l’alba dei popoli
HokUSai
Concerto di Capodanno ad Otranto e attesa dell’alba al faro di Punta Palascìa
A Roma, al Museo dell’Ara Pacis la mostra dedicata al maestro giapponese
anno 123 numero 12 dicembre 201 7
Anno XII - n 12 dicembre 2017 -
tony wolf
lU mière. vino e cinema
le lolite-fantaSma di kaZUki takamatSU
Ospite della rassegna ideata da Antonio Manzo, la nipote di Totò, Elena de Curtis, che assisterà alla proiezione del film “Totò a colori” di Steno
Sperimentatore del "depth mapping”, l’artista giapponese riesce a creare immagini surreali coniugando echi manga e arte contemporanea
primo piano
le novitĂ della casa
IL RAGGIO VERDE EDIZIONI
ilraggioverdesrl.it
EDITORIALE
In copertina e sopra: Tony Wolf, Aldin
Proprietà editoriale Il Raggio Verde S.r.l.
Un anno volge al termine ma resta intatta la voglia di raccontare la bellezza scegliendo tra gli eventi davvero numerosi che per fortuna animano il nostro Paese, da Nord a Sud. Dalle illustrazioni di Tony Wolf in mostra a Cremona, e al quale dedichiamo la copertina di questo mese come segno di riconoscimento per aver contribuito a far leggere e sognare intere generazioni di bambini, alle emozioni pittoriche di Hokusaki le cui opere furono fonte di ispirazione per molti artisti tra i quali Monet e Van Gogh e che fino all’8 gennaio saranno esposte a Roma. Uno sguardo a Bologna, dove al Mambo è in corso Revolutija da Chagall a Malevich da Repin a Kandinsky con settanta capolavori provenienti dal Museo di Stato Russo di San Pietroburgo e la mostra dedicata alla figura del critico Roberto Daolio, appassionato cultore di arte, la cui collezione sarà donata allo stesso Museo; fino ad arrivare a Grottaglie, nel restaurato Convento dei Cappuccini, che con la collettiva “In crypta” mette in luce nuove declinazioni della simbologia sacra. E a proposito di sacro, doveroso è soffermarsi sull’importanza della Cantata dei Pastori che l’attore e regista Peppe Barra presenta in questi giorni al Teatro Politeama di Napoli recuperando un pezzo importante della cultura teatrale partenopea, uno spettacolo che ogni anno incanta diecimila spettatori. E saranno in migliaia coloro che, all’indomani della notte di San Silvestro, si recheranno in prossimità del faro di Punta Palascìa ad Otranto per aspettare la prima alba del 2018 che con il suo primo raggio di sole lambirà proprio la punta più orientale d’Italia. La vista del paesaggio mozzafiato, catturata dal fotografo Dino Longo, sia di buon auspicio a tutti i nostri lettori, agli amanti della bellezza e della pace, agli operatori che ne fanno una scelta di vita, nonostante tutto. A chi non si arrende, a chi continua a credere nel valore salvifico dell’arte e della bellezza, a chi sa coglierla e raccontarla, ai meravigliosi compagni di viaggio che condividono la filosofia editoriale di “Arte e Luoghi”... a tutti noi, buon anno! (an.fu.) (an.fu.)
SOMMARIO
Direttore responsabile Antonietta Fulvio progetto grafico Pierpaolo Gaballo impaginazione effegraphic
Redazione Antonietta Fulvio, Sara Di Caprio, Mario Cazzato, Nico Maggi, Giusy Petracca, Michele Bombacigno
Hanno collaborato a questo numero: Maurizio Antonazzo, Stefano Cambò, Mario Cazzato, Sara Foti Sciavaliere, Dario Ferreri, Laura Madonna, Francesco Pasca, Stefano Quarta, Giuseppe Salerno Redazione: via del Luppolo,6 - 73100 Lecce e-mail: info@arteeluoghi.it www.arteeluoghi.it
Iscritto al n 905 del Registro della Stampa del Tribunale di Lecce il 29-09-2005. La redazione non risponde del contenuto degli articoli e delle inserzioni e declina ogni responsabilità per le opinioni dei singoli articolisti e per le inserzioni trasmesse da terzi, essendo responsabili essi stessi del contenuto dei propri articoli e inserzioni. Si riserva inoltre di rifiutare insindacabilmente qualsiasi testo, qualsiasi foto e qualsiasi inserzioni. L’invio di qualsiasi tipo di materiale ne implica l’autorizzazione alla pubblicazione. Foto e scritti anche se pubblicati non si restituiscono. La collaborazione sotto qualsiasi forma è gratuita. I dati personali inviateci saranno utilizzati per esclusivo uso archivio e resteranno riservati come previsto dalla Legge 675/96. I diritti di proprietà artistica e letteraria sono riservati. Non è consentita la riproduzione, anche se parziale, di testi, documenti e fotografie senza autorizzazione.
luoghi|eventi| itinerari: Girovagando riaperta la porta di Soccorso del castello carlo v 54| la chiesa di Santi niccolò e cataldo 66 |Gli spazi nascosti del convento di lequile 82| itinerarte 95| Salento Segreto 100 arte: tony wolf 4| vittorino curci alla momart di matera 12|le muse del Quadraro 19 | l’arte pittorica di Hokusai 22 | in crypta 30 | revolutija 36| tessere di pace 48|vittorio tapparini 50 | bruno barillari 52 | roberto daolio 80|le donne di Silvia papas 92 musica: alba dei popoli ad otranto 26| capodanno del Sud 76 | a lecce la notte del folk 89| l’xmas Guitar contest 90 i luoghi della parola: curiosar(t)e le lolite fantasma di takamatsu 40 | odio gli indifferenti 62| teatro|danza| la bicicletta rossa 65| peppe barra e la cantata dei pastori 78| kids, la citttà e le periferie il teatro per i più piccoli 93 cinema: |lu mière 46 | targa matteo bandello 2017 75 | luoghi del cinema dalle dolomiti alla capitale per inseguire la pantera rosa 102 libri il natale della domenica 45 | luoghi del sapere 96-101 i luoghi nella rete|interviste|Gusto: napoli e il Salento in un dolce 102 birraSalento 104 Numero 12- anno XII - dicembre 2017
le illUStraZioni di tony wolf oSpite della moStra di tapirUlan Antonietta Fulvio
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Si è aperta a Cremona la XIII Mostra Internazionale di Illustratori contemporanei. Ospite d’onore e presidente di Giuria del concorso ideato dall’associazione Tapirulan il maestro italiano Antonio Lupatelli in arte Tony Wolf CREMONA. Con il suo segno ha dato forma e colore ai protagonisti delle storie dell’ infanzia di tantissime generazioni. Da Pinocchio a Cenerentola, al Gatto con gli stivali passando per Pandi il guerriero, Tom e Penny e le loro avventure. E ancora i cuccioli, Freddi la rana fino all’incanto delle storie del bosco, solo per citare alcuni dei personaggi fiabeschi illustrati da Tony Wolf, pseudonimo di Antonio Lupatelli. è lui l’autore ospite della tredicesima edizione della Mostra internazionale di illustratori contemporanei ideata dall’associazione Tapirulan con la collaborazione del
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Comune di Cremona e del Comune di Genova, e sostenuta da Regione Lombardia. La mostra, che si avvale del patrocinio di Centro Fumetto “Andrea Pazienza”, Sàrmede paese della fiaba, Associazione Culturale Hamelin, Associazione Illustri, AI - Associazione Autori di Immagini, Inchiostro Festival, Ticonzero ogni anno accende i riflettori sul mondo dell’illustrazione e affianca alla mostra degli illustratori in concorso, quella del vincitore dell’edizione precedente (invitato a esporre le proprie opere nello Spazio Tapirulan a Cremona, al n 22 di Corso XX Settembre) e quella
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dedicata all’ospite speciale che è presidente della giuria del concorso. Quest’anno le opere giunte da oltre 45 Paesi hanno hanno visto in gara ben 860 illustratori che si sono confrontati sul tema scelto per questa edizione: “Ciao”, una forma di saluto amichevole e informale, usato soprattutto in Italia, ma ormai diffuso in quasi tutto il mondo. Una parola per stringere nuove amicizie, per salutarsi o semplicemente
momento d’incontro ha ispirato tantissime storie d’inchiostro confluite in “Ciao Mostra internazionale di illustratori contemporanei allestita negli spazi di Santa Maria della Pietà. Qui una sezione speciale, Antonio Lupatelli – Tony Wolf per la mostra dedicata al maestro italiano di cui per la prima volta si potranno ammirare le tavole originali. Antonio Lupatelli, bussetano di origine ma cremonese di adozione, classe
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1930, è conosciuto ai più con lo pseudonimo Tony Wolf. Inizia la carriera negli anni ’50 realizzando storyboard per Pagot Film; trasferitosi in Inghilterra lavora con la casa editrice britannica Fleetaway.
Tornato in Italia inizia la collaborazione con il Corriere dei Piccoli, poi con Fratelli Fabbri Editore, Mondadori, e infine con Dami Editore, con cui ha creato un sodalizio straordinario per durata e risultati,
che prosegue ora sotto il marchio Dami/Giunti. Ancora oggi in commercio ci sono oltre 200 libri illustrati da Tony Wolf e non c’è famiglia che non abbia in casa almeno un suo libro illustrato. Lupa-
Giovanni Boldini, Ritratto del padre Antonio Boldini 1867, Olio su tavola, 65x53 cm Collezione privata, Ferrara
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Giovanni Boldini, L’amico fedele, 1872 ca., Olio su tavola, 26x14 cm, Collezione privata
telli ha avuto anche una lunga collaborazione con l’editore Lo Scarabeo di Torino pubblicando, senza pseudonimi, svariati mazzi di tarocchi tra i quali I tarocchi degli gnomi, famosi per essere il più piccolo mazzo di tarocchi mai pubblicato. La mostra ripercorre l’intera carriera artistica di Antonio Lupatelli che ha pubblicato
anche con diversi altri pseudonimi: L’Alpino, Antony Moore, Oda Taro. Una grande sezione è dedicata alle opere che hanno reso celebri i suoi libri più importanti, come Le storie del bosco, Il viaggio delle Meraviglie, Il mio grande libro, Il paese dei giocattoli. Gnomi, folletti, giganti, fate e draghi sono pro-
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Tony Wolf, Storie del bosco
tagonisti di tavole che finalmente sono visibili al pubblico. L’esposizione comprende anche molti personaggi che hanno accompagnato l’infanzia di intere generazioni: il Signor Porcelli, Pingu e Pandi (illustrato con lo pseudonimo di Oda Taro). Si passa dai classici intramontabili, come Pinocchio, Cenerentola e I tre porcellini, a caricature grottesche in bianco e nero; dai disegni dei tarocchi a tavole inedite dei primi anni di carriera. In commercio ci sono oggi oltre 200 libri illustrati da Tony Wolf. La mostra con ben 250 illustrazioni originali ripercorre la sua intera carriera. Una grande sezione è dedicata alle storie del bosco (per Dami edizioni) che hanno reso celebri i suoi libri: gnomi, folletti, giganti, fate e draghi sono i protagonisti delle sue opere che finalmente saranno visibili al pubblico insieme ai famosissimi personaggi Pingu e Pando che hanno fatto divertire e leggere tanti bambini. L’esposizione, aperta al pubblico fino al 28 gennaio 2018, è stata realizzata dall’associazione culturale Tapirulan di Cremona che organizza anche l’omonimo concorso i cui vincitori
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Tony Wolf, Pingu; in basso: Pandi; Bernardo
sono stati resi noti nel corso della serata inaugurale, lo scorso 2 dicembre negli spazi di Santa Maria della Pietà, subito dopo l’apertura della antologica dedicata a Tony Wolf e la mostra di Giulia Pastorini vincitrice del premio della critica della passata edizione. Ad attribuirsi il Premio della Critica della XIII edizione del concorso di Tapirulan è stata l’illustratrice russa Victoria Semykina mentre il Premio Popolare è stato assegnato a Davide Bonazzi, che è diventato il primo autore a vincere
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Tony Wolf, Il gatto con gli stivali
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In senso orario le illustrazioni di: Claudia Plescia; Victoria Semykina (Signori, il treno sta per partire. Gli accompagnatori sono pregati di scendere) vincitrice del concorso; Davide Bonazzi vincitore Premio popolare (Andata e ritorno); Marco de Masi (Via Vai) illustratore leccese selezionato per il calendario insieme a João Vaz de Carvalho (Ciao)
entrambi i premi del concorso, avendo già vinto il Premio della Critica nel 2013. In mostra anche i 48 illustratori selezionati attraverso il concorso che si sono confrontati sul tema “ciao” ovvero Maria Attianese, Peppo Bianchessi, Davide Bonazzi, Ying-Hsiu Chen, Ece Ciftci, Andrea Dalla Barba, Cristina Damiani, Andy Robert Davies, Andrea De Luca, Marco De Masi, Angel De Pedro, Oscar Diodoro, Laurent Ferrante, Chiara Ghigliazza, Anna Grimal, Francesco Guarnaccia, Gerardo Gutierrez, Stefania Infante, Pauline Kebuck, Dowon Kwon, Chiara Lanzieri, Daniele Kong, Rosanna Merklin, Nick Ogonosky, Giada Ottone, Roberta Palazzolo, Alice Piaggio, Cristina Pieropan, Anna Pini, Giulia Piras, Claudia Plescia, Camille Pomerlo, Marco Quadri, Chiara Raineri, Natascha Rosenberg, Martina Sarritzu, Giovanni Scarduelli, Jacopo Schiavo, Victoria Semykina, Marco Spadari, Ariadna Sysoeva, Luca Tagliafico, Ilaria Urbinati, Daniele Vanzo, João Vaz de Carvalho, Lucilla Vecchiarino, Luyi Wang, Carola Zerbone. La mostra, dopo la permanenza a Santa Maria della Pietà, sarà visitabile negli spazi delle Raccolte Frugone dei Musei di Genova-Nervi. Infine, sul calendario 2018 edito da Tapirulan finiscono le illustrazioni dei primi dodici classificati: Davide Bonazzi, Andrea De Luca, Marco De Masi,
Laurent Ferrante, Francesco Guarnaccia, Alice Piaggio, Natascha Rosenberg, Giovanni Scarduelli, Jacopo Schiavo, Victoria Semykina, Marco Spadari, João Vaz de Carvalho. CIAO – Mostra internazionale di illustratori contemporanei Tony Wolf Antonio Luparelli Santa Maria della Pietà piazza Giovanni XXIII, Cremona fino al 28 gennaio 2018 Info: 333 6580492 Ingresso: 5€; ridotto 3€; gratuito per under 12
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arte, verSi e SUoni. vittorino cUrci alla momart Gallery di matera
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La personale del pittore, poeta e musicista di Noci curata da Antonella Marino
MATERA. “Drawing badly in the right way” è il titolo della mostra dell’artista Vittorino Curci che si è inaugurata domenica 17 dicembre nella sede della Momart Gallery di Matera. La personale, curata da Antonella Marino, sarà visitabile fino al
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7 gennaio 2018. Un titolo che suggerisce cosa si nasconde dietro i dipinti dell’artista pugliese dall’aspetto apparentemente elementari che però sono il risultato di una strategia che trasforma il disegnare male, “drawing badly”, in modalità di
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agire “in the right way” - spiega la curatrice Antonella Marino che aggiunge: «I suoi dipinti e disegni tratteggiati su piccole superfici di tela o di carta anche d’imballaggio, con cornicette di varie fogge e stili, hanno una cifra popular, vignettistica, infantile, che attinge con disinvoltura al repertorio del fumetto d’autore come alla street art, a certa arte naif e ad una tradizione colta di immediatezza espressiva che attraversa la storia dell’arte contemporanea da Picasso a Klee, Kandinsky, Mirò. Passando per l’Art Brut di Dubuffet o il primitivismo grottesco del gruppo Cobra, fino alle più recenti esperienze della californiana Mission School.» Poeta, musicista e pittore, Vittorino Curci nato nel 1952 a Noci, negli anni Settanta si forma all’Accademia di Belle Arti di Roma, città in cui espone i suoi primi lavori di arte concettuale alla Galleria Jartrokor diretta da Sergio Lombardo. Nel
‘79 viene inserito nell’8ª Antologia Ipersperimentale Geiger, a cura di Adriano Spatola, e successivamente inizia a collaborare con la rivista TamTam e partecipa a diverse iniziative promosse dallo stesso Spatola in Italia e all’estero. Intorno alla seconda metà degli anni Ottanta inizia una lunga serie di collaborazioni con musicisti jazz d’avanguardia. In questo periodo realizza numerose performance di forte impatto teatrale in cui utilizza oggetti scenici, attori, musiche originali e scenografie d’avanspettacolo (con forti reminiscenze delle serate futuriste). Nel ’94 è tra i fondatori a Reggio Emilia del Gruppo di poesia sonora Baobab. Attualmente, pur dedicandosi molto a una scrittura di ricerca con forti ascendenze surrealiste, a livello performativo ama esibirsi in più discreti reading poetici - nei quali esegue anche partiture sonore - insieme con piccole formazioni musicali
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foto Antonio Giannini
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foto Antonio Giannini
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oppure, in completa solitudine, accompagnandosi con un sassofono. Nel 1999 ha vinto il Premio Montale per la sezione “Inediti”. Sue poesie sono apparse su Nuovi Argomenti. In campo musicale è presente in circa 50 album, ha fondato e diretto l’Europa Jazz Festival di Noci (1989-2000), ha promosso gli incontri e le sedute di improvvisazione del collettivo A Bao A Qu (1996-1999), ha collaborato con numerosi musicisti italiani e stranieri tra cui Carlo Actis Dato, Conny Bauer, Peter Brotzmann, Eugenio Colombo, Charles Gayle, Peter Kowald, Sergej Kuryokhin, Steve Lacy, Joelle Leandre, Gianni Lenoci, Marcello Magliocchi, Sabir Mateen, Pino Minafra, Louis Moholo, Maggie Nicols, Maresuke Okamoto, Roberto Ottaviano, Sakis Papadimitriou, Evan Parker, William Parker, Ernst Petrowsky, Ernst Reijseger, Antonello Salis, Mario Schiano, Gunther Sommer, Keith Tippett e Bruno Tommaso. Nella mostra al Momart, particolare anche nell’allestimento a parete di un puzzle di frammenti dipinti che richiamano le variazioni ritmiche del jazz dove si dispiegano agli occhi del fruitore i curiosi personaggi ritratti nei suoi quadretti in cui - scrive la curatrice - «sfondi monocromi o tessi-
ture astratte si integrano a sintetiche silhouettes di omini, cose, animali che fissano situazioni ordinarie dal risvolto comico, enigmatico o surreale. Il tutto sottolineato dall’inserzione di scritte che spaziano dallo slang dell’inglese globale all’idioma dialettale, dall’onomatopea alla battuta salace, da riferimenti di cronaca a più profonde annotazioni di carattere esistenziale…» Il vernissage è stato impreziosito dal reading poetico di Vittorino Curci insieme con Silvana Kuhtz (voce recitante), Gianni Console (sassofoni contralto e baritono), Francesco Massaro (clarinetto basso e sassofono baritono) e Walter Forestiere (percussioni). Un’atmosfera magica grazie alla contaminazione di suoni, parole e visioni che appartiene alla cifra stilistica di questo artista nel suo caso veramente poliedrico, fermato nelle inquadrature del bellissimo reportage fotografico di Antonio Giannini. (an.fu.) Vittorino Curci Drawing badly in the right way a cura di Antonella Marino Matera, piazza Madonna dell’Idris n. 5 e 7 Fino al 7 gennaio 2018, ore 10.30 - 13,00 e 15,30 18.30. Lunedì chiuso, domenica pomeriggio aperto. Info: info@momartgallery.it.
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Giulio Catelli, Nascita di Castore e Polluce, 2017, olio su tela, 25x25cm
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LE MUSE DEL QUADRARO iL nUOvO pROgEttO Di cASA vUOtA
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Dal 15 dicembre al 7 gennaio la collettiva d’arte con diciotto artisti curata da Francesco Paolo del Re e dedicata alla potenza espressiva del mito ROMA. Il mito classico rivive a Casa Vuota in una mostra collettiva intitolata "Le muse del Quadraro" che raccoglie i lavori di diciotto artisti, tra pittura, disegno, scultura e fotografia. Justin Bradshaw, Giulio Catelli, Franco Cenci, Tiziana Cera Rosco, Pierluca Cetera, Sabino de Nichilo, Giulia Del Papa, Stefania Fabrizi, Giovanni Gaggia, Massimo Livadiotti, Pierpaolo Miccolis, Riccardo Monachesi, Gonzalo Orquín, Gianluca Panareo, Francesca Romana Pinzari, Andrea Romagnoli, Massimo Ruiu, Beppe Stasi questi i protagonisti delle originali riletture contemporanee che dal 15 dicembre al 7 gennaio faranno rivivere il mito classico a Casa Vuota, spazio espositivo domestico al secondo piano di un condominio in via Maia 12, in zona Quadraro a Roma, a due passi dalla fermata della metropolitana Porta Furba. “Casa Vuota è uno spazio espositivo temporaneo che nasce nel 2017, dopo una serie di esperienze differenti da noi maturate nel settore dell’arte contemporanea e dell’organizzazione degli eventi culturali”, spiega Sabino de Nichilo. «Non è una galleria d’arte, ma un
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ambiente domestico che – forte di questa domesticità – si apre ad accogliere mostre personali e collettive di artisti contemporanei, assecondando una vocazione alla sperimentazione e alla contaminazione di linguaggi espressivi differenti». E tra le pareti che portano i segni della vita vissuta hanno trovato posto dapprima le opere dell’artista pugliese Pierluca Cetera, che ha inaugurato Casa Vuota lo scorso giugno, poi quelle di Filippo Riniolo che invitavano alla riflessione sul significato profondo della violenza. Con le musa del Quadraro le stanze di Casa Vuota si prestano a scrivere un itinerario di riletture a volte suggestive, a volte spiazzanti, a volte ironiche e a volte liriche dei personaggi dei miti greci e romani: Plutone e Proserpina seduti in salotto, Cassandra pensosa, i muscoli di Ercole tesi nella lotta, un Marte bambino, Edipo scandaloso e Narciso floreale, Prometeo portatore di luce e un Adone silvano, la triplice Ecate, il filo di Arianna che arriva alle stelle, il cuore alieno dell’Idra di Lerna, Icaro alla finestra, Tantalo legato davanti al frigorifero, il ratto delle Sabine, una Nike alata fatta di
Tiziana Cera Rosco, Pan, 2017
capelli, un Sireno cinerino, Pan cornuto e le visioni del Ciclope accecato. Queste le visioni della mostra, curata da Francesco Paolo Del Re, che ha ospitato nella serata inaugurale venerdì 15 dicembre un dialogo ideale con la ricerca della studiosa di poesia Bianca Sorrentino e domenica 17 dicembre una serie di letture di Luigia Sorrentino, Simone Di Biasio, Claudio Damiani, Sonia Gentili, Rachel Slade, Bianca Sorrentino e Francesco Paolo Del Re, due eventi inseriti nelle “Notti del Mito”. «Roma, Città Eterna, non è solo Colosseo o Fori Imperiali, cartoline per turisti distratti – scrive il curatore Francesco Paolo Del Re – ma si conferma eterna in ogni piega. Anche le borgate sorte nel Novecento ai bordi delle grandi vie consolari, tra i palazzoni popolari, serbano rovine, suggestivi toponimi, reminiscenze di un passato che non ci abbandona. E gli echi del mito classico permeano, a Roma più che altrove, la nostra quotidianità. Proprio
Justin Bradshaw, La sibilla cumana, 2017
Massimo Livadiotti, Adonis, 2014
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Beppe Stasi, Narciso, 2017, acrilico su tela, 20x60 cm sotto: Franco Cenci, La fatica di Ercole, 2002-2017 carta, legno , luci,
dalla convinzione che il passato non è mai passato davvero e che le muse ancora ispirano e incantano il nostro presente un po’ scordevole nasce questa mostra giocosa. Le muse del Quadraro non sono però maiuscole. Non sono auliche. Vivono, sì, di citazioni e ripensamenti della tradizione grecoromana, ma sono muse sbarazzine, muse contemporanee. E così, liberati dal peso della tradizione antica e rinvigoriti da suggestioni novecentesche e contemporanee, le figure, i personaggi, le storie, le metamorfosi, le fatiche, gli attributi, i travagli e i perigli delle narrazioni mitiche si ritrovano tra le mura stupefatte di un piccolo appartamento borghese e, intrecciando un fitto dialogo di gusto postmoderno, provano a squarciare il velo del presente per indovinare, in filigrana, l’aruspicina di futuro più felice, radicato nell’antico mai scordato che ci sostanzia.»
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Katsushika Hokusai, La [grande] onda presso la costa di Kanagawa, dalla serie Trentasei vedute del monte Fuji1830-1832 circa Silografia policroma Kawasaki Isago no Sato Museum
Un’onda di emoZioni l’arte pittorica di HokUSai
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Fino al 14 gennaio 2018 le opere del maestro giapponese in mostra al Museo dell’Ara Pacis ROMA. Al primo sguardo farebbe pensare allo tzunami, la temibile onda generata da un sisma che spazza via tutto, ma la grande onda di Kanagawa xilografia in stile ukiyo-e del pittore giapponese Hokusai (1760-1849), pubblicata la prima volta tra il 1830 e il 1831, non è solo la rappresentazione di un’onda anomala ma è con ogni probabilità anche metafora della precarietà esistenziale, la forza della natura rappresentata dall’onda in procinto di infrangersi e le imbarcazioni dei pescatori in balia del mare pronto ad inghiottirli in contrapposizione alla sacralità del monte Fuji simbolo di bellezza e icona del Giappone. è la più nota della serie delle Trentasei vedute del monte Fuji e fu concepita dall’artista in un momento di particolare difficoltà economiche ed emotive - aveva perso la moglie - eppure Hokusai, proprio a quest’opera deve la sua fama universale e notevole fu la sua influenza sugli artisti parigini di fine Ottocento, tra i quali Manet, Toulouse Lautrec, Van Gogh e Monet, protagonisti del movimento del Japonisme. E dopo l’esposizione milanese, è approdata a Roma lo scorso 12
ottobre e sarà visitabile fino al 14 gennaio 2018 nel Museo dell’Ara Pacis la mostra Hokusai. Sulle orme del Maestro che ripercorre l’opera e l’eredità del grande maestro giapponese. Promossa da Roma Capitale con il supporto dell’ambasciata giapponese e curata da Rossella Menegazzo, il percorso espositivo si articola in cinque sezioni e presenta nel complesso duecento opere tra silografie policrome e dipinti su rotolo (esposte in due rotazioni per motivi conservativi legati alla fragilità dei materiali) provenienti dal Chiba City Museum of Art e da importanti collezioni giapponesi come Uragami Mitsuru Collection e Kawasaki Isago no Sato Museum, oltre che dal Museo d’Arte Orientale Edoardo Chiossone di Genova. In mostra la produzione del Maestro in fecondo confronto con quella di alcuni tra gli artisti che, seguendo le sue orme, dettero vita a nuove linee, forme, equilibri di colore all'interno del tradizionale filone dell’ukiyoe. Tra questi Keisan Eisen, apprezzato sia in patria sia tra gli estimatori europei di arte giapponese dell’Ottocento per i suoi ritratti di beltà che furono presi a modello anche
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da Van Gogh. Tra le opere di Eisen - la cui figura artistica è presentata in Italia per la prima volta in questa mostra è la bellissima e imponente figura di cortigiana che Van Gogh dipinge alle spalle di Père Tanguy nell'omonimo ritratto, pubblicata anche in copertina del Paris Le Japon Illustré nel 1887. Il paesaggio, la natura, gli animali i ritratti di attori kabuki e ancora la bellezza femminile, creature fantastiche, guerrieri e fantasmi. Questi i temi esplorati da Hokusai, grande speri-
mentatore anche di formati e tecniche: dai dipinti a inchiostro e colore su rotolo verticale e orizzontale, alle silografie policrome di ogni misura destinate al grande mercato, fino ai più raffinati surimono, utilizzati come biglietti augurali, calendari per eventi, incontri letterari, cerimonie del tè, inviti a teatro. I volumi dei Manga raggruppano centinaia di schizzi e disegni compendiari dello stile innovativo ed eccentrico del Maestro. Stampati in solo inchiostro nero con qualche tocco di vermiglio leggero, rappresentano modelli per ogni
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Keisai Eisen, Yamashita in Shitaya e Kriyama in ƿshūdalla serie Paragoni di luoghi famosi nelle province, 1818-1830 circa Silografia policroma, 38,0 × 25,7 cm, Chiba City Museum of Ar
genere di soggetto messi a disposizione di giovani artisti e pittori. Nella prima sezione (MEISHŌ: mete da non perdere) tra le numerose opere oltre all’alum di Hokusai che raffigura le cinquantatre stazioni del Tōkaidō ritratte da abbinate ad attività quotidiane e mestieri tipici, emergono i due rotoli dipinti con il Monte Fuji protagonista, messi a confronto per la prima volta: il “Monte Fuji all’alba” dipinto da Hokusai 1843 in rapporto significativo con “Veduta
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del monte Fuji nel ‘piccolo sesto mese’' realizzato nel 1837 da Totoya Hokkei (17801850). Immagini legate all’arte della seduzione sono il tema della seconda sezione, Beltà alla moda, dove sono presentati raffinati dipinti su carta o su seta nel formato del rotolo verticale da appendere, firmati da Hokusai, da Eisen e dagli allievi più vicini a Hokusai, tra cui Teisai Hokuba, Katsushika H o k u m e i , Ryūryūkyo Shinsai, Gessai Utamasa.
Katsushika Hokusai , Veduta del tramonto presso il ponte Ryogoku dalla sponda del pontile di Onmaya, dalla serie Trentasei vedute del monte Fuji, 1830-1832 Silografia policroma Kawasaki Isago no Sato Museum
Nella terza sezione (Fortuna e buon augurio) sono esposti alcuni surimono di Hokusai di grande formato orizzontale che raffigurano alcune delle stazioni del Tōkaidō, accanto a surimonodi Eisen, realizzati invece nel piccolo formato quadrato, che rappresentano località ma soprattutto oggetti scelti per il loro valore simbolico e benaugurale legato a un preciso momento dell’anno, della stagione, delle festività e delle credenze popolari. Per la prima volta sono mostrati undici rotoli dipinti di una serie di dodici, firmati da Hokusai, con figure di saggi e immortali, oltre a figure del repertorio del teatro kyōgen. Nella quarta sezione (Catturare l’essenza della natura), tra l’altro, saranno messi a confronto due dipinti di Hokusai di medesimo soggetto -
la tigre e il bambù - uno del 1818 e uno del 1839. Ugualmente si potranno apprezzare gli stili di Hokusai ed Eisen nella resa del soggetto della carpa. Nella quinta sezione (Manga e manuali per imparare), infine, oltre ai famosissimi manuali di Hokusai stampati con il solo contorno nero-grigio e qualche tocco di vermiglio leggerissimo, si possono ammirare tra le altre alcune pagine del Libro illustrato. La borsa di broccato (raccolta di motivi decorativi per artigiani) del 1828 di Eisen. Museo dell'Ara Pacis Lungotevere in Augusta, Roma tutti i giorni fino al 14 gennaio 2’18 dalle ore 9,30 alle 19,30 Intero: € 11,00
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La foto del’alba dal Faro Palascìa è del fotografo Dino Longo
l’alba dei popoli. ad otranto per SalUtare il nUovo anno
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Tre giorni di grande musica: Goran Bregovic, Irene Grandi, Articolo 31, Eugenio Bennato Marco Ligabue
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OTRANTO (LECCE). è il concerto di fine anno la punta di diamante del cartellone l’Alba dei Popoli organizzata dall’amministrazione comunale di Otranto. Una kermesse di arte, cultura, musica e spettacoli che prende spunto dalla forza simbolica esercitata dal primo sorriso del sole del nuovo anno all'Italia. La luce che giunge dall'Oriente illumina per prima proprio Otranto, la città dei martiri luogo simbolo del Mediterraneo, crocevia di culture, intreccio di etnie. Il programma variegato di spettacoli ed eventi, tra i quali l’allestimento della Natività nel giardinetto antico situato in vicolo Lopez e il concerto di Natale nella Cattedrale raggiunge il suo apice a fine anno e si arricchisce ancor più pro-
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Irene Grandi e Goran Bregovic
ponendo per questo scorcio di 2017 tre serate, anziché due: il 29 dicembre Goran Bregovic, il 30 Irene Grandi e il 31 dicembre capodanno in piazza con Articolo 31, Eugenio Bennato, Marco Ligabue e i Dj di Radionorba. La manifestazione, sin dalla sua prima edizione nel 1999, ha visto la presenza di numerosi artisti di fama internazionale: Franco Battiato, Edoardo Bennato, Nicola Piovani, Lou Reed, Pino Daniele, Mario Biondi, Roy Paci, Avion Travel, Giuliano Palma, Nina Zilli, Stadio, Roberto Vecchioni, Max Gazzè, Alex Britti, Luca Carboni, Fiorella Mannoia; registi tra cui Ferzan Ozpetek, Emir Kusturica, Manuel Pradal; oltre ad una lunga serie di rappresentanti istituzionali dei Paesi del Mediterraneo. La Ghironda Winter Festival, anima l’Alba dei Popoli, come anticipato, fa salire sul palco, in Largo Porta Terra, il 29 dicembre Goran Bregovic, il musicista di Sarajevo che porterà i ritmi esplosivi della musica balcanica con una grande festa in musica all’insegna della «disciplina» e della «follia». L’artista serbo sarà accompagnato dalla sua storica formazione, la Wedding & Funeral Band, con cui spazierà dai grandi successi alle musiche degli album più recenti (“Alkohol” e “Champagne for Gypsies”) e qualche anticipazione del prossimo disco. Diventato internazionalmente celebre per le colonne sonore dei film di Emir Kusturica (“Il tempo dei gitani”, “Underground” e altri ancora), dopo essersi affermato nel suo Paese (l’allora Jugoslavia) con il gruppo rock Bijelo Dugme, Bregovic nel tempo ha indossato i panni dell’artista capace di incrociare culture e popoli diversi, uniti da una musica di matrice balcanica fortemente contaminata con altri generi. Ma prima del concerto, alle 18, sarà proprio Goran Bregovic ad inaugurare la mostra Il Volto – Oltre l’Identità dell’artista albanese Fate Velaj, ospitata per la prima volta nel Castello Aragonese di Otranto, dal 29 dicembre 2017 al 4
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Alcuni scatti dell’artista albanese Fate Velaj im mostra ad Otranto
marzo 2018 per giungere poi a Brindisi e a Bari a dimostrazione del forte legame tra l’artista albanese e la nostra Regione, sulle cui sponde egli approdò nel 1991 durante il primo esodo dall’Albania. Curata da Giusi Giaracuni, l’esposizione si presenta come un’indagine sul destino dell’uomo contemporaneo. I volti ‘catturati’ dall’obiettivo di Fate Velaj raccontano identità e vissuti nostalgici che vanno oltre l’esperienza personale dei soggetti fotografati e rimandano ai contesti geo-politici da cui i suoi personaggi emergono come dai sogni e dagli incubi di una Europa alla ricerca, ancora, di una sua identità. Tanto che il suo conterraneo Artan Shabani, artista e direttore della Galleria Nazionale delle Arti di Tirana, ha definito le fotografie di Velaj come “i suoi romanzi in jpeg”. Romanzi di una parte d’Europa, quella dei Balcani, che si affacciano sull’Adriatico alla ricerca di un impossibile dialogo con l’altra parte dell’Europa, quella Occidentale troppo distratta dalle emergenze lungo la rotta nord sud. Sono i temi che ritornano anche nei romanzi e nei saggi dell’artista albanese, pittore, fotografo e scrittore, conosciuto nel panorama internazionale come creatore di strategie ed ini-
ziative europee, ideatore e moderatore di conferenze, nonché curatore di mostre d’arte. Fate Velaj vive e lavora tra Vienna, Tirana e Valona, è in possesso della cittadinanza albanese e austriaca, quest’ultima conferitagli nel 2006 dal governo austriaco per meriti speciali nel campo dell’arte e della cultura austriaca ed europea. Il 30 sarà la volta di Irene Grandi, la cantautrice italiana ha attraversato diversi generi musicali, quali il rap, pop, soul, blues e jazz, senza tuttavia rinunciare alla melodia italiana. Ha collaborato spesso con artisti del panorama musicale nazionale, tra cui Jovanotti, Eros Ramazzotti, Pino Daniele, Vasco Rossi, Tiziano Ferro, Elio e le Storie Tese solo per citarne alcuni. Infine, la Notte di San Silvestro si ballerà salutando il nuovo anno con gli Articolo 31, Eugenio Bennato, Marco Ligabue e i Dj di Radionorba. A mezzanotte il mare di Otranto sarà illuminato dallo spettacolo di fuochi pirotecnici e poi tutti al Faro di Palascìa per aspettare un’alba di pace per il Mediterraneo. L’evento, a cura del Centro di Educazione Ambientale “Terre di Enea” è inserito nella lista dei Capodanni più romantici d’Italia. La prima alba d’Italia si
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svolge qui, accompagnata da messaggi di pace e di rispetto dell’ambiente e della cultura dei luoghi. Un dj set a cura di Piermario Stefanelli che riutilizza i suoni della natura (capodogli, delfini, tartarughe, etc.) campionati a Palascìa con gli idrofoni a cui si aggiungono quelli del mare. Max Ingrosso ed altri artisti si riuniranno in una jam session coinvolgente. Il chitarrista Salvatore Russo si esibirà con il suo Gipsy Jazz trio ed il lavoro “Mediterranima”, un percorso musicale che raccoglie ed unisce le sonorità mediterranee per lanciare un messaggio di pace universale.
in crypta, a GrottaGlie nel convento dei cappUccini
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In mostra fino all’ 8 gennaio 2018 Giorgio Crisafi, Sabino De Nichilo, Paolo De Santoli,Yvonne Ekman, Antonio Grieco, Ezia Mitolo, Riccardo Monachesi, Jasmine Pignatelli, Francesco Sannicandro, Mara van Wees, Antonella Ventola, Antonio Vestita
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GROTTAGLIE (TARANTO). Una città nota per la produzione delle sue ceramiche, Grottaglie, un luogo sacro per antonomasia, il Convento dei Cappuccini, restaurato e restituito come uno straordinario contenitore culturale, e l’arte di dodici artisti che attraversano i simboli del sacro così come questi stessi simboli hanno oltrepassato i secoli e le culture radicandosi profondamente nella coscienza collettiva e nella storia dei popoli. Alla riscoperta di questo inestimabile patrimonio simbolico è dedicata la mostra collettiva In crypta. Simbologia sacra nella scultura contemporanea, a cura di Francesco Paolo Del Re, visitabile dall’8 dicembre 2017 all’8 gennaio 2018 a Grottaglie. Negli spazi espositivi del Museo della Civiltà Rupestre, ospitato all’interno del rinascimentale Convento dei Cappuccini, in occasione della XXXVIII Mostra del Presepe, hanno trovato
posto le opere di: Giorgio Crisafi, Sabino De Nichilo, Paolo De Santoli, Yvonne Ekman, Antonio Grieco, Ezia Mitolo, Riccardo Monachesi, Jasmine Pignatelli, Francesco Sannicandro, Mara van Wees, Antonella Ventola e Antonio Vestita. In crypta. Simbologia sacra nella scultura contemporanea, nata su progetto di Daniela Gallavotti Cavallero, Jasmin e Pignatelli e Mara van Wees – ha già fatto tappa nella Basilica dei santi Bonifacio e Alessio all’Aventino a Roma e nella Chiesa dei Santi Filippo e Giacomo a Todi (PG) e giunge a Grottaglie grazie all’Assessorato alla Cultura e al Turismo. Partendo dalla consapevolezza dell’attualità e della necessità oggi più che mai dei simboli del sacro, la mostra “In crypta” vuole rileggere, attraverso il lavoro e le forme propri della scultura, alcune figure millenarie che evocano o rappresentano la
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Antonio Vestita, Codex, 2016, tecnica del graffito con vetrine
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Jasmine Pignatelli, In tilt, 2013-2017, opera modulare e componibile e semi-refrattario e ossidi
dimensione sacra nel patrimonio delle varie culture, ponendo domande sul loro valore umano, spirituale e soprattutto creativo nell’ambito specifico dell’arte contemporanea. L’arte è territorio privilegiato di questa ricerca che lega sacro e simbolo. Infatti nella storia dell’umanità, fin dalle sue origini, arte e simbolo sono imprescindibili l’una dall’altro: da qui la riflessione intorno all’arte quale strumento e linguaggio esemplare per rendere espliciti e attuali i valori eterni che i simboli custodiscono. I dodici artisti invitati mettono
in scena, attraverso sculture e installazioni, declinazioni creative e contemporanee della simbologia sacra. Scrive il curatore Francesco Paolo Del Re: «L’installazione di Giorgio Crisafi dà una dimensione monumentale alla corona di spine e s’ispira alla laude ‘Donna de Paradiso’ di Jacopone da Todi, usando la circolarità come linea guida per un discorso all’incontro tra vita e morte, umano e divino. Sabino De Nichilo rilegge in chiave dissacrante l’iconografia del cuore sacro, che viene deposto dall’altare per essere trasformato ironicamente in una frattaglia
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da macelleria, mescolando echi di body art e suggestioni attinte al cinema di genere. Recuperando una memoria magnogreca, Paolo De Santoli riconduce idealmente la forma del calice a coppa alla tradizione classica del rython, protagonista della convivialità: in essi il vino diventa divino, come nell’episodio evangelico delle nozze di Cana. In un gioco di sovrapposizioni, incroci e ombre, è la stella la figura scelta da Yvonne Ekman, che riprende le relazioni di spazio teorizzate nel ‘De re edificatoria’ di Leon Battista Alberti, mettendo in corrispon-
Mara Van Wees, In cammino, 2016-2017, argilla refrattaria, cera,
denza i rapporti tra le aree con gli intervalli musicali. Antonio Grieco lavora sulla verticalità della turris eburnea, descrivendo un percorso simbolico di elevazione e di ascesa che parte dalla terra e di terra è impastato, valorizzandone la qualità di materiale costruttivo impregnato di un sapere antico. Ezia Mitolo unisce gli elementi della croce e della trinità, ponendo lo spettatore di fronte alla propria immagine riflessa in uno specchio e alla possibilità di interagire con una parte mobile e oscillante dell’installazione da lei progettata, che rimanda al parto. La dimensione liturgica dell’offerta e del dono viene rievocata da Riccardo Monachesi attraverso calici e coppe, nei quali la citazione
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archeologica viene tradita dall’uso antidecorativo dello smalto, tra interruzione di linearità e sbavature del colore. Attraverso il trattamento modulare del segno della croce, elemento geometrico più che simbolo sacrale, Jasmine Pignatelli sperimenta le relazioni spaziali, temporali, cinetiche e cinematiche che scaturiscono dalla sua sovrapposizione, inclinazione e ripetizione. La conchiglia che identificava i pellegrini medievali del Cammino di Santiago, il pesce e la croce sono i simboli che s’incontrano nell’opera di Francesco Sannicandro, impregnandosi di sfumature marine che parlano della madre Puglia da sempre amata dall’artista. Il cammino è anche al centro dell’opera di Mara van
Da sinistra: Antonio Grieco, Turris Eburnea, 2013-2017, argille miste; Sabino de Nichilo, Coratella, 2017, installazione,terracotta smaltata, dimensioni variabili, particolare
Giorgio Crisafi, Corona (Donna de Paradiso), 2013, terracotta, pietra, chiodi, tessuto, foto Paolo Sfriso
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Sotto: Antonella Ventola, Venus, 2017, terracotta
Wees, che riprende i simboli della scala e della croce ed evoca le figure dei cavalieri in transito lungo la via Francigena, con un riferimento all’antico ospedale di Santa Maria della Scala a Siena. Il cristianesimo e il paganesimo si fondono nell’intervento di Antonella Ventola, che racchiude in un’unica rappresentazione scultorea il simbolo del pesce e la figura della Venus, evocando una primordiale vulva che rappresenta la Grande Madre e la fertilità. Tra immaginario e tradizione, tecnica e design, Antonio Vestita elabora un personalissimo codex, un vero e proprio codice miniato in ceramica, un modo di ordinare un antico patrimonio di simboli per un mondo nuovo, alla ricerca di un equilibrio tra cielo e terra».
Non semplice materiale per l’arte, ma vero e proprio medium, è la ceramica l’elemento che accomuna le sculture della mostra “In crypta”. Non a caso. Perché Grottaglie è un centro noto proprio per la tradizione ceramica artigianale. E perché è propria della ceramica stessa una vicinanza, una familiarità con il sacro, sia per l’alchemica congiunzione di terra, acqua e fuoco che ne caratterizza la creazione, sia per l’utilizzo votivo che della ceramica è storicamente stato fatto, a partire dalle coppe per libagioni o dalle offerte di ex voto dei santuari. E oggi la ceramica, liberata da ogni funzione d’uso e dai retaggi che la immaginavano arte applicata o artigianato, dimostra attraverso la scultura una duttilità e una versatilità che si pre-
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stano a utilizzi plastici dai risultati originali e imprevedibili. «I simboli sono da sempre delle porte o delle guide che permettono l’accesso alla sfera del sacro e, benché la nostra società secolarizzata sembri sempre più distante dalla spiritualità, anche oggi non perdono il loro potere evocativo – si legge ancora nel saggio del curatore – e conservano anzi inalterato tutto il fascino di un linguaggio pregnante e prezioso, che fa risuonare di echi profondi e arcani una quotidianità troppo spesso assordata da un chiacchiericcio senza testa e senza peso». Museo della Civiltà Rupestre Convento dei Cappuccini Grottaglie (Taranto) fino all’8 gennaio 2018
Marc Chagall, La passeggiata, olio su tela, 1917
revolUtija da cHaGall a malevicH da repin a kandinSky
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Settanta capolavori dal Museo di Pietroburgo fino al 13 maggio 2018 esposti al MAMbo Museo d’Arte Moderna di Bologna
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BOLOGNA. Revolutija: da Chagall a Malevich, da Repin a Kandinsky. Capolavori dal Museo di Stato Russo di San Pietroburgo è la interessante mostra realizzata in occasione del Centenario della Rivoluzione Russa che si è aperta il 12 dicembre al MAMbo, Museo d'Arte Moderna di Bologna. La mostra, visitabile fino al 13 maggio 2018, è stata prodotta e organizzata da CMS.Cultura in partnership con il Comune di Bologna / Istituzione Bologna Musei, realizzata grazie a una collaborazione esclusiva con il Museo di Stato
Russo di San Pietroburgo cui appartengono i due curatori, Evgenia Petrova, che ne è vicedirettore, e Joseph Kiblitsky. L’arte delle avanguardie russe è uno dei capitoli più importanti e radicali del modernismo. Il periodo compreso tra il 1910 e il 1920 ha visto nascere, come in nessun altro momento della storia dell’arte, scuole, associazioni e movimenti d’avanguardia diametralmente opposti l’uno all’altro e a un ritmo vertiginoso. Revolutija: da Chagall a Malevich, da Repin a Kandinsky intende mettere in
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luce quante e quali, e così diverse tra loro, arti nacquero in Russia tra i primi del Novecento e la fine degli anni ’30 ma anche, come dice Evgenia Petrova: «riportare all’attenzione non tanto della critica o
degli addetti ai lavori, quanto del pubblico, artisti tipo Repin come anche Petrov-Vodkin o Kustodiev, rimasti un po’ nell’ombra a causa dell’enorme successo avuto da altri quali Chagall, Malevich o Kandinsky che pure sono presenti in mostra». Oltre 70 opere, capolavori assoluti provenienti dal Museo di Stato Russo di San Pietroburgo, racconteranno gli stili e le dinamiche di sviluppo di artisti tra cui Nathan Alt’man, Natal’ja Gončarova, Kazimir Malevich, Wassily Kandinsky, Marc Chagall, Valentin Serov, Aleksandr Rodčenko e molti altri, per testimoniare la straordinaria modernità dei movimenti culturali della Russia d’inizio Novecento: dal primitivismo al cubo-futurismo, fino al suprematismo e al costruttivismo, costruendo contemporaneamente un parallelo cronologico tra l’espressionismo figurativo e il puro astrattismo. Artisti, poeti, intellettuali avevano partecipato alla rivoluzione democratico-borghese del 1905, come testimonia in mostra il bellissimo 17 ottobre 1905, del 1907, di Il’ja Repin, accanto all’altrettanto magnifico Che vastità! del 1903. Ma quest’insurrezione, dal carattere decisamente socialista, venne brutalmente repressa dallo zarismo. è da questo momento che si spezza la tradizione culturale del realismo. In quegli anni a Mosca la vita artistica è assai intensa. La pittura francese, dai fauves ai cubisti, ha fer-
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vidi ammiratori e imitatori. Gli artisti russi però non si accontentano di accogliere le nuove esperienze occidentali, ma cercano di svolgerle ulteriormente e originalmente. Le avanguardie russe precedettero la rivoluzione di ottobre del 1917, ne furono coinvolte e per un decennio ne condivisero ed esaltarono le idee. Se il fallimento della rivoluzione del 1905 aveva seminato la sfiducia tra intellettuali e artisti, quella vittoriosa del ’17 diventò un richiamo profondo, un punto sicuro di riferimento. E tuttavia il processo di elaborazione della cultura e dell’arte sovietica ha inizio in circostanze cariche di potenza ma anche contraddittorie. Insieme ad artisti di formazione realistica, sulla linea dell’Ottocento, si trovano artisti provenienti da ogni sorta di indirizzi formalistici e d’avanguardia, uomini nutriti di inquietudini, esasperazioni, angosce e però anche da una fiducia nuova perché vedevano nel fuoco della rivoluzione la distruzione di un passato odiato e la possibilità di mutare l’esistenza e trovare un punto d’appoggio per il loro avvenire. Nel 1919 Tatlin avrebbe dovuto costruire una torre metallica a forma di spirale dedicata alla Terza Internazionale, simbolo del nuovo corso sovietico: sarebbe dovuta sorgere più alta della Torre Eiffel coi suoi 400 metri, opera sulla quale in mostra sarà presente un video. Meno di due anni prima dell’ottobre ’17 Kazimir Malevi-
Nathan Alt’man, Ritratto di Anna Achmatova, olio su tela, 1915 in basso: Wassily Kandinsky, Su bianco (I), olio su tela, 1920
ch, il più drastico degli innovatori, aveva proclamato la supremazia della pura sensibilità su ogni realismo. Il Quadrato nero, il Quadrato rosso (Realismo pittorico di contadina in due dimensioni), la Croce Nera, il Cerchio nero (tutte opere presenti in mostra) erano le nuove icone che sbandierava in volto al pubblico sconcertato. Nella mostra “010” del dicembre 1915, il quadrato fu da lui
esposto in un angolo della sala in alto, come si usava per le icone sacre nelle case della vecchia Russia. Collaborando alla realizzazione dello spettacolo “Vittoria sul Sole”, Malevich si rese conto di dover superare l’esperienza cubo-futurista da cui era partito e giungere al punto zero, all’arte pura, assoluta, suprema che nulla ha a che fare con la vita, la società e la politica. In mostra saranno eccezionalmente esposte le riprodu-
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Natal’ja Gončarova, Ciclista, olio su tela, 1913
zioni dei costumi di scena realizzati da Malevich per “Vittoria sul Sole”. Michail Larionov e sua moglie Natal’ja Gončarova aprirono il primo capitolo delle avanguardie russe. Tra il 1912 e 1913, Larionov attingendo al futurismo italiano e al cubismo francese, creò il raggismo. Come Kandinsky, di cui in mostra sono presenti Su Bianco (I) del 1920 e Crepuscolare del 1917, Larionov apriva un altro spiraglio all’arte non oggettiva. La Gončarova, pittrice forse più sensibile del marito, cominciò con temi popolari in uno stile neo primitivo, caratterizzato dal recupero di motivi del folclore e dell’artigianato popolare, come testimoniato in mostra da Contadini. Frammento dal polittico
“La vendemmia” e da Lavandaie del 1911. Del primitivismo, a volte perfino brutale, fece parte anche Aleksandr Drevin di cui si espone La cena del 1915. Revolutija: da Chagall a Malevich, da Repin a Kandinsky. Capolavori dal Museo di Stato Russo di San Pietroburgo MAMbo, Museo d'Arte Moderna di Bologna fino al 13 maggio 2018 Orari di apertura: lunedì chiuso; mar, merc, giov, dom 10.00 – 19.00; ven, sab 10.00 – 20.00. Ultimo ingresso un’ora prima della chiusura Biglietti (audioguida inclusa): Intero 14 € Info e prenotazioni: 051.7168808
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Nel riquadro Dario Ferreri; a lato l’opera
le lolite-fantaSma di kaZUki takamatSU Dario Ferreri
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Un viaggio tra i luoghi e nonluoghi fisici ed emozionali dell'arte contemporanea
"C’è qualcosa di strano e potente nelle immagini in bianco e nero" Stefan Kanfer
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CURIOSAR(T)E
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al nero tarpaulin (una sorta di tela impermeabile) prendono vita e conquistano la scena le straordinarie e tridimensionali lolite-fantasma erotiche e/o letali di Kazuki Takamatsu. Giapponese, classe 1978, ha frequentato il Dipartimento di pittura ad olio presso la Tohoku University di Art & Design dove si è laureato nel 2001; vive e lavora a Sendai (Prefettura di Miyagi).
è uno sperimentatore del "depth mapping", una tecnica innovativa che combina disegno classico, aerografo, computer grafica (per la renderizzazione delle ombre) e guache (guazzo) modificata dall'aggiunta di gomma arabica e opale bianco; una tecnica che riesce a ricostruire la percezione massima delle diverse gradazioni luminose e dei relativi contrappunti della figura ed in cui ogni singolo pixel
diventa un'ombra di grigio, e ciascuna ombra è gradata in maniera proporzionale alla distanza da cui lo spettatore vede l'immagine, in una combinazione esplosiva e potente che fornisce all'artista la capacità di ottenere incredibili profondità ed un suggestivo ed evocativo surrealismo. La poetica di Takamatsu è influenzata da echi manga e dalle forti contraddizioni della condizione giovanile con-
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CURIOSAR(T)E
Dall’alto: Le opere di Kazuki Takamatsu: Spiral e Impression of death
temporanea; la scelta del bianco e del nero riporta all'eterno contrasto tra luce e tenebre, bene e male, al colore della pelle nel mondo ed alla religione e, metaforicamente, all'ambiguità emozionale giovanile in una società sempre più digitale e meno reale. Le ambivalenti lolite delle sue opere sono innocenti o armate, pronte ad emergere o ritornare nel buio ovvero sedurre o, in un lampo, uccidere o contrastare minacce provenienti dalle tenebre. Le sue opere, dal vivo, hanno un impatto estetico ed emozionale elevatissimo. Già dal settembre 2014 ha conquistato la copertina del periodico americano Hi-Fructose e nel 2016 ha collezionato un'altra cover di un cofanetto di raccolta del medesimo magazine; con un coefficente attualmente a 6, è considerato uno degli artisti più interessanti ed originali della scena figurativa surreale internazionale. Le sue opere sono state esposte anche al Rias Ark Museum a Kesennuma (nella Prefettura di Miyagi, in Giappone); Takamatsu è rappresentato dalla Galleria giapponese Tomura ed ha esposto in Asia, America (Roq la Rue Gallery, Corey Helford Gallery, ecc.) ed Europa (in particolare presso la Dorothy Circus Gallery di Roma che ha curato, per le edizioni Drago, nel 2015, “Hello here I am” un testo illustrato dedicato alle sue opere)
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Dall’alto, le opere di Kazuki Takamatsu: I take my own machine and lead my life without obstruction from anybody; I am being tied to nothing and am living freely
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Kazuki Takamatsu, Came here to chop down
è un artista molto riservato e per nulla social, non conosce l'inglese ed interagisce poco con il pubblico. Si possono seguire le sue attività via Facebook (https://www.facebook.com/kazuki.1978) o, per chi conosce il giapponese, sul suo sito web (http://kazukitakamatsu.web.fc2.com/index.html).
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il natale della domenica le illUStraZioni di beltrame
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In mostra nella sezione Emeroteca della Biblioteca Nazionale di Napoli fino al 26 gennaio 2018
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NAPOLI. Dal 20 dicembre al 26 gennaio le sale della Sezione Emeroteca ospitano le illustrazioni sul Natale di Achille Beltrame, apparse su alcuni numeri del giornale dal 1899 al 1913 recente acquisiti dalla Biblioteca nazionale di Napoli. Un notevole sforzo economico che ha portato all’acquisizione delle annate complete senza interruzioni (dal primo numero del 1899 fino al 1942) del periodico che ha segnato la storia del nostro paese. Si tratta di un totale di 44 volumi, 2300 numeri consecutivi. L’esposizione, intitolata il Natale della Domenica, presenta le illustrazioni di Beltrame che ci fanno rivivere momenti della nostra storia, spesso dimenticati, accaduti tra il Natale e la Befana dei primi dieci anni del novecento come il triste Natale dei terremotati in Calabria ed una storia a
lieto fine di un carbonaio a Parigi che ritrova un portafoglio con un milione e mezzo. Colpisce la forza della semplicità dei disegni, e l’abilità di comunicare con immediatezza il messaggio facendolo arrivare a tutta la popolazione, di qualsiasi estrazione sociale. Le copertine in esposizione sono una ridotta sintesi ma significativa dello stile di Beltrame, divenuto celebre in particolare, per le illustrazioni degli avvenimenti bellici della Grande guerra e delle vicende degli Alpini. Tra le immagini in mostra “Il Bambino Gesù “in groppa ad un cammello, che ci riporta al clima italiano dopo le vicende che seguirono la sconfitta di Adua, i doni alle truppe in Cina , il Natale tra i soldati in Manciuria a 15° sotto zero, e il capodanno in montagna degli alpini. La Domenica del Corriere apparve la prima volta nelle edicole l'8 gennaio 1899 come supplemento illustrato del Corriere della Sera. Aveva 12 pagine e veniva distribuito gratis agli abbonati del Corriere, oppure si poteva acquistare in edicola per 10 centesimi. Per un lungo periodo, la prima e l’ultima di copertina della “Domenica del Corriere”furono illustrate con scene relative a importanti vicende mondiali e fatti di cronaca della settimana da Achille Beltrame e Walter Molino. disegnatori straordinari, Beltrame ed inseguito Molino firmarono memorabili copertine che contribuirono a costruire l'immaginario collettivo degli italiani per quasi novantanni, dal 1899 al 1989.
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Ne riquadro la nipote diTotò Elena de Curtis, a lato la locandina della manifestazione
lU mière. il binomio vino e cinema in Una raSSeGna itinerante Antonietta Fulvio
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Intervista all’ideatore e direttore artistico Antonio Manzo. In arrivo al Must il 20 gennaio 2018 Elena de Curtis, nipote di Totò, che assisterà alla proiezione del film “Totò a colori” di Steno
U
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na rassegna e un premio che hanno nel binomio vino e cinema la forza e l’orginalità. Da quattro anni nel Salento, la rassegna Lù Mière Calici di Cinema riesce a coniugare i luoghi con le visioni, i paesaggi salentini e le pellicole di film che hanno fatto la storia del cinema. Ne abbiamo parlato con l’ideatore Antonio Manzo guida turistica e organizzatore di eventi e mostre con illustri natali, avrebbe detto Totò: il suo bisnonno materno era Umberto Buttazzo fondatore agli inizi del 900 della Tipografia Del Commercio e quello paterno lo scultore Giuseppe Manzo artista della cartapesta vissuto a Lecce tra l’Ottocento e il Novecento che ha firmato capolavori che ancor oggi impreziosiscono le chiese di quella che fu la vecchia Terra d’Otranto.
passato "teatrale" e cinematografico e soprattutto sono un appassionato "cronico" di cinema con predilezione naturale per quello italiano e solo del passato. Quando ho concepito la rassegna ho pensato soprattutto di condividere il piacere per la cinematografia attraverso momenti conviviali che insieme alla visione del film offrisse la possibilità di degustare alcuni tra i più rinomati vini salentini.
Perché Lù Mière? Intanto mi è piaciuto giocare sull’assonanza dei nomi dei fratelli Lumière che inventarono il cinematografo e il termine dialettale salentino lù mieru usato per indicare il vino.
E insieme alla rassegna arriva anche la bella mostra di manifesti cinematografici al Must... Esattamente nel marzo del 2016 abbiamo inaugurato ‘CinemaTografica’, tuttora visitabile, circa cento locandine di film proiettati nel Teatro Apollo di Lecce negli anni ’50 e appartenenti alla collezione privata di famiglia.
Qual è lo spirito della rassegna? Lù Mière Calicidicinema è una rassegna cinematografica itinerante che si svolge da più di quattro anni a Lecce e nel resto del Salento e nella quale il cinema d’autore viene abbinato al gusto unico di un vino del territorio. Di professione sono una guida turistica ma con un
Un successo che va oltre ogni previsione. Sì, in pochi anni la rassegna approda a Felline con il primo Festival del Cinema d'Autore e poi Minervino, Casarano, Santa Maria di Leuca, luoghi di "nicchia" che amplificano l'interesse intorno all"idea Lù MIèRE".
Nel mondo del cinema c’è un attore che significa molto per Lei? Sono molto legato ad Alberto Sordi, una delle figure artistiche più significative e indimenticabili del cinema italiano. Nel lontano 1997 ebbi la
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Nella foto Antonio Manzo, ideatore della rassegna Lù Mière, con il nipote Giacomo
fortuna di collaborare con lui nell’ultima pellicola ‘Incontri Proibiti’, un ricordo fantastico. Come nasce Lù Mière Premia’? Il galà nasce dal desiderio di rendere omaggio con un premio esclusivo coloro che si sono contraddistinti nel mondo cinematografico per talento e personalità. Una serata tributo per i protagonisti del cinema italiano di sempre. La prima edizione ha visto protagonista Luca Verdone, regista e sceneggiatore di numerose commedie italiane, Stella Gasparri, attrice e doppiatrice, figlia dell’indimenticabile Franco Gasparri, e Raffaello Saragò, produttore cinematografico di circa ottanta tra le più note pellicole italiane. Nella seconda edizione gli artisti premiati sono stati Gastone Moschin, premio alla carriera, e Marina Suma, per la versatilità artistica. La terza edizione conclusasi di recente ha visto protagonista indiscussa l’attrice Florinda Bolkan. Quale sarà la programmazione di Lù Mière per il prossimo anno? Dopo il grande tributo a Tomas Milian con la rassegna “Tomas, l’attore”, tenutasi a Felline lo scorso settembre, la stagione 2017- 18 Lù Mière ritorna nei luoghi più caratteristici del Salento con l’intento di miscelare turismo territoriale vino pregiato e il bel cinema d’autore. Un altro modo per promuovere il territorio facendo cultura. Come in ogni edizione, la programmazione spazierà dal dramma al comico, passando per il noir e il poliziesco e altri generi in cui il cinema italiano si è contraddistinto, rendendo allo stesso tempo un importante tributo ai più stimati artisti italiani. Intanto si inizia l’anno in bellezza... Apriamo il 2018 con la prima della nuova imperdibile stagione di "Lù MIèRE Tutti i Colori del Cinema" con un omaggio a Totò di cui nel 2017 si è celebrato il cinquantesimo della morte e lo faremo con la nipote Elena de Curtis che sarà nostra ospite il prossimo 20 gennaio. A partire dalle 18:30 il Must si trasformerà in una sala d’essai con la proiezione del film “Totò a colori” del 1952 diretto da Steno. Tra i primi lungometraggi a colori, la pellicola è un’antologia dei più noti sketch di rivista del grande comico. E a proposito, ricorderemo il passaggio di Totò con la rivista Badi che ti mangio nel Teatro Apollo con Vincenzo Cappello, Alberto Buttazzo, Martino Pezzolla... e anche con lei direttore. gg
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Il Sindaco di Napoli Luigi De Magistris in visita alla mostra
teSSere di pace omaGGio a don tonino bello Maurizio Antonazzo
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Anteprima a Napoli della mostra dedicata al Vescovo di Molfetta e organizzata dall’associazione Arteuropa e Centro artistico Internazionale Mediterraneo
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NAPOLI. Si è tenuta dal 9 al 18 dicembre a Napoli nella la Basilica dell’Incoronata Madre del Buonconsiglio, a via Capodimonte, la Mostra Internazionale d’Arte Contemporanea a cura dell’Associazione Arteuropa e Centro Artistico Internazionale del Mediterraneo: Tessere di pace omaggio a Don Tonino Bello. L’evento artistico è stato patrocinato dalla Curia Arcivescovile di Napoli – Vicariato della Cultura, dal Parco Culturale Ecclesiale “Terre del Capo di Leuca De Finibus Terrae”, dall’Ufficio
nazionale per la Pastorale del tempo libero, turismo e sport della CEI Conferenza Episcopale Italiana, dal Centro Artistico Internazionale del Mediterraneo, dall’Unione dei Comuni Terre di Leuca e da AURA Udine. Uno straordinario evento artistico di rilievo internazionale con opere di pitture, scultura, fotografia, design di 70 artisti, ideato a curato da Giuseppe Alessio, Enzo Angiuoni e Luciana Mascia, che Napoli ospita, in anteprima, nella Basilica dell’Incoronata costruita secondo il
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modello di San Pietro, che si erge bianca nella zona Capodimonte, dominando con la sua cupola il panorama della città. La mostra dedicata a Don Tonino Bello, “Vescovo di Molfetta – Presidente di Pax Christi” ha visto nella serata inaugurale la partecipazione di Don Adolfo Russo, Vicario Episcopale per la Cultura della Diocesi di Napoli, Monsignor Nicola Longobardo, Parroco della Basilica dell’Incoronata, Luigi Caramiello,
Docente di Sociologia dell’Arte e della Letteratura, Clementina Gily Docente di Estetica e conoscenza e didattica della visione, Giuseppe Alessio, Presidente del Centro Artistico Internazionale del Mediterraneo, Enzo Angiuoni, Presidente di Arteuropa, Luciana Mascia, Vicepresidente della sez. napoletana dell’Unione Cattolici Artisti Cristiani. Presente anche il sindaco Luigi de Magistris. E dopo la tappa napoletana, la mostra per tutto il 2018, seguirà un percorso itinerante in Italia con tappa nei luoghi di Don Tonino: Alessano, Tricase, Molfetta, S.M. di Leuca, Milano, Novara, Bari ecc.
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Vittorio Tapparini, A nord c’è una stella, 2017; al centro: Vittorio Tapparini, Aria nuova, 2017
la terra di meZZo Secondo vittorio tapparini
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La mostra è visitabile fino al 7 gennaio negli spazi della Fondazione Palmieri
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LECCE. Si intitola Terra di mezzo la personale di Vittorio Tapparini che dopo le recenti esposizioni tenute a Roma torna nella sua città per presentare gli ultimi esiti della sua ricerca artistica. Sede della mostra gli spazi dell’ex Chiesa di San Sebastiano, in vico dei Sotterranei cuore espositivo della Fondazione voluta dall’indimenticabile Luciana Palmieri. Un luogo dedicato ai linguaggi trasversali dell’arte nel cuore barocco della città che dal 16 dicembre al 7 gennaio 2018 accoglie la recente produzione pittorica. «Un preludio ad una nuova sinfonia con gli strumenti della pittura, che non
arriveranno mai al dramma semmai ad una garbata ironia forse anche ad un accenno di satira ma con un giocoliere né divertito né impietoso che vive nei panni di un artista» scrive l’artista Ercole Pignatelli che firma il catalogo con il fotografo Bruno Barillari e la giornalista Claudia Presicce. Ventidue le opere in mostra dove in barba agli astrattismi e ai concettualismi verso i quali la pittura ha ormai da troppo tempo virato, Tapparini torna al dipinto puro, surreale e figurativo, fatto di strati di olio e di pensiero con il desiderio di riportare nella vita colori
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perduti e speranze attese, fantasie e sfumature di personaggi surreali, a volte goffi, fortemente simbolici, ma uomini liberi dai condizionamenti della società dei consumi e insistono nel coltivare la terra nuova del futuro. Figlio d’arte, Vittorio Tapparini è pittore e scultore e annovera numerose partecipazioni in rassegne d’arte e personali nazionali e internazionali. Tra queste si ricordano il Premio Sulmona, la Biennale internazionale d’arte di Ferrara, la Biennale internazionale di arti visive di Taormina, Expo Arte di New York, la Biennale di Venezia “Padiglione Italia”. Con la personale “Hidalgo” ha esposto al Must di Lecce nel 2013 e nel marzo 2015 a Pescara al Museo Vittoria Colonna. Nel 2006 è selezionato per il Premio Arte Mondadori e vince l’Ercole di Brindisi, nel 2007 vince il Premio Rembrandt e viene nomina-
to Gran Maestro dell’Arte nel mondo per i suoi meriti artistici. «La terra di mezzo è per Tapparini - scrive nel catalogo Claudia Presicce - il luogo che ospita la necessità di un cambiamento, espresso chiaramente nella voglia di movimento dei suoi personaggi che si spostano continuamente: in vespa, in barca, in bicicletta, sul cavallo a don-
dolo. Tutti esprimono l’esplicita ricerca di superare il presente e di andare comunque avanti. La terra del coraggio in cui conoscere la parte più vera di noi, sgangherata e imperfetta, ma libera». Tele come racconti, favole contemporanee dove si suona, si viaggia, si sogna insieme. «Un momento di passaggio,
mio personale e da un punto di vista artistico - racconta l’artista sul concept della mostra aggiungendo - è il luogo in cui ho riscoperto le mie origini, perché a volte cercare lontano non serve se le cose le hai già dentro di te. E credo sia anche, artisticamente parlando, una visione molto contemporanea della realtà». Ma è anche il Salento terra di passaggio, dove non ci si può fermare troppo, ma bisogna andare oltre perché qui è inutile sostare in attesa.” E l’artista capta una voglia di cambiamento che si traduce anche in un ritorno ad un figurativo simbolico e ad un particolare uso del colore. «Sta cambiando per me l’idea che ci sia più voglia di vita, di bellezza, di poesia, di verità e meno di astrattezza e negatività. Ha ragione Kandisky quando dice: “Ogni dipinto è poesia perché la poesia non è fatta soltanto di parole, ma anche di colori organizzati e composti. La pittura è quindi una creazione poetica e pittorica”. Ecco allora che il ritorno alla pittura pura è un ritorno alla voglia di vivere, di superare tanta bruttezza e tanto dolore che ci circonda e che da anni descriviamo nell’arte. Credo che ora basti lamentarsi e che sia tempo di una stagione nuova in cui le arti in generale siano chiamate a riformulare un nuovo Rinascimento. E da dove si ricomincia se non c’è un nuovo racconto?». (an.fu.) Vittorio Tapparini Terra di mezzo Lecce, Fondazione Palmieri fino al 7 gennaio 2018 ingresso libero con orario 10:3013.30/16:30-21.00
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Le Cirque de La Lumière gLi sCatti di bruno bariLLari
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Gli scatti di Bruno Barillari
Fino al 30 dicembre in mostra negli spazi di Idea Luce a Lecce
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LECCE. Chi, almeno una volta nella vita, non è stato affascinato dalla magia del circo con le sue luci e le sue ombre? Clown, giocolieri contorsionisti ed elefanti tutti in pista pronti a dar vita al più bello spettacolo del mondo... Un mondo fatto di tensione, come quella del filo su cui gli acrobati si librano nell’aria inseguendo il mito del volo o quella di quando a distanza ravvicinata è possibile vedere belve feroci ubbidire docilmente ai comandi dei domatori. A quel mondo, fatto di atmosfere sospese è dedicato il nuovo progetto fotografico di Bruno Barillari. Un progetto, Le Cirque de la Lumière, in cui si racconta un incontro tra passioni per il mondo della luce e per l’approccio anche giocoso che l’illuminazione può creare in un luogo, Idea Luce, che da sempre coniuga illuminazione e design. Il mondo del design della luce e quello della fotografia si sono incontrati per raccontare emozioni fatte di immagini e sfumature attraverso due linguaggi distinti ma vicinissimi. Competenze e professionalità che dialogano utilizzando il linguaggio universale della bellezza. Il mondo della luce diventa un grande circo di contorsionisti, funamboli, domatori di tecnologie, di elementi che in qualche modo, variando nel corso del tempo, sono legati dalle passioni. Passioni che Bruno Barillari ha voluto interpretare attraverso i sui scatti, legando al concetto del design i personaggi del circo, raccontandoli in modo estremamente originale ed ambientandoli in uno spazio creato ad hoc, fatto di linee e colori. «è stato sempre per me entusiasmante creare un’immagine da un’idea servendomi dello stru-
mento luce per trasformare il mistero che cela nella proiezione di ciò che ho visto - spiega Bruno Barillari. “Il circo della luce” mi ha dato la possibilità, grazie al confronto con Andrea Ingrosso di diventare ancora una volta “fattore” così come lo è sempre stato di me stesso. Inserire la componente umana per me indispensabile ha aggiunto potere ed equilibrio come è l’idrogeno nell’acqua insieme al suo ossigeno. Così
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che tutto diventi immaginazione ed il design una favola da raccontare‌ questa volta, per usare le parole di Marchesi, non per mentire ai bambini ma per consolare gli adulti. La mostra sarà visitabile fino al 30 dicembre presso Idea Luce, nell’allestimento di via Di Ussano 21 a Lecce con orari: 9:30-13:00 // 16:30-20:00; ingresso libero. (an.fu.)
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Castello di Carlo V, veduta aerea foto di Michele Onorato
RiapeRta la poRta di soccoRso del castello caRlo v Antonietta Fulvio
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Girovagando...per Lecce
Dal 26 dicembre al 28 gennaio 2018 si potrà attraversare l’antico maniero e grazie all’ultimazione dei restauri attraverso le sue porte si potrà passare da piazza Libertini a via XXV Luglio
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LECCE. Prove tecniche di percorrenza per il Castello di Carlo V che dal 26 dicembre al 28 gennaio 2018, nei giorni prefestivi e festivi, sarà accessibile da entrambe le sue porte in modo da consentire l'attraversamento pedonale. Così da via XXV Luglio si potrà, percorrendo tutta la fortezza, giungere in piazza Libertini. «Il castello commenta lo storico Mario Cazzato - non sarà più una barriera che divide due parti di città ma un
momento, il più significativo, di congiunzione. A chi avrà modo di sperimentare questo nuovo percorso urbano, da notare sulla porta posteriore del castello, quella di Soccorso, il grande stemma di Carlo V (nelle foto prima e dopo il restauro) con l'epigrafe latina che ora si può leggere compiutamente: INTER UTRUMQUE SOLEM ANTIPODUM OCCASUM/EXORIENTEMQUE NOSTRUM SUB PEDIBUS OMNIA
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REGIT, ossia Carlo V (sottinteso), regge ogni cosa sotto il suo dominio tra entrambi i soli, quello di ponente e l'altro di levante. Per una serie di circostanze che sarebbe lungo sintetizzare, l'epigrafe fu dettata da Giangiacomo dell’Acaya verso il 1550, mentre lo stemma fu scolpito dal Riccardi. I lavori - finanziati coi fondi comunitari POIn Attrattori, FESR 2007/2013, sono stati diretti dall’arch. Gio-
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Girovagando...per Lecce
La Porta di Soccorso del Castello Carlo V dopo il restauro, a lato particolare dello stemma prima e dopo il restauro, foto di Mario Cazzato
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vanna Cacudi della Soprintendenza e realizzati dall’Impresa Marullo Costruzioni s.r.l. La Soprintendenza e il Comune di Lecce hanno concordato un programma di aperture straordinarie del Castello Carlo V nel periodo delle festività natalizie (dal 26 dicembre 2017 al 28 gennaio 2018, nei giorni prefestivi e festivi), una sorta di test in vista della definitiva apertura alla fruizione. «è una iniziativa - ha spiegato il Primo Cittadino Carlo Salvemini - volta a dare lustro, significato e valore al Castello Carlo V, l’opera fortificata più importante di Puglia, che rappresenta un enorme patrimonio culturale, turistico ed economico per tutti i leccesi: non a caso da qualche mese Piazza Libertini è stata liberata dalle auto, e nel 2018 vedrà ulteriori interventi di riqualificazione. A questa cerimonia ho considerato naturale avere al mio fianco Paolo Perrone ed Adriana Poli Bortone perché il recupero del patrimonio storico monumentale della città di Lecce è un filo rosso che ha legato le amministrazioni negli anni. Questa di oggi non è dunque l'inaugurazione del sindaco Salvemini o della sua amministrazione ma della città di Lecce e quindi è doveroso che ci sia anche chi negli anni prima di me si è impegnato in questa direzione». L’obiettivo congiunto di Comune e Soprintendenza è consentire una maggiore conoscenza e valorizzazione del maniero leccese, conosciuto come Castello di Carlo V in onore dell’imperatore che nel 1537 ne ordinò l’ampliamento attorno alla struttura medievale edificata da “Riccardo normanno” conte di Lecce. A questo proposito l’ampliamento degli spazi fruibili e l’utilizzo di sistemi multimediali, punteranno a renderlo un attrattore culturale di notevole richiamo. Le visite al Castello nell'ambito delle aperture straordinarie curate dalla Soprintendenza saranno gratuite e curate dai volontari dell’Aps Swapmuseum e dai ragazzi dell’Alternanza Scuola Lavoro di tre scuole “Istituto Marcelline”, I.I.S.S. “Virgilio-Redi” e I. I. S.S. Galilei Costa, tutte di Lecce. I percorsi della durata di circa 30 minuti condurranno i visitatori attraverso ambienti finora poco conosciuti del castello come le gallerie ipogee e camminamenti di ronda da cui sarà possibile scoprire visuali sconosciute del tessuto urbano di Lecce. E il Museo della Cartapesta, istituito nel 2004 ma riallestito dopo la chiusura dei lavori in vari ambienti attorno alla Piazza d’Armi, ovvero le ex scuderie, la cappella di San Francesco e le sale del lato est esso svela la storia dell’arte della cartapesta a partire dal sec. XVIII fino al nuovo utilizzo nell’arte contemporanea.
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Le foto in questa pagina sono di Mario Cazzato
CALENDARIO VISITE 26/12/2017 Ore 11.00 e ore 12.00 Visita Museo della Cartapesta Presepe cartapestaio Luigi Guacci Ore 17.00 e ore 18.00 Visita con Guida Multimediale (tablet)/ Gallerie 30/12/2017 Ore 11.00 e ore 12.00 Visita Gallerie e Camminamenti di ronda Ore 17.00 e ore 18.00 Chiesa di S.Barbara e Proiezione Film storia del Castello 01/01/2018 Ore 11.00 e ore 12.00 Visita con Guida Multimediale (tablet)/ Gallerie Ore 17.00 e ore 18.00 Chiesa di S.Barbara e Proiezione Film storia del Castello
14/01/2018 Ore 11.00 e ore 12.00 Visita con Guida Multimediale (tablet) e Piano Primo Ore 17.00 e ore 18.00 Chiesa di S.Barbara e Prigioni 21/01/2018 Ore 11.00 e ore 12.00 Visita Gallerie e Camminamenti di ronda Ore 17.00 e ore 18.00 Chiesa di S.Barbara e Proiezione Film storia del Castello 28/01/2018 Ore 11.00 e ore 12.00 Visita Gallerie e Camminamenti di ronda Ore 17.00 e ore 18.00 Visita con Guida Multimediale (tablet) e Piano Primo
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06/01/2018 Ore 11.00 e ore 12.00 Visita con Guida Multimediale (tablet) e Museo Cartapesta Ore 17.00 e ore 18.00 Chiesa di S.Barbara e Proiezione Film storia del Castello
07/01/2018 Ore 11.00 e ore 12.00 Chiesa di S.Barbara e Prigioni Ore 17.00 e ore 18.00 Chiesa di S.Barbara e Proiezione Film storia del Castello
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E ancora la Chiesa di Santa Barbara, con ricostruzione virtuale di alcune strutture, le Prigioni del castello, in cui sarà realizzato una sorta di viaggio immersivo che darà voce a quanti furono detenuti attraverso la lettura e l’interpretazione di alcune dei graffiti rinvenuti sulle pareti durante i lavori di restauro. Previste anche guide multimediali con contenuti fruibili anche in lingua inglese (tramite sottotitoli) e nella lingua dei segni italiana (LIS) e la proiezione di un filmato (anch’esso con sottotitoli in inglese) sulle vicende del castello ricostruite attraverso un dialogo immaginario tra l’architetto militare Gian Giacomo dell’Acaya (autore dei lavori di ampliamento del XVI sec.), impersonato dall’attore Ivano Marescotti, e un frate abitante nel castello, impersonato dall’attore Francesco Pannofino. Le visite guidate saranno consentite fino ad un massimo di 15 persone per turno, con prenotazione obbligatoria tramite il sito www.eventbrite.it
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Lughia, Il popolo seduto
odio Gli indifferenti GramSci oGGi Giuseppe Salerno
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La rassegna curata da Giancarlo Bassotti ha visto sedici artisti in mostra a Jesi nel Palazzo Santoni
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P
er quelli che non sono nati nella prima metà del secolo scorso, per quelli che non hanno militato nelle fila del Partito Comunista Italiano e non ne sono stati detrattori, per quelli che hanno vissuto lontani dalla politica attiva e non ne hanno fatto oggetto di studio, Gramsci è soltanto un nome. Il nome di uno dei tanti personaggi della nostra storia che, sotto il velo di una memoria sbiadita, provocano in più di qualcuno imbarazzo
allorché, chiamati a metterne a fuoco la figura, sono costretti a ricercare nell’immaginario collettivo un qualche stereotipo cui appigliarsi per la costruzione di un sia pur minimo discorso. Nato per il rotto della cuffia sul finire della prima metà del secolo scorso, pur riconoscendomi un tempo nei valori della sinistra non ho militato nel PCI giacché la coscienza di appartenere ad un universo di individui pensanti mi ha impedito di identificarmi in schiera-
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Giulia Di Vitantonio, Censure
menti precostituiti, inducendomi piuttosto a monitorare in proprio ogni mutamento sociale pronto a risettare continuamente pensiero e comportamento nella direzione di una società migliore. Una vita vissuta da cane sciolto che, non preservandomi dall’essere al servizio di un qualche padrone, mi ha però mantenuto intellettualmente vivo, in grado di coltivare una visione critica di quel frenetico divenire che, rimescolando continuamente le carte, fa agio su un numero crescente di indifferenti, quelli tanto in odio a Gramsci. è trascorso un secolo dacché il fondatore del PCI scriveva nei suoi quaderni di una società poi profondamente mutata e nella quale è oggi per noi impossibile riconoscersi. In un pianeta infinitamente più piccolo la quotidianità è un inestricabile intreccio di reale e virtuale che vede prepotentemente avanzare intelligenza artificiale e robotica.
Sovranità nazionale e coscienza di classe sono retaggi del passato di difficile comprensione in un mondo mediatico nel quale il più lieve battito d’ali è suscettibile di divenire ragione di paure planetarie controllate. Se nel pensiero gramsciano il ruolo egemonico dell’intellettuale discendeva dalla capacità di indicare un avvenire migliore sulla base di una attenta analisi del presente, oggi, costretti in un mondo rettangolare, ci ritroviamo inconsapevolmente anestetizzati da tuttologi che, con scarse conoscenze del passato, pontificano sul presente privi di qualsivoglia visione futura. Un mondo frammentato che si consuma nell’oggi al pari delle merci a scadenza programmata. Egemonizzati, questa volta davvero, da invisibili entità della finanza transnazionale abbiamo dimenticato il sapore della vita in un universo che ci appare privo di senso, dove tutto coesiste nella più totale confusione.
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In basso le opere di Leonardo Cemak e di Dino Mogianesi
In questi scenari in continuo ed inarrestato divenire a ragione dell’assenza della politica, l’arte dimostra la propria capacità di sopravvivere allorché prende le distanze da processi che, in disprezzo della vita, ci allontanano da quell’unicum di cui siamo parte e in cui da tempo stentiamo a riconoscerci. Con la libertà di intelletto e d’azione che lo contraddistingue, l’artista ha la prerogativa di offrire punti di vista non allineati al pensiero unico. Ed è così che sedici artisti, rivolgendosi a Gramsci con i limiti di cui sopra, ci mettono di fronte, con modalità e poetiche uniche, ad un sentire che calandosi nella storia non perde di vista il proprio tempo. Tra le tante, l’installazione “Il popolo seduto” di Lughia è l’efficace rappresentazione di un paese che, voltate le spalle ad un passato d’azione, soggiace, impotente, alla luce soporifera di un tubo catodico che veicola la nuova ideologia del consumo. Leonardo Cemak, che riconosce nelle scritte murali la memoria del nostro tempo, accosta l’icona spray di Gramsci a quella del Che Gueva-
ra. Giulia di Vitantonio con “Censure” ci dice che annullare il pensiero equivale ad annullare l’intera società. Tre immagini in bianco e nero di Dino Mogianesi ben rappresentano la solitudine ed il procedere in ordine sparso che contraddistingue il nostro tempo. Curata da Giancarlo Bassotti e promossa dall’Istituto Gramsci, la rassegna Odio gli Indifferenti ha visto a Jesi opere di 16 artisti esposte nei locali di Palazzo Santoni dal 1 al 10 dicembre.
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la bicicletta roSSa. le avventUre di Una famiGlia in tempo di criSi
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L’originale spettacolo di Principio Attivo Teatro per la rassegna di teatro per ragazzi Bagliori d’Ombra
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ARADEO (LECCE). La bicicletta rossa di Principio attivo teatro, per la regia di Giuseppe Semeraro, vincitore Premio Eolo Awards 2013 per la migliore drammaturgia, approda al Teatro Comunale "Domenico Modugno" di Aradeo per l'undicesima edizione di Bagliori d'Ombra, rassegna di teatro ragazzi organizzata dal Teatro Le Giravolte. In scena con lo stesso Semeraro giovedì 4 gennaio (ore 17.45 - ingresso 4,50 euro) Dario Cadei, Silvia Lodi, Otto Marco Mercante, Cristina Mileti, la voce fuori campo di Rebecca Metcalf e le bande sonore e musiche di Leone Marco Bartolo. Lo spettacolo racconta le strampalate ed eroiche avventure di una famiglia in tempo di crisi, attraverso Marta, che non è in scena o meglio, c’è ma non si vede, è nel pancione di sua madre e proprio all’inizio dello spettacolo annuncia: “questa è la storia della mia famiglia prima che nascessi”. Un lavoro che, con un linguaggio, ora comico ora riflessivo, narra le peripezie per la sopravvivenza di questa strampalata famiglia in tempo di crisi, proprio come molte famiglie di oggi capaci di trasformare la quotidianità nel miracolo che resiste. Prima dello spettacolo spazio alle “Fiabe con merenda”, un momento dedicato alla lettura ad alta voce e all'immaginazione, senza pc, tv o telefonino, con l’obiettivo di far nascere e crescere nelle nuove generazioni la curiosità e l’amore per i libri attraverso momenti di lettura performativa. La rassegna - organizzata dal Teatro Le Giravolte in collaborazione con Regione Puglia, Teatro
Pubblico Pugliese e i comuni di Aradeo e Casarano e con il sostegno di alcuni partner privati propone anche quest'anno una serie di performance teatrali pensate per le nuove generazioni e permetterà di rileggere in modo originale e sempre diverso sia i classici per l’infanzia che i testi meno conosciuti. Dopo la programmazione al Teatro di Aradeo (che ha preso il via il 29 ottobre), dal 21 gennaio la rassegna si sposterà nell'Auditorium Comunale di Casarano dove il Teatro Le Giravolte proporrà I Musicanti, 4 amici in viaggio. Domenica 4 febbraio sarà la volta del Teatro dei Colori di Avezzano con Il pifferaio magico di Valentina Ciaccia. Domenica 18 febbraio sul palco I tre porcellini di Abruzzo Tucur. Domenica 4 marzo la compagnia laziale Settimo Cielo con Mozart MC High Energy. Domenica 18 marzo, infine, Molino d’Arte di Altamura concluderà la rassegna con Peter Pan. Bagliori d'Ombra è un vero e proprio viaggio teatrale che parla di amicizia e amore, di rapporti famigliari, dei piccoli e grandi problemi di ogni giorno, della salvaguardia della natura e che si interroga sul senso della vita. Tra i temi che vengono affrontati anche quelli legati alla convivenza civile, alla legalità, ad ambienti come scuola e famiglia; un viaggio creativo, capace di divertire e nello stesso tempo di far pensare, mai banale e scontato. Info 3494638560 - www.teatrolegiravolte.it
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In questa pagina e nelle seguenti particolari della Chiesa di Santi Niccolò e Cataldo, foto di Sara Foti Sciavaliere
la cHieSa di Santi niccolò e cataldo Una teStimonianZa del romanico Sara Foti Sciavaliere
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Insieme all’attiguo monastero fu fondata da Tancredi d’Altavilla conte di Lecce e ultimo re di Sicilia
Storie l’uomo e il territorio
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LECCE. Costruita extra moenia – oggi annesso al cimitero monumentale di Lecce – la Chiesa dei Ss.Niccolò e Cataldo è il complesso architettonico meglio conservato e più significativo di età normanna nel capuologo salentino, dove di fatto le incisioni nella chiara pietra locale ci rimandano quasi sempre alla seicentesca moda barocca. Insieme all’attiguo monastero, fu fondata da Tancredi d’Altavilla, conte di Lecce e ultimo re di Sicilia. La costruzione si fa risalire a poco dopo il 1169 quando Tancre-
di, di ritorno dalle imprese orientali al servizio di Guglielmo il Buono, sarebbe scampato a un naufragio sul Canale d’Otranto: a questo fortunato epilogo si attribuisce la volontà del re normanno di intitolare la chiesa ai Ss. Niccolò – protettore dei navigatori – e Cataldo – santo irlandese, protettore di Taranto –, seppure non sarebbe neanche azzardato ipotizzare che nella meravigliosa Chiesa dei Ss. Niccolò e Cataldo ci fosse l’intenzione di Tancredi riallacciarsi alla stagione delle grandi imprese costruttive di Sicilia: Palermo, Monreale,
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Storie l’uomo e il territorio
In questa pagina e nelle seguenti particolari della Chiesa di Santi Niccolò e Cataldo, foto di Sara Foti Sciavaliere
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Cefalù, facendosi sintesi dunque delle esperienze bizantine, arabe e normanne. Tancredi donò poi il complesso ai monaci benedettini, ai quali seguirono nel 1494, per volere di Alfonso II di Napoli, i padri Olivetani che rimasero sino al 1807. La facciata mostra sia la severità del romanico pugliese che l’esuberanza del Barocco. Nel 1716 gli Olivetani intrapresero di fatto un radicale intervento di ristrutturazione dell’edificio. La facciata venne rifatta da Giuseppe Cino in puro Barocco leccese conservando, di quella originaria, solamente il pregevole portale e il rosone. Il prospetto fu arricchito da dieci statue lapidee e da un monumentale fastigio di coronamento in cui svetta lo stemma degli Olivetani, costituito da una croce e dai rami d’ulivo. I fianchi della chiesa si allungano, a destra, nel cinquecentesco chiostro dovuto a Gabriele “Beli” Riccardi, adorno del seicentesco baldacchino sovrastante il pozzo posto su quattro colonne tortili, e, a sinistra, nell’area ottocentesca del cimitero. Osservando la chiesa dal fianco meridionale è possibile osservare il campanile a vela con la meridiana e la cupola. L’interno della chiesa, a tre navate suddivise da pilastri quadrilobati con arcate a profilo acuto d’ascendenza islamica, è impreziosita da una folta serie di capitelli a
fogliame strigilato. La navata centrale è ricoperta da una volta a botte, mentre quelle laterali hanno una copertura con volta a crociera ogivale. In corrispondenza del transetto si innalza una cupola ellittica impostata su un tamburo ottagonale. è immediato all’interno l’impatto con le superfici affrescate, o meglio con i tratti superstiti di quelle pitture
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murarie che in origine dovevano rivestire per intero la superficie interne del tempio. Nel XVII secolo le decorazioni pittoriche sulle colonne e sulle pareti furono imbiancati o ricoperti da altari, invece quelli della volta furono intonacati o ridipinti con decorazioni in stile pompeiano. Il programma decorativo tardo-
Storie l’uomo e il territorio
In questa pagina e nelle seguenti particolari della Chiesa di Santi Niccolò e Cataldo, foto di Sara Foti Sciavaliere
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gotico si estende dalla controfacciata ad almeno le due prime campate delle navate laterali: si tratta di “una sorta di edificante galleria con i santi
protettori e la narrazione delle loro vite esemplari” che sono state trascritte ricorrendo all’uso dell’icona agiografica, ossia immagini in cui la figura cen-
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trale del santo è contornata da scene destinate a illustrare le gesta e i miracoli del personaggio rappresentato. La cornice narrativa qui rappresentata,
Particolari dell’interno del Teatro Olimpico di Vicenza, foto di Sara Foti Sciavaliere
Storie l’uomo e il territorio
intorno al santo ex cathedra, ha la funzione di riprodurre la vita e i miracoli operati. I protagonisti sono san Benedetto e san Nicola, mentre manca San Cataldo la cui immagine, frammentaria, e relegata sulla retro facciata, a sinistra del portone, anche se non può escludersi che in altra parte della chiesa fosse celebrato con pari dignità, senza purtroppo magari lasciato traccia. Nella seconda campata della navata settentrionale è rappresentato San Benedetto ex cathedra con il pastorale nella mano sinistra, mentre sotto le vesti pontificali che indossa in quanto abate di Montecassino, indossa il saio nero dell’Ordine da lui stesso fondato. La porzione superiore del dipinto, soprattutto la parte centrale, è andata distrutta a causa dell’addossamento di un altare, oggi non più esistente. La prima scena, in alto a sinistra, rappresenta San Benedetto in eremitaggio a Subiaco; il secondo riquadro inscena l’Arrivo a Montecassino. Una lunga iscrizione di impossibile decifrazione dipinta su otto righe – ma in origine dovevano essere almeno dieci –
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precede l’ultimo riquadro di sinistra, dove una sequela di santi dell’Ordine è ritratta in preghiera verso la perduta figura di San Benedetto. Essi sono rappresentati per categoria, secondo la gerarchia della Chiesa romana tardo medievale: in testa è il Papa (forse Gregorio Magno), seguito da due vescovi, in seconda fila vi sono poi tre santi monaci, e nascosto tra queste figure se ne scorge una priva aureola, che secondo Maria Stella Calò Mariani poteva essere l’anonimo committente. L’ultimo riquadro in basso a destra, invece, racconta la morte di San Benedetto visto salire in cielo. Sulle fasce dei semipilastri che delimitano l’affresco si nota una fitta ramificazione di tralci vegetali che richiamano quelli profusi su colonne, pilastri e costoloni nel cantiere di Santa Caterina a Galatina, autentico capolavoro della pittura gotica nel Salento. Nella navata meridionale, in esatta corrispondenza con l’affresco di San Benedetto, è impostato quello di San Nicola, del quale si leggono attualmente solo il bordo drappeggiato della veste, il pastorale e la pedana del trono. Delle numerose storie realizzate nei riquadri laterali ne restano soltanto due, inscenate nel registro più basso che fanno riferimento a due interventi miracolosi operati dal santo di Mira.
detto, Bernardo Tolomei e Francesca Romana e quello dei santi Niccolò e Cataldo. Al XVII secolo risalgono il monumento sepolcrale del poeta epico leccese Ascanio Grandi e gli affreschi del coro (1619). Di pregevole valore artistico sono anche la statua di San Nicola benedicente, nella navata sinistra, e due acquasantiere, tutte opere realizzate nel XVI secolo
Nelle navate laterali sono, inoltre, presenti alcuni altari attribuiti a Mauro Manieri, tra cui quelli intitolati ai santi Bene-
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e attribuite al Riccardi. Una delle due acquasantiere, poste in posizione speculare nelle prime due colonne della navata centrale, riporta scolpito sul fronte della vera una sirena bicaudata. Questa immagine ha tradizione antichissima che affonda nel mondo pagano conservandosi poi nell’arte medievale: l’ostentazione dei genitale era considerata con un valo-
Storie l’uomo e il territorio
foto Sara Foti Sciavaliere
re apotropaico, finché non vengono esorcizzati dalla Chiesa perché messi in associazione con il peccato universale. Numerose sono però le chiese romaniche irlandesi dove, su capitelli, e bassorilievi, sono raffigurate figure femminili che, con le mani, divaricano le gambe mostrando così la vulva, e simili raffigurazioni troviamo anche in Francia e in diverse chiese italiane; tuttavia, in una società fortemente “pudica” come quella medievale questo genere di raffigurazioni non era accettabili, da qui la sua evoluzione: la donna diventa una sirena bicaudata, in cui le gambe
divaricate si trasformano così nelle due code. La sirena bifide è un simbolo ben lontano dal provarsi delle sue origini pagane, riproponendo comunque, seppure sotto altre vesti, l’antica dea della fertilità e delle acque, elemento ben evidenziato proprio dalla coda di pesce. E non è di fatti un caso se nella Chiesa dei Santi Niccolò e Cataldo è rappresentata proprio sull’acquasantiera.
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Ritratto di Matteo Bandello (c1485–c1561), dal libro Novelle del Bandello ed. Gaetano Poggiali, Londra 1791
tarGa matteo bandello 2017 al reGiSta marco pollini
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La cerimonia si terrà a Garda, Ristorante 883, il 27 dicembre
GARDA (VERONA). Marco Pollini per la “Targa Bandello” 2017. Il regista veronese riceverà il prossimo 27 dicembre 2017, la prestigiosa Targa Matteo Bandello. Una manifestazione patrocinata dalla Regione Veneto e dalla Provincia di Verona. Bandello è colui da cui l’inglese William Shakespeare trasse ispirazione per scrivere trame come Romeo e Giulietta, La dodicesima notte e Tanto rumore per nulla, opere che il “geniale Bardo” d’oltre Manica traspose per il teatro. Bandello frequentò Garda dal 1531 al 1541 soggiornando presso Palazzo Fregoso , ospite di Cesare Fregoso capitano di ventura al soldo di Venezia. Al Ristorante 883 di Garda (diretto da Vinicio Avesani) si terrà a partire dalle ore 20,00, una manifestazione, volta ad assegnare un riconoscimento ad una personalità di valore nel settore delle arti e della cultura. Per la sesta edizione si è scelto così di assegnare il riconoscimento al regista veronese autore di film come “Le Badanti” una co produzione internazionale Italia - Malesia presentato al 68° Festival di Cannes/ Marché du Film e al Festival di Venezia 2014 che ha ottenuto molteplici recensioni nazionali e distribuito nei cinema di tutt’Italia. Recentemente Pollini ha realizzato Moda Mia (2016) film di
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finzione uscita nazionale il 23 marzo 2017, presentato al Festival I Bambini di Truffaut del film e del racconto nel luglio 2017. Pollini vanta inoltre un attività ventennale come editore e regista di video avendo realizzato video per Marie Claire D'Ubaldo (2009), Corona (2010), Federico Poggipollini (2010), Gerardina Trovato (2009), Ibiza Day and Night (2012- docu fiction) e James Brown in tour (2004), documentario. La manifestazione si svolgerà dapprima nella sala centrale dell’883 dove dopo la consegna del riconoscimento si terrà la cena conviviale. Bandello scrisse alcune novelle quando si trovava ospite a Garda, e con ogni probabilità alcune loro parti furono scritte proprio nel Palazzo Fregoso. Lo stesso autore piemontese nel prologo della novella che segue, “Della sfortunata storia dei due amanti...” (poi intitolata dallo Shakespeare, Romeo e Giulietta), descrive il Palazzo e le feste dei Fregoso nel centro lacustre. Un’ “incipit” che è stato inciso su di una targa in ottone affissa nella sala taverna grazie all’ideazione di Andrea Torresani e Luigi Pellegrino. Questo alla volta del 455° anno dalla data della pubblicazione della prima, seconda parte e terza parte delle novelle. “ ... a Garda” scrive il Bandello come riportato sulla targa «di cui il famoso lago di Benaco prese il nome hanno questi signori Fregoso un gran palagio con giardini bellissimi ove son tutti gli arbori di frutta soavissimi che questo cielo può nutrire. Quivi sono aranci cedri limoni pomi granati bellissimi ...» E poi inciso sull’ottone un pensiero degli ideatori dell’opera : «In questa casa, affinché la memoria non si perda nel fiume nascosto dei tempi, questa targa pongono» .L.P. e A.Tor. Info: corrieretorre@alice.it
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Veduta di Matera, a lato il Pupo di grandi dimensioni realizzato dai cartapestai gallipolini
capodanno del SUd. dalla città dei SaSSi a Gallipoli
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A Matera con Clementino,il corpo di ballo della Notte della Taranta e dj Damianito. A Gallipoli lo scoppio dei pupi in cartapesta dà il via al Concerto dell’Orchestra Popolare
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n capodanno travolgente che abbraccia ritmi e melodie del Sud Italia. Il Capodanno del Sud la lunga notte nella Città dei Sassi per festeggiare in piazza il nuovo anno vedrà salire sul palco i Genitori H24, un'associazione di volontariato in ambito socio sanitario di Matera che utilizzerà la lingua dei segni (Lis)
per coinvolgere proprio tutti gli spettatori che sono in piazza. Alle 22.30 invece avrà inizio l'esibizione del rapper Clementino che sino a mezzanotte coinvolgerà il pubblico con la sua perfomance. Dal rap partenopeo di Clementino ai ritmi della tradizione etnomusicale salentina. Saranno i ballerini de La Notte
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della Taranta subito dopo la mezzanotte a far ballare la piazza Vittorio Veneto di Matera a ritmo di pizzica. Dopo il successo del Concertone di Melpignano, il corpo di ballo sarà nuovamente in scena con una nuova produzione, a testimoniare la varietà del repertorio e la versatilità della compagnia. Il supporto al
Capodanno di Matera da parte della Fondazione La Notte della Taranta, da sempre impegnata a sostenere l’arte e la cultura popolare in Italia e all’estero, nasce dalla volontà di dare vita ad un percorso condiviso in vista di Matera 2019 – Capitale della Cultura. è stato infatti siglato un protocollo d’intesa tra Fondazione e Città di Matera che avvia la collaborazione tra i due enti impegnati a promuovere attività e ricerca sul legame tra paesaggio e musica. “Il protocollo ci consente, ha spiegato Ivan Stomeo, sindaco di Melpignano e componete del Cda della Fondazione, di coordinare le reciproche azioni al fine di rafforzare il rapporto tra turismo e cultura e avvicinare sempre di più i visitatori all’immenso bacino culturale tra Basilicata e Salento”. Lo spettacolo della Compagnia di danza de La Notte della Taranta proporrà alcune tra le più emozionanti coreografie firmate dai maestri coreografi Fabrizio Mainini e Luciano Cannito. Sul
palco di Matera: le ballerine Laura Boccadamo, Silvia Ciardo, Sara Colonna, Laura De Ronzo, Cristina Frassanito, Stefania Nuzzo, Serena Pellegrino, Francesca Sibilio e i ballerini Piero Balsamo, Francesco Bax, Stefano Campagna e Marco Martano. Sino a tarda notte a trascinare gli spettatori che sceglieranno Matera sarà il dj Damianito. Una grande festa per una lunga notte che sarà presentata da Ucciso De Santis accompagnato da Miss Basilicata 2017 Noemi Lapolla. Nel Salento, invece Gallipoli la perla dello Jonio si prepara a replicare il successo della prima edizione della Notte dei Pupi e della Taranta coniugando insieme musica di tradizione e arte della cartapesta. Il progetto nato dal dialogo tra Regione Puglia, Comune di Gallipoli, Associazione Cantieri del Capodanno e Fondazione La Notte della Taranta punta a valorizzare la tradizione dei Pupi di San Silvestro attraverso un percorso di conoscenza che parte il 26 dicembre e si conclude l’1 gennaio con il Concerto della celebre Orchestra Popolare. I Pupi dei quartieri realizzati dai maestri cartapestai dopo essere stati messi in mostra su Corso Roma il 26 e 27 dicembre insieme al Pupo speciale di grandi dimensioni metafora del vecchio anno al rintoccare della mezzanotte scoppieranno accendendo così il nuovo anno e dando di fatto il via alla grande festa di piazza Tellini, ore 19.30 con la Notte della Taranta. L’Orchestra Popolare diretta da Daniele Durante con Antonio Amato, Alessandra Caiulo, Enza Pagliara, Ninfa Giannuzzi, Stefania Morciano per un viaggio indimenticabile nella tradizione popolare del Salento, accompagnati da Roberto Chiga (tamburello), Nico Berardi (fiati), Francesco Astore (violino), Antonio Marra (batteria), Roberto Gemma (mantici) Valerio Combass Bruno (basso), Gianluca Longo (mandola), Attilio Turrisi (chitarra battente) presenterà una selezione di brani che con La Notte della Taranta tour hanno portato la musica popolare salentina dalla Cina a New York, dalla Giordania a Londra, dalla Germania a Kuwait City. Sul palco anche i ballerini di pizzica della Compagnia di Danza della Taranta Piero Balsamo e Andrea Caracuta, Laura De Ronzo e Serena Pellegrino.
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L’attore Peppe Barra che firma la regia e l’adattamento del testo de La Cantata dei Patstori in scena al Teatro Politeama di Napoli
peppe barra e la cantata dei paStori la natività tra Sacro e profano Antonietta Fulvio
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Al Politeama di Napoli in scena dal 14 dicembre al 6 gennaio 2018 la rilettura del testo scritto nel 1648 dall’abate Andrea Perrucci
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NAPOLI. «é la favola più bella del mondo, è il presepe che si muove» così ha definito La cantata dei Pastori l’attore Peppe Barra che da quarant’anni la porta in giro nei teatri italiani e del mondo. Anche quest’anno, quasi un rito che si rinnova, La Cantata va in scena a Napoli nel Teatro Politeama in via Monte di Dio. Accanto al maestro Barra, nelle vesti di Razzullo oltre che di regista, nel ruolo di Sarchiapone, storicamente interpretato da Concetta Barra e poi da Teresa del Vecchio, c’è Rosalia Porcaro. Insieme interpretano due figure popolari napoletane, Razzullo, scrivano assoldato per il censimento, e Sarchiapone, barbiere pazzo in fuga per omicidio. «La Cantata è un monumento, un pezzo di grande storia del teatro napoletano e per questo va protetta» - ha rimarcato l’attore napoletano evidenziando il successo dell’opera che ogni anno porta a teatro diecimila spettatori. Nella città dei presepi di via San Gregorio Armeno, ci dovrebbe essere anche una casa che ospiti
stabilmente questa tradizione per far sì che la Cantata possa essere rappresentata ogni anno facendo arrivare a Napoli il pubblico da ogni latitudine. Ed è davvero singolare la storia de La Cantata dei pastori che nasce come sacra rappresentazione commissionata dai gesuiti napoletani all’abate Andrea Perrucci 1651-1706) che la firma nel 1648 con lo pseudonimo di Ruggiero Casimiro Ugone. L’intento era distogliere i napoletani dagli spettacoli blasfemi che si facevano in quel periodo nella Napoli del vicereame che affascinavano il pubblico al punto da farlo disertare la messa di Mezzanotte. La rappresentazione con il titolo originale Il Vero Lume tra l'Ombre, ovvero la Spelonca Arricchita per la Nascita del Verbo Umanato racconta il viaggio di Maria e Giuseppe verso Betlemme e delle insidie che i Diavoli frappongono loro per impedire la nascita di Gesù. Ma sconfitti i Diavoli grazie agli Angeli, i pastori possono adorare finalmente il Bambinello icona del
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Bene che riesce sempre a sconfiggere il Male. L’opera però così come concepita dall’abate Perrucci durava quattro ore e non entusiasmava il pubblico napoletano che con il tempo se ne appropria e la trasforma costruendo un personaggio comico, il mostriciattolo Sar-
chiapone, che affianca Razzullo figura già esistente nella stesura originale e trasformato nel popolano perennemente affamato che richiama il Pulcinella della Commedia dell’Arte. L’opera perde sempre più la sua sacralità colorandosi, anche grazie alla contrapposizione tra la lingua colta dello scrivano Razzullo e il dialetto di Sarchiapone, diventando tra versi arcadici e lazzi scurrili, così divertente ma profana da essere considerata blasfema e addirittura proibita nel 1889 con un editto cardinalizio, che farà dire, poi, a Benedetto Croce che l’opera «era finita e non sarebbe stata rappresentata mai più».Vietata anche nel periodo fascista, continuò ad essere invece rappresentata, prima clandestinamente, poi nei teatrini di quartiere e negli oratori parrocchiali, infine nel 1974 il maestro Roberto De Simone la rilegge e la presenta al Teatro San Ferdinando con la Nuova Compagnia di Canto Popolare e con lo stesso Peppe Barra che negli anni Ottanta insieme alla mamma Concetta le fa varcare i confini nazionali. Tra sentimento cattolico e rito pagano, la Cantata dei Pastori, sopravvissuta a quattro secoli di rappresentazioni e contaminazioni, è il testo teatrale più longevo della tradizione del teatro barocco napoletano e racconta, come si diceva, le traversie di Giuseppe e Maria per giungere al censimento di Betlemme e gli ostacoli che la santa coppia dovrà superare prima di trovare rifugio nella grotta della Natività. Razzullo e Sarchiapone, di fatto due
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maschere della tradizione partenopea, diventano testimoni della Nascita che cambia il corso della Storia ma anche protagonisti delle vicende che porteranno a sconfiggere le forze del male. L’opera nata in prosa vede l’esecuzione di un canto il cui incipit «Quanno nascette Ninno a Betlemme, era notte e pareva miezo juorno» suggerisce già tutta la grandiosità dell’evento. Testo di grande forza poetica ed espressiva, “Quanno nascette Ninno”, dalla cui traduzione deriva la canzone “Tu scendi dalle stelle”, fu scritta in lingua napoletana nel dicembre 1754 dal vescovo Alfonso Maria de’ Liguori, santificato dalla Chiesa, che fu il primo a usare il dialetto per canti religiosi. Nell’arco dei quarant’anni di rappresentazioni, l’attore e regista Peppe Barra ha adattato e riscritto con Paolo Memoli La Cantata dei Pastori: ovvero due ladroni a Betlemme attualizzandola e adattandola al pubblico di oggi ma lasciando inalterato il fascino del suo cuore antico. Sul palco anche Patrizio Trampetti (Diavolo Oste/Cidonio), Maria Letizia Gorga (Zingara/Gabriello), Marco Bonadei (Demonio), Enrico Vicinanza (Ruscellio), Francesco Viglietti (Armenzio), Andrea Carotenuto (Giuseppe), Chiara Di Girolamo (Maria Vergine) e il piccolo Giuseppe De Rosa (Benino). Le musiche sono di Lino Cannavacciuolo e Roberto De Simone. Le scene di Tonino Di Ronza, i costumi di Annalisa Giacci e le coreografie di Erminia Sticchi.
Ritratto di Roberto Daolio, foto di Mili Romano, 2004
roberto daolio. la colleZione non intenZionale di Un critico d’arte
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Fino al 6 maggio al MAMbo - Museo d'Arte Moderna di Bologna
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BOLOGNA. è dedicata all’incessante e attenta opera del critico d’arte Roberto Daolio, prematuramente scomparso nel 2013, la mostra inaugurata lo scorso 8 dicembre al MAMbo - Museo d'Arte Moderna di Bologna. Il focus espositivo Roberto Daolio. Vita e incontri di un critico d'arte attraverso le opere di una collezione non intenzionale, visibile fino al 6 maggio 2018, presenta una selezione di opere d'arte e documenti parte della collezione che entrerà prossimamente in possesso del museo grazie alla liberale volontà degli eredi Stefano Daolio e Antonio Pascarella che l’hanno voluta donare integralmente. Le opere, quasi sempre di piccolo formato e spesso accompagnate da una dedica, sono state donate dalle artiste e dagli artisti con cui il critico d'arte, fra i più attivi e stimati in ambito nazionale, ha intessuto fitte relazioni intellettuali e operative, di carattere sia professionale sia amicale. La raccolta costituisce quindi una significativa testimonianza, per quanto parziale, di una vicenda biografica densa di incontri e attraversamenti, dialoghi e scambi, che ha dato un impulso sostanziale alla crescita e alla diffu-
sione dell'arte emergente, componendone uno spaccato rappresentativo degli sviluppi più rilevanti, soprattutto in area emiliana, nel corso di oltre quarant'anni. In considerazione del rilevante valore storico e artistico di questo corpus di opere, attraverso cui è possibile cogliere quanto sia stata centrale la figura di Daolio come riferimento critico per il contesto artistico bolognese durante tutti gli anni ‘80 e ‘90, nonché come attento osservatore della scena nazionale in contatto con le più importanti gallerie e istituzioni museali, l'Amministrazione Comunale ha accettato con gratitudine la proposta di donazione degli eredi, in coerenza con l'obiettivo programmatico volto all'acquisizione di opere, documenti e testimonianze in grado di ampliare ed integrare le proprie collezioni museali esistenti. La mostra si articola per passaggi che consentono di individuare i principali tracciati della ricerca e dell'attività di Daolio, attraverso una scelta ragionata di un centinaio di pezzi dei 146 che compongono la donazione, alcuni dei quali sottoposti a interventi di restauro conservativo per questa occasione.
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Alessandra Tesi, Verde HL 1, 1996, fotografia a colori su carta lucida 225 x 150 cm
I lavori di tale collezione, “involontaria” in quanto priva di un organico indirizzo distintivo, appartengono il più delle volte a una produzione di non facile classificazione, che può essere definita "minore”, apparendo talvolta perfino di statuto artistico incerto, come nel caso delle lettere e dei messaggi stu-
pendamente decorati spediti per posta da Luciano Bartolini. Tuttavia, il loro addensarsi intorno alla personalità di Daolio le rende, nel loro insieme e nella corrispondenza di complicità affettive che sottendono, sintomatiche di un metodo di lavoro originale, costantemente rivolto verso l'insorgenza di fenomeni e di talenti nascenti, osservati e interpretati con disinteressata e selettiva partecipazione. L’acquisizione della raccolta, oltre a consentire al MAMbo di accogliere nel proprio patrimonio testimonianze dell'attività di artisti spesso molto noti e affermati anche a livello internazionale, permette di arricchire le potenzialità di lettura delle opere d'arte con riflessioni allargate sulla loro genesi, spostando l'attenzione da una semplificata e lineare storia delle forme alla complessità dei rapporti di cooperazione che sempre ne accompagnano l'origine, l'esecuzione, l'esposizione e la trasmissione. Nel suo costante raccordare analisi teorica e attuazione pratica, Daolio ha intrecciato in un continuum di rigorosa coerenza i diversi ruoli e ambiti nei quali si è trovato ad operare. Dall'insegnamento all'Accademia di Belle Arti di Bologna, presso cui è stato titolare della cattedra di Antropologia e sociologia dell'arte dal 1977 al 2012, alla collaborazione con quotidiani e riviste specializzate, dall'incoraggiamento e dalle presentazioni di giovani artisti alla curatela di mostre, la sua multiforme attività si è svolta seguendo una rara uniformità di principi, improntati al riconoscimento e allo sviluppo del-
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le funzioni sociali dell'arte contemporanea. Una metodologia che includeva il confronto cooperativo con contesti diversi, dagli spazi indipendenti alle istituzioni pubbliche, dagli ambienti pubblici non deputati all'arte contemporanea ai musei, e che ha visto Daolio collaborare generosamente a più riprese, nel corso della sua intera carriera, con la Galleria d'Arte Moderna di Bologna poi trasformatasi in MAMbo. Nel corso della rassegna sarà inoltre pubblicata un'agile pubblicazione esplicativa, disponibile gratuitamente al pubblico, realizzata in collaborazione e con il sostegno dell'Accademia di BelleArti di Bologna dove sarà organizzato un ciclo di incontri e workshop che approfondiranno la figura e l'attività didattica e critica di Roberto Daolio. In particolare è prevista una giornata di ricordi e testimonianze che coinvolgerà gli stessi artisti in mostra. I workshop, tenuti da artisti e curatori nazionali e internazionali come Leone Contini, Cecilia Guida, Nico Dockx, Doerte Meyer, forniranno una base di riflessione metodologica fondamentale sulla Public Art; un ambito, quello delle ricerche artistiche che indagano lo spazio pubblico, centrale nell’azione critica di Roberto Daolio. Roberto Daolio. Vita e incontri di un critico d'arte attraverso le opere di una collezione non intenzionale Bologna, MAMbo, Museo d'Arte Moderna di Bologna Orario: martedì, mercoledì, domenica e festivi: 10.00–18.00; giovedì, venerdì e sabato: 10.00–19.00; lunedì chiuso. Info: 051 649 6611
Il convento di Lequile, foto Sara Foti Sciavaliere
Gli SpaZi naScoSti del convento di leQUile Sara Foti Sciavaliere
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Costruito dai Francescani agli inizi del Seicento, attualmente è gestito da associazioni per conto del Comune
LEQUILE (LECCE). A Lequile, uno comuni della prima cintura urbana di Lecce, nella Valle della Cupa, si trova uno dei complessi conventuali che custodisce un antico fondo librario. è il Convento dei Francescani, costruito tra il 1613 e il 1619 da maestranze locali, ha superato indenne le varie soppressioni delle corporazioni religiose in Italia. Superato il corridoio della portineria, il visitatore si immette nel chiostro, fino a poco tempo fa verdeggiante delle piante di cui si prendevano paziente cura gli ultimi due frati che qui hanno vissuto. Ora la struttura passata in mano al Comune e stata parcellizzata affidandone la gestione ad associazioni locali, tra queste la Pro Loco che ci permette di dare uno sguardo in alcuni ambienti, laddove sono potuti intervenire tempestivamente contro l’incuria dell’abbandono. Qui nel chiostro si può ammirare il classico quadriportico con al centro uno slanciato pozzo in pietra leccese, abbellito alla base da un caratteristico bugnato rinascimentale a squame. I corridoi chiostrali
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sono decorati da dodici affreschi del ciclo della Via Crucis commissionati dal frate lequilese Gregorio Cascione – allora guardiano del Convento – nel 1692, prima delle regola fissata da Clemente XII, nel 1731, che fissò in quattordici il numero delle stazioni canoniche. Degli affreschi del chiostro, oggi ne sono leggibile solo undici e sono opera di frescanti francescani. Non si tratta di opere di ottima fattura pittorica, tuttavia sono importanti, proprio perché rappresentano uno dei primi tentativi salentini di rappresentazione della Via Crucis precedente al decreto di Clemente. In particolare, ne segnalo tre tra i più significativi. Entrando nel portico del chiostro, sulla parete di sinistra, la terza stazione – “Gesù condotto davanti al Sommo Sacerdote Caifa” –, qui vi è indicata la data di esecuzione delle opere pittoriche, oltre al nome di uno dei committenti “Lorenzo Cascione, il Sindaco”. Se da qui si percorre il braccio destro del portico, sulla parete di fronte, troviamo la settima stazione – “Caduta di Gesù, incontro con il Cireneo e la Veroni-
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ca” –, dove sono fuse insieme le tre attuali stazioni delle tre cadute di Gesù, l’incontro con il Cireneo che nell’affresco vediamo (a destra) reggere parte del peso della croce caricata sulle spalle di Gesù prostrato a terra e (a sinistra) l’incontro con la Veronica in procinto di asciugare il volto sofferente dell’“Uomo dei dolori”. Sulla parete dove
sono collocati gli accessi al piano superiore del convento, troneggia l’undicesima stazione – “Gesù risorge dalla tomba” –, questa rappresentazione costituisce una novità in rapporto alle attuali quattordici stazioni e ci mostra i soldati “spaventati” e accecati dallo splendore del Signore Risorto.
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Il convento di Lequile, foto Sara Foti Sciavaliere
Dal chiostro si accede poi all’antico Refettorio, arricchito da dipinti murari realizzati con la tecnica del “mezzo fresco”, da “tavoli fratini” tipici delle mense dei conventi medioevali sorretti da supporti in pietra leccese finemente intagliati, da pannelli lignei acquerellati, e dall’originale pavimento in”cocci pesto”, dove si può ancora leggere in numeri romani la data di ultimazione dei lavori del complesso (1619). è l’unico refettorio ligneo del Salento giunto integro fino a noi, e forse addirittura in tutta la Puglia, quindi vale la pena di essere ammirato e visitato. Sulla parete interna dell’ingresso, in una lunetta di 16mq, è raffigurato l’“Incontro di San Francesco e San Domenico”, inserito nel contesto del Capitolo delle Stuoie, [uno dei primi capitoli-raduni nella storia dell’ordine francescano, raccontato nel capitolo 18 dei Fioretti, il florilegio sulla vita di san Francesco d’Assisi e dei suoi discepoli. Sulla parete di fronte campeggia, invece, sempre delle stesse dimensioni, la “Cena del Signore”, scena tipica dei refettori conventuali, qui troviamo la presenza di paggetti che servono al tavolo e i commensali coinvolti con abiti dell’epoca di realizzazione dell’opera. Oltre ai due grandi affreschi se ne possono ammirare altri tre di estensione inferiore, con scene tipicamente francescane: il primo (sulla parete di destra) raffigura “San Francesco in barca con alcuni uomini sul lago Trasimeno”, che seda la tempesta; il secondo (sulla parete di sinistra) rappresenta “San Diego d’Alcalà che riceve la visita di un angelo” recante un sacco di pane per sfamare i frati privi del necessario. Al centro della volta a botte un medaglione con lo stemma francescano. Si possono notare, infine, un arti-
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Il convento di Lequile, foto Sara Foti Sciavaliere
stico lavabo in pietra leccese dove i frati potevano dedicarsi alle abluzioni prima di ogni pasto, e i pannelli lignei degli schienali acquerellati, con soggetti profani, raffiguranti scene campestri, venatorie e marinare, che rinviano alle atmosfere dell’arte napoletana settecentesca, e potrebbero essere in qualche modo allusive alle stagioni. Salendo per la scala principale, al primo piano, attualmente non accessibile, si giunge alla biblioteca, fatta costruire nel 1695 da Padre Gregorio Cascione, divenuto nel frattempo Ministro Provinciale della Serafica Riforma in Puglia. La biblioteca, intitolata a San Francesco, rientra nel circuito delle “Biblioteche di Terra d’Otranto” e conserva un fondo antico di 2093 volumi, tra cui cinquecentine, seicentine e settecentine di vari tipografi veneziani, romani, napoletani, francese. Una grande finestra centrale inonda di luce la volta a vela e lunettata, riccamente decorata con motivi floreali e abbellita con dipinti a “mezzo fresco” che riproducono i grandi Maestra della Scuola filosofico-teologica francescana, mentre sull’architrave della porta si possono notare i Maestri minori della scuola francescana nell’atto di prendere appunti con carta e penna d’oca. Lasciato il convento,
avendone l’opportunità, è interessante fare una capatina anche nell’attigua chiesa conventuale intitolata a San Francesco. Si presenta con una facciata lineare e all’interno a un’unica navata rettangolare che ospita otto cappelle. I due elementi di arredo liturgico di maggior pregio sono il Crocifisso ligneo del 1693 che sovrasta l’altare maggiore, il primo scolpito in Terra d’Otranto, e il tabernacolo, anch’esso in legno, realizzato alla metà del XVII secolo. Quest’ultimo è uno dei capolavori di ebanisteria di fra’ Giuseppe da Soleto, con una struttura a pianta pentagonale si sviluppa su tre livelli, terminanti con cupolino e croce superiore; ovunque, sulla superficie, sono distribuiti piccoli specchi, di cui alcuni originali dell’epoca della costruzione, a simboleggiare e a favorire l’irradiamento di luce dall’altare maggiore della chiesa. Il Tabernacologioiello è ben sorretto da travi immurate e mascherate da un paliotto in legno venato che alterna motivi geometrici con volti umani, originaria balaustra del “Cori di notte”, e qui collocato nel 1973 in occasione della ristrutturazione dell’area presbiteriale. è impossibile non alzare lo sguardo e soffermarsi a osservare, nella grande nicchia centrale dallo sfondo rosso cardinale, il
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Il convento di Lequile, foto Sara Foti Sciavaliere
Crocifisso seicentesco del calabrese Frate Angelo da Pietrafitta. Quest’opera suscitò devozione e ammirazione a tal punto che gli conventi desiderarono averne uno nelle proprie chiese, come di fatto avvenne (si veda per esempio quello nella Basilica di Santa Catrina d’Alessandria a Galatina, nell’ambulacro di destra, tra l’altare maggiore e quello di San Francesco). Il Crocifisso di Lequile è modellato con morbida delicatezza e allo stesso tempo con sano “verismo” ponendo in evidenza tenui rivoli di sangue, piaghe, lacerazioni e lividure. Oltre alle piaghe in vista sul volto a causa della corona di spine, sulle ginocchia per i segni delle cadute della durante la “via dolorosa” e quella costato trafitto dalla lancia del soldato Longino, vi è un’altra – invisibile all’occhio del visitatore –, ed è quella sulla spalla, generatasi nel portare il legno della croce: questa è una caratteristica dei crocifissi di Angelo da Pietrafitta. è suggestivo, infine, contemplare le tre espressioni di Gesù sulla croce: la serenità della sofferenza (visto da sinistra); la compostezza dell’agonia (visto dal centro); l’abbandono fiducioso nella morte (visto da destra). Davanti a una simile opera è spontanea essere mossi alla pietà e alla preghiera.
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a lecce la notte del folk accende di ritmo il nUovo anno
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Il 4 gennaio alle Officine Cantelmo con Simona Bencini, Carolina Bubbico e Riccardo Onori
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LECCE. Un viaggio dalle origini del funk ai giorni nostri con la cantante Simona Bencini (vocalist dei Dirotta su Cuba, nella foto) e il chitarrista Riccardo Onori (da quasi un ventennio collaboratore di Jovanotti) per celebrare e festeggiare i 50 anni di un genere, a base di riff e tanto ritmo, che è nato mescolando in modo del tutto naturale jazz, soul e rhythm & blues. è “La Notte del Funk” e si terrà giovedì 4 gennaio (ore 21 - ingresso 10 euro) alle Officine Cantelmo. Sul palco saliranno Michele Papadia (vintage keyboards e synth bass) e Mimmo Campanale (batteria). Ospite della serata sarà la giovane cantante, polistrumentista, autrice, direttrice d’orchestra e compositrice leccese Carolina Bubbico. La ricca scaletta proporrà brani, tra gli altri, di James Brown, Ida Sand, Snarky Puppy, Shayna Steele, Connie Constance, Jamiroquai solo per citare qualche nome. In mattinata Onori terrà una masterclass organizzata da Audiogrill, scuola pugliese di Electronic Music e Audio Technology, in collaborazione con le Officine Cantelmo, nell'ambito del progetto “Chitarristi in Tour”. Info e prenotazioni 3203668576 - 3475201533 info@audiogrill.it Il funk è spesso identificato come la risposta afroamericana alla disco music degli anni Settanta. Ma di funk – o più propriamente di funky – si parlava già negli anni cinquanta quando il termine era ampiamente utilizzato per identificare uno
stile jazzistico che, non dimentico delle strutture armoniche del blues, risultava straordinariamente danzabile, perché basato su ritmi sincopati ed incalzanti. E se parliamo di Funk e nello specifico delle sue prime manifestazioni, come non citare James Brown, l’artista che è unanimemente considerato il suo progenitore? Dopo gli album “Papa's Got a Brand New Bag” (1965), “I Got You (I Feel Good)” (1966) e “Sex Machine” (1970), si cominciò a considerare il funk come un vero e proprio genere. Anche se il termine fece la sua comparsa ufficiale con “Funky Broadway”, un brano di Dyke and the Blazers pubblicato nel 1967. Dopo arrivarono il soulfunk acidulo di Sly And The Family Stone e del loro There’s a Riot Going On, le orge psichedeliche dei Funkadelic, la storica formazione di George Clinton; le contaminazioni con la disco music (Earth, Wind & Fire, Kool & The Gang, Jackson Five o Brand New Heavies) e la nascita del jazz-funk (Miles Davis, Herbie Hancock, George Duke, George Benson, Stanley Clarke) fino ad arrivare ai giorni nostri con influenze del funk nell’acid jazz, nei primi esperimenti di hiphop, nella musica house di Chicago o nella prima Techno di Detroit. Un genere non-genere, quindi, che, sebbene abbia vissuto il suo exploit nel corso degli anni Settanta, non ha mai davvero cessato di esistere.Info e prenotazioni 3203668576 3475201533
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Dall’alto in basso i maestri Giovanni Grano e Alberto de Michele. Pagina a lato: Roberto Fabbri e Sergio Stefano Schiattone
l’ XmaS GUitar conteSt al via la decima ediZione
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Il laboratorio interattivo di chitarra classica e jazz ideato dal chitarrista Sergio Stefano Schiattone
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LECCE. Al via la decima edizione dell’Xmas Guitar Contest, il laboratorio interattivo di chitarra classica e jazz che ospita Masterclass, workshops, seminari – performance e concerti nonchè una selezione per giovani concertisti. L’iniziativa, nasce nel 2008 da un progetto di Stefano Sergio Schiattone e costituisce la cellula embrionale del Salento Guitar Festival affermandosi come evento di tradizione del calendario invernale nella città storica. L’edizione di quest’anno si arricchisce di un’altra prestigiosa partnership in territorio salentino: la Galleria d’Arte “Francesco Foresta” dove si svolgerà la maggior parte della programmazione, oltre alle consolidate sinergie con il Conservatorio Tito Schipa, la Fonda-
zione Palmieri, l’Accademia di Musica Yamaha di Lecce. Tra i partners di prestigio il “Verona Guitar Festival”, il “Fiuggi Guitar Festival”, l’Hotel Tiziano e dei Congressi, Guitarsland, il quotidiano online Leccesette. Le attività formative partiranno alle ore 10 di mercoledì 27 dicembre e si concluderanno alle 18 di Venerdì 29 dicembre. Ospiti i Maestri Giovanni Grano, docente di chitarra presso il Conservatorio di Musica di Verona e direttore artistico del Verona Guitar Festival, Roberto Fabbri, docente di chitarra presso il conservatorio di Musica di Frosinone e direttore artistico del Fiuggi Guitar Festival, Alberto De Michele, docente di chitarra jazz. Apertura dei lavori il 27 dicembre alle
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21 con gli onori di casa del direttore artistico in Crossover Guitar Stories, con la partecipazione straordinaria del soprano Lucia Conte e la conduzione di Barbara Politi, presso la Galleria Francesco Foresta in via Federico d’Aragona. Il 28 dicembre ore 21, sempre presso la Galleria Foresta, La chitarra acustica di Tommaso Pelliccia con presentazione del cd “Suono” del chitarrista – compositore romano e, a seguire, La chitarra classica di Roberto Fabbri icona della chitarra classica per il suo straordinario catalogo di pubbli-
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cazioni tradotte nelle principali lingue del mondo. Gran finale per il tradizionale Gala degli Auguri del 29 dicembre con La chitarra Jazz di Alberto de Michele, il Salento Guitar Ensemble ed il Drum Circle Project di Fulvio Panico con i percussionisti dei Cantori d’Ippocrate. Infoline 339 5416152 – 335 7518577 www.salentoguitarfestival.com
Silvia Papas, Meeting room, 150x200cm, acrilico su tela
poStcardS from paradiSe le donne di Silvia papaS
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A Castel dell’Ovo fino al 7 gennaio 2018 venti opere inedite che indagano la solitudine nella società globalizzata
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NAPOLI. Postcards from Paradise è il nuovo progetto espositivo di Silvia Papas che dal 9 dicembre 2017 al 7 gennaio 2018 torna ad esporre in Italia, nelle sale espositive di Castel dell’Ovo. L’artista trevigiana, ma padovana di adozione, racconta in venti opere inedite la solitudine al femminile nelle metropoli globalizzate: donne in movimento, bellissime, ricche e spavalde che trasformano le caotiche città occidentali in copertine da magazine patinati, modelle sicure di sé eppure quasi perse in luoghi affollati e sempre in corsa, fissate in attimi cristallizzati. Molto conosciuta e apprezzata all’estero (Stati Uniti, Francia, Scandinavia, Norvegia Spagna, Portogallo, Svezia, Austria,) Silvia Papas sceglie Napoli per proporre in anteprima assoluta al pubblico venti lavori di medie e grandi dimensioni, acrilici su tela, che decifrano dipendenze e simboli del nuovo/vecchio mondo, ispirandosi alla cartellonistica pubblicitaria e alle riviste di moda. «Quella di Silvia Papas è un pittura “on the road” – spiega la curatrice Marina Guida - in cui squarci di metropoli scintillanti e lussureggianti restituiscono la vita quotidiana di personaggi dalle apparenze perfette, condannati all’indistinzione e presi da tante piccole manie, mai immobili, all’inseguimento spasmodico di riferimenti estetici imposti dal marketing e valori etici improntati all’opulenza economica. Le contraddizioni della globalizzazione e dei suoi modelli di sviluppo, esplodono con forza nelle sue opere. Nei suoi lavori il colore steso per piatte campiture, ricorda la cartellonistica e la sintesi grafica utilizzata nel
fashion marketing». «Sin dalle mie esperienze iniziali nel settore pubblicitario e della scenografia – commenta Silvia Papas – avverto un fascino ambivalente verso il fashion system o per linee generali verso la cosiddetta società dell’apparenza, ne sono attratta da sempre pur mantenendo un certo senso critico. Le mie figure sembrano vere, vive, ma in realtà sono prototipi così uniformati, somiglianti, da svelarsi fittizi. Donne che stringono oggetti costosi, hanno cani al guinzaglio, indossano vestiti ricercati, tutti status symbol contemporanei che non le sollevano dalla minaccia di isolamento, non a caso attraversano le tele da sole, sullo sfondo la presenza umana è pressoché inesistente». Tra le città protagoniste delle opere s'intravedono, appena accennate, New York, Madrid, Napoli, Parigi, Miami, Cannes, Venezia, nel chiaro intento di una visione totalmente global, in cui a fare da scenario non c’è qualcosa di rappresentativo ma spazi simbolo della surmodernità. In occasione dell’esposizione è stato pubblicato il catalogo edito da Vecchiato Arte, che organizza la mostra in collaborazione con Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli. Silvia Papas Postcards from Paradise fino al 7 gennaio 2018
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kidS, la città e le periferie ecco il teatro per i più piccoli LECCE. La città bambina è il tema della quarta edizione del “Festival internazionale del teatro e delle arti per le nuove generazioni”. Da giovedì 28 dicembre a domenica 7 gennaio la manifestazione proporrà a Lecce dieci giorni di spettacoli con alcune tra le realtà più importanti del teatro per l'infanzia e la gioventù in Italia e in Europa, incontri, laboratori, mostre, un focus sull’attore e regista Roberto Anglisani, parate, una festa finale, l’operazione Robin Hood e una maggiore attenzione alle periferie. Il programma del festival prenderà il via, si diceva, alle Manifatture Knos, giovedì 28 dicembre alle 17 con "Il mondo delle marionette" dell’artista Teodor Borisov, allievo della grande scuola bulgara all’avanguardia in Europa. Lo spettacolo (età consigliata dai 3 anni) sarà in replica il 29 dicembre alle 11, sempre al Knos, e il
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30 dicembre alle 17.30 nel Salone Parrocchiale della frazione di Borgo Piave. Sempre al Knos (28 dicembre ore 18.30 e 29 dicembre ore 20.30) "Il principe felice con lieto fine" di e con Giuseppe Semeraro e Cristina Mileti di Principio Attivo Teatro (dai 6 ai 13 anni), "Bertuccia e la biblioteca universale" (3 gennaio ore 11 e 17) di e con Fabrizio Pugliese della compagnia Ura Teatro (dai 6 anni); due spettacoli della compagnia toscana Tpo che, grazie all’uso di sensori e tecnologie digitali si trasformano in un ambiente interattivo dove sperimentare il confine sottile tra arte e gioco: "Farfalle" (3 e 4 gennaio 17 e 19) e "Pop Up Garden" (5 e 6 gennaio 16.30 e 19) firmati da Francesco Gandi e Davide Venturini (dai 6 anni). La ravennate Compagnia Drammatico Vegetale proporrà lo spettacolo "Zoo di Pinocchio" di Pietro Fenati (da 5 a 11 anni - 5 gennaio
A Lecce dal 28 dicembre al 7 gennaio dieci giorni di spettacolo incontri, laboratori, mostre, e un focus sull’attore e regista Roberto Anglisani
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Il teatro del Piccione, Piccoli eroi
Michele Cafaggi
TPO Farfalle
alle 17.30 e 6 gennaio alle 11 e alle 17.30) e per i piccolissimi dai 18 mesi ai 3 anni l’installazione "Pin’Occhio attraverso lo specchio" (5 e 6 gennaio con quattro turni). Il Teatro Paisiello ospiterà "Biancaneve, la vera storia" della compagnia tarantina Crest (28 dicembre ore 20.30 e 29 dicembre ore 17) per la regia di Michelangelo Campanale (dai 5 anni), "Controvento. Storia di aria, nuvole e bolle di sapone" (30 dicembre ore 20.30) dell’attore e regista milanese Michele Cafaggi, il primo artista in Italia a creare uno spettacolo intero dedicato alle bolle di sapone (dai 2 anni); "Cinema Paradiso" (3 e 4 gennaio ore 20.30) della compagnia di Ruvo di Puglia La Luna nel letto (da 8 anni), "Pulgarcito – Pollicino" della compagnia spagnola Teatro Paraiso (5 e 6 gennaio ore 20.30), divertente per i bambini (dai 7 anni) e commovente per gli adulti. Nel salone del teatro appuntamento per i più piccoli (da 1 a 3 anni) con "Mam’zelle Chapeau – La signorina Cappello" della svizzera Le Cockpit (4, 5 e 6 gennaio ore 11 e 17). Il Museo Ferroviario della Puglia ospiterà anche quest’anno il progetto speciale In viaggio con le storie che il 29 e 31 dicembre e il 3 e 5 gennaio (ore 11 e 12) proporrà un piccolo festival della narrazione, un modo originale per viaggiare con la fantasia a bordo delle vecchie locomotive che sono custodite nel Museo guidati da Angela De Gaetano, Daria Paoletta, Roberto Anglisani, Simona Gambaro, Andrea Lugli e Liliana Lettere. Il Castello Carlo V accoglierà invece due spettacoli della Compagnia genovese Teatro del Piccione: "Escargot. L’eterna bellezza delle piccole cose" (29 dicembre ore 17, 30 dicembre ore 11.00 e 17.00 e 31 dicembre ore 11.00) di e con Danila Barone, da un’idea di Cristina Cazzola e Sophia Handaka per la regia di Antonio Panella (dai 2 anni) e lo spettacolo, Premio Eolo 2017, "Piccoli Eroi" (29 dicembre ore 18.30 e 21 e 30 dicembre ore 18.30) di e con Simona Gambaro per la regia di Antonio Tancredi (dai 12 anni). La serata finale domenica 7 gennaio alle Manifattura Knos proporrà dalle 17 la fase finale del progetto "Rent a movement. Perché mi presti questo gesto?"
di e con Elisa Cuppini del Teatro delle Briciole di Parma. Kids mette al centro come sempre i bambini e le bambine, la loro capacità di reinventare i luoghi e trasformare gli spazi in cui abitiamo in una città “bambina” per pubblici di ogni età. Un auspicio anche per una città che si rinnova e fa tesoro delle esperienze e guarda il mondo con la purezza e la curiosità che solo i piccoli hanno. Kids è una festa del teatro e dei generi che lo attraversano alla scoperta di un mondo che può divertirci e farci pensare. E poi ancora le festose parate per le vie della città, mostre, un mercato del baratto di Fermenti Lattici (che curerà anche un percorso sulla figura di Vivian Maier, partendo dalle illustrazioni e dai testi del libro "Lei. Vivian Maier", edito da Orecchio Acerbo, che rientra nel progetto "Letture Strabilianti per Bambini e per Giganti" finanziato dal Centro per il Libro di Roma nell'ambito di Lecce Città del Libro 2017), laboratori gratuiti con Francesca Randazzo, CirKnos, Bla Bla Bla, Teodor Borisov, Michele Abbondanza e Antonella Bertoni (due star della danza contemporanea italiana). Tanti i fili che legano la programmazione e i luoghi della città per un festival che vuole di anno in anno essere sempre più inclusivo grazie anche ai biglietti sospesi dell’Operazione Robin Hood. Dopo il successo della scorsa edizione, anche quest’anno sarà possibile aderire acquistando un biglietto sospeso o una Kids card destinati a un’associazione o un istituto che si occupano di disagio nel mondo dell’infanzia che consegnerà il biglietto/card a un piccolo spettatore (info 3277372824 toniodenitto@me.com - organizzazione@principioattivoteatro.it).
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toUloUSe-laUtrec il mondo fuggevole a cura di Danièle Devynck e Claudia Zevi Milano, Palazzo Reale fino al 18 febbraio 2018 Intero € 12. Tel. 02 54915 andy warHol forever Simone d’aUria - freedom Firenze, Gallery Hotel Art (Vicolo dell'Oro, 5) fino al 31 dicembre 2017 Ingresso libero Tel. 055 27263 made in america. le mille luci di new york Prato, Galleria Open Art (viale della Repubblica, 24) fino al 27 gennaio 2018 Orari: lunedi-venerdi, 15.00 - 19.30; sabato: 10.30-12.30; 15.00-19.30; chiuso domenica e festivi a palaZZo roncale, i capolavori dei concordi Rovigo, Palazzo Roncale, fino al 21 gennaio 2018 Ingresso Gratuito. Orari Apertura: feriali 9 – 19, Sabato e festivi 9 -20 (apertura 7 giorni su 7). Info: www.palazzoroverella.com florencia martineZ. H. Honey Hungry Home Milano, Gilda Contemporary Art (via San Maurilio 14) fino al 14 gennaio 2018. Orari: dal martedì al venerdì dalle 10.30 alle 19. Sabato 10.30/13; il pomeriggio su appuntamento. Info: 339.4760708
traiano. coStrUire l’impero, creare l’eUropa Roma, Mercati di Traiano Museo dei Fori Imperiali fino al 16 settembre 2018 franco paGetti.tutti i confini ci attraversano CMC- Centro Culturale Milano, Largo Corsia dei Servi, (4MM1 San Babila, MM3 Duomo) fino al 21 gennaio 2018 Ingresso gratuito (donazione suggerita € 5) Info: 02 86455162 dentro caravaggio milano , palazzo reale fino al 28 gennaio 2018 Lun: 08:30 - 14:30 (riservato scuole) Lun: 14:30 - 22:30 Mar e mercoledì: 09:30 - 20:00 dal giovedì al sabato: 09:30 - 22:30 Dom: 09:30 - 20:00. Ultimo ingresso un’ora prima della chiusura. revolUtija da chagall a malevich da repin a kandinsky MAMbo - Museo d'Arte Moderna Bologna, via Don Minzoni, 14 fino al 13 maggio 2018 frammentaZioni fino al 20 dicembre 2017 Villa Blanc Roma, Via Nomentana, 216 Ingresso gratuito – da lunedì a venerdì dalle 15 alle 20 con ultimo ingresso alle 19.15 Sabato dalle 10 alle 14. robert doiSneaU. pescatore d’immagini Pavia, Broletto (piazza della Vittoria) fino al 28 gennaio 2018 Orari Martedì, giovedì, venerdì 10:00-13:00 / 14.00-18:00 Mercoledì, 10:00-13:00 / 14.0022:00. Sabato, domenica e festivi 10:00-19:00. Biglietti: Intero 9€; Ridotto 7€; Scuole 5€
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lo SGUardo di narciSo – tHe GaZe of narciSSUS MATTHEW ALLEN - SAURO CARDINALI - JASON GRINGLER - SALI MULLER JOHN NICHOLSSON - JONNY NIESCHE The Flat - Massimo Carasi Milano, via Paolo Frisi, 3 (MM Porta Venezia). Info: 02 58313809. Orario: Martedi - Sabato 14.30 - 19.30 o su appuntamento paola de roSa. da Una roSa all'altra Trevignano Romano (Rm), Onde di Carta fino al 6 gennaio 2018 Orari: dal martedì alla domenica, dalle 9.00 alle 19.30 Ingresso: libero l’arte per l’arte da previati a mentessi, da boldini a de pisis. Un nuovo percorso al castello estense Ferrara, Castello Estense fino al 27 dicembre 2017 Orari di apertura Aperto tutti i giorni: 9.30 – 17.30 La biglietteria chiude 45 minuti prima. Chiuso il lunedì nei mesi di: ottobre, novembre, dicembre. Chiuso il 25 dicembre 2017. Aperto il 26 dicembre 2017. Infotel. 0532 299233 castelloestense@comune.fe.it cronache dal set: il cinema di paolo Sorrentino. fotografie di Gianni fiorito CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia Torino , Via delle Rosine 18 fino al 7 gennaio 2018 Biglietti, comprensivi di ingresso alla mostra “Arrivano i Paparazzi!” Ingresso Intero € 10 www.camera.to | carlo bononi l’ultimo sognatore dell’officina ferrarese Ferrara, Palazzo dei Diamanti fino al 7 gennaio 2018
ITINER_ARTE...DOVE E QUANDO...
a palaZZo roncale, i capolavori dei concordi Rovigo, Palazzo Roncale fino al 21 gennaio 2018 Ingresso Gratuito. Orari Apertura: feriali 9 – 19, Sabato e festivi 9 -20 (apertura 7 giorni su 7). Info: www.palazzoroverella.com
LUOGHI DEL SAPERE
come edera tra i SaSSi di lUcia babbo. come il SaSSo e il parlante
LUCIA BABBO Come edera tra i sassi ConTesti diVersi Il Raggio Verde pp.80 2017 € 13,50 ISBN 978-88-99679-32-3
Di Lucia Babbo la Forcignanò in prefazione scrive: “L’emozione che anima la mano di chi compone poesia la può capire solo chi l’ha provata…” L’evento a chi non sa osservare, sentire, appare quindi in un già trascorso in anni luce. L’infinito da un fatto è invece, per la poesia e per le tante altre narrazioni che la circondano, l’evento per un futuro o quel che accade dall’attimo in cui viene scagliato il sasso sul suo bersaglio. L’emozione di e per una poesia è paragonabile all’evento di una Nova che ha deciso improvvisamente di dare la sua luce. Capita (quotidianamente) in qualunque metafora leggere di poesia, di guardare nell’infinito delle parole, capita anche di sottovalutare, di reprimere, di non comprendere l’evento di un’immagine nell’universo dei segni di cui dispone la stessa. Capita, ed è emozione, quando la poesia appare improvvisa, come elemento curativo dato dalla buona realizzazione di un’osmosi. Perché la premessa? Semplicemente! Perché la composizione apparentemente astratta, per destinarsi ad essere la poesia di un fatto o di una gestazione, segna irreparabilmente o ripara il passato in futuro a chi ascolta e a chi legge. A me è toccato vedere, ascoltare il futuro, e del passato ne ho gustato l’olfatto frastagliato in foglie di un’edera e di sassi da lanciare in quel futuro. Nell’esergo della raccolta edita dal Raggio Verde per Lucia Babbo ho fermato l’idea e ho letto il raffinato senso di una silloge:” Alla mia terra che mi ha vista crescere e gioire, terra il cui profumo ricorda poetica magia”. La luce in un profondo rapporto di terra con la poesia si è presentata dapprima ovattata d’ombra poi, di Lucia Babbo, donna dai capelli corti e turchini ho ascoltato il donarsi in lettura. L’editor della casa editrice, Antonietta Fulvio, ha piacevolmente condotto l’evento e la Babbo con 51 foglie di edera fra i sassi ha donato al bersaglio l’altro colore sulla sua tela. Si legge volentieri il (Passato) caparbio e ben radicato in un (Futuro) da far germinare nelle tante manifestazioni di una passione dove: “ed ogni giorno mi invento” (Pag.11). L’affacciarsi dà inizio all’esplosione nella subitanea consapevolezza di sgranare e poi lasciarsi scivolare fra le dita il rosario datato in: “Occasioni Rimorsi” (Pag.12). è la Poesia che sorprende nel passare da ragionevole follia a pudica
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malinconia. “Che bello sentirsi pettirosso, /poi farfalla/o sì, coccinella!” (pag.19) La Babbo, Lucia, si spinge e si dipinge anche oltre, si appresta a puntualizzare i limiti della sua luce con: “Questa fatica di vivere/che incontro ad ogni/mio stanco risveglio (…) In un mondo incastonato/di boriosi eroi metropolitani/che non perdono traccia/della loro presunta violenza, /ridicola faccia di un mondo/permeato di apparenza e saccenza.”(pag.23) In Versi c’è anche il tangibile nel suo oltre, c’è il necessario abbandono alla sensualità: “ci scoprimmo incapaci/di frenare carnalità, /ci scoprimmo nudi”. (pag.48) Nel giorno di luce capita, occorre essere fortunati, di osservare il cielo e ammirare (l’esplosione) di un certo, di un verso poetico e se, (pag. 49), troviamo “OMBRE”, è unicamente per:” Voglia, /da essenze astratte, /di mutare nell’intimo/ed esplorare/il tangibile” e, nell’oltre di pag. 67, trovare la domanda: “…Credi sia facile ascoltare? ...” A conclusione. Leggere di poesia è come essere lucciola nuda ed estiva e non è solo (ascoltare) il tragitto del sasso lanciato per colpire il proprio Parlante, ma, per … PASSI…, andando sino a… (pag.70) Buona lettura! Francesco Pasca
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LUOGHI DEL SAPERE
alfa e omeGa le poeSie di aleSSandra capone
ALESSANDRA CAPONE ALFA OMEGA Viaggio nellIo Infinito IL RAGGIO VERDE CONTESTI DIVERSI 2017 978-88-99679-20-0 €12,00
Incontrare le parole, i paesaggi e i silenzi di questa giovane promettente poetessa è stata un’ esperienza esistenziale: la condivisione di sguardi ed emozioni su un mondo solo apparentemente astratto. Un mondo metafisico cui Alfa e Omega dà una visibilità, una connotazione definita attraverso una tavolozza di sfumature. Protagonisti sono un “io” alla ricerca di un “Sé”, tutti i paesaggi abitati da Angeli e da Silenzio: anche quando non vengono evocati; note che si integrano su una tavolozza sulla quale le pennellate di un artista ascetico dialogano con cieli stellati che provocano l’ incantamento. Lo sguardo di Alessandra Capone si estende a perdita d’ occhio e tutto abbraccia con stupore e sentimenti amorevoli che raccontano il divino, il disegno di “un immenso amore” di cui si percepisce, consapevolmente, un frammento luminoso e al quale chiunque la legga viene richiamato. La parola poetica di Alessandra Capone getta un ponte e crea un passaggio tra visibile e invisibile che il lettore attento è invitato a percorrere: la meta può solo essere intuita, il traghettamento è verso spazi notturni e siderali. Simili a quelli mostrati dai voli di Chagall, dalla Notte di Van Gogh o dai notturni di Chopin, dal Chiaro di Luna di Beethowen o dalle note di Bach.. Il sottotitolo, Viaggio nell’ Io Infinito”, ne è l’ anticipazione. Come ne è un’ anticipazione la bella immagine della copertina, presa in prestito dall’incisore Pasquale Urso. Qui si palesa un’architettura barocca abitata da angeli in pietra: osserviamo un cancello chiuso che evoca un’idea di “prigionia” cui si contrappongono una balaustra e due archi che lasciano intuire ipotetici frequentatori del luogo. La scena può essere letta come un dialogo tra materia e anima, tra terra e cielo poiché l’artista ha immaginato che gli angeli si liberassero dalla loro materialità di notte e vivessero una propria vita; ci consegna immediatamente al contenuto del libro, al suo essere un dialogo tra terra e cielo mostrando quel territorio di mezzo che è la Bellezza, col suo implicito invito alla Felicità e alla Leggerezza. Basti pensare alla definizione che di bellezza ci ha lasciato Goethe: “Che cos’è la bellezza? Non è luce e non é notte-crepuscolo; nascita di verità e non verità-una cosa di mezzo”. Non è casuale l’idea del “richiamo” in relazione al lettore, perché mostra l’attitudine dei più, in questa società frettolosa che poco concede all’interiorità e alla riflessione, a dimenticarsi di esistere, a farsi sopraffare dal rumore inteso come alienazione dalla “verità”. Si può sovente essere afferrati dal dubbio dell’ inutilità della poesia, tanto sono centrali temi ben differenti: l’utile, il profitto, la pancia, il sesso, l’ambizione sociale e politica. Pare che un silenzio materiale e denso, tenebroso, tolga la voce ad altre dimensioni cui altro tipo di silenzio dà risalto: quelle dell’amore, della contemplazione, della bellezza, di un agire rispettoso dell’ umano, semplicemente di tutto ciò che ha a che fare col mistero:
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“la più bella e profonda emozione che possiamo provare” (Einstein)… E così si giustifica tutto quanto questo piccolo libro ci dona: obbedienza ad una domanda di silenzio che si traduce in ascolto e promessa di felicità; spazio che nasce come cavità per accogliere e custodire il senso. Come un vaso vuoto, una casa, una campana: oggetti che racchiudono semplicemente uno spazio, quello che giustifica la loro ragione di essere vaso, casa, campana...Quando la nostra mente è posta di fronte a un oggetto ipoteticamente bello, per comprenderlo deve operare una scissione: da una parte l’oggetto, da un’altra il vuoto. La comprensione passa attraverso l’innalzamento e la separazione dell’ oggetto da ogni altra cosa: allora si rendono riconoscibili la sua unità e la sua integrità e si palesa nella sua prima qualità la bellezza, quale sintesi della facoltà che la apprende. A questo processo seguono l’analisi, la claritas e la quidditas (san Tommaso d’ Aquino) e, da qui, l’ anima, l’ identità di quanto lo sguardo ha incontrato, originano l’ “epifania”, oltre ogni apparenza. Va dunque letto anche come un omaggio al silenzio e a uno sguardo circolare e illuminato, quanto con eleganza e discrezione affiora sulle pagine bianche del libro, tra gli spazi che separano i versi, nella loro musicale andatura, nel “fluire” di pensieri che fanno di Alessandra un’ autrice che ha avuto ed ha qualcosa da dire e che pertanto appartiene alla categoria di scrittori indipendenti dal tempo perché il pensiero, le considerazioni sul nostro “viaggio” fatto di passi, indubbiamente, ma in egual misura di sguardi, di incontri, di ri-conoscenza non conoscono epoche, tendenze né artifici. Sono, semplicemente, la testimonianza di una domanda di senso che afferra chi ha il coraggio di sostare e di mettersi in ascolto. è proprio il caso di parlare di coraggio perché l’incontro col mistero che è in noi e che ci circonda richiede proprio audacia. E si tratta di un coraggio che raggiunge gli animi nobili quando intercettano il de-siderio: i piedi sulla terra, il cuore “nel mondo” lo sguardo tra le stelle. Scrivere con audacia…Ne leggiamo in Joyce, in Stefano Eroe, in Ritratto dell’ Artista da Giovane: “Per epifania Stephen intendeva un’improvvisa manifestazione spirituale, o in un discorso banale o in un gesto o in un giro di pensieri, degni di essere ricordati. Stimava cosa degna per un uomo di lettere registrare queste epifanie con estrema cura, considerando che erano attimi estremamente delicati ed evanescenti” (Stefano Eroe) “Lo splendore di cui parla san Tommaso è la quidditas scolastica, l’ essenza di una cosa. Questa suprema qualità l’artista la sente quando la sua immaginazione comincia a concepire l’ immagine estetica. Shelley paragonò stupendamente lo stato d’ animo di questo istante misterioso a un carbone che si spegne. L’istante in cui quella suprema qualità della bellezza, il limpido splendore dell’ immagine estetica, viene luminosamente perce-
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pita dalla mente che l’ interezza e l’ armonia dell’ immagine hanno arrestato e affascinato, quell’ istante è la stasi luminosa e muta del piacere estetico, uno stato spirituale molto simile a quella condizione cardiaca che il fisiologo italiano Luigi Galvani, con una frase altrettanto bella di quella di Shelley, ha definito l’ incanto del cuore”. Accade di pensare, leggendo Alessandra, alla “matita tra le dita di Dio” evocata da Madre Teresa di Calcutta, che “la forma delle cose si distingue meglio in lontananza” (Italo Calvino), che… “Ho chiuso gli occhi per vedere” (Paul Gauguin): la scrittura è per lei il veicolo privilegiato per superare il qui e ora, esplorando l’ altrove nell’ adozione di uno strumento antico che si fa gesto ascetico ed esaltazione di pensiero e sentimenti. Un altrove illuminato che è Canto alla Vita, Ricerca, Sogno e Risveglio, Dolcezza, Pioggia di Luce, Visione d’ Amore e, in una sola parola, al posto d’ onore, riconoscenza! Non a caso gli ultimi versi racchiudono un Grazie all’ universalità del creato e dell’ amore. Siamo sulla sponda opposta rispetto al positivismo e all’ idolatria della tecnologia e che riducono la realtà a quanto può essere osservato coi soli sensi e che determinano tragicamente la sudditanza dell’uomo alla tirannia del consumismo e alla pretesa di una conoscenza definitiva. In questo territorio resta poco spazio anche per l’amore, che prima di essere un sentimento è un sentire che coinvolge tutto l’essere umano.” Si sente di amare ancor prima di saperlo”! (Franco Loi) Viene, anche, da interrogarsi sul senso di una poetica così concepita, quale preghiera, nel nostro tempo. Su chi sia la giovane donna che ci fa dono del suo cuore, su quale sia la sua storia, su un’ ipotesi di cammino futuro. Ciò che colpisce, oltre all’ assenza di altri volti se non quelli angelici, della dimensione del “fare” che tuttavia si stempera in un “agire” a favore dell’ educazione alla bellezza e ai sentimenti, è l’abbraccio pacificante delle certezze. Un abbraccio che coincide con fiducia, con speranza, con una testimonianza di fede lontana da ogni possibile dubbio. Dunque: chi è Alessandra Capone? Dove la stanno conducendo i suoi passi, i suoi sguardi, le sue parole? E questa scrittura che è specchio della sua anima la sta cambiando? Le sta dando lucidità o inquietudine? Ad Alfa e Omega ben si addicono, come augurio di incontri fecondi coi lettori, le parole di Giovanni Pozzi: “La cella e il libro sono le stanze della solitudine e del silenzio. Della solitudine, la cella… Del silenzio, il libro, deposito della memoria, antidoto al caos dell’oblio, dove la parola giace, ma insonne, pronta a farsi incontro con passo silenzioso a chi la sollecita. Amico discretissimo, il libro non è petulante, risponde solo se richiesto, non urge oltre quando gli si chiede una sosta. Colmo di parole, tace”. Laura Madonna
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PUGLIA, LE TRE ETà DEL JAZZ DI UGO SBISà UN PREZIOSO ITINERARIO STORICO, CRITICO E SOCIALE
UGO SBISà Puglia, le tre età del jazz Adda editore 2017 pp204 15,00€ ISBN: 9788867173433
Si intitola Puglia, le età del jazz il nuovo libro di Ugo Sbisà, giornalista, critico musicale nonché docente emerito del Dipartimento Jazz del Conservatorio Niccolò Piccinni di Bari, in quasi quarant'anni di attività professionale ha seguito tutti i principali eventi jazzistici svoltisi in Puglia e Basilicata. Unico giornalista italiano a intrattenere rapporti di amicizia con Miles Davis e autore di alcuni testi di teatro musicale rappresentati in Italia e all'estero - "Tango Stories", "Variazioni sui colori del cielo", su musiche del compositore salentino Biagio Putignano e "Callas in Jazz" - non poteva che essere lui a firmare la prima storia del jazz pugliese che sia mai stata scritta. E la ricostruisce andando ad indagare il legame tra la Puglia e la musica afroamericana, che arriva con le truppe americane di occupazione, e incasellando con maestria in un libro, che è un prezioso itinerario storico, critico e sociale, le autorevoli voci dei protagonisti del jazz pugliese. Edito da Adda Editore e in libreria da dicembre, il volume è infatti impreziosito dagli interventi di Dino Blasi, Vittorino Curci, Pino Minafra e Roberto Ottaviano e contiene una intervista a Renzo Arbore a cura di Mike Zonno. Per lungo tempo, pensare di vivere di jazz al di fuori di Roma e Milano, sarebbe stata pura utopia. Non deve sorprendere quindi, se alcuni tra i primi pugliesi a dedicarsi alla musica jazz, già negli anni che precedettero la Seconda guerra mondiale, furono attivi prevalentemente in quelle città, a cominciare dal sassofonista nocese Vito Morea o da Michele Ortuso, un banjoista originario di Monte Sant’Angelo che aveva conosciuto il jazz direttamente negli Stati Uniti, dove la sua famiglia era emigrata in cerca di fortuna. Tuttavia il jazz, proprio negli anni della guerra, trovò una più facile accoglienza al Sud – e in Puglia – prima che al Nord. Bari venne liberata dagli americani il 15 settembre del 1943 e più o meno contemporaneamente presero il via le trasmissioni dell’ex Eiar, ribattezzata dopo la Liberazione “Radio Italia Libera”, successivamente trasformatasi in Radio Bari. E proprio negli studi di Radio Bari si fece conoscere il quintetto “hot” guidato da Bruno Giannini che annoverava, tra gli altri, anche i fratelli Principe. La presenza delle truppe americane in tutta la regione, favorì tra l’altro non solo la diffusione dei leggendari V Disc, ma anche – ad esempio a Bari e Foggia – l’arrivo di personaggi come Marlene Dietrich, Frank Sinatra o Stan Getz. Senza la pretesa di costruire un’accurata cronologia di accadimenti, il libro di Sbisà ripercorre fino ai nostri giorni l’evoluzione del pubblico, le trasformazioni del “fare jazz” in Puglia a tutti i livelli e il passaggio dal dilettantismo al professionismo a tempo pieno. Si ripercorrono le storie di Ottaviano e Minafra i primi professionisti del jazz pugliese che incidono dischi e riescono ad imporsi sulla scena nazionale, organizzando concerti al Cinestudio e poi allo Strange Fruit, fondatori anche di innumerevoli festival di altissimo livello come Time Zones, Bari in Jazz, Europa Festival Jazz di Noci, Talos Festival di Ruvo solo per citarne alcuni autentiche pietre miliari nella storia e nella diffusione della musica e della cultura jazzistica in Puglia. Caposervizio del settore Cultura e Spettacoli della Gazzetta del Mezzogiorno, ha collaborato dal 1985 al 2005 con la rivista Musica Jazz e in qualità di esperto musicale ha preso parte alle giurie di diversi concorsi internazionali, fra i quali il Jazz Contest, il Four Roses di Umbria Jazz e i concorsi lirici "Leoncavallo" di Potenza e "Giordano" e "Drum Open Competition" di Foggia.
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Gianluca Giugliano e Giuseppe Zippo, foto di Nunzio Pacella
napoli e il Salento in Un dolce il babàSticciotto Maurizio Antonazzo
“L’unione fa la forza” si dice, ma quando due eccellenze della pasticceria italiana vengono unite, danno vita a un dolce dal gusto originale e unico. Dalla creatività del pastry chef, Giuseppe Zippo, e del pasticcere napoletano Gianluca Giugliano, nel luglio scorso, per la prima volta, è stato realizzato: il “Babàsticciotto”, frutto dalla voglia di unire il pasticciotto e il babà, un dolce dal colore ambrato dalla caratteristica forma a "fungo", dolce tipico della pasticceria napoletana, due must dell’arte dolciaria tradizionale salentina e napoletana. Il “Babàsticciotto” è nato dalla collaborazione e dall’amicizia, tra Zippo e Giugliano, quarantenne, che fin da giovanissimo si è appassionato all’arte pasticcera napoletana, producendo dolci e dessert, oltre che saltuariamente a Specchia, in vari laboratori artigianali della provincia di Napoli, dove ora opera a Pianura. Sono già numerosi coloro che, dai primi giorni di produzione, hanno assaggiato e apprezzato il nuovo dolce, raggiungendo la pasticceria a Specchia oppure ordinando da lontano. L’invenzione del babà ripresa a forma di fungo dalla tradizione napoletana, si fa risalire al Re polacco Stanislao Leszczyński, suocero di Luigi XV di Francia, mentre quella del pasticciotto di pasta frolla e crema pasticcera, risale al 27 luglio
1707, quando nell’inventario delle masserizie redatto in occasione della morte di mons. Orazio Fortunato della Curia Vescovile di Nardò, si parla di “otto barchiglie per pasticciotto”. Giuseppe Zippo, titolare della pasticceria “Le Mille voglie” di Specchia, in provincia di Lecce, con un panettone artigianale, è un pastry chef pluripremiato in vari concorsi dell’arte dolciaria: il 18 settembre 2016 a Milano ha vinto il titolo di “Miglior Panettone Tradizionale”, nell’ambito dell’evento “Panettone Day”, e a Torino il 20 novembre ha ottenuto il primo
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posto come “Panettone Tradizionale Piemontese”, alla quinta edizione del concorso “Una Mole di Panettoni”. A gennaio, al SIGEP 2017 - Salone Internazionale della Gelateria e Pasticceria di Rimini, Giuseppe Zippo ha ottenuto il Primo posto come gradimento del pubblico nell’ambito del “Miglior Dolce Debic Italian Style 2016” con “La Perla Nera”, un dessert ideato dallo stesso pasticcerie specchiese, dedicato al Salento, con la panna cotta, interpretata ispirandosi alle tre piante che dominano le campagne salentine: l’ulivo, il fico e il
foto di Nunzio Pacellla
mandorlo, l’albero protagonista dello stemma civico di Specchia. Zippo, trentaquattrenne, già da piccolissimo frequentava i laboratori di pasticceria a Specchia, successivamente, ha proseguito il suo percorso formativo all’Istituto Alberghiero di Santa Cesarea Terme, durante gli studi ha acquisito esperienza a Firenze e in varie pasticcerie salentine e una volta diplomatosi, ha lavorato anche a Sharm el Sheik, in Egitto, e poi il 12 aprile 2003 ha avviato la sua attività a soli 19 anni, in un locale più piccolo di quello attuale, con l’aiuto del padre Antonio e della madre Pina, scomparsa prematuramente. Al suo fianco, poi, è giunta la moglie Federica, valida collaboratrice. Oggi presso la nuova sede della Pasticceria “Le Mille voglie” di Specchia, aperta il 9 Luglio 2014 nei pressi del noto borgo antico, opera uno staff di ragazzi e ragazze competenti e professionali. “Prepararlo è abba-
stanza semplice. Il babàsticciotto - spiega Giuseppe Zippo unisce le due note eccellenze della pasticceria italiana. Si aggiunge alla base del nostro pasticciotto leccese, pieno di gustosa crema, solo due pezzi di babà, dolce da forno a pasta lievitata, imbevuto con rum, storica testimonianza della pasticceria napoletana”. Coloro che lo hanno gustato hanno assaporato un raffinato dolce, dal sapore intenso dove la crema pasticcera ben si coniuga con il particolare ripieno al rum, l’acquavite ottenuta dalla distillazione della melassa della canna da zucchero o del suo succo dal profumo intenso. Il “Babàsticciotto” è stato presentato e degustato il 26 agosto a Melpignano, in provincia di Lecce, nel backstage del Concertone finale de “La Notte della Taranta”, dove ha ricevuto apprezzamenti e consensi dei vip presenti alla serata di musica popolare più famosa d’Italia.
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Un nuovo dolce, nato dalla creatività del pastrychef salentino Giuseppe Zippo e il pasticciere napoletano Gianluca Giugliano
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Alcuni momenti della cerimonia di inaugurazione, foto di Stefano Quarta
birraSalento, Un brindiSi al birrificio con dUe bionde SpUmeGGianti Stefano Quarta
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Ottima birra, buon cibo e spettacolo per la festa inaugurale del birrificio salentino
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LEVERANO (LECCE) Il 1 Dicembre 2017 è stata una serata di festa al Birrificio Birrasalento di Leverano. Un evento organizzato per presentare al pubblico due nuove birre: “Nuda&Cruda” e “Barrique ‘63”. La prima è una birra che vuole raccontare il territorio ed una crescente cultura per la produzione artigianale cercando di trarre proprio dalle risorse autoctone i suoi ingredienti. è così che, ad esempio, si valorizza una collaborazione col DisTeBa dell’Università del Salento per la selezione di una varietà di orzo che, adattandosi alle condizioni climatiche salentine, è il primo tentativo di produrre un malto di origine nostrana. Barrique ’63, invece, è un esperimento (in serie limitata) di contaminazione di stili. Una birra barricata, cioè lasciata maturare in botte, come fosse un vino o un distillato. L’effetto è evidente, anche se parti-
colare e lasciato al giudizio del singolo degustatore. Sicuramente apprezzabile la volontà di osare, in linea con la vocazione che qualunque prodotto artigianale dovrebbe avere. La storia di Birrasalento è strettamente connessa al numero 63, che ricorre nella birra barricata; era infatti nel settembre del 1963 quando il padre di Maurizio Zecca, fondatore del birrificio, scriveva una lettera ai suoi cari da Friburgo, dove era emigrato per lavorare in uno stabilimento di birra, ed è da lì che parte la passione tramandata da generazione in generazione. è doveroso ribadire che un prodotto artigianale non dovrebbe competere con quelli industriali. Si tratta di prodotti con filosofie, sensazioni e costi completamente diversi. Confrontereste una buona pasta industriale con la pasta di vostra nonna? Personalmente no. Il prodotto industriale ha il merito della
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Alcuni momenti della serata inaugurale, foto di Stefano Quarta
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facilità d’acquisto. Costa poco. Ma per costare poco, molti processi devono essere ottimizzati. Sia chiaro, non è una colpa, bensì un semplice dato di fatto. I prodotti artigianali (birra, ma non solo) costano inevitabilmente di più, perché offrono di più. Più aromi, più gusto e un’esperienza globalmente più intensa. Indipendentemente dai gusti personali. L’evento, inoltre, è stato anche un’occasione per far conoscere il birrificio che, con ricercatezza, permette di condividere i locali tecnici (in cui vi sono fermentatori e quant’altro) con gli ospiti della serata. I quali hanno potuto degustare tutte le 8 birre del birrificio e godere del buffet e dell’animazione. Si sono esibiti ad inizio serata gli sbandieratori di Oria e i Tamburellisti di Otranto accolti dalle principali istituzioni del territorio, il presidente della Provincia di Lecce Antonio Gabellone, il sindaco del comune di Leverano Marcello Rolli e l’assessore comunale alle
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Attività produttive, Sandro Leone. A chiusura della serata il pubblico ha potuto assistere ad una delle tappe di Miss Mondo. Tra le 8 concorrenti in gara, hanno superato la fase Cosmary Fasanelli (di Brindisi) e Annalaura Cofano (di Grottaglie). Buon cibo, ottima birra, intrattenimento e spettacolo, il tutto tra fermentatori da 50-150 hl e impianti di imbottigliamento. Certamente un bel biglietto da visita per il pubblico che, anche fronte strada, può ammirare parte dell’impianto grazie ad una grande ed elegante vetrata. Il birrificio si pone certamente l’ambizioso obiettivo di dominare, almeno localmente, il mercato delle birre artigianali. Forte di un impianto di assoluto livello, di collaborazioni scientifiche e di un’intraprendenza che fa ben sperare. Non resta che lasciare spazio alla degustazione. Cin.
dalle dolomiti alla capitale per inSeGUire la pantera roSa Stefano Cambò
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Alla scoperta dei luoghi del set cinematografico del film cult di Blake Edwards
I luoghi del Cinema
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uando si pensa ad un film, spesso lo si associa involontariamente al personaggio principale della storia e di conseguenza all’attore che lo interpreta. è successo così con Johnny Depp e il pirata dei Caraibi Jack Sparrow e in tempi lontani con Sylvester Stallone e il pugile
Rocky Balboa. Ma andando ancora più indietro negli anni (era il 1963), un personaggio che ha legato in maniera indissolubile il suo nome all’attore che lo ha interpretato è sicuramente l’ispettore Jacques Clouseau del film La Pantera Rosa di Blake Edwards. L’attore in questione non
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poteva che essere l’istrionico Peter Sellers, con il suo baffetto irresistibile e la parlata curiosa con il tipico accento francese. Così curiosa da essere osannata sia dalla critica che dal pubblico, tanto che dal primo film (una gradevole commedia corale) ne uscirono in serie molti altri sempre incentrati sulla
La chiesa dei Santi Filippo e Giacomo vista da Corso Italia (foto Luca Gusso),fonte: www.infodolomiti.it .
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I luoghi del Cinema
Veduta di Rocca di Papa (fonte: facebook, pagina ufficiale del Comune)
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figura dell’ispettore Clouseau, fino ad arrivare all’ultimo Il figlio della Pantera Rosa interpretato da Roberto Benigni nel 1993. Eppure leggenda vuole che l’attore scelto per il ruolo del goffo ufficiale di polizia fosse in principio Peter Ustinov, il quale però fu mandato via qualche giorno prima dell’inizio delle riprese per alcune divergenze con il regista. Messo alle strette con i tempi, Blake Edwards dovette fidarsi dei suoi collaboratori e chiamare sul set Peter Sellers, per nulla preparato alla prova che andava ad affrontare. Per questo i due spesero i giorni rimanenti a lavorare sul personaggio dell’ispettore francese e sulle sue caratteristiche peculiari. Quelle stesse caratteristiche che diventarono un vero e proprio marchio di fabbrica, facendo identificare per sempre l’attore con il suo personaggio, così come succederà in futuro a molti altri colleghi illustri. D’altronde, per quanto divertente fosse, la trama del film segue un canovaccio narrativo piuttosto semplice, con la principessa, protagonista della storia, in possesso di un enorme diamante denominato per l’appunto la Pantera Rosa, datole in eredità dal padre. Diamante ambìto da Sir Charles Lytton, un ladro gentiluomo e dal suo spavaldo nipote americano George.
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I due però non hanno fatto i conti con l’ispettore Clouseau, ufficiale della polizia francese, celebre per la sua inefficienza, ma anche per la capacità innata di risolvere, nel bel mezzo di situazioni rocambolesche, i casi più difficili e ostici. Così ostici che il buon poliziotto sarà addirittura costretto a venire in Italia per affrontare i rischi e i pericoli legati al caso su cui è chiamato ad indagare. Infatti buona parte del film è stata girata nella nostra amata Penisola e più precisamente a Cortina D’Ampezzo in provincia di Belluno e a Rocca di Papa in provincia di Roma (con una piccola incursione anche nella Capitale come vedremo alla fine). Per quanto riguarda la prima, molte scene sono state ambientate lungo il famoso Corso Italia, il “luogo dello struscio” per eccellenza e attrattiva turistica per gli amanti del costume e della moda. Passeggiando per le vie del centro storico di Cortina d’Ampezzo si possono ammirare le numerose botteghe artigianali, testimoni dell’espressione artistica del territorio e di una preziosa arte che si tramanda da secoli. In realtà questa piccola località, oltre ad essere considerata a pieno titolo la regina delle Dolomiti nel periodo invernale, offre degli spunti cultu-
I luoghi del Cinema
Castello di Zana, Cortina d’Ampezzo, foto caricata da MaiDireLollo - http://www.polovalboite.it/materiali/cortina20/Cortina2puntozero.htmhttps://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=2474008
rali interessanti che vale la pena di visionare insieme. In primis la bellissima Basilica dei Santi Filippo e Giacomo con il maestoso campanile e la Ciasa de ra Règoles (Casa delle Regole) in piazza Venezia, la cui struttura rappresenta in pieno lo spirito di fratellanza e il senso comunitario di un popolo unito attorno ai propri valori, tanto che al suo interno è stato allestito il Museo d’arte moderna Mario Rimordi (con i dipinti, tra gli altri, di Cascella, De Chirico, Guttuso e Morandi). Inoltre, non lontano dal centro storico si possono visitare i ruderi del Castello di Botestagno, un fortilizio d’età medievale che si ergeva sull’omonimo sasso, il Castello di Zana, una piccola e bianca fortezza diroccata e il Sacrario Militare di Pocol in direzione di Passo Falzarego, in memoria delle vittime della Grande Guerra. Una curiosità: la valle e i monti che si affacciano su Cortina D’Ampezzo sono stati scelti per
un altro grande film americano (anche se le vicende narrate si svolgono sulle Montagne Rocciose del Colorado). Stiamo parlando di Cliffangher - L’Ultima Sfida di Renny Harlin con l’attore Sylvester Stallone nei panni di un esperto alpinista che per l’occasione mostra il meglio del suo repertorio sulla magnificenza montuosa dei pendii di Lagazuoi. Per quanto riguarda la seconda località del film, dalle Dolomiti ci dobbiamo spostare nel Lazio e più precisamente nel paese di Rocca di Papa in provincia di Roma. Qui infatti è stata girata una delle scene più belle ed esilaranti dell’intera pellicola: quella del maxi inseguimento notturno in costume, con il vecchietto che guarda le auto incrociarsi di continuo in Piazza della Repubblica. In realtà, questo piccolo borgo arroccato sul Monte Cavo (sacro agli antichi latini) ha origini nel lontano medioevo e tutt’ora fa parte della Comunità montana dei Castelli Romani e Prenestini.
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Roma, la Galleria d’Arte Moderna, esterno (fonte: sito ufficiale http://lagallerianazionale.com/
Definito semplicemente ‘A Rocca nel dialetto del posto, ospita nel punto più alto una fortezza pontificia risalente al primo secolo del millennio, utilizzata durante l’Ottocento da Guglielmo Marconi e Michele Stefano De Rossi come luogo strategico per i loro esperimenti. Inoltre, è ancora percorribile la via Sacra che, in tempi romani, partiva da via Appia Antica presso Ariccia e saliva fino alla sommità del Monte Cavo dove era situato il tempio di Giove Laziale. Per concludere il nostro viaggio nelle locations del film, come accennato all’inizio dell’articolo, ci spostiamo a Roma e più precisamente alla Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea, la cui facciata è diventata, per esigenze di copione durante la lavorazione, il Palazzo di Giustizia dove si svolgeva il processo per il furto del diamante La Pantera Rosa.
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Come molti sapranno, si tratta di un’imponente struttura architettonica che ospita la più importante collezione di arte contemporanea italiana (e non solo), con ben oltre 4400 opere di pittura e scultura e circa 13000 disegni e stampe di artisti dell’Ottocento e Novecento. E con l’immagine ancora negli occhi della bellissima Galleria Nazionale e dei capolavori custoditi con cura al suo interno, lasciamo che il film scorra verso i titoli finali accompagnati dall’immancabile colonna sonora diventata ormai un cult, proprio come i disegni animati della Pantera Rosa che aprono l’inizio della pellicola e dai quali è stata tratta una meravigliosa serie di piccoli cortometraggi.
Nel riquadro: Donato Bizamano, Madonna con Bambino in trono tra San Francesco d'Assisi e Santa Caterina d'Alessandria, con donatore (Madonna di Costantinopoli), conservato nella Pinacoteca Corrado Giaquinto di Bari
la natività dipinta ad otranto dal creteSe donato biZamano Mario Cazzato
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Tra le poche opere firmate dall’artista che operò nel centro idruntino nella prima metà del Cinquecento
Salento Segreto
a cura di Mario Cazzato
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In occasione delle festività riscopriamo una Natività salentina dipinta ad Otranto come attesta la scritta sul retro: «DONATVS BIZAMANVS PINXIT IN HOTRANTO 1542.» Fu eseguita da Donato Bizamano pittore di origini cretesi ma operante ad Otranto nella prima metà del Cinquecento. Si noti, in alto, al centro Betlemme raffigurata come Otranto, cinta cioè da mura con la cattedrale svettante al centro. Bellissimo il paesaggio, pianeggiante visto a "volo d'uccello", in cui spiccano, senza alcun interesse per una prospettiva razionale, alberi, boschetti e arbusti di vario tipo. L’orizzonte è segnato da una sequenza di monti azzurrini, forse sono raffigurati i monti dell’Albania, dinanzi ai quali risaltano le sagome "disegnate" di due città. In questo paesaggio la presenza umana è rappresentata da un pastore ammantato di pelli seduto presso un pozzo il quale, mentre sorveglia le pecore al pascolo, suona la zampogna. Notevole, inoltre, la cavalcata dei Magi e le rovine classiche in primo piano. Filettature dorate segnano i particolari dell’abbigliamento dei vari personaggi, le aureole, le corone, le raggiere. Il dipinto (tecnica mista su tavola, cm 42,8x35,6) è collocato nella sala V della Pinaco-
teca “Corrado Giaquinto” di Bari insieme a la Madonna con Bambino in trono tra San Francesco d'Assisi e Santa Caterina d'Alessandria, con donatore (Madonna di Costantinopoli) datato 1539 (Tecnica mista su tavola, cm 176x128). Come risulta dall'iscrizione apposta ai piedi della figuretta arante, il dipinto fu dipinto dall’artista cretese ad Otranto (DONATVS BIZAMANVS PINXIT HYDRUNTI AD. 1539 (sull'ultimo tratto sono sovrapposte le lettere ANTO...) Sotto la figuretta del donatore: «FRANCISCVS CORRADVS DE NOYA IVSSIT HOC OPVS FIERI» ovvero Francesco Corrado di Noya (antico nome di Noicattaro), i cui legami con la chiesa matrice della cittadina dell'entroterra barese sono attestati anche da una graziosa edicola rinascimentale che reca il suo nome, ancor oggi esistente nella navata sinistra della stessa chiesa dove era collocato, in origine, su un altare nella cappella dello stesso titolo. E con la Natività otrantina di Donato Bizamano auguriamo a tutti i nostri lettori i migliori auguri di Buon Anno!
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Donato Bizamano, NativitĂ , 1542, (Tecnica mista su tavola) conservato nella Pinacoteca Corrado Giaquinto di Bari
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