Arte e Luoghi febbraio 2017

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i luoghi del cinema

riapre il teatro apollo

In Umbria per scoprire i set del film Lezioni di cioccolato nella terra di San Valentino

Gran successo per l’evento inaugurale alla presenza del Capo dello Stato

anno 123 numero 2 febbraio 201 7

Anno XII - n 2 Febbraio 2017 -

keith haring

le rocce di mazzarrò

l’amore per i luoghi

Una finestra di bellezza sul mare di Taormina. Il mecenate Antonio Presti trasformerà in un museo a cielo aperto l’ex complesso turistico abbandonato

L’associazione Respiriamo Arte e il recupero della Chiesa di Santa Luciella che conserva il teschio con le orecchie. Avviata la raccolta fondi


primo piano

le novitĂ della casa

IL RAGGIO VERDE EDIZIONI

ilraggioverdesrl.it


EDITORIALE

In copertina e sopra: Keith Haring, Tree of Life, 1985, Acrilico su tela 152,5 x 152,5 cm Collezione privata © Keith Haring Foundation

Proprietà editoriale Il Raggio Verde S.r.l. Direttore responsabile Antonietta Fulvio progetto grafico Pierpaolo Gaballo impaginazione effegraphic

Redazione Antonietta Fulvio, Sara Di Caprio, Mario Cazzato, Nico Maggi, Giusy Petracca, Michele Bombacigno

Hanno collaborato a questo numero: Maurizio Antonazzo, Michele Bombacigno, Giovanni Bruno, Stefano Cambò, Sara Di Caprio, Claudia Forcignanò, Sara Foti Sciavaliere, Giusy Gatti Perlangeli, Peppe Guida Redazione: via del Luppolo,6 - 73100 Lecce e-mail: info@arteeluoghi.it www.arteeluoghi.it

Iscritto al n 905 del Registro della Stampa del Tribunale di Lecce il 29-09-2005. La redazione non risponde del contenuto degli articoli e delle inserzioni e declina ogni responsabilità per le opinioni dei singoli articolisti e per le inserzioni trasmesse da terzi, essendo responsabili essi stessi del contenuto dei propri articoli e inserzioni. Si riserva inoltre di rifiutare insindacabilmente qualsiasi testo, qualsiasi foto e qualsiasi inserzioni. L’invio di qualsiasi tipo di materiale ne implica l’autorizzazione alla pubblicazione. Foto e scritti anche se pubblicati non si restituiscono. La collaborazione sotto qualsiasi forma è gratuita. I dati personali inviateci saranno utilizzati per esclusivo uso archivio e resteranno riservati come previsto dalla Legge 675/96. I diritti di proprietà artistica e letteraria sono riservati. Non è consentita la riproduzione, anche se parziale, di testi, documenti e fotografie senza autorizzazione.

é l’albero della vita disegnato da Keith Haring, al quale la città di Milano dedica una mostra a Palazzo Reale, l’opera che abbiamo scelto per la copertina di febbraio, mese inevitabilmente associato all’amore in occasione della ricorrenza di San Valentino. E l’amore - quello per la propria terra, per i luoghi e l’arte- è il filo conduttore di questo numero in cui trovano spazio dei progetti che raccontano l’aspetto più bello della vita. Sarà forse una visione un po’ romantica e utopica ma c’è qualcosa di cui essere felici quando riapre un teatro, come l’Apollo a Lecce, o si dà inizio al recupero di un luogo come Le rocce di Mazzarò, un angolo dimenticato e abbandonato all’incuria e al tempo nella splendida Taormina. E se poi alcuni giovani laureati amanti dell’arte e della loro città come i giovani dell’associazione “Respiriamo Arte” scendono in campo e si spendono quotidianamente per il recupero, nel loro caso, della Chiesa di Santa Luciella a Napoli, investendo energie, competenze per un progetto culturale be’, scusate, ma questo è amore e per noi non è cosa da poco. E sono queste le storie che ci piace raccontare. Ricostruire la propria identità passa anche dall’acquisire consapevolezza del proprio territorio e dei beni culturali che esso conserva. E noi siamo solo custodi momentanei per le generazioni future, il nostro impegno deve essere finalizzato a questo: lasciare il più possibile intatta e valorizzata l’eredità che a nostra volta abbiamo ricevuto. Dopotutto cosa è la vita se non una staffetta continua tra noi e gli altri? chi c’era prima e chi ci sarà. In tema di dolcezza, abbiamo voluto rendere omaggio alla determinazione di chi fa bene il proprio lavoro e conquista premi come il dolciere più a Sud d’Italia, il nostro Giuseppe Zippo. E in questo mese legato anche al “ricordo”, per noi nella rubrica Nel nome di Eva scopriamo la storia intensa e drammatica dell’artista ebrea Charlote Salomon deportata ad Auschwitz dove morì lo stesso giorno del suo arrivo. E a proposito di ricordi non poteva passare inosservato il compleanno di due artisti straordinari, icone della comicità partenopea nel mondo: Totò e Massimo Troisi. Buona lettura!

SOMMARIO luoghi|eventi| itinerari: le rocce di mazzarrò 21| girovagando: la basilica di santa maria della sanità 34 Venezia 40 |itinerarte 63| da pompei a capodimonte eventi da non perdere 58 |la cassa armonica restaurata 60 |le sette chiese di bologna 80 arte: keith haring 4|love. l’arte contemporanea incontra l’amore12 |la croce del mare a pisa 14| il san lorenzo di pacecco de rosa torna a casa 19|ll colore come segno, la masterclass di zavattari a lecce 74 | arnaldo miccoli 88 musica: atmosfere francesi, italiane ed egiziane per “dodicilune” 79| i bandadriatica al babel med music 86 cinema: i bastardi di pizzofalcone 62| svelati i dieci autori in gara per il premio mario Verdone 87 | i luoghi del cinema: lezioni di cioccolato 84 i luoghi della parola: amore e follia, aspettando san Valentino 16| totò e troisi 17| lettera aperta a Franceschini 33| il presidente firma l’albo d’onore dell’università 36 |amori letterari: il lungo carteggio tra pirandello e marta abba 68 | teatro|danza|speciale riapertura teatro apollo| l’apollo restaurato, una casa per le arti 26 | nel ventre dell’apollo 34| libri|luoghi del sapere 64-67 |centosessant’anni di editoria 49 | nel nome di eva charlotte salomon 76 i luoghi nella rete|interviste|gusto: l’amore per i luoghi. intervista a massimo Faella 8 | la casa museo di pirandello 73 dopo il panettone, il gelato di zippo 90 | al via la btm a lecce 93 Numero 2 - anno XII - febbraio 2017


Keith haring. about art nel palazzo reale di milano Antonietta Fulvio

Centodieci le opere in mostra per raccontare la ricerca estetica dell’artista statunitense tra i più rappresentativi del Novecento MILANO. Il 16 febbraio 1990 si spegneva Keith Haring icona dell’arte pop statunitense che ha segnato non solo l’arte degli anni Ottanta ma influenzato il concetto stesso di fruizione dell’opera d’arte. Dai murales ai gadget - come non ricordare i famosi orologi disegnati per Swatch - il suo credo si incentrava su un’arte accessibile a tutti: Non penso che l'arte sia propaganda; dovrebbe invece essere qualcosa che libera l'anima, favorisce l'immaginazione ed incoraggia la gente ad andare avanti. E a proposito di arte, Keith Haring. About Art è appunto il titolo della mostra, curata da Gianni Mercurio, che sarà ospitata dal 21 febbraio al 18 giugno 2017 nelle sale di Palazzo Reale a Milano. Un’esposizione che prova a leggere, con una grande retrospettiva, l’opera di Haring alla luce della storia delle arti che egli ha compreso e collocato al centro del suo lavoro,

assimilandola fino a integrarla esplicitamente nei suoi dipinti e costruendo in questo modo la parte più significativa della sua ricerca estetica- spiega il curatore. In mostra centodieci opere, molte di dimensioni monumentali, alcune delle quali inedite o mai esposte in Italia grazie anche alla diretta collaborazione con la Keith Haring Foundation. Fondazione ideata dallo stesso artista l’anno dopo che i medici gli diagnosticarono l’Aids e con lo scopo di raccogliere fondi e risorse per le associazioni che si occupavano di assistere le persone affette dal virus dell’HIV. In quello stesso anno, 1989 Keith Haring a Pisa, sulla parete esterna della canonica della chiesa di Sant’Antonio abate, realizzò Tuttomondo, il grande murales dedicato alla pace universale, una sorta di testamento ideologico del giovane artista di Reading che aveva iniziato la sua carriera

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Keith Haring, Untitled, 1983 Inchiostro vinilico su telone di vinile 213,4 x 213,4 cm Courtesy Laurent Strouk © Keith Haring Foundation


Keith Haring in un ritratto di Timothy Greenfield - Sanders, 1986, stampa a contatto 28x36 cm

disegnando sui muri della metropolitana di New York. Dopo gli studi grafici a Pittsburg, a soli 19 anni, Keith Haring si era trasferito a New York per studiare alla School of Visual Arts. Lì aveva concepito la sua cifra stilistica: il tratto nero, spesso e deciso, una linea continua con cui contornava i personaggi colorati a vivaci tinte unite. Poi l’incontro con Andy Warhol, l’amicizia, la condivisione di un modo di concepire l’arte che

sfruttando tutti i canali di comunicazione penetra nel tessuto sociale e in tutti gli aspetti della vita quotidiana. Così come il rapporto con il business - lo stesso Warhol ricorda Haring lo incoraggiò ad aprire nel 1986 il Pop Shop a New York, al 292 di Lafayette Street, dove il grande pubblico poteva acquistare gadgets con riproduzioni o opere originali e vedere gratuitamente l'artista al lavoro. Nel percorso espositivo che sarà allestito a Palazzo Reale, in virtù di un’analisi più approfondita dell’opera di Haring, le opere dell’artista americano saranno affiancate a quelle di autori di epoche diverse, a cui Haring si è ispirato e che ha reinterpretato con il suo stile unico e inconfondibile, in una sintesi narrativa di archetipi della tradizione classica, di arte tribale ed etnografica, di immaginario gotico o di cartoonism, di linguaggi del suo secolo e di escursioni nel futuro con l’impiego del computer in alcune sue ultime sperimentazioni. Tra queste, s’incontreranno quelle realizzate da Jackson Pollock, Jean Dubuffet, Paul Klee per il Novecento, ma anche i calchi della Colonna Traiana, le maschere delle culture del Pacifico, i dipinti del Rinascimento italiano e altre. Keith

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Keith Haring, Saint Sebastian, 21 agosto 1984, acrilico su mussola, 152,4 x 152,4 cm, Collezione Doriano Navarra © Keith Haring Foundation

Gianni Mercurio, Demetrio Paparoni, Marina Mattei e Giuseppe Di Giacomo. La mostra è promossa e prodotta dal Comune di Milano-Cultura, Palazzo Reale, Giunti Arte mostre musei e 24 ORE Cultura Gruppo 24 ORE, con la collaborazione scientifica di Madeinart e il prezioso contributo della Keith Haring Foundation.

Haring è stato uno dei più importanti autori della seconda metà del Novecento; la sua arte è percepita come espressione di una controcultura socialmente e politicamente impegnata su temi propri del suo e del nostro tempo: droga, razzismo, Aids, minaccia nucleare, alienazione giovanile, discriminazione delle minoranze, arroganza del potere. Haring ha partecipato di un sentire collettivo diventando l’icona di artista-attivista globale. L’arte del disegno è fondamentalmente ancora la stessa fin dai tempi preistorici. Essa unisce l’uomo e il mondo. Vive attraverso la magia. scriverà nei Diari, scritti dall'adolescenza fino a un mese prima della morte e pubblicati nel 2001 da Arnoldo Mondatori Editore. La mostra a Palazzo Reale vuole

Keith Haring. About Art Milano, Palazzo Reale 21 febbraio - 18 giugno 2017 Orari: lunedì: 14.30-19.30 martedì, mercoledì, venerdì e domenica: 9.30-19.30 giovedì e sabato: 9.30-22.30 (ultimo ingresso un’ora prima della chiusura) Ingresso:Intero € 12 / Ridotto € 10 / Ridotto scuole € 6 Biglietto evidenziare il suo progetto: Famiglia: uno o due adulti € 10 ricomporre i linguaggi dell’arte a testa, bambini fino a 5 anni in un unico personale, immagi- gratuito, da 6 a 14 anni € 6. nario simbolico, che fosse al tempo stesso universale, per riscoprire l’arte come testimonianza di una verità interiore che pone al suo centro l’uomo e la sua condizione sociale e individuale. Accompagna l’esposizione il catalogo, pubblicato da GAmm Giunti/24 ORE Cultura, con i saggi del curatore,

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Keith Haring, Untitled, 1984, smalto su legno intagliato, 112 x 145 cm, Collezione A&H © Keith Haring Foundation

«L’atto della creazione è una sorta di rituale. Le origini dell’arte e dell’umanità giacciono nascoste in questa misteriosa creazione. La creatività umana riconferma e mistifica la potenza della vita.»

Keith Haring, Untitled, June 11 1984, acrilico su tela, 238,8 x 716,3 cm, Collezione privata © Keith Haring Foundation


l’amore per i luoghi: il recupero della chiesa di santa luciella Antonietta Fulvio

Intervista a Massimo Faella presidente dell’associazione “Respiriamo Arte”

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i sono luoghi sui quali scende inevitabilmente l’oblio quasi fossero stati rimossi dalla memoria collettiva. Eppure sono lì, nonostante le facciate sgretolate dall’umidità, la ruggine dei cancelli chiusi e la vegetazione che sembra essere l’unico segnale di vita... Uno di questi luoghi è la Chiesa di Santa Luciella ai Librai, a Napoli, che è in stato di abbandono da troppo tempo ormai ma non tutto è perduto grazie alla tenacia di un gruppo di giovani laureati napoletani fondatori dell’associazione “Respiriamo arte” che ha concepito un progetto per la valorizzazione culturale e sociale della chiesa. Ne abbiamo parlato con il presidente Massimo Faella. Prima di tutto, le presentazioni. Come nasce l’associazione “Respiriamo Arte” e cosa si propone. L’associazione nasce nel 2013 dall’idea di un gruppo di giovani laureati partenopei, specializzati in campo artistico e letterario. Ad unirci il desiderio di recuperare parti del patrimonio storico e artistico della città di Napoli attraverso la tutela e la valorizzazione di luoghi e monumenti simbolo che rappresentano e custodiscono la sua memoria storica. Lasciti, troppo spesso abbandonati all’incuria e al degrado.

Qual è stato il primo luogo recuperato? Negli ultimi due anni le attività associative si sono concentrate principalmente nella Chiesa dell’Arte della Seta - Complesso dei SS. Filippo e Giacomo, dove dopo decenni si sono resi nuovamente visitabili, la cripta, resti archeologici e la

sacrestia settecentesca. Dopo la pulizia, gli interventi di ripristino e un accurato lavoro di ricerca è stata organizzata un’efficace attività di promozione dell’intero Complesso attraverso l’organizzazione di visite guidate, progetti didattici e eventi culturali. La qualità e la professionalità ci ha portato molte soddisfazioni e riconoscimenti permettendoci di capire e conoscere dall’interno le dinamiche dell’offerta turistica della città di Napoli. Perchè avete scelto la chiesa di Santa Luciella? Perchè la Chiesa di Santa Luciella a San Biagio dei Librai, ubicata nell’omonimo vico nel centro antico della città, è abbandonata da più di trent’anni ma è un altro tassello del nostro immenso patrimonio artistico e architettonico. La Chiesa fu fondata poco prima del 1327 da Bartolomeo di Capua ma acquisisce la sua configurazione attuale con il rimaneggiamento del 1748, diventando sede dell’Arciconfraternita dell’Immacolata Concezione SS. Gioacchino e Carlo Borromeo. Viene ricordata principalmente per essere stata la chiesa dei pipernieri che lavorando le rocce di piperno temevano danni alla vista; per tanto la consacrarono a Santa Lucia protettrice

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Una foto dell’allestimento della mostra, sotto: GennaroVillani, Amalfi, 1928

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degli occhi. La denominazione Luciella fu adottata per distinguerla dalla Chiesa di Santa Lucia a Mare in cui gli artigiani della pietra non furono accolti. L’ipogeo della chiesetta con i tipici scolatoi e terresante custodisce dal XVII secolo la leggenda del teschio con le orecchie: ci si recava al suo cospetto affinché ascoltasse le preghiere essendo considerato per la sua particolarità tramite privilegiato tra il mondo dei vivi e dei morti. Dove si trova e, soprattutto, in che condizioni è oggi l’edificio. La Chiesa è nel quartiere San Lorenzo, al vico Santa Luciella nn. 5 e 6, uno dei più antichi di Napoli, esattamente nell’angolo retto che questo forma diramandosi verso due direzioni: da una parte Via San Biagio dei Librai e dall’altra Via San Gregorio Armeno. Una posizione strategica poiché si affaccia su due tra le strade a più alta affluenza turistica del centro storico della città. Ne parli da innamorato. Ci si innamora dei luoghi al punto da farne un obiettivo della propria vita? Assolutamente sì. Prima ancora di costituirci in associazione, spinti dal nostro amore viscerale per Napoli e dalla nostra passione, scoprimmo questo luogo e tutto quello che custodisce, innamorandocene. La lunga burocrazia, l’istaurazione di rapporti ex novo con istituzioni, quali Curia e Comune di Napoli, hanno fatto sì che solo qualche mese fa ne acquisissimo il comodato d’uso. Qual è il passo successivo? Trasformare la chiesetta in un attrattore turistico, culturale e sociale con la creazione di un percorso museale con visita guidata. Per fare questo però bisogna restaurare l’apparato artistico decorativo della chiesa e dell’ipogeo che conserva affreschi, marmi, cantoria. Dopo il restauro la Chiesa vivrà come contenitore culturale non solo per i turisti che affollano la nostra città ma anche per i bambini e i giovani del quartiere di San Lorenzo. Dove pensate di trovare le risorse per questo ambizioso progetto? Al momento per partire abbiamo lanciato una campagna di crowdfunding "Chi ha orecchio intenda" sul sito https://www.meridonare.it/pro-

getto/chi-ha-orecchio-intenda. Il primo step sarà quello di mettere in sicurezza l’edificio e creare un percorso che permetta di visitare la chiesa settecentesca e il suo ipogeo e raggiungere l’attrazione principale ossia il teschio con le orecchie, simbolo di un culto antico quanto affascinante che lega il mondo dei vivi con quello dei morti.

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Marc Quinn, Kiss, 2001, Marmo, edizione di 3, 184x64x60 cm, Photo credit: Marc Quinn Studio, Courtesy: Marc Quinn studio Tom Wesselmann, Smoker, 1971, Vinile colorato su pannello, 144x160 cm, Courtesy: Flora Bigai Arte Contemporanea., © Tom Wesselmann by SIAE 2016

loVe. l’arte contemporanea incontra l’amore. al chiostro del bramante

Prorogata fino al 26 febbraio 2017 la mostra curata da Danilo Eccher

ROMA. Come poteva festeggiare un luogo d’arte il suo ventesimo anniversario se non con una mostra nel nome dell’amore? L’amore per l’arte naturalmente. L’arte è sempre una grande dichiarazione d’amore - spiega Danilo Eccher, curatore della mostra che a seguito del grande successo di pubblico è prorogata fino al prossimo 26 febbraio. Nelle sale del Chiostro del Bramante per la prima volta si potranno ammirare tra i più importanti artisti dell’arte contemporanea: Yayoi Kusama, Tom Wesselmann, Andy Warhol, Robert Indiana, Gilbert & George, Francesco Vezzoli, Tracey Emin, Marc Quinn, Francesco Clemente e Joana Vasconcelos, con opere dai linguaggi fortemente esperienziali. Il fil rouge è declinare l’amore in tutte le sue sfaccettature: un amore felice,

atteso, incompreso, odiato, ambiguo, trasgressivo, infantile, che si snoda lungo un percorso espositivo non convenzionale, caratterizzato da input visivi e percettivi. Il percorso inizia proprio con l’opera Love (1966-1999), un quadrato di lettere che Robert Indiana ha tracciato agli inizi degli anni Sessanta e che da allora continua a rappresentare l’icona più forte e suggestiva di un’immagine che si fa parola e diventa volume. Poi il gioco di specchi di Yayoi Kusama nella sua Infinity Mirrored room, All the Eternal Love I Have for the Pumpkins (2016), quasi da contralto l’essenzialità stilistica di Tom Wesselmann, gli acquarelli di Francesco Clemente, la natura vittoriosa e felice di Marc Quinn per poi arrivare alla Marilyn di Andy Warhol che è il volto stesso dell’amore, non solo l’icona più

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Andy Warhol, One Multicoloured Marilyn (Reversal Series), 1979-1986, Acrilico, polimeri sintetici e serigrafia su tela,, 50,8x40,7 cm, Courtesy: Collezione privata (VR) © The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts, Inc. by SIAE 2016

riprodotta della contemporaneità, ma un sogno visionario, allucinato di bellezza e disperazione, di eleganza e povertà, di infantile dolcezza e segreta perversione. Video-istallazioni raccontano nel percorso espositivo differenti linguaggi sperimentati da Ragnar Kjartansson, Tracey Moffatt, da Nathalie Djurberg e Hans Berg. L’arte e la scrittura raccontano indelebili frammenti di vita attraverso l’intima e luminosa grafia di Tracey Emin con My Forgotten Heart (2015); fragilità e timore si manifestano in tutta la loro evidenza nei corpi torturati e feriti delle sculture femminili di Mark Manders. Con l’opera di Francesco Vezzoli la scultura incontra il linguaggio filmico mentre richiamano alla

staturaria classica le modelle eteree di Ursula Mayer così come Vanessa Beecroft che privilegia il corpo reale delle modelle e la fotografia nella sua opera intitolata VBSS.003.MP (2006). Opere da ammirare e fotografare liberamente tutte condividendole sui social utilizzando l’hashtag ufficiale #chiostrolove. Un coinvolgimento sensoriale a 360° che caratterizza l’esperienza museale, abbracciando il concetto di ‘open access’ e di museo in continua evoluzione. L’arte è, malgrado tutto, una grande dichiarazione d’amore. Anche quando indossa la maschera severa e barbara di una spietata sperimentazione non riesce a trattenere il brivido sotterraneo dell’emozione. LOVE. L’arte contemporanea incontra l’amore Chiostro del Bramante Via della Pace 00186 Roma www.chiostrodelbramante.it Orario apertura Tutti i giorni dalle 10.00 alle 20.00 Sabato e domenica dalle 10.00 alle 21.00 (la biglietteria chiude un’ora prima) Hashtag Ufficiale #chiostrolove Robert Indiana, Amor, 1998, Scultura, alluminio policromo (blue and red), 104x96,5x50,8 cm. Ed. 3/6 Courtesy: Galleria d'Arte Maggiore, G.A.M., Bologna, Italia, © Robert Indiana by SIAE 2016

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La Croce del Mare di Francesco Tuccio al Museo Nazionale di San Matteo,

la croce del mare a pisa nel museo di san matteo

L’opera del falegname di Lampedusa: messaggio universale di pace e di inclusione

PISA. Dallo scorso luglio, e vi resterà fino al prossimo aprile, nella “Sala delle croci” del Museo Nazionale di San Matteo è ospitata la Croce del Mare opera del falegname Francesco Tuccio dell’isola di Lampedusa. Una croce semplice che assembla due assi di legno delle imbarcazioni dei migranti, assi che con la loro usura stanno a significare povertà e sofferenza. Un’opera simbolica, portatrice di un messaggio di pace e di inclusione universali. Un invito a riflettere sulle tragedie che stanno trasformando il bellissimo Mediterraneo in un mare di morte. A commissionarla al falegname di Lampedusa lo stesso Museo che, per chi non lo conosce, conserva un’imponente e rara raccolta di pittura dei secoli XII e XIII (la più ricca che sia nota) con pregevoli tavole dipinte (ancone, icone e croci) provenienti dalle chiese pisane medievali, che si avvantaggiarono della posizione di prestigio politico, economico e culturale che Pisa ebbe nel Mediterraneo. Così nella sala delle croci dipinte del Museo, tra le più importanti del Medioevo italiano e profondamente suggestiva per il messaggio trasmesso dai volti del Cristo, triumphans, con occhi aperti e volto sereno, o patiens, sofferente e umanamente accasciato, siaccoglie, inserendola in una “sequen-

za naturale” e di piena integrazione, la Croce proveniente da Lampedusa che prende il posto della croce di San Ranierino di Giunta di Capitino, ora in restauro. Realizzata con il legno dei relitti delle imbarcazioni che trasportano chi fugge dalle persecuzioni, dalla guerra e dalla fame e che, molto spesso, non riesce a raggiungere quella terra dove pensa di poter ricevere aiuti e costruire un futuro migliore, la Croce vuole indurre a far riflettere su questa grave e dolorosa emergenza. L’intento è diffondere il sentimento di fratellanza lo sottolinea sempre lo stesso autore, Francesco Tuccio diventato “famoso” da quando Papa Francesco, nel corso di una celebrazione religiosa all’isola, si è accompagnato ad una piccola croce proprio composta da Tuccio che ha esposto una sua croce anche nel

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Museo Nazionale di San Matteo, Sala della Spina, sotto la sede del museo

prestigioso British Museum di Londra. Estremamente interessante anche la storia del Museo che prese il via dalla cultura di recupero antiquario viva in Pisa sin dal Settecento. Il primo nucleo di dipinti di “primitivi” furono raccolti dal canonico del Duomo Sebastiano Zucchetti (1796). La collezione lasciata in uso per la Scuola di Disegno, si accrebbe nel secolo successivo di altre opere pittoriche e scultoree, recuperate anche attraverso le acquisizioni al demanio effettuate in epoca napoleonica e post-unitaria, con la graduale confluenza nella locale Accademia di Belle Arti. Solo nel 1893 Iginio Benvenuto Supino allestì nel convento di San Francesco il

nuovo prestigioso Museo Civico, di cui redisse anche un prezioso catalogo. Il nuovo Museo Nazionale, infine, nasce nel 1949 e accoglie le raccolte del-

l’ex Museo Civico con gli ulteriori incrementi etrova casa nel restaurato convento di San Matteo in Soarta. Dell’antico monastero medievale (secolo XI) oggi sono individuabili solo alcune delle strutture originarie, principalmente nei locali interni. Alla metà del Cinquecento, in ogni caso, il convento fu sottoposto a modifiche, come rivela la data nel chiostro, a colonne e capitelli tuscanici in arenaria. Alla fine del Settecento o agli inizi dell’Ottocento risale probabilmente l’attuale facciata d’ingresso al museo, prospiciente il lungarno, di ispirazione neoclassica. Orari: Feriali: 8:30 - 19:30 Festivi: 8:30 - 13:30 (ultimo ingresso 30 minuti prima della chiusura) Chiusura: ogni lunedì, 1 gennaio, 1 maggio, 25 dicembre Biglietti: intero € 5.00 ridotto € 2.50 (giovani dai 18 anni ai 25 e docenti di Scuole Statali) Biglietto cumulativo con il Museo nazionale di Palazzo Reale di Pisa: € 8,00 (intero) € 4,00 (ridotto) Riduzioni e gratuità secondo le norme di legge previste per i musei statali.

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amore e Follia aspettando san Valentino Giovanni Bruno

La riflessione dello psicologo psicoterapeuta

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ensando a questo articolo e al tema che mi è stato chiesto di svolgere mi sono venuti in mente due autori che a loro modo hanno trattato il tema immensamente complesso dell’amore. Il primo è Raymond Carver e uno dei suoi libri più famosi Di cosa parliamo quando parliamo d’amore e il secondo è Wistan Hugh Auden che in un verso famoso, tradotto in italiano da Gilberto Forti, scrive “vi prego la verità sull’amore”. Certo con Amore intendiamo una molteplice varietà di sentimenti, spesso difficili da definire, ma che implicano sempre un esodo da noi stessi e una dedizione appassionata verso qualcosa di diverso da noi. Non è facile dunque definire in maniera univoca la parola Amore. Forse per ridurre il perimetro di analisi è il caso di soffermarsi su quel tipo di amore che implica una attrazione interpersonale e uno scambio emotivo forte e intenso. Platone nel Simposio paragona l’amore a una forma di follia , a

un enigma spesso oscuro e incomprensibile. E tuttavia quando Amore colpisce realmente gli spazi di ambiguità si azzerano e resta in campo solo il desiderio che si prova per l’altra persona, per tutto ciò che lui o lei rappresenta, per il suo mondo che ha cambiato il nostro mondo. Si dice che quando ci si innamora il nostro baricentro si sposta fuori da noi stessi, la nostra psiche è dominata dall’altro e come dice Jacque Lacan, il grande psicoanalista francese, prevale l’evento (dell’innamoramento) non il ragionamento. Ma l’amore grande non è l’amore di mezza estate che già declina con l’autunno, infatti l’amore vero comincia e continua con una espressione precisa: “per sempre” e c’è una battuta nel film Insonnia d’amore di Nora Ephron che rende l’idea, è quella di Tom Hanks che parlando di quando per la prima volta incontra la futura moglie dice “vederla è stato come entrare in casa propria e sentirsi subito adeguato”. è pur vero che nel nostro tempo

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l’amore è schernito, deriso, se ne parla come di un cascame romantico che non serve e a cui non si da valore. E quando va bene deve essere considerato a termine, con una scadenza precisa che non bisogna procrastinare …. pena la noia. è il cinismo che connota tutti i nostri anni, quella sfiducia generale negli altri, quell’atteggiamento di ostentata indifferenza nei confronti di esperienze umane, come l’amore, stratificate nei secoli e considerate ormai superflue. C’è solo da augurarsi che tutto questo cambi e se Fedor Dostoevskij diceva che la bellezza salverà il mondo c’è da augurarsi che sia l’amore a salvarlo perché solo l’amore promuove la vita, l’amore che è dedizione e cura verso l’altro, che è desiderio di bene per altre persone diverse da noi stessi e un sentimento così inteso a ben riflettere confina veramente con la follia, ma “anche la follia merita i suoi applausi” (Alda Merini).


totò e troisi, napoli, la comicità sotto il segno dell’acquario

Ricordando lo genetlìaco di due attori che hanno esportato la comicità partenopea nel mondo

Antonio de Curtis in arte Totò

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ue date da ricordare, il 15 per Totò e il 19 per Massimo Troisi, lo stesso mese, febbraio, anche se con un arco temporale che distanzia le rispettive nascite cinquantacinque anni. Il 15 febbraio 1898 al civico 109 di via Santa Maria Antesaecula, nel rione Sanità, nasceva Antonio de Curtis il principe della risata universalmente riconosciuto come Totò. Attore, poeta, autore di canzoni famose, una su tutte Malafemmena, un pensatore straordinario se si pensa all’attualità di alcune sue poesie dalla celeberrima Livella a Cimitero della civiltà. La portata del suo genio è tale che in occasione del cinquantenario della sua scomparsa la Zecca dello Stato ha deciso di coniare una moneta da 5 euro sulla quale è ritratto il volto dell'attore, e presentata al World Money Fair di Berlino, la più importante fiera di numismatica. A lui il comune di Napoli dedicherà il prossimo Maggio dei monumenti, la rassegna infatti si intitolerà O Maggio a Totò. Un mese di eventi per ricordare il personaggio, l’attore, il poeta, il monumento di Napoli che incarna la forza e la passione per l’arte, la libertà della creazione artistica anche come arma contro i soprusi e i potenti di turno. Totò, morì il 15 aprile del 1967; ai primi funerali, celebrati a Roma, seguì una seconda cerimonia funebre, a Napoli nella Chiesa del Carmine e poi anche una terza, di nuovo a Napoli, nel suo quartiere, la Sanità, nella Basilica di Santa Maria il successivo 22 maggio, date intorno alle quali si riannoderà il filo del ricordo dell’uomo e della maschera più rap-


L’attore e regista Massimo Troisi sul set del Postino

presentativa della cultura partenopea. Un ricordo che il tempo non ha sbiadito e ancor oggi, anche tra i giovanissimi, Totò è percepito quasi fosse un contemporaneo. Legato al principe della risata più che da una appartenenza astrologica per l’eredità artistica, assimilata e rielaborata, è Massimo Troisi, nato nel 1953 sempre a febbraio ma il 19 a San Giorgio a Cremano in provincia di Napoli. Interprete straordinario della comicità partenopea, partendo dalla tradizione del teatro di Totò e di Eduardo, Troisi iniziò la sua carriera esordendo nel teatro parrocchiale della Chiesa di Sant'Anna della sua città. Poi il “Centro Teatro Spazio” (divenuto prima “I Saraceni” e poi “La Smorfia”), in un garage di San Giorgio a Cremano, praticamente alle falde del Vesuvio… una comicità esplosiva e nuova, se pur radicata nella più autentica tradizione, rivelata al pubblico televisivo nei tanti skecth andati in onda alla fine degli anni Settanta quando la Rai faceva il Varietà con programmi come Non stop e Luna Park, approdata infine al cinema con quel Ricomincio da tre perché «tre cose me sò riuscite ind’a vita, perché devo perdere pure chelle…». Un successo. Inaspettato quanto grande, ma mai ostentato perché secondo la sua filosofia «Il successo è la lente di ingradimento per capire com’eri prima». Due nastri d’Argento e due David di Donatello e la programmazione per un anno: si presentò così alla cinematografia nazionale il giovane attore e regista napoletano. Il resto è storia negli annali del cinema, con tanti premi e riconoscimenti fino ad arrivare all’ulti-

mo struggente film (premio Oscar per la musica) nel ruolo di Mario Ruoppolo il postino poeta, amico di Pablo Neruda, alla cui prima non potè assistere perché il suo cuore cessò di battere dodici ore dopo l’ultimo ciack. Era il 4 giugno 1994, si trovava ad Ostia nella casa della sorella Annamaria. Anche lui come Totò era morto lontano da Napoli. Ma anche per lui c’è stato il definitivo ritorno a casa, nel cimitero della sua San Giorgio a Cremano. Lo scorso anno, il 18 gennaio 2016, l’amministrazione comunale di

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Napoli in occasione dei venticinque anni dalla sua scomparsa, ha voluto intitolare a Massimo le scale del suo secondo film, Scusate il ritardo, dove si svolgono alcuni tra i duetti più belli con l’amico Lello Arena. Sì, le scale in via Andrea Mariconda, nel quartiere Chiaia, sono state ribattezzate Scale Massimo Troisi per ricordare uno dei maggiori interpreti nella storia del teatro e del cinema italiano, nato a pochi chilometri da Napoli ma che ha saputo esprimere la napoletaneità nel mondo. (an.fu.)


il san lorenzo di pacecco de rosa la tela ritroVata torna a casa

LIZZANELLO (LECCE). L’opera del pittore seicentesco napoletano Pacecco De Rosa, caposcuola del purismo, era stata rubata nel 1985 dalla chiesa matrice. Nella notte fra il 4 e il 5 novembre i ladri riuscirono a portare via la raffigurazione del martirio di San Lorenzo e altre quattro tele del pittore leccese Oronzo Tiso. Per dieci anni non si è saputo nulla dei dipinti rubati. Nel febbraio del 1997 i finanzieri del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza, specializzati nella tutela del patrimonio artistico ed archeologico, hanno ritrovato la tela del Martirio di San Lorenzo nel retrobottega di una pasticceria di Lecce. L’intervento delle Fiamme Gialle ha impedito che il dipinto finisse nei circuiti del mercato nero delle opere d’arte: era già stato fissato un prezzo e le trattative erano state avviate. La storia recente della tela è alquanto travagliata. Al ritrovamento, infatti, non è seguito l’immediato ritorno nella chiesa di Lizzanello. I ladri l’avevano tagliata in maniera maldestra compromettendone la conservazione e i colori. Ci sono voluti due interventi di restauro eseguiti nei laboratori della Soprintendenza di Bari per riportarla al

Il dipinto rubato alla comunità di Lizzanello

suo originario splendore. Fra un intervento e l’altro, nel 2010 il dipinto fu esposto nella mostra “Echi caravaggeschi in Puglia”, ospitata a Lecce nel dicembre del 2010 nella chiesa di San Francesco della Scarpa. Rientrata nel Museo Diocesano e poi daccapo richiamata a Bari per il restauro definitivo, della tela a Lizzanello se n’era quasi persa la memoria. La consigliera comunale con delega alla Cultura Paola Buttazzo, all’indomani del suo insediamento, ha avviato i contatti con la Curia e le Soprintendenze di Lecce e di Bari per ottenere il rientro a Lizzanello della pregiata tela. L’arcivescovo monsignor Domenico D'Ambrosio ha aderito alla richiesta avanzata dal parroco don Albino De Pascali di restituzione della tela. Mentre il sindaco Fulvio Pedone e l'amministrazione comunale hanno da subito predisposto gli interventi di sicurezza voluti dalla Soprintendenza prima di autorizzare il rientro della tela. «L’importanza dell'opera è notevole – sottolinea la consigliera Buttazzo -ma al di là della valenza artistica, per noi di Lizzanello, questa tela rappresenta un tassello della nostra storia. è la testimonianza della fede dei nostri padri nei confronti di San Lorenzo Martire. Una devozione antica. E prima il furto e poi il mancato ritorno a Lizzanello sono una ferita aperta nella fede e nel patrimonio storico-artistico. Perché è la memoria del passato che ci consente di definire la nostra identità di persone e di comunità». Domenica 5 febbraio si è tenuto il convegno “San Lorenzo: il culto nell’arte”, con la partecipazione di padre Alfredo Marchello, di Lucio Galante professore di Storia dell’arte moderna e del Luogotente Michele Caldarola che ha raccontato il ritrovamento dell’opera.

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Vista sul mare da Le Rocce di Mazzarrò


le rocce di mazzarò, una Finestra aperta sulla bellezza

Affidato a Fiumara D’Arte di Antonio Presti il Complesso artistico monumentale di Mazzarò diventerà un museo a cielo aperto Sara Di Caprio

TAORMINA (MESSINA). Recuperare i luoghi. E nel nostro Paese ce ne sarebbero tanti da strappare all’oblio. Conosciamo tutti ciò che in tal senso, ad esempio, svolge il Fai e nel prossimo numero parleremo delle numerose attività che si svolgeranno per la Giornata di Primavera, ma oggi vogliamo raccontarvi un’altra storia. Quella di un mecenate della cultura, il siciliano Antonio Presti, che ha improntato tutta la sua vita alla politica della bellezza. Tra alterne vicende, è sua la firma del progetto artistico di Fiumara d’arte con opere di autorevoli firme dell’arte contemporanea, Pietro Consagra, Tano Festa, Mauro Staccioli, Paolo Schiavocampo, Hidetoshi Nagasawa, Antonio Di Palma, Italo Lanfredini, Piero Dorazio, Graziano Marini e i numerosi ceramisti nazionali e internazionali autori

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Alcuni momenti della firma dell’accordo tra il mecenate Antonio Presi, il Commissario straordinario della Provincia di Messina Filippo Romano e il sindaco metropolitano di Messina Renato Accorinti , (foto : ufficio stmapa)

del Muro della Vita che trasformarono un abuso di cemento in un patto di devozione alla bellezza del territorio di Tusa nel messinese. Basta ricordare il parco di Fiumara per intuire le potenzialità del prossimo progetto che vede in prima linea Antonio Presti che, lo scorso 13 dicembre, ha siglato un accordo con il Commissario straordinario della Provincia di Messina Filippo Romano e il sindaco metropolitano di Messina Renato Accorinti per il recupero de Le Rocce di Mazzarò. «Dopo diverse criticità burocratiche e organizzative – ha spiegato Filippo Romano– finalmente apriamo un nuovo capitolo grazie alla Fondazione

Fiumara d’Arte. Abbiamo cercato insieme di creare un assetto burocratico e amministrativo per consentire ad Antonio Presti di far rivivere Le Rocce nel tempo, consegnandole alla collettività: un comodato d’uso di 99 anni, segnato da cadenze temporali che ne consentiranno la fruizione in tempi brevi». A fare piena luce sul progetto museale, che s’innesterà sul parco ambientale, anche il sindaco metropolitano di Messina Renato Accorinti: «Questo è un luogo straordinario – ha sottolineato - abbiamo bisogno di persone che sappiano lavorare con le frequenze dell’anima, per questo Antonio Presti metterà a disposizione di tutti que-

Nelle foto è evidenziato lo stato di abbandono in cui versava al momento della firma dell’accordo l’ex complesso de Le Rocce

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st’area, con l’energia che ha sempre caratterizzato le sue azioni». Il Villaggio Le Rocce fu realizzato per volontà dell'assessorato regionale al Turismo e inaugurato nel lontano 1954. Erano gli anni del dopoguerra, un momento delicato denso di tensioni ma anche di tante aspettative: il turismo rappresentò in quella fase uno dei principali strumenti di cui si avvalse la Regione per attivare la ripresa economica e avviare sostanziali trasformazioni territoriali. L’insediamento originale era stato pensato

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con una estrema cura del contesto creando una relazione ininterrotta con il paesaggio e l’ambiente circostante in un momento storico che vedeva l’ascesa di Taormina come meta privilegiata del turismo internazionale, ma anche della emergente classe media italiana figlia della ricostruzione. Ma all’inizio degli anni settanta la chiusura e l’abbandono. Ed ecco che quel che resta dopo cinquanta anni dell’ex villaggio: venticinque casette diroccate e disseminate tra rifiuti, lamiere, frammenti di vetro a recidere la


memoria che conserva ancora l’eco della “dolce vita” che fu. «Il principale obiettivo futuro sarà quello di costruire attorno al paesaggio un nuovo codice di fruizione, per aprire l'ex Villaggio di Mazzarò alla luce e alla bellezza» - spiega Antonio Presti insieme all’associazione dei residenti di Mazzarò, il Comitato “La voce del mare”, accomunati dall’amore per il territorio e che ha sostenuto il percorso di rigenerazione di un sito meraviglioso, che è una

finestra sul mare e sulla bellezza di Taormina. Già a marzo è prevista l’apertura ai visitatori con un percorso all’aperto che vede impegnati i tecnici per la messa in sicurezza. «Aboliremo la logica del cemento, per fare spazio al materiale organico; rispetteremo le peculiarità morfologiche e metteremo in risalto gli elementi primordiali: fuoco, aria, acqua e terra. Il pensiero che anima la mia azione è quello della restituzione circolare universale». Ma nes-

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sun “archistar" dovrà mettere la firma, promette: «Qui l’unica vera architettura universale è il paesaggio, il respiro, l’ascolto, la luce e non la materia, è per questo che l'ecosostenibilità sarà il cuore pulsante del progetto. Si lavorerà sulle forme e sulle strutture e gli artisti le riempiranno e creeranno opere in una dimensione onirica. Gli stessi spazi restituiranno un percorso che, passando da una stanza all’altra, non cercherà luoghi per quel dormire ma


Alcuni scorci del luogo, in basso Antonio Presti durante la conferenza stampa

luoghi per quel sognare. Poi oltre al museo all'aperto, con opere provenienti da tutto il mondo realizzate in loco e disseminate sul modello di Fiumara d'Arte, verrà realizzato un giardino di essenze, fragranze naturali, spezie mediterranee e un orto botanico». Un disegno a lungo termine che vedrà la nascita di un "Polo di forme artistiche contemporanee", grazie alla collaborazione tra l'Università di Messina e la Fondazione Fiumara d'Arte. Le Rocce di Mazzarò rinasceranno abolendo la logica del cemento per esaltarne la sua storica vocazione naturalistica trasformandolo in un centro di aggregazione culturale da consegnare alla società civile, ai giovani e in particolare «ai ragazzi Down, che rappresentano la parte più alta e nobile dell'innocenza umana».

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l’apollo restaurato, una casa per le arti

Antonietta Fulvio

Un successo il gala d’apertura firmato Katia Ricciarelli, alla presenza del Capo dello Stato. Su il sipario con la musica della Oles, diretta dallo strepitoso Gianluigi Gelmetti. Incantano il pubblico il soprano Cinzia Forte e il tenore Marco Ciaponi accompagnati dal Coro Lirico di Lecce. Un cameo l’intervento dell’attore Giancarlo Giannini LECCE. Quando riapre un teatro - e non diventa una sala bingo - hanno vinto la Cultura, l'Arte, la Città e l'intero Paese! è quanto accaduto a Lecce, il 3 febbraio 2017, giorno in cui il Teatro Apollo è stato restituito alla collettività dopo più di trenta primavere. E un grazie, doveroso, va agli Enti - in primis all’onorevole Adriana Poli Bortone per il Comune di Lecce e alla lungimiranza della Regione Puglia - all’epoca governata da Raffaele Fitto ma anche ai successori, Nichi Vendola e l’attuale presidente Michele Emilia-

no - che hanno reso possibile che questo scrigno d'arte potesse ritornare ad aprire le sue porte e ad alzare nuovamente il sipario tra spartiti che raccontano la storia e la tradizione della lirica. E non solo. Chi ama il teatro, il balletto e la musica non potrà che essere felice oggi della rinascita dell'Apollo, chiuso precisamente da trentuno anni di cui gli ultimi dieci impegnati nel lungo lavoro di restauro che ha riservato non poche sorprese. Ma di questo parleremo più avanti. Per chi non la conosce, la storia del Teatro Apollo

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Alcuni momenti dell’evento inaugurale del Teatro Apollo, foto di Sara Di Caprio

inizia il 15 maggio 1912, quando si concretizza il sogno dell’imprenditore edile Vincenzo Cappello che due anni prima aveva chiesto e ottenuto dal Comune di Lecce la concessione del suolo lungo via Trinchese. Qui, su disegno e progetto dell’ingegnere Tassoni, fu edificata in un primo momento la Sala Apollo (corrispondente a quello che sarebbe poi diventato il foyer), di cui le cronache dell’epoca riportano la bellezza degli stucchi e delle dorature e alcuni affreschi a firma del tenore artista Franco Tafuro. Lo spettacolo inaugurale, il 15 maggio 1912, vide la partecipazione del grande attore Raffaele Viviani. Con una seconda inaugurazione, l’11 luglio

1914, veniva svelata l’Arena Apollo, corrispondente all’attuale platea e utilizzata solo d’estate perché scoperta. Con un terzo evento, il 4 dicembre 1926, si inaugurava il Teatro Apollo con la proiezione del film Gli ultimi giorni di Pompei sulle musiche eseguite dal vivo dall’orchestra diretta dal maestro Paolo Grimaldi. Naturale cerniera tra piazza Sant’Oronzo, cuore antico della città come testimoniano i resti a vista dell’Anfiteatro romano, e Piazza Mazzini, centro moderno e commerciale, l’Apollo divenne un teatro importante nella vita culturale della città. Calcarono le sue scene artisti straordinari tra i quali Tito Schipa, Beniamino

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Gigli, Tito Gobbi, Maria Caniglia, Cloe Elmo, Gino Bechi, Giacomo Lauri Volpi. Negli anni d’oro del varietà, i primi anni cinquanta, arrivarono a Lecce anche il grande Totò con Isa Barzizza con la rivista Bada che ti mangio! e poi Walter Chiari con Tutto fa Broadway. Parallelamente al cartellone teatrale le proiezioni delle più belle pellicole nazionali e internazionali come testimoniano le locandine e manifesti della collezione della famiglia Manzo esposte al Must di Lecce. Da annoverare nella storia del teatro la data del 6 settembre 1960 quando sul palco dell’Apollo ospite dello spettacolo Nuove canzoni e celebri romanze, presentato da Eraldo Cerasuolo,


salì il grande tenore leccese Tito Schipa icona mondiale del bel canto. La storica esibizione dell’usignolo leccese segnò per l’Apollo un ideale apice dopo il quale incominciò il lento e inesorabile declino. I costi sempre più esorbitanti di gestione del teatro, l’avvento della televisione e dei multisala che portarono alla crisi delle sale cinematografiche come racconterà il regista Ettore Scola nel film Splendor con Marcello Mastroianni e Massimo Troisi (1989)decretò la chiusura del teatro nel 1986. Una ferita si aprì nel tessuto antico della città, ma nella Lecce d’inizio millennio, guidata dal sindaco Adriana Poli Bortone, si accese un barlume di speranza. Era il 2003 e il teatro fu acquistato dal Comune di Lecce. Grazie ad un accordo firmato con la regione Puglia dal 2008 si diede inizio ai lavori di recupero del complesso sia da un punto di vista statico che architettonico (dodici milioni di euro tra finanziamenti Cipe e fondi Poin, e due

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Alcuni momenti dell’evento inaugurale del Teatro Apollo, foto di Sara Di Caprio

milioni e mezzo di euro stanziati da Palazzo Carafa) restituendolo oggi in tutto il suo splendore. A celebrazione ormai avvenuta, l’inaugurazione lo ricordiamo si è svolta lo scorso 3 febbraio alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e del ministro Dario Franceschini, avvolgiamo il nastro all’indietro e proviamo a raccontarvi ciò che ha preceduto la prima non solo per dovere di cronaca ma perché le parole dei protagonisti hanno in qualche modo tracciato le linee guida di un percorso che dovrà necessariamente pensare a far sì che il teatro viva, che non sia una cattedrale nel deserto e dunque ad una seria e programmazione culturale di altissimo profilo ora che il contenitore è stato restituito alla città. Al di là delle polemiche, spesso sterili che inducono a vedere il bicchiere mezzo vuoto anziché pieno, è doveroso ripartire dal bellissi-

mo slogan dell'artista Katia Ricciarelli: «Rimettiamoci all'Opera», un invito accorato quello del soprano, icona della lirica mondiale, che è ritornata a Lecce in veste di direzione artistica dell’evento. «Sai quanto ami questa città, vi ho lasciato un pezzo di cuore» ha ricordato in conferenza stampa, nel foyer del teatro. Erano gli anni d'oro della stagione lirica della Provincia di Lecce quando dal 1998 al 2003 fu lei a portare i grandi nomi della lirica come il regista Pier Luigi Pizzi che è ritornato a Lecce per firmare, affiancato da Massimo Gasparon, il coordinamento dello spettacolo prodotto da Francesco Zingariello (assistente alla produzione Giuseppe Laraia). Prima volta, invece, per il maestro Gianluigi Gelmetti, tra i direttori d’orchestra internazionali più acclamati al mondo per la poliedricità del suo repertorio e della sua attività artistica.

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«Quando Katia chiama, ci precipitiamo» ha esordito durante il suo intervento il maestro ponendo l’accento sull’importanza della cultura «non la si deve ritenere un dovere ma è il nostro patrimonio, se all’estero avessero compositori come Donizetti Verdi, Puccini esisterebbero dei festival che porterebbero una partecipazione da tutto il mondo, è come tenere dei pozzi di petrolio e non usarli. Ho sempre condannato in passato i grandi teatri che si inauguravano con orchestre che venivano da fuori - è comodo portarsi l’orchestra - ma fare cultura significa avere il coraggio, la voglia, il desiderio di arricchirsi insieme alla realtà locale». E sono state ore di prove, anche fuori orario, quelle per la Oles, Orchestra sinfonica di Lecce e del Salento, nata nell’agosto 2016 dalla ex Tito Schipa chiusa dopo oltre trent’anni di attività. Con la direzione del maestro Gelmetti


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Alcuni momenti dell’evento inaugurale del Teatro Apollo, foto di Sara Di Caprio

è stata davvero strepitosa e il pubblico si è lasciato trasportare dalle emozioni che scivolavano sulle note di un repertorio che, imbastito in pochi giorni, è stato un vero successo. Tutto si è svolto come da programma con inizio, puntuale, alle 18 salutando l’ingresso del capo dello Stato sulle note dell’inno di Mameli-Novaro. Subito dopo l’Orchesta ha eseguito Inno alla gioia, dalla IX sinfonia di Beethoven dal 1972 divenuto inno ufficiale dell’Europa anticipando il discorso di saluto del sindaco Paolo Perrone. Visibilmente emozionato, ha ringraziato le autorità e i cittadini che acquistando il biglietto contribuiranno al recupero del teatro “Tito Flavio Vespasiano” di Cittareale, (Rieti) colpito dal sisma, al quale va devoluto l’incasso. Ha ribadito l’importanza di aver restituito il teatro alla città e di pensare al suo futuro istituendo una fondazione aperta perché possa ospitare eventi di altissima qualità e l’impegno, anche quando non sarà più primo cittadino, affinché «l’Apollo sia il Teatro di tutti. Chiunque arriverà dopo di noi si troverà tra le mani un gioiello, da gestire lontano dai condizionamenti della politica. Penso allora alla Fondazione Ico-Tito Schipa, che rischia di scomparire ma che deve trovare qui la sua casa». E l’orchestra ha dimostrato di meritarla quella casa. Insieme al Coro lirico di Lecce diretto da Emanuela Di Pietro lo spettacolo è ripreso sulle note dell’Ouverture dal Guglielmo Tell di Gioacchino Rossini, Ave verum corpus di Mozart e poi una carambola di emozioni verdiane con il preludio del terzo atto de La Traviata e le arie magistralmente eseguite dal soprano Cinzia Forte e il tenore Marco Ciaponi: Parigi o cara, Lunge da lei..deh miei bollenti spiriti; è strano, è strano...ah forse lui...sempre libera deggio infine dal Nabucco la Sinfonia e il Va’ pensiero più l’intermezzo per orchestra da La cavalleria rusticana di Pietro Mascagni. Rapiti ed estasiati dall’ascolto di voci cristalline che scaldano il cuore e fanno inumidire gli occhi. La magia dell’arte è compiuta. Un trionfo scandito da applausi a scena aperta replicati all’esecuzione del brano Libiamo ne’ lieti calici sulle cui note si è chiusa una serata che è già storia. Incastonato, come un cameo, l’intervento dell’attore Giancarlo Giannini che ha incasellato tre prove attoriali di grande suggestione, da un omaggio al teatro nel cui nome è il mito di Apollo, re delle arti, ad un brano tratto dal Riccardo II di Shakspeare fino a regalare al Teatro l’augurio più bello, le parole di un poeta anonimo che recitano: «Che piccola cosa, una vita!/La mia, come tutte, è una goccia./ Voglio si perda in un mare d’amore,/perché è l’unica via, altrimenti/ è una goccia sprecata: troppo piccola/ per essere felice da sola, ma troppo grande/ per accontentarsi del nulla». Buona vita Apollo!

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lettera aperta a Franceschini

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vero signor Ministro, lo ha detto anche lei, «quando apre un teatro è sempre festa» prima di andar via verso l’aeroporto di Galatina. E a Lecce la festa c’è stata e non sarà l’unica, ben presto ne avremo altre, le mura urbiche recuperate, l’anfiteatro di Rudiae che chissà forse un giorno emergerà completamente e potrà magari essere una seconda Arena, un nuovo attrattore culturale disseminato in questo nostro Sud così ricco di storia e reperti come il resto del Paese, d’altronde. Solo che ahimé i fondi sono sempre pochi come poca è la consapevolezza di qual è il nostro vero petrolio. A Nord come a Sud. Nel nostro caso, i paesaggi mozzafiato, il mare a vele blu, il nostro Barocco, ma anche le architetture rurali sono tuti tasselli di un patrimonio artistico, architettonico e identitario che va protetto prima ancora che valorizzato. Ma, e vengo al punto, come si può valorizzare qualcosa che non si conosce? Perché, vede signor Ministro, non bastano le pur meritorie campagne di sensibilizzazione per far sì che la cultura sia par-

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tecipazione. Non basta scattare e condividere un selfie davanti al David di Michelangelo, Paolina Borghese del Canova, la flagellazione del Caravaggio o la Danae del Tiziano se poi si ignorano artisti e opere che sono patrimonio dell’Umanità. Per poter innescare quel senso di appartenenza, e dunque di partecipazione, non sarebbe il caso di aumentare lo studio della storia dell’arte nelle nostre scuole? Magari dalla scuola primaria, facendo leva sulla formazione di una “coscienza dei beni culturali”, che implica rispetto e conoscenza, partendo dai beni artistici nel proprio territorio. Ben venga l’invasione digitale nei nostri musei, le aperture gratis e le notti speciali ma contestualmente allo studio di una materia che non deve essere considerata “aggiuntiva” ma un valore aggiunto all’istruzione di ogni cittadino. Per rendere fruibile il patrimonio materiale e immateriale basterebbe non assistere allo scempio di musei, teatri, biblioteche chiusi o con organici ridotti all’osso, quando poi abbiamo fior fiore di laureati nell’ambito dei beni culturali che potrebbero essere impiegati. Per loro, paradossalmente, non c’è spazio dove serve la loro professionalità che però viene reclutata per il servizio civile. Ma è civiltà, questa? (an.fu.)


Area museale all’interno e nei sotterranei del Teatro Apollo, foto di Sara Di Caprio

nel Ventre dell’apollo

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l lungo restauro dell’Apollo ha riservato non poche sorprese motivando in parte il ritardo dei lavori e la creazione di una doppia area museale: la prima al di sopra nel foyer, l’altra nei sotterranei esplorando il ventre dell’Apollo. Sotto il foyer infatti sono state individuate le stratificazioni della città antica, rivelando manufatti che coprono un arco temporale che va dall’età ellenistica all’età moderna. Dopo aver recuperato parte delle mura medioevali, risalenti alla fine del XV secolo per rafforzare le difese del Castello prima della realizzazione del fossato e dei bastioni, sono stati riportati alla luce strati di riporto che hanno restituito materiali cinquecenteschi tra cui una moneta di Giovanna di Spagna madre e tutrice di Carlo V. Gli archeologi della soprintendenza hanno rintracciato testimonianze di età pre-angioina, come una moneta di Enrico VI e Costanza d’Altavilla mentre sotto il vano scale sud sono stati rinvenuti un fossato aragonese e lo scheletro di una giovane donna, in ottimo stato di conservazione, con accanto un corredo di due orecchini d’argento e pendenti. Eclatante fu la scoperta, nel 2009, di due sarcofaghi risalenti al III secolo avanti Cristo con due scheletri di cui uno appartenente ad un bambino. Una storia nella storia che ha trovato posto nelle teche allestite al primo piano in corrispondenza del foyer che racchiude la collezione museale dei reperti dell’Apollo: ampolle, col-

lane, braccialetti e monete, oggetti che si ritenevano importanti per il trapasso del defunto nell’al di là. Infine, tra il 2015 e il 2016, la scoperta sotto le fondamenta del teatro la scoperta di strutture murarie di età ellenistica, cioè realizzate nei tre secoli di storia che separano la morte di Alessandro Magno (323 a.C.) dalla battaglia di Azio (31 a.C.) con la quale i Romani si assicurarono il predominio sull’Egitto. Il visitatore potrà scendere nei sotterranei e ripercorrere questo importante tassello della storia di Lecce antica. E per dare a tutti i cittadini la possibilità di ammirare questo splendido teatro, ritornano gli open days con visite guidate gratuite nei giorni: 13, 14, 15, 16, 17 febbraio, dalle ore 16 alle ore 18; nei giorni: 18 e 19 febbraio, dalle ore 10 alle 13 e dalle 16 alle 18. Per prenotare è sufficiente contattare il numero telefonico 0832 242099.

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Alcuni momenti della visita del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella all’Università di Lecce, foto di Stefano Quarta

Il presIdente fIrma l’albo d’onore dell’unIversItà del salento

Il Capo dello Stato in visita al Cnr e al Rettorato prima del concerto inaugurale dell’Apollo

LECCE. Solo poche ore nel Salento per il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ma una giornata, il 3 febbraio 2017, densa di impegni. Dopo una breve tappa all'istituto di Nanotecnologie del Cnr, il Presidente è giunto all’Università del Salento per un saluto alla comunità accademica nel chiostro del Rettorato nel meraviglioso ex

Convento dei Carmelitani. Presenti circa duecento persone tra studenti, personale tecnicoamministrativo, docenti e i Rettori delle altre Università della Puglia, a testimonianza del lavoro comune del sistema universitario pugliese. «Punti di eccellenza (il Cnr e l’ateneo, ndr) che fa comprendere questo tessuto culturale del Meridione costituiscono

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elementi importanti per la ripresa e del Meridione e del Paese ed è confortante vedere che si tatta di centri di eccellenza apprezzati in sede internazionale» sono state le parole di elogio espresse dal presidente Mattarella. «Questa visita è per noi motivo di orgoglio e nel contempo di riflessione. Il saluto del Presidente Mattarella nella sede del Rettorato e l’incontro con la comunità universitaria è un riconoscimento dell’intensa attività svolta da UniSalento nel corso di questi anni, della qualità della formazione impartita ai

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Il Presidente firma sull’Albo dell’Università (foto di Gianni Ruggeri)

nostri studenti e della valenza della ricerca scientifica svolta in tutte le aree del sapere. Siamo un’Università che, periferica solo dal punto di vista geografico, vuole con tutte le sue forze giocare un ruolo importante nel contesto del sistema universitario nazionale. Siamo convinti che ci stiamo riuscendo.» - ha commentato il Rettore Vincenzo Zara che ha consegnato al Presidente della Repubblica il sigillo d’argento dell’Università del Salento e un dono appositamente realizzato per l’occasione. Si tratta di un’opera che «vuole rappresentare l’integrazione tra storia e futuro, tradizione e innovazione, artigianato e tecnologia, natura e cultura: in due parole Accademia e Territorio. L’Università del Salento vuole essere radice e linfa, volano di sviluppo, fucina di talenti per il “suo” Salento. In questo senso anche la scelta del supporto: il disegno architettonico e quello naturalistico assieme su una maiolica d’arte, simbolo di ciò che si può costruire, insieme, nel segno dell’equilibrio e della bellezza». L’opera è stata realizzata dal designer salentino Pierpaolo Gaballo, su idea del Rettore Vincenzo Zara

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che ha aggiunto: «Quest’occasione ci invita anche a riflettere sull’ulteriore ruolo che la nostra Università intende svolgere nel Salento. Il nostro territorio è in cerca di una propria identità, costruita con la propria forza, le proprie competenze e il proprio cuore. Un’identità che non può venire da ciò che altri decidono che il Salento sia o possa essere o diventare, magari anche con la forza illusoria di ipotetici modelli di sviluppo capaci solo di costruire cattedrali nel deserto, ma un’identità che affonda le proprie radici nella cultura del territorio, nelle tradizioni e nella consapevolezza delle proprie capacità. La nostra cultura e le nostre competenze non sono inferiori ad altre aree del Paese, e non è un caso che il Presidente Mattarella, visitando oggi la città di Lecce, si soffermi su aspetti che riguardano sia la cultura del territorio e i suoi beni, tra cui il Teatro Apollo, sia la formazione e la ricerca sviluppate da UniSalento e CNR. Come Università, l’esperienza di questa giornata ci spinge ancor di più a costruire, assieme al territorio salentino, questa nuova identità, favorendo e creando


Alcuni momenti della visita al Rettorato del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, foto di Stefano Quarta

l’humus culturale che ne rappresenta il principale motore di sviluppo. UniSalento e il suo territorio, lavorando assieme e alimentandosi a vicenda, da spettatori diventano veri protagonisti di un nuovo modello in cui è il Salento a guidare e non a essere guidato». Dopo aver firmato l’“albo d’onore” dell’Università, il Presidente è risalito in auto per dirigersi in piazza Sant’Oronzo concedendosi una passeggiata per la città barocca. Affiancato dal ministro Dario Franceschini e accompagnato dal presidente della Regione Puglia Michele Emiliano e il sindaco di Lecce Paolo Per-

rone ha salutato la gente, assiepata lungo le transenne, concedendosi a strette di mano e a un selfie con un gruppo di ragazzi del movimento “Mabasta”, che lotta contro il bullismo a scuola. Poi l’ingresso al Teatro Apollo per assistere alla prima dopo un oblio durato trentuno anni.

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Foto di Ines Facchin

Venezia. l’insolito reportage della fotografa ines facchin

Sguardi su una città da amare e difendere

VENEZIA. Non è il solito sguardo. Quello sui monumenti più famosi, su piazza San Marco, il Canal Grande e il ponte dei Sospiri, quello finito nel mirino della fotografa e architetto romana Ines Facchin. Le architetture veneziane, da punti di vista insoliti, che sembrano quasi ondeggiare guardandole mentre si va in gondola sono state catturate avvolte nella nebbia, al chiarore dell’alba, in pieno sole o all’imbrunire e viene naturale pensare come nacque la tavolozza di colori che fece grande la pittura veneziana. L’amore per il paesaggio ha spinto la fotografa a vagare tra i canali e a catturare alcuni scorci veneziani poco frequentati eppure dentro il tessuto della città galleggiante in

un giorno qualunque. Per toglierle per così dire la maschera e osservarla nella sua “normalità”. Perché la città d’arte che da sempre incarna l’idea dell’amore romantico (sempre più stranieri fingono di celebrare il matrimonio a Venezia), vive una quotidianità difficile con il flusso imponente dei turisti che la invadono e, purtroppo, sempre più spesso senza rispetto né amore. Emblematico è stato il servizio realizzato dal giornalista Domenico Iannacone che lo scorso dicembre ha dedicato alla città una delle puntate del programma I dieci comandamenti in onda su Rai tre. Ha mostrato il volto di una città bellissima ma fragile, assediata da un turismo che

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non porta benessere, che anzi arriva a metterla in pericolo quando le si avvicina pericolosamente a bordo di maestose navi da crociera alle

quali misteriosamente è concesso di solcare le acque della laguna. A poco valgono le proteste dei veneziani. Le navi continuano imperterrite

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Venezia fotografata da Ines Facchin

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Venezia fotografata da Ines Facchin

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a mettere in pericolo l’equlibrio dei fondali e la stabilità della città che sin dalla sua fondazione vive sull’acqua. Un fatto a dir poco sconcertante che ha testimoniato anche il fotografo Gianni Berengo Gardin nel suo libro Venezia e le grandi navi. Per chi se lo fosse perso, proponiamo di rivedere il documentario che restituisce un volto inedito di Venezia sul quale raramente ci si sofferma a pensare. Venezia è arte, bellezza. Cultura millenaria. Città del costume e della moda con antichi atelier che ancora resistono, se pur con grandi difficoltà, per realizzare gli abiti di scena per i più grandi teatri. Dopo tutto Venezia è la città del favoloso Carnevale che riesce a riportare indietro le lancette del tempo e a ricreare atmosfere d’un tempo perduto. Ma il rischio oggi che corre Venezia è la trasformazione da città dell’artificio dalla commedia dell’arte al cinema, dai vetri soffiati di Murano all’antica arte della stampa- in città del divertimentifi-

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cio pronta a soddisfare le richieste di un turismo sempre più mordi e fuggi. Che non crea ricchezza. C’è allora una Venezia sofferente, che langue: quella delle antiche botteghe costrette a chiudere, dei maestri vetrai custodi di un mestiere antico la cui conoscenza va perdendosi. L’attività delle vetrerie muranesi è destinata a finire lo denunciano gli stessi maestri - per la spietata concorrenza che ha visto inquinare il mercato con prodotti di

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bassissima qualità e ben lontani dall’antica arte del vetro soffiato che ha fatto conoscere nel mondo la città di Marco Polo. La domanda nasce spontanea. Chi ha consentito e consente tutto questo? Perché non si riesce a salvaguardare ciò che di più bello abbiamo? Perché stiamo svendendo pezzo dopo pezzo il nostro territorio? E non sono elucubrazioni buttate a caso ma evidenze di studi scientifici come quelle realizzate dal veneziano Fabio


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Foto di Ines Facchin

Carrera docente di ingegneria elettronica del Worcester Polytechnic Institute (WPI) ideatore del Venice Project Center (veniceprojectcenter.org). Dal 1988 ad oggi ha portato in città circa 750 studenti del Politecnico che nel corso di questi anni hanno prodotto 150 tra studi e tesi sulle problematiche di Venezia. E non solo, con il progetto si è realizzato un enorme database composto di widget che permettono di monitorare una serie di problematiche in tempo reale, ad esempio, come l’arrivo delle grandi navi, le maree, gli arrivi e le partenze degli aerei, le strutture ricettive. Nel servizio realizzato dal giornalista Iannone spiega la necessità di praticare un turismo sostenibile per rispetto alla città e per evitarne il collasso e il declino. L’augurio è che i riflettori sulla città e la sua cultura millenaria si accendino non solo per l’imminente carnevale o per il prossimo Festival. Che Venezia, ancor prima di essere città dell’amore nell’immaginario collettivo possa diventare un impegno con la memoria e la storia da difendere e preservare. (an.fu.)

Ines Facchin è nata a Roma nel 1950 dove vive e lavora. Dopo il conseguimento del diploma di Liceo Artistico ha seguito il corso di disegno del nudo presso l’Accademia di Belle Arti di Roma, i corsi di studio delle tecniche di restauro in pittura e dell’iconografia nell’immagine femminile in pittura presso l’Università delle Donne di Roma, e si è laureata in Architettura. Parallela all’attività di architetto ha mantenuto un interesse per la fotografia che negli ultimi anni è divenuta la sua attività principale. In occasione della Giornata della Memoria, per i tipi de Il Raggio verde edizioni, è uscito l’ebook Auschiwitz - ieri oggi remoto presente con il reportage fotografico realizzato insieme a Roberto Scialanga con i testi di Giovanni Bruno, Ada Donno, Antonietta Fulvio, la stessa Ines Facchin e Maurizio Nocera.

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centosessant’anni di editoria quando la graFica è d’autore

Le Officine Grafiche Giannini di Napoli, in mostra alla Biblioteca Nazionale

NAPOLI. Nel maestoso Salone di Lettura della Biblioteca Nazionale di Napoli sabato 21 gennaio l’azienda grafica, fondata alla metà del secolo XIX da Francesco Giannini ha celebrato i centosessanta anni. A fare gli onori di Casa Simonetta Buttò, direttrice della Biblioteca Nazionale di Napoli, che ha presentato il volume stampato per lo storico anniversario, “La diversità nelle sue diversità”. L’incontro ha visto la partecipazione di Guido D’Agostino, professore ordinario di Storia Moderna presso l’Università di Napoli “Federico II” e Vincenzo De Gregorio, Direttore Emerito del Conservatorio di Musica San Pietro a

Majella di Napoli e preside del Pontificio Istituto di Musica Sacra in Roma con letture di Carla Giannini. All’azienda grafico-editoriale la Biblioteca Nazionale ha voluto dedicare una esclusiva mostra per documentare il ruolo dell’impresa editoriale nella storia culturale e produttiva della città. Saranno esposte alcune delle più rilevanti e significative pubblicazioni della Francesco Giannini & figli custodite dalla Biblioteca di Napoli, testi scientifici, storici, documentali di ambito ed interessi diversi. L’ampia interessante carrellata si arricchisce di autografi, documenti originali, disegni e foto che contribuiscono a trat-

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teggiare i rapporti della tipografia con gli intellettuali dell’epoca, come le lettere autografe di Giuseppe Giannini ad Emanuele Rocco ed ad Antonio Ranieri . Del Ranieri non poteva mancare l’opera “7 anni di sodalizio con Giacomo Leopardi” rilasciata a Napoli, nel 1880, per i tipi del Giannini. “Gioiello” dell’esposizione sono le famose “Strenne” Giannini, eleganti pubblicazioni, edite con varie interruzioni fino al 1942, che si avvalgono di preziosi contributi di poeti e scrittori, storici ed intellettuali, da Roberto Bracco a Matilde Serao a Salvatore di Giacomo, da Bartolomeo Capasso ad Achille Torelli, a Michelangelo Schipa, da Francesco De Sanctis a Benedetto Croce, per citarne solo alcuni. Nel solco di questa tradizione il volume celebrativo per i centosessanta anni di attività delle Officine Grafiche “Francesco Giannini & Figli” di Napoli, “La diversità nelle sue diversità”, con un ricco apparato di contributi scientifici, al fine di proporsi quale luogo di incontro tra i diversi modi di dire e intendere la diversità, in ambito umanistico, scientifico, artisticoarchitettonico.


Girovagando...Conosciamo Napoli e la Campania

La Cupola maiolicata della Basilica di Santa Maria della Sanità, foto Peppe Guida

basilica di santa maria della sanità, la chiesa di Fra’ nuVolo Peppe Guida

Tra i “luoghi della rete” il gruppo Fb ‘Conosciamo Napoli e la Campania’ e i suggestivi itinerari raccontati da Peppe Guida nella rubrica ‘Girovagando’

NAPOLI. Sorge nel popolare rione Sanità, è nota ai suoi abitanti come la chiesa di San Vincenzo detto ‘o Munacone, poiché in essa è custodita la statua del santo domenicano Vincenzo Ferreri, il cui culto è molto radicato e sentito nel rione. Fu eretta su disegno del domenicano fra’ Giuseppe Nuvolo nel 1602-1613, sul sito delle catacombe di San Gaudioso. La facciata, con decorazioni in stucco degli inizi del Settecento, è affiancata da un alto campanile costruito tra 1612 e 1614 (l’orologio in maiolica è settecentesco). Esternamente colpisce la bella cupola rivestita di maioliche gialle e verdi, particolare anche per il suo disegno è tipica dell’artista Gaetano Massa che la progettò. La pianta circolare della chiesa rappre-

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La facciata della Basilica di Santa Maria della SanitĂ , foto Peppe Guida


senta una delle prime affermazioni monumentali dell'architettura controriformata; essa è costituita da una croce greca e presbiterio rialzato, espediente questo ideato dal frate architetto per inglobare la preesistente basilica paleocristiana, permettendo quindi l'ingresso diretto alla catacomba. L'interno è vasto e semplice nelle modanature e nell'assenza di decorazioni policrome, ma complesso nell'articolazione dei volumi: la croce greca, infatti, è inscritta in un quadrato. Numerose poi sono le opere d'arte, anche del periodo contemporaneo, presenti lungo la navata e nelle cappelle laterali. Tra le altre si segnalano San Biagio tra i santi Antonino e Raimondo da Penafort di Agostino Beltrano; Matrimonio mistico di Santa Rosa da Lima, Gloria di san Pio V, Alberto Magno e santi, Santi Nicola, Ceslao e Luigi Bertrando, Estasi della Maddalena di Luca Giordano; Annunciazione di Giovanni Bernardo Azzolino; San Tommaso d'Aquino che riceve il cingolo della castità di Pacecco De Rosa; Santa Marta e San Lazzaro di Francesco Solimena; Santa Caterina da Siena riceve le stimmate, Nozze mistiche di Santa Caterina d'Alessandria di Andrea Vaccaro.


Interno della Basilica di Santa Maria della SanitĂ , foto Peppe Guida

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Interno della Basilica di Santa Maria della SanitĂ , foto Peppe Guida

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da pompei a capodimonte, eVenti d’arte da non perdere

I capolavori ritrovati di Van Gogh, la Casa dei Casti Amanti e la campagna social l’Arte in maschera

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i sono eventi che proprio non è possibile perdersi. Perché difficilmente replicabili nell’immediato. Cominciamo dalla mostra che si è aperta lo scorso 7 febbraio e che vede esposti per tre settimane al Museo e Real Bosco di Capodimonte, prima di tornare in Olanda, i due dipinti di Vincent Van Gogh rubati 14 anni fa al Van Gogh Museum di Amsterdam. Si è trattato di un ritrovamento importantissimo che ha messo la parola lieto fine a quanto accaduto il 7 dicembre 2002, un giorno nero nella storia dell’arte. Due ladri riuscirono ad entrare nel Van Gogh Museum attraverso una finestra e rubarono due dipinti di Vincent Van Gogh, Paesaggio marino a Scheveningen del 1882 e Una congregazione che esce dalla Chiesa Riformata di Nuenen del 1884/85. I

ladri riuscirono a fuggire calandosi con una corda dalla finestra rotta, ma vennero arrestati qualche tempo dopo. Condannati al carcere e al risarcimento del danno i due malfattori negarono le loro colpe senza collaborare per il ritrovamento dei dipinti, di cui si erano disfatti. Per 14 anni se ne era perduta ogni traccia fino al settembre del 2016 quando le due tele vengono clamorosamente recuperate dalla Guardia di Finanza nel corso di un’operazione contro una banda di narcotrafficanti internazionale. Le tele, seguendo un percorso ancora da ricostruire, erano finite nelle mani della camorra, nascoste in una casa di Castellammare di Stabia riconducibile a un latitante del clan. Grazie alle dichiarazioni dei pentiti la Guardia di Finanza ha identificato il patrimonio della banda, procedendo

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al sequestro dei beni. I militari, coordinati dal colonnello Giovanni Salerno, si sono imbattuti nei quadri rubati proprio nel corso di un sequestro di beni per decine di milioni di euro, compiendo un recupero straordinario che conferma la forza del sistema Italia nella lotta al traffico illecito delle opere d’arte, come dichiarato dal ministro Dario Franceschini. Le due tele ritrovate sono fondamentali per la comprensione della prima stagione pittorica di Van Gogh, degli anni olandesi (1880-1885), in cui, influenzato dal seicento nordico e dalla sua vocazione frustrata di evangelizzatore, si esprime con una pittura di nero realismo che tocca il vertice con i Mangiatori di patate. La loro esposizione, accolta con entusiasmo dal Museo olandese, è stata promossa dal Mibact, dal Museo e Real Bosco di Capodimonte e finanziata dalla Regione Campania. Dal 12 al 26 febbraio, in occasione della mostra tutti i giorni alle 11.00 e alle 16.00 (escluso il mercoledì) lo staff dei Servizi Educativi del Museo di Capodimonte offrirà al pubblico approfondimenti guidati ai due dipinti di Van Gogh. (prenotazione obbligatoria a: mu-cap.accoglienza.capodimonte@beniculturali.it , ingresso al museo secondo


le normali tariffe (8 euro adulto intero, per bambini e ragazzi fino ai 18 anni l’ingresso è gratuito). Altro evento da non perdersi l’apertura straordinaria, da sabato 11 a martedì 14 febbraio, della Domus dei Casti Amanti. Aperta per la prima volta nel 2010 e poi richiusa, verrà in via straordinaria proposta alla visita del pubblico prima dell’ avvio del grande cantiere che ne consentirà il restauro

globale e la valorizzazione, oltre che la riconfigurazione delle scarpate dell'area. La casa fa parte di un’unica grande Insula che comprende anche la Domus dei Pittori al Lavoro e alcune botteghe e si estende per oltre 1500 mq. Il nome origina dal bacio "casto" che due amanti si scambiano in uno dei quadretti (in foto) di banchetto che decorano il triclinio della casa, con annesso

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panificio. Si trattava infatti dell’abitazione di un ricco panettiere e all’interno della domus sono visibili oltre al forno del panificio, splendidamente conservato, con le annesse macine anche le due stalle con i resti di sette animali. Ancora non integralmente esplorata, Vittorio Spinazzola nel 1912 aveva iniziato l'indagine della facciata con il balcone con colonnato, poi danneggiato nel bombardamento del 1943. Lo scavo è proseguito, a più riprese, dal 1982 fino al 2004, con un ampio progetto di restauro e valorizzazione. Poco prima dell'evento drammatico del 79 d.C., erano in corso la risistemazione della rete idraulica e, nella Casa dei Pittori al lavoro, il rifacimento della decorazione parietale nel grande oecus: l'interruzione improvvisa lasciò incompleti i quadretti dei quali era già eseguita la sinopia. Indizio dell'abbandono repentino dei lavori sono le numerose coppette ancora piene di pigmenti che l'artista stava adoperando. La giornata dell'amore sarà celebrata anche attraverso Instagram. Infatti la Soprintendenza Pompei ha organizzato con la comunità Igers Campania uno speciale percorso dedicato all'amore: 15 fotografi molto seguiti sul popolare social network visiteranno il sito archeologico e la Casa dei Casti Amanti e pubblicheranno il giorno di San Valentino le loro foto usando gli hashtag #ILovePompeii, #DiscoverPompeii e #CastiAmanti. (accesso, senza prenotazione, max 20 persone per volta). E prosegue la campagna social promossa dal Mibact anche nel mese di febbraio con il tema L’arte in maschera”. Una nuova caccia al tesoro digitale nei musei italiani per riscoprire, fotografare e condividere le tantissime opere d’arte, il vero petrolio del nostro bel Paese.


La Cassa armonica nella Villa Comunale di Napoli

la cassa armonica restaurata aspettando “innamorati a napoli”

Visite guidate a San Valentino con ciceroni d’eccezione. Ultimato il restauro del monumento ottocentesco su disegno di Alvino

NAPOLI. Dal 2 febbraio, la Cassa Armonica il monumento ottocentesco che ospitava la banda musicale della città, nella Villa Comunale, è tornato al suo antico splendore ripulito e consolidato. è stata una giornata di festa con la fanfara dei Vigili del Fuoco, la presenza del sindaco Luigi De Magistris e del restauratore Franco Moscariello. “Il Chiosco Cassa armonica della Villa nazionale di Napoli è stato eseguito sui disegni del defunto cav. Enrico Alvino ed è riuscito bellissimo”. Riportava il N.30 della rivista L’illustrazione italiana 23 luglio 1898. Elegante di proporzioni e di forme, nell’articolo si elogiava l’effetto che la Cassa di risonanza per la musica che “da una gran distanza si gusta senza perderne le più fine e delicate smorzature, grata e soave, con una fusione di suono da sembrare un organo solo toccato in mezzo ad una gran sala acustica”.

L'intervento ha riguardato non solo le componenti strutturali e architettoniche del monumento progettato da Enrico Alvino, ma anche quella acustica. Il lavoro ha riportato “a nudo” gli elementi in ghisa che in passato erano stati ricoperti con vernici spesso inadatte; i vecchi bulloni in ferro sono stati sostituiti con bulloni in acciaio; è stato rivisto il sistema statico della pensilina; la funzione acustica della cassa di risonanza sottostante il pavimento è stata ripristinata. Per la pensilina si è deciso di privilegiare l'immagine storicizzata del monumento, procedendo, in accordo con la Soprintendenza, con l'installazione di lastre bicrome, in materiale sintetico molto più leggere e sicure di quelle di vetro stratificato che avevano appesantito notevolmente la struttura in ghisa e che erano state inserite nel recente restauro del 1989. Un atto d’amore per la città che

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Al centro: Sandro Greco, 2016 nel riquadro un’opera in ceramica

per il prossimo San Valentino si prepara a vivere la seconda edizione di Innamorati di Napoli con gli Innamoràti di Napoli: visite guidate con ciceroni illustri. La manifestazione, nata da un’idea dello scrittore Maurizio De Giovanni (suo il libro da cui è stata tratta la fiction di successo I bastardi di Pizzofalcone), mette in luce le strade e i monumenti di Napoli raccontati da un nuovo punto di vista. Si andrà alla scoperta e riscoperta di luoghi noti e meno noti raccontati in chiave personale da uomini e donne che lavorano e vivono ispirati dall'amore per Napoli. Capiterà ad esempio di visitare con l’artista Riccardo Dalisi il Complesso Monumentale della Santissima Annunziata, o il Quartiere Sanità

con Enzo De Caro o lo Stadio San Paolo con Giuseppe Iannicelli, solo per fare qualche nome. Dai tasselli degli appuntamenti verrà fuori il volto variegato di una città che eccelle in mille campi. Napoli dell'arte, Napoli della storia, della musica, dell'alchimia, della scienza, del teatro, dei paesaggi, dell’archeologia, dello sport. Le visite inizieranno da Palazzo San Giacomo alla presenza del Sindaco di Napoli Luigi de Magistris e dell'Assessore Nino Daniele e con l’attrice Cristiana dell’Anna madrina e ideatrice della manifestazione. Da lì si dirameranno imperdibili itinerari: dal Maschio Angioino a Trentaremi, dal centro antico agli studi Rai di Fuorigrotta, da Castel dell'Ovo a Scampia. Una cinquantina i napoletani illustri che hanno aderito finora e altri si aggiungeranno nei prossimi giorni, per altrettanti percorsi e monumenti della città da riscoprire e amare perché è "Un amore per sempre” come recita il claim dell’iniziativa, la cui immagine guida è la rielaborazione grafica del bellissimo affresco del XVII secolo situato nelle catacombe di San Gaudioso - Basilica di Santa Maria della Sanità che a breve ha annunciato l’assessore Nino Daniele sarà restituito ai cittadini e ai turisti dopo un intervento di restauro. L’organizzazione della manifestazione è stata affidata all'associazione di categoria Guide turistiche campane. Le visite guidate, tutte gratuite, si svolgeranno nella mattinata di domenica 12 febbraio con un’unica eccezione per il Borgo Orefici che sarà protagonista di un evento sabato 11. Per i luoghi dove è previsto un biglietto d’ingresso questo sarà a carico dei partecipanti. La giornata degli innamoràti di Napoli si concluderà alle 21 nella galleria Umberto con il Silent Party (info http://www.the-silent-party.it). Per prenotarsi basterà chiamare alle infoline dedicate (Tel: 3473021515 - 3473021362 - 3473021295) o inviare una mail a: innamoratinapoli@libero.it. (an.fu.)

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alcuni fotogrammi di una puntata della fiction I bastardi di Pizzofalcone

i bastardi di pizzoFalcone, nella serie anche la napoli sotterranea

Tra i set della fiction record di audience anche la Galleria Borbonica

“I bastardi di Pizzofalcone”, la fiction di Rai1 tratta dai romanzi di Maurizio De Giovanni ha avuto una protagonista indiscussa: Napoli, che con le sue bellezze ha fatto da grandiosa scenografia alla serie campione di ascolti. E sui social è subito scattata la gara a riconoscere i luoghi scelti dagli autori: palazzi storici come quello dello Spagnuolo, lo scalone del palazzo Serra di Cassano, il panorama mozzafiato che si gode dalla Loggia del Priore della Certosa di San Martino, ed anche vicoletti semisconosciuti ma perfetti per far conoscere la Napoli più popolare della vita quotidiana. Fra le location scelte dagli autori e dal regista Carlo Carlei c’è anche la “Galleria Borbonica” il complesso di cavità sotterranee che si estendono proprio sotto la collina di Pizzofalcone, che dà appunto il nome alla serie. Alessandro Gassman, nei panni dell’ispettore Lojacono, e la poliziotta Alex Di Nardo si sono avventurati per i meandri della Galleria, rimanendo affascinati nell’esplorare questo tesoro nascosto nel sottosuolo, dove nel silenzio che stride col chiasso della superficie è la storia che parla al visitatore, lasciandolo senza parole davanti a questa grandiosa opera voluta dal re Ferdinando II di Borbone. L'ultimo percorso nato, la Via delle Memorie nasce proprio sulla collina di Pizzofalcone, in via Monte di Dio, con ingresso da Palazzo Serra di Cassano. Il tour prevede anche la visita allo scalone del San Felice, alle cave di Palazzo Serra utilizzate come ricovero durante la seconda Guerra Mondiale, si estende nella "Cattedrale" ed un tratto della Galleria Borbonica, dove sono state girate le scene. Ennesima conferma per la Galleria Borbonica, Per informazioni e prenotazioni : entrata a pieno titolo fra le tappe “obbligate” per +393662484151 – 0817645808 mail@galleriaun visitatore che vuole scoprire tutto il fascino borbonica.com - www.galleriaborbonica.com della Napoli sotterranea.

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la monaca di monza Monza, Reggia di Monza, Serrone della Villa Reale Viale Brianza, 2 fino al 19 febbraio 2017 Orari di apertura: Lunedì chiuso. Dal martedì al venerdì: 10-13 / 14-18 Sabato, Domenica e festivi: 10-19.30 Biglietti: intero: 10 euro, ridotto: 8 euro, Scuole: 5 euro. Info: 02.36638600 anima bianca. la neVe da de nittis a morbelli Milano, GAMManzoni via A. Manzoni, 45 fino al 19 febbraio 2017 Orari: da martedì alla domenica 1013 e 15-19 (ultimo accesso 18.30) Ingresso: 6 € Info: 02.62695107 caraVaggio. san girolamo scriVente Milano, Pinacoteca Ambrosiana piazza Pio XI, 2 fino al 19 febbraio 2017 Orari: da martedì a domenica, dalle 10.00 alle 18.00; chiuso lunedì Ingresso sola mostra: Piazza San Sepolcro, biglietto 8 euro. Info e prenotazioni: 02 - 6597728 la diVina commedia di Venturino Venturi fino al 26 febbraio 2017 Firenze, Villa Bardini, Costa San Giorgio 2 da martedì a domenica, dalle 10.00 alle 19.00, (ultimo ingresso alle ore 18.00). Lunedì chiuso. Info e prenotazioni:+39 055 20066206

da haYez a boldini. anime e volti della pittura italiana dell’ottocento Brescia, Palazzo Martinengo (via dei Musei 30) 21 gennaio - 11 giugno 2017 Orari: da mercoledì a venerdì, dalle 9.00 alle 17.30; sabato, domenica e festivi, dalle 10.00 alle 20.00; lunedì e martedì chiuso Biglietti: intero 10€; ridotto 8€; ridotto gruppi 8€; scuole 5€ Visite guidate: gruppi 80€; scuole 45€. Info e prenotazioni: tel. 380-4650533 eXhibition paintings Curatrice: Christiane Rekade Merano Arte - Edificio Cassa di Risparmio fino al 17 aprile 2017 Tel + 39 02 36755700 hierapolis di Frigia. il santuario di san Filippo mostra documentaria a cura di Francesco D’Andria fino al 20 marzo 2017 MUSA – Museo Storico-Archeologico, Università del Salento, via di Valesio - angolo viale San Nicola, Lecce orari di apertura: dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 13.30, martedì e giovedì anche dalle 15 alle 17.30 Ingresso gratuito, visite guidate su prenotazione. Info: 0832 294253; infomusa@unisalento.it

artico. ultima Frontiera FotograFie di paolo solari bozzi / ragnar aXelsson / carsten egeVang Venezia, Casa dei Tre Oci Fondamenta delle Zitelle, 43 fino al 2 aprile 2017 Orari: Tutti i giorni 10– 18; chiuso martedì.Info: tel. +39 041 24 12 332 art dÉco. gli anni ruggenti in italia Forlì, Musei San Domenico 11 Febbraio 2017 - 18 Giugno 2017 Informazioni e prenotazioni mostra tel. 199.15.11.34 Riservato gruppi e scuole: tel. 0543.36217 arnaldo pomodoro: 2 progetti Visionari. Il monumento di Pietrarubbia e il Progetto del cimitero di Urbino Milano, Fondazione Arnaldo Pomodoro (via Vigevano 9) Fino al 3 marzo 2017 Orari: martedì-venerdì, 11:00-13:00; 14:00-19:00. Ingresso libero. Info: tel (+39) 02 89 075 394 i maestri del colore arte a Venezia nell’800 Milano, Galleria Bottegantica Venerdì 24 Marzo 2017 - Sabato 20 Maggio 2017 Orari: da martedì al sabato 10-13 e 15-19. Ingresso libero Info: (+39) 02 62695489 (+39) 02 65560713

paola de rosa. FosForo portatore di luce Roma - Università Sapienza Museo di Chimica Primo Levi Piazzale Aldo Moro, 5 fino al 16 febbraio 2017 Orario: dal lunedì al giovedì 8.30 14; martedì 8.30 - 16.30 Ingresso: libero

marco schiFano Milano, Studio Giangaleazzo Visconti fino al 24 Marzo 2017 Orari: da lunedì a venerdì, 10.00 13.00; 15.00 – 18.30. Ingresso libero Tel. 02.795251

renato mambor Connessioni invisibili Galleria Gruppo Credito Valtellinese Corso Magenta n. 59 – Milano fino al 25 marzo 2017 Orari: da martedì a venerdì 13.3019.30, sabato 15.00-19.00 chiuso domenica e lunedì Info: tel. +39 0248.008.015

marcello morandini Museo MA*GA, via E. De Magri 1, Gallarate VA, 12 marzo - 16 luglio 2017 Inaugurazione 11 marzo ore 18 Orari:Lunedì chiuso Martedì-venerdì, 10.00|18.30 sabato e domenica, 11.00|19.00 Info: Tel. +39 0331 706011

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ITINER_ARTE...DOVE E QUANDO...

hierapolis di Frigia. il santuario di san Filippo mostra documentaria a cura di Francesco D’Andria fino al 20 marzo 2017 MUSA – Museo Storico-Archeologico, Università del Salento, via di Valesio - angolo viale San Nicola, Lecce orari di apertura: dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 13.30, martedì e giovedì anche dalle 15 alle 17.30 Ingresso gratuito, visite guidate su prenotazione. Info: 0832 294253; infomusa@unisalento.it


LUOGHI DEL SAPERE

la “brindisina” nadia caValera e “i palazzi di brindisi” “… soprattutto un atto d’amore per la propria terra dichiarato in modi non oleografici e retorici né con inani lamentazioni da prefica ma con una ricostruzione scientificamente fondata, denunce circostanziate, proposte praticabili.” (Marcello Strazzeri) “… Comunque io personalmente preferisco considerarlo il semplice resoconto di un viaggio, reale e fantastico insieme, da me condotto tra i palazzi di Brindisi, che mi ha permesso un duplice risultato: e una prima loro catalogazione (che non ha la pretesa di presentarsi come esaustiva) e di rivisitare i momenti storici più salienti della città, risvegliando dal loro sonno uomini e cose e rispolverandone allori e miserie.” (Nadia Cavalera) NADIA CAVALERA I PALAZZI DI BRINDISI Fasano (BR), Schena Editore, 1986 pag. 213

Nel 1986 Schena Editore pubblicava un volume a mio avviso straordinario: “I Palazzi di Brindisi” di Nadia Cavalera, docente, pubblicista, saggista, scrittrice, poetessa, donna di grande cultura, nata a Galatone ma allora residente a Brindisi, dove operava come insegnante nonché come collaboratrice de “Il Quotidiano di Brindisi”. Il libro è diviso in tre parti. In quella introduttiva la Cavalera ripercorreva sinteticamente la storia di Brindisi dalle origini fino agli anni Sessanta del Novecento. Nella seconda presentava 40 tra i più significativi palazzi di Brindisi (non so quanti di noi brindisini sanno dell’esistenza di tanti preziosi edifici nella nostra città), illustrandone con dovizia di particolari la storia e le caratteristiche architettoniche, arricchendo e alleggerendo mirabilmente la trattazione con racconti, aneddoti, curiosità relativi a fatti e personaggi legati a quelle costruzioni, dando così alla sua opera un taglio che non è solo divulgativo, ma anche narrativo, fondendo rigoroso dato storico e felicissima invenzione letteraria. Nella sua preziosa presentazione Marcello Strazzeri scriveva, infatti, che “i palazzi, dunque, costituiscono il pretesto per una rielaborazione letteraria di eventi significativi della vita brindisina del passato remoto ma anche recente, e che sono inoltre un piccolo e prezioso contributo alla ricostruzione della storia nazionale.” Così, per esempio, Palazzo Scolmafora offriva all’autrice l’occasione per ricostruire l’episodio che nel 1647 anticipò la ben più nota rivolta napoletana di Masaniello. La terza parte, denominata “Appendice”, riproponeva, infine, alcuni dei tanti memorabili articoli della Cavalera pubblicati su “Quotidiano” tra il 1981 e il 1986. Articoli (ma forse più che tali vanno considerati racconti dalla prosa elegante e a tratti poetica) dai quali emerge una grande passione civile, uno sviscerato amore per la storia e per l’arte, ma soprattutto una profonda conoscenza delle millenarie vicende di Brindisi e un bellissimo “innamoramento” per la sua città di adozione, alla quale non lesinava più che giustificati e fondati rimbrotti (esemplificativo “Cronaca di un inutile abbattimento: la torre dell’orologio”), da innamorata appunto, e della quale auspicava un riscatto, anzitutto culturale, lanciando consigli e suggerimenti intelligenti, acuti e ben

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praticabili (tra i tanti la proposta di un recupero, in termini storico-culturali, dei vecchi stabilimenti vinicoli), che ancora oggi sono attualissimi per quanto, in gran parte, ahinoi, inascoltati. Mi piacerebbe riportare tanti brani tratti dalla seconda e terza parte del volume, ché tutti meriterebbero una citazione, un richiamo, ma naturalmente ciò non è possibile (lancio però qui una proposta: perché non pensare ad una ristampa di questo libro?). Nadia Cavalera oggi vive ed opera a Modena ma non ha mai dimenticato Brindisi come prova anche la sua affettuosa partecipazione all’antologia “Via Maestra” (Hobos Edizioni, 2011) con il racconto “Via Montebello 20 e la nascita di Gheminga”, in accoglimento dell’invito dell’editore e dei curatori che hanno voluto considerarla brindisina al pari degli altri autori presenti nella raccolta. A dimostrazione del fatto che si può amare intensamente una città anche se non vi si è nati e non vi si dimori per tutta la vita. Michele Bombacigno

da romanzo criminale a gomorra. in libreria il nuoVo libro di nico parente

NICO PARENTE CIAK, SI SPARA isbn: 978-88-88893-93-8 Nicola Pesce editore pp.160 9.90€

In uscita il 9 febbraio Da Romanzo Criminale a Gomorra- il crimine italiano sul piccolo e grande schermo, il saggio di Nico Parente pubblicato da Nicola Pesce editore. Un volume che prende in analisi serie tv e opere cinematografiche basate su reali fatti di cronaca, appartenenti al genere “gangster/crime“. Obiettivo della ricerca è il confronto tra il reale svolgimento dei fatti e le rispettive trasposizioni filmiche e letterarie. I titoli oggetto di studio sono tutti tratti da fenomeni di malavita organizzata che, da Nord a Sud della Penisola, hanno sparso terrore, sangue e morte. Efferati criminali, che il cinema e la tv hanno reso protagonisti di sceneggiati balzati agli onori di cronaca, e molto spesso erroneamente interpretati come “miti” ed “eroi”, si sdoppiano in questo lavoro presentandosi, prima che come personaggi di un romanzo o di un copione, sotto le loro vesti reali. Ed ecco i titoli dei film e delle serie tv trattate nel libro: Uno Bianca; il film Romanzo Criminale e l’omonima serie; Il Capo dei Capi; il film e la serie Gomorra; Vallanzasca, gli angeli del male; Faccia d’angelo; Suburra. Nico Parente nasce il 28 marzo 1986 in provincia di Brindisi e trascorre la sua vita a Lecce. Sin dall’età infantile rimane particolarmente suggestionato e attratto dal panorama horror e fantastico. Il suo approccio con la filmografia argentina lo segna particolarmente. Laureatosi in Scienze della Comunicazione presso l’Università del Salento con una tesi dal titolo “Profondo rosso: un’analisi linguistica della filmografia di Dario Argento”, occasione che gli consente per la prima volta di incontrare di persona il suo idolo. Prosegue la carriera universitaria a Roma, dove entra in contatto con i massimi esponenti del cinema horror italiano. Ha pubblicato il suo primo saggio Antologia di un urlo, UniversItalia, 2013; L'esorcista. Quarant'anni dopo, Il Foglio, 2014: Acts of Sabotage. La biografia ufficiale, CRAC Edizioni, 2016.

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LUOGHI DEL SAPERE

GGGGG caraVaggio in sicilia. l’ultima riVoluzione il saggio di andrea italiano, giambra editori

ANDREA ITALIANO Caravaggio in Sicilia L’ultima rivoluzione Giambra Editori ISBN 9788898311040 pp.129 20,00 €

Edito dalla Giambra Editori il libro di Andrea Italiano rende omaggio ad uno dei più grandi pittori lombardi, che continua nei secoli ad affascinare con le sue tele pregne di ombra e luce come lo è stata tutta la sua vita. Si intitola Caravaggio in Sicilia L’ultima rivoluzione (2013) e fa parte della collana La nostra terra. Il saggio si sofferma sul breve soggiorno siciliano di Michelangelo Merisi iniziato nel 1608 e conclusasi agli inizi di ottobre del 1609. L’autore indaga mediante la ricostruzione apportata dalle fonti e attraverso l’analisi delle opere lo stile del Merisi che proprio in Sicilia assume secondo l’autore la connotazione di Ultima rivoluzione. Ma qual è la forza del Merisi? «L’ultima rivoluzione sarà la scoperta dell’Io come mezzo principale di osservazione (e deformazione) artistica della Realtà: senza questa “Conquista” […] non sarebbe possibile spiegare l’arte successiva, specialmente quella del Novecento» scrive Andrea Italiano. Il percorso siciliano di Caravaggio viene analizzato in tappe. A Siracusa il Merisi lascia come suo “testamento” il Seppellimento di Santa Lucia dove è lo spazio a dominare la scena e i pochi colori servono a far emergere i corpi imbevuti di luce drammatica. A Messina Caravaggio dipingerà la Resurrezione di Lazzaro e l’Adorazione dei Pastori e attraverso l’analisi dello stile di queste opere, Andrea Italiano, inserisce anche un’excursus delle tele del Merisi, sparse per il mondo, che potrebbero avere una probabile provenienza messinese. Dal Ritratto di cavaliere di Malta all’Annunciazione al controverso Cavadenti fino alla Coronazione di Spine. A Palermo la Natività coi Santi Francesco e Lorenzo rubata ai nostri occhi la notte del 1969 e mai più recuperata, è tra i critici ancora frutto di dibattiti circa la sua datazione. Ed è con quest’ultima opera che si conclude il percorso dell’astro caravaggesco in Sicilia che morirà l’anno successivo nel 1610, a Porto Ercole, aspettando la grazia che gli avrebbe permesso di ritornare a Roma. Importante contributo del libro è costituito dalla seconda parte dove Andrea Italiano non solo traccia il profilo dei Caravaggeschi siciliani così detti “minori” ma analizza gli influssi che ebbe la pittura del Merisi su pittori di diversa formazione; analizzando i due maggiori seguaci dell’artista in Sicilia: Alonzo Rodriguez e Mario Minniti. Alonzo Rodriguez che firma opere di altissimo pregio come Incredulità di San Tommaso e Cena in Emmaus - conservati al museo regionale di Messina - è una figura nel panorama artistico siciliano del tra ‘500 e ‘600 che andrebbe approfondita ulteriormente per capirne l’apporto e il rapporto sodale con lo stile caravaggesco. Minniti viene considerato nel libro a tutti gli effetti «un caravaggesco particolare che pur in certi limiti culturali e tecnici- ha guardato al Merisi avendo alle spalle una concezione ben precisa della pittura […] acquisendo dall’amico maestro nuove consapevolezze artistiche in materia di attenzione al reale, al quotidiano, all’idea stessa di umanità». Il libro composto da 129 pagine è corredato da alcune riproduzioni delle opere trattate. Unico neo, manca una nota biografica sull’autore del saggio che risulta una interessante lettura. Sara Di Caprio

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auschwitz. ieri oggi |remoto presente GGGG per non dimenticare la Follia e l’orrore

AA.VV. Auschwitz Ieri oggi| remoto presente Il Raggio Verde edizioni pp.80 ISBN 9788899679156 4,99 €

In occasione della Giornata della Memoria, Il Raggio Verde edizioni inaugura la collana Documenti e Reportage e lancia un nuovo e-book Auschwitz Ieri oggi | remoto presente dedicata allo scrittore Primo Levi di cui ricorre il trentesimo anniversario della morte. Una dedica doverosa e sentita per lo scrittore che con la sua opera letteraria ha raccontato con precisione chirurgica la follia del nazismo, descrivendo l’annientamento dell’identità e della dignità umana. E le sue parole sono pugnalate, vanno dritto al cuore e allo stomaco. Come le immagini che i fotografi Ines Facchin e Roberto Scialanga ci restituiscono con il loro reportage nell’inferno sulla terra che fu Auschwitz. Non vogliamo dimenticarlo. Non è possibile rimuoverlo come il negazionismo ha tentato di fare. Non è però nemmeno pensabile che nonostante tutto l’orrore che questi fotogrammi ci restituiscono in millesimi, come le frazioni di secondo bastate a scattarli, si possa pensare solo a “commemorare” se poi un altro inferno – e non minore – si sta quotidianamente registrando ancora. Vicino e lontano da casa nostra. è doveroso ricordare ciò che è stato e rappresenta Auschwitz. Non è l’orrore che appartiene a ieri e ad un passato remoto, che vorremmo non fosse mai accaduto, ma purtroppo la follia e la disumanità di Auschwitz, sotto altri nomi e forme, appartengono al nostro altrettanto terribile presente. Ecco il senso dell’ossimoro inserito come sottotitolo alla pubblicazione con i testi dello psicologo Giovanni Bruno, la scrittrice e giornalista Ada Donno, la fotografa Ines Facchin, la giornalista Antonietta Fulvio, lo scrittore e poeta Maurizio Nocera presidente provinciale ANPI Lecce. Un libro che vuole essere un piccolo contributo per ricordare la ferocia di un luogo ma soprattutto quella che ha abitato – e purtroppo alberga – nel cuore di tanti uomini. Auschwitz Ieri oggi | remoto presente si presta ad essere documento e strumento didattico al contempo per mantenere viva la memoria ma anche occasione per riflettere e porre l’attenzione sugli olocausti del 2017 e sull’importanza di far conoscere oltre che di far valere quanto stabilito dalla Dichiarazione universale dei diritti umani e dalla più recente Carta di Lampedusa. L’ebook è acquistabile sulla piattaforma www.bookrepublic.it al link: https://www.bookrepublic.it/book/9788899679156auschwitz/?tl=1

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Lo scrittore e drammaturgo Luigi Pirandello Premio Nobel, 1934

il lungo carteggio tra luigi pirandello e marta abba Giusy Gatti Perlangeli

AMORI LETTERARI

Teatro e vita tra le righe... Una storia d’amore o di amicizia?

«Senza la tua presenza la mia arte muore» Così scriveva Luigi Pirandello in una delle 560 lettere indirizzate a Marta Abba. «Marta non m'abbandonare - non è possibile che tu non sia, come autrice vera e sola, in tutto quello che ancora faccio. Ma io sono la mano. Quella che in me detta dentro, sei tu». Che la giovane attrice fosse diventata la musa ispiratrice del Maestro nell’ultimo decennio della sua vita, è un dato di fatto. Se tra i due ci sia stata una “vera” storia d’amore, invece, non siamo certi. E proprio perché sul loro rapporto non è stato ancora detto tutto, gli studiosi e la critica continuano a interessarsi al “caso” spulciando tra le righe del carteggio che i due si scambiarono dal febbraio del 1925 fino ai primi di dicembre del 1936. Quando si conobbero lui aveva 57 anni, lei 24. L’aveva scritturata “a scatola chiusa” perché si era distinta tra gli allievi dell'Accademia dei

Filodrammatici ed aveva ricevuto apprezzamenti dal più esigente dei critici, Marco Praga. «Io arrivai a Roma accompagnata da mia madre – racconta la stessa Marta - Era il primo viaggio verso una compagnia con la quale avrei poi dovuto fare una tournée. Sul palcoscenico vidi alcune persone nel semibuio. E una con i capelli d'argento, il pizzetto bianco, piuttosto curvo. Io entrai in palcoscenico e qualcuno disse: è Marta Abba. Pirandello allora scattò dalla poltrona e mi venne incontro con quella sua stupenda vitalità: non pareva vecchio! Mi strinse ripetutamente la mano e mi disse: benvenuta, signorina, siamo contenti che sia arrivata». Lui così la descrive «è giovanissima e di meravigliosa bellezza, capelli fulvi, ricciuti, pettinati alla greca, la bocca ha spesso un atteggiamento doloroso, come se la vita di solito le desse una sdegnosa amarezza; ma se ride ha subito una grazia luminosa, che sembra rischiari

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e ravvivi ogni cosa»; «occhi di mare, liquidi, pieni di luce». L’arrivo di Marta Abba al Teatro d’Arte ne stravolge gli equilibri. Mentre la giovane attrice inizia a esercitare un netto ascendenggg te sul Maestro, un certo malumore si diffonde nella Compagnia. «In breve – ricorda Virgilio Marchi, scenografo di

Pirandello – l’Abba divenne il centro di attrazione della Compagnia, l’istinto potente, la curiosità della nuova interprete, le attenzioni rivoltele dal Maestro, vincevano sulla intelligenza generale dei compagni d’arte, dominando anche su quella acuta e colta di quell’attore scaltro e profondo che risponde al nome di Picasso. […] La creatura suggestiva incarnante la vita dei personaggi allontanava sensibilmente il Maestro dalla nostra confidenza». 7 febbraio 1925: il drammaturgo le scrive una lettera di poche righe. La prima di 560 missive che le inviò sino al 1936, anno della sua morte. Marta gli rispose 238 volte. Sulla natura del rapporto tra i due non si è giunti ad una conclusione definitiva. Apparentemente sembra si tratti solo di stima professionale profonda. Tuttavia tra le righe delle lettere viene fuori un tono confidenziale che rimanda a ben altro. Il Pirandello che tutti conosciamo, alla luce di questo “rapporto” (così come emerge dall’epistolario) sembra un’allucinazione; quasi che prima di conoscere la giovane Marta lui non riconosca la sua come vera “arte”! Lui, che nelle novelle, nelle commedie e nei drammi sembra guardare tutti dall’alto, attraverso la lente dell’umorismo e dell’ironia, adesso appare protagonista assoluto del suo dramma personale, il più tragico: amare senza essere riamato. Il sentimento del Maestro è evidente: «Marta mia, Ti man-

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do in questo momento, sono le 10 e 1/2 del mattino, un telegramma con risposta pagata, per avere prima di questa notte Tue notizie. Questa notte sono stato agitatissimo, ho fatto un orribile sogno. E ho bisogno di tranquillarmi! Non puoi immaginarti in quanta preoccupazione io viva. Le cose più folli mi passano per la testa e non trovo un momento di requie… Pensa a me, pensa a me, Marta: io sono qua unicamente per Te; non veder chiusa entro limiti angusti la Tua vita; il Tuo destino è grande; Tu sei un’Eletta; non puoi circoscrivere in un ambito mediocre la Tua esistenza». Marta diventa per Luigi il “Mal giocondo” della sua esistenza: l’amore che lo fa sperare e soffrire, soffrire e sperare, in un’altalena appesa ai fili dell’agonia. L’animo di Pirandello esce lacerato: dalle lettere si può ripercorrere la sua parabola umana discendente. Mentre l’artista è in auge, l’uomo paga il prezzo di una vita in cui l’amore o è malato (Antonietta Portulano, la sua follìa) o non è. Marta infatti non lo ama. è fredda, distante, lo rabbonisce con quella condiscendenza che si usa per gli irrecuperabili. Lei non soffre perché non ama. «Spazi, Maestro – gli scrive spazi, largo, largo, non vorrei che Lei girasse troppo a lungo in giro a quel perno di vita e di morte, la vita che non deve consistere, perché se no diventa morte [...]. No, Maestro, vorrei che Lei spaziasse di più nel-


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la poesia, nell'amore, e anche per me trovasse qualche cosa per l'anno venturo di diverso». La Abba è per Pirandello “La Musa”, la sublime ispiratrice di testi scritti apposta per lei e di parti che le calzano come un abito su misura. «Scrivimi, fatti viva, ho tutta la mia vita in Te, la mia arte sei Tu; senza il Tuo respiro muore». E lei: «Per ora non si agiti e cerchi di rimettersi. E non si stanchi troppo scrivendomi». Oppure: «Caro Maestro non si scomodi a farmi dei telegrammi perché le mie notizie le arriveranno sempre, non così frequenti per il da fare di questi giorni». E ancora: «Stia a letto un po', si riposi, non faccia

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smanie, e si faccia servire su in camera. Ho sentito parlare della 'prima' e dire tanto bene. Su i cuori! Auguri e tante cose care». Il sentimento di Pirandello è forte e incontenibile: nel 1926, in un testamento olografo, lui la nomina erede per un sesto, oltre a lasciarle i diritti delle preziosissime opere scritte dopo il loro incontro. Marta ne divenne l’avida custode. Si opporrà, infatti, ad ogni rappresentazione teatrale che non le venga pagata profumatamente, battendosi in tribunale per i diritti, quando all'indomani della scomparsa dello scrittore, nasce un contenzioso con i familiari, che si concluderà

solo nel 1962 con una sentenza della Corte di Cassazione che, in data 21 febbraio 1969, riconosce agli Eredi Pirandello il diritto di includere negli Opera omnia dello scrittore i testi teatrali “di proprietà di Marta Abba” (Il Foro italiano, dicembre 1969, vol. XCII, coll. 326578). Tuttavia Marta non ricambia l’amore di Luigi Pirandello. Anzi, più lui si fa insistente, più lei si ritrae pur senza recidere mai completamente il filo della speranza di lui. Nelle lettere non corrisponde ai languori mortali di Pirandello: «Muojo perché non so più che farmene della vita», «In questa atroce solitudine non ha più senso vivere, né valore né scopo». Lui le esprime tutta la sua disperazione, preciso, nei dettagli. Le dice quanto preferisca soffrire piuttosto che non amare affatto, si umilia e si avvilisce. Lei gli risponde con educazione, gli dà del “Lei”, lo chiama sempre “Maestro” elencando le mille questioni pratiche della sua vita. Parla di soldi soprattutto, ma anche di attori, tournée, compagnie; gli parla di salute, di viaggi…d’amore mai. Non lo lusinga, non fugge per farsi raggiungere. è realmente indifferente. Tuttavia appare consapevole di quanto l’amore che Pirandello le porta, possa essere foriero di vantaggi pratici. Sa che nelle sue mani lo scrittore ha messo le redini della sua vita e dunque del suo teatro: gli impone di Marta Abba in compagnia di Luigi Pirandello

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scritturare sua sorella Cele, pretende modifiche ai testi «[... ] l'ho letta due volte. Finale primo atto qualche lievissima modifica e anche nel finale del secondo, più rapido. Terzo atto a me pare giusto. Tuda non ha espressioni felici e chiare soprattutto per essere così tronche; a mio avviso andrebbe più svolta l'ultima battuta, (la rileggerò ancora)». Probabilmente aveva interpretato a modo suo quello che c’era dietro tutte le parole che il Maestro le inviava, cosa celava il languore, la disperazione: la verità, forse, era che il primo a cadere vittima dei suoi moti dell’animo era lo stesso Pirandello, che si era illuso di amare, ma in realtà non amava nessuno, “cercava il rapporto di testa con se stesso e mai con una donna vera”. D’altronde il destino dello scrittore era stato “pirandelliano” fin dal matrimonio con Antonietta Portulano che aveva sposato il 27 gennaio del 1894: un rapporto nato sotto il segno della non comunicazione reciproca e profondamente segnato dalla malattia mentale di lei. Pazza di gelosia, lo accusava continuamente di essere infedele: «Luigi, dove sei? Che fai?» «Qua sono. Sto scrivendo». «A chi? A qualcuna delle tue fimminazze, eh?»

«Esistono, esistono!». «Ma dove, santo Dio?!» «Nella tua fantasia, lo dicesti tu ora». All'amico Ugo Ojetti il 10 aprile 1914, Pirandello aveva scritto: «Ho la moglie, caro Ugo, da cinque anni pazza. E la pazzia di mia moglie sono io – il che ti dimostra senz'altro che è una vera pazzia». In Uno, nessuno e centomila, il protagonista Gengè si prostra davanti alla Pazzia, battendo tre volte la fronte sul pavimento: «Tu, non io, capisci, davanti a tua moglie, capisci? dovresti star così! E io, e lui, e tutti quanti, davanti ai così detti pazzi, così!». Una nemesi insomma. Marta Abba non era una seduttrice, né una man-

«Tu a quelle fimmine le hai conosciute tutte?» «Quali fimmine, ‘Ntunie’?» «Quelle che poi ci scrivi sopra una novella». «Ma che ti viene in testa? Sono cose di fantasia. Non esistono!» L’attrice Marta Abba

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gia-uomini. Non ebbe relazioni sentimentali negli anni della vicinanza con Luigi Pirandello. Due anni dopo la sua morte, a Cleveland sposò un petroliere americano, ricchissimo: il matrimonio si concluse 14 anni dopo con un divorzio miliardario del quale la Abba non volle mai parlare. Pare certo che l’artista, dopo la morte del Maestro, abbia perso la sua grandezza d’attrice insieme con le sicurezze di donna, venerata e messa sul piedistallo dal Premio Nobel. Ogni tentativo di tornare al successo in teatro si rivela quasi un fallimento. Probabilmente, alla fine, la Abba rimpianse di non aver corrisposto l’amore di Pirandello: aveva compreso, forse, che, se non fosse stato per lui,

di lei non sarebbe rimasta traccia alcuna. In una lettera datata 7 ottobre 1936, il Maestro le aveva scritto, quasi prevedendo la fine imminente: «Qui lontano, resterò a vivere fino all’ultimo respiro. Addio, Marta mia! E sentiti sempre, tutta, nel bene senza fine che Ti vuole il Tuo Maestro». Nell’epistolario Pirandello torna poeta, quello degli esordi: in un’ideale chiusura del cerchio, Pirandello che dalla poesia è partito, alla poesia approda, come desolata sponda della disperazione. Sembra che la poesia gli permetta di prendere congedo da un’esistenza tormentata e divenuta invivibile. L’ultima lettera risale a sei giorni prima della morte dello scrittore (avvenuta per le complicanze di una polmonite, il 10 dicembre del 1936), ma Marta la riceverà mentre recita al Plymouth Theatre di Broadway solo il 14, quattro giorni dopo. è datata 4 dicembre 1936: «Se penso alla distanza, mi sento subito piombare nell’atroce mia solitudine, come in un abisso di disperazione! Ma Tu non ci pensare! Ti abbraccio forte

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forte con tutto, tutto il cuore. Il Tuo Maestro». A 86 anni, oramai sulla sedia a rotelle, l’attrice si esibisce sul palcoscenico per l’ultima volta, proprio declamando stralci di quelle lettere che, solo dopo tanti anni, forse “legge” come la manifestazione di un autentico amore divorante. Colpita da paresi, Marta Abba si ritira a San Pellegrino Terme per curarsi. Muore a Milano, nella clinica di Santa Rita, il 14 giugno 1988. Leonardo Sciascia, altro grande scrittore siciliano, che sull’attrice ebbe a esprimersi in diverse occasioni, apre il suo Alfabeto pirandelliano con la voce ABBA: «Creatura, personaggio, attrice di inalienabile


La casa natale di Luigi Pirandello diventua museo

la casa natale di pirandello oggi museo

condizione pirandelliana: come del resto tutte le vite di coloro che con la vita di Pirandello hanno avuto a che fare. Vite di vittime di cui Pirandello era vittima». Bibliografia (A.d’Amico - A.Tinterri, Pirandello capocomico, Palermo 1987, pp. 413 s.). (L. Pirandello, Lettere a Marta Abba, a cura di B. Ortolani, Milano 1995, p. 1392)”. Antonio Alessio, Marta Abba, caro Maestro...Lettere a Luigi Pirandello

(1926-1936), a cura di Pietro Frassica, Milano: Mursia, 1994. 10, 406 pp. Luigi Pirandello, Lettere a Marta Abba, Editore: Mondadori. Collana: I Meridiani, Anno edizione: 1994 http://www.treccani.i t/enciclopedia/martaabba_(DizionarioBiografico)/ http://urbanpost.it/lelettere-meravigliosedi-pirandello-e-marta-abba-tornano-acasa-quando-le-parole-sono-proprio-belle

Quest’anno ricorreranno i 150 anni dalla nascita di Luigi Pirandello e di sicuro varrà la pena visitare la sua casa natale, divenuta museo e che dal 1987 costituisce un unico istituto con la Biblioteca Luigi Pirandello che ha sede ad Agrigento. La casa natale di Pirandello si trova in una contrada di campagna, a strapiombo sul mare, denominata "Caos", al confine tra il territorio del comune di Agrigento (4 chilometri) e quello del comune di Porto Empedocle ed è La Casa Museo è il fulcro dell’omonimo Parco Letterario. Si raggiunge percorrendo la strada statale 115 in direzione di Villaseta. La casa era, in origine, una costruzione rurale di fine Settecento, nella disponibilità della famiglia Ricci Gramitto, avi di parte materna dello scrittore. Qui, Caterina Ricci Gramitto, madre di Luigi, si era rifugiata per sfuggire alla grave epidemia di colera che nel 1867 imperversava in Sicilia. Passato ad altri proprietari in seguito al tracollo economico della famiglia Pirandello, l'edificio fu danneggiato nel 1943 dallo scoppio di un vicino deposito di munizioni e fu dichiarato monumento nazionale nel 1949. In seguito all' acquisizione, nel 1952, da parte dalla Regione Siciliana, furono intrapresi dei lavori di restauro e sistemazione che hanno dato ai luoghi l'aspetto attuale. Le stanze del piano superiore con vista sulla campagna circostante ospitano oggetti personali, fotografie, onorificenze, recensioni, lettere, manoscritti e prime edizioni di libri con dediche autografe, locandine delle opere piu famose del grande scrittore agrigentino e il vaso greco servito per traslare le sue ceneri dal cimitero del Verano a Agrigento. Il pianterreno ospita, periodicamente, mostre temporanee dedicate al Maestro come quella allestita per l’ottantesimo anniversario della morte con la presentazione del manoscritto autografo ''Le mie ultime volontà da rispettare'' visitabile nella sala del ''Cratere attico'' fino al 28 febbraio 2017. Le ceneri del drammaturgo, insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1934, riposano a breve distanza, secondo le sue volontà: "sia l’urna cineraria portata in Sicilia e murata in qualche rozza pietra nella campagna di Girgenti, dove nacqui." nel cippo di pietra ritoccato dallo scultore Marino Mazzacurati. Contrada Caos Villaseta Agrigento SS 115. Tel.: 0922511826. Orari ingresso : Tutti i giorni dalle 9.00 alle 19.00. Chiusura il lunedì feriale. Spesso chiude la domenica. Biglietto singolo intero: 4,00 €, ridotto: 2,00 €.Visita alla tomba dello scrittore dalle 9.00 ad un'ora prima del tramonto. (http://www.regione.sicilia.it/beniculturali)

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Nelle foto alcuni momenti della Master class all’Accademia di Belle Arti di Lecce

il colore come segno, un successo la master class di zaVattari Claudia Forcignanò

L’artista toscano è stato ospite dell’Accademia di Belle Arti il 24 e 25 gennaio 2016

LECCE. Se esiste un confine tra la mera realizzazione di opere d'arte e la realizzazione concreta di un sistema artistico innovativo, Francesco Zavattari giovane artista e designer di Lucca, lo ha abbondantemente superato ispirando la propria vita e carriera allo studio della materia, del colore, delle forme. Ha così preparato un fertile terreno su cui muoversi agilmente coinvolgendo nelle sperimentazioni, oltre al pubblico che segue entusiasta il suo percorso, anche professionisti del settore e aziende di fama internazionale che hanno deciso di puntare sulle sue intuizioni stringendo proficue collaborazioni. è il caso di Cromology Italia, azienda leader nel settore della produzione e vendita di pitture per l'edilizia che ha investito su Francesco Zavattari diventando partner ufficiale e sponsor di un progetto dal respiro internazionale che ha preso corpo nel corso degli ultimi tre anni spingendo Zavattari ad effettuare viaggi nelle più importanti città europee, realizzando un corposo archivio

di appunti, schizzi, riflessioni e studi su opere d'arte, design e soprattutto colori confluiti e riorganizzati in "Invelight", cioè una serie di processi digitali ideati appositamente per garantire la massima coerenza e omogeneità tra sistema Rgb e Cmyk. In questa nuova avventura Francesco Zavattari ha deciso di non essere solo, ma di coinvolgere tutti coloro che potranno dare un contributo alla sua missione dando vita a "Colour State Of Mind", una serie di masterclass che nella tappa leccese hanno coinvolto gli studenti dell'Accademia di Belle Arti che grazie all'impegno del comitato studentesco, coordinato da Chiara Bevilacqua e Francesco Vitiello, e del direttore, Claudio Delli Santi, il 24 e 25 gennaio scorsi, sono stati chiamati ad effettuare una full immersion nel colore e nella sua storia. Davanti ad un'aula gremita, tra studenti seduti per terra e altri che cercavano di farsi largo tra la folla, Francesco Zavattari ha dato il via alla sua

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lezione, tenuta con la freschezza e la sana ironia che affascinano e incuriosiscono chi lo ascolta, manifestando professionalità e perfetta padronanza della materia, oltre che una innata capacità oratoria. Ed è stato così che mentre le slide scorrevano sullo schermo,

Francesco Zavattari ha svelato ai suoi studenti i segreti del colore e delle sue infinite applicazioni in tutti gli ambiti della quotidianità, ma soprattuto nel settore del design, introducendoli ad una delle prove a più intense e creative del loro percorso: la creazione di una nuova paletta di colori partendo da una campionatura di cromie già presenti nei cataloghi di Cromology. Il giorno seguente, già di buon'ora gli studenti erano pronti, armati di camice e pennelli a lasciarsi affascinare dalla monumentale quantità di campioni di colore messi a disposizione da Cromology e guidati da Francesco Zavattari hanno dato libero sfogo alla fantasia e alla creatività lavorando individualmente e mischiando, dosando, testando le varie combinazioni fino ad ottenere una gradazione di colore nuova alla quale hanno dato un nome. Al termine di questa fase individuale, gli allievi si sono riuniti in un team che ha abbinato i vari colori dando vita ad una tavolozza di oltre 350 sfumatu-

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re che andrà a comporre la paletta "Invelight Edu - Accademia Lecce". "Colour State Of Mind" è stata un'esperienza d'avanguardia che non solo ha coinvolto gli studenti in un percorso artistico, ma ha offerto loro la possibilità di confrontarsi con tutti gli aspetti più interessanti di una materia di studio, l'arte, il cui ciclo vitale non può concludersi con la realizzazione di un'opera, ma deve trovare libero sfogo anche nel mondo del marketing e del design industriale. Il viaggio di Francesco Zavattari e di Cromology proseguirà in aprile fuori dall'Italia, nella città portoghese di Felgueiras, mentre c'è grande attesa per "Congetture Isomorfe", la prossima serie ufficiale di opere dell'artista, anche queste interamente sponsorizzare dall'azienda, che come spiega lo stesso Zavattari, sarà interamente dedicata all'imprescindibile rapporto fra ambito artistico e matematico, tecnico ed emotivo. Interazione completa, quindi, fra emisfero destro e sinistro.


Charlotte Salomon in una foto d’archivio

charlotte salomon, in Valigia i sogni di donna e d’artista Claudia Forcignanò

Aspettava un bambino la talentuosa artista ebrea uccisa ad Auschwitz il 10 ottobre 1943. Ricordiamo la sua storia

Nel nome di Eva

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l 25 g e n naio a Ve n e z i a , un ragazzo originario del Gambia è morto annegato nelle acque del Canal Grande, aveva 22 anni. Due giorni dopo, in tutto il mondo si è commemorata la Giornata della Memoria e i social network si sono vestiti a festa tra frasi di rito, foto di Anna Frank, selfie scattati ad Auschwitz e toccanti parole abilmente estrapolate da "Se questo è un uomo" di Primo Levi, l'indignazione pubblica per la morte del giovane gambiano si è sposata alla perfezione con il ricordo dei martiri della follia nazista, ma il 28 gennaio la vita ha ripreso il suo corso. L'indignazione ci colpisce sempre come un pugno in pieno volto, alziamo la voce, firmiamo petizioni (rigorosamente on line) e poi torniamo a fotografare il cibo che mangiamo e ci chiediamo come mai, pur essendo persone stupende, nessuno ci capisce e nel frattempo un essere umano che annega a Venezia tra gli sberleffi degli involontari spettatori del macabro spettacolo, non basta a farci aprire gli occhi su un razzismo che serpeggia viscido e, come una pentola a pressione, è pronto ad esplodere. L'associazione con una Storia che fa tremare i polsi sarebbe un ottimo spunto per aprire gli occhi e sperimentare una strada alternativa, ma ad un certo punto scatta il cortocircuito: belle parole, slogan politici e culturali, blogger sagaci che

dicono la loro e dopo circa una settimana, la storia dei campi di sterminio torna a dormire tra le pagine dei libri che annoiati adolescenti studieranno senza troppo entusiasmo e la vicenda del giovane suicidatosi a Venezia finirà tra le pratiche burocratiche da smaltire. Perché questa lunga premessa? Perché siamo smemorati e se vogliamo destagionalizzare il turismo, allo stesso modo dobbiamo

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destagionalizzare il ricordo ed è per questo che circa un mese dopo la celebrazione della Giornata della memoria, torniamo a parlare di campi di concentramento e razzismo cercando di muoverci con discrezione lungo il filo spinato che ha lacerato la giovane vita di Charlotte Salomon, artista tedesca di origini ebraiche il cui nome è legato ad un sola opera composta da circa 800 immagini: "Vita? O teatro?". Charlotte nasce il 16 aprile 1917, i suoi genitori sono ebrei: il padre, Albert, è un chirurgo affermato e uno stimato docente universitario, la madre Franziska Grunwald è un'infermiera il cui destino è segnato da una depressione che porta tutte le donne della sua famiglia al suicidio, infatti quando Charlotte ha appena nove anni, la donna si lancia nel vuoto dalla finestra della sua camera da letto. Troppo piccola per essere messa al corrente della verità, a Charlotte viene raccontato che la mamma è morta in seguito ad una malattia e viene affidata alle cure di un'istruttrice finché il padre si risposa con Paula Lindberg, donna elegante, di grande cultura, contralto di fama che diviene, nel corso degli anni, una figura di riferimento per Charlotte

che con lei stringe un rapporto di affetto e gelosia che la avvicina al mondo della musica e dell'arte mentre il Paese inneggia al nazionalsocialismo. Quando nel 1933 Hitler promulga le leggi razziali, Charlotte ha 16 anni e i suoi nonni materni, intuendo tempi duri, fuggono prima in Italia e poi in Francia a Villefranche-sur-Mer sulla Costa Smeralda. Albert Salomon decide di non abbandonare la Germania cercando, per quanto possibile, di condurre una vita normale con la sua famiglia continuando a lavorare. Così fa anche Charlotte, che mostrando la sua natura fiera e perseverante, compie un gesto rivoluzionario: chiede ed ottiene di essere ammessa all’Accademia di Belle Arti di Berlino. Diventa l'unica «giudea al cento per cento» a frequentare i corsi e fa dimenticare la sua origine ai docenti e ai colleghi che la apprezzeranno per lo stile personale che riesce a far emergere pur padroneggiando perfettamente le tecniche di base cui associa il vivo interesse per alcuni testi e opere presenti nella biblioteca dell'Accademia, miracolosamente scampate alla censura imposta da Hitler all'“arte degenerata”. Charlotte Salmon è amata e stimata da tutti, stringe rapporti d'amicizia e le sue opere sono talmente apprezzate da risultare le favorite ad un concorso realizzato all'interno dell'Accademia. Quel premio però non le verrà mai assegnato a causa delle leggi razziali e il suo posto verrà preso dalla sua migliore amica, meno talentuosa, ma di razza ariana. La prima giovinezza di Charlotte prosegue così tra delusioni e bocconi amari da ingoiare fino al 9 novembre 1938, quando durante quella che passerà alla storia come la "Notte dei Cristalli" furono prese d'assalto le sinagoghe, distrutti i negozi e trentamila ebrei furono deportati nei lager. Tra loro anche Albert Salomon che verrà rilasciato solo grazie all'intervento della moglie. è l'inizio della fine: la famiglia Salomon si separa, Albert e Paula partono alla volta dell'Olanda, mentre Charlotte si rifugia dai nonni materni in Francia dove viene a conoscenza del terribile destino che attende le donne della sua famiglia e di conseguenza, anche della reale causa della morte della madre. Un colpo duro che fa sprofondare la giovane donna in un vortice di crisi d'ansia alternate a momenti di lucidità durante i quali decide di raccontare e raccontarsi al mondo ripercorrendo le tappe salienti della sua giovane vita attraverso una monumentale opera d'arte che accolga nel suo fulcro più intimo e profondo immagini corredate da

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Nel nome di Eva

Charlotte Salomon. Gouache aus dem Zyklus Leben? oder Theater?, 1940–1942. Sammlung Jüdisches Historisches Museum, Amsterdam. Bild: SN/© stiftung charlotte salomon


Bild: SN/© stiftung charlotte salomon Charlotte Salomon. Gouache aus dem Zyklus Leben? oder Theater?, 1940–1942. Sammlung Jüdisches Historisches Museum, Amsterdam. Bild: SN/© stiftung charlotte salomon

uno struggente commento poetico, filosofico e musicale in uno stile vicino alla grafica fumettistica e alla cinematografia piuttosto che al figurativismo fine a se stesso. Una novità assoluta, uno stile inedito e avanguardistico in perenne movimento che si evolve e modifica in base al soggetto di cui Charlotte decide di raccontare, ed ecco che vengono prodotti fogli su fogli, schizzi, idee, bozze, tutte accomunate da una straziante forza emotiva, un bisogno di vita e colori che si mescola alla disperazione di una condizione derivante dalla privazione della libertà, dalla fuga, dalla violenza, anche sessuale e alla necessità di non perdere il senno della ragione. Lavora con disperazione e ferocia ininterrottamente per due anni, dal 1940 al 1942 finché non realizza un totale di 800 (1300 includendo anche le bozze) tavole rilegate che prenderanno il titolo di "Vita? O teatro?". Una biografia per immagini che attraversa la storia familiare dei Salomon a partire dal 1913 e testimonia senza mezzi termini la campagna di odio razziale messa in atto da Hitler: le parate naziste, gli atti di violenza e odio contro gli ebrei, il senso di smarrimento e paura che la shoah ha seminato in Germania, ma non trascura le amicizie e gli amori incrociati lungo il cammino, come quello travolgente per Alfred Wolfshon, giovane filosofo e musicista provato dalla Prima Guerra Mondiale, o quello più tenero e definitivo per Alexander

Nagler che le restituisce la tanto sperata serenità e con cui decide di convolare a nozze sperando di sfuggire alla morte che la circonda. Purtroppo invece la morte incontrerà il suo destino proprio nel momento più bello della sua vita: ad appena 27 anni, mentre aspettava il suo primo figlio, le squadre delle SS irrompono nella casa in cui vive, la picchiano, la prendono a calci, aggrediscono anche Alexander e li arrestano entrambi, ma prima Charlotte mette i suoi lavori in una valigia e dice: «É tutta la mia vita.» Le SS non arrivarono per caso da Charlotte: la donna fu denunciata da un miliziano conosciuto in paese che, insieme al fratello farmacista, indicò la strada ai nazisti. Charlotte Salomon, la creatura che portava in grembo, i suoi sogni morirono giorno in cui giunsero ad Auschwitz. Era il 10 ottobre 1943. Dopo la guerra le opere contenute nella valigia furono riconsegnate alla famiglia e attualmente sono custodite presso il Joods Historisch Museum di Amsterdam. è necessario parlare per non dimenticare, bisogna farlo ogni giorno o quantomeno ogni volta che se ne ha l'opportunità, solo così la Giornata della Memoria e tutte le altre Giornate avranno un senso e un'utilità. Oggi abbiamo ricordato Charlotte Salomon perché la follia nazista non è morta con la fine della Seconda Guerra Mondiale.

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atmosFere Francesi, italiane ed egiziane per “dodicilune”

Doux Dèsir è il nuovo disco di Michel Godard e Ihab Radwan in uscita dal 7 febbraio con l’etichetta salentina che anticipa nuove produzioni

Doux Dèsirs il nuovo lavoro del duo composto da Michel Godard e Ihab Radwan uscito martedì 7 febbraio in Italia e all’estero distribuito da Ird e nei migliori store digitali. Un progetto originale che unisce suggestioni francesi, italiane ed egiziane. Uno sguardo al passato remoto e uno al futuro anteriore attraverso il prisma e le mille facce del jazz. Musica classica e suggestioni arabe e su tutto un interpl ay vivido e fertile. Le composizioni dei due musicisti hanno molti punti in comune: la modalità, gli ornamenti, la spontaneità ma soprattutto l'improvvisazione, che è la chiave di volta di questa collaborazione. Michel Godard ammalia con il suo serpentone, morbido, setoso, molto vicino alla voce; al basso tuba suggerisce linee, pensieri, traiettorie. L'oud, il liuto arabo, di Ihab Radwan si fa canto, sussurro, racconta. Affabula. Insieme, essi immaginano una musica senza barriere, bella e flessibile, proiettata fuori del tempo. L'incontro è creativo, necessario. Accende il desiderio. Doux Dèsirs è la prima uscita di un 2017 che per la Dodicilune si preannuncia intenso e ricco di nuove produzioni nazionali e internazionali. Martedì 14 febbraio arriva Twelve Colours and Synaesthetic Cells nuova opera di Gianluigi Trovesi e Umberto Petrin, a dieci anni da Vaghissimo Ritratto, loro ultimo lavoro insieme. Il nume tutelare di riferimento è Skrjabin, ma i due straordinari musicisti lo usano unicamente come semplice pretesto iniziale per un dialogo suddiviso in

molte vignette dalla notevole intensità. Lunedì 20 febbraio, dopo The Mingus Suite, prosegue la collaborazione tra la Dodicilune e il compositore e arrangiatore Adriano Clemente con Havana Blue, un progetto di composizioni in stile latin ispirate dalla musica di Bebo Valdes, Mario Bauza, Tito Puente, Mongo Santamaria e altri giganti della musica latina tradizionale. Martedì 21 febbraio in programma MPB della cantante Paola Arnesano e del fisarmonicista Vince Abbracciante. Una celebrazione della musica popolare brasiliana dall'inizio del XX secolo ad oggi, intrisa di sentimenti e stati d'animo viscerali che ne caratterizzano il popolo: dalla "tristeza" alla "felicidade", dalla "saudade" al "choro". Martedì 28 febbraio il mese si chiude con Evansiana, inevitabilmente legato al ricordo della grande figura artistica di John Taylor, probabilmente il vero continuatore dell'estetica e del pianismo di Evans, scomparso poco dopo la registrazione di questo disco nel luglio 2015. Dopo Blue from Heaven è il secondo progetto che vede insieme Taylor, Paul McCandless, Pierluigi Balducci e Michele Rabbia. L’etichetta salentina Dodicilune è attiva dal 1996. Dispone di un catalogo di oltre 200 produzioni di artisti italiani e stranieri, ed è distribuita in Italia e all'estero da IRD e acquistabilianche anche online (Amazon, Ibs, LaFeltrinelli, Jazzos) o scaricati in formato liquido su 56 tra le maggiori piattaforme del mondo.

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Chiostro Abbazia di Santo Stefano, foto di Sara Foti Sciavaliere

le sette chiese di bologna sancta Jerusalem bononiensis Sara Foti Sciavaliere

L’antico complesso medioevale in piazza Santo Stefano icona di cristianità

BOLOGNA. Nella triangolare piazza Santo Stefano, uno dei luoghi più visitati di Bologna, lungo il lato più corto dello spazio acciottolato, si apre la facciata del complesso delle “Sette Chiese”, il cui nome deriva proprio dal numero di edifici sacri che un tempo lo componevano. Oggi ne restano solo quattro: la Chiesa del Crocifisso, la Chiesa della Trinità, la Chiesa dei Protomartiri San Vitale e Sant’Agricola e infine la Basilica del Sepolcro, la costruzione più antica che risale al V secolo e dove erano custoditi i resti di San Petronio, vescovo e patrono di Bologna. Attraverso i secoli, l’Abbazia di Santo Stefano, come è anche noto il complesso, che doveva imitare il Santo Sepolcro di Gerusalemme, fu fortemente trasformato, ma rimane uno dei più suggestivi monumenti medievali della cristianità presenti in Italia, in cui la spiritualità e l’arte trovano un esemplare sodalizio, facendosi canto di lode a Dio. Di fatto qui si incontrano il mondo romano e quello paleocristiano, longobardo e bizantino, franco e ottomano, insieme alla spiritualità monastica. La storia delle Sette Chiese è complessa e affascinante. Il primo nucleo della costruzione nasce dove si trova una sorgente, sulla quale fu edificato un antico tempio pagano dedicato alla dea Iside, che attorno all'anno 100 era stato fatto costruire da una ricca matrona bolognese a circa 80 metri dalla via Emilia, la strada che collegava

Rimini con Piacenza. Quel tempio viene trasformato in un battistero cristiano: è che l’iniziazione al culto di Iside prevedeva un rituale molto simile a quello del battesimo, ed in entrambi i culti c’è il medesimo concetto di resurrezione come premio alla fede e al sacrificio. Così la fonte originaria viene riconsacrata con l’acqua del Giordano, e il colonnato circolare a cielo aperto che la circonda viene chiuso con un muro e sormontato con una cupola. Le colonne sono visibili ancora oggi all’interno del battistero: quelle originali del sacrario di Iside sono le sette in marmo cipollino nero, mentre quelle in mattoni sono state aggiunte dopo. Un lastra marmorea, di epoca romana, murata nel lato sinistro della Chiesa del Crocifisso, indicante il tempio pagano, ritrovato nel 1299 a circa quaranta metri di distanza da questo luogo, verso la piazza. L’acceso principale al complesso però è dato dalla Chiesa del Crocifisso. Anch’essa rimanda a uno stile romanico-lombardo con un originale balcone che si sviluppa sul lato sinistro e che quasi sicuramente serviva all’ostensione delle reliquie delle quali l’Abbazia di Santo Stefano era, ed è tutt’oggi, assai ricca. Questa è di certo l’edificio, insieme alla chiesa della Trinità, che ha subito maggiori rimaneggiamenti nel corso dei secoli. Nelle ultime campagne di restauro si è tentato di restituirgli l’aspetto medievale, anzi longobardo, così svestita di quasi tutti gli inter-

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venti successivi al XIV secolo, oggi si presenta come una vasta aula ad unica navata con un semplice tetto a capriate. Al centro, sopra la scalinata è collocato il grande crocifisso dell’artista bolognese Simone de’ Crocifissi, opera databile intorno al 1380, sopra all’altare barocco del presbiterio in marmo giallo di Verona. Da questa chiesa si scende nella piccola cripta, sottoposta al livello stra-

dale attuale. Era stato questo il luogo designato a custodire le reliquie dei protomartiri Vitale e Agricola, poste in un urna dorata sull’altare in fondo alla cripta. Il vano è divisa in cinque piccole navate con colonne che si diversificano sia per i marmi che per l’altezza, ma anche per la varietà di capitelli, a cubo o a dado, di ispirazione franca o in stile toscano. Una particolarità assoluta è data però dalle prime

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due colonne (entrando a destra) in quanto la prima è in mattoni e quadrilobata mentre la seconda, priva di capitello, seconda un’antica tradizione sarebbe stata portata da Gerusalemme da San Petronio per mostrare ai suoi fedeli l’altezza di Cristo. Usciti dalla cripta, sotto il piccolo matroneo (a destra), c’è il passaggio per l’antica chiesa del Santo Sepolcro di cui ho scritto prima, che come si dice-


Basilica di Santo Stefano, inetrno, foto di Sara Foti Sciavaliere

nella sua estrema nudità evoca pienamente la povertà dignitosa delle comunità medievali. Subì diverse danneggiamenti e ricostruzioni delle quali i capitelli rimasti possono essere un segno come le chiazze di mosaico e qualche pezzetto di affresco qua e là. Rientrando nella Basilica del Sepolcro, ci si immette nel cosiddetto Cortile di Pilato, che si presenta come un quadrilatero delimitato dalla

Storie. L’uomo e il territorio

va racchiude quasi 1600 anni di storia cristiana e duecento di storia pagana legata al culto isiaco. Da qui si può proseguire verso l’attigua costruzione. Durante il vescovato di Petronio, negli anni 431-450, infatti, accanto al battistero viene costruita la chiesa di San Vitale e Agricola, la seconda delle Sette Chiese. Di tutte gli edifici del complesso è quella che ha maggiormente conservato le caratteristiche del romanico-lombardo e

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Pianta delle sette chiese nei secoli; in basso Adorazione dei Magi, Chiesa del Martyrium, foto Sara Foti Sciavaliere

facciata restaurata della Chiesa del Calvario, da quella posteriore del Sepolcro e da due porticati in stile romanico-lombardo con le tipiche colonne cruciformi in mattone. Al centro è posto il catino di Pilato, una vasca marmoreo opera longobarda che risalirebbe al 730-740. Dal-

l’iscrizione posta sotto il bordo circolare si legge che il catino aveva lo scopo di raccogliere le offerte nel giorno del giovedì santo. Ci spostiamo dunque all’interno della Chiesa del Calvario, detta anche della Santa Croce o del Martyrium o della Trinità,

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una serie di appellativi che già lasciano intendere incertezze sulla sua storia. Si ipotizza che in luogo cimiteriale venne collocato un sacellum che funse da sepolcro dei martiri (martyrium), fu poi riedificato a somiglianza della Basilica costantiniana con il sepolcro, il cortile


In questa pagina Cortile di Pilato, Sette Chiese; in basso Chiesa del Crocifisso Pagina a lato : Chiesa Santo Sepolcro, interno. (foto di Sara Foti Sciavaliere)

di Pilato e la basilica della Croce nella direzione Ovest-Est. In seguito fu adattata a battistero longobardo, finché i Franchi la ristrutturarono nuovamente nel loro tipico stile a tre absidi e ingrandita poi tra il ’500 e il ’600. Oggi si presenta come una chiesa trasversale a cinque navate con colonne e capitelli di riporto e diverse absidiole con resti di pregevoli affreschi dei secoli XIV e XV. Nella cappella in fondo a sinistra è possibile ammirare il suggestivo gruppo ligneo dell’Adorazione dei Magi, opera di Simone de’ Crocifisso, il quale dipinse le statue già precedentemente scolpite da un maestro ignoto. Passando dalla stessa chiesa o dal portale Sannuti che chiude il lato Sud del cortile di Pilato, si accede al chiostro. In verità esso non fa più parte della Sancta Jerusalem Bononiensis ma è piuttosto testimonianza visibile della presenza monastica benedettina. Luogo assai silenzioso, riservato per questo alla preghiera e alla meditazione. La sua costruzione, in due ordini, non ha datazione precisa ma deve essere stata realizzata in due tempi: verso l’anno Mille il livello inferiore, massiccio e austero, mentre la parte superiore, leggera ed ele-

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gante con colonnine binate, alla fine del XII secolo. A vivacizzare la geometria della struttura, la fantasia dei singoli elementi ma soprattutto la policromia del tratto di muro sopra i capitelli, costruito con mattoni di malta e cottura diversi. Particolarmente interessante dal punto di vista artistico è il lato addossato alla chiesa del Crocifisso e al campanile: di fatto meritano un occhio più attento i capitelli, soprattutto, partendo da destra, il primo, il settimo e l’undicesimo, ma anche altri con teste animali e volti umani in atteggiamenti beffanti. Attraverso il chiostro si raggiunge l’erboristeria dell’Abbazia e da qui la Chiesa della Benda che ospita la Pinacoteca-Museo del complesso di Santo Stefano, seppure la collezione non sia completa si può avere una minima idea delle cappelle e degli altari scomparsi. La Chiesa della Benda fu così denominata per la reliquia omonima che ancora oggi vi è custodita: una striscia di tela tipica del mondo medio-orientale che el donne tenevano sulla fronte in segno di lutto per la morte di un loro con-

giunto: la Vergine Maria l’avrebbe usata alla morte di Gesù. Ma insieme alla benda, in una nicchia protetta dall’inferriata, ci sono moltissime altre reliquie e reliquiari. Non è un caso se è riconosciuta come una piccola Gerusalemme, né che sotto la volta d’ingresso di Santo Stefano ci sia la scritta Sancta sanctorum. Le “Sette Chiese” di certo è il luogo sacro di Bologna, oltre ad essere senza dubbio uno tra i monumenti religiosi più suggestivi del nostro patrimonio nazionale.

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i bandadriatica al babel med music ritmi salentini a marsiglia

La band salentina rappresenterà l’Italia

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l Salento e l’Italia agli showcase del Babel Med Music 2017 con BandAdriatica. L’ i m p o r t a n t e appuntamento per la World Music internazionale, che accoglierà artisti, agenzie e manager da tutto il mondo, si terrà nei giorni 16, 17 e 18 marzo a Marsiglia e BanAdriatica sarà l’unica formazione italiana presente nel programma previsto per sabato 18 marzo. La BandAdriatica viene dal Salento ed è impegnata da più di dieci anni nella ricerca delle origini musicali comuni delle sponde del Mare Adriatico. I musicisti della BandAdriatica trasmettono nei live il senso della festa, tipico del Sud Italia, utilizzando diverse lingue, fra le quali il proprio dialetto, che fa da collante tra i vari linguaggi musicali utilizzati. Il progetto è basato sull’incontro e sul dialogo con le musiche tradizionali di Albania, Macedonia, Croazia, con le fanfare Serbe e si spinge fino al Mediterraneo orientale, l’Armenia e il centro Africa. La loro musica coinvolge il pubblico trascinandolo alla danza e restituendo l’idea di appartenenza alla stessa storia, quella dei popoli straordinari che hanno reso grande il bacino del Mediterraneo. L’ensemble guidato dall’organetto

e dalla voce di Claudio Prima, dopo i ponti gettati tra le due sponde dell’Adriatico, fra tradizione salentina e musica balcanica, ha presentato lo scorso ottobre al Medimex il quarto album, intitolato non a caso Babilonia, un affascinante esperanto musicale, ricco di profumi e suoni esotici, nel quale brani originali cantati in italiano si alternano a tradizionali turchi e salentini. I BandAdriatica sono Claudio Prima, Emanuele Coluccia poli-strumentista e compositore, Vincenzo Grasso clarinetto e sax tenore, i trombettisti Andrea Perrone e Gaetano Carrozzo, Moris Pellizzari che passa con disinvoltura dalla chitarra al saz, al kamalè ngonì e il batterista Ovidio Venturoso. www.bandadriatica.com

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premio mario Verdone i dieci Film Finalisti in gara

L’assegnazione avverrà nell’ambito del Festival del Cinema Europeo a Lecce dal 3 all’8 aprile

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entre la macchina organizzativa per la diciottesima edizione del Festival del Cinema Europeo lavora a pieno ritmo per ultimare il programma della manifestazione che si svolgerà a Lecce dal 3 all’8 aprile 2017 giungono notizie in merito al Premio Mario Verdone, importante evento all’interno del cartellone del Festival che lo ha istituito otto anni fa. Ed ecco, dunque, i finalisti in gara: Gianclaudio Cappai per Senza lasciare traccia, Caterina Carone per Fräulein - Una fiaba d’inverno, Ferdinando Cito Filomarino per Antonia, Lorenzo Corvino per Wax: We Are The X, Marco Danieli per La ragazza del mondo, Irene Dionisio per Le ultime cose, Fabio Guaglione e Fabio Resinaro per Mine, Gabriele Mainetti per Lo chiamavano Jeeg Robot, Adriano Valerio per Banat - Il viaggio, Michele Vannucci per Il più grande sogno. Il premio sarà consegnato dai fratelli Carlo, Luca e Silvia Verdone che commentano: “Edizione dopo edizione il Premio Mario Verdone, dedicato a nostro padre Mario che tanto amava Lecce e

la sua cultura, è ormai un valido punto di riferimento nell’individuare giovani autori meritevoli di un riconoscimento per la loro opera prima. Nostro padre è stato un docente che ha “allenato” con la sua cultura cinematografica tanti studenti. Molti di loro sono oggi validissimi registi conosciuti dal grande pubblico, altri studiosi di spettacolo, critici o docenti di Storia del Cinema. Per noi fratelli Verdone non sarà semplice individuare il miglior film. Non lo è mai stato. Anche perché negli ultimi anni si stanno affacciando tanti giovani ricchi di creatività e talento. Ma cercheremo di assimilare quel giudizio critico che nostro padre aveva, cercando di trovare quei requisiti di originalità nel racconto e nello stile di una regia che stupisca. Siamo convinti che li troveremo, come li abbiamo sempre trovati ed esaltati in questi anni prolifici del Premio Mario Verdone a Lecce”.

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Le precedenti edizioni sono state vinte da: Susanna Nicchiarelli per Cosmonauta, Aureliano Amadei per 20 sigarette, Andrea Segre per Io sono Lì, Claudio Giovannesi per Alì ha gli occhi azzurri, Matteo Oleotto per Zoran, il mio nipote scemo, Sebastiano Riso per Più buio di mezzanotte, Duccio Chiarini per Short skin (nella foto). Realizzato dalla Regione Puglia e dalla Fondazione Apulia Film Commission con risorse del Patto per la Puglia (FSC), il Festival del Cinema Europeo è ideato e organizzato dall’Associazione Culturale “Art Promotion” con il sostegno del Comune di Lecce e del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del TurismoDirezione Generale Cinema.


La Galleria del Castello di Lymburgh dei Castromediano, foto Michele Onorato

arnaldo miccoli. phases oF a Face, una nessuna centomila

A Nardò (Lecce) dal 25 febbraio al 25 marzo nella galleria L’Osanna

NARDò (LECCE) A distanza di un anno, dopo la mostra alla Galleria del Palazzo Ducale dei Castromediano a Cavallino With war on my mind. Con la guerra nella mente e con la speranza dell’arte nel cuore, Arnaldo Miccoli torna ad esporre ma questa volta a Nardò, negli spazi della galleria L’Osanna di Riccardo Leuzzi, dal 25 febbraio al 25 marzo 2017. Phases of a face, una nessuna centomila il nuo-

vo progetto espositivo curato da Toti Carpentieri che scrive «Preso totalmente dalla figura umana, Arnaldo Miccoli inventa una sequenza infinita di singoli ritratti, quasi una galleria di protagonisti/tipi/emb lemi: persone normali, miti, sportivi paludati, donne aggressive, generali pluridecorati, amici, autoritratti, e perfino mostri; e con essi approda, poi, alla costruzione di immagini di gruppo con-

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traddistinte da una ricchezza di cromie, tra chiare identità tonali ed altrettanto evidenti contrasti. Sono, a ben guardare, fisionomie riconoscibili, ma al tempo medesimo anonime, volte a rivelare ben più di quanto il segno grafico e il colore manifestano, talvolta nel senso dell’ironia sottile, talaltra nell’emergenza di un cattiveria generalizzata che rimanda alla violenza reale che domina e caratterizza il mondo. Sorta di immagini forti, maschere dialoganti al limite della visionarietà, ma anche figure e corpi dall’esplicita sessualità (quella di Romeo&Juliet, di Go-go girl e di The red pillow della metà degli anni Settanta) , che, oltre ogni ipocrisia, mettono a nudo la vera natura dell’uomo (e della donna), tra simboli e metafore, tra citazioni e recuperi, tra analogie e contrasti». Nato a Cavallino, Arnaldo Miccoli dopo aver conseguito il diploma all’Istituto statale d’arte «Pellegrino» di Lecce frequenta l’Accademia di Belle Arti di Roma con Peppino Piccolo e Franco Gentilini e l’Università Cattolica degli studi Sociali di Roma. Nel 1960 pubblica una raccolta di poesie in vernacolo dal titolo Fiuri te Campagna. Nel 1962 fonda Lu Lacquaru, numero unico per le feste natalizie. Nel 1965 parte per gli U.S.A.,dove vi trascorre i primi anni della sua permanenza, alternando all’insegnamento la pittura. Nel 1973 torna a Roma e vi si stabilisce con la famiglia per quasi due anni. Di questo periodo sono le mostre in Italia e in Europa. Nel 1975 rientra nuovamente negli Stati Uniti e si dedica a tempo

pieno alla pittura ed all’illustrazione, tenendo mostre personali e collettive in varie città degli Stati Uniti e d’Europa. Nel 1979 rientra nuovamente in Italia, questa volta in Toscana a Montecatini Terme, per un soggiorno di circa due anni. Espone in quegli anni a Roma e a Milano. Nel 1981 rientra negli Stati Uniti per stabilirsi definitivamente a Tenafly, nel New Jersey, dove opera con studio al 275 Engle Street. Recentemente è ritornato nel Salento dove continua la sua ricerca artistica ed espositiva. Le sue opere

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sono in collezioni pubbliche e private in Europa e negli Stati Uniti d’America. Vernissage il 25 febbraio alle ore 18 con degustazione a cura della delegazione Ais di Lecce. Arnaldo Miccoli Phases of te face Galleria L’Osanna Nardò, via XX Settembre, 34 Orario : 17-20;30 escluso il lunedì e i festivi (fuori orario solo previo appuntamento ) Info: 0833562906


Nelle foto, la Perla Nera di Giuseppe Zippo e la premiazione al Sigep di Rimini

dopo il panettone, il gelato: zippo, re dell’arte dolciaria italiana Maurizio Antonazzo

Ancora un successo per il pasticciere specchiese

RIMINI. Nell’arte dolciaria il talento non svanisce cambiando il prodotto che si realizza quando si lavora con passione e competenza, lo ha dimostrato lo scorso 23 Gennaio al SIGEP Salone Internazionale della Gelateria e Pasticceria di Rimini, il pastry-chef specchiese Giuseppe Zippo, titolare di “Le Mille voglie”, coadiuvato da Massimiliano Maisto, ottenendo il Pri-

mo posto come gradimento del pubblico nell’ambito del “Miglior Dolce Debic Italian Style 2016” con “La Perla Nera”, un dessert ideato dallo stesso Zippo,dedicato al Salento, con la panna cotta, interpretato ispirandosi alle tre piante che dominano le campagne salentine: l’ulivo, il fico e il mandorlo, l’albero protagonista dello stemma civico di Specchia.

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Una competizione tra pasticcieri di tutta Italia, organizzata dall’ Azienda Debic e da Dolcesalato, rivista specializzata del settore, che ha visto il pasticcere specchiese primeggiare sulle ottime monoporzioni dei suoi tre colleghi: Giorgio Giovanardi, Pastry chef, del Ristorante “I Tre Re” di Poggio Berni di Poggio Torriana (Rimini) con una “Zuppa Inglese”, Marco Mura, Pasticcere, de “La Petite Bouche” di Assèmini (Cagliari) con “Cuore di Sardegna” e Pasquale Russo, Pastry chef, del Ristorante “Erard” di Montecarotto (Ancona) con “Bacio d’estate”, tutti selezionati già l’estate scorsa attraverso il web, la ricetta di ogni pasticciere, infatti, pubblicata sul sito e sulla pagina Facebook Dolcesala-


to è stata votata dagli utenti per un mese intero. Una dolcissima sfida che ha messo in luce le abilità di selezionati professionisti sul tema dell’Italian style. Sotto i riflettori i grandi classici della pasticceria italiana: pasta sfoglia, pasta bignè, pasta frolla, panna cotta, tiramisù e meringa. I pasticceri sono stati chiamati a valorizzare i pilastri dell’arte dolciaria italiana e, di conseguenza, gli ingredienti che ne sono protagonisti. Al SIGEP i 4 pastry-chef finalisti hanno realizzato e presentato i loro dessert di fronte a una giuria di esperti composta da: Monica Nastrucci, Responsabile di Dolcesalato,Federico Rottigni, Pastry chef e presente spesso a “Detto fatto” trasmissione di RAI 2,Alessandro Belloli, Marketing & Trade Marketing Manager FrieslandCampina FoodService, Maurizio di Luccio, Area Manager Friesland-

Campina FoodService,Davide Tabarri, Culinary Advisor FrieslandCampina FoodService, e da un selezionato pubblico votante, presente nello stand, che ha degustato le dolcissime produzioni. Alla conclusione dell’evento, “La Perla Nera” di Giuseppe Zippo è risultata al primo posto come gradimento dei visitatori dello stand e anche per il pubblico del web e per i lettori di Dolcesalato. Il giorno successivo, sempre al SIGEP di Rimini, Zippo ha rivestito il ruolo di Ambasciatore dell’arte dolciaria salentina, ospite della Moretti Forni, insieme ai migliori pasticcieri italiani, è stato tra i protagonisti di una delle 16 esclusive Master Class “Incontri di Gusto in Pasticceria”, nella quale ha illustrato le fasi di preparazione e cottura del “Pasticciotto Salentino”, molto apprezzato nella degustazione dei visitatori dell’evento fieri-

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stico. Giunto alla XXXVIII edizione, il SIGEP si è svolto dal 21 al 25 gennaio scorsi a Rimini, confermando la sua leadership internazionale indiscussa come appuntamento dedicato esclusivamente ad operatori professionali di tutto il mondo, nei settori della gelateria, pasticceria artigianale, panificazione abbinati al mondo del caffè, lo scorso anno l’evento fieristico ha registrato 201.321 visitatori, 110.000 mq. espositivi per 16 padiglioni. Il pastry-chef Giuseppe Zippo era giunto a Rimini con un palmares di tutto rispetto, grazie al prodotto dolciario natalizio per eccellenza, chiamato anche “Re dei panettoni”. Lo scorso 17 Settembre a Milano, ha vinto il titolo di “Miglior Panettone Tradizionale”, nell’ambito dell’evento “Panettone Day”, e classificandosi il 20 novembre successivo a Torino al Primo Posto come “Panettone Tradi-


Alcuni momenti della la premiazione al Sigep di Rimini

20 finalisti, classificandosi precedentemente al primo posto in Puglia, Basilicata, Calabria, Molise e Sicilia, arrivando al settimo posto come “Miglior Panettone Creativo Dolce”, con il suo “Dolce di Natale all’olivo” (con olive dolci), dove venivano ammessi alla finale solo i primi 5 pasticcieri. Il pluripremiato pasticciere opera in una cittadina che può vantare famiglie che dal secolo scorso, nelzionale Piemontese”, alla l’arte dolciaria, hanno racquinta edizione del Concolto consensi in Puglia, e corso “Una Mole di Panettuttora, Specchia può toni”, un evento al quale ancora annoverare i Lomhanno partecipato 40 maebardo e i Martinucci che stri pasticcieri da ogni parcommercializzano pasticte d’Italia, selezionati ceria, gelati e rosticceria in anche tra i Maestri del tutta Italia e nel mondo. Gusto dalla Camera di Zippo, già da piccolissimo Commercio di Torino. frequentava i laboratori di Al concorso meneghino di pasticceria, dopo il diplosettembre parteciparono ma all’Istituto Alberghiero 150 pasticcieri da tutta Itadi Santa Cesarea Terme, lia e Zippo risultò vincitoha acquisito esperienza in re dopo una selezione tra Italia e nel Salento, lavorando anche al Domina Coral Club di Sharm el Sheik, in Egitto, al Nannini di Firenze e poi ha avviato la sua attività a soli 19 anni, dal 2014 ha investito in una sede più ampia e molto più vicina al borgo antico specchiese.

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turismo e gusto. al Via la btm al castello carlo V

Tre giorni di eventi con un unico fil rouge: 365 giorni in Puglia

LECCE. Tutto pronto per la terza edizione del Btm Business Tourism Management l’unica fiera in Puglia sul turismo che dal 16 al 18 febbraio sarà ospitata nel Castello Carlo V. Un contenitore di eventi legati da un unico denominatore, il turismo, che riunirà in tre giorni tutti i principali protagonisti del settore in cui domande e offerta si confrontano per pianificare nuove strategie di marketing per la crescita del territorio. Ideato, organizzato e promosso dall’agenzia di comunicazione Password Ad, nell’ambito del progetto “365 giorni in Puglia”, il Btm Puglia 2017 si aprirà il 16 febbraio, alle ore 9.30 con i saluti istituzionali e vedrà la partecipazione di professionisti del settore, di alcuni tra i top brand dell’industria turistica nazionale ed internazionale e di big player del web. L’evento quest’anno prevede la presenza di 120 espositori, circa 50 buyers internazionali selezionati, relatori e bloggers. Presenze aziendali forti del panorama turistico come Alitalia, Turkish Airlines, Royal Caribbean International, Grimaldi Lines, Costa Crociere, Trenitalia, Alpitour, Francorosso, Booking.com, Airbnb, Trivago, Sky e tantissime altre, si alterneranno in una delle novità di questa edizione: il TRAVEL TRADE, una sezione speciale dedicata all’incontro tra compagnie aeree e marittime, tour operator e agenzie viaggi. Articolato il calendario, suddiviso in interventi, seminari, incontri e conferenze, studiato in base alle esigenze degli operatori turistici. Albergatori, ristoratori, bloggers e influencers, agenzie di viaggio, di marketing e comunicazione potranno accedere all’evento per parteci-

pare a panel e speech per conoscere i trend e acquisire informazioni utili al fine di arricchire le proprie competenze. Un’altra importante novità di questa terza edizione sarà la nuova sezione Turismo Enogastronomico, il Btm Gusto che ospiterà nei tre giorni dell’evento produttori, artisti e custodi del gusto. Tra gli ospiti, segnaliamo lo chef stellato Donato Episcopo che presenterà la sua monografia, edita da Il raggio Verde edizioni, lo chef Gianni Calabretto che parlerà di food tra tradizione e innovazione e Anna Maria Chirone con un focus sulle scuole di cucina tra le attività del turismo enogastronomico. Attraverso una serie di attività originali dedicate esclusivamente a esperti del settore, si avrà la possibilità di far conoscere il “prodotto” della terra del Salento e della Puglia, inteso come strumento per un turismo emozionale d’eccellenza. In calendario, dunque, il tour in Corte, il percorso sensoriale enogastronomico, i momenti del Corner delGusto, laboratori interattivi, Cooking Class e Showcooking. Anche per questa terza edizione è stato inserito un incontro B2B, un’occasione di networking e business matching che coinvolgerà circa 50 buyers provenienti da tutto il mondo e che già dal 12 febbraio saranno in Puglia per partecipare ad un Fam Trip. Accompagnati dallo staff del BTM Puglia e grazie alla collaborazione di strutture ricettive e ristoranti pugliesi di alto livello, gli ospiti internazionali visiteranno le bellezze del territorio pugliese, in un programma stabilito ad hoc, basato non solo sul vedere e scoprire, bensì sul vivere esperienze ed emozioni legate all’autenticità dei luoghi. BTM Puglia sarà live su tutti i social network dedicati con l’hashtag #BTMPuglia2017.

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In questa pagina e al centro la Rocca di Narni, foto di Davide Collura

nella terra di san Valentino con “lezioni di cioccolato” Stefano Cambò

Da Perugia a Terni alla scoperta dei set cinematografici nel cuore verde d’Italia

I luoghi del Cinema

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e c’è un film italiano da vedere in dolce compagnia la sera del 14 febbraio, quello è sicuramente Lezioni di Cioccolato, senza nulla togliere ai grandi classici americani (Colazione da Tiffany, Pretty Woman o Ufficiale e Gentiluomo per fare un esempio) e ad un famoso film ambientato in Francia che ha reso il personaggio interpretato da Johnny Depp, una vera icona sexy (per gli affezionati mi sto riferendo naturalmente a Chocolat di Lasse Hallstrom). Questa scelta si basa su due ragioni a mio parere entrambe molto valide. La prima ha a che fare con la storia, una comme-

dia gradevole e sociale interpretata da Violante Placido e Luca Argentero, due attori all’epoca in rampa di lancio. La seconda, l’ambientazione, perché un film tutto incentrato sul cioccolato e la sua finissima arte (nonché bontà) non poteva non essere girato in Umbria. A Perugia e la sua famosissima fabbrica che sforna ogni giorno migliaia di baci! Tanto da far invidia anche a quel geniaccio di Tim Burton e al suo Willy Wonka (interpretato guarda caso sempre da un istrionico Johnny Depp). In verità, però, la pellicola, datata 2007 per la regia di Claudio Capellini, annovera molte locaLa Rocca di Narni foto di Davide Collura

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Cascata delle Marmore

tion anche lontane dal capoluogo della Regione. Ecco perché oggi vi voglio portare per mano nei luoghi che hanno reso il film così magico e romantico. Il giro turistico inizia con Terni, dove sono state girate la maggior parte delle scene. Conosciuta sicuramente a molti per essere uno dei poli siderurgici più famosi dello stivale (qui risiedono le famose acciaierie) tanto da essere soprannominata la Manchester Italiana, in realtà la città è anche un importante centro storico, sociale e ambientale. Alle imponenti zone industriali si susseguono paesaggi naturalistici mozzafiato come la bellissima Cascata delle Marmore, da visitare soprattutto in primavera. Su questo luogo magico e suggestivo vi è una leggenda che risale ai tempi dei romani e che

rispecchia benissimo lo spirito di questo articolo. Si narra, infatti, che un giorno la ninfa Nera s’innamorò di Velino, un giovane pastore. Appartenendo a due mondi diametralmente opposti, l’amore fra i due fu osteggiato da Giunone. La dea trasformò la ninfa Nera in un fiume perché aveva trasgredito le regole che non permettevano l’amore con un essere umano. Velino, dal canto suo, credendo che la sua amata stesse annegando in quelle acque che prima non c’erano, si gettò a capofitto dal promontorio di Marmore. Giove, che aveva assistito a tutta la scena, per evitare una morte atroce al giovane, durante il volo lo trasformò in acqua, così da salvarlo e dargli la possibilità di ricongiungersi di nuovo con Nera per l’eternità. Dall’incontro tragico e allo stesso momento romantico di quelle due entità innamorate nacquero le famose cascate. E, rimanendo in tema, bisogna ricordare che Ter-

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Immagine del Lago di Piediluco, Terni

di Roberto Benigni vincitore di tre premi Oscar. Il regista toscano scelse questa location perché a suo dire più si avvicinava alla rappresentazione che aveva in testa di un campo di concentramento nazista. Il successo della pellicola, e il fatto che anche il successivo film di Benigni Pinocchio venne in parte girato qui, portò a pensare alla zona di Papigno come ad una nuova città del Cinema su cui investire in futuro. Purtroppo il progetto non venne mai portato a termine e adesso i capannoni sono adibiti solo al ruolo di magazzino. Dopo Terni, il giro turistico prosegue per uno dei set più romantici del film. Stiamo parlando del bellissimo Lago di Piediluco, sulle cui rive sorge il paese omonimo. Per la forma e la fisionomia, dal 1670 questo

I luoghi del Cinema

ni è conosciuta in Italia per essere la vera città degli Innamorati (alla faccia di Verona e di William Shakespeare che non me ne vogliano) in quanto il suo patrono, San Valentino, nacque qui e qui divenne vescovo, tanto che le sue spoglie sono custodite presso l’omonima basilica. Per tutto il mese di febbraio, nella città, si svolgono gli Eventi Valentiniani, una serie di mostre e spettacoli dedicati al Santo Patrono tra i quali il Cioccolentino, la festa del cioccolato e della pasticceria umbra. Una curiosità legata al mondo del cinema e non solo: a Terni, e, più precisamente, nei capannoni dimessi della vecchia zona industriale di Papigno, sono state girate le scene finali di uno dei film italiani più famosi degli ultimi decenni. Stiamo parlando dello struggente La vita è bella

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bacino naturale è diventato una tappa obbligata per molti artisti del Grand Tour, definito dall’autore Richard Lassels nel suo An Italian Voyage. Così obbligata che nel 1826 il pittore francese Jean- Baptiste Camille Corot qui vi dipinse alcuni dei suoi quadri più conosciuti. Il tour dei luoghi emblematici del film si conclude a Narni, piccolo centro in provincia di Terni, dove sono state girate le ultime scene. In epoca romana il paese si chiamava Narnia e fu proprio questo nome, o meglio il modo in cui suonava ad ispirare lo scrittore C.S. Lewis per il suo famosissimo Le cronache di Narnia. Inoltre, una leggenda racconta che nel Medioevo qui vivesse un Grifone. Contro questo mostro mitologico si coalizzarono la città di Perugia e il paese di Narni fino a quel momento nemici sto-

rici. Insieme uccisero la strana creatura e si portarono come trofeo, la prima le sue ossa e la seconda la sua pelle (rossa proprio come il colore del grifone che caratterizza lo stemma ufficiale). Per chi volesse visitare il centro, molte sono le attrattive culturali tra le quali spicca il Ponte di Augusto, il Palazzo dei Priori e l’imponente Rocca di Albornoz, una fortezza medioevale che domina il paese e tutta la valle. Inoltre per chi fosse un amante dei fumetti, il borgo ospita, nel mese di Settembre, il Narni Comics and Games, una delle più famose e suggestive rassegne dedicate a questo mondo. Un motivo in più per riscoprire uno dei luoghi emblematici del film e dell’Umbria… La regione più dolce e romantica della penisola.

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per non dimenticare... www.ilraggioverdesrl.it


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