano in maniera ancora più esplicita la trasformazione e i modelli a cui le donne malmaritate dovevano rivolgersi quando si mettevano sotto l’ala protettiva della Chiesa (nel primo Medioevo, dal 1110 al 1300 circa, le donne che dovevano lasciare il proprio marito, anche traditore e violento, non avevano altra scelta alla persecuzione che essere accolte dalla Chiesa: da quel momento in poi dovevano mantenere una vita monacale, volta alla castità e alla clausura. Sebbene in questo modo si salvassero da gravi ripercussioni, non avevano comunque modo di mantenere un contatto con i figli: questa pratica
“medievale” non è limitata al periodo storico qui analizzato, se si pensa che solo dopo il 1906 divenne possibile per la donna separata vedere i figli prima che compissero i diciotto anni.) In particolare, nella parte frontale dell’abside, due affreschi mettono a paragone la situazione di partenza della donna e il suo cambiamento necessario utilizzando la figura della Maddalena: da una parte, infatti, essa viene raffigurata con i capelli sciolti, mentre tiene in mano, in una composizione piramidale, due ampolle di profumo, richiamando l’immagine della prostituta; dall’altra la Maddalena viene tratteggiata con atteggiamento sobrio, capelli corti all’interno della cuffia, come la vita monacale abbracciata dalle malmaritate imponeva. Altri affreschi rappresentano le martiri della Chiesa cristiana, come Santa Lucia, Santa Margherita e Santa Caterina, ma anche San Pietro da Verona, che è stato particolarmente vicino all’esperienza delle malmaritate nel corso della sua vita. A lato della chiesa inoltre spicca, in tutto il suo splendore, un affresco di San Nicola, il più grande dell'Italia meridionale. Seguendo il perimetro del luogo sacro si giunge a un gruppo di
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affreschi restaurati nel 1990, tra i quali particolarmente bello e significativo risulta quello della Madonna con il Bambino: il volto della Madre di Dio esprime tutta la dolcezza della maternità mentre una mano viene porta verso il Figlio. La giornata all’insegna dell’esplorazione della chiesa di Santa Lucia non poteva concludersi senza ricordare il dirompente valore sociale dei libri, non solo in relazione al ruolo della lettura. La dott.ssa Di Rocco ha esposto magistralmente due testi provenienti dalla Biblioteca Pubblica Arcivescovile "A. De Leo": una pergamena del 1320 e il codice miniato "Vitae patrum" del XIV. Il titolo di questo, essendo il codice acefalo, è stato recuperato dal dorso, ma ne resta sconosciuto l’autore. È significativo osservare che, delle cinquantaquattro bellissime vignette interne, ben quarantasette rappresentano uomini e solo le restanti sette raffigurano donne, tutte monache tranne una, a sottolineare come l’accesso alla santità fosse molto più arduo per il gentil sesso. Inoltre, la caratteristica iconografica delle donne era quella di essere rappresentate con il velo monacale, tranne il caso di Santa Maria Elegiaca, mentre nelle miniature medievali all’uomo è concesso di guardare verso Dio, essendo lui libero dal peccato originale. Un altro insegnamento significativo, profondo e moderno può essere tratto dall’osservazione della pagina d’apertura del codice. Essa, infatti, raffigura San Girolamo
accompagnato da due cinghiali che si nutrono cercando nel terreno. Il messaggio è chiaro e invita il lettore a nutrirsi degli esempi raccontati nelle pagine a seguire come fanno gli animali in quel foglio. Lo scopo è quello di far maturare un grado di consapevolezza tale per cui, grazie all’assimilazione degli esempi dei padri della Chiesa, il nostro comportamento esteriore sia specchio di una vita interiore ricca e giusta. Il mondo interiore deve essere coltivato in modo da dirigere l’azione all’esterno in maniera convinta e saggia, senza comportamenti rivestiti da vuoto formalismo o, peggio, corrotti alle basi. L’esperienza delle malmaritate ne è esempio, nella persecuzione perpetrata contro le donne nel corso dei secoli, e in diversa misura ancora oggi, in relazione alla possibilità di esprimersi liberamente sul proprio futuro e costruirsi una vita degna di essere vissuta. La storia delle malmaritate nel monastero della chiesa di Santa Lucia è un ottimo esempio del cibo di cui si deve nutrire la nostra mente per formare un cittadino più consapevole. Anche in questo senso la Storia dell’arte forma il cittadino. Grazie al lavoro di preservazione di chi ci ha preceduto, all’interno di chiese e monumenti sono racchiuse una serie di storie che aspettano solo di essere ascoltate e osservate; al cittadino di oggi basta solo attraversare una porta che, accostata, aspetta solo qualcuno che la spinga.
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Salento Segreto a cura di Mario Cazzato
foto di Mario Cazzato
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QUando il Parlamento si riUniVa nel sedile di Mario Cazzato
Il sedile di piazza Sant'Oronzo era il luogo dove si radunava il Parlamento cittadino, ossia l'insieme dei pubblici amministratori in genere suddivisi in tre classi, nobili, civili e artisti. Restaurato nel 2011, nel corso dei lavori nel suo interno sono stati riscoperti gli affreschi seicenteschi già descritti dall'Infantino. Ovviamo qui ad alcune inesattezze pubblicate in occasione del restauro. Gli affreschi della volta furono eseguiti nel 1622 e raffigurano il Pantheon dei protettori leccesi, con la preminenza a Santa Irene di cui sono raffigurati alcuni episodi della sua vita tratti dalla biografia scritta nel 1609 dal gesuita Beatillo. È raffigurato inoltre Sant'Oronzo e Sant'Ignazio canonizzato proprio il 1622. Delle otto figure simboliche affrescate sui pennacchi della volta se ne leggono solo quattro ed esprimono le funzioni svolte nel sedile e le qualità morali che dovrebbero avere i pubblici amministratori. Tali immagini sono tratte letteralmente dalla Iconologia di Cesare Ripa che era una specie di prontuario assai diffuso all'epoca. Tutto il complesso programma simbolico di questa volta fu ideato dal letterato leccese Ascanio Grandi (15671647).
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Luoghi e tracce del passato che hanno ancora qualcosa da dire
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iaia forte a lecce con erodiade Per la rassegna del dramma antico
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Sei spettacoli per Mitika, in scena anche Galatea Ranzi, la Compagnia Lombardi Tiezzi e Astragali
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LECCE: “Mitika - Teatro e Mito nella contemporaneità” è la rassegna teatrale dedicata al dramma antico organizzata da Aletheia Teatro e ideata da Carla Guido, che la dirige artisticamente, in collaborazione con il Comune di Lecce e il sostegno della Banca Popolare Pugliese. Apertura lunedì 8 agosto alle 21 presso il Teatro Romano di Lecce, dove a calcare per prima il palco che finalmente accomuna il capoluogo salentino alle città della tradizione del Mito come Siracusa e Taormina sarà Iaia Forte, protagonista indiscussa del cinema e del teatro italiano. E per l’occasione regista e interprete dello spettacolo “Erodiade” di Giovanni Testori, a cura di Khora Teatro, con collaborazione alla regia Clara Gebbia e Tommaso Ragno, scena e costumi di Stefania Cempini, luci di Cesare Accetta. La lingua di Testori, fatta di odori e colo-
ri, misteriosa e musicale, ha bisogno infatti di essere interpretata non soltanto attraverso la parola, ma anche attraverso il corpo, con passione e lucidità, perché alla base del testo troneggia un personaggio femminile complesso e a volte contraddittorio, potente e “virile”, innocente e corrotto al tempo stesso: un’occasione rara nel panorama drammaturgico italiano. Alla fisicità prorompente di Iaia Forte e alla sua magistrale capacità espressiva il compito di raccontare quello che Testori definisce un personaggio “a metà fra un Dio astratto e un po’ incarnato”, in un continuo incontro scontro con il divino, con l’amore e con il senso della vita stessa”. Lo spettacolo ha infatti raccolto grandi consensi di critica e pubblico grazie all’interpretazione "intensa e trasfigurante" della Forte, riproposto in esclusiva per la stagione leccese del Mito 2016.
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Secondo appuntamento con “Mitika”, invece, il 17 agosto, sempre alle 21, con “Schegge di Mediterraneo/Festival dell’eccellenza al femminile” e “Fedra – Diritto all’amore”, con testo originale di Eva Cantarella, protagonista Galatea Ranzi. Si prosegue il 20 agosto con la Compagnia Lombardi Tiezzi, in collaborazione con AC Zerkalo e “Agamennone” da Eschilo, di Fabrizio Sinisi, con Paolo Graziosi, Daniela Poggi, Valeria Perdonò, Elisabetta Arosio e la regia di Alessandro Machìa; ancora, 30 e 31 agosto – stavolta nell’ex Convento degli Olivetani – con “Dimenticare Medea – Un percorso di studio e di lavoro”, con la collaborazione drammaturgica di Riccardo Spagnulo, degli allievi dell’Accademia Mediterranea dell’Attore e la partecipazione amichevole di Carla Guido (ideazione e regia di Tonio De Nitto). Ultimo appuntamento il 6 settembre, tornando al Teatro Romano, con Astragali e le “Metamorfosi” da Ovidio, ovvero “Donne che resistono alla violenza degli dei”: scrittura e regia di Fabio Tolledi, partecipazione di Lenia Gadaleta, Roberta Quarta, Simonetta Rotundo, Petur Gaidarov, Onur Uysal, Hamado Tiemtorè, musiche di “Insintesi”. I biglietti di “Mitika” (10 euro platea, 7 euro gradoni; 10 euro per lo spettacolo all’ex Convento degli Olivetani) si potranno acquistare in prevendita presso l’infopoint del Castello Carlo V di Lecce, tutti i giorni dalle 9.30 alle 22 (tel. 0832.246517), oppure la sera stessa dello spettacolo presso il botteghino del Teatro Romano di Lecce (dalle 19 in poi).
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aVetrana food festiVal arte e ciBo nel Borgo antico AVETRANA (TARANTO). Prenderà il via il 12 agosto la prima edizione dell’Avetrana Food Festival, un percorso enogastronico nelle vie del suggestivo centro storico del paese, in provincia di Taranto. Cibo, teatro, musica e arte di strada coniugato nella manifestazione ideata da Officina Tec, una giovane ma impegnata realtà che ha deciso di puntare tutto sulla promozione del proprio territorio proponendo le tradizione in chiave moderna. Mercatini dell’artigianato, degustazioni, showcooking e a partire dalle ore 21 i concerti an plein air nei luoghi più suggestivi del borgo. Quello degli Exotic Duo (jazz-new soul) che faranno risuonare le loro note all’interno del Torrione; dei Solkeis, sulle tracce di Rino (tributo a Rino Gaetano) nella Chiesa Madre e degli Arena Rock (best hits tour 2016) con un imperdibile live in Piazza Parlatano. Spazio anche al teatro, con “La Maschera Avetranese” monologo scritto ed interpretato da attori locali, in scena nel suggestivo spazio antistante il Torrione di Avetrana, un meraviglioso complesso fortilizio risalente al 1300 che con i suoi 17 metri domina tutt’oggi l’intero abitato. Con il bugnato posto nella parte alta rivela uno stile molto prossimo a quello di costruzioni di impronta federiciana e si sviluppa su un piano terra e due piani superiori, raccordati tra loro da una angusta scaletta ricavata nell’intercapedine dei muri perimetrali. Successivo al torrione o – come si rileva dal catasto onciario – torre universale , è la torre a base tonda , innalzata probabilmente al tempo dei Pagano (prima metà del XVI secolo ) , quando , come risulta da alcuni documenti lo stesso galeotto Pagano da poco signore di Avetrana , pensò a fortificare il paese con un largo muraglione , oggi purtroppo quasi interamente scomparso. La torre tonda a cui si collega una casamatta è divisa in due piani individuati all’esterno da un marcapiano a toro. La merlatura presenta dei beccatelli e fori per
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Dal jazz al rock all’interno del Torrione e un tributo a Rino Gaetano nella Chiesa Madre
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l’appoggio di archibugi e artiglierie leggere. Essa è inoltre collegata tramite cortina ad una torretta quadrata certo coeva al torrione, quindi rappresentante gli avanzi di una cinta muraria eretta a difesa del mastio. Il ponte levatoio un tempo in legno assicurava l’isolamento del torrione dal resto del la fortezza. Successivamente un ponte in pietra lo collegò ad una rampa di sclae che oggi si arrampica alle spalle della cappella della madonna del ponte. Tale ponte fotograficamente documentato in immagini del primo decennio di questo secolo è purtroppo scomparso. foto d’archivio
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Foto di Paola Butera
maUrizio tittarelli rUBBoli, maestro d’arte e di mestieri di Paola Butera
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Intervista all’artista recentemente premiato dalla Fondazione Cologni dei Maestri d’Arte di Milano
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Incontro Maurizio Tittarelli Rubboli in una calda mattina di luglio, ci eravamo conosciuti tre anni fa e nel tempo ho sempre percepito tra noi quella sintonia che non ha bisogno di mezzi termini, la chiarezza e spontaneità con le quali si presenta dicono tutto. L’occasione oggi è un riconoscimento nazionale, meritato, che mi spinge a saperne di più. Congratulazioni Maurizio per il premio MAMMaestro d’Arte e Mestieri istituito dalla Fondazione Cologni dei Maestri d’Arte di Milano, finalmente un riconoscimento alla tua carriera. Ripercorriamo insieme la tua attività artistica, quando hai iniziato a mettere “le mani in pasta”? Sin da piccolo ascoltavo ed ero affascinato dai racconti di ceramica di mia madre, dei segreti di famiglia, della nostra bottega. Mia madre, però, è sempre stata attenta a non farmi affezionare troppo a questo mestiere, reduce anche da una vita faticosa e poco remunerativa, ha voluto fortemente che mi laureassi e che avessi quello che all’epoca era considerata la sicurezza: il posto fisso. Anche la presenza di un padre colto, grecista e latinista, mi ha reso consapevole che solo con l’attività della ceramica non sarei andato lontano, così fino ai miei 23 anni nulla presupponeva che io mi dedicassi all’arte ceramica. Poi però, una certa spinta è arrivata, la fortuna di poter realizza-
re il sogno di creare delle opere è stato supportato dalla sicurezza di quel posto fisso che tanto mia madre voleva, e devo dire che, a ragione, mi ha aiutato a non dover avere vincoli in funzione di una necessità, quindi ho creato le opere che volevo, senza condizionamenti. Mi ritengo una persona molto fortunata per questo, sono potuto crescere nella mia attività artistica e mi sono sempre messo in gioco grazie ad un intuito femminile, quello della mamma, ma anche agli insegnamenti delle vicende di famiglia che riportano alla bisnonna Daria. Le donne della mia famiglia mi hanno insegnato molto. Con il tempo ti sei inserito nel panorama dei ceramisti umbri contemporanei, da dove nasce oggi l’ispirazione per la creazione delle tue opere? Nasce da un sentimento che ho nei confronti della letteratura. Basta una frase letta, o un’aforisma sentito. Quando una frase suscita in me interesse la elaboro e la faccio mia creando intorno il concetto che mi porta alla realizzazione dei miei pezzi. In questi giorni, per esempio, sono molto attratto da frasi e citazioni che riguardano la contemporaneità. Sento un forte desiderio di nuovo, di mai visto, di progressione e voglio manifestare il mio disappunto nei confronti della ripetizione artistica, dell’imitazione di quelle ceramiche con decorazioni classiche che hanno ormai riempito gli scaffali di botteghe e di cui non abbiamo più bisogno. C’è la necessità di rinnovamento nel nostro mondo, di stimoli nuovi e di collocare la ceramica artistica contemporanea in nuovi panorami culturali. Una frase di Osvaldo Licini mi è
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apparsa quasi come un oracolo: "Una cosa è certa: noi non faremo più della pittura archeologica o imitativa come le scimmie. A quella vecchia favola della pittura imitativa noi tireremo il collo”. Questa frase mi risuona in mente e ne farò il leitmotiv della mia arte futura, c’è bisogno di nuovo, di mai visto. Sei anche l’erede di una dinastia di ceramisti, quella dei Rubboli, e hai visto finalmente onorato il luogo dove la tua famiglia ha portato avanti l’attività sin dall’800: il laboratorio di Gualdo Tadino che è diventato museo, quale significato ha per te questo? Per molti anni varcavo il cancello della fabbrica Rubboli in Via Discepoli a Gualdo Tadino e guardando intorno venivo preso da un sentimento di gratitudine per ciò che questo luogo mi ha regalato ma anche di solitudine per quell’impotenza nel vederlo deteriorarsi giorno dopo giorno. Camminavo in quegli spazi vecchi e sentivo lo scricchiolio dei miei passi, entravo nei locali abbandonati, dove l’odore dell’argilla si sentiva ancora, toccavo le muffole che erano state di Paolo Rubboli e mi sporcavo della vecchia fuliggine che era rimasta fissata lì da tanto tempo. Girando avvertivo ancora la presenza dell’uomo e quei frammenti di ceramica che brillavano ancora, quei lustri oro e rubino davano ancora un segno percepibile di vita. Ho iniziato un viaggio a ritroso nel tempo, mi sono documentato sulle vicende tante volte narrate in famiglia, ho ritrovato i volti di tante foto sbiadite e ho immaginato quei luoghi e quelle vite che conoscevo solo nei racconti. Ho pensato tanto da interiorizzare le vicende e le esperienze, avvicinandomi a quel passato che ho sentito di condividere con tutta la popolazione gualdese ridando nuova vita ad un luogo che, grazie all’investimento dell’amministrazione comunale con il supporto di fondi regionali ed europei, oggi è un fiore all’occhiello per la città. Spero che il museo salverà la storia della tradizione ceramica gualdese salvaguardando un patrimonio come i forni a muffola ottocenteschi per la terza cottura, gli unici esemplari rimasti, probabilmente nel mondo, di questo tipo di forno. Torniamo alle donne della tua famiglia, quanto è stata importante per te la figura di Daria Rubboli? Fondamentale, l’ho scoperta nella ricerca storica
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Foto di Paola Butera
e l’ho cercata ogni volta che mi scoraggiavo di fronte ad ogni ostacolo. Se dobbiamo essere grati a Paolo Rubboli per la tecnica del lustro che ha cambiato e caratterizzato la ceramica di Gualdo Tadino, a Daria dobbiamo la tenacia di aver portato avanti, nonostante le controversie, un patrimonio tradizionale che tutto il mondo ci ammira. Lei è stata la mia àncora, quella che mi ha dato suggerimenti nei momenti di sconforto, e ce ne sono stati tanti! Insieme a mia
madre, lei mi ha tramandato la passione per la ceramica. Una donna apparentemente impeccabile che però soffrì molto dei dissidi interni alla famiglia. Lei nutriva, per la fabbrica di ceramica, un amore profondo che la riportava al legame col passato e a volte a sentimenti contrastati, ma mi ha trasmesso, come essenza vera, la struggente verità di un’esperienza umana importantissima che io ho assimilato. Tra le frasi che mi hanno ispirato, una di Stendhal la trovo
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appropriata per le donne della famiglia Rubboli: “Ogni genio che nasce donna è perduto.” Al contrario, il sacrificio e l’abnegazione delle donne nella mia famiglia hanno dato vita alla prosecuzione di una tradizione e alla mia formazione artistica. Maurizio, oggi il Museo è finalmente arrivato a compimento, hai avuto diversi riconoscimenti per questo e per il lavoro che tu hai svolto in questi anni. Dall’esposizione durante l’Expo di Milano al premio Mam - Maestro d’Arte e Mestieri per la ceramica. Cosa auguri al futuro della ceramica, quale caratteristica pensi possa dare un nuovo slancio per il futuro artistico tuo e dell’arte contemporanea? Intanto sono rimasto felicemente colpito del premio ricevuto dalla Fondazione Cologni dei Maestri d’Arte che ringrazio, devo ammettere che questo premio ha scatenato in me un fermento interiore molto importante, mi sento riconosciuto e apprezzato dopo tanti anni di lavoro e ricerca. Questo mi carica e mi dà l’energia per esplorare ancora nuove strade e realizzare nuove opere. Più che un augurio all’arte ceramica contemporanea, una speranza: che venga riconosciuta e apprezzata non solo nella forma ma anche nelle esplosioni di colori che oggi si tende ad eliminare, le nuove ceramiche sono per lo più bianche, nere o sfumature di grigio. Così si è passati dall’imitazione del passato, di cui parlavo prima, al minimalismo estremo dove il colore non è più considerato. Invece trovo che il
colore debba essere riconosciuto non solo come espressione estetica, il colore ha un’anima, dà un’emozione e spesso rimane impresso nei ricordi. Io amo il colore e trovo in tutto ciò che è intorno a me l’ispirazione alle mie opere che sono sempre colorate. Ecco, vorrei essere riconosciuto e portare avanti una nuova concettualità dove il colore diventa parte del pensiero insieme alla forma. Credo molto al potere sensoriale, quindi sensuale, dei colori. Così ti lascio con un’altra frase a me cara, è di Claude Monet e ci ricorda che dobbiamo imparare da ciò che ci circonda: “"Se sono diventato pittore, forse lo devo ai fiori".
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in-Perfectione. tredici artisti si interrogano sUlla Bellezza
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Si è conclusa a Ruvo di Puglia la collettiva d’arte curata da Carmelo Cipriani
RUVO Di PUGLIA. Esplorare il concetto di perfezione indagandone soggettività e divergenze. Riflettere sul fascino dell’imperfezione e la relatività della bellezza, intesa e proposta oltre i canoni imposti. Da questo assunto tredici artisti italiani provenienti da tutto il territorio nazionale, differenti per età, formazione e mezzi espressivi hanno intrecciato i loro sguardi: Gianfranco Basso, Giovanni Carpignano, Pierluca Cetera, Giuseppe Ciracì, Francesco Cuna, Francesco De Molfetta, Carlo D’Oria, Alessandro Fonte, Paola Mattioli, Angelo Marinelli, Pamela Pintus, Daniela Raffaele, Paolo Schmidlin. una collettiva d’arte che si è svolta dall’8 al 31 luglio nelle sale della Pinacoteca Comunale d’Arte
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Contemporanea di Ruvo di Puglia. “In-Perfectione” il titolo dato alla mostra dal curatore Carmelo Cipriani che scrive nel catalogo: “L’arte è limbo collocato tra percezione ed espressione, dualistica entità attraverso cui l’uomo restituisce se stesso rendendo tangibile ciò che non lo è. La rassegna rende omaggio a questa peculiarità della ricerca estetica, componendo un cross-over di esperienze, un palcoscenico di sguardi incrociati in cui mettere in discussione il tradizionale concetto di perfezione, che finalmente si scopre autenticamente soggettivo. Lo scopo è quello di offrire una visione diversa della bellezza, un canone divergente che nella difformità riesce a farsi modello”.
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Dalla pittura all’installazione, dalla scultura alla fotografia, ciascun artista si è interrogato sul valore della bellezza di cui oggi si sente l’estremo bisogno. “Scoprire il fascino dell’imperfezione come forza creativa ed originale può renderci liberi e certamente più felici. I giapponesi lo chiamano wabi-sabi, il distacco dall’idea di perfezione assoluta, la bellezza delle cose mutevoli: nulla è perfetto, nulla è permanente, nulla è completo.” - si legge nel testo di Liliana Bellavia nel catalogo che ha accompagnato la mostra. “Un percorso - spiega il curatore Carmelo Cipriani - che supera la consueta contrapposizione tra bello e brutto fino a confonderne le rispettive sfere e a rintracciare l’uno nell’altro.”
al mUseo di locri il caValiere di marafioti LOCRI (Reggio Calabria). Solo per pochi giorni fino al 7 agosto 2016, nel Museo Archeologico Nazionale di Locri – Polo Museale della Calabria, si potrà ammirare il Gruppo del Cavaliere di Marafioti, opera in terracotta del V secolo a.C. rinvenuta in località Pirettina (Comune di Portigliola), alle spalle dell’antica città di Locri. L’opera, elemento architettonico in terracotta del tempio dorico scoperto nel 1910 dall’archeologo Paolo Orsi, presentata a Milano (“RESTITUZIONI. Tesori d’arte restaurati” di Intesa Sanpaolo), sarà adesso esposta, per la prima volta, nel territorio da cui proviene. L’intervento di restauro, promosso e curato da Intesa Sanpaolo nell’ambito della XVIIª edizione di “RESTITUZIONI. Tesori d’arte restaurati 2016”, è stato fondamentale per la sua conservazione e per una più approfondita conoscenza della tecnica di realizzazione. Ha permesso, inoltre, di riscoprire anche con l’ausilio di aggiornate strumentazioni, dettagli affascinanti, quali i segni di stesura a pennello del sottile scialbo originale o la policromia in nero, bianco, rosso che evidenziava meglio nell’intento del coroplasta il muso equino o la criniera rifinita a stecca. Analisi diagnostiche hanno completato il restauro del gruppo che all’epoca della sua scoperta, sul lato occidentale del tempio, era stato rinvenuto in “ minuti frammenti ” e che fu oggetto di un primo intervento di restauro tra il 1911 ed il 1925 quando Paolo
Orsi e il restauratore Giuseppe Damico incollarono e integrarono le parti lacunose rafforzando il manufatto con supporti interni. L’attività di restauro del 2015 è stata effettuata dai restauratori Giuseppe Mantella e Sante Guidi; le ricerche diagnostiche dal dottor Domenico Miriello del Dipartimento di Scienze della Terra – Unical. Il gruppo del Cavaliere di Marafioti, subito dopo ritornerà nella sua sede, il Museo archeologico di Reggio Calabria e sarà esposto nella sala dedicata alla colonia
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locrese. L’iniziativa, fortemente voluta dalla dottoressa Angela Tecce, direttore del Polo Museale della Calabria e dalla dottoressa Rossella Agostino, direttore del Museo Archeologico Nazionale di Locri, è stata realizzata grazie alla proficua collaborazione con il Museo Archeologico di Reggio Calabria, la Regione Calabria, il FAI - Presidenza Regionale Calabria, e con il sostegno di Intesa Sanpaolo e delle amministrazioni comunali di Locri e di Portigliola.
Veduta del castello di Oria (foto di Sara Foti Sciavalieri)
oria e il salento di federico ii sUlle tracce di stUPor mUndi
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Grande attesa il 13 e 14 agosto per il suggestivo Corteo storico e il Torneo dei Rioni
di Sara Foti Sciavaliere
ORIA (BRINDISI) C’è il Salento del mare e delle spiagge, degli ulivi secolari e dei muretti a secco. C’è la vecchia Terra d’Otranto, l’antica Messapia. C’è il Salento del Barocco leccese e delle chiese rupestri, della pizzica e della taranta, della Grecìa salentina. Non molti sanno che c’è anche un Salento di Federico II. Lo Stupor Mundi, come Federico II di Svevia era stato ribattezzato dai suoi contemporanei, fu un personaggio carismatico, colto, ambizioso e lungimirante, ovunque passo lasciò traccia di sé e non fece eccezione il Salento. Era già imperatore del Sacro Romano Impero, quando conobbe, a ventisette anni, per la prima volta l’Apulia, dei cui abitanti ha tessuto elogi per il carattere di grande fedeltà dimostrato. Una volta scoperta la Puglia diventa la terra dove ritorna con maggiore continuità ogni anno per il resto della sua vita, malgrado
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il “nomadismo” a cui è soggetto lui e la sua corte imperiale. Si potrebbe affermare, senza esagerazioni, che Federico II abbia scelta la Puglia come sua patria adottiva, dimostrando una particolare predilezione per questa regione: le pianure della Capitanata, le colline delle Murge e i boschi della Foresta Umbra, ma spesso poco riferimento si fa al Sud di questa regione, dove anche si conservano tracce e tradizioni riguardo alla sua presenza. Un itinerario federiciano nel Salento potrebbe partire da Brindisi, nota sin dai tempi più antichi per il suo porto, fu scelta dallo stesso Federico come porto di raduno e partenza della VI Crociata, e qui attraccarono le venti galee che accompagnavano la tredicenne Jolanda di Brienne, erede del re di Gerusalemme, che l’imperatore sposò nella cattedrale di Brindisi. E sotto lo Stupor Mundi il castrum di Mesa-
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Storie. L’uomo e il territorio
gne ebbe la funzione di proteggere la via Appia, mentre il figlio Manfredi faceva restaurare il castello distrutto dalle truppe saracene. Si aggiunge poi la torre di Leverano, la più alta della Terra d’Otranto, che secondo la tradizione fu voluta proprio da Federico II a difesa del territorio circostante dalle martellanti incursioni saracene. Ritornando nel brindisino, l’ultima tappa sarebbe senza dubbio Oria. Questa città dalle origini antichissime, sorta sul tracciato della via Appia e abbarbicato su una leggera, spesso appare, soprattutto al crepuscolo, avvolta una sorta di densa foschia che dà al paesaggio un che di fiabesco, dando poi adito alla leggenda di “Oria fumosa”. Agli inizi del XIII secolo, l’imperatore Federico II la dichiarò città demaniale e avviò un’imponente opera di fortificazione culminata
nella costruzione di un castello nella più alta della città, tra il 1225 e il 1233. Il castello di Oria fu edificato sui ruderi dell’antica acropoli messapica e ebbero luogo i sontuosi ed esotici festeggiamenti per le nozze. A proposito le cronache del tempo indulgono sul particolare che la prima notte di nozze l’imperatore avrebbe trascurato la giovanissima sposa per sollazzarsi con un harem di bellezze orientali e sulla sdegnata reazione del suocero Giovanni di Brienne, da un lato offeso dalla condotta del genero e dall’altro destituito prima del previsto della sua regia autorità. Più che un castello, quello di Oria ha tutta l’aria di un recinto fortificato dalla planimetria triangolare. Il nucleo più antico è individuabile nel massiccio torrione quadrangolare a sudovest, costruito in forma di mastio o donjon e appartenente
alla fase sveva di edificazione. Altre torri si trovano sul lato meridionale – le torri cilindriche dette “del Salto” e “del Cavaliere” – e alla punta settentrionale – quella quadrata detta “dello Sperone”. Quest’ultima torre, dotata di piccoli beccatelli e merlatura guelfa, faceva parte della difesa “avanzata” del castello, seppur il lato del castello era già ben protetto naturalmente dalla collina scoscesa. La Torre del Cavaliere era quella in cui i cavalieri si vestivano e armavano. Invece la Torre del Salto, costruita in età angioina all’ingresso del castello, è accompagnata da una leggenda . Nel 1400, nel maniero si rifugiò la bellissima Bianca Guiscardi perseguitata da un nobile crudele che aveva perso la testa per lei; quest’uomo con un drappello di sgherri, riuscì a introdursi nell’edificio con l’intento di Castello di Oria, particolari, foto di Sara Foti Sciavaliere
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rapirla. La giovane cercò disperatamente la fuga, ma quando le fu chiaro che non avrebbe avuto scampo, decide di lanciarsi dalla torre togliendosi la vita. Ritornando a Federico II e al suo castello oritano, lì egli bandì, per rendere partecipe dell’evento nuziale la gente della “fida et nobilissima cittade d’Orea”, un Torneamento – nel rispetto della tradizione dell’epoca – tra i quattro antichi rioni. Per rivivere questo episodio, a Oria è stato istituito nel 1967 un appuntamento che si ripete ogni anno nel secondo fine settimana di agosto: il Corteo storico e il Torneo dei Rioni. Il primo con oltre quattrocento figuranti in costu-
me d’epoca sfilano lungo le principali vie cittadine, per l’occasione addobbate con i vessilli dei quattro rioni, per concludersi in Piazza Manfredi, dove l’araldo leggerà il bando emanato nel 1225 dall’imperatore. Nel Torneo dei Rioni, gli atleti e i cavalieri sfidano per conquistare il maggior numero di punti nel corso di cinque prove (ariete, botte, forziere, gara del ponte, velocità e destrezza). Quest’anno la manifestazione si terrà nel week end del 13 e 14 agosto, per riscoprire l’atmosfera di altri tempi in una delle rievocazioni medievali tra le più suggestive in Italia.
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Nella foto la Basilica di Santa Maria di Leuca
la diocesi del caPo di leUca Un Patrimonio di Bellezza e arte
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di Maurizio Antonazzo
LEUCA. Periodicamente l’Unesco analizzando il patrimonio culturale, artistico e storico mondiale, ci ricorda che sul territorio del nostro Paese sono ubicati il maggior numero di siti. L’Italia è il Paese europeo che annovera il maggior numero di beni appartenenti al patrimonio artistico e culturale in proporzione alla popolazione, infatti, registra 7,8 siti museali, monumentali o archeologici ogni 100 mila abitanti. Confrontando la situazione italiana con altre realtà internazionali, si scopre la possibilità di migliorare la valorizzazione del patrimonio, fondamentale per i risultati diretti sull’incremento occupazionale, sia per quelli indiretti, sullo sviluppo del settore del turismo culturale. Solo negli ultimi decenni, anche nel Salento è manifesto a tutti, la grandezza, la capillarità e l’importanza del patrimonio architettonico e storico presente sul nostro territorio. La Fondazione Parco Culturale Ecclesiale "Terre del Capo di Leuca - De Finibus Terrae", grazie all’Ufficio per i Beni Culturali della Diocesi di Ugento S. Maria di Leuca, nell’ottica di valorizzare i beni culturali ecclesiali, nel più ampio contesto dell'attrattività territoriale e come veicolo di evangelizzazione, di incontro, di dialogo e di pace per un’ecologia integrale della persona
umana, ha avviato due iniziative per un’offerta più completa del patrimonio culturale diocesano: “Chiese Aperte – Il Romanico nel Capo di Leuca” e la “Mostra nell’anno della Misericordia - Padre perdonali” – Crocifissi lignei del Seicento - Settecento a Finibus Terrae. Con la prima iniziativa (Infoline 328.6780976) si vuole far scoprire alcuni luoghi sacri della Diocesi Ugento – S. Maria di Leuca, risalenti a quella fase dell'arte medievale europea sviluppatasi a partire dalla fine del X secolo artistico sino all'affermazione dell'arte gotica, presente nelle Chiese: San Pietro a Giuliano di Lecce (Frazione di Castrignano del Capo), di Santa Barbara a Montesardo (Frazione di Alessano), San Giovanni a Patù, Sant’Eufemia a Specchia e Santa Maria della Strada a Taurisano che per il mese di agosto sarà possibile visitare tutti i Giovedì dalle ore 20.00 alle 22.30. Le origini della Chiesa di San Pietro a Giuliano di Lecce, secondo varie testimonianze storiche risalirebbero al X secolo e sarebbe stata usata per celebrazioni dai monaci Basiliani o Benedettini. La tradizione vuole che a Santa Maria di Leuca sia sbarcato S. Pietro, proveniente dall’attuale Medio Oriente per recarsi a Roma. Un ricordo tra leggenda e realtà avvalorato dalla
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Chiese aperte e una mostra sui crocifissi lignei due iniziative della fondazione Parco culturale ecclesiale
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presenza di Chiese, lapidi croci lungo il tragitto percorso dall’Apostolo, città e luoghi a Lui intitolati per ricordarne l’evento. Anche questo luogo sacro fu costruito a ricordo del passaggio di San Pietro dal Capo di Leuca, a ricordo della predicazione è anche presente la Croce Pietrina, una colonna che sorge all'ingresso della Basilica di Leuca. La Chiesa di Santa Barbara a Montesardo fu frequentata dai fedeli fino al XVIII, si trova nell’omonima strada, sulla via Comunale Montesardo – San Dana, è stata recuperata e ristrutturata grazie alla sinergia tra lo stesso Comune di Alessano e il Gruppo di Azione Locale “Capo S. Maria di Leuca”, per una somma di 150.000 euro, hanno cofinanziato l’intervento al 50% cadauno, nell’ambito del PSR Puglia 2007 - 2013, hanno restituito alla comunità un gioiello della memoria storica del Capo di Leuca. L’antica chiesetta con il piccolo monastero annesso databile intorno al XIII seco-
lo, era quasi del tutto distrutto e di cui rimangono tracce nei vicini ambienti adibiti fino al 1996 ad usi agricoli, quando, per sottrarla alla distruzione totale, fu acquistata dal Comune di Alessano, portando alla luce un ciclo pittorico di affreschi angioini e post-giotteschi, che lo rende un esempio d’arte medievale come pochi. Poco fuori Patù, di fronte alla Centopietre troviamo la Chiesa di San Giovanni Battista edificata nel X secolo. Il luogo sacro ricorda la violenta battaglia tra Cristiani e Mori del 24 giugno 877. La chiesa, a tre navate divise da pilastri a pianta rettangolare, è uno degli esempi più particolari dell'arte romanica pugliese. All'interno sono poche le tracce degli affreschi rimaste. L'abside troviamo un ampio rosone; la facciata è semplice con una bifora al di sopra del portone d'ingresso. Mentre nelle campagne tra Specchia e Miggiano è ubicata la Chiesa di Sant'Eufemia del VI secolo, probabilmente costruita con le pietre prove-
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In alto: Patù, Chiesa di San Giovanni Battista; in basso: Chiesa di Santa Maria della Strada a Taurisano (foto d’archivio)
nienti dalla villa gentilizia del centurione romano Crasso, è un luogo sacro a pianta longitudinale, orientato secondo l'asse Est-Ovest, la facciata presenta una forma a capanna con una grande bifora e un portale con arco a tutto sesto, la parte posteriore si trova un'abside quadrangolare con due grandi finestre. La Chiesa di Santa Maria della Strada a Taurisano fu costruita a tra la fine del XIII sec. e il 1320, attualmente fa parte del centro abitato della cittadina ed è la più rilevante testimonianza dell’architettura romanico - pugliese del territorio salentino. La chiesa, secondo una leggenda, sarebbe stata realizzata da un mercante come atto di devozione per un miracolo ricevuto dalla Madonna. La prima testimonianza sull'esistenza della Diocesi di Ugento si trova in un documento datato 23 giugno 1198 ad opera di Innocenzo III, in cui le Diocesi di Lecce, Ugento e Leuca sono nominate come suffraganee dell'Arcidiocesi di Otranto. Questo dato, di notevole importanza e rilievo, rende la Diocesi più a sud della Puglia, una della più antiche dell'Italia Meridionale. Le numerose testimonianze materiali di una
storia così ricca di contenuti e significati sono esposte nel Museo Diocesano (Infoline 328.6780976) ubicato nei sotterranei sepolcrali della Cattedrale di Ugento dove oggi rivivono, dopo il recupero degli ambienti utilizzati nel seicento come luogo di sepoltura, in un contesto carico di significati e saturo di un'atmosfera sacra e coinvolgente. Il visitatore viene accolto già dall'ingresso da calici argentei, da messali in pergamena, dalle statue di santi realizzate con estrema maestria dai cartapestai salentini, dalle tele dei numerosi vescovi succedutosi alla guida della dioce-
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si, percorrendo così un viaggio nella spiritualità che si concretizza anche nei preziosi manufatti di culto di una diocesi del sud Salento. Il Museo diocesano, che può essere visitato il martedì e giovedì dalle ore 9.00 alle 12.00, sabato e domenica dalle ore 18.00 alle 22.00, vuole offrire al visitatore la possibilità di ammirare alcuni dei più bei tesori d'arte presenti nella Cattedrale e nelle altre Chiese della Diocesi. Tutti i reperti sono allestiti nei locali al di sotto della Cattedrale, un tempo luogo di sepoltura per il clero e per i cittadini più in vista. Una delle sale è destinata ad esposizioni temporanee d'arte sacra. Sono diverse le collezioni antiche da ammirare:argenti, ceramiche, libri antichi, pitture, sculture, tessuti e altre suppellettili. Fino alla fine dell’estate, il Museo Diocesano di Ugento, ospiterà la mostra “Padre perdonali - Crocifissi lignei del Sei - settecento a Finibus Terrae”: quattro Crocifissi che provengono da Tricase, Gagliano, Ruffano e Salve, opere dello scultore gallipolino Vespasiano Genuino, autore del celebre “Malladrone” custodito nella chiesa di S. Francesco d’Assisi, pregevole il grande Crocifisso del 1600 proveniente da Presicce.
I prIMI cInquant’annI dI MuSIca deL MeLodISta aMedeo MInghI
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Il cantautore romano in concerto a Loano. Il 14 ottobre l’uscita del suo nuovo album con la Sony Music
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LOANO (SV). Un recital per ripercorrere i suoi cinquant’anni di musica. Accadrà a Loano, venerdì 5 Agosto alle ore 21.30 nell’Arena Estiva Giardino del Principe dove sul palco salirà Amedeo Minghi. Con la complicità del pubblico, il cantautore e compositore romano regalerà al suo pubblico un viaggio di note sul filo delle emozioni: “1950”, l'immenso, La vita mia, Cantare è d’amore, I ricordi del cuore, Notte bella magnifica, Vattene Amore sono alcune delle canzoni che renderanno luminosa questa serata. Non mancheranno i suggestivi videoclip di Un uomo venuto da lontano, canzone dedicata a San Giovanni Paolo II e il videoclip della ultima opera di successo Io non ti lascerò mai, commuovente e epico brano che ci porta alle nuove sonorità Melodista dalla “nascita” (come ama definirsi), artista senza tempo, Minghi è la colonna portante della musica italiana d’autore, dagli anni Sessanta ad oggi, è stato un grande innovatore, sperimentatore, artista dal repertorio vasto e unico: 33 album, 18 singoli, 5 dvd. Ha scritto colonne sonore per la tv, per il cinema, per il teatro; per molti suoi colleghi ha composto numerose hit e realizzato progetti; sempre ispirato dall’Amore per la musica. “Si canta d’amore, si scrive d’amore, si filma d’amore e si racconta d’amore: tutto gira attorno all’amore con tutte le sue varianti” racconta Amedeo Minghi aggiungendo “la
tematica dell’amore è talmente varia e variegata che mi ha consentito e mi permette di scrivere il grande repertorio dei miei pezzi e quelli nuovi che usciranno il prossimo 14 ottobre nel mio nuovo lavoro discografico”. Un disco, il ventitreesimo, con l’etichetta Sony Music. “Un grande partner – dichiara Amedeo Minghi – per un grande progetto. Avrò la possibilità in questo nuovo lavoro di riconsiderare l’esperienza di 50 anni di vita artistica: è la musica a guidarmi da sempre; avere al fianco la Sony, una realtà internazionale che guarda avanti, sarà per me un valore determinante”. “La firma del contratto di Amedeo Minghi con il Catalogo & Strategic di Sony Music - dichiara il general manager Paolo Maiorino - è il risultato di un periodo di tempo nel quale ci siamo conosciuti ed abbiamo avuto modo di approfondire i nostri pensieri. Ci siamo trovati molto in sintonia, così abbiamo deciso di condividere un percorso di lavoro insieme nella consapevolezza di quanto Amedeo abbia significato nella storia della canzone italiana e, soprattutto, di quanto possa ancora esprimere.” Ma veniamo al concerto. “Canterò cose di adesso, di ieri e dell’altro ieri”, afferma. In scaletta brani conosciuti ma anche novità recenti pubblicate negli ultimi singoli. La sua produzione discografica riunisce più generazioni ed è attuale anche per i giovani d’oggi: “Due anni fa, persino Justin Timberlake ha ripreso un mio brano facendone un singolo; la musica va oltre i confini e unisce. Un gruppo, I Vidra hanno realizzato una versione bellissima di un mio brano datato 1986 Trimotore Idrovolante. La stessa cosa è accaduta per altri brani realizzati in chiave Rap da Paolo Bianchi e i D2 o in stile country dagli Akiramanera”. “Lavorare con i giovani - conclude è sempre bello e di fondamentale importanza: oltre a una forte vitalità artistica sono sempre al di là delle cose e oltre le apparenze”.
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catena fiorello, il sUd, la PUglia e l’amore a dUe Passi di Francesco Rella
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Intervista alla scrittrice siciliana in tour nel Salento per presentare il suo nuovo romanzo
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Ecco a voi uno dei miracoli che Dio ha voluto lasciarci, mettendo insieme tutti i migliori elementi che aveva a disposizione! Così gli occhi di Catena Fiorello recepiscono l’emozione che suscita uno sguardo appassionato verso l’infinito dall’alto del promontorio sul quale sorge il faro di Leuca. A due passi dai mari che si mescolano nel tacco d’Italia. “L’amore a due passi”, non più di quelli che distanziano da lei gli innumerevoli fan della scrittrice catanese. Catena assetata di Salento e che abbevera il lettore delle bellezze della nostra terra. “Ci mancherebbe altro – esordisce nel corso della presentazione galatinese del suo ultimo successo (Giunti editore) -. Fra i ringraziamenti che mi sono sentita di esprimere al termine della mia piacevole fatica, un posto particolare spetta proprio al Salento che più di tutti mi ha saputo parlare. Con il calore e l’amore della sua gente, le sue tradizioni culturali, le bontà culinarie, gli incantevoli paesaggi, le straordinarie architetture, le incredibili distese di ulivi antropomorfi. E la voglia che ti genera dentro di conoscerlo ancora più a fondo!”. Protagonisti della scoperta di tutto ciò possa offrire il Salento, Orlando e Marilena, due vedovi romani che riaccendono passioni e pulsioni fra pizzica, feste, pucce, pasticciotti e notti folli da seconda giovinezza. Lui ardimentoso, lei più misurata seppur
con l’ambizione al menefreghismo rispetto a ciò che la gente possa pensare riguardo ai suoi (nostri) atteggiamenti. Catena come Marilena? “Benché sempre utili, poiché aprono a guardarsi dentro, non bastano più cicli di analisi per vestirsi di quel sano menefreghismo che ci farebbe, senza dubbio, vivere meglio la nostra vita ed i rapporti con il prossimo e farci scivolare addosso gran parte dei problemi che ci attanagliano quotidianamente e che, se ben valutati, sono spesso affatto rilevanti. Tuttavia ambisco anch’io a quel menefreghismo di cui abbisognerebbe Marilena”. Anche perché incombono sempre quei pantani familiari che nessuno s’impegna a prosciugare e che non risparmiano la coppia protagonista della storia… “Eh sì, perché sovente si creano in seno alle famiglie quegli equilibri instabili che, tutto sommato, reggono fin quando le situazioni non implodono, ma che in realtà potrebbero prosciugarsi in maniera indolore molto prima, se solo si avesse il coraggio di guardarsi dentro”. C’è un destino ineluttabile che guida le nostre vite? Ci credi? “Ognuno è artefice della sua vita, ma è innegabile che ci siano una serie di passaggi nella nostra esistenza ai quali è impossibile sottrarsi, pur profondendo il massimo dell’impegno. Conosco purtroppo, per fare un esempio, tante storie di mamme che dicono quella sera mio figlio non doveva essere lì o non doveva prendere la moto. Ed invece era assurdamente lì o quella moto, alla fine, l’aveva presa”. Roma era una grande città, ma ogni quartiere la fedele riproduzione di un paesino che sussurrava
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dietro le finestre. Tutto il mondo è paese in definitiva? “Ma certo! Io sono una cittadina del mondo avendo vissuto in America ed in Francia e viaggiato tantissimo, ma ti posso assicurare che è così. Il pettegolezzo, la chiacchiera sulla terza persona, da i due o più avventori conosciuta, è sempre dietro l’angolo. In Puglia, come in Sicilia, come a Miami o Parigi. Senza dire poi che in ogni angolo del mondo ti imbatti in un romano o siciliano o, voi ne sapete qualcosa, salentino. Peraltro a me uno che se la mena dicendo “sai sono di New York” o giù di lì, risulta tutt’altro che simpatico. Tanto siamo tutti uguali con i nostri pregi e difetti che non hanno latitudine o metropoli che tenga!”. Il personaggio del libro al quale sei più legata? “Annalisa, senza dubbio. Lei è l’emblema che quanto ci può capitare nella vita, come un casuale incontro in treno, non è mai fine a se stesso. O almeno potrebbe non esserlo, dipende se a quel tram ci avvinghiamo o meno. Lei ha bisogno di Orlando e Marilena, come la coppia della giovane salentina che con l’invito alla sua festa di compleanno dà la stura alla deflagrazione dell’amore fra i due vedovi romani”. E già, come conclude il suo romanzo la Fiorello, l’amore continua a fare il suo mestiere ed in Salento gli viene ancora più facile.
Una storia tra gli UliVi e PUcce Il fascino del viaggio, coniugato con la voglia di assaporare nuovi gusti, usi e tradizioni e di compenetrarsi in essi. Un’apoteosi per chi legge dal Salento, visto che la scoperta legata al viaggio dei protagonisti è quella relativa al nostro lembo d’Italia e le sue multiformi bellezze. “L’amore a due passi” di Catena Fiorello, ovvero la storia di Orlando e Marilena vedovi romani pressoché settantenni, ovvero la parabola dell’amore che riprende vigore in qualunque stagione della vita, o ancora un florilegio del Salento, di cui la scrittrice catanese è assetata e tedofora di un otre sempre più colmo, pagina dopo pagina. Quante volte il cuore pulsa per un vicino di casa in cui ci s’imbatte sempre e solo per qualche istante, magari sul pianerottolo di casa? E quante volte il pudore sconfigge l’impulso di avvicinarlo? Ed i fardelli dei problemi familiari ed il giudizio degli altri? Orlando sbaraglia tutto questo sulla spinta di un depliant che decanta il fascino del Salento. Lì (cioè qui) trascina Marilena a trascorrere una vacanza fra monumenti, ulivi, pizzica, paesaggi mozzafiato, pasticciotti e pucce. Con la giovane Annalisa, incontrata per caso nel treno, che in qualche maniera dà la stura alla passione dei due romani che la magia del Salento aiuta a far innamorare. Francesco Rella
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Immagini si riferiscono alla Festa di Santa Domenica a Scorrano
sagre e ritUalità.tra identità distintiVa e marKeting territoriale di Mario Perrone
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Storie. L’uomo e il territorio
Antichi festeggiamenti religiosi sono oggi l’essenza dell’autorappresentazione producendo identità sociali e promuovendo le economie dei luoghi
Ogni paese ha le sue tradizioni e le sue abitudini alimentari che sono frutto di una trasmissione generazionale di valori gastronomici intorno ai quali si radica la cultura di un territorio. Non a caso intorno al sistema alimentare si praticano riti e festività che valorizzano e promuovono tradizioni culinarie identitarie di un gruppo o di una comunità. Le sagre storicamente nascono come “antichi festeggiamenti per ringraziare una propria divinità”. Infatti il termine 'sagra' deriva dal latino 'sacrum', che significa sacro. Non a caso tutte le celebrazioni con le offerte del raccolto si svolgevano nei pressi delle chiese e dei luoghi sacri del paese, dopo le celebrazioni di ringraziamento i prodotti offerti dalla comunità venivano consumati e distribuiti ai visitatori come simbolo di abbondanza e di prosperità. Il rito pertanto ha avuto sempre un forte legame con l’esistenza simbolica degli oggetti sacri compreso il cibo, ad essi associati e prevedevano un sistema di comunicazione in grado di veicolare messaggi dotati di senso, non solo ma oltre alla sua funzione religiosa, il rito aveva anche una funzione sociale che era quella di mettere gli individui in relazione con la forza morale della comunità legandoli ad essa. Oggi le sagre in Puglia vengono proposte in gran parte nei paesi e piccoli borghi, divenendo una
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caratteristica identitaria del luogo. Nel Salento, le sagre, vengono organizzate non solo nel periodo estivo ma anche nelle stagioni di primavera e autunno, dove vengono proposti, come vuole la tradizione, il consumo di cibi e bevande locali, che hanno la tipicità di quel determinato territorio. Queste manifestazioni pertanto costituiscono una auto- rappresentazione nella produzione di identità distintive territoriali, dove i luoghi vengono rappresentati da una tipicità del cibo, il quale diviene risorsa fondamentale di promozione culturale-territoriale e di sviluppo economico locale. Inoltre, sempre al fine di ricreare un’atmosfera di vita comunitaria tradizionale, una funzione delle sagre è di rilanciare l’immagine di una località attiva con l’intento di dare impulso al proprio sistema produttivo locale sia agricolo-commerciale che vacanziero. Risulta evidente, pertanto, ritenere che le sagre nel tempo sono diventate anche un fenomeno folkloristico volto fondamentalmente a perseguire il marketing territoriale. In questo contesto storico in cui viene proposto attraverso le sagre anche la cultura popolare, esse rappresentano una forma di attrazione turistica divenendo di fatto strumento a sostegno dell’industria turistica locale. Infatti, attraverso una serie di attività creative e sociali, tutta la comunità si
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attiva in una forma quasi di micro-imprenditorialità per soddisfare la domanda gastronomica di “prodotti genuini locali” derivante da turisti e vacanzieri, con l’obiettivo di inserirsi all’interno di circuiti turistici che, per quanto possano essere limitati ad un turismo enogastronomico e circoscritto in alcuni periodi dell’anno e sopratutto concentrati nel weekend del periodo estivo, sono tuttavia in grado di attivare un indotto vantaggioso per la (ri)valorizzazione culturale ed economica del territorio. Anche oggi come ieri, le sagre sono un fenomeno sociale in quanto esprimono una dimensione di vita comunitaria, la quale si ritrova in un tempo di festa a costruire nuovi rapporti, relazioni sociali, dove la coesione e la solidarietà si rafforza fino a superare le gerarchie generazionali e le condizioni sociali, alimentando un senso civico di vincolo generale di appartenenza.
Nelle foto alcune immagini delle fiabesche architetture di luce realizzate a Scorrano in occasione dei festeggiamenti di Santa Domenica, lo scorso luglio, che ha registrato un record di presenze con oltre 400 mila visitatori. Le luminarie famose in tutto il mondo sono state realizzate da “maestri della luce”: “Mariano Light”, Massimo Mariano di Scorrano, Salento Luminarie di Ernesto Palma, di Giurdignano, Paulicelli Light Design di Capurso (Bari) e Luminarie De Filippo, di Salerno.
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Nella foto il regista Carlo Carlei, in basso la locandina del film “Romeo & Juliet” da lui diretto
asPettando siff, il festiVal del cinema indiPendente
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Dal 2 al 10 settembre Tricase capitale del cinema indipendente. Al regista Carlo Carlei il Salento Cinema Director Award
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TRICASE (Lecce). Sarà La stagione dell’oblio del regista persiano Abbas Rafei ad aprire il 2 settembre il Siff 2016 che anche quest’anno farà arrivare a Tricase protagonisti di spicco del cinema mondiale. Il film, in anteprima regionale, sarà il primo dei lungometraggi in concorso. Tra gli altri titoli: Invisibile di Dimitri Athanitis, Figurine di Hans Olson, Il giocatore invisibile di Stefano Alpini, Adrien di Renée Beaulieu, To keep the light di Erica Fae (anteprima europea), Under Construction di Rubaiyat Hossain, Liberaci di Mel Chionglo, Tutto il meglio di Snjezana Tribuson, Il ministro di Giorgio Amato. Tra gli eventi speciali sabato 10 settembre, l’appuntamento con il regista Carlo Carlei che assisterà con il pubblico alla proiezione del suo Romeo & Juliet dopo aver ricevuto il Salento Cinema Director Award. Nella sezione dedicata ai cortometraggi in gara spiccano l’anteprima mondiale di Un arbitro in fuori gioco di Andrea N. Gentile, Mai di Giulio Poidomani; Sole di Stefano valentini ( e ben tre anteprime regionali: Il miracolo di Serena Aragona, Honglei Bao e altri; Fatti osceni in luogo pubblico di Stefano Viali e L’ultima orazione di Gustav Baldassini. Da non perdere le sezioni dei
cortometraggi diretti da registe, i corti di animazione e i documentari e la sezione “Hong Kong Cinema Panorama”. Fuori concorso sarà possibile assistere alle proiezioni dei lungometraggi: In fondo al bosco di Stefano Lodovicvhi (Italia 2015), Madeleine di Lorenzo Ceva Valla, Mario Garofalo (Italia Ungheria 2015) e Fuori dal coro di Sergio Misuraca (Italia 2016). Ma chi decreterà i vincitori? Sarà la Giuria Popolare a giudicare tutti i film in concorso decidendo i premi più importanti del festival. Per essere inserito in commissione basterà far esplicita richiesta compilando entro l 20 agosto il modulo scaricabile sul sito del Siff. Fondato nel 2004 oltre a far apprezzare il cinema indipendente di qualità con il “SIFF World Tour” il festival offre ai registi l’opportunità di presentare i loro lavori a un pubblico internazionale, da ottobre 2016 a giugno 2017 il SIFF World visiterá centri culturali, cinema d’essai, Universitá, cineteche e cine teatri del mondo. Tutte le proiezioni con ingresso gratuito si terranno presso il Palazzo dei Principi Gallone in Piazza Pisanelli e la Chiesa Dei Diavoli. In caso di pioggia le proiezioni si terranno nelle scuderie e all’interno della Chiesa. Info: 0833.771821 / 328 708 7503 | www.salentofilmfestival.com
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Un mare di corti. a settemBre l’otranto film fUnd festiVal
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Per partecipare al video contest c’è tempo fino al 31 agosto
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OTRANTO (Lecce). Al via dal 15 al 18 settembre l’ottava edizione di OFFF - OTRANTO FILM FUND FESTIVAL: cinema e territori che quest’anno lancia il contest video “Un mare di corti” sul tema “Il mare si illumina di cinema”. “L'Otranto Film Fund Festival è ormai giunto alla sua ottava edizione e rappresenta una delle manifestazioni di punta dell'estate otrantina – spiega il Sindaco di Otranto Luciano Cariddi Un’occasione che consente, attraverso il cinema, di conoscere i territori e le diverse culture rappresentate nelle opere in rassegna. Molti i momenti di dibattito e di approfondimento che appassionano cittadini e turisti, affascinati dalle storie raccontate. Crediamo che sia importante continuare ad investire in iniziative come questa che contribuiscono, da un lato, all’intrattenimento turistico che la Città offre, dall’altro, ad un accrescimento culturale della nostra comunità. Quest'anno poi il
programma propone anche il contest "Un mare di corti", un'interessante opportunità per chi volesse raccontare il territorio attraverso i video”. La rassegna cinematografica diretta da Luciano Schito e organizzata dal Comune di Otranto con la Fondazione Apulia Film Commission e l'Istituto di Culture Mediterranee è dedicata alle produzioni cinematografiche realizzate con il sostegno dei Film Fund. “Apulia Film Commission sostiene le iniziative che promuovono la creatività e i talenti che consentono un confronto sulle politiche di investimenti nel comparto dell’audiovisivo, puntando sull’integrazione con le Nazioni che si affacciano sull’Adriatico” – dichiara il Maurizio Sciarra, Presidente di Apulia Film Commission – “L’Otranto Film Fund Festival è tutto ciò: un’esperienza importante che prosegue da tempo”. Il concorso è aperto a tutti coloro che siano interessati, professionisti o amatori, che abbiano voglia di cimentarsi nella realizzazione di un cortometraggio dove il mare e il cinema si incontrano, mettendo in risalto il territorio. Dalla finzione al documentario, dall'astratto all'onirico fino al reale, tutte le chiavi di lettura sono possibili per dare spazio alla propria creatività. Durante la cerimonia di premiazione della rassegna ADRIATC IONIAN MOVIE, una giuria tecnica decreterà il miglior video del contest, il quale sarà proiettato e premiato nel corso della serata finale, il 18 settembre 2016. Le opere devono essere prodotte nell’anno 2016, avere una durata massima di 10 minuti e devono essere inviate entro il 31 agosto 2016 all’indirizzo festivalofff@gmail.com.
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Nella foto Hazel Rennie, a lato una foto di Greenham-common, (immagini d’archivio)
addio, Hazel di greenHam common!
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di Ada Donno
Ci ha lasciati la pacifista inglese, attivista della WILPF, la Lega internazionale delle donne per la pace e la libertà
Hazel Rennie, pacifista inglese protagonista del Campo di donne per la pace a Greenham Common, ci ha lasciato pochi giorni fa alla bella età di 88 anni. Hazel, che viveva a Worthing, nel West Sussex, circondata dall’affetto di figli e nipoti. È stata una delle animatrici del Campo attorno alla base missilistica di Greenham Common dal dicembre 1982 fino al 2000 (quando il campo fu chiuso) ed è stata anche, fino all’ultimo, un’attivista della WILPF, la Lega internazionale delle donne per la pace e la libertà. Ostinata, energica e appassionata, come la descrive la sua amica Jane Powell in un ricordo pubblicato sul Guardian, negli anni di Greenham Common fu arrestata più volte e per almeno quattro volte fu detenuta nella prigione di Holloway perché si rifiutava di pagare le multe comminatele per violazione di proprietà. Nel 1986, durante una carica poliziesca, sebbene fosse artritica e ipovedente, fu così brutalmente malmenata da fini-
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re in ospedale. I suoi aggressori non furono mai perseguiti, ma lei, una volta dimessa, tornò ancora a Greenham Common. Hazel era anche un’indole arguta e giocosa: una delle volte che fu arrestata, ai poliziotti che le chiedevano le generalità disse, impassibile e seria, di chiamarsi Millicent Uprising Shortly. Le donne di Greenham la ricordavano come narratrice di talento, autrice di poesie che aveva tenuto segrete, finché non si era decisa a recitarle davanti a loro, con grande successo. E ricordavano la sua disponibilità amichevole e calda, il suo interesse autentico per i temi delle donne, la sua indignazione genuina contro le ingiustizie, la sua sensibilità e la fiducia nel cambiamento, che non di rado furono la ragione per cui molte donne decidevano di restare a Greenham, o vi tornavano mese dopo mese, anno dopo anno, Hazel era nata e cresciuta in una famiglia operaia numerosa a East Morton nel West Yorkshire, aveva frequentato la scuola locale e aveva cominciato a
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lavorare in una fabbrica di munizioni a 14 anni. Era una ragazzina durante la seconda guerra mondialePoi si era arruolata nella Women’s Air Force e lì aveva incontrato Jock Rennie, che era nella RAF, e lo aveva sposato nel 1958. Con i loro quattro figli aveva girato il mondo seguendo Jock nei suoi trasferimenti in Sri Lanka, a Cipro, Singapore e Bahrain, prima di stabilirsi a Worthing. Anche dopo Greenham, Hazel continuò ad intrecciare la sua passione per la poesia e la scrittura con la lotta per la pace e il disarmo, usando spesso l’ironia e lo scherzo caustico come arma politica: nel 2003 sostenne il ruolo di giudice in una messinscena satirica di tribunale che metteva Tony Blair sotto processo per la sua complicità nei bombardamenti sull’Iraq. L’anno seguente, con indosso una tuta bianca, guidò un gruppo in "giro di ispezione" per le strade, chiedendo ai passanti se sapevano dove Saddam Hussein avesse nascosto le sue presunte armi di distruzione di massa.
arte e deVozione 110 santini a roma
Ma oltre all’ironia, sapeva usare la scrittura seria e convincente. In occasione del sequestro e detenzione di cittadini britannici di origine araba rinchiusi nella famigerata prigione Usa di Guantanamo, scrisse alle autorità lettere assai persuasive a favore del loro rilascio. Molti sono convinti che la sua eloquente lettera a Gordon Brown sia stata determinante per il rilascio, nel 2007, di Omar Deghayes, britannico di origine libica per sei anni detenuto e sottoposto a brutali torture a Guantanamo. Scrisse anche un appello per il rilascio di Shaker Aamer, britannico di origine saudita, sequestrato dall’intelligence Usa nel 2002 e rinchiuso a Guantanamo per quasi 14 anni senza che fossero formulati capi di accusa fondati contro di lui. Hazel Rennie ha fatto in tempo a vedere il suo rilascio, lo scorso anno, e ne è stata felice. Se n’è andata serena, lasciando in eredità alle sue figlie la sua bella storia di passione e di lotta, da raccontare ai nipoti. “We want better” era lo slogan scandito dalle donne di Greenham Common mentre a viva forza venivano allontanate dalle recinzioni della base missilistica destinata ad ospitare i missili americani Cruise a testata nucleare. La voce delle donne di Greenham trovò negli anni ’80 e ‘90 un’eco profonda nelle donne di Comiso, in Sicilia. E l’eco rimase viva nel corso degli anni e si trasmise alle generazioni seguenti. La stessa Greenham Common è divenuta un luogo simbolo, da cui una generazione di donne ha gridato al mondo il suo desiderio di pace, convivenza, inclusione e differenza, denunciando il tradimento di una classe politica asservita agli interessi di una ristretta oligarchia internazionale guerrafondaia e vorace.
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ROMA. 110 artisti italiani al Parione9, la galleria d’arte nel cuore della Roma barocca di piazza Navona, riuniti nella mostra collettiva Exit Voto, a cura di Rossana Calbi. Lo spazio delle galleriste Marta Bandini ed Elettra Bottazzi ospiterà fino al 7 agosto le 110 rappresentazioni agiografiche che sono state commissionate agli artisti invitati, tra i quali anche il salentino Massimo Pasca con il suo Sant’Oronzo. Il simbolismo cristiano è stato l’oggetto dell’indagine degli artisti, i quali hanno cercato di rappresentarne le verità sociali rifacendosi al linguaggio iconografico della nostra cultura religiosa che ci accompagna nel quotidiano. Le 110 opere su carta sono realizzate in piccolo formato, 15x18 cm, a ricordare i “santini”, con le preghiere scritte sul retro che trovavamo nei cassetti delle nostre nonne. Queste immagini sono la testimonianza di una
devozione antica che, nella mostra con logo realizzato da Shone, segnano l’uscita dalle costrizioni rigide che l’uomo spesso pone alle proprie azioni. Le parole di Sant’Anselmo Fides quaerens intellectum (la fede richiede ragione) sono state il monito nella costruzione sistematica di questo progetto artistico: le cristallizzazioni dei doveri e dei tabù nel nostro pensiero meritano la ricompensa della devozione. L’allestimento è a cura di Francesca Toscano con Marta Bandini ed Elettra Bottazzi. Parione9 | via di Parione 9 (piazza Navona) Roma Orari: martedì - sabato 11 14 / 16 - 20 domenica 15 - 20 info: tel 0645615644
Alcune immagini da “Carmina Burana” e “Carmen” foto di Fabio Serino, nel riquadro il coreografo Fredy Franzutti (foto di Marta Colaci)
a lecce la grande danza del “Balletto del sUd”
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Sei spettacoli per il cartellone estivo “Lecc’è” promosso dal Comune
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LECCE. Al via i sei appuntamenti firmati da Fredy Franzutti per il Balletto del Sud ed inseriti nel calendario degli eventi estivi del Comune di Lecce, “Lecc’è 2016 Festival”. Si comincia con due fra i titoli più noti e più apprezzati dal pubblico, ospitati all’Anfiteatro Romano, “Carmina Burana”, in programma venerdì 12 e, in replica, sabato 20 agosto, e “Carmen”, prevista, invece, sabato 13 e domenica 21 agosto. Per creare la sua versione dei “Carmina Burana”, che festeggia quest’anno i dieci anni dal debutto, Franzutti si ispira ai testi poetici originali medievali e realizza una rappresentazione che ha per soggetto il traumatico passaggio dalla post-adolescenza alla maturità, dando la possibilità alla compagnia di mettere in evidenza la qualità dei suoi solisti e la creatività del coreografo, come ha evidenziato, a più riprese, la critica nazionale. Nel 1200, un gruppo di Clerici Vagantes prende coscienza che il mondo non funziona secondo le regole morali che gli sono state impartite, e, per reazione, si tuffa, goliardicamente e sconsideratamente, a sperimentare la cinica libertà e la disincantata vita godereccia. In tutto questo, il mito del gotico tenebroso, evocativo del male, nella sua forma più superstiziosa, citato dalla popolare musi-
ca composta da Carl Orff nel 1937, ci riporta alla mente società moralmente corrotte, che con spregiudicatezza resistono alla paura della punizione divina. Infatti, i canti di Orff rovesciano in modo ironico e divertito i temi e gli atteggiamenti della letteratura medievale dominante: il vino, la donna, il gioco, i piaceri della vita, spregiudicatamente esaltati da una poesia che nasce in ambiente colto e usa a fini parodici i moduli del linguaggio ecclesiastico. “Uno spettacolo – scrive Michele Nocera su Tuttodanza – dove la poesia diventa danza e la passione diviene forza comunicativa. Sicuramente una delle più belle e convincenti trasposizioni coreografiche del capolavoro di Orff”. La “Carmen”, balletto in due atti di Fredy Franzutti, ha avuto circa 90 repliche nei più prestigiosi teatri e festival internazionali, fra cui Taormina e Tirana ed ha inaugurato il teatro di Pompei, ed è uno dei titoli di punta del repertorio del Balletto del Sud. Della celeberrima eroina creata dalla fantasia di Prosper Mérimée, Franzutti esalta il carattere della bellezza medusea, che seduce il pubblico di sempre anche grazie alla popolarissima musica di Georges Bizet. “Carmen” è ambientata in una Spagna in cui predomina la componente esotica di una terra che fu crocevia di popoli e cul-
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ture. Alle musiche di Bizet si affiancano opere di altri autori (Albéniz, Chabrier e Massenet) che guardano nella stessa maniera il paese e il popolo spagnolo dalla raffinatissima Parigi. Il modo in cui i personaggi vivono elementi come il fato, il destino avverso, la superstizione, la passione, il tradimento, la gelosia fino all'omicidio d'onore è tutt'ora invariato in produzioni teatrali o cinematografiche contemporanee a cui la coreografia fa riferimento. Gli ultimi due dei sei appuntamenti leccesi con il Balletto del Sud, infine, sono previsti al Teatro Romano, alle ore 21. Sabato 27 agosto (posto unico 15 euro), la compagnia porterà in scena “Le quattro stagioni”, performance di teatro, musica e danza in un atto, con coreografie di Fredy Franzutti, musiche di Antonio Vivaldi e John Cage, poesie del Premio Pulitzer Wystan Hugh Auden e scene di Isabella Ducrot. Franzutti usa le stagioni intese come mutamento climatico durante l’anno solare per riflettere sulle fasi della vita dell’uomo. Si chiude domenica 28 agosto, sempre al Teatro Romano, alle ore 21 (posto unico 15 euro), con il “Gran Galà del Balletto del Sud”, che propone al pubblico alcuni capolavori del repertorio classico con un programma avvincente, in cui virtuosismo, tecnica e stile la fanno da padrone. (Sipario ore 21, prevendita biglietti Castello Carlo V, tel. 0832.246517, e Balletto del Sud, tel. 0832.453556).
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“natUraBilia”. in mostra a Patù i Paesaggi di lUigi de gioVanni di Antonietta Fulvio PATù (LECCE). Colpi di spatola come folate di vento, pennellate vigorose che accarezzano la tela disegnando scorci di intramontabile bellezza. In una parola: Naturabilia. I paesaggi di Luigi De Giovanni, artista specchiese e cagliaritano d’adozione, approdano a Patù nelle sale del Museo Liborio Romano dal 29 luglio al 14 agosto con una nuova personale di pittura. Riannodando il filo mai interrotto del suo “Dialogo con la natura”, coerente centro della sua poetica che lo ha visto esporre da Parigi a New York, da Cannes a Bruxelles oltre che nelle principali città italiane. La mostra, patrocinata dal Comune di Patù, è organizzata dall’associazione “Artemide’ s Garden” di Doriana Artemide in collaborazione con la casa editrice Il Raggio Verde, l’associazione “E20Cult” e la rivista “Arte e Luoghi”. “Si tratta dell’evento conclusivo di una ras-
segna che prende il titolo dal nome del capolavoro di Adalgisa Lugli Naturalia et Mirabilia e dal concetto di Wunderkammer dei collezionisti di un tempo. L’idea è valorizzare attraverso l’arte l'area naturale del Capo di Leuca, associando il gusto della rarità, dell’apprezzamento estetico e della meraviglia con il bisogno di conoscere i grandi fenomeni della natura, in equilibrio tra l’arte e la scienza” spiega Doriana Artemide rimarcando l’importanza di creare una collezione d'arte contemporanea di artisti locali e internazionali, liberamente aperta al pubblico. Così dopo aver ospitato le artiste Arianna Saracino e Luciana Trappolino negli spazi del ristorante “Mamma Rosa” di Patù questa prima edizione si conclude con la personale di Luigi De Giovanni, allestita dall’architetto Stefania Branca, che è stata inaugurata il 29 luglio. Nell’am-
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Al centro: Luigi De Giovanni, Acquaviva di Marittima, 2015, in basso: Fiori
Dal 29 luglio al 14 agosto nel Museo Liborio Romano
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bito della mostra è stata inserita, il 2 agosto alle ore 19, la presentazione del volume Il paese della rosa peonia di Federica Murgia (edito da Il Raggio Verde), di cui l’artista firma l’immagine in copertina: uno splendido scorcio della Sardegna, un particolare di Dolianova, che richiama le atmosfere narrate nel libro. In mostra però saranno i paesaggi del Salento che l’artista ama ritrarre en plein air, raggiungendo luoghi, talvolta quasi inaccessibili, al chiarore dell’alba munito di cavalletto e colori per catturare una minima variazione di luce, il gioco di ombre o semplicemente i fotogrammi di una pellicola che la natura srotola davanti ai nostri occhi, quotidianamente. Il paesaggio che si intravede tra le canne agitate dal vento, il mare in tempesta che si frantuma sulla scogliera o che lambisce indolen-
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te la più dolce delle insenature. O ancora fiori variopinti che rievocano la caducità della vita, così come le essenze della macchia ricordano il profumo delle notti d’estate. E via via all’infinito perché tutto può finire però nello spazio finito della tela. Paesaggi fisici e mentali. L’Arte diventa testimone di bellezza. Una bellezza che prorompe violentemente abbagliando, qui più che altrove, attraverso la luce e il colore. L’arte che diventa racconto ma anche monito e invito. A guardare la natura con occhi più attenti, distogliendoli dai monitor che sono diventati i filtri, le finestre virtuali del nostro spazio reale. In uno sguardo nuovo la speranza di un gesto: ricambiare con l’amore la generosità di madre Terra, fermare la violenza che dilaga in questo nostro sempre più piccolo atomo del male.
il Volto di don liBorio romano scolPito da Vito rUsso
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Svelato il busto bronzeo collocato all’ingresso dell’omonimo museo
PATù (LECCE). Dopo 126 anni Patù celebra il suo illustre concittadino Liborio Romano dedicandogli il busto che accoglierà i visitatori di quella che fu la sua casa e oggi è un museo. Lo svelamento del busto fuso in bronzo e realizzato su bozzetto in ceramica dell’artista Vito Russo, si è svolto nell’ambito di una cerimonia ufficiale lo scorso 17 luglio alla presenza di numerose autorità civili e religiose, tra le quali Mons. Vito Angiuli, Vescovo della Diocesi di Ugento intervenuto per la benedizione del busto. L’iniziativa si è svolta lo scorso 17 luglio, grazie alla virtuosa perseveranza di Giovanni Spano, presidente dell'associazione "Don Liborio Romano", presente alla cerimonia insieme a Luigi Puce presidente onorario della stessa associazione che si prefigge l'obiettivo di rivalutare la figura di don Liborio attraverso lo studio della storia e delle tradizioni di Patù,
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del Salento e del Sud. Davvero numerosi gli interventi che si sono succeduti dal sindaco Gabriele Abaterusso e dell'ex Sindaco Francesco De Nuccio, a quelli dell'on. Giacinto Urso, l'on. Ernesto Abaterusso, Antonio Gabellone presidente della Provincia di Lecce seguite dalle relazioni degli studiosi Alessandro La Porta, Vito Zacchino, Giancarlo Vallone, Fabio D'Astore, Francesco Accogli, Nico Perrone, Salvatore Coppola e Mario De Marco. La proiezione de "L'ingannevole sogno di Liborio Romano", all'interno del Palazzo Storico dedicato a Liborio Romano è stata la conclusione ideale per ricordare la figura di Liborio Romano. Nato il 27 ottobre 1793 a Patù Liborio Romano ben presto si laureò in giurisprudenza a Napoli e, sempre giovanissimo, ottenne la cattedra di diritto commerciale presso la facoltà di giurisprudenza nello stesso ateneo partenopeo. Scrive il bibliofilo Maurizio Nocera: “Si conosce la sua partecipazione ai moti insurrezionali a partire dal 1820 fino ad arrivare a quelli della vigilia della cacciata dei Borbone da Napoli. Egli fu tenuto sotto osservazione per decenni e fu più volte imprigionato nelle carceri borboniche, più volte confinato e, in alcuni periodi, dovette riparare in Francia per evitare pericoli maggiori per la sua vita. Sul piano professionale, poiché fu uno degli avvocati più rinomati del foro partenopeo, Romano difese non pochi malavitosi, fra i quali
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Foto di Doriana Artemide
anche degli appartenenti alla camorra. Per questo suo ufficio, il suo nome fu spesso associato alla criminalità campana ma, anche in questo caso, egli fece solo il suo dovere d'avvocato”. Agli inizi del 1860, ricevette da Francesco II di Borbone l’incarico di Prefetto della Polizia e, il 14 luglio dello stesso anno, anche quello di Ministero dell'interno. Confermato allo stesso ministero da Garibaldi, fu eletto deputato nel 1861, carica che ricoprì fino al
1865, dopo di che si ritirò dalla vita politica e fece ritorno a Patù dove si spense il 17 luglio 1867. www.donliborioromano.it
IL MUSEO LIbOrIO rOManO a Patù PATù. Il Museo sorge nella residenza un tempo appartenuta alla famiglia di Liborio Romano (1793 – 1867). Proprio al celebre patriota e giurista originario di Patù, sepolto nella cappella antistante il palazzo, è intitolata l'istituzione museale. Palazzo Romano, in parte acquisito dal Comune di Patù, è stato restaurato nel 2009. In quell'occasione sono stati avviati i percorsi di visita attrezzati nell'area archeologica della collina di Vereto e, in particolare, nei pressi della Chiesa della Madonna di Vereto e della strada vicinale Uschia Pagliare, dove sono state condotte diverse campagne di scavo. Dagli studi è emerso che l'antica città di Vereto fu distrutta dai Saraceni nel IX secolo d.C. Sulle rovine del centro messapico sorse allora l’agglomerato abitativo di Patù, che secondo la tradizione fu fondato nel 924 da alcuni superstiti veretini. www.museidelsalento.it/museo-archeologico-liborio-romano
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salento Ville e giardini ritorna il festiVal decò
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Per scoprire il fascino della campagna salentina e le dimore eclettiche
Addentrarsi in percorsi guidati alla scoperta di “casine” dai richiami barocchi, immerse nel tipico paesaggio di ulivi e vigneti, e scenografiche ville eclettiche dal fascino esotico. Differenti percorsi guidati per assaporare il gusto della campagna salentina e dei suoi frutti generosi e scoprirne i tesori nascosti. Da tredici anni, tra gli appuntamenti dell’estate salentina, ritorna Il Festival Déco promosso da Fluxus Cooperativa. Dal 21 Luglio al 2 Settembre la rassegna Salento Ville e Giardini svela e rende visitabile per l’occasione un patrimonio architettonico privato, che storicamente si concentra in aree
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particolarmente fertili e amene. Da località Cenate a Nardò, ai “Cappuccini” di Galatone, all’entroterra di Gallipoli con Sannicola e Alezio, fino alla Valle della Cupa nell’hinterland di Lecce. La rassegna, partita lo scorso 21 luglio, il 3, il 25 e il 31 agosto ritornerà nell’area delle Cenate che, con oltre trenta dimore storiche edificate fin dal ‘700, si estende fino al Parco di Porto Selvaggio ed offre vari percorsi di visita. Sospesa fra il centro di Nardò e le marine, con le sue sfarzose ville, località Cenate è il trionfo dell’eclettismo ed è protagonista di una passeggiata sotto le stelle. Aneddoti, racconti,
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misteri irrisolti, si intrecciano con la storia delle ville e di chi le ha vissute. Trame di pietra e forme sinuose si illuminano sotto la luna piena per regalare un’esperienza unica, che si conclude in maniera conviviale con una degustazione di vini. Il 26 agosto saranno di scena le ville eclettiche e i palazzi di Galatone. Sospinti dalla fresca brezza che caratterizza zona Cappuccini, lievemente in altura, si visitano le belle ville poste in sequenza lungo la direttrice per Gallipoli per poi spostarsi nel centro storico. Un elegante cancello in ferro battuto si schiude sul bel giardino “chiuso” di Palazzo Leuzzi che, nei grandi saloni, rievoca i fasti di un tempo. Ritrovo ore 18, presso la Chiesa di S. Francesco, via Gallipoli. Il 23 agosto è la Valle della Cupa, il “Tivoli dei leccesi” e la fertile campagna intorno all’antica Rudiae protagonista del percorso tra ville, casine e chiesette. Qui, come un tempo, ancora si produce e si raccoglie dall’orto di casa. Dalla terra alla tavola, sotto un rigoglioso pergolato di uva fragola, si potranno degustare le generose proposte di “Metti una sera a cena”. Ritrovo ore 18, presso la Chiesetta del Pisello, via Pisello, strada Lecce – S. Pietro in Lama. La bella campagna dell’entroterra di Gallipoli, è interessata da quattro percorsi ambientati fra le
ville e i lussureggianti giardini di Alezio (8 e 29 agosto) e Sannicola (9 agosto e 2 settembre). Una terra ricca di profumi, colori e sapori autentici, da scoprire anche attraverso le ricche proposte di degustazioni e aperitivi rurali che spaziano dall’olio extravergine d’oliva ai prodotti di una cucina sincera e genuina. Il calendario completo con tutte le informazioni per partecipare è consultabile sul sito www.salentofestivaldeco.it Informazioni e prenotazioni: 0833572657 – 3804739285.
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sgUardi, Un recital concerto al castello del BUonconsiglio
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L’amore tra musica e parole
TRENTO. Una vigilia di Ferragosto in musica al Castello del Buonconsiglio è il ricco e romantico programma di sabato 13 agosto (ore 20.30). La Sala Grande del maniero ospiterà una serata dedicata interamente al concetto di amore, visto attraverso la musica e le parole. “Sguardi ” è il titolo del concerto a cura di Roberta Carlini (voce), Lorenza Anderle (pianoforte e arrangiamenti), Francesco Ciech (violoncello), Roberta Gottardi (clarinetto) e Marianna Lazzarini (arpa) con voce recitante di Flora Sarrubbo (attrice). A fare da filo conduttore sarà un telefono attraverso il quale si snoda quel quotidiano ridicolo nella comunicazione dellʼovvio che ci priva dell’essere amanti ingabbiandoci nel ruolo di sposi, genitori, fidanzati, prendendo spunto dai dialoghi di R.D Laing. E se davvero come dice Barthes “io desidero il mio desiderio e lʼessere amato non è più che accessorio” il desiderio di chi ama logora le parole che si svuotano così di senso fino ad una rappresentazione che sa di vaudville. Lʼamore però è anche quello gridato, sussurrato, lʼamore inventato, quello del quale spesso si ride e per il quale spesso si piange. Musica e parole insieme
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scrivono un’unica drammaturgia per creare raffinate tessiture, allʼinterno di un parlare che passa dallʼessere riconosciuto allʼessere lontano, da una telefonata ad una poesia, da un ricordo ad unʼimmagine nata per caso. Le musiche sono scelte allʼinterno di un repertorio vasto e eterogeneo, a partire dagli arrangiamenti di alcuni brani di Ennio Morricone, Nicola Piovani e Astor Piazzolla. Ingresso libero fino ad esaurimento posti. E per i cultori dell’arte da non perdere la mostra Storia, tempi dell’arte. Cesare Battisti tra Vienna e Roma. Un interessante percorso espositivo per apprendere la vita, la storia umana, le battaglie politiche, la passione per la storia, la geografia, la scrittura di un protagonista della recente storia italiana che merita di essere conosciuto nella sua complessità e modernità. (fino al 6 novembre 2016. Info e prenotazioni: tel: 0461 492811) Infine, sempre al castello del Buonconsiglio terminerà il prossimo 4 settembre la rassegna “inCanto a Castello” che vedrà l’esibizione del Coro S.Romedio Anaunia di Romeno e del Coro San Biagio di Albiano in occasione della “Giornata dell’Autonomia”.
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