LUCE 19 DI ZAVATTARI
STORIE DI DONNE
L’artista toscano sarà in Olanda a Utrecht per il sodalizio con Crosmology Italia
A Fabriano nel Museo della Carta e della Filigrana la mostra dell’artista Lughia
anno 143 numero 1 gennaio 201 9
Anno XIV - n 1 gennaio 2019 -
GIUSEPPE MANZO
MATHERA L’ASCOLTO DEI SASSI
CENTO ANNI FA MORIVA ROSA LUXEMBURG
Dal 2i al 23 gennaio nelle sale italiane arriva il documentario del regista Francesco Invernizzi dedicato alla città di Matera Capitale della Cultura 2019
Donna rivoluzionaria, economista, teorica del socialismo venne barbaramente uccisa Freikorps il 15 gennaio 1919
primo piano
le novitĂ della casa
IL RAGGIO VERDE EDIZIONI
ilraggioverdesrl.it
EDITORIALE
Giuseppe Manzo, Sacra famiglia in fuga. Per gentile concessione della famiglia depositaria dell’Archivio
Un nuovo anno è appena iniziato e noi siamo ancora qui, nonostante tutto, con la voglia di ricominciare. Di raccontare. E rieccoci da dove eravamo rimasti. In copertina una stupenda opera, aderente al tema delle festività appena trascorse, la bellissima scultura dello scultore Giuseppe Manzo che ha sdoganato l’arte della cartapesta nel mondo. Ancora in corso al Must la mostra organizzata dal nipote Antonio che così ha esaudito anche il desiderio di suo padre. Plasmare una materia povera e renderla sublime. Ecco cosa ancora ci raccontano le opere di Giuseppe Manzo al quale la città dedicherà una targa che sarà apposta dove un tempo c’era il suo laboratorio perché è giusto rendere onore alla memoria. Matera si appresta a festeggiare il suo anno da Capitale della Cultura europea e il 2019 speriamo concretizzerà tanti sogni. Non voglio anticiparvi ciò che leggerete sfogliando le pagine di questo numero di gennaio ma per una dedica a tutti i nostri lettori e alla mia squadra, che mi supporta e mi sopporta, prendo in prestito le belle parole di don Tonino Bello: La strada vi venga sempre dinanzi/e il vento vi soffi alle spalle/ la rugiada bagni sempre l'erba/su cui poggiate i passi./E il sorriso brilli sempre/ sul vostro volto./ E il pianto che spunta/sui vostri occhi/ sia solo pianto di felicità./ E qualora dovesse trattarsi/ di lacrime di amarezza e di dolore,/ ci sia sempre qualcuno pronto ad asciugarvele./ Il sole entri a brillare/ prepotentemente nella vostra casa,/ a portare tanta luce,/ tanta speranza e tanto calore. Buona lettura! (an.fu.)
Proprietà editoriale Il Raggio Verde S.r.l.
SOMMARIO
Direttore responsabile Antonietta Fulvio progetto grafico Pierpaolo Gaballo impaginazione effegraphic
Luoghi|Eventi| Itinerari: Girovagando Itinerarte 61 Al Quirinale la luce della Natività 50| Il Presepe ritrovato di Londonio 52 |Prato della Valle 74| Il Principe Poeta 90 | Salento Segreto 94
Redazione Antonietta Fulvio, Sara Di Caprio, Mario Cazzato, Nico Maggi, Giusy Petracca, Raffaele Polo
Arte: L’arte di Giuseppe Manzo 4| Gli animali nell’arte 12| L’idea del puzzle e Beppe Piano 16 | Storie di donne 20 | Respect di Antonio Gibotta 28| La foto vincitrice del World Press Photo 40| Rosso è 42 | “Luce 19” di Francesco Zavattari 82 | Voli sul Nilo 92 Musica: Tre tzigani il nuovo singolo dei Kërkim 72| In arrivo “Adrian” 93
Hanno collaborato a questo numero: Mario Cazzato, Sara Di Caprio, Claudia Forcignanò, Sara Foti Sciavaliere, Dario Ferreri, Fiorella Mastria, Francesco Pasca, Giuseppe Pascali, Giusy Gatti Perlangeli, Giuseppe Salerno, Raffaele Polo, Lara Savoia
I luoghi della parola: Curiosar(t)e L’universo fantastico di Nicoletta Ceccoli 20 | Amori Letterari Alda Merini e Giorgio Manganelli 54| | Teatro|Danza| Pierfrancesco Favino al Teatro Verdi di Brindisi 27
Redazione: via del Luppolo,6 - 73100 Lecce e-mail: info@arteeluoghi.it www.arteeluoghi.it
Iscritto al n 905 del Registro della Stampa del Tribunale di Lecce il 29-09-2005. La redazione non risponde del contenuto degli articoli e delle inserzioni e declina ogni responsabilità per le opinioni dei singoli articolisti e per le inserzioni trasmesse da terzi, essendo responsabili essi stessi del contenuto dei propri articoli e inserzioni. Si riserva inoltre di rifiutare insindacabilmente qualsiasi testo, qualsiasi foto e qualsiasi inserzioni. L’invio di qualsiasi tipo di materiale ne implica l’autorizzazione alla pubblicazione. Foto e scritti anche se pubblicati non si restituiscono. La collaborazione sotto qualsiasi forma è gratuita. I dati personali inviateci saranno utilizzati per esclusivo uso archivio e resteranno riservati come previsto dalla Legge 675/96. I diritti di proprietà artistica e letteraria sono riservati. Non è consentita la riproduzione, anche se parziale, di testi, documenti e fotografie senza autorizzazione.
Cinema: |Mathera l’ascolto dei Sassi 48 Libri | Luoghi del sapere 62-68 | Oltre il manicomio. Mostra documentaria nella Biblioteca Nazionale di Napoli 70 Nel nome di Eva Rosa Luxembourg 88 Sempre Coraggio di Carolina Babbo 89 I luoghi nella rete|Interviste|La casa museo Bassi Rathgeb 597 Numero 1- anno XIV - gennaio 2019
PLASMARE I PENSIERI E I SENTIMENTI L’ARTE DI GIUSEPPE MANZO Antonietta Fulvio
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Al MUST di Lecce fino al 17 marzo 2019 una mostra inedita con 50 capolavori del Maestro che ha fatto conoscere la cartapesta leccese nel mondo
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gio - “un atto d’amore e di riconoscenza a uno dei figli di questa città, per molto tempo dimenticato, che ha avuto il merito di aver fatto conoscere l’arte della cartapesta leccese nel mondo”. Ne firma la curatela e l’organizzazione Antonio Manzo, pronipote dell’artista che ha voluto dedicare l’itinerario espositivo a suo padre Dino, noto commerciante scomparso un anno fa, esaudendo così un suo desiderio. E il prossimo 17 marzo, in occasione dell’anniversario della nascita dello scultore sarà apposta una targa su quella che un tempo fu la bottega di Giuseppe Manzo, nei pressi dello storico Palazzo Romano di Lecce, in quel luogo che fu laboratorio formativo proprio come lo erano le botteghe rinascimentali e fucina di idee dove l’artista plasmò le sue straordinarie crea-
LECCE. Plasmare i pensieri, partendo da un informe pezzo di argilla. O ancora mettendo insieme striscioline di carta. Materiali poveri che diventavano nelle mani dello scultore leccese Giuseppe Manzo opere dal valore inestimabile. Figura di spicco dell’antica arte della cartapesta universalmente riconosciuta in tutto il mondo, Giuseppe Manzo fu maestro cartapestaio e scultore e formò intere generazioni di artisti. Una selezione accurata di alcuni tra i suoi capolavori è racchiusa nella mostra “Giuseppe Manzo, l’Artista – Sculture e bozzetti inediti tra ‘800 e ‘900” allestita dallo scorso 8 aprile al Must Museo Storico della Città di Lecce che ha fatto registrare un boom di presenze, oltre quattromila, e il prolungamento della stessa fino alla prossima primavera. Una mostra che è - per dirla con le parole dell’artista Bruno Mag-
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Martirio di San Giovanni 1885( decapitazione)
zioni che andarono ad abbellire le varie chiese pugliesi e non solo. Una targa che ricorderà il forte legame non solo artistico con la città. Giuseppe Manzo infatti fu anche Presidente del Consiglio Comunale di Lecce e Presidente della Società Operaia, la scuola di formazione che ancora oggi è punto di riferimento per chi ama l’arte. Per chi in questi mesi ha avuto il privile-
gio di visitare la mostra, ha avuto la possibilità di ammirare non solo opere importanti e pregiatissime ma anche lavori realizzati tra la fine dell’Ottocento e gli anni ’30 del Novecento, per la maggior parte bozzetti in terracotta e argilla cruda. I bozzetti spaziano dal tema religioso a quello mitologico e laico e rappresentano la vera arte inedita di Giuseppe Manzo, ancora oggi custodita
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Giuseppe Manzo, NativitĂ , 1898
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Giuseppe Manzo, Il bagno di Psiche, 1890, scultura cruda
dai suoi eredi. Opere che affascinano per originalità compositiva e per la cura dei dettagli una vis espressiva che si svela tra le pieghe della carta che si fa abito, diventa dita che si intrecciano, rughe su visi delicati ma dalla potente un’espressività. Un incanto per gli occhi a cui si svela la bellezza custodita con amore di un’arte che nasce dalla passione e dal talento. Davanti agli occhi del visitatore di si rivela una continua narrazione scultorea che fa riflettere sui veri valori della vita. Emoziona il San Giuseppe della Natività del 1898 che accarezza il bambinello deposto nella mangiatoia così come intenerisce osservare il suo amorevole sguardo che sembra non perdere di vista il bambinello tra le braccia di Maria sull’asinello nella rappresentazione della Sacra famiglia in fuga. Pochi esempi della straordinaria capacità narrativa di Giuseppe Manzo che rilegge il Vangelo cogliendo la sensibilità e la potenza del messaggio, sempre attuale, d’amore universale. Nato a Lecce da Orazio e Natalizia Romano il 17 marzo 1849, Giuseppe Manzo sin da piccolo mostrò una spiccata inclinazione per l’arte fu affi-
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Giuseppe Manzo, Pietas, 1900 - tecnica terracotta - medaglia di oro a Parigi per la 1 Expo dell'era moderna. Giuseppe Manzo, Ulisse e Nausicaa 1893-scultura cruda.
Giuseppe Manzo, Ăˆ Caduta 1890- tecnica terracotta - (regalo di promessa matrimoniale per la futura moglie, Giuseppa) Giuseppe Manzo, Sant'Antonio, rosone gessato 1899 regalo per il figlio nato
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Giuseppe Manzo, Cristoforo Colombo guarda alla Speranza 1888 - terracotta
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dato perciò ai più noti artisti del tempo come Guerra, Castelluzzi, de Simone. Nel 1887 ebbe l’incarico d insegnare Plastica presso la Scuola d’arte applicata dell’Industria di Maglie (Lecce). Nel 1888 aprì un laboratorio in proprio in via Paladini a Lecce. La sua arte gli procurò encomi e onorificenze dalla medaglia di bronzo all’Esposizione Vaticana (1888) alle numerose medaglie d’oro che gli furono attribuite alle più famose manifestazioni dell’epoca: dall’Esposizione di Senigallia (1894), all’Accademie Parisienne (1895), all’Esposizione Industriale Nazionale di Torino (1898) all’EXPO di Parigi (1900), all’Esposizione Internazionale di Londra (1901) solo per citarne alcune. Nel 1890, per i suoi meriti artistici, ebbe il brevetto reale da Sua Maestà Re Umberto I, con la facoltà di innalzare lo stemma reale sull’insegna del suo laboratorio e la Regina Margherita, racconta lo stesso Antonio Manzo, gli fece dono di un orologio d’oro. I suoi lavori si ritrovano non solo in Italia, ma anche all’estero. È noto per aver inventato l’altorilievo in cartapesta ed è tuttora è considerato il maestro per eccellenza di questa nobile arte. Quando si spense, all’età di 93 anni, leggenda vuole che in quel momento stesse plasmando la statua della Madonna del Latte presente nella mostra insieme alla collezione privata della famiglia Manzo che ne custodisce con dedizione l’arte e la memoria.
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Giuseppe Manzo, San Pietro liberato dall'angelo 1880 terracotta
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Luca Giordano, Ratto di Europa, olio su tela, 125 x 173 cm. Collezione privata
GLI ANIMALI NELL’ARTE DAL RINASCIMENTO A CERUTI 80 capolavori in mostra fino al 19 giugno 2019 a Brescia nelle sale di Palazzo Martinengo
BRESCIA. Gli animali nell’arte dal Rinascimento a Ceruti è il titolo della mostra che si aprirà il prossimo 19 gennaio nelle sale di Palazzo Martinengo a Brescia. L’evento espositivo, curato da da Davide Dotti, organizzata dall’Associazione Amici di Palazzo Martinengo, col patrocinio della Provincia di Brescia e del Comune di Brescia, in partnership con WWF Italy, trasformerà la storica residenza cinquecentesca nel cuore della città in un ideale “zoo artistico”, che consentirà al visitatore di comprendere come l'animale abbia da sempre avuto un ruolo fondamentale nella grande pittura antica. Oltre 80 capolavori, per raccontare come la rappresentazione degli animali abbia trovato ampia diffusione nell’arte tra XVI e XVIII secolo. Un excursus che partirà dai più grandi maestri del Rinascimento, del Barocco fino all’Età dei Lumi: da Raffaello a Caravaggio, da Guercino a Tiepolo fino a Ceruti,
sono tantissimi gli artisti che hanno spesso dipinto animali sia in rappresentazioni autonome – alla stregua di veri e propri ritratti caratterizzati anche psicologicamente – che in compagnia dell’uomo, soprattutto in occasione di commissioni ufficiali da parte di nobili e aristocratici. Talvolta gli artisti traevano spunto dalla lettura dei testi biblici e della letteratura classica greca e latina, e la storia dell’arte è piena di capolavori in cui gli animali sono o protagonisti assoluti – come, ad esempio, nell’episodio dell’Arca di Noè – o attributi iconografici dei santi più venerati come Girolamo con il leone, Giorgio con il drago, Giovanni Battista con l’agnello. O anche soggetto imprescindibile di narrazioni mitologiche come nelle storie di Diana cacciatrice accompagnata dal suo fedele cane, Ganimede e l’aquila, Leda e il cigno e il ratto di Europa escogitato da Zeus trasformato in toro. Senza dimenticare gli affascinanti personaggi della maga Circe –
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che aveva il potere di trasformare i suoi nemici in animali – e di Orfeo che, suonando la lira con impareggiabile maestria, incantò gli animali e la natura. Il percorso espositivo sarà suddiviso in dieci sezioni che indagheranno la presenza dell'animale nella pittura a soggetto sacro e mitologico - mettendo in evidenza le simbologie e i significati ad esso connessi per poi addentrarsi in sale tematiche dedicata a cani, gatti, uccelli, pesci, rettili e ani-
mali della fattoria, spesso raffigurati in compagnia dell'uomo. Nell'ultima stanza, invece, saranno protagonisti gli animali esotici - scimmie, pappagalli, dromedari, leoni, tigri, elefanti, struzzi - e fantastici, figli cioè della fervida vena creativa degli artisti. Tra le opere di Guercino, Ceruti, Bachiacca, Grechetto, Campi, Cavalier d'Arpino, Giordano e Duranti che giungeranno a Brescia da musei, pinacoteche e collezioni
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Francesco Ubertini detto Bachiacca, Leda e il cigno, olio su tavola, 57 x 78 cm. Bergamo, Accademia Carrara
private italiane ed estere, sono da segnalare quattro capolavori del Pitocchetto che per la prima volta saranno esposti in una mostra pubblica, fra i quali spicca la sorprendente e modernissima coppia di tele raffiguranti Vecchio con carlino e Vecchio con gatto, citata nell'inventario del 1802 della prestigiosa collezione Melzi d'Eril di Milano. Inoltre, verranno presentate alcune tele inedite recuperate dal curatore in collezioni private italiane, tra cui lo splendido “Ritratto di gentiluomo con labrador” del maestro fiorentino Lorenzo Lippi, la “Venere, amore e cagnolino vestito da bambina” del pittore veneziano Pietro Liberi e l'inteso “Ritratto di ragazzino con cane” del genovese Domenico Fiasella. Di Giorgio Duranti, artista bresciano settecentesco specializzato nella pittura animalier, il pubblico potrà ammirare cinque meravigliose opere,
tra cui il “Ritratto di poiana” di collezione privata, i “Due tarabusi” dell'Accademia Carrara di Bergamo e l'inedito “Nido di gazze ghiandaie” scoperto di recente in una raccolta privata bresciana. GLI ANIMALI NELL’ARTE dal Rinascimento a Ceruti Brescia, Palazzo Martinengo via dei Musei 30 19 gennaio - 9 giugno 2019 Orari:mercoledì, giovedì e venerdì: dalle 9:00 alle 17:30; sabato, domenica e festivi: dalle 10:00 alle 20:00; lunedì e martedì chiuso Aperture straordinarie: Pasqua, Pasquetta, 25 Aprile, 29 aprile, 30 aprile, 1 maggio, 2 giugno Biglietti (audioguida compresa): intero, €12,00; ridotto 10 Infotel. 327.3339846
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Guercino, Diana cacciatrice, olio su tela, 121 x 97 cm. Roma, Fondazione Sorgente Group
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Beppe Piano, serie Sangre y Muertes
L'IDEA DEL PUZZLE E BEPPE PIANO Raffaele Polo
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L’artista sarà ospite del Gruppo Donatello a Firenze il 23 gennaio con le sue proiezioni
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ual è il momento più coinvolgente, più emozionante che ci piace vivere e rivivere ogni volta che ci immergiamo nella fascinosa costruzione di un puzzle? Certamente quando l'ultimo tassello viene incastrato nella sua giusta posizione e il lavoro è terminato, si potrebbe pensare. E invece è subito dopo, quando, dopo aver ammirato compiaciuti la nostra opera, la smontiamo e la rimescoliamo, pronti a ricomporla. Magari, ci chiederemo se sarà ancora la stessa o non, piuttosto, simile alla prima ricostruzione ma forse diversa per qualche minuscolo particolare che ora sfugge, ad occhi nudo. E siamo attenti, trattenendo il fiato, per constatare cosa c'è 'dietro' la ricostruzione, ovvero se la completezza organica del disegno originale rimane e si consolida oppure se si riforma quel caos primordiale evocato dal miscuglio dei pezzi nella scatola... Questi interrogativi, questi reconditi
pensieri che Lucio Fontana, ad esempio, fu così abile ad instillarci per la prima volta, ci pervadono quando siamo di fronte ad un elaborato di Beppe Piano. Perché il suo evidente intento è quello di “disarticolare, frammentare e quindi stravolgere, quale gesto di iconoclastia, l'oggetto (icona) sottoposto ad indagine. Non per mera volontà dissacratoria bensì per la necessità di definire percorsi di percezione eretici, non omologabili. La sua pratica creativa è tesa a destrutturare, decontestualizzare e quindi a desemantizzare l'apparato iconico soggetto ad analisi critica e al consequente approfondimento.” Questa è la sintesi critica dell'operato di Piano, che lo stesso Autore fornisce nella presentazione delle sue opere. Ma, in parole semplici e descrivendo ciò che appare a chi osserva le interessanti composizioni abilmente gestite dal bravo artista, ci pare voglia apparire ed ammiccare quel momento magi-
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Beppe Piano, serie Sangure y Muertes
co che vivono i bambini più piccoli quando, non visti, riescono a smontare il loro giocattolo preferito, per il semplice ma pressante incentivo di 'vedere cosa c'è dentro'. Aggiungiamo a queste splendide sollecitazioni, le evidenti collocazioni geografiche e temporali delle tematiche di Piano: Insomnia costituisce il doveroso tributo dell'artista alla città che gli ha dato i natali e ad un luogo in essa magico: la Cripta della cattedrale di Otranto. Enigma fa riferimento all'archetipo formale e alla natura simbolica, sotto certi aspetti ancora indecifrata, che caratterizza il ciclo musivo della stessa Cattedrale. The museum of Mechanical Renaissance nasce dal desiderio, sopito per troppo tempo dall'artista, di confrontarsi con le opere di colui che viene riconosciuto come Genio assoluto del Rinascimento: Michelangelo Buonarroti. Sangre y Muerte cerca di stabilire una improbabile relazione con l'opera di uno dei più grandi artisti italiani di tutti i tempi, Michelangelo Merisi da Caravaggio, la cui vita e opere sono la testimonianza di una energia, vitalità, temerarietà e potenza espressiva senza eguali. Variegata e molteplice la scelta del mezzo artistico che viene, di volta in volta, privilegiato da Beppe Piano: le immagini che costituiscono i Videoclips vengono infatti realizzate per mezzo di procedure informatiche afferenti l'intelligenza artificiale e le Reti neurali. Eppure, siamo convinti che l'idea di quel puzzle da costruire-distruggerericostruire finisca per essere il momento cruciale, il vero senso di ciò che spinge Beppe a suggestionarci, meravigliarci e stupirci con le sue magiche composizioni.
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Evento Mercoledì 23 Gennaio 2019, a partire dalle 17:30 l’artista Beppe Piano sarà ospite del Gruppo Donatello, Via degli Artisti 2, Firenze con le sue proiezioni “Introduzione alla videografica” Gruppo Donatello Via degli Artisti 2 Firenze
Beppe Piano, serie The museum of Mechanical Renaissance
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Nel riquadro il curatore Giuseppe Salerno, a lato e nelle pagine seguenti alcune opere di Lughia
STORIE DI DONNE SULL’IMPALBABILE CARTA Giuseppe Salerno
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Rappresentazioni rubate da antichi archivi fotografici, assumono con Lughia una dimensione pittorica e letteraria nuova, svincolata dal tempo ed impreziosita di segni che nella loro sussurrata indecifrabilità conferiscono pienezza all’operare silenzioso che a noi si mostra.
FABRIANO. Tra i tanti meriti che l’arte ha c’è quello di creare collegamenti altrimenti impensati tra realtà lontane. E’ il caso di “Storie di Donne” rassegna di opere attraverso le quali Lughia, artista fabrianese d’adozione, dà vita ad una sorta di gemellaggio tra la propria città d’appartenenza, universalmente nota per la produzione della carta, ed il Comune umbro di San Giustino il cui territorio, sede dell’antica Repubblica di Cospaia, è da secoli dedito alla coltivazione del tabacco.
Un collegamento scaturito da una attenta ricerca che ha portato Lughia a cogliere notevoli affinità tra la storia delle giovani cartare fabrianesi e le altrettanto giovani tabacchine di San Giustino. Un destino comune alla cui memoria Lughia ha dedicato, con il contributo del cartaio Lorenzo Santoni, la produzione di una speciale carta a mano che, nata dal connubio tra canapa e tabacco, è divenuta supporto per la realizzazione di opere capaci di suggellare la vicinanza tra i due mondi al femmi-
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nile. Un grande libro la cui copertina è una sedimentazione di carte e tessuti ci introduce, nella sua imponenza, alle innumerevoli vicende al femminile che il volume idealmente raccoglie. Benché la sua poetica si muova tra l'eterno e l'infinito, dimensioni al cui cospetto la storia dell’uomo è davvero piccola cosa, Lughia mai si sottrae all’impegno sociale e molte sono le occasioni nelle quali si cala nel quotidiano per denunciarne le pecche, sostenerne le speranze e
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celebrarne le memorie. è questa una circostanza nella quale l’artista rivolge le proprie attenzioni alla condizione femminile, quella di donne che sin dall’età preadolescenziale hanno contribuito nei secoli a scrivere, con la quotidianità del loro impegno, la storia degli ambiti geografici di appartenenza. Poco più che bambine sono risultate fondamentali nel sostentamento delle proprie famiglie con il sacrificio e la sofferenza di chi si trova a non conoscere la spensieratezza della giovane età ma anche con l’orgoglio di chi, in un mondo dominato dal maschio, iniziava a dare forma ad una mal tollerata indipendenza sociale ed economica del genere femminile. Sono opere su carta e in creta quelle che Lughia allestisce in questo suo omaggio ad un mondo che, non poi così lontano nel tempo, ci appare come una sorta di passato remoto. Custodite in bianche bacheche, ventitré tavolette d’argilla sul-
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le quali è simbolicamente impresso il sesso femminile ci presentano ciascuna, scritto come su carta pergamena, il racconto di una vita. Segnata da una ferita suturata con del filo rosso, una di esse domina in posizione centrale. Opere queste che introducono quella condizione femminile piÚ specificatamente sviluppata con lavori dedicati alle vicende che han-
no caratterizzato terre e produzioni di San Giustino e Fabriano. Storie molto diverse e simili allo stesso tempo, accomunate, nella visione di Lughia, dalla presenza di un medesimo materiale: la canapa. Tessuta in forma di sacco per contenere le foglie del tabacco e macerata in acqua e colla animale per consentire il processo produttivo della carta.
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Intrecciando metaforicamente le due vicende Lughia avvia una produzione di carta artigianale generata da una cellulosa di canapa e tabacco. Su tali fogli di grande dimensione concepisce quindi le quattordici opere che, nel dare corpo a questa mostra, creano collegamento tra municipalità le cui memorie collettive sono celebrate con il Museo Storico del Tabacco e con il Museo della Carta e della Filigrana.
Applicati su cotone intelaiato o cuciti su iuta impreziosita da fili bianchi di seta pazientemente tessuti, i fogli prodotti da Lughia accolgono, nella grana della carta e con la fragranza del tabacco, immagini e parole che ci riportano a realtà del passato, tanto povere e vere nel loro monocromo, lento dissolversi attraverso il tempo che inesorabilmente scorre. Un’operazione fondata su un processo di immedesimazione in tabacchine e cartare i
cui pensieri, le cui brevi e semplici testimonianze hanno risuonato come mantra per l’artista che, partecipandone nel profondo le vicende, con tratto minuto ne ha trascritto certosinamente ogni parola sulla carta accompagnando questo suo rituale con il cucito che, proprio della condizione femminile, assurge al senso più alto di ricomposizione. Rappresentazioni rubate da antichi archivi fotografici, assumono con Lughia una dimensione pittorica e letteraria nuova, svincolata dal tempo ed impreziosita di segni che nella loro sussurrata indecifrabilità conferiscono pienezza all’operare silenzioso che a noi si mostra. Patrocinata dai Comuni di Fabriano e San Giustino, dal Museo della Carta e della Filigrana, dalla Fondazione per il Museo Storico Scientifico del Tabacco e da Istocarta (Istituto di Storia della Carta Gianfranco Fedrigoni), la mostra, che questa estate è stata ospitata nella splendida sede di Villa Graziani a San Giustino è giunta a Fabriano, presso il Museo della Carta e della Filigrana, l’8 dicembre e si potrà visitare fino al prossimo 10 febbraio 2019.
Lughia. Storie di Donne. fino al 10 febbraio 2019 Museo della Carta e della Filigrana Fabriano, Largo Fratelli Spacca 2 Curatori Andrea Baffoni, Giuseppe Salerno
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PIERFRANCESCO FAVINO LA NOTTE POCO PRIMA DELLE FORESTE
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Il 22 gennaio il monologo di Koltès al Teatro Verdi di Brindisi
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BRINDISI. Chi non ricorda l’effetto che fece la partecipazione di Pierfrancesco Favino al Festival di Sanremo lo scorso anno, alzi la mano. Sarete in pochi perché l’interpretazione di un breve stralcio de «La notte poco prima delle foreste», il monologo di Koltès, divenne nello spazio di una sera un fenomeno social. Ebbene l’attore sarà al teatro Verdi di Brindisi, il prossimo 22 gennaio per la stagione di prosa, con il monologo «La notte poco prima delle foreste» di cui firma l’adattamento teatrale con la regia di Lorenzo Gioielli. Una scena essenziale, sul palco solo una sedia e le luci intermittenti al neon nascoste da un velatino per evocare una pioggia battente ed incessante. Sotto il temporale si muove Pierfrancesco Favino nelle vesti del “diverso”, dello “straniero”, dell’“immigrato” dalla postura inclina-
ta dal dolore e dalla voce che sembra sempre essere ad un passo dall’infrangersi nel pianto. Le parole struggenti di Koltès danno vita ad un monologo al tempo stesso caloroso e crudo che esprime e denuncia l’oppressione del diverso, il suo dolore e la sua ribellione. «Mi sono imbattuto in questo testo – spiega Favino – un giorno lontano, mi sono fermato ad ascoltarlo senza poter andar via e da quel momento vive con me ed io con lui. Mi appartiene, anche se ancora non so bene il perché. È uno straniero che parla in queste pagine. Non sono io […] eppure mi perdo nelle sue parole e mi ci ritrovo». www.nuovoteatroverdi.com InfoTel. 0831 562 554
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Nel riquadro piccolo Antonio Gibotta
RESPECT DI ANTONIO GIBOTTA I MILLE SGUARDI SULL’UMANITÀ
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Al PAN di Napoli fino al 20 gennaio 2019 la prima personale del pluripremiato fotografo napoletano
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NAPOLI. Ancora fotografia in primo piano al PAN Palazzo delle Arti Napoli, in via dei Mille 60, che dal 22 dicembre al 20 gennaio 2019 ospita Respect, la prima personale di Antonio Gibotta. La mostra del trentenne fotografo napoletano è stata curata da Enrico Stefanelli ed è promossa dall'Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli. In esposizione 146 foto. Vincitore di numerosi premi (fra i più recenti, il secondo posto nella categoria World Press Photo 2017 nella categoria People, il Pdn Photo annual. Nel 2018, secondo al Sony Professional Competition nella categoria Discovery, ed è attualmente tra i cinque finalisti del W. Eugene Smith Grant in Humanistic Photography) Antonio Gibotta, classe ’88,
fin da subito si avvicina e si appassiona alla fotografia, osservando da vicino l’opera del padre, affermato fotografo professionista. Diplomatosi in Maestro d’ Arte, sezione Arte della grafica pubblicitaria e della Fotografia e ha esposto in quasi 130 paesi. Nel 2010 ottiene la Golden Camera Award dalla Federation European Professional Photographer categoria reportage, in seguito ottiene le qualifiche “QIP” “QEP” “Master QIP” e “MasterQEP” accumulando un notevole bagaglio di esperienza nella realizzazione di lavori e reportage di viaggio, in Italia e soprattutto all'estero. Al centro del suo obiettivo ci sono l'uomo e l'attualità delle tematiche sociali sintetizzate nelle sezioni che articolano la sua prima personale Respect, un
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vero e proprio viaggio nell’umanità più varia. In Serbia | Bloccati nel gelo di Belgrado presenta le foto scattate appunto a Belgrado dove centinaia di migranti, per lo più afghani, siriani e iracheni, nel loro cammino di avvicinamento ai confini dell'Unione Europea, hanno trovato rifugio nei depositi abbandonati lungo la ferrovia. Temendo di essere respinti evitano le strutture di assistenza ufficiali. Ma le temperature che spesso arrivano a venti gradi sotto zero, rendono la vita in questi asili di fortuna un vero inferno polare. Molte sce-
ne ricordano quelle vissute dai deportati in Europa ai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Cammini motivati da altre speranze sono raccontate dalle immagini di Viaggio della Speranza in collaborazione con UNITALSI. Le foto sono state scattate in una mattina frenetica come tante con treni in partenza dalla stazione centrale di Napoli fra cui anche il Treno Bianco, destinazione Lourdes. Non è un treno come tutti gli altri, nei corridoi dei vagoni si sentono voci di bambini, i loro pian-
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Antonio Gibotta, Volto bambino Festival di Holi
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ti e le loro risate, preghiere sussurrate, brusii lenti e soffocati. Si respira dolore, forza, speranza. La sofferenza e la malattia non ha del tutto strappato, a questi pellegrini, la voglia di vivere, nello sguardo di tutti c'è una flebile luce, dettata dalla forza della Fede. I fotogrammi racchiusi nella sezione Il cammino di un pellegrino raccontano invece la storia di Enzo, affetto da spasticità. È uno dei pellegrini più anziani dell’UNITALSI. La sua solitudine lo schiaccia giorno dopo giorno: è solo la forza della fede a farlo sentire amato, e mai abbandonato. In Festival di Holi Antonio Gibotta ci mostra festa più colorata e divertente del calendario indiano che cade durante la luna piena del mese di Phalgun che corrisponde al mese di Marzo del calendario gregoriano. Durante i tre giorni di festeggiamenti, in ogni città, villaggio, strade e campagne, folle di giovani, vecchi e bambini giocano gettandosi addosso polveri coloratissime miste ad acqua. E così in pochi minuti abiti, visi e strade si colorano e tutto appare come in un
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Antonio Gibotta, Gli Infarinati
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paese da fiaba, come se si stesse cavalca do un arcobaleno. Il passaggio dall’inverno alla primavera non potrebbe essere più gioioso e colorato annullando nel colore le differenze fra caste. E dall’India alla Spagna. Altro reportage interessantissimo è quello che presenta Gli Infarinati, una sorta di battaglia festosa che si tiene ogni 28 dicembre a Ibi – in provincia di Alicante. Gli abitanti si dividono in due gruppi: gli Enfarinat (gli infarinati), che simulano un colpo di Stato cui si contrappone il gruppo che cerca di restaurare l’ordine. La sfida, non a caso, è a colpi di farina, acqua, uova e fumogeni colorati. è una festa antica che si celebra da 200 anni ed è parte delle celebrazioni collegate al giorno della Strage degli innocenti, il giorno in cui secondo il Vangelo il re della Giudea, Erode, ordinò il massacro di tutti i neonati allo scopo di uccidere Gesù. La festa inizia alle 8
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del mattino, quando gli Enfarinat invadono la città, la conquistano ed eleggono un sindaco che stabilisce le regole da rispettare durante la giornata. Nell’ambito della mostra di Antonio Gibotta sono esposte anche le più belle foto dei 15 studenti dell’Istituto Francesco Morano di Caivano che hanno partecipato al progetto “Ri –scatta l’obiettivo” guidati proprio dal giovane master che è Canon Ambassador del 2018. I ragazzi hanno imbracciato le macchine fotografiche, messe a disposizione da Canon, e hanno documentato il loro territorio difficile e complesso, ma con l’obiettivo di coglierne gli aspetti positivi. Si sono infatti dovuti attenere ai 17 obiettivi dello Sviluppo Sostenibile che le Nazioni Unite hanno messo in agenda per il 2030, documentando storie e realtà del territorio, a pochi conosciute.
Nel riquadro Dario Ferreri; in questa pagina e nelle seguenti opere diNicoletta Ceccoli
L'UNIVERSO FANTASTICO DI NICOLETTA CECCOLI Dario Ferreri
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Un viaggio tra i luoghi e nonluoghi fisici ed emozionali dell'arte contemporanea "Non ci sono bambini “innocenti” Jean-Paul Sartre
CURIOSAR(T)E
” N
icoletta Céccoli, classe 1973, è una delle più note artiste nostrane del firmamento pop surreal internazionale ed una eccellente illustratrice di libri per ragazzi, conosciuta ed apprezzata nel mondo intero. Cresciuta nelle campagne sanmarinesi, sotto il poderoso ed ispiratore Monte Titano, ha trascorso la sua infanzia nel laboratorio del padre creando giocattoli e realizzando disegni; il grande amore che nutre
per i libri per bambini le è stato trasmesso dalla madre, insegnante elementare. Questo amore per i bambini e per la condizione emotiva del fanciullino è rimasta inalterata nel tempo ed è la primogenia ispirazione della sconfinata immaginazione dell'artista. Vive a San Marino, dov'è anche nata; ha frequentato l'Istituto d'Arte di Urbino dove ha conseguito una laurea in Animazione e la sua carriera artistica è sbocciata sin da
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quando era studente, allorquando, nel 1995, i suoi lavori sono stati selezionati per essere esposti alla Fiera del Libro per bambini di Bologna: in tale contesto è stata notata da importanti editori americani ed internazionali e la sua carriera, sin dai allora, è in continua e costante ascesa (ad oggi sono oltre 30 i
libri con le sue illustrazioni pubblicati ed innumerevoli sono le personali e collettive -sold out!- in gallerie di tutto il mondo). Timida e riservata si concede sui social quel tanto che basta e probabilmente questo suo status relazionale, unitamente al gusto per la natura e la rigenerante solitudine, sono ele-
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CURIOSAR(T)E
Da sinistra: Olympia; Cuddle, in basso: Inner self; a lato: Big bad liar
menti di eccellenza che arricchiscono le sue opere; l'artista stessa descrive il suo lavoro come tentativo di "offrire un delizioso equilibrio tra ciò che attrae e ciò che ripugna: ciò che appare bello, dolce e casto nasconde spesso oscure suggestioni; è questa infatti la costante dei suoi personaggi fanciulleschi che, se da un lato incarnano ideali di bellezza, perfezione ed innocenza, dall'altro risultano inseriti in contesti dissonanti dove regna il tumulto emotivo, l'oscurità e, talvolta, l'ineluttabilità. I soggetti dei suoi lavori infatti, di primo impatto, sono teneri e dolcemente accattivanti, ma, approfondendo l'analisi, aprono oscuri portali e macabri incubi, in una dualità concettuale ed estetica immanente tra l'innocenza e la maturità, il chiaro e lo scuro, la repulsione e l'attrazione: tali personaggi fanciulleschi permettono un mirroring anagrafico, emozionale e concettuale che riporta alle personali transizioni di vita individuali e rappresentano una metafora delle conflittualità in atto nella società contemporanea. Il processo creativo dell'artista inizia da una storia ritenuta interessante, che si traduce dapprima in uno
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She Entwined
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Sotto: You come first; a lato, dall’alto in basso: Enrapture; Offering;
schizzo e proseg u e , quindi, con la raccolta di immagini e riferimenti iconografici utili per il racconto che, una v o l t a materializzatosi in opera, intende interagire intensamente con l'osservatore stimolando in lui u n a riflessione e certamente una interpretazione anche diversa rispetto a l l e intenzioni dell'artista. Nicoletta Céccoli predilige a livello estetico, come già detto, uno stile per ciò che è "freak" e "weird", ed i suoi perfemminile e patinato ma con un retrogusto sonaggi bizzarri e strani vengono dall'artista macabro: nelle sue opere traspare l'amore quasi coccolati e difesi, anche se talvolta, per
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azioni od omissioni, sono indifendibili, in una sorta di affettuoso accoglimento di turbamenti individuali ormai superati dalla maturità artistica ma che hanno plasmato lo status emotivo e la poetica dell'artista. I suoi influencer dichiarati, per lo meno in taluni momenti della sua carriera artistica, sono, tra quelli visivi, Remedios Varo, Domenico Gnoli, Paolo Uccello, Edward Gorey, Mark Ryden e Ray Caesar ed in genere gli epigoni e le atmosfere classiche rinascimentali italiane, tra quelli non visivi, per la musica, i Cure, e, per la scrittura, Kurt Vonnegut. Il suo dipinto preferito è 'La Bout du Monde' di Leonor Fini. Nicoletta Ceccoli ha vinto numerosi premi per le sue opere, tra cui una medaglia d'argento dalla Society of Illustrators di New York ,il prestigioso premio Andersen quale migliore illustratore dell'anno e l’Award of Excellence da Communication Art (USA), ecc. Per la Repubblica di San Marino ha realizzato svariate serie di francobolli dedicati ai diritti dell’infanzia, al Natale, al circo, ai burattini, alle olimpiadi. La serie dedicata al Natale ha ricevuto il premio Cavallino d'oro Bolaffi all'autore del miglior bozzetto originale. Nel 2012 ha partecipato alla realizzazione del film di animazione francese "Jack et la mecanique du Coeur" diretto da Mathias Melzieu e Stephane Berla. Su Facebook la seguono oltre 317.000 follower e le sue mostre, purtroppo quasi tutte all'estero, come già detto, registrano sempre il sold out. Il suo official web site è http://www.nicolettaceccoli.com/index.php. In una recente intervista ha detto che per lei "l'arte è un processo magico, qualcosa come l'alchimia, un processo attraverso il quale elaboriamo paure interiori, irrazionalità e domande" e la sua arte, senza alcuna ombra di dubbio, è magica, alchemica, comunicativa e sublime.
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la foto vincitrice di Ronaldo Schemidt
LA FOTO DI RONALDO SCHEMIDT VINCITORE DEL WORLD PRESS FOTO
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Ha fatto tappa al Pan di Napoli la mostra di fotogiornalismo più importante al mondo
NAPOLI: Si è tenuta a Napoli, per il terzo anno consecutivo, World Press Photo, la mostra di fotogiornalismo più importante al mondo. Presente in oltre 100 città e più di 45 Paesi, la tappa partenopea è stata organizzata grazie all'impegno di CIME che dopo le città di Bari, Palermo e Torino ha fatto approdare la mostra al PAN Palazzo delle Arti Napoli, in via dei Mille 60. Grazie al supporto dell'Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli, dal 24 novembre al 16 dicembre l’esposizione, inaugurata alla presenza del pluripremiato fotoreporter iraniano Manoocher Deghati, ha mostrato i 135 scatti vincitori, realizzati da 42 fotografi provenienti da 22 paesi di tutto il mondo. Australia , Bangladesh, Belgio, Canada, Cina, Colombia, Danimarca, Egitto, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Norvegia, Russia, Serbia, Sud Africa, Spagna, Svezia, PaesiBassi, RegnoUnito, USA e Venezuela, da ogni angolo del mondo la fotografia ha raccontato istanti di vita, momenti di cronaca testimoniando la sintesi e il
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potere delle immagini. La giuria internazionale, composta da Magdalena Herrera, direttrice della fotografia Geo France, France Thomas Borberg, capo photo-editor di Politiken, Marcelo Brodsky, visual artist, Jérôme Huffer, capo del dipartimento fotografico di Paris Match, Whitney C. Johnson, vice direttrice della fotografia al National Geographic, BulentKiliç, responsabile fotografico di AFP in Turchia, Eman Mohammed, fotogiornalista, ha avuto il compito non facile di esaminare per tre settimane ben 73.044 fotografie di 4.548 fotografi. Vincitore assoluto di questa edizione è stato decretato Ronaldo Schemidt, fotografo venezuelano dell'Agence France-Presse, che ha immortalato un ragazzo, investito dalle fiamme a causa della esplosione di una motocicletta, che scappa durante una manifestazione di protesta del 3 maggio 2017 contro il president Nicolás Maduro, a Caracas. Il ragazzo si chiama José Víctor Salazar Balzaed è sopravvissuto riportando delle ustioni di primo e secondo grado.
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La foto ha anche vinto il primo posto nella categoria Spot News, immagini singole. Nata nel 1955 e con base ad Amsterdam, la Fondazione World Press Photo si distingue ormai da sei decadi per essere una delle maggiori organizzazioni indipendenti e noprofit impegnata nella tutela della libertĂ di
informazione, inchiesta ed espressione, promuovendo in tutto il mondo il fotogiornalismo di qualità . La mostra è riconosciuta per il suo alto valore culturale, sociale ed educativo: rappresenta, dunque, un viaggio per immagini tra gli avvenimenti piÚ rilevanti del nostro tempo.
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Salvo D’Avila, Congetture sul rosso, 2012
ROSSO È UN COLORE, UNA MOSTRA Lia De Venere
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A Conversano, nella Galleria Cattedrale fino al 19 gennaio 2019
CONVERSANO (BA) Rosso è… Speciale, perché è un colore antico, usato da sempre, seppure con finalità diverse, per esprimere emozioni, sentimenti e concetti, a volte contrastanti. Splendido e resistente il rosso è simbolo della vita e di contro anche della morte. È il colore del sangue, che se scorre all’interno del corpo, è indizio di vitalità, se versato diventa testimonianza di morte; è il colore del cuore, motore della nostra esistenza, ma in alcune culture è considerato il colore dell’anima. Amore ed eros, pas-
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sione e coraggio, forza e ardore, impeto e dinamismo, azione e rivoluzione, energia e furore, potere e sicurezza di sé, aggressività e protezione, impulsività e voglia di prevalere, vitalità ed eccitazione, fuoco e pericolo, forza e bellezza, attrazione e repulsione, allarme e divieto, urgenza e debito, calore e distruzione, purezza e libido, carità e guerra, gioia e lutto, peccato e sacrificio, ricchezza e compassione, scienza ed esoterismo, martirio e violenza, inizio e fine. Il rosso è tutto questo e altro ancora.
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Nel Novecento gli artisti hanno fatto ricorso all’uso del rosso spesso con esiti di grande fascino. Già anni prima Paul Gauguin aveva trasformato ne La visione dopo il sermone (1888) un ampio campo rosso nello scenario
di un evento soprannaturale, mentre Edvard Munch nel cielo striato di rosso de Il grido (1893) aveva condensato le sofferenze del proprio vissuto. Agli inizi del nuovo secolo nuvole infuocate erano assembrate nei cieli
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Massimo Ruiu, Non ti voltare, 2006
dipinti da Emil Nolde e pennellate vermiglie avevano intriso i paesaggi di Karl Schmitt Rottluff, in un’esaltazione cromatica, che portava Henri Matisse qualche anno più tardi nell’Atelier rosso (1911) a immergere gli elementi della composizione in uno spazio pregno di rosso assoluto, colore che Piet Mondrian cooptava – con differenti finalità e soluzioni formali – all’interno dei suoi lavori a partire dalla seconda metà degli anni 10. Sono rossi molti dei Concetti spaziali, in cui Lucio Fontana per circa vent’anni ha praticato buchi o tagli, così come gli sfondi di alcuni suoi teatrini. Ma è certamente il Grande rosso (1964) di Alberto Burri l’opera che più efficacemente emblematizza il potenziale simbolico del colore, cui i corrugamenti della plastica combusta e la presenza di un buco nero conferiscono una connotazione drammatica. Bandiere rosse stilizzate sono assiepate nel Comizio di Giulio Turcato (1949-50), svettando sino al limite del quadro, cui Renato Guttuso rese un omag-
gio ne I funerali di Togliatti (1972). Colore amato da Mario Schifano, che lo ha usato di frequente in ampie campiture, facendone il protagonista assoluto di alcuni lavori, il rosso è stato molte volte disposto da Mark Rothko in stesure sfrangiate in quadri intrisi di forte tensione spirituale, e figura molto spesso – per il suo spiccato potenziale segnaletico e in quanto simbolo del sangue – anche nei lavori di Keith Haring. Anche nelle opere realizzate con la luce, come gli spazi percorsi dal raggio laser di Maurizio Mochetti, le articolate sculture di neon di Dan Flavin, il mappamondo rovente di Mona Hatoum, i truismi fissi e mobili di Jenny Holzer, gli affascinanti ambienti immersivi di James Turrell, il rosso ha un ruolo importante, che attiene alla sua capacità attrattiva e alla sua ampia pregnanza simbolica. Dodici artisti alle prese con un colore molto speciale Se Enzo Tempesta chiude in una scatola di legno l’immagine di una rosa rossa a signi-
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ficare il valore prezioso e non effimero dell’amicizia, è Mariantonietta Bagliato a compendiare in un drappo rosso marezzato la preziosità degli affetti famigliari e il senso di protezione dell’ambiente domestico. La sollecitazione a orientare lo sguardo per scoprire aspetti a volte trascurati del reale, che ci giunge dalla sequenza di immagini di Giuseppe De Mattia, in parte nascoste da pennellate rosse, diventa un vero e perentorio incitamento alla ormai indifferibile difesa della bellezza nel manipolo di uomini di ceramica in marcia di Nicola Genco, dalle cui teste nascono morbidi fiori. E se la preda sanguinante che il barbagianni di Pierpaolo Miccolis serra nel becco ci ricorda l’esigenza di una mobilitazione per preservare l’integrità della natura, sempre più gravemente offesa dall’azione umana, d’altro canto Massimo Ruiu sfrutta la riconosciuta potenzialità segnaletica del colore per avvertirci della reale pericolosità di una specie ittica, che diviene rossa come l’acqua in cui è immersa. Un vero e proprio oggetto di culto, da decenni icona dell’eccellenza del Made in Italy, come la Ferrari che sfreccia nel dipinto di Rossella Petronelli, è l’emblema eloquente della velocità e della voglia di prevalere, mentre nel colore dell’impronta digitale di Leonardo sovrapposta a uno dei fogli della Raccolta Windsor, su cui Giuseppe Ciracì è intervenuto con discrezione, è palese il richiamo alla energia creativa del
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Sotto: Rossella Petronelli, Senza Titolo, 1977 a lato: Marco Neri, Bandiere rosse (Diritto), 2012
genio. Se nella delicata e impalpabile corolla di un papavero, tradizionalmente simbolo di semplicità e insieme dell’oblio, Salvo D’Avila ha condensato la fragilità dell’esistenza umana, dando vita a una sorta di vanitas, d’altra parte nella raccolta di bandiere ridisegnate da Marco Neri il rosso è di volta in volta simbolo di rivoluzione, sangue versato per la libertà, coraggio, richiamo a principi religiosi o a virtù civili, a elementi della natura, ma anche al calore vitale del sole. Quel sole che porta a maturazione e dota di squisito sapore i cosiddetti pomodori della Regina, tipici della terra di Puglia, legati in grappoli con fili di cotone, cui DePalma&Pinto hanno regalato vita duratura tramite la ceramica. C’è, infine, l’opera di Dario Agrimi, in cui il rosso è assente. Un quadrato grigio è ciò che
percepisce – al posto del rosso – chi è affetto da acromatopsia, un raro disturbo genetico della vista che – per sempre e irrimediabilmente – trasforma i molteplici e cangianti colori della realtà in una triste e monotona scala di grigi.
Rosso è… Dodici artisti alle prese con un colore molto speciale Opere di: Dario Agrimi, Mariantonietta Bagliato, Giuseppe Ciracì, Salvo d’Avila, Giuseppe De Mattia, De Palma&Pinto, Nicola Genco, Pierpaolo Miccolis, Marco Neri, Rossella Petronelli, Massimo Ruiu, Enzo Tempesta Mostra a cura di: Lia De Venere Galleria Cattedrale, Largo Cattedrale 9, Conversano (BA)
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MATHERA L’ASCOLTO DEI SASSI IL RISCATTO DI UNA CITTÀ
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Nelle sale italiane solo il 21,22 e 23 gennaio 2019
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Uscirà nelle sale in più di 200 cinema italiani il 21, 22 e 23 gennaio 2019 il documentario “MATHERA - L'ascolto dei sassi”. Novanta minuti diretti dal regista Francesco Invernizzi per raccontare il riscatto di una città, la sua rinascita. Distribuito da Magnitudo in collaborazione con Chili Cinema, il docufilm racconta il passato e il presente di Matera, Capitale Europea della Cultura 2019. Matera dal cuore antico, dalle sue origini ad oggi, snocciolando ricordi, a volte dolorosi, come quando venne definita "vergogna d'Italia", a causa delle condizioni di miseria e arretratezza in cui la sua gente viveva nei Sassi, alla gioia di un rifiorire che la vede nella nostra contemporaneità tra le mete turistiche più ambite del Belpaese. Set cinematografico naturale dalla bellezza mozzafiato conosciuta in tutto il mondo anche per le numerose produzioni cinematografiche nazionali e internazionali che ha ospitato dal 1949 ad oggi. “Nel più puro dei filoni documentari-
stici, quello delle city symphonies legato a nomi come quelli di Jean Vigo (A propos de Niece, 1930) e Ruttmann (Berlin: Symphony of a great city, 1927), Mathera è un’ode alla città, ai suoi volti, suoni, scorci, profumi.” È quanto scrive nelle note di regia lo stesso Francesco Invernizzi che aggiunge: “Non esiste una sceneggiatura predeterminata nei dialoghi, che sono stati invece selezionati alla fine delle riprese alla luce di quanto emerso dai personaggi coinvolti, liberi di esprimersi nei loro luoghi, in quel dato momento, improvvisando i nostri incontri il più possibile così da avere situazioni originali e il più possibile ‘estemporanei’”. Il documentario intende far riflettere sulle bellezze di Matera e le sue potenzialità, rivelate dalle voci e dai volti dei suoi abitanti con l’intento di raccontare la storia del luogo più rappresentativo della vita contadina e delle tradizioni rurali in Italia, riconosciuto patrimonio Unesco. Una città unica che è al centro di un territorio estremamente dinamico dove tradizione, scienza e tecnologia si intrecciano in un viaggio tra passato, presente e futuro dell'umanità.
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AL QUIRINALE LA LUCE DELLA NATIVITÀ TRA I SASSI DI MATERA
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Si è conclusa il 5 gennaio 2019
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l nuovo anno vede Matera fregiarsi del titolo di Capitale Europea della Cultura. E da Matera è giunto al Palazzo del Quirinale, nella Sala d’Ercole, dove è restato in mostra fino al 5 gennaio, il monumentale presepe lucano ideato dal Maestro presepista Francesco Artese. Sostenuto dall’Agenzia di Promozione Territoriale della Basilicata, il presepe del Maestro Francesco Artese è il racconto della nascita di Gesù nel contesto di un paesaggio che non ha eguali, i borghi della Basilicata e i Sassi di Matera, quelli che Pasolini scelse per il suo “Vangelo” affermando di aver ritrovato qui i volti e i luoghi “intatti” che in Palestina erano andati perduti. L’opera, realizzata in polistirene, pietra, legno e ferro,
con centoventi personaggi in terracotta, su un’area di quaranta metri quadri per un’altezza di circa sei metri, compone sulla scena un insieme di quadri che rappresentano diversi momenti della vita quotidiana, in un ambiente semplice e laborioso, che attinge a riti e tradizioni della civiltà rurale lucana ancora vive e sentite: la rappresentazione del Maggio di Accettura, con il gruppo di buoi che traina il tronco del grande albero; la processione in devozione della Vergine Maria, con i fedeli che portano i monumentali “cinti” in cera, ex voto in cui si compendiano speranze, attese e gratitudine per grazie ricevute; il culto della Madonna della Bruna, che si rinnova tra storia e leggenda. In sintesi, la cultura e il paesaggio di una
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Terra ricca di naturale spiritualità, millenario crocevia di popoli e tradizioni. La Basilicata intera si riconosce nel presepe, nei volti e nei gesti delle donne, degli uomini e dei bambini che animano la platea davanti alla grotta della Natività, in un paesaggio caratterizzato da vicoli e scale, grotte e palazzotti signorili, archi e ballatoi, orti e terrazze, comignoli, campanili delle chiese ipogee. Le case scavate nel tufo e incastrate tra
loro evocano maestrie e saperi artigiani tramandati da padre in figlio. Ovunque un brulicare di vita, un racconto diffuso di quella cultura del vicinato fatta di solidarietà e condivisione tra famiglie: una dimensione di vita connaturata nei Sassi di Matera, in cui la “piazza” offre l’armonia del vivere senza barriere, dinamica e aperta. Come nello spirito di Matera 2019.
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Francesco Londonio, Presepe, Fanciulla contadina e bimbo che accarezzano una pecora, altro bimbo che suona il
IL PRESEPE RITROVATO DI LONDONIO NEL PALAZZO PIRELLI DI MILANO
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L’opera è stata donata di recente al Museo Diocesano
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MILANO. A proposito di presepi nello spazio eventi di Palazzo Pirelli a Milano è stato in mostra (fino al 10 gennaio) uno dei capolavori d’arte sacra del XVIII secolo, appartenente al patrimonio della città e della regione. Si tratta del presepe ritrovato di Francesco Londonio (1723-1783), uno dei più importanti artisti lombardi del Settecento, specializzato proprio in presepi, in scene campestri e raffigurazioni di animali. 60 personaggi del presepe, dipinti su carta o cartoncino sagomati, che costituivano almeno tre nuclei di “presepi di carta” distinti fanno parte di una nuova acquisizione del Museo Diocesano Carlo Maria Martini di Milano, grazie alla donazione di Anna Maria Bagatti Valsecchi. La raccolta proviene dalla collezione Cavazzi della Somaglia, nella Villa Gernetto a Lesmo, ed è probabilmente uno dei pochi presepi settecenteschi lombardi di questo tipo. L’opera era destinata, in origine, a essere allestita durante il periodo natalizio in un salone di Villa del Gernetto a Lesmo, in Brianza, acquistata nel 1772 dal Con-
te Giacomo Mellerio (1711-1782), presso la quale il Londonio era solito passare lunghi periodi di villeggiatura. Nel corso dell’Ottocento, gli eredi Mellerio, quando fu chiara l’importanza e la rarità del complesso, fecero montare le sagome entro cornici ovali o rettangolari che furono usate come decoro stabile per i saloni della residenza brianzola. Il Presepe del Gernetto, noto alla critica, è citato nella storiografia e in tutte le pubblicazioni dedicate a Francesco Londonio e al presepe in Lombardia. Un primo, minimo intervento conservativo ha permesso di poter presentare oggi l’inedito presepe; l’opera ha bisogno tuttavia di interventi di restauro più complessi, per i quali si renderà necessario il reperimento di fondi. Per questo il Consiglio regionale intende associarsi con questo evento espositivo al recupero, alla promozione e alla valorizzazione di quest’opera così significativa avviati dal Museo Diocesano di Milano, offrendo la visibilità della maggiore assise regionale italiana. Accanto al presepe di Londonio, al
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Francesco Londonio, Presepe, Adorazione dei magi, cm. 58 x 80
foyer del piano terra di Palazzo Pirelli viene esposto anche un altorilievo in terracotta raffigurante una “Natività con Angeli” probabilmente di uno scultore dell’Italia settentrionale del XVII secolo, anch’esso proveniente dal Museo Diocesano di Milano. Nulla si conosce della storia di quest’opera, giunta al Museo da una collezione privata: il recente restauro (2013) ha evidenziato due interventi precedenti, avvenuti in epoca non ben precisabile. Il pannello è costituito da tre
pezzi lavorati e cotti singolarmente e poi assemblati con sigillature in terracotta e una graffa di ferro. La scena è ambientata in una frammentaria capanna sostenuta da imponenti colonne in rovina che si perdono nelle nubi, secondo un modello ampiamente diffuso nell’Italia settentrionale. La Sacra Famiglia, sulla sinistra, appare quasi in secondo piano rispetto agli angeli adoranti e ai putti che animano la scena.
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Alda Merini, fonte: foto dalla pagina ufficiale fb della poetessa
ALDA MERINI E GIORGIO MANGANELLI UN FOLLE AMORE Giusy Gatti Perlangeli
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L’unica dimensione dell’amore? La follia
AMORI LETTERARI
Alda Merini e Giorgio Manganelli si conoscono alla fine del 1949 e fin da subito lo spettro della follia aleggia attorno alla loro relazione. Lei ha compiuto diciotto anni a marzo, il “21 a primavera” ed è già “Alda Merini la poetessa” («Sono nata così, perché sono nata scrivendo»), consacrata dal sostegno dello scrittore e critico Giacinto Spagnoletti che per primo ne aveva intuito il talento e che «nella Milano della ricostruzione, adolescente,
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(...) le aprì le porte del mondo intellettuale della città». Fu proprio Spagnoletti a presentarli. Lui ha 27 anni e non è libero: sua moglie Fausta Chiaruttini (che aveva sposato nel ’46) aveva dato alla luce la figlia Lietta nel 1947. In La letteratura c o m e menzogna, (Feltrinelli, 1967) Manganelli sosterrà che il compito della letteratura è la contestazione, trasformare la realtà in menzogna, in scandalo e in mistificazio-
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ne. La relazione tra i due durerà tre anni. Un Due personaggi per nulla sentimentalisti o tempo relativamente breve, trascorso all’insmielati, dunque: decisamente non facili. segna dello scavo interiore, del sentimento che lacera e dilania, ma che contribuirà a Quel 1949 sarà un anno cruciale. definire la poetica di Manganelli che risulterà indelebilmente segnata da quell’incontro. Alda comincia ad avvertire la presenza delle «prime ombre» della sua mente. Iniziano le La vocazione poetica è presente già nelle visite da Fornari («Il manicomio è come la corde dello scrittore, circondato da poetesse rena del mare – ricorderà più tardi lo specia- da sempre: sua madre scrive poesie, sua lista - se entra nelle valve di un’ostrica gene- moglie pure. Le sue prove giovanili sono ra perle»), da Musatti e da Clivio. proprio ispirate alla religiosità esasperata della madre e quindi, di molto precedenti Nel 1950 la poetessa verrà internata per un all'incontro con Alda. mese all'ospedale psichiatrico di Villa Turro Ma quella relazione lo spiazza: «Quando lo con la diagnosi di disturbo bipolare. violentai – avrebbe ricordato più tardi la Merini - lui rimase senza parole... per mesi e Manganelli è determinato ad aspettarla: mesi, finché si decise a prendere in mano la quella ragazza tormentata, così diversa dal- penna. Fui io che feci di Manganelli un granle sue coetanee, con un mondo de scrittore». interiore profondissimo e un talento già visibile, lo ha incantato. «L’amore è un eccellente combustibile per alimentare il malessere che può condurre Gli incontri tra loro sono fatti di alla letteratura – avrebbe dichiarato più tardi parole, di dialoghi fitti e intensi. I lo scrittore, confermando il ruolo determitemi: la morte, la follia, i genitori. nante di quel sentimento come “chiave” per Lei ama quelle parole una ad una, schiudere le porte della poesia - È importanama come Manganelli le distilla, te, estremamente importante che l’amore ama il modo in cui lui la ama: attra- vada male. L’amore è la più importante verso i libri, i versi e il presagio del- matrice di menzogna, e la menzogna la più la fine che quelle parole evocano. grande matrice di mondi». È la Merini stessa a testimoniarlo: «(…) Il gergo di Manganelli E infatti questo amore prosegue “male” Oh, lui parlava fitto e innamorato come dev’essere per Manganelli. come una rondine stellata, «Ero così tremenda – dirà Alda - che mi pieno di germi d’addio. soprannominò la bakunina e il nostro amore Era un linguaggio provenzale andò avanti a suon di schiaffoni (…) Coloro con una cadenza andalusa che credono che facessimo l’amore sul tavoe con le mani sfiorava i miei libri, lino di un bar letterario sbagliano, in realtà invece del volto, e diceva: meditavamo la morte dei nostri genitori». “Che strano frumento ti cresce nei capelli”. Maria Corti, la celebre autrice de L’ora di tutAllora, con la falce del viso, ti, amica dello scrittore fin dai tempi dell’unitentava di mietermi il sorriso versità, ricordava bene quel periodo: «Ogni finché finimmo sabato pomeriggio lei e Manganelli salivano nel gergo della passione». le lunghe scale senza ascensore del mio (da La palude di Manganelli o il pied-à-terre in via Sardegna e io li guardavo monarca del re, ed.La Vita Felice, dalla tromba della scala: solo Dio poteva 1992). sapere che cosa sarebbe stato di loro. Manganelli più di ogni altro la aiutava a raggiun-
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Lo scrittore Giorgio Manganelli
AMORI LETTERARI
gere coscienza di sé, a giocarsi bene il destino della scrittura al di là delle ombre di Turro» (introduzione a Vuoto d’amore della Merini, Einaudi, 1991).
piante, in parte allontanate come con un gesto di fastidio per sé, per la propria debolezza”(Gian Paolo Serino, La Repubblica, 11/02/2007) mostrano un “sontuoso, immaginifico splendore linguistico in veste poetica” per Molti anni più tardi sarà proprio la nulla secondario rispetto alla sua ricMerini a fornire la propria “lettura” di ca produzione in prosa. quella relazione: «Io credo che per Manganelli sono stata il suo demone, Emblematica della concezione dell’ail suo demone ispiratore». Lo descri- more e del rapporto drammatico con ve come un uomo di grande spesso- l’altro sesso, la lirica Ti paragonerò re intellettuale, ma interiormente divi- dunque, in cui Manganelli compara l' so, quasi spaventato di fronte ad una amata al giorno estivo e alla rosa in donna di carattere come Alda, nono- continuità con la tradizione (dagli Stilstante, anagraficamente, fosse poco novisti a Shakespeare), ma anche al più che un’adolescente. «Per lui ero tetano, alla lebbra, al tumore (più affiun dramma – dirà - ero una mina ne a Simbolisti e Scapigliati). vagante». Le pieghe di questo amore contras- Ti paragonerò dunque segnato dalla follia vengono fuori dal- amore mio, mio amore le poesie di colui che conosciamo ad un giorno estivo, o trepida rosa come il prosatore eccentrico e (una rondine sarebbe forse funambolico della Hilarotragoedia, di più acconcia, o una farfalla?) Sconclusione e de La notte. O non piuttosto, amore mio, mio amoDopo essere rimaste per oltre cin- re quant’anni nell’archivio privato di Liet- ti farò simile al tetano ta, figlia dello scrittore, le Poesie di che inchioda le mascelle, Giorgio Manganelli vedono la luce nel alla lebbra paziente 2006 per i tipi della casa editrice Cro- che accima la carne indifesa cetti (a cura e con uno scritto di o all’ulcera, fiore perplesso, Daniele Piccini, postfazione di Fede- o al tumore, autonomo individuo, rico Francucci, Aryballos 59, Crocetti che cresce nel corpo Editore 2006). Queste 150 "prove di per verginale gravidanza? laboratorio" scritte per lo più negli Mia rosa mostruosa, anni Cinquanta, sono ripartite in tre delicata, indolente paranoia. sezioni: le "Poesie", raccolte dall'au- (Poesie, Appendice IIa, op.cit.) tore in una forma prossima ad un'elaborazione finale (con tre appendici); Racconta lo scrittore Tommy Cappeluna sezione di "Altre poesie" e l'ulti- lini: «Alla fine del 1953 qualcosa si ma di "Poesie giovanili". ruppe irreparabilmente tra la Merini e Grazie alla mediazione poetica emer- Manganelli. Questi non riusciva, ge un Manganelli già fortemente stando alle parole scritte da Alda, a sedotto, fin dalle prime prove, dalla ottenere una separazione consenlingua letteraria alla quale dedica un suale dalla moglie. Fuggì allora su lungo lavorio di riflessione e di cesel- una Lambretta alla volta di Roma. Ma lo («L’amore è stata una parte impor- si trattò di fuga? Il racconto della figlia tante della mia vita, seconda soltanto di Manganelli, Lietta, è più verosimile: allo studio delle lingue»). Popolati da suo padre e sua madre vivevano a “figure femminili perdute, in parte rim- Milano in una casa di dieci stanze,
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perfetta per chi non poteva soffrirsi. Un giorno Giorgio arriva a casa, trova delle valigie pronte e dice alla consorte: “Oh che bello, viene a trovarci tua madre?”. “No, sei tu che te ne vai”». «Preso da un’incompatibilità affettiva con il grigiore di Milano – dirà poi lo stesso Manganelli - mi sono autodeportato a Roma». Ne La notte (a cura di Salvatore Silvano Nigro, Adelphi, Milano, 1996) lo scrittore fornirà la propria descrizione in terza persona dell’amore con Alda: «Entrambi furono rozzi, sleali, poveri, scontenti, fedeli. Non ebbero pazienza l’uno per l’altra. Si disprezzarono. Non si odiarono, perché la loro povera anima non era capace di odio; erano sterili, cauti, allegri. Amavano bere, raccontavano storielle oscene, erano severi con gli innocenti, codardi coi colpevoli. Il loro letto non fu il fidato rifugio delle confidenze serali, ma un luogo di amare riflessioni... Non fecero mai lo stesso sogno nella medesima notte; non dissero mai le medesime parole nello stesso respiro... Del resto, queste sono cose che accadono di rado. Durante tutta la loro vita, essi vennero preparando questo sarcofago nuziale». In forma poetica gli fa eco la “versione” della Merini: Molta gente mi ha domandato di te, come se fosse possibile domandare a un morto che cos’era in vita. Non eri nulla. Anch’io, quando chiedono se sono una poetessa, mi vergogno, mi vergogno in modo amabile e gentile, come tu ti vergogni di “essere” la poesia e la vita.
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Giorgio, non sono un valzer, e se l’opera d’arte casualmente lo è, è semmai come il valzer triste di Sibelius, una cosa amara e dolcissima che traligna verso la morte. Sai, una donna decomposta, come sono io, un uomo decomposto, com’eri tu, non potevano che trasmigrare in due figure di sogno, un grande pinocchio e una fatina petulante e misera che, come Coppelia, vanno a vedersi dall’alto di un loggione di cartapesta. Idealmente, io e te, abbiamo portato un cappello a sonagli per tutta la vita. (op.cit.). «È importante, estremamente importante – aveva detto Manganelli - che l’amore vada male». E “male” finisce quell’amore: «Lo sai dunque che questa è la descrizione del nostro amore, che io non sia mai dove sei tu, e tu non sia mai dove sono io?» Rievocando quella importante parentesi della sua vita, Alda verseggia: A te, Giorgio, noto istrione della parola, mio oscuro disegno, mio invincibile amore, sono sfuggita, tuo malgrado, eppure mi hai ingabbiato nella salsedine della tua lingua. Tu, primissimo amore mio, hai avuto pudore del mio atroce destino, tu mi hai preso un giorno sull’erba, al calore del sole, la perla della mia giovinezza. Com’era bello, amore, sentirti spergiuro. E tu che non volevi. Tu, per cui ero
la sofferta Beatrice delle ombre. Ma non eri tu ad avermi, era la psicanalisi. E in fondo, Giorgio, ho sempre patito quel che ti ho fatto patire. (op.cit.). Che sia stato amore non c’è alcun dubbio: mille sono le facce di questo sentimento che, come un prisma, rimanda e rinvia riflessi dall’intensità diversa. «Certo mio padre amava Alda – ricorda la figlia Lietta - ma mio padre aveva quella sindrome, che è tipica delle donne, che io chiamo la “sindrome della crocerossina” dell'“io ti salverò”. Copione che era già stato messo in atto con mia madre». Scrive Manganelli: Nell’amorosa quiete delle tue braccia oltre all’accoppiamento vi è quest’altro abbraccio che è una stretta immobile. Siamo ammaliati, stregati, siamo nel sonno, senza dormire siamo nella voluttà infantile dell’addormentamento. È il momento delle storie raccontate, della voce che giunge a ipnotizzarmi a straniarmi. È il ritorno alla madre. In questo incesto rinnovato tutto rimane sospeso: il tempo, la legge, la proibizione. Niente si esaudisce, niente si desidera: tutti i desideri sono aboliti perché sembrano essere definitivamente appagati. (Poesie, op.cit.) Manganelli lo dice che l’ha amata. L’ha amata di un amore senza desiderio, perché quell’amore era già l’appagamento di ogni desiderio. (con la preziosa supervisione di Lietta Manganelli).
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DOPO UN LUNGO RESTAURO ECCO LA CASA MUSEO BASSI RATHGEB
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Nell’omonima villa cinquecentesca l’inaugurazione lo scorso 8 dicembre
ABANO TERME. Ha aperto i battenti, dopo un lungo restauro, lo scorso 8 dicembre la Casa Museo Bassi Rathgeb allestita nell’omonima Villa cinquecentesca, in via Appia Monterosso, a ridosso del cuore del centro termale. La Villa, dopo molti passaggi di mano, divenne proprietà comunale nel lontano 1979, destinata ad accogliere l’ingentissimo patrimonio donato alla Città dalla vedova di Roberto Bassi Rathgeb, illustre collezionista, storico dell’arte e intellettuale bergamasco, legato alle terre aponensi da lunga frequentazione. Un patrimonio di oltre 420 opere tra
I LUOGHI NELLA RETE
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dipinti, disegni, incisioni, reperti archeologici e mobili d’alto antiquariato. Ci vollero quasi due decenni per definire il progetto di conversione della nobile Dimora al nuovo uso pubblico di centro culturale ed espositivo e programmare i lavori di restauro che hanno interessato tra l’altro tutti i nove cicli di affreschi che rendono unica questa villa veneta. Affreschi datati, per la gran parte, all’ultimo scorcio del ‘500, attribuiti ad artisti di ambito veronesiano e più esattamente zelottiano (Giovanni Battista Zelotti affrescò, da solo o con Paolo Veronese, diverse ville palladiane).
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I LUOGHI NELLA RETE
Affreschi all’interno della Casa Museo Villa Bassi, Abano Terme
Restaurati anche gli stucchi settecenteschi e l’Oratorio che, dopo il 1775, il marchese Giovanni Antonio Dondi Orologio, volle fosse innalzato nelle esatte forme della Casa di Nazareth conservata nel Santuario di Loreto. Nei saloni affrescati del Piano Nobile torneranno i mobili d’epoca, le armi e le armature, i reperti archeologici collezionati dal raffinato intellettuale bergamasco. La Quadreria, troverà invece stabile collocazione al secondo piano della nobile Dimora. Un’ulteriore selezione dei 120 dipinti, 70 disegni e delle preziose acqueforti della Collezione Bassi Rathgeb, sarà proposta in una mostra temporanea all’intero dei suggestivi ambienti ipogei della Villa. Questi spazi, di grandissimo fascino, sono infatti destinati ad accogliere, con cadenza semestrale, esposizioni di approfondimento di pagine importanti della storia dell’arte e della fotografia internazionali. Tel. 049 8245269 Email: museo@abanoterme.net www.fondazionebernareggi.it Autoritratto come mendicante di Giacomo Ceruti, Pitocchetto, olio su tela
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DENIS RIVA. Memorandum Milano, Gilda Contemporary Art (via San Maurilio 14) fino al 31 gennaio 2019 Orari: dal martedì al venerdì dalle 10.30 alle 13.00 e dalle 14.30 alle 19.00 Sabato dalle 10.30 alle 13.00 e il pomeriggio su appuntamento Ingresso libero Informazioni: tel. 339.4760708 ANTONIO CAMPI. IL RESTAURO DELLA PALA DI SANTA MARIA DEGLI ANGELI A MILANO Milano Museo Diocesano Carlo Maria Martini (ingresso da piazza Sant’Eustorgio 3) fino al 13 gennaio 2019t Orari: da martedì a domenica dalle 10 alle 18. Chiuso lunedì (eccetto festivi) La biglietteria chiude alle ore 17.30 ntero: € 10,00; Ridotto e gruppi: € 8,00; Scuole e oratori: € 6,00 Informazioni: tel. 02.89420019 GIOVANNI BOLDINI 50 opere su carta Bologna, Galleria Bottegantica (via D’Azeglio 96/A) fino al 19 gennaio 2018 Mostra a cura di Stefano Bosi e Enzo Savoia Orari: da martedì al giovedì 15.3019.30; venerdì e sabato 10-13; 15.30-19.30 Giorni di chiusare: 25 e 26 dicembre, 1 gennaio Ingresso libero nfo:(+39) 051331388 botteganticasrl@gmail.com
JEAN DUBUFFET. L’arte in gioco. Materia e spirito 1943-1985 Reggio Emilia, Palazzo Magnani (Corso Garibaldi 29) fino al 3 marzo 2019 Orari: martedì - giovedì, 10.0013.00; 15.00-19.00; venerdì, sabato, domenica e festivi, 10.00-19.00. lunedì aperto solo per le scuole. Biglietti: Intero: €12,00; Ridotto: €10, 00; Studenti (dai 6 al 17 anni): €6,00; Gratuito: bambini fino ai 5 anni; un accompagnatore per persone con disabilità, giornalisti con tessera di riconoscimento valida. tel. 0522 444 446 MILANO E IL CINEMA a cura di Stefano Galli 8 novembre 2018 - 10 febbraio 2019 Palazzo Morando | Costume Moda Immagine, spazi espositivi piano terra, via Sant’Andrea 6, MilanoOrari: Martedì- domenica: 10.00-20.00 (la biglietteria chiude un'ora prima) Giovedì: 10.00 - 22.30 Biglietti:intero: € 12 ridotto: € 10 (studenti under 26, over 65, disabili, gruppi adulti e tutte le convenzioni) Infotel. +39 327 8953761 OTTOCENTO IN COLLEZIONE. Dai Macchiaioli a Segantini Novara, Castello Visconteo Sforzesco (piazza Martiri della Libertà 215) fino al 24 febbraio 2019 Orari: martedì - domenica, 10.0019.00 (la biglietteria chiude alle 18.00). Biglietti: Intero: €10,00; Info: Tel. 0321.394059 ANNIBALE. UN MITO MEDITERRANEO Piacenza, Palazzo Farnese (piazza Cittadella 29) 16 dicembre 2018 – 17 marzo 2019 Orari: lunedì chiuso dal martedì al giovedì: dalle ore 10.00 alle ore 19.00 venerdì, sabato e domenica: dalle ore 10.00 alle ore 20.00
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ANDY WARHOL ROMA Complesso del Vittoriano – Ala Brasini, fino al 3 febbraio 2019 Orari: da lunedì a giovedì 9.30 19.30; venerdì e sabato 9.30 - 22.00 domenica 9.30 - 20.30 (la biglietteria chiude un'ora prima) Lunedì 31 dicembre 9.30 - 15.30 Martedì 1 gennaio 15.30 - 19.30 Domenica 6 gennaio 9.30 - 20.30 (la biglietteria chiude un'ora prima) Intero 13€ + 1,50€ prevendita T. + 39 06 87 15 111 POLLOCK e la Scuola di New York Roma Ala Brasini del Vittoriano fino al 24 febbraio 2019 Orari: da lunedì a giovedì 9.30 19.30 venerdì e sabato 9.30 - 22.00 domenica 9.30 - 20.30 (la biglietteria chiude un'ora prima) Lunedì 31 dicembre 9.30 - 15.30 Martedì 1 gennaio 15.30 - 19.30 Domenica 6 gennaio 9.30 - 20.30 (la biglietteria chiude un'ora prima) Ingresso: intero 15€ 13 ANNI E UN SECOLO – FOTOGRAFIA. Premio Fabbri per l’arte sesta Edizione Bologna, Palazzo Pepoli Campogrande fino al 17 Febbraio 2019 (apertura al pubblico dalle 9.00 alle 19.00, lunedì escluso – ingresso libero) ANDY WARHOL. L’alchimista degli anni Sessanta Monza, Reggia di Monza Orangerie (viale Brianza, 1) 25 gennaio - 28 aprile 2019 Inaugurazione: giovedì 24 gennaio 2019, ore 18.00 Orari: Martedì-venerdì, 10.00 - 19.00 Sabato, domenica e festivi, 10.00 19.30. Lunedì chiuso. Biglietti: Intero: €10,00
ITINER_ARTE...DOVE E QUANDO...
“CON NUOVA E STRAVAGANTE MANIERA” GIULIO ROMANO A MANTOVA Mantova Complesso Museale Palazzo Ducale 6 ottobre 2019 - 6 gennaio 2020 Museo: tel. + 39 0376 352100 www.mantovaducale.beniculturali.it
LUOGHI DEL SAPERE
UN’OMBRA TRA GLI SCOGLI DI REMO CROCI UN ROMANZO AL SAPORE DI SALSEDINE
REMO CROCI Un’ombra tra gli scogli Il Raggio Verde Edizioni 2017 pp.118 € 10,00
Se dovessimo dare una definizione di «Un'ombra tra gli scogli», il noir del giornalista Mediaset Remo, potremmo dire essere «un romanzo in cui si sente la salsedine sulla pelle, si respira il profumo di frittura di pesce dei ristoranti sul mare, si ascolta lo sciabordio delle onde del mare nel porto… in attesa di conoscere il colpevole». Tutto ciò perché nella narrazione Croci, che in questo lavoro da ottima prova di sé anche come scrittore oltreché come cronista, antepone su tutta la narrazione - e su quello che sarà il sorprendente finale - uno dei presupposti essenziali di un noir: l'ambientazione. In questo genere di romanzo, l'ambientazione assume un'importanza essenziale, perché se in altri generi - escluse alcune eccezioni come nel romanzo storico - la narrazione può scorrere tranquillamente, talvolta anche senza una descrizione dei luoghi, nel noir non è affatto così, perché i protagonisti in questo caso sono sempre due: l'assassino e il luogo, che quasi sempre ne diventa coprotagonista ed è quasi sempre descritto in maniera buia, cupa, visto nei tratti più oscuri, nei sobborghi, nelle periferie degradate ma comunque sempre descritto nel dettaglio. La San Benedetto del Tronto, teatro della vicenda narrata e descritta da Remo Croci è un paesone sonnacchioso, notturno, in cui si sentono le voci pescatori, si ascoltano le urla dei bambini, si «assaporano» le ricette del ristorante «La Bilancia», di cui sono titolari i protagonisti. Il romanzo di Remo è dunque uno di quei libri fedeli ai canoni del genere cui appartengono, in questo caso la vicenda, che si sviluppa in ambienti comuni, lavorativi o familiari; sono presenti elementi caratteristici e distintivi, come intrighi, tradimenti, ricatti, omicidi, truffe; l'assassino è spesso un individuo ordinario, che svolge una vita apparentemente normale e che, da un certo punto della sua vita, a causa di stimoli di vario tipo o di nevrosi personale, si trova nella condizione di compiere un crimine; è sempre una antieroe che non incarna doti umane positive; il linguaggio è stringato ed essenziale. Veniamo ai due protagonisti centrali del romanzo: Lampo, maestro elementare in pensione e il maresciallo dei carabinieri Peluso. Sono due figure legate insieme dal desiderio di verità, in entrambi i casi scaturente da una personale fedeltà: quella di Peluso alla divisa che indossa – fedeltà che gli riviene da antica tradizione familiare - e quella di Lampo che è connaturata alla sua professione di educatore, alla sua laurea in Legge, alla sua passione per i gialli, all'uomo dalla precisione maniacale. Lampo è un maestro elementare in pensione, con le sue nevrosi, ed incarna sotto certi aspetti il personaggio del detective «personale» - come egli stesso pretende di essere chiamato - di
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Sidney Grice, il personaggio uscito dalla penna di M. R. C. Kasasian. È un misantropo, deriso dai più, meticoloso e metodico, che allinea i cucchiaini sul tavolo, che mangia sempre gli stessi pasti. Dall'altra parte c'è l'ispettore Peluso, che dovrebbe essere il vero protagonista del romanzo ma in realtà finisce per subire la figura del coprotagonista. Peluso incarna i valori dell'Arma, di abnegazione, di lealtà e senso del dovere; incarna più la romantica figura del comandante della stazione Carabinieri degli Anni Settanta in una tranquilla cittadina, lontano dai pericoli degli Anni di Piombo che stanno per arrivare, ma anche di un militare poco scaltro, che finisce per subire l'intuito e la precisione di Lampo. Ne nasce un conflitto tra i due, che a volte porta lo stesso Peluso ad andare su tutte le furie. Ruolo fondamentale nel romanzo di Remo sono poi le figure femminili: una maga, amanti presunte e vere, descritte con le loro caratteristiche precise che non lasciano trapelare nulla al lettore e che per questo lasciano col fiato sospeso sino all'ultima riga, invogliando a leggere questo libro tutto d'un fiato. Perché l'assassino, mai come in questo caso, può essere chiunque. Giuseppe Pascali
UN AMORE FRA LE STELLE UNA FIABA MODERNA FIRMATA CATENA FIORELLO
CATENA FIORELLO Un amore tra le stelle Baldini&Castoldi 2017 pp 184 € 15 ISBN 9788893880602
“Un amore fra le stelle”, edito da “Baldini&Castoldi”, è il romanzo di Catena Fiorello, scrittrice siciliana, autrice e conduttrice televisiva. Una fiaba moderna che tocca anche temi importanti e di grande attualità, come l’inquinamento e il deturpamento del territorio e lo fa attraverso una donna forte, coraggiosa, che amava vestire strano con abiti che nessuno usava più. Una donna, la Befana di Catena Fiorello, che amava la libertà. "Un amore fra le stelle" è una favola natalizia: “Babbo Natale sulla sua slitta trainata da renne, la Befana con il sacco a cavallo della sua scopa distribuiscono regali a grandi e piccini. L’avreste mai detto che tra i due non corre buon sangue? Pensateci bene: li avete mai visti insieme? E quando la sera dell’antivigilia, nel pieno dello stress prenatalizio di una grande città il nostro Babbo un po’ misantropo e pieno di acciacchi si scontra con la Signora della Notte, avvolta nel suo classico scialle, succede il patatrac. I due saranno costretti a parlarsi, a raccontarsi, e anche a passare un po’ di tempo sotto lo stesso tetto…Sarebbe davvero un peccato sprecare energie a litigare, quando il mondo là fuori aspetta solo gioia e serenità. Non sarebbe più opportuno seppellire l’ascia di guerra e collaborare? Da soli si sta bene ma in due è tutta un’altra storia!” Catena Fiorello (Catania, 1966) ha pubblicato per Baldini&Castoldi “Nati senza camicia” nel 2003 e “Picciridda” nel 2006 (2017 nuova edizione con Giunti), per Rizzoli “Casca il mondo, casca la terra” nel 2011, “Dacci oggi il nostro pane quotidiano” nel 2013 e “Un padre è un padre” nel 2014, per Giunti “L’amore a due passi” nel 2016.
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LUOGHI DEL SAPERE
LA MALEDIZIONE DI TOLEDO IL ROMANZO STORICO DI GIUSEPPE PASCALI
GIUSEPPE PASCALI La maledizione di Toledo Grifo Editore 2016 pp. 216 ISBN 9788866672746 €12,00
Presunte streghe, accuse, delazioni, processi inquisitori e superstizione in un romanzo che narra, sul sottile filo della suspense, uno dei tasselli più cruenti della storia europea. «La maledizione di Toledo» (Grifo Editore), il romanzo storico di Giuseppe Pascali, giornalista de «La Gazzetta del Mezzogiorno» con il «vizio» di scavare nei meandri della storia (ne ha dato già prova con «Il maestro della banda» con la stessa casa editrice e con «Il sigillo del marchese», per i tipi di Lupo editore), parte da un desiderio di ricerca dell'autore sull'argomento, che finisce per diventare la storia – di pura fantasia – della bella Isabel, accusata di stregoneria, e della personale «caccia alla strega» del perfido cardinale Bonifacio Medina, Grande Inquisitore. Siamo in Spagna, regione della Navarra, nell'anno 1610. I borghi di Zugarramurdi e di Urdax sono tormentati da una spietata caccia alle streghe che culminerà, il sette novembre di quello stesso anno, nell'autodafé di Logroño, il più grande che la storia dell'Inquisizione spagnola ricordi. Ree confesse, sotto tortura ma anche per mitomania. Altrettante volte erboriste e guaritrici vittime di invidia e gelosie, le «streghe» che alimentano i roghi dell'Inquisizione sono per lo più donne anziane o meschine che la superstizione popolare addita come complici del Demonio. Seppure l'argomento rappresenti un campo minato (notoriamente streghe e roghi prestano il fianco al fantasy), Pascali non cade nel tranello e mantiene salda la sua posizione su argomentazioni storiche e sociali riguardo l'Inquisizione. Le «streghe» di Pascali, in sostanza, non «volano» ma «parlano». Parlano per raccontare cosa sono stati i processi inquisitori in Spagna come nel resto d'Europa; parlano per riscattarsi dalla loro posizione di concubine del Demonio; parlano per urlare al mondo, a distanza di oltre quattro secoli, che, per dirla con le parole di Voltaire e che Pascali riporta nel frontespizio: «Le streghe hanno smesso di esistere quando noi abbiamo smesso di bruciarle». Ma parlano perché da loro voce la meravigliosa figura (storica in questo caso) di Don Alonso de Salazar Y Frias, terzo inquisitore al tribunale di Logroňo, «l'avvocato delle streghe», come era definito. Salazar è l'antitesi della posizione della Chiesa dell'e-
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poca: se l'Inquisizione chiude le accusate in una gabbia, lui se le siede accanto, le accarezza, le tranquillizza, nella delicatissima scena descritta dall'autore e sapientemente incastonata in quella drammatica del processo, scena che si pone come un respiro di purezza in un'aria resa pesantissima dalle accuse. «Portavoce» di tante povere donne additate come streghe è Isabel, la giovane e bella ricamatrice del borgo di Zugarramurdi (borgo che rappresenta una «polveriera» per la stregoneria), la cui unica colpa, per gli occhi del Tribunale dell'Inquisizione, è quella di aver messo al mondo un bambino con un lieve difetto fisico. Ma in un clima di «caccia alle streghe», questo voleva dire essersi unita carnalmente con il demonio. Ma non basta: Isabel ha i capelli rossi, come la strega che tormenta con un incubo ricorrente il sonno di Medina. La caccia ad Isabel diventerà così una personalissima sfida per sedare le proprie paure e le proprie superstizioni. Perché la superstizione, sostanzialmente, è la protagonista occulta di questo romanzo in cui l'autore non instaura nessun atto di accusa nei confronti di quella pagina della storia, ma accende un faro, e ben luminoso, su crimini commessi nel falsa convinzione di compierli «nel nome di Dio». Sono molteplici poi i sentimenti che caratterizzano gli altri personaggi de «La maledizione di Toledo»: l'amicizia e la complicità tra donne (Felipa e Pillona ne sono i due massimi esempi), la redenzione, il bene verso gli altri. Quanto alla verità storica, Pascali mantiene inalterato il suo stile del «giusto compromesso tra storia e fantasia», come egli stesso più volte sostiene parlando dei suoi libri. Così come confermata è la sua abitudine di dare dignità agli ultimi e agli sconosciuti, a quel «volgo disperso che nome non ha» descritto da Manzoni (autore tra l'altro assai caro al nostro). I nomi delle inquisite riportati nel romanzo sono infatti tutti veri. A fare infine de «La maledizione di Toledo» un romanzo avvincente è la cifra stilistica dell'autore, uno stile elevato ma asciutto al tempo stesso, privo di orpelli linguistici e una tecnica narrativa avvincente che portano il lettore a non voler mai giungere all'ultima riga. Fiorella Mastria
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TRAPPOLE DI PINO DE LUCA
LUOGHI DEL SAPERE
UNA NUOVA AVVENTURA PER SANTINO
PINO DE LUCA Trappole Il Raggio Verde edizioni collana I Racconti del Terroir pp. 140 2018 ISBN 9788899679606 €12,00
Si intitola “Trappole” il secondo libro di Pino De Luca edito da Il Raggio Verde nella collana “I racconti del Terroir” che dopo il successo del primo volume, Le rape di Santino, consegna ai lettori una nuova e intrigante storia impreziosita dall’immagine in copertina firmata da Angelo Arcobelli, in arte WeA. E dalle rape alle pittule il passo è breve. Precisamente ventisei giorni. Si conclude a San Martino, infatti, il primo romanzo noir di Pino De Luca dove sullo sfondo di una immaginaria San Marcellino si consuma l’omicidio di Menella. Non una donna qualsiasi ma il primo amore del professore di latino e greco che ha scelto di vivere da solo nella sua Villa in campagna. Tra gli amati libri e la sua “cucina” il baluardo che lega i sapori di tradizioni ancestrali al senso della convivialità e dell’amicizia più autentica. Soprattutto quella con Dario “Cipolla” che nel secondo libro della tetralogia, Trappole, ritroviamo in coppia con Santino alle prese con un nuovo caso che sposta la scena del crimine a Brindisi. La vigilia dell’Immacolata è alle porte. Victor detto lo zingaro, perché di origini bosniache, appena uscito dal carcere, viene freddato mentre è in compagnia di suo figlio Vladi che resta ferito. Chi lo ha ucciso e perché? Una nuova storia, un romanzo di formazione per alcuni personaggi chiave già nel primo romanzo di cui è possibile notare l’evoluzione, il taglio psicologico che si fa sempre più preciso e i temi sociali che lo scrittore Pino De Luca – è il caso di dire – sa “cucinare” e servire con sobrietà ma analisi chirurgica. A differenza del primo, occupano la scena anche le donne: Betty, Matilde, Daniela… ma lasciamo al lettore il gusto di scoprire connessioni e intrecci che portano alla risoluzione del caso arrivando a scandire un nuovo tempo… quello della magia della Notte di Natale. Pino De Luca, classe 1958, nato sotto il segno dei pesci ha una moglie e due figlie ed è docente di Informatica all’IIS “E. Fermi” di Lecce, dopo una vita trascorsa tra scienza e peccato, approda all’E(t)nogastronomia nella quale si cimenta con la medesima pignoleria con la quale ha affrontato cose molto più serie ma anche molto più tristi. Collabora con il Nuovo Quotidiano di Puglia per svariati anni, scrive per VinoWay di Birra e Distillati e annovera numerose pubblicazioni tra le quali Regole e Diritti per essere cittadini (Sapere 2000), un libello sulle storie di Baldasar Castiglione, una triade di testi elettronici di Informatica e Telecomunicazioni. Da quando la vita si è allargata ha collaborato alla trilogia di Pierpaolo Lala e ha pubblicato “Per Canti e Cantine” (Ed. Kurumuny), un racconto nel libro “Caro Ulivo ti scrivo” edito da il Raggio Verde e il primo di questa serie del Terroir: Le Rape di Santino, sempre per le edizioni de Il Raggio Verde.
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TRE COMMEDIE DI ENZO GALLO IL DIALETTO VA IN SCENA
ENZO GALLO Tre commedie Il Raggio Verde edizioni 2018 pp242 ISNBN 97888996795522 2018 15€
Si intitola "Tre commedie" il libro di Enzo Gallo che apre la collana “ Inediti Teatro" diretta dal giornalista e scrittore Raffaele Polo è stato presentato il 21 dicembre nel Teatro di Melendugno nell'ambito della manifestazione "Natale in festa", patrocinata dall'amministrazione comunale. "Il meglio di...." è il titolo della serata che vedrà in scena gli attori del Gruppo Teatrale "Modesto Cisternino" diretti dalla regista Anna Chiara Elia. Ingresso ore 20:30, sipario alle 21. Ingresso libero Una pubblicazione voluta dal Gruppo Teatrale “Modesto Cisternino” e che inaugura un filone letterario incentrato sul recupero e la valorizzazione dei testi teatrali in dialetto. Scrive Raffaele Polo, curatore del volume: “Enzo Gallo, melendugnese d.o.c., rappresenta, con le sue commedie, un pezzetto di quelle 'cronachette', di sciasciana memoria, che finiscono per affascinare, più delle Cronache con la C maiuscola. Gallo interpreta, infatti, la realtà di un angolo di Salento che ha sempre dimostrato grande interesse per la cultura e per il Teatro in particolare. Non è un caso se, proprio a Melendugno, la tradizione si è mantenuta ad ottimi livelli con gli scritti di Rina Durante e la infaticabile opera del compianto Modesto Cisternino. Oggi, tocca alla verve di Gallo, riuscire ad interpretare l'humus di un popolo che è unico, particolare e ben definito, negli aspetti geografici, storici e culturali. C'è tutto Melendugno, nelle commedie di Enzo Gallo. E, in questa raccolta, emerge la schietta capacità di un commediografo-poeta a rappresentare la gente che lo circonda. Con pregi e difetti. Ma con un irrinunciabile senso di appartenenza.” “Oltre di commedie, egli è autore di divertenti bozzetti che affondano le loro trame in situazioni apparentemente paradossali ma che sfociano in relai e possibili accadimenti di vita quotidiana, familiare e sociale” sottolinea nella sua postfazione Ivan Potì presidente del Gruppo Teatrale “Modesto Cisternino”. Nato a Melendugno (Lecce) il 16 luglio del 1946, Enzo Gallo, ventenne, si arruola nell’Arma dei Carabinieri prestando servizio per oltre trent’anni ricoprendo cariche di responsabilità in reparti investigativi. Ha ottenuto vari riconoscimenti tra cui la decorazione al valor militare per le ferite riportate in seguito ad un conflitto a fuoco.È in quiescenza da qualche anno. Ritornato nel suo paese ha riabbracciato la passione per il teatro. Oltre le tre brillanti commedie contenute nel presente volume, fortemente voluto dal Gruppo Teatrale “Modesto Cisternino” di cui fa parte, l’autore, ha visto nel 2010 la pubblicazione di una sua divertente raccolta di rime in vernacolo dal titolo: A ttròa … rido e rifletto, per conto del Circolo Culturale Melendugnese.
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TRANQUILLA DI PAMELA SPINELLI UN VERO ROMANZO PIENO DI SFUMATURE
PAMELA SPINELLI Tranquilla Il Raggio Verde edizioni pp116 ISBN 9788899679620
Un romanzo, a nostro avviso, è un vero romanzo quando non interessa la fine della storia ma la storia in sé. Non conta la stazione di arrivo, ammesso che ve ne possa essere una, ma il viaggio, la narrazione, il vortice di atmosfere, di sfumature e di immagini sprigionato dalla penna. Oltre alla storia robusta, ai personaggi scolpiti, alla penna musicale e al ritmo avvolgente è necessario che le pagine creino quella magia rara che si chiama condivisione. Quando si compie questo miracolo il lettore entra nelle pagine, diventando protagonista di una vicenda umana che diventa la sua vicenda. Il romanzo è allora “un film”, da gustare con tutti i sensi, in un gioco di specchi, di immedesimazioni. Chi vive le parole siede a tavola con il protagonista, sente l’odore dei luoghi, assapora il rosato salentino che scivola in gola, arrossisce per uno sguardo, vibra delle emozioni che colpiscono i protagonisti. Il romanzo Traquilla! di Pamela Spinelli, giunta a una prova di grande maturità a coronamento di un percorso ricco e interessante, rispetta la legge hemingwayana dell’empatia tra autore e lettore, grazie a una scrittura vivida e fertile abbinata a una trama avvincente e perfettamente architettata. La trama è incalzante dalle prime righe: parla di un uomo e di una donna, di generazioni diverse, di colori antitetici, di mondi lontani che si avvicinano, della magia dell’amore, della voglia di condivisione, di barriere difficili da comprendere e da scalare. E’ l’uomo al centro dell’affresco, nella sua imperfezione angosciante e meravigliosa. Risultano allora adempiuti i due doveri dello scrittore che, come ricorda Calvino, sono il dovere di divertire il lettore e quello di essere onesto verso chi ha tra le mani il suo libro. Il secondo giorno è un romanzo che ci proietta in scenari seducenti e misteriosi nelle vene dei quali è iniettato sempre il sangue di un’indagine appassionata su quel grande mistero che è l’animo umano. Francesco Caringella
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PER POCO TEMPO, LA SILLOGE DI COSIMO RUSSO LA QUINTA STAGIONE DELLA POESIA
COSIMO RUSSO Per poco tempo 2017 Manni editori pp.91 ISBN:9788862668125
“Per poco tempo” di Cosimo Russo (Manni Editori) è il colletto da cui nasce l’asse principale di una radice. Le ramificazioni secondarie che portano alla formazione del tronco costituiscono, in questa silloge, le fronde de “l’albero di luce che simboleggia il fine ultimo della vita, la verità che mette in contatto la realtà con l’ignoto” (Elytis). I rami, poi, penetrano le nubi toccando la parte di cielo nascosta ai mortali dove Russo, il solitario pescatore di luce, inanella perle sottratte a nobili conchiglie per creare un monile con cui solcare “acque celesti e angeliche” (Stefano Verdino). Non è una poeta notturno e se, sparse tra i versi, possono essere scorte delle ombre, esse sono così lievi da rendersi impercettibili. In “La primavera mi appare”, infatti, l’autore scioglie definitivamente “l’inverno del risentimento”, bevendo “polline dai fiori e” ripopolando “di grano alto/i campi addormentati/e la rapsodica danza delle rondini”. Utilizza in questi passi dei cambi di ritmo che ricordano Vivaldi, creando straordinariamente una quinta stagione, quella della luce pura che si innalza sino a Dio. Luce che in “A Chiara” diviene abbagliante: “Avevo deciso per te/i sostantivi/Cielo Sole Mare(…) Invece dovrò chiamarti/Alba Stella Luna Primavera/e Creazione”. Russo si trasforma, con lo scorrere dei versi, anche nel cantore del “campo di grano con corvi”, dell’ “eucarestia dei giorni”, di “Via Isonzo”, delle “cicale spensierate”, dei “campi addormentati, delle “poesie mai scritte”, degli “stracci sporchi dissolti dalla luna”, dei “verdi canneti”, del “tempo che scorre circolare”, dei “mendicanti di parole”. Le immagini di grande potenza evocativa si estendono lente e il singolo verso, strappato dal suo componimento originale, non perde valore poetico in ogni parte come avviene nella “poesia prismatica”. Allora da pescatore di luce, Russo diventa tagliatore di pietre grezze sulle quali, con abilità e decisione, fa apparire tutte quelle piccole sfaccettature del diamante in grado di catturare la luce: “I balconi sono vasche di luce” in Estate; “Bevo luce” in “Fiori; Persino la luce può ferirti/con la sua colata d’oro” in “Il gufo; Cielo azzurro/luce ovunque” in “Veranda”. I suoi versi, che rivelano un chiaro debito surrealista, paradossalmente splendono di realtà. Sogno, inconscio e razionalità ripetono le parole senza corruzione e con nostalgia velata. Questo è particolarmente evidente in “Ingannevole il passato”, dove “la miseria di allora/la muti in bellezza/la trasfiguri in grazia” diventano il trittico di Ungaretti, Valery e Keats. È possibile, inoltre, riconoscere lunghe conversazioni con Cappello, Eluard, Breton, Neruda; e, ancora, scambi più profondi con Seferis, Elytis, Ritsos dove, in un’atmosfera chagaliana, Ionio ed Egeo dialogano di bagliore e concretezza, lì, in alto, oltre le nuvole. Lara Savoia
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A lato la Biblioteca Nazionale di Napoli, al centro uno scatto della mostra
OLTRE IL MANICOMIO. LA RICERCA DI SERGIO PIRO
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Una mostra documentaria a distanza dai quarant’anni della Legge 180 allestita fino al 31 gennaio 2019 nella Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele II di Napoli
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NAPOLI. Si è aperta lo scorso 11 dicembre e continua con successo alla Biblioteca Nazionale di Napoli la mostra fotografica e documentaria “Oltre il manicomio: la ricerca di Sergio Piro e le lotte anti-istituzionali in Campania” allestita per i quarant’anni della legge 180 di riforma psichiatrica. Curata da Antonia Cennamo, Luigi D’Amato e Lucia Marinelli, l’esposizione ricostruisce a partire dagli anni sessanta la storia e le origini della trasformazione culturale e sociale che portò all’abolizione dei manicomi ed ad un diverso approccio con la malattia psichiatrica, offrendo uno spaccato della realtà campana ed illustrando le denunce in campo psichiatrico di Sergio Piro e della “comunità terapeutica” da lui organizzata a Nocera Superiore (Salerno), la seconda in Italia dopo quella di Franco Basaglia a Gorizia. Largo spazio in esposizione
trova la produzione scientifica di Sergio Piro che è sicuramente, assieme a Basaglia, la figura di maggiore spessore culturale del movimento di protesta e critica psichiatrica in Italia. In mostra documenti di quegli anni ed una significativa rappresentazione del reportage fotografico fatto a Materdomini da Luciano D’Alessandro, durato tre anni, dal 1965 al 1968, e poi pubblicato nel volume Gli esclusi; foto che scossero l’opinione pubblica per la crudezza delle immagini. La mostra dedica particolare attenzione alla vigorosa campagna di stampa che Ciro Paglia, giornalista de Il Mattino, condusse, schierandosi al fianco Sergio Piro, nel denunciare le aberrazioni dei manicomi, sia nell’azione di sensibilizzazione affinché la Legge 180 venisse approvata, sia successivamente al 1978, nel denunciare le carenze e le difficoltà di applicazione della
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legge. Gli articoli di Paglia appaiono assolutamente innovativi in un Paese dove il sistema politico mantiene una centralità nel sistema editoriale e mostrano come il giornalismo possa svolgere un ruolo determinante al servizio della comunità . Purtroppo a quarant’anni di distanza la legge 180 non trova ancora piena applicazione in Italia e nemmeno in Campania, dove grazie al contributo fondamentale di Sergio Piro, la legge quadro di applicazione prevedeva una presenza capillare sul territorio di strutture finalizzate alla salute mentale (ossia alla prevenzione, al contenimento e cura della sofferenza mentale). Biblioteca Nazionale di Napoli Sala Esposizioni fino al 31 gennaio 2019 (feriali 9-18 sabato 9-13) ingresso gratuito
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VIAGGIATORI DEL MEDITERRANEO TRE TZIGANI DEI KËRKIM
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Elogio alla condivisione e all’ascolto nel nuovo singolo dei Kërkim che anticipa l’album in lavorazione
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reare ponti sonori per generare il dialogo e la ricerca di un linguaggio comune. Un nuovo singolo che anticipa un album, già in lavorazione e la cui uscita è prevista entro il 2019. Si intitola "Tre Tzigani" il brano dei I Kërkim il cui videoclip sarà disponibile su YouTube da martedì 15 gennaio alle h14:00 ed è stato realizzato presso il Centro studi musicali Bazù di Giuggianello (Le) con le riprese di Mattia Soranzo e Mattia Epifani e il montaggio di Gabriella Cosmo. Con "Tre tzigani" i Kërkim esaltano l'idea del cammino con l'intento di restituire dignità al termine "gitano" nella sua accezione originale e positiva. I "Tre tzigani" sono viaggiatori che si spostano di terra in terra sempre capaci di cantare l'amore e l'allegria, mai distratti da ciò che di negativo può accedere durante il viaggio e la vita, le sue storture e imperfezioni. La condivisione tra culture diverse, perché al termine di ogni giornata compare inevitabilmente la luna, serena, come ogni notte. In un periodo storico caratterizzato dalla divisione piuttosto che dall'inclusione, il desiderio dei Kërkim è un elogio all'apertura dei "porti" della mente, imparare il profondo significato delle parole "ascolto" e "condivisione".
Ma chi sono i Kërkim? La band nasce nel 2012 come progetto di ricerca musicale con l'obiettivo di creare ponti con le terre del bacino del Mediterraneo attraverso lo studio delle sonorità e delle melodie tipiche di questi Paesi, per poi tornare nello Stivale portando nelle composizioni frequenze, ritmi e colori riletti e riarrangiati. Nel primo album omonimo la band concentra la propria attenzione sulle musiche e tradizioni dell'Albania, terra che gli dà il nome nel suo significato di ricerca e osservazione, ma anche della Turchia e Grecia, in un movimento continuo e in un appassionato studio reso possibile dal dialogo, essenza della worldmusic. Nel nuovo album in lavorazione, che conterrà tante novità dal punto di vista artistico e stilistico, la band si spinge verso nuove Terre muovendosi sulle sponde del Mediterraneo per raggiungere il Maghreb, la Medio Oriente e la Romania. Proprio da questo Paese viene il brano "Tre tzigani", una ballata cantata e interpretata da Morris Pellizzari nell'originale riarrangiamento realizzato in pieno stile Kërkim da Vincenzo Grasso e Bruno Galeone sul groove realizzato dalle percussioni di Manuela Salinaro e dal contrabbasso di Antonio Alemanno.
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La band intreccia le esperienze e le provenienze musicali di ogni singolo componente, tracciando una strada comune nel viaggio che dalle coste salentine attraversa le terre del Mediterraneo e non solo, rendendo invisibile ogni confine. Kërkim è lo sguardo che si rivolge a queste Terre a noi molto vicine, band composto da 4 musicisti ognuno con un ruolo determinante: Morris Pellizzari (voce e chitarra), Vincenzo Grasso (penna e clarinetto), Manuela Salinaro (percussioni), Bruno Galeone (fisarmonica). Dopo i 50 concerti realizzati negli ultimi 2 anni, il viaggio dei Kërkim continua. Sta per riprendere una tournée che li ha visti esibirsi in importanti festival e rassegne (Pisa Folk Festival, Festival Fare Mediterraneo a S.M. di Leuca, Festival Experimenta a Polignano a Mare, La Notte dei Ricercatori a Cosenza, ecc) in lungo e in largo tra le Regioni dello Stivale, e tra le capitali europee facendo tappa in Francia, Germania, Bulgaria, Uk, Repubblica Ceca. https://youtu.be/OA50XeS_Cys
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Padova, Prato della Valle, foto di Sara Foti Sciavaliere
PRATO DELLA VALLE UNO DEI SIMBOLI DI PADOVA Sara Foti Sciavaliere
“ Storie l’uomo e il territorio
Tutto il fascino e la storia di una delle più grandi piazze d’Europa
PADOVA. È una delle più grandi d’Europa, seconda solo alla Piazza Rossa di Mosca. Fin dall’antichità questo spazio ebbe funzioni economiche e ricreative. In epoca romanda fu sede di un vasto teatro, lo Zairo, dove si svolgevano il circo e le corse dei cavalli. Nel Medioevo fu invece luogo di fiere, giostre e feste pubbliche; la Domenica delle Palme qui si radunavano in grande assemblee “tutti gli uomini liberi del Padovano” e già nel 1077 era sede del mercato, che due volte al mese diventava mercato degli animali. Anche le affollate prediche di Sant’Anto-
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nio venivano tenute a Prato della Valle (il cui Santuario dista da qui un paio di centinaia di metri). Inoltre, a ottobre e a novembre si tenevano le due grandi fiere in onore dei Santi Patroni Giustina e Prosdocino. E a proposito sul lato sud-orientale della piazza non si non può non notare la maestosa mola della Basilica di Santa Giustina, dove in origine doveva esserci una frequentata area di sepoltura, testimoniata oggi dalla presenza di un sepolcreto a rito misto pagano e paleocristiano del I secolo d.C. Sono stati trovati qui Corpi San-
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Padova, Prato della Valle, foto di Sara Foti Sciavaliere
Storie l’uomo e il territorio
ti ed è plausibile pertanto pensare che devoti pellegrini vi giungessero per pregare sulle tombe. Il cimitero era diventato così nel Medioevo la meta privilegiata di pellegrinaggi e funzioni religiose; la chiesa, il monastero e la foresteria consentirono la nascita di vere e proprie cittadelle cristiane. Lo spazio continuò tuttavia a mantenere per lungo tempo il suo aspetto paludoso e malsano, a causa della conformazione del terreno che tendeva a creare una depressione in cui l’acqua ristagnava, tanto da somigliare a una piccola valle. E a lungo non si poté intervenire con opere di bonifica, in quanto il terreno era di proprietà dell’abbazia di San Giustina e i monaci non avevano le risorse economiche per curarlo. Questo insieme di fattori, insieme alla funzione cimiteriale di una parte della
spazio, impedirono qualunque cambiamento, almeno fino al 1767, quando il Senato Veneto dichiarò il Prato della Valle proprietà pubblica. Fu così che nel 1775 il Procuratore di Padova, il veneziano illuminista Andrea Memmo, con la collaborazione dell’abate Domenico Cerato, professore di architettura a Vicenza, realizzò una radicale bonifica dell’area, valorizzandola con la nuova sistemazione artistica che ha generato l’attuale spazio monumentale, una grandissima e originale piazza, unica al mondo per la sua forma e il suo allestimento. Prato della Valle è un’isola verde, chiamata Isola Memmia, proprio in committente dell’opera, circondata da un canale circolare ornato da un parapetto lapideo a quattro piccoli ponti e un doppio basamento di statue di celebri personaggi del
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Storie l’uomo e il territorio
Padova, Prato della Valle, foto di Sara Foti Sciavaliere
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passato. Secondo il progetto originario le statue, scolpite in pietra di Costozza tra il 1775 dovevano essere 88, tuttavia oggi ne possiamo vedere solo 78 statue (38 lungo l'anello interno all'Isola Mummia e 40 lungo quello esterno) con otto piedistalli sormontati da obelischi e due vacanti. Esse rappresentano i più illustri figli della città, padovani di nascita o d'adozione, e ricordano professori e studenti che onorarono la città e lo Studio padovano; solo gli spazi dell'ingresso ai quattro ponti furono riservati a personaggi politici, a Dogi e Papi. L’allestimento trova ispirazione dalla tradizione veneta del giardino patrizio, sottraendolo qui dalla sua dimensione privato e proposto, secondo i canoni neoclassici, come soluzione urbanistica. Le cronache raccontano che per la realizzazione dell’isola Memmia, dei ponti e del canale furono sufficienti quarantaquattro giorni di lavori e senza aggravio per l’erario poiché lo stesso Andrea Memmo contribuì con il suo denaro. La statua numero 44 rappresenta Andrea Memmo e fu innalzata due anni dopo la sua morte, nel 1794, ad opera del padovano Felice Chiereghin. E di importante valore artistico ha la numero 52 del giro interno, opera giovanile del celebre scultore Antonio Canova (di cui l’originale è oggi ai Musei Civici), che rap-
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Padova, Prato della Valle, foto di Sara Foti Sciavaliere
presenta Giovanni Poleni, il matematico e fisico veneziano che a soli 25 anni fu insegnante di astronomia e fisica presso l’Università di Padova. Così d'Annunzio la cantò nella su “Città del silenzio”: “… prato molle, ombrato d’olmi e di marmi, che cinge la riviera e le rondini rigano di strida, tutti i pensieri miei furono colmi d’amore e i sensi miei di primavera come in un lembo del giardin d’Armida”
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“LUCE 19”. EMOZIONE CROMATICA SECONDO FRANCESCO ZAVATTARI
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Dopo Congetture Isomorfe si rinnova il sodalizio tra l’artista toscano e Cromology Italia. Il 19 gennaio approderà in Olanda ospite del COI di Utrecht
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Un anno di bellezza, ambizione, energia e speranza: questo augurano uno dei più noti artisti italiani della nostra contemporaneità insieme a una delle principali multinazionali produttrice di vernici. Dopo il grande successo di pubblico e critica dell'esposizione Congetture Isomorfe, prosegue così il sodalizio artistico e professionale tra Francesco Zavattari e Cromology Italia Spa. Se nel 2017 l'esordio della mostra presso il Museo degli Strumenti per il Calcolo dell'Università di Pisa aveva celebrato e ufficializzato l'uso da parte dell'artista lucchese di prodotti vernicianti realizzati dalla major, questa nuova occasione di collaborazione vede la sua firma su quella che l'azienda propone come Emozione cromatica dell'anno 2019. Luce-19: ecco il titolo di questa nuova tinta sintetizzata da Zavattari, in collaborazione con il Centro di Eccellenza del Colore di
Cromology, per dar lustro e valore a quell'intreccio fra ricerca tecnica e passione fondamentale nel lavoro di entrambi e che ha, fin dall'inizio della collaborazione, caratterizzato la principale comunione di intenti. Un intenso e specifico punto di giallo ocra che trova il proprio compimento nell'interior design. Nasce per illuminare, appunto, tanto abitazioni quanto spazi pubblici e privati mediante pareti dedicate, elementi architettonici o dettagli che possano fare la differenza nella percezione di bellezza relativa a un ambiente interno. A questo è finalizzato il connubio fra la ricerca concettuale dell'artista e lo sviluppo tecnico dell'azienda: creare bellezza, piacere e benessere in tutti i luoghi in cui Luce-19 sarà portato. Un colore quindi concepito per entrare nella vita quotidiana delle persone secondo una logica ben pre-
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Francesco Zavattari, Una storia cromatica di istinto e passione" / "Una storia cromatica di tecnica e ricerca" -Fotografie ufficiali realizzate da: Aurora Giampaoli - Assistente: Siro Tolomei
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Francesco Zavattari, Una continua e crescente sensazione di elevazione
cisa teorizzata da Zavattari e trasformata in materia da Cromology. Espressione prettamente artistica di questo progetto è la serie omonima Luce-19, composta da undici opere pittoriche appositamente realizzate da Zavattari per l'occasione, in cui la cromia prescelta diviene assoluta protagonista. Tele minimali ed estremamente concettuali rappresentano così grandi appunti di studio, in cui la macchia di colore convive con suggestioni alfanumeriche a richiamare codici RGB, CMYK, HEX e altri riferiti alla ricerca tecnica dell'artista in questo ambito. Curata nell'allestimento da Siro Tolomei e nella redazione del testo critico da Cláudia Almeida, questa decima suite è attualmente esposta in modo inedito presso il rinomato Borgo La Torre a Montecarlo di Lucca per poi proseguire verso altre tappe tanto in contesti museali quanto aziendali. Lo studio in ambito cromatico rappresenta da sempre la cifra del poliedrico artista, che da anni ha iniziato a diffondere la propria ricerca in varie realtà italiane ed estere mediante Colour State of Mind, da lui stesso ideato. Il 2019 (19 gennaio) si apre proprio con una nuova versione del format educativo in Olanda, paese che già conosce l'attività di Zavattari: ospite del COI, Comunità Italiana di Utrecht, Francesco ha concepito una masterclass appositamente rivolta ai membri del prestigioso gruppo Italian Professionals Netherlands. Colour State of Mind - Discorso in sei toni parlerà ovviamente ancora del colore e di come esso influenzi tanto la vita privata quanto la professionalità di ogni essere umano: sei
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Francesco Zavattari, Fiat Lux-19
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ROSA LUXEMBURG IL CENTENARIO DELLA MORTE
Nel nome di Eva
Ada Donno
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Il 15 gennaio 2019 ricorre il primo centenario del barbaro assassinio di Rosa Luxemburg, donna rivoluzionaria, economista, teorica del socialismo e figura di primo piano del comunismo europeo e mondiale
Rosa Luxemburg, nata a Zamosc (Polonia) il 5 marzo 1870, da giovanissima diviene attivista del movimento di sinistra "Proletariat". A causa della dura repressione che questo movimento subisce, è costretta nel 1895 ad abbandonare la Polonia e ad emigrare, prima in Svizzera e poi in Germania. Quando si trasferisce in Germania, nel 1898, è già un’affermata pensatrice marxista. Tra il 1907 e il 1914 insegna Economia politica, ma ben presto abbandona la carriera di insegnante ed inizia quella di attivista politica nel partito socialdemocratico tedesco. Nel 1914 si schiera contro l’adesione del partito alla guerra, partecipa alle manifestazioni pacifiste e viene arrestata dalla polizia del kaiser Guglielmo II. Abbandona quindi il partito e nel 1916 fonda, con Karl Liebknecht, la "Lega di Spartaco" e poi, nel dicembre 1918, il Partito Comunista di Germania. È alla testa della "insurrezione di gennaio" del 1919, che viene soffocata con inaudita durezza dall'esercito del governo socialdemocratico di Ebert. Il 15 gennaio, insieme con Karl Liebknecht, viene sequestrata e poi brutalmente assassinata dai cosiddetti Freikorps, i gruppi paramilitari agli ordini del ministro della Difesa, Noske. Il suo corpo viene ritrovato il
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31 maggio di quell’anno in un canale di Berlino e sepolto nel cimitero centrale di Friedrichsfelde (ma nel 1935 il cimitero sarà distrutto dai nazisti, e i resti dei sepolti andranno dispersi). Unanimemente considerata “una delle menti più brillanti dell’ideologia marxista” e teorica autorevole del socialismo, Rosa Luxemburg scrisse, fra le altre opere, “L'accumulazione del capitale” (1913), incentrata sull'analisi dell’evoluzione del capitalismo nel ventesimo secolo, caratterizzato dall'imperialismo più sfrenato, dalla concorrenza feroce degli Stati capitalistici per la conquista di colonie e di sfere d'influenza economica, dal sistema dei prestiti internazionali, dal protezionismo economico, dal prevalere del capitale finanziario e dei grandi monopoli industriali nella politica internazionale. L'ultimo capitolo de “L'accumulazione del capitale” è dedicato, significativamente, al fenomeno del militarismo che, secondo Rosa Luxemburg, nel capitalismo non ha solo una rilevanza politica ma anche economica ben determinata, in quanto costituisce "un mezzo primario per la realizzazione del plusvalore". Militarismo e guerra sono esiti inevitabili del capitalismo nella fase dell’imperialismo. Da qui, il socialismo come una necessità storica e, secondo un’espressione cara alla Luxemburg, il configurarsi sempre più netto dell’alternativa “socialismo o barbarie” per il futuro dell’umanità.
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SEMPRE CORAGGIO LA RESILIENZA DI FRANCESCO BABBO Claudia Forcignanò
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Dal ritrovamento di un’agenza Carolina Babbo ricostruisce un pezzo di storia della sua vita di suo padre imprenditore e costruttore di rapporti umani
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emotiva, ricostruisce anche se stessa, in una sorta di dialogo interiore con una figura di riferimento. Dalle pagine di un’agenda trovata in un cassetto, parte una narrazione che valica i confini delle mura domestiche e attraversa i mari a fianco di un giovane imprenditore coriaceo come le montagne d’Abruzzo e sognante come il cielo del Salento.
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Nel nome di Eva
Carolina Babbo mette a nudo un mondo dimenticato, fatto di piccole gioie quotidiane, giorni scanditi dalla routine degli anni felici, fatti di giochi tra fratelli, monellerie innocenti, sogni e speranze coltivati all’ombra rassicurante di un genitore grande, potente, amatissimo e rispettato. Più che un romanzo, “Sempre coraggio” è il racconto di un rapporto tra una figlia e un padre scoperto solo in età adulta, in quell’età in cui si vorrebbe disperatamente tornare ad essere figli pur con la saggezza degli anni, quell’età in cui i rimorsi rincorrono i rimpianti e i contorni dei giorni diventano più netti. Si scopre così la figura di Francesco Babbo, imprenditore, viaggiatore, costruttore, ma soprattutto uomo e sognatore, che la vita portò lontano, fino in Africa, terra che lo accolse e respinse allo stesso tempo. Francesco Babbo costruì strade e ponti, ma fece qualcosa di infinitamente più grande e importante: costruì rapporti umani, amò la sua famiglia e utilizzò tutto il tempo che una vita troppo breve gli aveva concesso per dare ai figli un insegnamento di umiltà e solidarietà. La figura di Francesco Babbo emerge limpida e cristallina dalle parole di Carolina Babbo, figlia innamorata, che memore dell’insegnamento paterno non nasconde emozioni contrastanti e attraverso una precisa analisi
Un momento della presentazione con Elena Anticoli de Curtis e l’attore Enzo De Caro
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IL PRINCIPE POETA IN UN LIBRO IL “TOTÒ PENSIERO”
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Versi e canzoni in un volume curato dalla nipote Elena Anticoli de Curtis e Virginia Falconetti
Antonio de Curtis - Il Principe poeta, prezioso volume che raccoglie, per la prima volta, tutti i testi delle canzoni scritte dal grande Totò e tutte le sue poesie, inclusi 5 inediti assoluti. L’intera produzione letteraria del Principe, la sua anima più intima e segreta viene raccontata dai suoi stessi versi espressione del Totò pensiero universale e sempre attuale. Raccolte e curate dalla nipote di Totò, Elena Anticoli de Curtis, e da Virginia Falconetti, le poesie del principe de Curtis sono presentate e organizzate in macroaree tematiche, da "Napoli" a "Le donne", passando per "L'Amore", "Gli animali", "Uomini e caporali". Le canzoni sono arricchite da materiale iconografico d'epoca e da una selezione di spartiti originali. Il viaggio di questo originalissimo volume è iniziato lo scorso 12 novembre. Erano presenti le due curatrici del volume, la giovane editrice Francesca Mazzei (Colonnese and Friends), il popolarissimo attore Enzo Decaro, il dirigente-RAI Antonio Parlati (Presidente della Sezione Editoria Cultura e Spettacolo - Unione Industriali di Napoli), il professor Lucio d'Alessandro (Rettore dell'Università degli Studi 'Suor Orsola
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Benincasa' - Napoli), Nino Daniele (Assessore alla cultura e al turismo del Comune di Napoli). L'incontro è stato moderato dal giornalista Michelangelo Iossa e ha visto la partecipazione del Marco Francini Duo (Marco Francini ed Edo Puccini), che ha eseguito dal vivo alcune canzoni del grande Totò. Il volume è impreziosito da immagini a corredo, da illustrazioni, foto d'epoca e dalla prefazione del giornalista-RAI Vincenzo Mollica che scrive: "Questo volume meritoriamente raccoglie tutte le parole che Antonio de Curtis ha scritto in forma di poesia e in forma di canzone, a cui ha affidato la parte più sentita e sincera della sua vita". "Il Principe Poeta" è anche un libro multimediale: consente, mentre si scorrono le pagine, di ascoltare la voce di Totò o di altri artisti per i titoli che presentano l'immagine del QR code. Uno scrigno di file e, soprattutto, uno scrigno di poesie di Totò lette da lui stesso e 'catturate' con il suo registratore a bobine 'Geloso'! La piattaforma multimediale curata per questo volume è stata realizzata dalla ACTIVART: un lavoro prezioso e unico nel suo genere, che rende il volume ancor più interessante per gli appassionati (e non solo) di Totò!
VOLI SUL NILO LE TELE DI ANNA FRAPPAMPINA Francesco Pasca
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Si è conclusa alla Fondazione Capece di Maglie (Lecce) la personale dell’artista leccese
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nna Frappampina continua la ricerca in una nuova unità di misura iconografica e, con i suoi dipinti, vuole condurci, farci volare con consapevole disincanto sui misteri delle civiltà dalla geometria complessa e non solo; parafrasando scritture cromatiche ed immagini, ricrea, per l’occasione, l’immaginario collettivo con innumerevoli texture, caleidoscopici intrecci costruiti in vicende associate ai sostantivi dei suoi segni, dei suoni e combinazioni in immagini, tante. L’Artista vuole traslitterare secondo il sistema di evocazione pittorica dovuto alle celebrazioni dei nuovi Misteri, siano essi dettati dalla storia o da immaginari svelati dai miti. Dalla narrazione della grotta dei cervi in Badisco (Lecce) ne attinge gli archetipi per farne nuove visioni. Frappampina è visibilmente proiettata e ben corrisponde al delicato mondo femminile sia egizio che surreale cosmologico,
così si è espressa, sin dal suo primo esordio in dipinti e oggetti d’arredo con la prima personale del 1990, quando lavorava nella città natale, a Taranto. Alternativamente ed inestricabilmente è attualmente ben collegata e significata alle e dalle figure di divinità sino al culto cosmogonico e funerario. Da eccellente evocatrice monoconsonantica, com’è la scrittura geroglifica, dà le similitudini in rappresentazioni simboliche, frutto di lavoro incessante sul campo dovuto per i suoi sogni figurati. Da affascinata studiosa ed esperta in segni di allusioni fantastiche, occasioni oniriche, rende magistralmente l’essenza del sogno e dà prova di sé con l’inseguire i suoi stessi voli. Nelle sue personali i fruitori sono accompagnati dal suo fare e ne avvertono lo spessore dell’emozione viaggiando in silenziosi luoghi ormai inaccessibili o irrimediabilmente perduti. Per lei
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l’intento è far percepire il fondo oro di un’allusione nonché tradurre e traslitterare la cultura disegnata nelle sue infinite trasposizioni e letture/scritture. In sequenze misurate dai colori e per tecniche miste l’Artista induce all’equivalente di un’idea generale, fa andare al significato da lei voluto in ogni suo segno, in un prezioso avvertire la textura del suono cromatico dell’immagine descritta. Tra raffigurazione e traslitterazione la natura al femminile volteggia in cromatica sequenza simbolica fra Alberi e Vasi, fra Trasparenze e Metamorfosi floreali. Del segno, ch’è e si è detto essere simbolo, ne fa “onda”, di Caterina d’Alessandria ne ricrea la matrice complessa con il fiore di loto, la “mandorla” fra sacro e profano e la ruota diventa o il Fiore della Vita o il Martirio, dei “Voli sul Nilo” ne assume i mille volti di “paesaggi” antropomorfi, zoomorfi e floreali. Chi si imbatte e vola con l’Arte di Frappampina riceve, dalle raffigurazioni, evocazioni in emozione, sensibilità nelle trasparenze delle “consonanti”, l’infinita somma delle sue rappresentazioni in “E(NN)E”.
IN ARRIVO “ADRIAN”
Si intitola “Adrian” il nuovo album di Adriano Celentano, in uscita il 25 gennaio 2019. Un doppio disco che sarà disponibile in più formati, (cd e versione vinile) oltre che acquistabile solo in formato digitale su etichetta Clan (creata e sempre gestita dallo stesso Adriano Celentano) / Universal Music. Un album che celebrerà i più grandi successi della carriera del “molleggiato”, alternati alle musiche dello show televisivo “Adrian”. Musiche, queste ultime, che sono state scritte dallo stesso Celentano insieme al compositore Nicola Piovani. L’album arriva a sette anni di distanza da “Facciamo finta che sia vero”, l’ultimo lavoro di Celentano come artista solista, e a tre da “Le migliori”, il disco che l’aveva visto duettare con Mina. Per il momento, Celentano non ha previsto appuntamenti dal vivo durante i quali eseguire i brani di questo suo nuovo lavoro disponibile anche come cofanetto, contenente in aggiunta alcune immagini della serie animata “Adrian”. Un progetto che ha coinvolto personaggi di assoluto livello come il disegnatore Milo Manara, il premio Oscar Nicola Piovani o lo scrittore Alessandro Baricco.Adrian, la serie evento ideata da Adriano Celentano, andrà in onda con le prime due puntate trasmesse su Canale 5 in prima serata il 21 e il 22 gennaio 2019.
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Foto di Mario Cazzato
LECCE SVELATA OLTRE LE MURA URBICHE Mario Cazzato
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Svelate le mura urbiche itinerario di bellezza nel cuore di Lecce
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Salento Segreto
a cura di Mario Cazzato
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ltre alle "mura urbiche" è stato restituito alla città il grande giardino del cosiddetto Palazzo Giaconia e siccome sui giornali sono state scritte non poche inesattezze, chiariamo sinteticamente la faccenda. Compiute le mura, si resero disponibili all' edificazione ampie zone vuote. Parliamo di un periodo compreso tra prima e seconda metà del Cinquecento. In corrispondenza di quella che sarà chiamata piazzetta dei Peruzzi e le nuove mura, il vescovo di Castro, Angelo Giaconia, iniziò il 1546 a costruire un palazzo che lasciò incompiuto alla sua morte avvenu-
ta il 1564. Lo completò invece e vi realizzò un vero e proprio museo all'aperto con statue e marmi antichi, un colto umanista, Vittorio Priolo, sindaco nel 1593. Il suo nome e il suo stemma appaiono graffiti chiaramente sulle pareti delle carceri del castello di Lecce ma non sappiamo quando e perché finì nelle patrie galere. La bellezza di questo giardino e delle sue collezioni si può ancora leggere dalle pagine ammirate dell'Infantino. Quindi questa in breve la storia del giardino cinquecentesco di Palazzo Prioli.
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Salento Segreto a cura di Mario Cazzato
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Salento Segreto a cura di Mario Cazzato
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