saLvatore fergoLa
amatrice
Alle gallerie d’Italia la mostra dedicata all’ultimo pittore di corte dei Borbone
A sette mesi dal terremoto il reportage di Ines Facchin e Roberto Nardi
anno 123 numero 3 marzo 201 7
Anno XII - n 3 marzo 2017 -
renato centonze
Le iLLustrazioni di monteLLi
festivaL deL cinema europeo
Intervista al maestro Giancarlo Montelli disegnatore del Barone di Munchhaüsen, libro edito da Odradek, e delle illustrazioni del libro Totò. Tocchi e ritocchi
Conto alla rovescia per la XVIII edizione del Festival che si apre a Lecce il 3 aprile con un omaggio a Totò. In arrivo grandi star del cinema
primo piano
le novitĂ della casa
IL RAGGIO VERDE EDIZIONI
ilraggioverdesrl.it
EDITORIALE
In copertina e sopra: Renato Centonze, Il...tras...correre del giallo, 2006-2008, Auto-geo-grafie 2 movimento, pitto-scultura-sonora © Archivio Centonze
Proprietà editoriale Il Raggio Verde S.r.l. Direttore responsabile Antonietta Fulvio progetto grafico Pierpaolo Gaballo impaginazione effegraphic
Redazione Antonietta Fulvio, Sara Di Caprio, Mario Cazzato, Nico Maggi, Giusy Petracca, Michele Bombacigno
Hanno collaborato a questo numero: Maurizio Antonazzo, Maria Neve Arcuti, Michele Bombacigno, Giovanni Bruno, Stefano Cambò, Mario Cazzato, Sara Di Caprio, Sara Foti Sciavaliere, Ines Facchin, Giusy Gatti Perlangeli, Serena Gatto, Roberto Nardi Redazione: via del Luppolo,6 - 73100 Lecce e-mail: info@arteeluoghi.it www.arteeluoghi.it
Iscritto al n 905 del Registro della Stampa del Tribunale di Lecce il 29-09-2005. La redazione non risponde del contenuto degli articoli e delle inserzioni e declina ogni responsabilità per le opinioni dei singoli articolisti e per le inserzioni trasmesse da terzi, essendo responsabili essi stessi del contenuto dei propri articoli e inserzioni. Si riserva inoltre di rifiutare insindacabilmente qualsiasi testo, qualsiasi foto e qualsiasi inserzioni. L’invio di qualsiasi tipo di materiale ne implica l’autorizzazione alla pubblicazione. Foto e scritti anche se pubblicati non si restituiscono. La collaborazione sotto qualsiasi forma è gratuita. I dati personali inviateci saranno utilizzati per esclusivo uso archivio e resteranno riservati come previsto dalla Legge 675/96. I diritti di proprietà artistica e letteraria sono riservati. Non è consentita la riproduzione, anche se parziale, di testi, documenti e fotografie senza autorizzazione.
Con l’arrivo Primavera, scandita anche dalle Giornate del Fai che quest’anno tagliano il traguardo delle 25 edizioni, cresce la voglia di uscire visitare luoghi e per chi ama andar per mostre in questo numero troverà tantissimi approfondimenti. Dalla interessante mostra dell’artista emiliana Chiara Lecce a Bologna, alla mostra dell’ultimo pittore di corte dei Borbone, Salvatore Fergola, in corso alle Gallerie d’Italia a Napoli; dall’apertura dello spazio espositivo Germinazioni IV voluto dall’artista salentino Ercole Pignatelli alla personale dell’illustratore Giancarlo Montelli (a Lecce e Cavallino) alla mostra laboratorio, L’orto del ricordo, organizzata dall’associazione Le ali di Pandora per il cartellone comunale Itinerario rosa. E tanti altri ancora per non parlare dei luoghi, tra i quali il palazzo dell’Archiginnasio di Bologna raccontato da Sara Foti Sciavaliere, il parco letterario di Montale e le Cinque terre e la Torino mistica delle pellicole di Dario Argento narrata nella rubrica i Luoghi del cinema da Stefano Cambò. Sul filo della memoria anche il Festival del Cinema Europeo di Lecce che si aprirà il prossimo 3 aprile con un omaggio a Totò e che vedrà tra gli ospiti l’attore Carlo Croccolo che riceverà alla vigilia dei suoi 90 anni l’Ulivo d’oro alla carriera. E a proposito di memoria, la copertina di questo mese è dedicata all’artista Renato Centonze di cui invitiamo a visitare il sito che sarà on line dal prossimo 8 aprile, una finestra virtuale sulla sua arte che amava definire “il fluire della vita”. Infine, tenere viva la memoria attraverso l’arte è il fulcro del progetto “Francesco disegna Luciano” il live painting di Zavattari segna l’inizio delle celebrazioni nel Museo Pavarotti a dieci anni dalla scomparsa dell’indimenticabile tenore. E come promesso, continuiamo a tenere desta l’attenzione su Amatrice, grazie al reportage di Ines Facchin e Roberto Nardi, un paese distrutto ma che noi tutti ci auguriamo possa rinascere.
SOMMARIO Luoghi|eventi| itinerari: salento in love 21| 25 primavere per le giornate del fai 53 | i fisculari salentini 54 |itinerarte 61 |parco Letterario montale 71 il palazzo dell’archiginnasio di Bologna 76 La robotica in mostra 60 | francesco disegna Luciano 90 arte: renato centonze 4|salvatore fergola 14| Back oltrela fotografia 18|arte come messaggio 21 | La giornata del paesaggio 25 i fiori del male 30 chiara Lecca 34 dario ferreri 37 La pittura in fotogrammi 59 | il nostro mediterraneo 73 ercole pignatelli 75 teresa margolles a vorno 92 musica: rudiae Blues festival 84| salentarte 94 cinema: festival del cinema europeo 85| Quando il cinema diventa ufficio 89 | i luoghi del cinema: Lezioni di cioccolato 84 i luoghi della parola: giornata mondiale della poesia 43| amatrice. per non dimenticare 42 |ricominciamento 52 | amori letterari: mia cara irma 66 teatro|danza| il casellante di camilleri a teatro sistina il 23 maggio 41 Libri|Luoghi del sapere 62-65 | francesco mercurio alla Biblioteca nazionale di napoli 94 i luoghi nella rete|interviste|gusto: auto-geo-grafia di un artista intervista a floris Quarta10 un barone in punta di china. intervista a giancarlo montelli 26 Numero 3- anno XII - marzo 2017
renato centonze. “L’arte è iL fLuire deLLa vita” Antonietta Fulvio
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Dall’8 aprile on line il sito ufficiale per ricordare l’artista e continuare a divulgare le sue opere «
L
’arte per me è il fluire della vita…è un mondo interno <-> esterno, che passa attraverso il pensiero, le mani, il suono, il segno, la forma, il colore. In questa frase è racchiusa la poetica e il credo artistico di Renato Centonze (19472010). Una sintesi perfetta del fulcro intorno cui ha fatto ruotare la sua esistenza di uomo e di artista.» Ci sono persone che si ha la fortuna di incontrare e con le quali si riesce a percorrere un tratto di questa strada che è la vita. E l’arte, più che mai, diventa tramite, occasione, spesso, irripetibile come è accaduto con Renato e una sua mostra, organizzata nell’associazione che avevo contribuito a fondare con Giusy Petracca e Ambra Biscuso, uno spazio di aggregazione e di dialogo quando ancora non c’era facebook e le piazze non erano virtuali. Pensando a Renato Centonze mi viene in mente una scena, durante l’allesti-
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mento di quella sua mostra sul finire del 1998 quando invitava a toccare le sue opere, le pittosculture, scrigni di pensieri divenuti segno, colore materico, che al tatto restituivano suoni, le onde visive e sonore insieme attraversavano occhi e orecchi innescando una fruizione totale e ancora oggi, riguardandole, sembra quasi di risentire la sua voce e il suo invito a dialogare con esse. D’altronde non è forse anche questo il significato di quella sua frase affidata anni addietro al web? Era lì, nella home page del suo sito che aveva voluto realizzare nel 2005 intuendo l’importanza di inserirsi nella grande rete e avere uno spazio artistico virtuale. Ne aveva seguito la costruzione, con la meticolosità con la quale archiviava ogni singolo evento espositivo di una carriera ultratrentennale vissuta nell’arte e per l’arte come testimoniamo i grandi libroni conservati nel suo archivio.
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Renato Centonze, Movimenti della notte...il cielo...le nuvole...pittoscultura sonora, 1999 olio e acrilico su tela e legno, sagome di legno, carta cinese e rullantino, cm 34x6x34 (chiuso); © Archivio Centonze
Renato Centonze, la valigia dei suoni verticali, la forma del suono, valigia dei suoni verticali 2001, olio e acrilico su legno, forme di legno, carta cinese, occhielli, filo di nylon, aste di ferro, campanellini cm 70x39,5x 12,5 foto A. Albergo, © Archivio Centonze
E da lì abbiamo voluto ripartire quando con la moglie Floris Quarta abbiamo deciso di inserire nuovamente in rete Renato, la sua arte, il suo pensiero. L’intento - spiega la stessa Floris è “continuare a divulgare ulteriormente l’opera di Renato Centonze perché ne resti viva la memoria e possa continuare ad offrire opportunità di studio e di
ricerca a coloro che ne avvertissero l’interesse”. Non è stato facile ordinare i materiali, ma sulla falsariga delle sue stesse suddivisioni e raggruppando per temi i cicli pittorici, ai quali lui stesso aveva dato un nome, abbiamo visto nascere le sezioni. E la scelta è stata, in un certo senso, farci guidare da lui. Per Renato il titolo era parte integrante dell’opera, spesso una vera e propria chiave di lettura. Ed ecco allora che rispettando il più possibile la cronologia - anche se si sa gli artisti lavorano su più fronti contemporaneamente e per lungo tempo- abbiamo raggruppato in gallerie una selezione significativa, ma non esaustiva, della grande produzione artistica di Renato che solo il tempo e la catalogazione in atto potrà rendere il più definitiva possibile. Perché all’elencazione delle opere del vasto Archivio Centonze si dovranno aggiungere quelle di proprietà dei tantissimi collezionisti italiani e stranieri. Ci è sembrato doveroso rintracciare il percorso espositivo, citando le tappe più significative, dalla prima personale tenuta a Fasano nel 1972 passando per Bruxelles, Barcellona, Parigi, New York, Nizza oltre alle principali città italiane
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Renato Centonze, Movimenti della notte...il cielo...le nuvole...pittoscultura sonora, 1999 olio e acrilico su tela e legno, sagome di legno, carta cinese e rullantino, cm 34x68 (aperta); © Archivio Centonze
fino all’ultima nel 2008 a Lecce, Auto-geo-grafie, curata da Angela Serafino cui si deve anche la prima retrospettiva nel 2011 a Lequile, ad un anno esatto dalla sua scomparsa. Così come è stato prioritario rintracciare e selezionare alcuni testi critici creando una interessante antologia critica che rende l’idea della sua evoluzione artistica. Navigando ne viene fuori un vero e proprio excursus per raccontare ripercorrendo la carriera espositiva anche l’idea di arte che sottende alle sue creazioni: opere che hanno ancora tanto da dire e che mostrano oggi più che mai
la loro forza espressiva, il carattere innovativo e globale, il tema all’epoca forse “visionario” del rapporto uomo natura fortemente indagato e raccontato per immagini da Renato. Lo storico d’arte Lucio Galante scriveva a riguardo «In questo senso la pittura di Centonze sembra nascere da un rinnovato sentimento pànico, nella convinzione che la natura fa sentire ancora la sua misteriosa forza vitale, e con la quale, soprattutto egli cerca una riconciliazione». E per declinare il suo linguaggio l’artista sperimentava e si apriva all’utilizzo di nuovi materiali, pas-
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sando dalla carta e cartoncino alla tela, al legno, per non parlare di quegli elementi - corde di chitarra, trucioli di legno, rullantini, sagome, pezzi di vetro, pelle di tamburo - inseriti nella composizione pittoscultorea. Segno, forma, volume, spazio, colore, suono erano le coordinate della suo fare artistico scandito da un tempo volutamente lungo per la realizzazione. Dalla serigrafia alla pittoscultura l’artista riusciva a far dialogare e combinare tecniche e materiali in una cifra stilistica che ad oggi lo rende un artista unico, e che meriterebbe uno
«Essere luce senza ferire, altalenare sfiorando territori di incontri, resi fertili da identità libere»
Renato Centonze, Totem mare, 1990, olio e acrilico su tela, cm 190x72 foto A. Albergo © Archivio Centonze
studio più approfondito e, soprattutto, di non essere dimenticato. Questo nostro tempo sembra imporci una riflessione seria sul rispetto e i ritmi della natura e sul nostro errato modo di soggiogarli o ignorarli solo quando si verificano eventi naturali dalla forza devastante come possono esserlo i terremoti, le frane, le alluvioni, ebbene tutta la poetica di Centonze è orientata verso la ricerca di un’armonia del creato che è interna ed esterna. L’opera è creazione, pensiero e gesto imprescindibile dal concetto di vita, passione, libertà. Quella libertà operativa che lo porterà ad aderire al gruppo Magico Cre-a(t)tivo insieme a Vittorio Balsebre, Roberto Buttazzo, Rosamaria Francavilla, Vito Mazzotta nato dall’esigenza di comunicare e dialogare in modo costruttivo intorno alle problematiche dell’arte, della musica, della poesia, della filosofia per contrastare la disgregazione culturale e sociale del proprio territorio e che vedrà la realizzazione della mostra éPART nel convento dei Domenicani a Cavallino nel 1990. Significative sono alcune definizioni che egli dà all’essere éP-ART, in particolare scrive:. Incontro di Luce in luoghi dove il frastuono crea muri di gomma incolore | Luce di suoni colorati che danno dimensione allo stupore. «E le pitture sonore di Renato Centonze tentano di aprire un varco di silenzio, suggerendo suoni inediti, percorsi sonori alternativi al frastuono della
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Renato Centonze, Rendere pieno ciò che è vuoto - render vuoto ciò che è pieno, 2001 cm62x6x62 (chiuso) foto A. Albergo © Archivio Centonze
contemporaneità.»- scriveva Rina Durante a proposito delle opere nella mostra èp-ArT. Opere multisensoriali che esaltano la bellezza della natura colta nelle atmosfere di luci, colori, suoni invitando il fruitore ad un dialogo serrato con l’opera. «La scommessa di Centonze - scriveva Marina Pizzarelli nel 1996 per Progetto Arte- è nel riuscire a farci ascoltare il "suono interiore" della natura, senza violarla, attraverso la contemplazione e la meditazione, come suggerisce il pensiero orientale - il Tao, lo Zen - che annulla il confine tra microcosmo e macrocosmo, dentro e fuori, lasciando che l'energia della natura fluisca e tutto pervada. Ma la vera avventura è nell'essere presi dalla pittu-
Renato Centonze, Rendere pieno ciò che è vuoto - render vuoto ciò che è pieno, 2001 olio e acrilico su tela su legno, sagome di legno, carta cinese, silicone, campanellini, cm62x124 (aperto) foto A. Albergo © Archivio Centonze
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ra "dentro" la pittura, in un turbinio di filtrate sensazioni paniche che il blu (del mare), il verde (dell’erba), il giallo (della luce solare), assolutizzano e immensificano, nella suggestione della percezione di memoria della natura». Una significativa carellata di opere, raggruppate seguendo la cronologia e i cicli pittorici, intende fornire agli internauti e a tutti gli appassionati d’arte un approccio, certamente non esaustivo, alla complessa produzione artistica di Renato Centonze. Dalla fase iniziale del figurativismo, vagamente espressionista, degli anni ‘70, ai Cieli musicali, Talismani, Totem, Le vie del suono, Scrigni natura, pittosculture sonore, valigia dei suoni verticali fino alle auto-geo-grafie: è possibile valutare come egli passasse con estrema disinvoltura e fluidità da soluzioni puramente pittoriche a solu-
zioni pittoriche, plastiche e scultoree, sperimentando supporti e materiali diversi restando però coerente nello stile e nel tema di fondo che era imprescindibile dalla scoperta della bellezza della natura e dal desiderio di stabilire un contatto diretto con essa: l’unico talismano capace della magia più grande quella della creazione. Della vita racchiusa anche in un solo filo d’erba, in una goccia di rugiada tra le nuvole del cielo o nelle onde del mare. All’artista il compito di caricare l’opera di energia che come in una sorta di fiume sotterraneo fluisce e raggiunge chi è in grado di percepirla. L’arte per lui diventava scambio e sottile sintonia con il mondo attraverso le vibrazioni dei suoni e dei colori che diventavano segni e significanti e per dirla con le sue parole «il fluire della vita».
Renato Centonze, Il percorso nel cielo, 1976 © Archivio Centonze
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Nella foto: Renato Centonze © Archivio Centonze
auto-geo-grafia di un artista ricordando renato centonze Antonietta Fulvio
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Intervista alla moglie Floris Quarta proprietaria dell’archivio ‘Renato Centonze’
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LEQUILE (LECCE). Dal 1972, anno della sua prima personale a Fasano, al 2008 all’ultima mostra ai cantieri teatrali Koreja intitolata Autogeo-grafie, un progetto per illustrare - lo aveva anticipato Renato Centonze nel suo sito «il percorso interiore che è alla base del mio «fare artistico». Era nato a Cavallino, il 9 ottobre 1947, segnato nel fisico da una forma di poliomelite che lo aveva colpito quando aveva appena due anni. A causa della sua malattia, a nove anni viene ospitato a Torino nel collegio della «Pro Juventute» della fondazione di Don Gnocchi dove studia e consegue il diploma in computisteria. “L’ infanzia non facile e l’esperienza, nella giovane età, della dura e spersonalizzante realtà della grande metropoli industriale costituisce l’ humus su cui Renato ha formato la sua personalità, caratterizzata da una sentita attenzione verso l’individuo (e verso la società sofferente), influenzandone fortemente il messaggio artistico”.- racconta Floris Quarta ricordando il suo primo incontro nella biblioteca comunale di Cavallino dove Renato, una volta rientrato nel suo paese, aveva ricevuto l’incarico di bibliotecario. E con Floris abbiamo voluto ricordare l’uomo e l’artista. Un libro fu galeotto, cosa ti ha affascinato di Renato Centonze?
Renato era un uomo mite e dalla grande umanità, generoso e riflessivo, tenace e coerente. Mi colpì il suo essere anticonformista il suo non omologarsi alla frenetica velocità delle mode e alla logica dell’apparire. Era sempre alla ricerca dell’essenza delle cose, e un difensore della libertà intellettuale e dello spirito critico. Nonostante l’attività di bibliotecario Renato si iscrive all’istituto d’arte e poi all’Accademia. Che cosa era l’arte per Renato? L’arte era ed è stata tutta la sua vita. La sua più grande passione. Ricordo che amava rifugiarsi per ore nel suo studio qui a Lequile per dare corpo alla sua creatività ma anche per leggere, ascoltare musica, studiare, pianificare le sue intuizioni, ricevere artisti, critici d’ arte, amici e compagni di strada. Con tutti amava confrontarsi con spirito dialogante e inclusivo. In Renato era anche molto forte l’impegno civile e politico. Il suo è stato un impegno contro ogni forma di discriminazione e di ingiustizia, un sentire che ha contrassegnato ed attraversato tutta la sua vita di cittadino e di artista. Ricordo la sua partecipazione a rassegne di artisti democratici come a Novoli nel 1975 e la sua adesione nel 1984
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all’appello di intellettuali e artisti salentini «…per la pace e la vita contro la guerra nucleare». Su questo tema, già nel ‘79, aveva prodotto una cartella serigrafica intitolata «energie alternative». Negli anni ’70/’80, protagonista appassionato dei fermenti socio-politici del periodo, dà corpo al suo dissenso con opere come «crocefissione bianca», «morte sociale» e, nell’89, «Omaggio a Chico Mendes» per ricordare l’ambientalista brasiliano e la sua lotta in difesa delle popolazioni della foresta e delle loro attività che era stata la causa del suo assassinio.
che del mercato. Sì, Renato aveva chiarito più volte la sua posizione a riguardo: l’artista come il pensatore deve restare fuori dal mercato perché «nel momento in cui ci si pone nel mercato, si diventa appendice della produzione all’interno di un anonimo scambio, cioè merce-compratore, e non più produzione artistica, libertà e ricerca di qualcosa che vada oltre, che sia una trasmissione intima di emozioni»
Dalla grafica alle serigrafie, dalla pittura alle pittosculture sonore al centro della sua indaIl ruolo sociale dell’arte ma al contempo la gine il rapporto uomo natura... difesa della sua sacralità, sganciata dalle logi- Il tema della difesa di una «ritrovata felicità nel
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Renato Centonze, Grande Concerto dâ&#x20AC;&#x2122;erba, 1990 pittoscultura sonora m2x2 foto R. Puce, Š Archivio Centonze
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rapporto con la natura» è da lui sentito davvero come una via di salvezza oltre che fonte inesauribile di emozioni, coinvolgimento totale dei sensi ecco perché spesso le sue opere diventavano multisensoriali e lui stesso invitava a “toccarle, suonarle”. Ricordo la mostra èP-ARt a Cavallino quando il suo Gran Concerto d’erba fu suonato dal musicista Philip Corner, esponente del gruppo Fluxus. O quando il M°Alessandro Girasoli compose ed eseguì una partitura per le pitto-sculture sonore in una
mostra alla Galleria L’Osanna di Nardò, come pure la partitura di musica elettronica elaborata dal M° Biagio Putignano che la eseguì in occasione della mostra ai Cantieri Teatrali Koreja nel 2005. Ci sono delle foto bellissime e dei video che raccontano quelle esperienze irripetibili così come amava dire Renato “l’arte aiuta l’arte” e forse oggi più che mai in questo momento storico così complesso e delicato avremmo bisogno di guardare ciò che ancora ci suggeriscono le sue opere.
Renato Centonze, Il blu... il giallo... il rosso... il suono verticale, pittoscultura sonora 2000-2001 olio e acrilico su tela e legno, sagome di legno, linguette di plastica cm80x100, foto di foto A. Albergo, Archivio Centonze, © Archivio Centonze
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Salvatore Fergola, autoritratto, 1864
saLvatore fergoLa. un “cronista” deLLa napoLi ottocentesca Sara Di Caprio
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Fino al 2 aprile 2017 la mostra dell’artista ultimo pittore alla corte dei Borbone
NAPOLI. Dipingere il proprio tempo. Fu questo che fece Salvatore Fergola (Napoli 1796 – 1874), ultimo pittore di corte che catturò le immagini di una Napoli d’avanguardia, spesso dimenticata. All’epoca, nella prima metà dell’Ottocento, Napoli era tra le città più popolose e vivaci d’Europa, meta privilegiata dai viaggiatori di tutto il mondo e dagli artisti, il poeta Giacomo Leopardi che proprio a Napoli trascorse l’ultima parte della sua vita. Ed è in corso fino al 2 aprile 2017, la mostra monografica "Fergola. Lo splendore di un regno" dedicata al pittore napoletano allestita nel Palazzo Zevallos Stigliano, in
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Andy Warhol, One Multicoloured Marilyn (Reversal Series), 1979-1986, Acrilico, polimeri sintetici e serigrafia su tela,, 50,8x40,7 cm, Courtesy: Collezione privata (VR) © The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts, Inc. by SIAE 2016
via Toledo, che dal 2007 è tra le location di Gallerie d'Italia il polo museale di Intesa Sanpaolo, un luogo dove oltre ad ammirare capolavori del Seicento e primo Novecento napoletano, ospita anche il Martirio di Sant'Orsola di Caravaggio. Da un lungo lavoro di ricerca nasce l'idea di que-
sta mostra, curata da Fernando Mazzocca, Luisa Martorelli e Antonio Ernesto Denunzio, che è di fatto la prima esposizione dedicata all'artista che fu pittore di corte durante il periodo della Restaurazione Borbonica. Salvatore Fergola è cronista della sua epoca,
Salvatore Fergola, Inaugurazione della prima rete ferroviaria Napoli portici, 1840
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Salvatore Fergola, Inaugurazione del bacino di Radobbo, foto a lato l’eruzione del Vesuvio
vive il suo tempo ed è di fatto l'ultimo pittore di corte sotto i Borbone, vivendone le ultime fasi: dalla Restaurazione del 1825, all'indomani della sconfitta di Napoleone, alle rivoluzioni del 1820-21, all'ascesa al trono di Ferdinando II, fino alla caduta del regno nel 1860. Con le sue tele attraverso l'uso della veduta settecentesca, sulla scia di pittori come Hackert, non solo, diventa il primo reporter ufficiale dell'epoca restituendoci il fasto della corte, con le sue feste e cacce ma, riesce nella sua articolata carriera, anche a lanciare uno sguardo verso il futuro, dipingendo i traguardi della modernità. La sua pittura è difatti uno strumento di propaganda politica dei Borbone, un simbolo di quello che si era riusciti a creare nel Sud Italia. Fergola dipinge l'inaugurazione dei due ponti sospesi, quello del Real Ferdinando sul fiume Garigliano, la prima costruzione ingegneristica del genere ad essere costruita in Italia e la seconda in tutta Europa, e il ponte di Maria Cristina sul fiume Calore. Questi primati tecnologici sono accompagnati dalla tela: Inaugurazione
della strada di ferro eseguita in Napoli nell’ottobre 1839 con cui si celebra la prima ferrovia italiana, che collegava Napoli a Portici, 7,5 chilometri che segnavano l'inizio di una rete che doveva collegare Nocera a Castellamare di Stabia. Un successo tecnologico e anche commerciale dell'epoca, con oltre un milione di passeggeri all'anno. Fergola con l'Inaugurazione del vascello Vesuvio a Castellammare (1825) celebra anche i vari delle navi e come un vero e proprio cronista ci restituisce il clima dell'epoca e la politica propagandistica attuata dai Borbone ma, il pittore napoletano riesce anche a catturare i momenti bui e a prevedere anche il declino della corte. Simbolica in questo senso è la tela che ritrae L'esplosione della pirofregata Carlo III avvenuta nel 1857, a cui si unisce la capacità di immortalare le catastrofi naturali come il Terremoto di Melfi del 1852. Il pittore di Ferdinano II che tanto aveva registrato la modernità e la tecnologia non esita ad anticipare anche il crollo della monarchia che sarebbe avvenuto da li a poco, nel 1860.
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Un pittore così sensibile agli eventi del suo tempo, così abile a cogliere i cambiamenti che già a partire dagli anni 1840 modifica i suoi soggetti, dipingendo notturni, temi religiosi e marine in tempesta. L'allestimento a cura dell'architetto Lucia Anna Iovieno, si compone di 63 opere provenienti dal-
la Reggia di Caserta, dal palazzo Reale di Napoli, dal museo di Capodimonte e San Martino oltre, che da varie collezioni private e per l'occasione con il bene placido del Ministero dei Beni culturali è in mostra anche un modello del primo treno a vapore fornito dal Museo Ferroviario di Pietrarsa.
Gallerie d’Italia, Via Toledo 185, Napoli fino al 2 aprile 2017 Orari: Da martedì a venerdì dalle 10:00 alle 18:00 (ultimo ingresso alle 17:30). Sabato e domenica dalle 10:00 alle 20:00 (ultimo ingresso alle 19:30). Ingresso: Biglietto congiunto valido per la visita alla mostra temporanea e alle collezioni permanenti: intero € 5 | ridotto € 3.
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Daniele Dax Paladini, visto di spalle. Sue le foto nella pagina
Back. oLtre La fotografia iL progetto artistico di d.dax Maria Neve Arcuti
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L’incontro con il fotografo Paladini e la sinergia in un progetto che vede insieme libro e foto
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Daniele Dax Paladini l’avevo incontrato per la prima volta circa un anno fa. Un incontro casuale durante la presentazione che da lì a poco avrei tenuto del libro di Matteo Greco “C’era infinite volte il Sud”(edizioni Il Raggio Verde) la sera del 21 febbraio. Chiacchierando del più e del meno a fine presentazione scopro di lui che aveva studiato cinema e il caso voleva che proprio in quella settimana, lì presso il Circolo Arci di Aradeo, di cui ero parte attiva, avrei mandato il film su Sebastião Salgado, fotografo di fama mondiale che nel suo documentario mostra doti di rara sensibilità verso il pianeta Terra e verso chi lo abita. Fu questo il secondo elemento del tutto casuale che mi fece scoprire che D. Dax Paladini, abbandonati gli studi cinematografici, si era dedicato completamente alla fotografia e si era profondamente immerso in questa forma d’arte che al pari di molte altre sa restituirci preziosi momenti di suggestioni visive. Il suo maestro, quello con la M maiuscola, il grande Luigi Ghirri “autore che mi ha fatto vedere tanto dove c’era poco da vedere”. Vivendo per molti anni a Bologna, D. Dax Paladini era stato spesso immerso e circondato dalle atmosfere evanescenti del paesaggio circostante, le stesse ritratte spesso dal grande fotografo. E proprio certi spazi eterei, l’acqua in ogni dove e la forza incantatrice di una natura quasi congelata e sospesa sono stati l’oggetto di alcuni suoi scatti esposti in una mostra dal titolo DIA.PO. Un progetto nato con lo scopo di superare il concetto di
fotografia come immagine statica bidimensionale. A tale scopo il pubblico era stato chiamato a partecipare attivamente all’esposizione delle sue foto, proposte in forma di diapositiva, da cui appunto DIA.PO. Da quel giorno ebbi modo di approfondire la fotografia di “Dax” e di apprezzarne la pulizia dei suoi scatti avendo anche l’opportunità e il piacere di curare un suo successivo progetto fotografico dal titolo ISO 100. Anche stavolta non si poteva parlare di semplice esposizione fotografica, perché l’artista, andando oltre la semplice bidimensionalità dell’immagine, chiedeva al fruitore qualcosa di più di un semplice sguardo. Il fotografo voleva partecipazione e per questo aveva ideato un percorso interattivo che attraverso l’utilizzo di un QR Code permetteva al fruitore di immergersi e vivere i paesaggi ritratti, svelando storie leggendarie legate ai luoghi protagonisti delle foto. Quelli di ISO 100 erano scatti sul quotidiano meno epico, su paesaggi apparentemente anonimi ai più. Spazi del tutto privi della figura umana costruiti su un equilibrio tra la percezione quasi olfattiva e tattile della realtà e la razionalità della ripresa quasi sempre geometrica. Questi scatti avevano avuto il potere di emozionarmi, regalandomi la sensazione di infiniti silenzi, di orizzonti
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che mi avevano trasportato altrove. Ed è proprio quel desiderio di “altrove” che mi ha spinto a cercarlo di nuovo, nel suo paese d’origine, Leverano, dove vive e lavora, quando il 26 novembre con grande emozione ho potuto stringere tra le mani il mio primo libro “Torno da me” edito da Il Raggio Verde. Un libro in cui ho voluto dare voce a sette donne diverse, un libro al femminile che svela percorsi interiori e di vita. C’è Ruth che proviene dal Ghana e c’è Rashid che dall’Iran sogna di vivere nel nostro Occidente. Ci sono donne coraggiose, come Vita e donne che scelgono di percorrere strade difficili come Chiara per trasformarsi in qualcosa d’altro,
per seguire un’esigenza interiore, un’urgenza dell’anima. E poi c’è la bellezza dell’amicizia e ancora l’audacia di tornare da sé. Molto intensa la mia espe-
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rienza personale della scrittura e meraviglioso il percorso, fatto d’incontri preziosi, che mi ha portato alla pubblicazione. Da qui il desiderio che i miei racconti s’incrociassero e fossero contaminati dalla delicatezza della fotografia di D.Dax Paladini; da qui la mia proposta, da subito accettata con entusiasmo, di interpretare con il suo sguardo le mie donne. Nasce così BACK. Sette scatti a sette donne la cui mancanza di un’identità dai contorni nitidi vuole ancora una volta coinvolgere attivamente il fruitore trasportandolo in un altrove che lascia spazio alla propria immaginazione. Gli scatti permettono a chi osserva non solo di identificarsi nelle donne ritratte di spalla, ma attraverso un gioco di proiezione-identificazione, di poter vedere con i propri occhi che si trasformano poi nei loro. Il fotografo ha scelto di non essere invasivo, ha scelto di lasciare intatta l’identità delle mie donne, senza dargli una nuova identità attraverso un ritratto frontale. Anche in questo suo lavoro, la fruizione completa delle foto è stata affidata ad un QRcode che accompagna
foto di Daniele Dax Paladini , nella foto in basso il fotografo in azione
ogni foto e che porta ad un’immersione totale nell’atmosfera dei racconti e nella personalità delle protagoniste. (Le tracce audio possono anche essere ascoltate sul sito www.soundcloud.com/dax-photofactory). Si possono in tal modo gustare brevi passi tratti dai sette racconti, la cui registrazione è stata affidata ad una voce maschile, perché è anche ad un pubblico di uomini che vuole rivolgersi il libro. “Dax” è un fotografo mai pago e così BACK si è trasformato in un work in progress che ha tutte le intenzioni di allargarsi a nuove forme visive. Agli scatti si è da poco aggiunto un video che riproduce ancora una volta donne dall’identità non ben definita, donne delle quali è dato di leggere solo il labiale, ma che non nascondono la propria femminilità, ricche di eleganti dettagli, dai respiri profondi e dai colorati sorrisi. Donne che parlano, che ci parlano pur
non dicendo apparentemente niente. Si sa, niente avviene per caso, e dunque non posso che concludere affermando il mio entusiasmo per aver avuto la fortuna di conoscere un artista per il quale la fotografia è un modo di relazionarsi col mondo seguendo il filo sottile della propria interio-
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rità e cercando legami col mondo esterno, rappresentando le proprie percezioni e chiedendo un confronto con quelle altrui. Per chi avesse il desiderio di immergersi nelle atmosfere del libro e degli scatti che le interpretano la prossima data sarà quella del 2 aprile presso El Barrio Verde ad Alezio.
arte come messaggio. iL rapporto umano neLLe opere di gaBeLLone Michele Bovino
L’ambiente e le sue creature, il dialogo e l’apertura verso un futuro fatto di convivenza civile e di rispetto per gli Altri. L’ospitalità verso il viaggiatore sembra essere la risposta morale più equilibrata alle provocazioni della globalizzazione che offre molteplici possibilità di comunicazione anche a distanza, ma che crea settarismi e disparità. L’ispirazione per questa veloce riflessione mi viene offerta dalla mostra pittorica dal titolo
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Il tema del viaggio metafora della vita
Francesco e la valigia dell’artista Mirko Gabellone. Una ricercata e delicata messa in scena del tema del viaggio e dell’ospitalità, una delle immagini più frequenti in tutte le letterature, un concetto spesso trattato dagli scrittori di ogni epoca, dai mitici viaggi di Erodoto a quello trascendente di Dante, ma soprattutto la voglia di scoprire, la curiosità di vedere oltre i recinti di ognuno di noi, il tutto in un apparato scenico di ampio respiro fatto di cromatici colori puliti. Questo è il biglietto da visita dell’artista Mirko Gabellone, di origini salentine, studioso e professore d’arte in una Scuola del nord d’Italia ma che ama svisceratamente la sua terra, il Salento, con tutti i suoi affetti, la sua propensione all’accoglienza. Il tema del viaggio e dell’accoglienza appassiona da sempre il nostro artista, teso a ricercare ogni forma grafica, ogni movimento visivo che possa aiutare a sviluppare il tema inteso sì come ricerca interiore, ma principalmente come ricerca del contatto umano. Ricerca artistica che lo portò a individuare il
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protagonista per eccellenza del viaggio, una specie di suo alter ego individuato nella figura mitica di Odisseo. A lui consegnò una valigia, che può essere un contenitore di sogni, e insieme percorsero la strada in un ciclo pittorico dal titolo Odisseo e la valigia, dove il viaggio significava il superamento dei tanti ostacoli che la vita contrappone. Oggi la sua ricerca s’imbatte in un personaggio che ha fatto della sua vita una perenne dedica alla natura e al suo creatore: Francesco d’Assisi. La grande personalità di Francesco d'Assisi e il suo pensiero, spingono verso un’umanità pacificata, che rispetti e salvaguardi il creato. “Fui mercante, uomo di mondo e peccatore: poco studiai e poco lessi se non i libri mastri del fondaco, e canzoni e ballate e altre vanità” confessava San Francesco a Domenico di Guzman, fondatore dell’ordine domenicano, quando i due s’incontrarono sull’Aventino nel 1220. Ecco, allora, che sulla strada della ricerca pittorica sul viaggio appare il giovane Capo dei Trovatori di Assisi, che parlava
e recitava versi in provenzale. Il giovane Francesco, che si dilettava di musica, di poesia, di fugaci amori, insieme col suo gruppo di amici sino a quando non scoccò la scintilla che lo portò a seguire la vocazione di frate e trascorrere la sua vita, lui figlio di ricco mercante, nella povertà assoluta e vivere secondo i Vangeli. Mirko Gabellone subisce il fascino del giovane Francesco che si autodefinisce “Giullare di Dio”, che canta la Natura, componendo la prima poesia scritta in italiano “Il Cantico delle Creature”, che ama la verità e l’anima umana pur con tutti i difetti. Oggi, a Francesco d’Assisi, Odisseo (o il suo alter ego), affida idealmente la sua valigia e lo fa viaggiare usando il passo della danza, dell’acrobata, del musicista, del buffone
cantastorie e giocoliere, in cinque tele, a tecnica mista, che raffigurano cinque passaggi di Odisseo nei panni di Francesco il Giullare di Dio il quale indossa abiti coloratissimi a simboleggiare la libertà e il diritto a essere uguale ma diverso dagli altri e poter esprimere liberamente il proprio pensiero. A rafforzare questo concetto vediamo che la quinta tela contiene una frase emblematica, scritta in lingua inglese, che è un compendio della lettera di San Paolo ai Corinti: “Dio ha scelto le cose stolte del mondo per umiliare i sapienti, le deboli per umiliare i forti, le vili, le spregevoli, quelle che non sono, per annientare tutte quelle che sono.” Mirko Gabellone, pensa e partorisce la sua arte donando la massima libertà di movimento alle sue figure, che a volte non sembra stiano a proprio agio nel limitato spazio della tela e pare vogliano vibrare esplodendo in voli aerei e stagliarsi da padroni contro il cielo tutto bianco, un non-colore ma anche l’insieme di tutti i colori possibili, un cielo bianco silenzioso e accogliente che simboleggia purezza e sincerità. L’uso delle forme stilizzate unito alla fantasia pittorica, rende le sue opere amorevoli, piacevoli nei gesti e nelle forme che quasi quasi sembrano invitare lo spettatore a farsi toccare, carezzare. Un invito a posare la mano in un tocco gentile immaginando queste figure, apparentemente inerti, che si animano sino a diventare esseri in movimento continuo, alla perpetua ricerca di rapporti
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sociali esterni. Le sue figure parlano e narrano di questa nostra società che anela ad avere rapporti umani più intensi e diritti civili più forti. Le opere di Mirko Gabellone appaiono, a prima vista, d’impatto facile da comprendere, ma ad osservarle meglio ci si accorge con sorpresa della profondità interiore della sua arte fatta di purezza e di racconto. Ecco, forse è qui il segreto del lavoro dell’artista Mirko Gabellone: l’arte, che diviene movimento e va incontro a manifestazioni d’amore e quell’intimo sentire dell’artista, diventa uno stato di coinvolgimento perché infrange quel muro che spesso si frappone tra l’artista e lo spettatore.
saLento in Love: “c’era una voLta… in terra d’otranto”
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Un contest di narrativa ispirato ai miti e le leggende del Salento in un e-book editato da Il Raggio Verde
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Seconda edizione del Contest di narrativa “Salento in Love”, promosso dall’APS Morfè di Leverano attraverso il blog AgorArt. Quest’anno potrà avvalersi della collaborazione della casa editrice Il Raggio Verde che realizzerà un’antologia delle opere migliori che prenderanno parte alla selezione. La scorsa edizione era partita in punta di piedi ma alla fine sono state superate le più rosee aspettative, con un numero di partecipanti insperato e, soprattutto, per la varietà delle aree di provenienza degli autori, che hanno scritto da tutta Italia. Lo scopo del contest è quello di sollecitare l’attenzione e la curiosità verso il Salento e il suo patrimonio storico-artistico, culturale e paesaggistico, quindi una partecipazione a così ampio respiro punta di certo in questa direzione. Ogni edizione si presenta con un tema diverso, ma sempre legato al Salento. Lo scorso anno “I
mari e le torri”, per portare in risalto la storia e la bellezza del paesaggio costiero salentino con il turchese delle sue acque, la suggestione delle sue grotte e le vicende secolari delle sue sentinelle di pietra; quest’anno, invece, “C’era una volta in.. Terra d’Otranto”, per avvicinare gli autori, che vorranno mettersi in gioco nel contest, a scoprire il patrimonio di miti e leggende che in questa terra hanno trovato linfa e dato colore a molti luoghi, dove ancora si respira qualcosa di magico e lontano dal tempo comune. Abbiamo voluto fare tre domande al Presidente dell’Associazione Morfè, Ilario Cagnazzo, per saperne di più. Come nasce il Contest “Salento in Love”? In realtà è nato come Premio Romance nel 2013,
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dall’idea di una socia. I racconti in gara dovevano seguire un tema – l’ambientazione salentina – e un genere – il romance storico. Ci fu una buona risposta nella partecipazione e ne seguì un’Antologia digitale dei primi classificati e un contratto di pubblicazione per la vincitrice assoluta. Sicuramente importante è stata la gentile collaborazione di Ornella Albanese, una delle più note firme italiane del romance storico, che ha presieduto la Giuria del Premio. L’anno successivo, per una serie di vicissitudini legate alla casa editrice, l’iniziativa non giunse a buon fine e fu messa in standby, anche se in realtà è stata una porta mai chiusa. Ne continuavamo a parlare tra i soci, l’iniziativa ci piaceva – la narrativa per raccontare un territorio, per avvicinare alla storia di un luogo – e avevamo visto che poteva funzionare, trovando la formula giusta. Abbiamo voluto riprovarci, con il contest “Salento in Love”. Per non rinnegare quello che è stato, la denominazione è rimasta la stessa; in fondo quando è stata scelta si voleva giocare sì sul genere romance e il riferimento alle storie d’amore, ma anche sulla passione per il Salento, una terra che conosciuta rimane dentro. E non è retorica né campanilismo! Faccio un paio di esempi: Anna Joy French e Sabrina Grementieri, entrambe parteciparono al Premio del 2013, entrambe non salentine – neanche pugliesi! –, eppure si sono appassionate a questa terra, al punto che la prima ha pubblicato con Mondadori un romance storico in parte ambientato a Otranto (n.d.r. “Cuore normanno”), mentre la seconda è arrivata in libreria con Sperling che ha edito il suo romanzo (n.d.r. “La finestra sul mare”) dove il Salento non è solo scenario ma anche, in parte, protagonista. Vorrà pur dire qualcosa! Insomma abbiamo ritentato la sorte, reso la selezione un po’ più dinamica e l’abbiamo avvicinata al mondo digitale e del “tempo reale”, usando il nostro blog AgorArt come vetrina e coinvolgendo gli utenti/lettori attraverso i social. E il riscontro è stato molto positivo: il blog è la punta dell’iceberg, si vedono solo i racconti che superano il “setaccio” della redazione e del comitato di lettura, che di lavoro ne hanno avuto parecchio. Con questa seconda edizione, ci auguriamo di raccogliere la stessa entusiasta partecipazione, e una maggiore interazione da parte dei lettori, perché vogliamo offrire a chi scrive la possibilità concreta di un confronto diretto con il lettore.
Vincolare la narrazione a un tema e uno specifico contesto, non è un limite che disincentiva la partecipazione (specie per chi quel luogo non lo vive)? è un impegno maggiore, non solo per chi non è salentino (nel caso del nostro contest), un territorio è spesso estraneo perfino a chi ci vive, ne abbiamo riscontro con un altro progetto di Morfè, Sybar Itinerari, un portale di walking tour nel Salento, grazie ai quali cerchiamo di far conoscere il territorio attraverso passeggiate culturali. Va detto che l’adesione maggiore è proprio della gente del luogo che sta prendendo consapevolezza di non conoscere “casa” propria o di conoscerla solo in modo molto superficiale. Quindi, tornando alla tua domanda, non credo che sia un limite, ma un incentivo al sapere. E comunque si sa che chi scrive possiede anche un’innata curiosità, e noi facciamo leva su quella stessa curiosità per far conoscere il Salento, che non è solamente “lu mare, lu sule, lu jentu”, ma tanto tanto altro. Perché partecipare a “Salento in Love”? è una piccola sfida a chi scrive per passione o per professione, a chi ama raccontare i luoghi e a chi piace scavare nella storia di un popolo. Partecipare a “Salento in Love – C’era una volta in… Terra d’Otranto” significherà dare una nuova veste a storie che già esistono. Il nostro è un invito ad accogliere questa sfida e lasciarsi ispirare da questo pezzetto di terra della nostra bella Italia.
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Laboratorio di Calcografia Via S.Maria del Paradiso - Lecce cell.328.7032719
La giornata deL paesaggio sformaurBis a napoLi
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La mostra delle tavole inedite di Luca Vannozzi nella Sala Esposizione della Biblioteca Nazionale
La mostra di tavole illustrate inedite di Luca Vannozzi, Sformaurbis , a cura di Barbara Pavan, si è inaugurata venerdì 10 marzo 2017, ore 16, alla Biblioteca Nazionale di Napoli, Sala Esposizioni, presso il Palazzo Reale, in piazza Plebiscito 1 e sarà visitabile fino al 24 marzo. Al taglio del nastro erano presenti Simonetta Buttò e Francesco Mercurio. Organizzata nell'ambito della prima Giornata Nazionale del Paesaggio, il 14 marzo, istituita nello spirito della Convenzione Europea. Sformaurbis è un progetto composito perché è serio e assai vasto il discorso di Luca Vannozzi che ragiona di territorio e paesaggio – urbano, naturale e umano – di storia e di sto-
rie, di luoghi e di culture. Vannozzi osserva, racconta e attraverso le opere di questa mostra si interroga sul presente e sul futuro di quello che ci ostiniamo a chiamare belpaese e che sarà più o meno bello, più o meno vivo e vivibile, a seconda delle scelte che si faranno – o che faremo Sono occorsi due anni di lavoro per completare le dodici opere che compongono questa mostra e che costituiscono il nucleo intorno al quale si articolano riflessioni di diversa natura, dalla letteratura all’architettura.
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Luca Vannozzi è quello che in altri ambiti chiameremmo uno slow: medita lungamente e realizza le sue opere in tempi biblici. E qui la prima anomalia: in un’epoca che viaggia sempre più veloce, la lentezza è quantomeno originale e alternativa. E altrettanto curiosa è l’apparente schizofrenia che risulta dalla scelta di trattare argomenti alquanto seri attraverso i sorridenti, minuscoli personaggi un po’ retrò che popolano, anzi sovrappopolano, le sue affollatissime divertenti tavole.
un barone in punta di china Montelli ridipinge eric raspe Antonietta Fulvio
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Intervista all’illustratore romano sul suo nuovo libro edito da Odradek
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C’era una volta il segno che si fece immagine per raccontare il mito che divenne storia. Potrebbe essere questo l’incipit della nuova avventura grafico pittorica firmata Giancarlo Montelli che torna ad esplorare i territori della letteratura mondiale reinterpretando le pagine più belle del Barone di Munchhaüsen di Rudolf Erich Raspe. Illustratore, art director e fotografo in numerose case editrici, tra cui l’Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani, pubblicitario (campagna Micra “Curvilinee - La Micra e la forma tonda”), ha al suo attivo numerose mostre in Italia e all’estero.
Per la Rai ha realizzato sigle e storie animate in programmi per ragazzi, spesso utilizzando in modo atipico la fotografia per costruire fotostorie animate. Dal 1983 al 1990 ha realizzato per il settimanale L’espresso le illustrazioni per numerose copertine, ordinate nel 2004 nella mostra “L’Espresso negli anni ’80”. Ha collaborato continuativamente con il quotidiano la Repubblica e con il magazine il Venerdì de la Repubblica. Nel 2008, a Lecce il Museo Castromediano, ospitò la mostra antologica Dalla favola al mito (con catalogo edito da Il Raggio Verde) con la quale si ripercorreva
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il percorso artistico di un illustratore che sa sintetizzare le pagine più belle della letteratura classica così come i grandi temi della cronaca quotidiana. Per le edizioni Odradek ha illustrato Pinocchio e con Valeria Palumbo ha pubblicato Dalla chioma d'Athena. Donne oltre i confini riscoprendo le figure femminili protagoniste della Storia e della letteratura mondiale. Dopo aver indagato e disegnato gli eroi dell’antichità - dagli dèi greci, Ercole, Giasone, ai miti letterari per eccellenza - Ulisse, Don Chisciotte, Pinocchio Orlando e Rinaldo - fino ai grandi personaggi del cinema, della storia, della letteratura, della politica, della musica, miti della modernità, l’illustratore romano ha scelto di reinterpretare con il suo segno uno dei personaggi più emblematici dello scrittore tedesco. Pubblicato in dicembre, per i tipi di Odradek, un nuovo progetto editoriale in punta di china: Il Barone di Munchhaüsen disegnato e raccontato da Giancarlo Montelli. «Nella mia ostinata ricerca dei grandi miti, icone di riferimento del bene e del male, ho
incontrato questa volta il Barone di Munchhaüsen e l’ho fatto a pezzi! Ho smembrato il Grande Bugiardo, l’Invincibile, il Magnifico, l’Onnipotente, l’Unico, colui che può raccontare le più grandi panzane ed essere
creduto da tutti. » Come ha immaginato e disegnato il suo Barone e perché? «L’ho disegnato sempre di profilo come un faraone egizio, sempre eguale a se stesso. La
sua espressione non cambia. I sentimenti non fanno parte del suo bagaglio, perché lui non ne ha bisogno. Il mondo è ai suoi piedi. Il suo potere non ha limiti.» Nella nota al libro, edito da Odradek, l’editore Claudio Del Bello fa riferimento al Barone come ad un «eroe del nostro tempo», riferendosi al suo potere affabulatorio che incarna narcisismo, delirio di onnipotenza e amoralità. Da un punto di vista tecnico come è riuscito a disegnare il Barone? «L’ho fatto a pezzi per poterlo muovere come voglio. Lui, che manipola tutti a suo piacimento, l’ho scomposto in pezzi e unito da snodi che mi consentono di animarlo e manovrarlo con dei fili come se fosse una marionetta. Niente pennelli, colori, carte da acquarello ma l’algido strumento, il mitico computer, che consente di disegnare su diversi livelli, fino a venti o trenta. Ciò dà maggiormente l’impressione di comporre la scena del teatrino: il livello dei protagonisti, quello delle quinte, del paesaggio, del cielo. Con la penna grafica le linee di costruzione si sovrappongono in una apparente confusione e poi le campiture di colore, piatte, senza vibrazioni, senza emozioni, mettono ordine e rendono leggibile l’immagine alla quale posso aggiungere o togliere a piacimento tornando indietro se ho un ripensamento.» L’opposto di quando invece usa colori e pennelli.... «Esattamente. La tavola grafica mi consente di fare tutto
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quello che non posso quando utilizzo il pennello, l’acqua, i colori con i quali devo lavorare velocemente, senza ripensamenti, valutare perfettamente quando intervenire su un colore già steso e non ancora asciutto per sovrapporne un secondo.» Allora la grafica digitale risolve ogni problema?
«La matita digitale, come la spada del Cavaliere Jedi in Star Wars, rende tutto magico il problema è che una volta spento il computer lo schermo nero inghiotte i personaggi che ho inventato e costruito. Non rimane niente del lavoro di ore e ore. Quale magia li farà ricomparire? Sempre sperando che quando riaccenderò il misterioso elettrodomestico
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ricompaiano tutti. E l’orribile pensiero che la mia illustrazione è solo un illusione ottica, perché fatta di zerouno, zerouno, zerouno...» Ma il nostro Maestro sembra proprio aver trovato il modo per aggirare l’ostacolo rendendo le sue illustrazioni tridimensionali con l’argilla grazie alla manualità della scultura. Per ammirarle
basterà andare a Cavallino (Lecce) dal 25 marzo al 30 aprile 2017 nella Galleria del Palazzo Ducale (info: 3892886687) mentre dal 3 all’8 aprile sarà possibile ammirare al Castello Carlo V di Lecce le illustrazioni del libro Totò. Tocchi e ritocchi, il Raggio Verde edizioni, nell’ambito della XVIII edizione del Festival del Cinema Europeo.
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Foto di Ines Facchin
i fiori deL maLe. identità vioLate L’orrore deLLa disumanità
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Alla Casa della Memoria e della Storia di Roma una mostra restituisce voce e umanità alle tante donne emarginate dalla società dell'epoca e recluse nei manicomi
Fotografie, referti clinici per far riemergere volti di donne, figlie, madri, mogli, spose, amanti, ricoverate in manicomio durante il Ventennio fascista. Così la mostra intitolata, I fiori del male. Donne in manicomio nel regime fascista dal 14 settembre al 18 novembre, allestita nella Casa della Memoria e della Storia di Roma, ha raccontato pagine dolorosissime di una storia quasi sconosciuta e dimenticata. Pagine
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dolorose della nostra storia che vorremmo non fossero mai state scritte. Ma è giusto soffermarsi e raccontarle perché l’atrocità di cui è capace il genere umano nell’annientare l’altro - uomo o donna che sia - va al di là dell’umanità che invece dovrebbe distinguerci dalle bestie. Nel mese in cui la ricorrenza dell’otto marzo deve farci fermare a riflettere sulla violenza che quotidianamente
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invade purtroppo gli aspetti e gli spazi della nostra vita, ci sembra doveroso ritornare a parlare della mostra, curata da Annacarla Valeriano e Costantino Di Sante fotografata da Ines Facchin che l’ha visitata per noi.
Nata dal desiderio di restituire voce e umanità alle tante recluse ed emarginate dalla società dell’epoca perché malate o presunte tali, la mostra è estremamente interessante, forte come un pugno nello sto-
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Venezia fotografata da Ines Facchin
maco - ci racconta la stessa Ines - invita a riflettere su un dramma dimenticato, nascosto. “Ci è sembrato importante – spiegano i curatori - raccontare le storie di queste donne a partire dai loro volti, dalle loro espressioni, dai loro sguardi in cui sembrano quasi annullarsi le smemoratezze e le rimozioni che le hanno relegate in una dimensione di silenzio e oblio”. Alle immagini sono state affiancate anche le parole. Diari, lettere ma anche relazioni mediche, materiali provenienti dal Manicomio di Sant’Antonio Abate di Teramo, aperto nel 1881 come reparto aggregato all’Ospedale civile della città collocato all’interno delle vecchie fabbriche del convento di Sant’Antonio Abate e che fu chiuso solo nel 1998. Documenti che restituiscono l’insieme di pregiudizi che hanno alimentato storicamente la devianza femminile. Il regime fascista ampliò infatti i contorni che circoscrivevano i concetti di emarginazione e di devianza e i manicomi finirono così con l’accentuare la loro dimensione di controllo e di repressione. Il manicomio è stato dunque, da un punto di vista storico, un osservatorio privilegiato attraverso il quale
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poter recuperare una parte fondamentale della nostra memoria e restituirla alla collettività. La mostra, patrocinata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, dal Ministero per i Beni e le attività culturali e dalla Regione Abruzzo, è stata promossa da Roma Capitale Assessorato alla Crescita culturale Dipartimento Attività Culturali e Turismo, dall’Irsifar, ed è stata realizzata dalla Fondazione Università degli Studi di Teramo in collaborazione con il Dipartimento di Salute Mentale della Asl di Teramo e l’Archivio di Stato di Teramo.
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In basso: Ritratto di Chiara Lecca , foto Leda Albonetti; al centro: .Chiara Lecca, A fior di pelle , veduta della mostra, Collezioni Comunali d'Arte, Bologna, 2017. Foto Matteo Monti, courtesy Istituzione Bologna Musei, Courtesy delle opere, Galleria Fumagalli, Milano
chiara Lecca a fior di peLLe Antonietta Fulvio
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In mostra fino al 19 marzo le opere dell’artista Chiara Lecca nell’Istituzione Bologna Musei | Collezioni Comunali d'Arte
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BOLOGNA. Se c’è qualcosa che oggi l’arte deve poter fare non è semplicemente spiazzare il fruitore
ma suscitare un ventaglio di sensazioni che inducano a ripensare il rapporto tra realtà e finzione e perchè
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no, anche il legame con se stessi e il territorio e più in generale alla dimensione umana di “animale tra gli animali”. Da questo assunto parte tutta la ricerca artistica di Chiara Lecca le cui opere nella mostra intitolata A fior di pelle, curata da Sabrina Samorì e Silvia Battistini, saranno esposte fino al 19 marzo 2017 nelle stanze delle Collezioni Comunali d'Arte. Il progetto, che rientra nella sezione Art City Polis della quinta edizione di Art City Bologna, fa dialogare il patrimonio storico-artistico della città con le opere di artisti contemporanei. Così all'interno dell'ampio percorso museale situato al secondo piano di Palazzo d'Accursio, che custo-
disce un ricco patrimonio artistico databile dal Duecento agli inizi del Novecento, Chiara Lecca ha disseminato in quattro sale (I, IV, XII, XVI) alcune installazioni che sottolineano l’interazione con le peculiari caratteristiche degli ambienti storici in cui si inseriscono. «Nel mio lavoro l'animale diviene complice dell'operazione di spiazzamento della realtà gestita, ordinata e controllata dell'uomo. Esso è il tramite per far riaffiorare la nostra natura selvatica» -spiega l’artista nata a Modigliana, un piccolo paese dell’entroterra romagnolo, dove tuttora vive e lavora. «Cresco nell’azienda agricola di famiglia fondata da mio nonno nel 1961. Coraggiosamente
Chiara Lecca, Golden Still Life, dettaglio, 2016, tassidermia, sterco, PVC, vetro, metallo, tavolo in legno, cm 200 x 180 x 120 Courtesy Museum Schloss Moyland, Bedburg Hau, D e Galleria Fumagalli, Milano. Foto Olimpia Lalli
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Chiara Lecca, Golden Domestic Economy 2016, tassidermia, PVC, vetro, metallo, stoffa, dimensioni varie, Courtesy Museum Schloss Moyland, Bedburg Hau, D e Galleria Fumagalli, Milano. Foto Olimpia Lalli
aveva lasciato la Sardegna ed era partito assieme alla moglie, i figli ed un gregge sterminato di pecore da latte oltre ad altri svariati animali. Qui avrebbe portato avanti il lavoro di suo padre e suo nonno e probabilmente dei suoi avi: la pastorizia. Per cui le faccende legate agli animali sono una cosa di famiglia. Tutt’ora i nostri cicli sono legati ai cicli della natura e degli animali che sono con noi. A questo punto non potevo sfuggire da queste riflessioni, sono nate inconsapevolmente e consapevolmente sono cresciute assieme a me man mano che incontravo e mi scontravo con la società circostante». Sono le stesse parole di Chiara Lecca a chiarire il fulcro della
sua poetica che cerca di suggerire con uno sguardo non privo di ironia e di un accento fiabesco un nuovo punto di vista capace di far riflettere sulla svalutazione degradante di cui spesso gli animali sono oggetto, in quanto materiali di consumo, costringendoci a ripensare il nostro rapporto e la nostra somiglianza con essi. Sul filo della riflessione teorica delle avanguardie artistiche del Novecento che hanno guardato con attenzione agli scarti mettendo in discussione le categorie di rifiuto e di utilità consumistica, l’artista recupera, lavora e trasforma la materia organica tutto ciò che l’industria alimentare scarta e a tal proposito precisa l’artista - e gli organizzatori della mostra - che
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nessun animale è morto per scopi artistici. Dunque, scarti organici lavorati rinascono immaginando per loro nuove forme e una nuova visione estetica: vesciche di origine bovina e suina assumono le sembianze percettive di impalpabili trasparenze ambrate che richiamano una trama di preziose venature marmoree tramutandoli in eleganti oggetti di arredo rétro. Orecchie di coniglio tassidermizzate diventano petali per assemblare suggestive composizioni floreali. E mentre le opere della serie Masks, costituite da bolle e campane di vetro contenenti lembi di pelli di cinghiale dialogano con i dipinti di Donato Creti tra i più grandi del Settecento europeo su un tavolo di fattura seicente-
Chiara Lecca, A fior di pelle, veduta della mostra, Collezioni Comunali d'Arte, Bologna, 2017 Foto Matteo Monti, courtesy Istituzione Bologna Musei. Courtesy delle opere, Galleria Fumagalli, Milano
sca, nella sala XII, tre sculture della serie Blackbigbubble, realizzate con vesciche di bovino nella loro forma ovoidale incastonate su supporti di metallo e legno fanno pensare al rapporto tra forma e materia, pensiero che è espresso anche dall’ultima opera, Lapped rocks, dove i mangimi minerali specifici per uso alimentare zootecnico diventano blocchi per costruire un rudere una visione reale ottenuta ancora una volta attraverso visioni illusorie: ciò che è non è ciò che sembra. «Mi piace molto lavorare sulla disabitudine nostra di osservare gli oggetti e le opere e qualsiasi cosa che abbiamo intorno. In una società veloce e simile ad un rullo compressore come la nostra, abituata a guardare e passare oltre, innescare anche un solo piccolo dubbio è un grande traguardo.»
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Chiara Lecca, A fior di pelle , veduta della mostra, Collezioni Comunali d'Arte, Bologna, 2017, Foto Matteo Monti, courtesy Istituzione Bologna Musei. Courtesy delle opere, Galleria Fumagalli, Milano
Chiara Lecca nasce nel 1977 a Modigliana (FC), dove tutt’ora vive e lavora. Cresce in libertà a stretto contatto con la natura e con il mondo animale nei terreni dell’azienda agricola di famiglia. Di quegli anni, caratterizzati da forti emozioni e scoperte, conserva preziosi ricordi che contrassegnano in larga parte il suo lavoro artistico. Nel 2005 si diploma presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna. Nel 2012 è invitata ad EUARCA, progetto di scambi culturali internazionali promosso dalla Contea di Kassel (D) e dalla provincia di Forlì. Nel 2015 è nuovamente a Kassel per una mostra personale presso il Naturkundemuseum Ottoneum. Ha esposto le sue opere in vari musei e gallerie private in Italia ed Europa, tra cui Palazzo Reale di
Milano (2016), Museum Schloss Moyland, Germania (2016), Castle Gaasbeek, Belgio (2016), Museo Poldi Pezzoli e Gallerie d'Italia, Milano (2013), Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza (2012), Spazio Thetis, Venezia (2011), Kunst Meran/o Arte (2009), PROG Zentru fur Kulturproduktion, Berna (2008). Sue personali sono state presentate presso le Collezioni Comunali d’Arte_Palazzo d’Accursio, Bologna (2017), la Fondazione Ghisla Art Collection in Svizzera (2016), il MAR - Museo d’Arte della città di Ravenna (2010). Nel 2016 è stata selezionata tra i finalisti del XVII Premio Cairo a cura di ARTE Cairo editore. Dal 2008 Chiara Lecca collabora con Galleria Fumagalli, Milano.
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Nelle foto alcune opere di Dario Ferreri
occhi nuovi e nuovi media per iL mondo artistico di ferreri
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Serena Gatto
In mostra fino al 21 marzo al caffe Letterario di Lecce
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LECCE. Occhi nuovi -New Eyes è il titolo dell’ultima personale di Dario Ferreri (DF Art), in mostra al Caffè Letterario (via Paladini, 46) fino al 21 marzo 2017. Occhi, più o meno definiti e/o stilizzati, che sono quelli dell'artista autodidatta che narrano il suo macrocosmo esperienziale, gnoseologico ed emozionale invitando l'osservatore ad una esperienza osmotica. In mostra i nuovi e più recenti lavori di Ferreri che, rispetto alla produzione precedente, utilizza in queste opere nuovi media e tecniche: dalla tela alla cartapesta, dal collage di riviste vintage ai fogli di plastica, dalla foglia oro alla sabbia del Salento, in un crescendo di originalità che colpisce e racconta. Arte naif, surrealismo con un occhio al pop e al mondo della street art e forti contrasti cromatici sono i segni distintivi delle sue opere dove gli occhi diventano una sorta di “cornice” e sfondo per inglobare visioni popolate da animali, ad esempio, per esprimere, per analogia, emozioni e contraddizioni legate all'essere umano; i collage vintage e le scritte raccontano pregiudizi, fenomeni di costume e sentimenti: i fiori e le farfalle rappresentano gli epifenomeni e le transitorie apparenze individuali con le quali spesso ci mascheriamo, le figure sulle palpebre, laddove presenti, la sfumata ed imprecisa proiezione di ciò che il mondo vuole vedere o semplicemente
una delle possibili interpretazioni dell'immagine che l'iride lascia trasparire. Tra le svariate serie, di cui in mostra ci sono alcuni dipinti, colpisce particolarmente quella “salentina, Salenthydrobia un tributo alla natura locale e alla Salenthydrobia ferrerii, rarissima specie endemica locale che vive nel fiume Idume scoperta da Dario Ferreri e che porta il suo cognome. Interessante poi l'originale dittico La signuora del piano terra ed i giuoiosi condomini, denuncia sociale dell’ipocrisia imperante sul sesso a pagamento spesso sono proprio i paladini della famiglia i clienti abituali che alimentano lo sfruttamento della prostituzione. La mostra sarà visitabile negli orari di apertura del Caffè Letterario (ingresso libero con orario: 20:00-01:30) luogo di riferimento per le realtà culturali del territorio e meta privilegiata per artisti, scrittori e musicisti.
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giornata mondiaLe deLLa poesia omaggio ai versi deL d’ameLio
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Il 21 marzo all’Open Space di Lecce il libro edito da Il Raggio Verde
LECCE. Non poteva esserci occasione migliore della Giornata Mondiale della poesia per celebrare il primo poeta dialettale leccese: Francescantonio D’Amelio (1775 - 1861) dando alla stampa, in una versione anastatica, la sua raccolta di puesei a lingua leccese. Primo volume della collana, riscoperti, nata da un’idea di Fabio Colella e dalla sinergia della casa editrice Il Raggio Verde e la libreria La bambola di Kafka - spiega Giusy Petracca direttrice della collana. “La pubblicazione con le note del prof. Ersilio Bucci, datata 1891, - aggiunge - è un libro praticamente introvabile che con questa nuova edizione viene strappato all’oblio e restituito alla comunità dei lettori secondo le linee del progetto
editoriale che intende riscoprire volumi rari, e pressoché introvabili, per renderli fruibili attraverso la realizzazione di copie anastatiche. Una scelta dettata dal desiderio di recuperare parte dell’immenso patrimonio librario da restituire ai lettori lasciando inalterate le caratteristiche grafiche della versione originale”. Il libro, con il patrocinio del Comune di Lecce, si terrà il 21 marzo, a partire dalle 17:30, nell’Open Space, in piazza Sant’Oronzo. Interverranno l’assessore alla Cultura Luigi Coclite, Fabio Colella della Libreria La bambola di Kafka ideatore della collana edita da Il Raggio Verde edizioni in collaborazione con la stessa libreria, il prof. Alessandro Laporta direttore emerito della Biblioteca “Nicola Bernardini” di Lecce che ha curato l’introduzione al volume. Personaggio vissuto a cavallo tra due secoli, il Settecento e l’Ottocento, lavorò come verificatore nell'Ufficio leccese del Registro e bollo e coltivò soprattutto l’amore per la poesia in vernacolo, amore che lo sostenne anche quando in seguito ai moti rivolu-
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zionari del 1821, sospettato, fu accustato di irregolarità amministrativa e sollevato dall'incarico che ricopriva. Il sorprendente successo di pubblico riportato dalle Puesei gli valse il reintegro nella pubblica amministrazione, venne nominato segretario del Consiglio di intendenza e successivamente promosso vicecapo d'ufficio, incarico che ricoprì fino al 1858. Morì a Lecce il 28 luglio 1861. “D’Amelio è, insomma, il crepuscolo di una stagione e d’una cultura, non l’aurora della nuova. Però è altrettanto vero che la sua ironia scaturisce dalla consapevolezza di trovarsi in un crepuscolo: da ciò la larvata malinconia esistenziale che di tanto in tanto affiora dalle poesie, labile indizio del nuovo che egli aveva anticipato mettendo autoironicamente in crisi il suo piccolo mondo antico.”. L’incontro coordinato dalla giornalista Antonietta Fulvio vedrà la partecipazione dell’associazione culturale “Teatro Valle della Cupa”che darà voce ad alcuni celebri versi delle rime dameliane. Ingresso libero. ilraggioverdesrl.it
iL caseLLante di camiLLeri. aL Biondo di paLermo con iL regista dipasQuaLe «A Giuseppe il mio messaggio teatrale: fare sognare il pubblico e usare il palco come uno spazio aperto, dove il racconto trova la sua sede naturale» PALERMO. Dopo aver toccato diverse città italiane, e prima di giungere al Teatro Sistina di Roma (dal 23 al 28 maggio) Il casellante è andato in scena al Biondo di Palermo dal 7 al 12 marzo. é approdato finalmente in Sicilia, terra di contraddizioni che passa dal tubo catodico attraverso Montalbano e si riversa nel presente vivendo le passioni dei teatranti e del Teatro. «Portare Camilleri a teatro è come traghettare un’emozione tra prosa e poesia – spiega il regista siciliano Dipasquale – e questo è stato possibile anche grazie alla musica, che accompagna un linguaggio personale, originale com’è quello di Camilleri; e che ritma una divertita sinfonia di parlate fatta di neologismi, di sintassi travestita. Il Casellante è rimasto integro, ha una stabilità narrativa che è stata calata di peso nella solidità drammaturgica, questo anche perché ha la forza mitologica che l’autore ha voluto dare alla storia». Un amore artistico, quello tra Camilleri e Dipasquale, che ha segnato un passaggio di consegne: l’arte di Camilleri a teatro, con quella forza che dalle parole arriva all’azione, coinvolgendo il pubblico attraverso il sentimento. «Mentre scrivevo Il Casellante – spiega Andrea Camilleri - mi sono abbandonato a una sorta di tentativo di poesia in prosa: anche la scrittura è diversa, pur mantenendo il suo rigoroso vigatese. è più fantasiosa, più libera, più ariosa, vira e volteggia intorno alla fabula. Se il regista avesse ipotizzato una scenografica chiusa, blindando lo spazio scenico, avrebbe commesso un errore. Invece ha usato il palcoscenico come spazio aperto, come spazio della fantasia assoluta, dove il racconto ha
trovato con semplicità la sua sede naturale, utilizzando pochissimi mezzi scenici e affidando tutto il resto al canto e parola. Giuseppe ha fatto quello a cui narrativamente tendevo: una melopea teatrale, o meglio, un cunto siciliano, in cui la musica ha una valenza drammaturgica preminente che centra lo spirito motore col quale ho scritto questo lavoro. Ma questo per me è il teatro – continua lo scrittore, maestro del corso di Regia all’Accademia d’arte drammatica “Silvio D’Amico” nel 1985, quando avvenne il primo incontro tra i due - la libertà di distaccarsi dal testo pur fornendo la stessa chiave di lettura e rimanendo a fuoco sul tema, con l’obiettivo di lasciare immaginare il pubblico, trascinarlo verso la scoperta di se stesso ma attraverso un’altra dimensione». Quella profonda del teatro, dove l’azione è affidata alla parola. E viceversa. Sul palco Moni Ovadia, Valeria Contadino, Mario Incudine e con Sergio Seminara, Giampaolo Romania diretti da Giuseppe Dipasquale che firma anche le scene, i costumi sono di Elisa Savi. biglietti su www.ticketone.it
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Amatrice, foto di Ines Facchin
amatrice per non dimenticare
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Sei mesi dopo. Il reportage esclusivo della fotografa Ines Facchin
A M AT R I C E . «Oltre cinquantatremila gli eventi sismici localizzati nel 2016 dalla Rete Sismica Nazionale (RSN) dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV). Rispetto agli anni precedenti, il numero di terremoti è sensibilmente aumentato (con eventi sismici più che raddoppiati rispetto al 2014 e più che triplicati rispetto al 2015). La causa dell'elevato numero di terremoti del 2016 è dovuta, in grandissima parte, alla sequenza sismica di Amatrice, Norcia, Visso, iniziata il 24 agosto con un
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terremoto di magnitudo Mw 6.0, localizzato in provincia di Rieti, e proseguita con altri eventi di magnitudo al di sopra di 5.0 e, soprattutto, con il terremoto di magnitudo Mw 6.5 del 30 ottobre, il più forte mai registrato dalla Rete Sismica Nazionale dai primi anni Ottanta.» Il comunicato reso diramato dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia chiarisce la portata degli eventi sismici che hanno sconvolto l’Italia centrale a partire dal 24 agosto 2016 che con il suo carico di dolore e morte ha cambiato
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Amatrice, foto di Ines Facchin
anche la geografia di luoghi bellissimi come Amatrice. Ciò rende l’idea della difficoltà della ricostruzione, tuttavia la gente di Amatrice come quella di Norcia e dei paesi duramente colpiti dagli ultimi terremoti sono l’esempio vivente della determina-
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zione, del desiderio di essere comunità sfidando le leggi imprevedibili della natura. Ma c’è bisogno di insistere, oltre che di resistere, e come ci eravamo ripromessi continuiamo ad ospitare sulle nostre pagine contiributi fotografici che ci raccontano meglio di mille parole ciò che resta di Amatrice della necessità di cogliere l’opportunità della prossima primavera per iniziare un progetto di ricostruzione, per ridare dignità e speranza alle popolazioni
così duramente colpite e che hanno bisogno di non sentirsi sole e abbandonate al loro destino. Perchè c’è un altro dramma che si sta consumando oltre alla terra che continua a tremare. è l’emergenza sociale di un tessuto che è stato sfilacciato come i ferri nel cemento, il dramma della quotidianità compromessa di chi ha perso tutto e vede sempre più lontana la ricostruzione, la realtà di chi aspetta le casette pur sapendo che non sarà una soluzione a
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breve termine, lo scoramento di chi è tentato di andar via da quel che resta del proprio paese e di chi non ce la fa più a convivere con le scosse e la paura. “Una condizione a cui dovremmo essere abituati perché si sa che il nostro è un paese ad alto rischio sismico e più delle spese militari dovremmo pensare ad investire sulla difesa del suolo perché - citando lo scrittore Erri de Luca - è dalle viscere della terra che dobbiamo imparare a difenderci.
Amatrice, foto Roberto Nardi
neLLa zona rossa di amatrice
C’era una volta il corso di Amatrice, con i suoi bei negozi, i balconi fioriti, i profumi magari dell’amatriciana che tanti turisti faceva accorrere in occasione della sagra agosta-
na... ed oggi ecco quel che resta, molti detriti sono stati portati via altri sono stati addossati alle strade in parte ripulite come si rileva anche dal sito istituzionale. I fotografi Roberto Nardi e Ines Facchin hanno ripercorso alcune vie, tutt’intorno solo distruzione e silenzio. Ci restituiscono le immagini di una città ferita a morte, sembrano scenari di guerra che fanno pensare agli effetti terribili di un bombardamento ed è davvero difficile immaginare come e quando potrà ritornare ad essere il centro vitale che era... Una cosa è certa Amatrice, diventata tristemente icona del terremoto che ha devastato tutto il centro Italia, dovrà essere ricostruita. Intanto l’appello del sindaco sull’urgenza di opportune misure straordinarie di defiscalizzazione, per “non azzerare del tutto il tessuto socioeconomico del Comune di Amatrice” poiché il 92% delle attività produttive del territorio sono andate perdute con gli eventi sismici.
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Per le vie di Amatrice, quel che resta....foto di Roberto Nardi
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Per le vie di Amatrice, quel che resta....foto di Roberto Nardi
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ricominciamento Giovanni Bruno
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La riflessione dello psicologo psicoterapeuta
A guardarle le foto di Amatrice che mi sono state inviate dalla redazione si prova qualcosa che va al di là dello sgomento. La sequenza sismica che ha colpito il Centro Italia a partire dalla prima scossa del 24 agosto 2016 ha come sradicato il senso stesso dell’esistente , minute particelle di terra arida si sono accumulate ai lati di strade adesso diventate stratificazioni di insensata percorribilità. La vita che era, scomparsa in pochi minuti … adesso solo tentativo di mettersi in salvo , il cuore che accelera , il respiro che diventa affannoso e poi disordine scompiglio agitazione oltre ogni limite. Il disturbo post-traumatico si configura proprio come un disturbo psichiatrico che si manifesta in soggetti che hanno vissuto eventi di estrema violenza , con minaccia di morte o gravi lesioni. E dunque in un quadro di vita così compromesso viene comunque richiesto di andare avanti, di esporsi deliberatamente a una nuova condizione che la mente non accetta, non fa propria. Tuttavia la forza vitale che è in noi e che ci fa amare noi stessi e gli
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altri , giorno dopo giorno si rafforza , diventa una macchina in grado di generare rinascita e nel contempo favorire una trasformazione radicale della persona. Ciò che ho appena tentato di definire è il percorso naturale di un soggetto che si riabilita dallo stress post-traumatico. E tuttavia per le genti colpite dal terremoto vale un assunto che sempre dovremmo aver presente : sono vite che non sono la nostra. E’ tale il rovesciamento di un ordine naturale dello stato delle cose che una identificazione con colui che ha subito questo trauma è impossibile. C’è il lento passare delle stagioni , l’autunno già freddo in quelle zone e la memoria che va a inverni lontani in cui c’era una pacata tranquillità ora del tutto scomparsa. Ma una forza germinatrice di vita nuova deve nascere nell’animo di uomini e donne che quella notte hanno sentito e visto devastare la propria esistenza. Proprio perché il tempo che passa non è neutrale ci deve essere un carattere di urgenza che le istituzioni devono porre in atto per un aiuto concreto a persone che
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avevano il necessario ed ora hanno solo una stanza di albergo o una sistemazione precaria. Un supplemento di riflessione su un tema così delicato ci è offerto da due giovani narratrici che hanno volto lo sguardo verso bambini e anziani che hanno avuto esperienza di eventi così impressionanti e dolorosi. In Casca il mondo Nadia Terranova ci parla di Oscar che con il terremoto ha provato una così grande paura tanto che da quel giorno non parla più . Ma presto incontra un suo coetaneo che scappa da un altro terremoto … la guerra. La loro relazione goffa e timida all’inizio sarà in grado di cambiare le loro vite. Michela Monferrini con L’altra notte ha tremato Google Maps ci racconta dei ricordi di una nonna che da giovane frequentava Amatrice e ora chiede al nipote di riportarla in quei posti. Vuole rivedere il luogo che un tempo fu lo specchio delle sue emozioni ma quel luogo adesso non c’è più. L’idea dunque è quella di una ricostruzione che parta proprio dai rammendi interiori di bambini e anziani così da poter aggiungere vita vera agli anni.
25 primavere per Le giornate fai appuntamento con La BeLLezza
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Il Castello di Sammezzano al primo posto de I luoghi del cuore
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Il 20 marzo 1993 segna l’inizio di un evento destinato a ripetersi nel tempo e a raccontare un'“Italia nascosta” da scoprire e da salvare perché “Si ama solo ciò che si conosce, si protegge solo ciò che si ama” citando le parole di Giulia Maria Crespi, storica fondatrice e oggi presidente onorario del FAI. è la prima edizione delle Giornate FAI di Primavera, un evento che introduce un concetto pionieristico: la possibile cooperazione tra pubblico e privato nel segno della salvaguardia e della valorizzazione dei beni culturali. Sono trascorsi venticinque anni e l’evento continua ad appassionare e a ripetersi puntuale e attesissimo. Quest’anno le Giornate Fai di Primavera coincidono come di consueto con il primo week end di Primavera, il 25 e 26 marzo, con l’apertura di mille luoghi del Belpaese e il coinvolgimento di numerose istituzioni, dalle Regioni alle Soprintendenze, dalle Province ai Comuni, alle scuole - più di 500 istituti scolastici - con gli studenti (oltre 35.000) che in veste di “apprendisti ciceroni” diventeranno le guide storico-culturali nei beni aperti in occasione della manifestazione. Una grande festa per scoprire e valorizzare la bellezza del nostro immenso patrimonio che rende l’Italia un paese unico al mondo. E in attesa di consultare il programma, sono stati annunciati i risultati dell’’ottava edizione de Luoghi del Cuore 2016 dedicata all’archeologo Khaled al-Asaad, l’eroe di Palmira ucciso dall’Isis il 18 agosto 2015 per non aver voluto rivelare il luogo dove erano conservati alcuni antichi reperti dell’epoca romana. Un omaggio alla memoria dell’archeologo per dare un significato forte e di drammatica attualità a un sentimento condiviso: l’amore per i luoghi che amiamo e il desiderio di proteggerli per il futuro. 1.573.032 gli Italiani che hanno partecipato al censimento con 33.264 luoghi segnalati da singole persone o dai 319 comitati attivatisi, tra i quali si segnano, ad esempio,
quelli per il Ponte romano sull’Ofanto a Canosa di Puglia (BT) (8° posto), per la Cripta del Padre Eterno di Otranto (LE) (15°); e per il Palazzo Ducale di Piedimonte Matese (19° posto). Al primo posto, il Castello di Sammezzano a Reggello (FI), capolavoro di arte eclettica, con un parco di 190 ettari, già tenuta di caccia in epoca medicea. La sua veste attuale risale alla seconda metà dell’Ottocento e si deve al marchese Ferdinando Panciatichi Ximenes che riprogettò il castello in stile orientalista, rievocando capolavori dell’arte moresca come l’Alhambra e il Taj Mahal. Chiuso al pubblico e in stato di abbandono si spera possa essere recuperato e diventare patrimonio di tutti. Al secondo posto l’imponente Complesso di Santa Croce a Bosco Marengo (AL), al terzo posto le Grotte del Caglieron a Fregona (TV). Per scoprire l’intera classifica basta andare sul sito, iluoghidelcuore.it, e su quello del Fai, fondoambiente.it, dove tra l’altro continua la raccolta fondi per il restauro dell’Oratorio della Madonna del Sole per restituire agli abitanti di Capodacqua, frazione di Arquata del Tronto, il monumento più amato.
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Antonio Cazzato al lavoro , foto di Maurizio Antonazzo
L’antica tradizione dei cazzato “fiscuLari”saLentini
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A Specchia dal 1890, quattro generazioni produttori di filtri oleari
Gira e rigira la ruota, oggi con la forza motrice dell’energia elettrica, ieri con le braccia e la fatica di Antonio Cazzato, che adesso guarda con orgoglio suo figlio Adolfo preparare i filtranti oleari per i frantoi di oggi in fibra vegetale, approvati per la conservazione e la lavorazione di alimentari, ricorda quando alla sua stessa età li realizzava in fibre naturali, leggermente diversi da quelli odierni, realizzati in cocco e formati da un doppio disco filtrante legato ai margini e forato al centro e preparava anche i vari canestri o ceste per il trasporto
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delle olive e di altre materie sia all’esterno che internamente al frantoio. A Specchia, cittadina nota per la sua tradizione nell’artigianato dolciario, Antonio, conosciuto come “lu fiscularo”, spesso torna con la mente a qualche secolo addietro quando nei frantoi venivano utilizzate le presse a vite verticale che esercitavano una pressione sulla pasta di olive riposta all’interno dei fiscoli impilati sulla base. Presse chiamate “torchi alla calabrese”, poi evoluti “alla genovese”, più semplici in quanto occorreva una sola vite senza fine, che, fra l’altro, richiedeva meno spazio e meno mano d’opera. Quando la trave della pressa veniva abbassata e l’olio usciva dai lati dei fiscoli per essere raccolto all’interno di da cisterne in pietra interrate. Oggi la pasta viene posta sui dischi di fibra vegetale e poi vengono impilati su carrelli e intervallati da dischi di acciaio per uniformare la pressione. Dai fiscoli ai filtranti oleari, realizzati con la ruota, una sorta di “telaio rotante”, quanto tempo è passato per la famiglia Cazzato, un lungo ponte di tre secoli, dal 1890 ai giorni nostri, quattro generazioni hanno contribuito a
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far produrre olio salentino, da quello lampante, combustibile un tempo usato per le lampade e venduto per le città del Nord Italia e di buona parte dell’Europa, a quello extra vergine con qualità organolettiche eccelse. Quando l'ottanta per cento dei terreni coltivabili della provincia di Lecce era adibito a oliveto e la maggior parte della popola-
zione era impegnata nelle campagne. Adolfo lavora in in via Diaz, 28, di uno dei “Borghi più Belli d’Italia”, a pochi metri dal cuore del centro storico, in soli tre ambienti, ricavati dalla casa nella quale, oltre 80 anni fa, nacque il padre Antonio. Nel suo laboratorio, nulla è stato modificato, ha lo stesso intonaco dell’edificazione originale,
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Alcuni momenti della lavorazione dei filtri nelle foto scattate da Maurizio Antonazzo
ambienti con le volte a stella come un secolo fa, con un vecchio letto di una volta a una piazza tra i prodotti esposti. Anche il pavimento è quello di
una volta, usurato e rigato, per il continuo calpestio, lo stesso di quando solo in un anno i Cazzato producevano decine di migliaia di filtranti oleari e vini-
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coli. Realizzati da decine di persone che lavoravano lungo tutta via Diaz, come dopo qualche decennio lo stesso Adolfo, che da ragazzino, pensando al campo di calcio, dove, dopo inebrianti dribbling, segnava tanti gol, poi tornava a casa per tirare i cordami da un lato e con il padre Antonio dall’altro a girare la ruota. Oggi Adolfo lavora da solo, sotto gli sguardi in foto, di oltre sessant'anni fa, di Santo, capostipite della famiglia, primo maestro “fiscularo” e della nonna Elisa. Senza modificare la produzione originaria, ma adeguando e differenziando i prodotti, cambiando target e mercati, per rispondere a nuovi bisogni e utilizzi. Con le sue mani intreccia le fibre di cocco e rafia in polipropilene quasi per magia, in varie colorazioni al fine di ottenere eleganti e gioiosi motivi geometrici, tra altre foto in bianco e nero, che mostrano quando i fiscoli erano a doppio strato e con giovani specchiesi con abiti semplici, insieme al torcitoio del 1890, ancora in mostra, i filtranti già utilizzati con la fibra ormai scura, a testimoniare un passato di duro lavoro, che riposano vicino agli enormi rotoli di filato di cocco pronte a essere utilizzate e ai bianchi matasse di rafia. Le rapide mani di Adolfo non permettono allo sguardo attento del visitatore di carpire i segreti della sua antica arte, mentre dimostra ai visitatori come quotidianamente intreccia manualmente diaframma dopo diaframma. Cesti e tappeti in fibra di cocco e in rafia colorata, tende e borse di
corda, portachiavi, rivestimenti per vasi, porta frutta,poggia pentole e piatti, impagliatura di sedie e gadget in corda, componenti di arredo, questi sono i prodotti dei giorni nostri, adattabili, singolari, arricchiti dall’impegno e da una storia locale che si perde nella notte dei tempi. Oggetti pratici, ricchi di colori di oggi, non solo in frantoi e oleifici, ma anche in lussuose abitazioni,consigliati da stimati designer d'interni. Il laboratorio di Adolfo è la testimonianza di una cultura artigiana ormai scomparsa, trasformato in un’attrazione turistica, a testimoniare la “memoria storica” del Salento e il suo ricco passato di produttore e commerciante di olio,quando le navi mercantili partivano da Gallipoli per solcare il Mediterraneo verso il Nord Europa. Tutti in filato di cocco, proveniente dall'India, e in rafia, i manufatti nati dalle mani di Adolfo Cazzato, ogni anno richiamano intenditori e apprezzamenti da ogni parte d'Italia, grazie alla carta stampata e alle tv che hanno fatto conoscere un artigianato originale dalla produzione sconosciuta. Tante le mostre, le fiere e le sagre alle quali Adolfo ha esposto i suoi prodotti, raccontando ogni volta, soprattutto a giovani e turisti, la storia poco conosciuta di ogni oggetto e dei frantoi ipogei, componenti fondamentali nell’estrazione dell’olio d’oliva di una volta, senza dimenticare “………dal 1890 nel segno della tradizione.”
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Ingresso di Palazzo Vernazza
iL profumo deL ricordo se L’arte incontra La memoria
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L’orto dei ricordi la mostra laboratorio dell’associazione Le Ali di Pandora in programma per Itinerario Rosa dal 20 al 27 aprile a Lecce
LECCE. Nel vasto programma di Itinerario Rosa, il cartellone di eventi promosso dal Comune di Lecce, l’associazione Le ali di Pandora presenta dal 20 al 27 aprile 2017a Palazzo Vernazza la mostra intitolata L’orto dei ricordi. L’arte ed il ricordo possono essere collegati - spiega Ambra Biscuso - l’arte è un mezzo attraverso il quale emozioni e sensazioni filtrate dall’inconscio lasciano tracce indelebili dei ricordi, utilizzata, fin dai tempi più remoti, per dare messaggi, di potere, di conquista, di amore di unità, di famiglia così che impronta dell’uomo rimanga oltre la morte, e la donna da sempre è stato scrigno che preserva il ricordo. Il progetto L’orto dei ricordi mira a dare importanza alla memoria usando l’arte come cura; ricordi che affiorano attraverso gli odori anche in un osmosi tra l’artista e l’olfatto riassaporando le sensazioni visive dei ricordi con la riscoperta del passato in uno stretto legame che unisce gli odori e l’uomo e come sosteneva in un passo della Histoire de ma vie Giacomo Casanova «So di essere esistito e, siccome questa certezza mi viene dall’ver sentito degli odori, so anche che non esisterò più quando avrò smesso di sentirne». La rimembranza ha da sempre stimolato gli artisti così che vasta è la bibliografia sia letteraria che filmografica in cui ricordi e profumi sono protagonisti. Dalla scrittura alla pittura, alla scultura, alle instal-
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lazioni, ai video, alle performances, in mostra le opere di Cristina Baldari, Roberto Bergamo, Mario Calcagnile-Raffaella Muhlhausen, Glauco Lèndaro Camiless, Veronica Cavone, Daniela Cecere, Mina D’Elia, Enzo De Giorgi, Carmina Falcione, Lucy Ghionna, Rossella Greco, Marco Ingrosso, D&amp;S Italy, Monica Lisi, Massimo Marangio, Luigi Martina, Maurizio Martina, Sean Price, Luigi Priore, Giorgia Prontera, Andrea Scolavino, Silvia Sparro, Paola Zampa. Nell’ambito della manifestazione che sarà inaugurata dalla performance “Il canto del tempo” di Giulia Piccinni, sono previsti altri due incontri “Caduto a terra non sapevo dove”; laboratorio interattivo di informazione e sensibilizzazione sull’Alzheimer a cura del Centro Diurno socio - assistenziale per l’Alzheimer “Porte del Cuore” di Lecce - Comunità Emmanuel, introduce dott. Vincenzo Leone, interviene dott. Roberto Nuzzo. Il finissage, 27 aprile, sarà lo spazio dedicato alla performance con la partecipazione di: Arturo Alessandri, Tiziana Buccarella, Chiara D’Ostuni, Alessandra Cocciolo Minuz, Andrea Ortese, Francesco Pasca: gli attori si confronteranno con il tema dei ricordi, i profumi, la memoria. L’orTo DeI rICorDI Palazzo Vernazza Castromediano Vico Vernazza -Lecce orario apertura 10/12- 17/20,30, ingresso libero
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Nelle foto: Pino Procopio, Il giocatore; in basso L’architetto, 2017
La pittura in fotogrammi iL mondo onirico di procopio
“ FOGGIA. Un viaggio nel mondo fantastico del movimento, dell’irrealtà e dell’introspezione. Con i dipinti di Pino Procopio, che si inaugurerà l’8 aprile 2017, la Contemporanea Galleria d’Arte di Giuseppe Benvenuto, festeggia i suoi primi venti anni di mostre. Un’inaugurazione in grande stile con la partecipazione di Luigi Miranda – Presidente del Consiglio Comunale del Comune di Foggia, di Michele Vaira, Presidente Nazionale dell’Aiga e di Gianfranco Terzo assessore del Comune di Sannicandro di Bari. Pittore, scultore e illustratore, dopo gli studi artistici iniziati a Catanzaro, Pino Procopio nel 1982 si laurea in architettura all’Università La Sapienza di Roma. Il colore oltre ad una sottile ironia sono “il filo conduttore dell’estro creativo del Maestro e che è capace di spingere l’uomo a guardare il mondo come se fosse un bambino.” scrive Gianfranco Terzo che aggiunge “Un’opera del Maestro Pino Procopio riempie: una stanza, un muro, un luogo, un mondo, una vita, una giornata. Proietta quelle immagini che a primo impatto possono sembrare strane e insignificanti in un contesto fatto di storie, desideri e obiettivi anche di carattere sociale, popolare e profondamente moderno. La sua chiave di lettura è data dall’ironia, dall’umorismo e dal dinamismo che trasportano l’uomo comune nel mondo onirico, nel mondo dei sogni di ognuno. Sogni che possono essere incubi deformi del
Dall’8 al 20 aprile la personale di Pino Procopio celebra i venti anni di mostre della Contemporanea Galleria d’Arte
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vivere quotidiano fatto di razzismo, consumismo, amori virtuali ma sempre espressioni di vita: la medesima vita di ogni uomo che, comunque, è stato un bambino!” PINo ProCoPIo mostra personale dal 8 al 30 aprile 2017 Contemporanea Galleria d’Arte Foggia, viale Michelangelo, 65 orario, tutti i giorni: 10-13/17-20:30 (escluso Pasqua e Pasquetta)
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Nelle foto: Danilo Baletic e Fiorenzo Galli, foto Paolo Soave e un particolare dell’allestimento della mostra
La roBotica in mostra. prima tappa mondiaLe per transformer art
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A Milano nel Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci
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MILANO. Ispirate ai celebri Transformers, alieni robotici che diventano mezzi di trasporto, le gigantesche creazioni dell’artista montenegrino Danilo Baletic invadono pacificamente il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia. Prima tappa di un tour mondiale, Transformers Art, promossa da Baha Fine Art, è stata inaugurata lo scorso 3 marzo e potrà essere visitata fino a lunedì 1 maggio. Le otto sculture metalliche, alte da tre a otto metri, sono realizzate dall’artista con materiali recuperati nelle discariche, con l’intento di attirare l’attenzione sul tema dei rifiuti come risorsa.
Per il Museo si tratta di una nuova occasione per mettersi in gioco portando nei propri spazi un’esposizione che rende l’esperienza di visita più curiosa e originale. La Transformers Art stimola l’attenzione e l’immaginario su molti temi affrontati dal Museo: dalla sostenibilità alla robotica, dal rapporto uomomacchina al riutilizzo creativo dei materiali. Il contesto di esposizione permette dunque di guardare alle opere d’arte con tanti occhi diversi. Dopo Milano, il progetto Transformers Art sarà in Danimarca e a Londra e poi viaggerà dall’Europa all’Asia passando per gli Stati Uniti. Nei primi weekend di apertura al pubblico il Museo proporrà ai suoi visitatori alcune attività interattive speciali per bambini e adulti ispirate all’esposizione. In particolare sabato e domenica 4-5 e 11-12 marzo, nell’attività Transformers fai da te, bambini e adulti portando un vecchio oggetto o giocattolo potranno trasformarlo in una nuova creatura capace di muoversi. Sabato 18 e domenica 19 marzo potranno cimentarsi in una Gara di robotica per una sfida a squadre in cui addestrare un robot a compiere un divertente percorso o progettare e costruire Veicoli animati da mettere alla prova. La visita alle installazioni e le attività speciali sono comprese nel biglietto d’ingresso al Museo (10€, ridotto 7,50). Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Info: 02.485551. www.museoscienza.org
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da haYez a BoLdini. anime e volti della pittura italiana dell’ottocento Brescia, Palazzo Martinengo (via dei Musei 30) fino all’11 giugno 2017 Orari: da mercoledì a venerdì, dalle 9.00 alle 17.30; sabato, domenica e festivi, dalle 10.00 alle 20.00; lunedì e martedì chiuso Biglietti: intero 10€; ridotto 8€; ridotto gruppi 8€; scuole 5€ Visite guidate: gruppi 80€; scuole 45€. Info e prenotazioni: tel. 380-4650533 exhiBition paintings Merano Arte - Edificio Cassa di Risparmio fino al 17 aprile 2017 Tel + 39 02 36755700 renato mamBor Connessioni invisibili Galleria Gruppo Credito Valtellinese Corso Magenta n. 59 – Milano fino al 25 marzo 2017 Orari: da martedì a venerdì 13.3019.30, sabato 15.00-19.00 chiuso domenica e lunedì Info: tel. +39 0248.008.015 francesco deL drago. parlare con il colore Roma, Museo Carlo Bilotti Aranciera di Villa Borghese Viale Fiorello La Guardia Ingresso gratuito. Orario: dal martedì al venerdì ore 10 – 16 ; sabato e domenica ore 10 -19. Info 060608 www.museocarlobilotti.it
fergoLa. Lo spLendore di un regno Una mostra monografica su un grande protagonista, fino ad oggi dimenticato, della pittura a Napoli negli anni della Restaurazione. Napoli, Gallerie d’Italia, via Toledo 185 fino al 2 aprile 2017 Orari: da martedì a venerdì dalle 10:00 alle 18:00 (ultimo ingresso alle 17:30). Sabato e domenica dalle 10:00 alle 20:00 (ultimo ingresso alle 19:30). Lunedì chiuso Biglietto congiunto valido per la visita alla mostra temporanea e alle collezioni permaenti: intero € 5 | ridotto € 3. LiBertY in itaLia. artisti alla ricerca del moderno mostra a cura di Francesco Parisi e Anna Villari Reggio Emilia, Palazzo Magnani fino al 2 aprile 2017 Orari: dal martedì al giovedì 10.0013.00/15.00-19.00; venerdì, sabato e festivi 10.00-19.00 – lunedì chiuso Info: 0522 454437 – 444446 – info@palazzomagnani.it marceLLo morandini Museo MA*GA, via E. De Magri 1, Gallarate VA, 12 marzo - 16 luglio 2017 Orari:Lunedì chiuso Martedì-venerdì, 10.00|18.30 sabato e domenica, 11.00|19.00 Info: Tel. +39 0331 706011 marco schifano Milano, Studio Giangaleazzo Visconti fino al 24 Marzo 2017 Orari: da lunedì a venerdì, 10.00 13.00; 15.00 – 18.30. Ingresso libero. Tel. 02.795251 guercino a piacenza 4 marzo - 4 giugno 2017 Cattedrale di Piacenza (piazza Duomo) Musei di Palazzo Farnese, piazza Cittadella 29 Orari: martedì, mercoledì, giovedì, domenica, dalle 10.00 alle 19.00 venerdì e sabato, dalle 10.00 alle 23.00; lunedì chiuso Intero: Cattedrale: 10 €; Palazzo Farnese: 7 €; Cattedrale + Palazzo Farnese, 12 € Info: tel. 335.1492369
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artico. uLtima frontiera fotografie di paoLo soLari Bozzi / ragnar axeLsson / carsten egevang Venezia, Casa dei Tre Oci Fondamenta delle Zitelle, 43 fino al 2 aprile 2017 Orari: Tutti i giorni 10– 18; chiuso martedì.Info: tel. +39 041 24 12 332 art dÉco. gli anni ruggenti in italia Forlì, Musei San Domenico fino al 18 Giugno 2017 Informazioni e prenotazioni mostra tel. 199.15.11.34 Riservato gruppi e scuole: tel. 0543.36217 i maestri deL coLore arte a venezia nell’800 Milano, Galleria Bottegantica Venerdì 24 Marzo 2017 - Sabato 20 Maggio 2017 Orari: da martedì al sabato 10-13 e 15-19. Ingresso libero Info: (+39) 02 62695489 (+39) 02 65560713 cortesie per gLi ospiti. un gallerista. La sua visione. un progetto espositivo giampaoLo aBBondio (galleria pack) Spoleto (PG), Palazzo Collicola Arti Visive (piazza Collicola 1) 4 marzo - 12 maggio 2017 Orari: dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 17.30.Chiuso martedì Ingresso: Intero - € 6.50; Ridotto - € 4.00 (dai 15 ai 25 anni). Gratuito fino a 14 anni. Info: tel.0743.46434; info@palazzocollicola.it keith haring. aBout art Milano, Palazzo Reale fino al 18 giugno 2017 Orari: lunedì: 14.30-19.30; martedì, mercoledì, venerdì e domenica: 9.30-19.30; giovedì e sabato: 9.3022.30 (ultimo ingresso un’ora prima della chiusura). Ingresso: Intero € 12 / Ridotto € 10/ Ridotto scuole € 6 / Biglietto Famiglia: uno o due adulti € 10 a testa, bambini fino a 5 anni gratuito, da 6 a 14 anni € 6 www.palazzorealemilano.it www.mostraharing.it
ITINER_ARTE...DOVE E QUANDO...
hierapoLis di frigia. iL santuario di san fiLippo mostra documentaria a cura di Francesco D’Andria fino al 20 marzo 2017 MUSA – Museo Storico-Archeologico, Università del Salento, via di Valesio - angolo viale San Nicola, Lecce orari di apertura: dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 13.30, martedì e giovedì anche dalle 15 alle 17.30 Ingresso gratuito, visite guidate su prenotazione. Info: 0832 294253; infomusa@unisalento.it
LUOGHI DEL SAPERE
L’ispettrice petra deLicado, se iL poLiziesco è donna
ALICIA FIMéNEZ BARTLETT Riti di morte Sellerio Editore, 2002 pp. 388 ISBN 9788838917806 6,80 €
Per chi non legge i romanzi polizieschi perché i protagonisti sono sempre e solo uomini, vi consiglio la lettura delle storie raccontate dalla scrittrice spagnola Alicia Giménez-Bartlett che con il libro, “Riti di morte”, racconta la prima delle avventure investigative che vedono come irresistibili protagonisti l’ispettrice Petra Delicado e il suo stretto collaboratore, il vice-ispettore Fermin Garzón. Alicia Giménez-Bartlett, spagnola, ex docente di letteratura spagnola, già prima di raggiungere la notorietà presso il grande pubblico, aveva scritto diverse opere, sia saggi che romanzi. Ma la sua consacrazione come grande scrittrice amata non solo nel suo Paese è avvenuta con la lunga serie di romanzi polizieschi incentrati sulla figura, appunto, dell’ispettrice Petra Delicado. Per caso (o forse perché così era scritto da qualche parte), mi imbattei in “Riti di morte”. La scrittrice mi era sconosciuta, l’avevo appena sentita nominare, ma mi incuriosiva e non esitai a comprarlo tanto più che ho un debole per i narratori spagnoli. Ci sono dei libri che quasi certamente non saranno mai considerati delle pietre miliari della letteratura mondiale e che pure sono piacevolissimi, semplici ma ben scritti, rilassanti e, allo stesso tempo, sufficientemente profondi e per nulla banali: la compagnia ideale in quei momenti nei quali anche il lettore più esigente ha bisogno di godere, senza grande sforzo, di letture non troppo impegnative, ma leggere, scorrevoli e magari divertenti. “Riti di morte”, nonostante il tema trattato (l’ispettrice dà la caccia a uno stupratore seriale), e tutti gli altri episodi della serie (che naturalmente ho pian piano comprato e letto), appartengono a questa categoria. A tal proposito ricordo e condivido pienamente la considerazione del mio scrittore preferito, Arturo Pérez Reverte: “C’è un’opinione sbagliata per cui la letteratura deve necessariamente essere profonda e noiosa, oppure divertente e superficiale. Questo è falso: dev’essere invece insieme profonda e amena, deve far riflettere e divertire, affascinarti e nello stesso tempo darti una carica interiore che ti permetta di vivere quelle vite che ti sono negate nel mondo reale”. Tornando a “Riti di morte”, il romanzo costituisce in qualche modo una presentazione dell’ispettrice Petra Delicado e del suo vice Fermin Garzón. Lei, uscita da un’acuta crisi esistenziale (due matrimoni naufragati e una brillante carriera di avvocato abbandonata perché non appagante), barcellonese, attraente, elegante, colta, dura, snob e femminista, entrata in polizia e confinata (perché donna, a suo dire) in un archivio, si trova per circostanze fortuite a dover affrontare, finalmente, un caso spinoso. Lui, più anziano, provinciale, lento, grasso, goffo e sentimentale, carico di esperienza e (apparentemente) di pregiudizi, viene affiancato, suo malgrado, alla superiore. Tra i due, così diversi tra loro per carattere e ideologie, nasce pian piano un rapporto di amicizia e di stima (celato sotto le apparenze di un semplice rapporto di formale collaborazione) contraddistinto da una infinita serie di divertenti schermaglie – fulminanti battute e argute punzecchiature – che costituiscono uno dei tratti più felici della narrazione. La caratterizzazione dei perso-
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naggi, anche con le loro debolezze e incertezze (spesso giungono alla soluzione per puro caso o traendo spunto dai propri clamorosi errori), è magnifica. Un mix gustosissimo di ironia e autoironia, disincanto e riflessione. Ma “Riti di morte”, così come gli altri romanzi della serie, non è “solo” un poliziesco. è anche un’analisi di quei contrasti e di quelle problematiche sociali – e di quei veri e propri inferni – che affliggono Barcellona, ma che naturalmente sono comuni a tante altre realtà geografiche. Gli originali intrecci legati alle inchieste, il tono elegantemente leggero e divertente (leggendo ci si ritrova spesso a sorridere o addirittura a ridere di gusto), l’ironica ma anche sferzante critica sociale… Questo incastro di diversi registri narrativi rende i romanzi della Bartlett, da alcuni definita la Camilleri spagnola, una lettura veramente preziosa. A “Riti di morte”, che va letto per primo, sono seguiti, come ho detto, numerosi altri (e ancor più belli) romanzi che hanno per protagonista questa improbabile e deliziosa coppia di investigatori. Tra questi segnalo “Giorno da cani” e “Messaggeri dell’oscurità”, ma tutti, tutti meritano di essere letti. Michele Bombacigno
Le indomaBiLi. storie di donne rivoLuzionarie iL nuovo LiBro di davide steccaneLLa
DAVIDE STECCANELLA LE INDOMABILI Storie di donne rivoluzionarie isbn: 9788899699055 Edizioni paginauno pp.224 15,00 €
Le schede di questo saggio raccontano di donne che hanno scelto la via rivoluzionaria. Donne molto diverse tra loro, ognuna delle quali ha combattuto la propria battaglia secondo quello che era il proprio contesto storico, politico e sociale, ma tutte motivate da un identico ideale: sovvertire il potere costituito mettendo in gioco la vita, gli affetti e le proprie certezze. Alcune sono morte combattendo. Altre hanno scontato molti anni di carcere o sono state costrette a fuggire dal loro Paese. La prima, la francese Louise Michel, appartiene al passaggio tra i due secoli e l’ultima, Hedy Epstein, tedesca di Friburgo, figlia di deportati ad Auschwitz e da anni cittadina americana, si fa arrestare a novant’anni, negli anni della globalizzazione, mentre protesta contro il governatore del Missouri per l’uccisione di un ragazzo nero. Nel lungo lasso di tempo che divide le loro esistenze scorrono poco meno di cent’anni, ma il racconto di queste quaranta storie è occasione per l’autore di ripercorre i più importanti fermenti rivoluzionari che hanno attraversato l’ultimo secolo del secondo millennio. Davide Steccanella (Bologna 1962) vive a Milano. Avvocato e giornalista pubblicista, è autore de I promessi sposi in cialdoni (2007), Montserrat Caballé, ultimo soprano assoluto (2009), Gli anni della lotta armata. Cronologia di una rivoluzione mancata (2013), Non passa lo straniero. Ovvero quando il calcio era autarchico (2015) e Agenda rivoluzionaria 2017 (2016). Nel 2014 ha collaborato alla realizzazione di Genitori G.A.Y di Sara Kaye e nel 2015 di Una stagione milanese di Miki Solbiati e Duccio Locati.
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LUOGHI DEL SAPERE
GGGGG pugLia. visioni di autore iL nuovo LiBro curato da teresa de francesco
Puglia. Visioni d’autore a cura di Teresa De Francesco illustrazioni Donato Sciannimanico Progredit Edizioni Edizione: 2016, pp. 248 con ill. a col. ISBN: 978-88-6194-283-7
Ci sono molti modi per visitare una regione; il modo migliore per emozionarsi è comprenderne la vera natura, osservare, imparare a conoscere gli usi e costumi della popolazione, le sue contraddizioni, lasciarsi coinvolgere con tutti i sensi fino a scoprirne l’essenza. è quanto hanno fatto gli autori dei brani raccolti nell’antologia, Puglia. Visioni d'autore, a cura di Teresa De Francesco. Un breviario di arte, letteratura, paesaggio, bellezza; insomma, un breviario di Puglia, terra di approdi e di partenze, terra di transito dove scompaiono i confini tra culture che si incontrano, mescolandosi; luogo dove la terra e il mare si sposano con declinazioni sempre diverse sotto la luce accecante del sole riflessa sulla pietra che affiora ovunque, scabra, lavorata o rivestita a calce, contraltare ad un buio mondo sotterraneo fatto di grotte, ipogei e chiese rupestri di inimmaginata bellezza; dove la profonda religiosità si fonde con riti e tradizioni che ricordano miti pagani mai del tutto sepolti. In Puglia il mondo arcaico e meraviglioso della campagna riesce a convivere con il mondo contemporaneo senza perdere la sua forte identità grazie al lavoro di uomini dalla proverbiale operosità. Un’identità “meticcia”, un crogiolo di popoli, lingue e religioni in cui si incontrano Oriente e Occidente come non avviene in nessun altro luogo. Teresa De Francesco, dopo la laurea in Lettere con indirizzo storico-artistico e un perfezionamento in Comunicazione educativa e didattica, consegue il diploma di Archivistica, Paleografia e Diplomatica e il diploma di Master in Editoria e Comunicazione multisettoriale. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo Bari Contrada Madonna dell’Arco: 250 anni di storia raccontati dal palazzo Abbatescianni (Adda, Bari 2014) e Bari racconta. Segni, storie e monumenti, Progredit (2012).
viaggio aL centro deLLa terra in uscita iL romanzo di verne a fumetti
CLAUDIO NAPOLI MARCO LIRINI Viaggio al centro della Terra Nicola Pesce Editori ISBN 978-88-97141-87-7 14.90 €
Dal romanzo fantastico di Jules Verne, uno straordinario viaggio a fumetti nelle profondità del mondo, in uscita il 16 marzo per i tipi di Nicola Pesce Editori. Il libro firmato dagli autori Claudio Napoli, Marco Lirini racconta le vicende del professore di mineralogia Otto Lidenbrock che rinviene una pergamena scritta in caratteri runici: sono le indicazioni per raggiungere il centro della Terra attraverso un vulcano…Un viaggio ricco di avventura e colpi di scena, tra creature preistoriche ancora vive nei meandri della Terra, fiumi di lava, mostri e mari sotterranei! Jules Verne (1828-1905), spesso italianizzato in “Giulio Verne”, è stato uno scrittore francese, considerato tra i padri della moderna fantascienza e tra gli autori più influenti in assoluto di storie per ragazzi e “romanzi scientifici”. La sua incredibile visionarietà e preveggenza gli ha fatto prevedere un secolo di anticipo le più moderne scoperte scientifiche, dai sottomarini ai missili, dallo sbarco sulla Luna all’esplorazione degli oceani, dalle pistole elettriche alle videoconferenze, dalle scritte in cielo a centinaia di altre invenzioni.
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pLastic GGGG shop. tra ironia e reaLtà iL mondo di pLastica e Le foLLie deL consumismo
ANDREA CAMPUCCI Plastic Shop Leone editori pp.149 ISBN 9788863932799 9,90 €
Plastic Shop di Andrea Campucci, pubblicato nella collana Satura da Leone Editori è un libro diverso dal solito, l’autore utilizzando un linguaggio fresco e stando ben attento a descrivere nel dettaglio personaggi bizzarri e situazioni paradossali, riesce a coinvolgere il lettore in questo mondo di plastica. Attraverso la storia raccontata in Plastic Shop è possibile conoscere la visione dello scrittore alquanto realistica, anche se raccontata in modo sarcastico, su come stia diventando parte della società da quando gli outlet imperversano nella maggior parte delle città italiane. Quella che viene narrata nel libro, a tratti ironica ma molto riflessiva, è la vicenda di cinque ragazzi, cinque amici, che durante un giorno di festa decidono di recarsi all’outlet di Barberino del Mugello. Sarà in questo non luogo, come direbbe l’antropologo francese Marc Augé, che i giovani si troveranno a contatto con un mondo artificiale, un grande negozio di plastica in cui le persone si estraniano dalla realtà girando come robot tra le vie commerciali per fare acquisti a prezzi scontati. Girovagando in cerca degli sconti migliori da sfruttare per il Natale, soprattutto in cerca del regalo che il protagonista vuole fare al fratello che partirà di lì a qualche giorno per andare in Svezia a trovare la ragazza, le cose si metteranno male. Dopo aver fatto uso di droghe e aver bevuto, tutto inizia ad assumere una forma inquietante, qualcosa che porterà alla luce tante piccole ossessioni e le paure nascoste. Insomma il lettore di Plastic Shop potrà vivere, accanto ai protagonisti, un viaggio allucinante tra promozioni, annunci, luci, manichini, clienti, grandi marchi e commesse. Inoltre, grazie all’ironia di Andrea Campucci, alla sua visione alternativa degli outlet e della disperata corsa agli sconti per accaparrarsi i prodotti migliori a poco prezzo, il lettore potrà meglio rendersi conto di come la nostra società sia sempre più dedita al consumismo folle e sfrenato, senza pensare alle vere esigenze. Un libro in cui si mette in discussione tutto il mondo legato agli outlet, ai clienti, alla società che perde di vista ciò che conta a favore dei saldi.
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Lo scrittore Eugenio Montale e la scrittrice Irma Brandeis
“Mia cara irMa” il Montale innaMorato Giusy Gatti Perlangeli
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amori letterari
Tra le righe di un’intensa storia d’amore
«Vestito con buon gusto (…) davvero semplice, alquanto brutto e spesso, persino, piatto»: questa l’impressione che l’italianista americana Irma Brandeis aveva avuto incontrando Eugenio Montale per la prima volta. Non solo. Riferisce anche una conversazione nella quale non riesce a salvare «dieci parole degne di essere ricordate». Eppure era stata lei a cercarlo. Il 15 luglio del 1933 una ragazza alta, capelli corti e scuri a caschetto, occhi azzurro intenso, si era presentata al Gabinetto Viesseux di Firenze chiedendo del direttore. Aveva letto la raccolta di poesie “Ossi di seppia” (pubblicata nel 1925 da Piero Gobetti) e ne era rimasta affascinata. Irma Brandeis è un’appassionata studiosa di letteratura italiana e di Dante: allieva di Singleton, più tardi, nel 1960 avrebbe pubblicato un importante studio dantesco (The Ladder of Vision. A Study of Dante's Comedy, Chatto & Windus, London), in
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cui tratta il tema della scala che porta a Dio nella “Commedia”. Colta, poliglotta e cosmopolita, appartenente a una ricca famiglia ebraica di origine austroboema residente a New York, Irma aveva divorato i versi degli “Ossi” e nel 1933, durante un viaggio in Italia, si era messa in testa di volerne conoscere l’autore. Eugenio Montale, che dirige la biblioteca fiorentina dal 1929, quel giorno non è in ufficio. S’incontreranno l’indomani e poi per altri «pochi giorni di presumibile incantato corteggiamento, con scambio di libri e di pareri letterari come strategia d'avvicinamento» (R.Bettarini, Lettere a Clizia, Mondadori 2006). Lei è entusiasta: «Siamo diventati amici! Abbiamo parlato di Ezra Pound, di T.S.Eliot, dell'Inghilterra, dell'America e dell'Italia». Lui è palesemente impacciato: «Il grande poeta non sa parlare – dirà Irma in una lettera. - Mi dice, umilmente, delle cose stu-
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pide. E mi piace adesso, non perché somiglia tanto alla sua opera, ma perché non ci somiglia affatto!». Irma e “Arsenio” (variante con cui il futuro Nobel firmerà molte lettere) si incontrano ggg spesso, ma quasi mai da soli. Tuttavia, tra di loro nascerà una bruciante storia d'amore che avrebbe dato vita all'ultimo grande personaggio femminile della lirica italiana: Clizia/Irma, appunto, come Laura e come Beatrice.
All'inizio di agosto, Montale parte per una vacanza tra Parigi e Londra. Non è solo. Con lui c'è un’altra donna. Il terzo vertice del triangolo amoroso è Drusilla Tanzi, scrittrice, studiosa appassionata e amica di Italo Svevo. Lei e Montale si erano conosciuti a Firenze all’interno del gruppo gravitante intorno alla rivista d’impegno culturale, civile e politico “Solaria”. Sposata dal 1910 col critico d’arte Matteo Marangoni (da cui aveva avuto
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un figlio, Andrea), aveva ospitato il poeta nella sua casa di via Benedetto Varchi nel 1927. Eugenio e Irma in quei giorni si scrivono. Lui definisce Parigi e Londra città «uninteresting» e «ridicole». Più volte il poeta fa cenno, nelle lettere inviate a «My dearest Irma», ad un suo possibile trasferimento oltreoceano. In una missiva del 7 agosto le prospetta, in una lingua ibrida, ben “four solutions” per il loro futuro: «1: Irma viene a vivere in Europa; 2: Arsenio va a vivere negli U.S.A. (difficile!); 3: Irma e Arsenio si incontrano ogni estate in Europa (orribili inverni!!); 4: Arsenio è dimenticato e ridotto in pezzi. Scegli, mia carissima Irma». Ma, in realtà, non è Irma che deve scegliere. Nessun riferimento all’esistenza di Drusilla, né alla propria mancanza di coraggio di fronte al bivio d’amore. Eppure, tra le righe, un indizio Irma avrebbe potuto coglierlo. In queste lettere il poeta si identifica col nome della sua controfigura, Arsenio appunto, protagonista dell’omonima poesia degli “Ossi” e questo avrebbe dovuto perlomeno allarmare l’appassionata estimatrice della poesia montaliana! In questo componimento, infatti, Arsenio sta per intraprendere un viaggio nel mare in tempesta, al fine di raggiungere "un’altra orbita", un’occasione salvifica, che dia finalmente un senso all’esistenza: «E se un gesto ti sfiora, una parola/ ti cade accanto, quello è forse, Arsenio,/ nell' ora che si scioglie, il
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cenno d’una/ vita strozzata per te sorta, e il vento/ la porta con la cenere degli astri». La ricerca di Arsenio fallisce, condannandolo ad una condizione di non-vita. Tuttavia Irma, forse troppo presa dal sentimento appena sbocciato, non coglie il messaggio sotteso. Finalmente il 5 settembre Montale è di nuovo a Firenze. S’incontrano a Piazzale Michelangelo: davanti allo spettacolo mozzafiato della città di Dante, si scambiano l’intenzione di non chiudere la relazione. Intanto si scriveranno, promettono. L’incanto di quella notte tornerà più volte nei componimenti poetici di Montale, persino in quelli più tardi: «Non dimenticherò mai quel ritorno tra scale acque e terrazze. Mi sentivo
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ubriaco non di quel fiasco a triplo fondo, cara Irma, ma di te e della tua presenza. E dopo... quando si è stati così felici almeno per un'ora si può fare ancora qualcosa per essere riconoscenti alla sorte e per vincere le difficoltà». Il 7 Irma si imbarca sul Rex per far ritorno in America. Lui resta a Firenze, legato a «una catena che nessuno gli ha messo al collo» (Bettarini), ma dalla quale è incapace di liberarsi: è Drusilla (che il poeta chiamerà Mosca in «Caro piccolo insetto» e molte altre poesie). Nel novembre ripete nelle lettere a Irma (che canterà col nome mitologico di Clizia nella raccolta a lei dedicata “Le occasioni” pubblicata da Einaudi nel 1939) di non riuscire a pensare «alla breve oasi del 5 settembre senza impazzire» e di amare «ogni centimetro di te e del tuo corpo». La corrispondenza si fa più fitta: dichiarazioni d’amore, promesse, pettegolezzi, valutazioni letterarie. Con maniacale precisione, portano il conto delle lettere che si scambiano. Di tutto parlano, fuorché di Mosca. «Mia cara Irma, io sono abituato a cibarmi di nuvole e lontananze, ma tu meritavi qualcosa di meglio! Io sarò sempre tuo, a tua disposizione, pronto a fare quello che vorrai, e persino a pensare quello che vorrai farmi pensare (…). Non desidero di meglio che pensare con la tua testa e vedere coi tuoi occhi», le scrive nel dicembre del 1933. Nell’estate dell’anno successivo Irma vuole tornare in Italia. È piena di speranze. Sul suo diario annota «Italia Firenze con E.M. Venezia ovvero l'inizio della vita e la morte». Il 5 giugno, mentre è già sulla nave diretta in Europa, Irma riceve una lettera nella quale Arsenio le insinua un sospetto: «Accanto ai mille e uno motivi che mi fanno pazzamente desiderare di riaverti qui, ce n'è uno, o mezzo, che mi preoccupa e mi fa temere. Ma quest'uno, o questo mezzo, si riferisce a cosa che non può assolutamente dirsi per lettera, e che non tocca per nulla i miei sentimenti per te, che sono, semmai, ingigantiti. E nulla ho fatto che possa neppur lontanamente, neppure con l' intenzione, rendermi meno degno di te. Quando saprai capirai». Irma invece non capisce e quella che doveva essere l’estate delle conferme e delle decisioni, si Nelle foto: Il poeta e scrittore Eugenio Montale
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trasforma in un incubo: i due litigano, si rappacificano, si lasciano, si ritrovano, si amano. Irma riparte. S’impone d’essere paziente: avrebbe aspettato i tempi del suo Arsenio. Drusilla è gelosa di Eugenio: lo minaccia, lo ricatta. Non se lo farà portare via tanto facilmente. È datata 7 febbraio 1935 la lettera disperata in cui Irma legge che X (così indica Drusilla, con la sigla che anticipa la Xenia delle prime due sezioni di Satura del ’71) minaccia di suicidarsi. Montale è invischiato in una spirale perversa. I «bei desideri» lasciano il posto al cappio al collo, alla stricnina, al volo dal settimo piano di Drusilla. Irma non regge. Il 21 febbraio scrive: «Ecco la
situazione: una donna isterica minaccia di uccidersi e in questo modo tiene in scacco finché vive la vita di due persone. Una di queste decide di accettare la situazione, l'altra, semplicemente, non ha scelta. A quest’altra può succedere qualunque cosa: sarà sopportabile, purché Lei non minacci di uccidersi. (…)Ti amo; e forse disprezzo quello che hai fatto, ma questo non cambia le cose. Le soluzioni più ovvie, immagino, sono di piangerci su, scriverne o fare l'amore con un altro. Perdonami se quanto ho scritto sembra non da me e orribile. Il mio cuore ha preso a battere con un ritmo sgradevole, rapido e a fior di pelle». Ma Irma non spedì mai quella lettera. Probabilmente ne scrisse un’altra, più soft, dato che
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Montale il 9 marzo ribadisce ancora il suo fermo proposito di affrancarsi gradualmente da Mosca per partire alla volta di New York. Nulla tra loro è più lo stesso. Nelle lettere i toni cambiano. La Irma Brandeis lontana, destinataria delle lettere si trasfigura gradualmente nella Clizia che diverrà la protagonista delle raccolte Le occasioni e La bufera e altro. Se quando sono insieme lei gli ricorda e rinfaccia la sua incapacità di scegliere, da lontano può idealizzarla e trasformarla in una donna angelicata, una nuova Beatrice dispensatrice di salvezza, unica alternativa alla prigione del meccanicismo della realtà, ad una quotidianità opprimente, resa ancora più drammatica dagli eventi della storia che incombe (il fascismo, il licenziamento, la guerra, l’avvento della società di massa). 1938: è ancora l’estate a fare da sfondo ad un nuovo incontro tra i due. Montale accenna al suo trasferimento negli Stati Uniti, ma non ci crede nemmeno lui. Irma sente che quella è l’ultima volta. Lascerà definitivamente l’Italia a causa delle leggi razziali. Lui andrà a vivere con Drusilla che sposerà il 23 luglio del 1962 (pochi anni dopo la morte del marito). Dopo aver stravolto la vita del poeta, frapponendosi tra lui e Clizia, Mosca morirà solo un anno dopo al Policlinico di Milano per le complicazioni di una caduta
nella quale aveva riportato la rottura di un femore. Nel 1975 il poeta, che da tempo è diventato famoso in tutto il mondo, viene insignito del Premio Nobel “Per la sua caratteristica forma poetica che, con grande sensibilità, ha interpretato i valori umani nella prospettiva di una vita senza alcuna illusione”. Il silenzio tra Arsenio e Clizia dura da quarant’anni, quando, nel 1981, quasi ottantacinquenne, le invia l’edizione critica dell’opera in versi edita da Einaudi, accompagnata da un biglietto su carta intestata del Senato dalla grafia tremolante e quasi illeggibile: «Irma, sei tuttora la mia dea, my divinity. Rendo omaggio prima di tutto a te. Prego per te, per me. Perdona come scrivo. Quando, come ci rivedremo? Ti abbraccia il tuo Montale». È Clizia stessa ad apporvi la data: 15 giugno 1981. Tre mesi dopo, il 12 settembre, il poeta muore. Il 12 ottobre 1983 (nello stesso giorno della nascita di Montale) la professoressa americana
Irma Brandeis, quasi ottantenne, affida ad Alessandro Bonsanti, responsabile dell’Archivio Contemporaneo presso il Gabinetto G. P. Vieusseux di Firenze, un plico contenente 154 lettere inviatele da Montale fra il 1933 e il 1939. Nella chiusa dell’avvertenza «al lettore», Irma aveva ricordato il loro ultimo incontro del 1938: «Quando tornai a casa alla fine di quell'estate sapevo con la stessa certezza che ci sarebbe stata una guerra e che non ci saremmo più rivisti». La Brandeis si fa garantire da Bonsanti che non avrebbe pubblicato le lettere prima che fossero passati vent’anni dal giorno della donazione. I sigilli sono stati aperti nel gennaio 2004 e due anni dopo l’epistolario (edito da Mondadori con il titolo Lettere a Clizia a cura di Rosanna Bettarini, Gloria Manghetti e Franco Zabagli) viene pubblicato e presentato nella Sala Ferri del Gabinetto Vieusseux a Firenze, nello stesso luogo dove tutto era cominciato.
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Foto al centro: Cinqueterre (La Spezia), in basso i sentieri del parco letterario Montale
parco Letterario montaLe e Le cinQue terre
Il centro storico di Monterosso, i sentieri secolari tra vigneti aggrappati a chilometri di fasce terrazzate sorrette da muri a secco respirando ad ogni passo sentori di poesia. È questo paesaggio carico di suggestioni tra mare, terra rocce scoscese e macchia mediterranea ad aver ispirato molte liriche ad Eugenio Montale. Per circa vent’anni il poeta, giornalista, traduttore, critico musicale e scrittore italiano, nato a Genova il 12 ottobre 1896, trascorse le sue vacanze a Monterosso nella Villa Montale, “la pagoda giallognola” (oggi di altri proprietari) ubicata nel litorale di Fegina. Meriggiare pallido e assorto, La Casa dei Doganieri, La punta del Mesco e I limoni, i versi di Montale sono pervasi del clima delle Cinque Terre i cui sentieri per secoli sono stati l'unico collegamento con l'entroterra. Dal 10 dicembre 2015 il Parco Nazionale delle Cinque Terre è anche Parco Letterario® Eugenio Montale e delle Cinque Terre. Il progetto di coniugare la tutela paesaggistica e ambientale con la storia culturale dei luoghi ha indotto all’Ente Parco ad offrire, in collaborazione con il Comune di Monterosso, un percorso di conoscenza di quella terra de “i limoni”, le “lame d’acqua” e i “muri d’orto”, attraverso la chiave di lettura dell’ispirazione poetica. Un invito ad immergersi a fondo nelle Cinque Terre più autentiche, oltre le cartoline, attraverso percorsi naturalistico letterari, iniziative culturali e momenti di scoperta di quello che fu il luogo dell’anima del grande poeta premio Nobel per la letteratura nel 1975. I percorsi naturalistici letterari saranno organizzati una volta al mese (ogni primo sabato) a partire da febbraio fino a novembre con partenza dai Punti Informazione del Parco Cinque Terre. E domenica 2 aprile 2017, per il terzo anno, ritorna Sciacchetrail, l’ultratrail di 47 km attraverso i sentieri delle Cinque Terre (uno scorcio nella foto a lato), con arrivo e partenza dal borgo di Monterosso. FB https://www.facebook.com/sciacchetrail/
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L’acchiappaLiBri a Lecce tremiLa testi da scamBiare
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La banca del libro per promuovere la lettura e grazie a Telegram è possibile prenotare i volumi on line
LECCE. Ritorna anche quest'anno la Banca del Libro, denominata “L’Acchiappalibri”. Il progetto, promosso dall'Assessorato alla Pubblica Istruzione del Comune di Lecce, intende sensibilizzare l’amore per i libri e per la lettura attraverso la donazione di libri alle biblioteche scolastiche della città. Durante tutto l’anno, la Banca del Libro acquisisce attraverso spontanee liberalità da parte di cittadini, librerie, Enti ed Associazioni, libri in buono stato, per tutte le età e di vario genere del panorama letterario nazionale ed internazionale. Una volta acquisiti, li dona gratuitamente ai cittadini interessati che ne fanno richiesta e alle biblioteche scolastiche del primo e del secondo ciclo, desiderose di arricchire il proprio patrimonio. La Banca accoglie oltre tremila libri tra classici, biografie, lavori letterari dei più disparati generi (gialli, fantascienza, letteratura d’inchiesta, fumetti, umoristici...) romanzi in lingua, saggistica varia e di vario argomento (tecnologia, geo-
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grafia, storia, religione, filosofia, critica letteraria. L’acchiappalibri, che è situato nella sede dell’assessorato alla Pubblica Istruzione del Comune di Lecce (in via Ugo Foscolo 31/a) non è una biblioteca ma un luogo di scambio dove è possibile donare i propri libri – in buono stato – e scegliere quelli da portare via. è grazie all’applicazione “Telegram” è possibile vedere comodamente sul proprio smartphon cosa offre “L’Acchiappalibri”. Basta aprire il canale @opendatalecce cliccare su Acchiappalibri ed effettuare così una ricerca per titolo o autore, verificarne la disponibilità in quel momento e prenotare direttamente il volume on line. Opendata è accessibile anche sul sito del Comune di Lecce all’indirizzo www.comune.lecce.it La Banca del libro è aperta al pubblico il martedì pomeriggio, dalle 15.30 alle 17.30, ed il mercoledì dalle 9 alle 12, o in altri giorni su richiesta. Per le donazioni è possibile contattare l'Ufficio al numero 0832 682622. Non si accettano enciclopedie e libri scolastici.
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Castagnola Rossa di Stefania Potì, 2014
“iL nostro mediterraneo” aLLa fondazione paLmieri In mostra a Lecce, dal 22 al 27 marzo, le opere degli studenti del Liceo Artistico e Coreutico “Ciardo Pellegrino” LECCE. Una mostra dedicata alla biologia marina, all'archeologia e alla dimensione simbolica del Mare Nostrum. La mostra, a cura di Marinilde Giannandrea e Nicola Refolo, ospiterà venti lavori realizzati dagli studenti dell’Indirizzo Arti Figurative, e si inaugurerà mercoledì 22 marzo alle 18, nella sala della Fondazione Palmieri in vico dei Sotterranei. La realtà contemporanea è dominata dal consumo dell’ambiente che spesso impedisce la possibilità di un contatto autentico con la natura. Forse il compito dell’uomo è anche quello di concedersi una pausa per osservare la realtà e contemplarla nella sua bellezza più profonda. Con questo obiettivo gli studenti hanno analizzato il Mediterraneo, orizzonte e scenario del loro vissuto e del loro immaginario. Coadiuvati dai loro docenti – Nicola Refolo, Paola Pascariello, Enzo De Giorgi, Carmelo Tau – e dalla Dirigente Scolastica Tiziana Paola Rucco, si sono confrontati con le testimonianze di esperti di biologia, sport acquatici, archeologia marina, arti visive e hanno vissuto immersi nella complessità naturale, storica e antropologica del Mediterraneo. Il progetto ha avuto una durata triennale dal 2013 al 2016. Nella prima fase gli studenti hanno osservato le specie che abitano il Mediterraneo. Sono state rappresentate diverse specie di fauna marina del Mediterraneo. Sono stati preziosi i contributi scientifici del professore Ferdinando
Boero, docente del Dipartimento di Scienze e Tecnologie biologiche e ambientali dell’Università del Salento, e di Alberto Gennari, artista e illustratore scientifico. Nella seconda fase gli studenti si sono confrontati con la storia del Mediterraneo e con la profondità dei tesori e dei segreti che nasconde: preziosi reperti archeologici, testimonianze della storia di un mare che è stato il centro del mondo per secoli. Relitti, reperti, ma anche la più stretta e drammatica contemporaneità legata ai naufragi e alle “tragedie del mare”. è intervenuta Antonella Antonazzo, del Museo Archeologico provinciale “Francesco Ribezzo” di Brindisi. Nell’anno conclusivo del progetto sono apparsi i segni che l’elemento liquido riesce a lasciare nell'uomo. In questa fase attraverso la sperimentazione di tecniche diverse gli studenti
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Sopra: Valentina Schito, Alici nel paese delle meraviglie; sotto: Bianca Massari, relitto della seconda Guerra Mondiale
hanno liberato la loro creatività per la realizzazione di lavori che esprimessero pienamente il loro rapporto autentico con il Mediterraneo. Le tonalità del mare, profonde e trasparenti, si sono trasformate in pigmenti colorati e ogni opera è diventata una storia e un racconto. In questa fase sono intervenuti alcuni dei protagonisti del mondo degli sport acquatici – Michele Giurgola, campione del mondo di apnea profonda, Giovanni Metafuni, del gruppo “Pesca Apnea Lecce”, Elio Rescigno istruttore di vela, windsurf e kitesurf – che hanno condiviso la loro personale e profonda relazione con l'ambiente marino. Le opere in mostra sono degli studenti e delle studentesse: Stefano Brogna, Rebecca Carluccio, Irene Centonze, Alessia Fallica, Marinella Fedele, Silvia Greco, Sara Elia, Miriana Liberti, Arianna Linciano,
Bianca Massari, Giada Mastria, Franco Matteo, Kassandra Milito, Stefania Potì, Angelica Raho, Guendalina Rollo, Angela Ruggeri, Va l e n t i n a Schito, Lorenzo Sparascio. La mostra sarà allestita e gestita dalla classe IV B (indirizzo Arti figurative). Gli studenti nel periodo dell’esposizione faranno da guida. L’allestimento prevede una parte dedicata alle rappresentazioni pittoriche e scultoree della fauna del Mediterraneo e un’altra all’archeologia marina e alla dimensione simbolica del mare.
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Il finissage (lunedì 27 marzo alle 18) ospiterà un incontro sul Mediterraneo con la Dirigente Scolastica Tiziana Paola Rucco e con Ferdinando Boero, docente di Zoologia e Biologia Marina del Dipartimento di Scienze e Tecnologie biologiche e ambientali dell’Università del Salento e associato a CNRISMAR. Fa parte dell'European Marine Board, dell'European Academies Scientific Advisory Council, di Faculty of 1000, dei comitati editoriali di diverse riviste scientifiche. Si occupa di biodiversità marina e funzionamento degli ecosistemi. Ha pubblicato centinaia di articoli scientifici e monografie. Collabora con riviste e quotidiani su temi inerenti la scienza. Ha pubblicato tre libri divulgativi: Ecologia della Bellezza; Ecologia ed Evoluzione della Religione; Economia senza Natura.
Quarta dimensione. La personaLe di pignateLLi per germinazioni iv.0
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Una nuova galleria d’arte a Lecce, dono del maestro alla sua città d’origine
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LECCE. Con la personale “IVª Dimensione” Ercole Pignatelli inaugura Germinazioni IVª.0 in via del Mare 18. Saranno presenti, tra le altre autorità politiche, il sindaco di Lecce Paolo Perrone e l’Assessore Luigi Coclite. Oltre 30 capolavori, tra sculture e prime opere su tela in mostra fino al 20 maggio, per dar vita ad un nuovo concept di galleria d’arte senza tempo e senza confini. Una galleria che da lui prende ispirazione non soltanto nella scelta del nome, ma anche e soprattutto nella volontà di lasciar dialogare e contaminare reciprocamente grandi nomi del panorama artistico internazionale con numerosi talenti emergenti. Perché l’arte è il seme della creatività, che germoglia e porta frutto là dove il terreno lo accoglie con l’humus più fertile. “Questa mostra, come anche l’idea di dar vita ad nuovo modello di galleria d’arte, è un dono fatto dal Maestro Pignatelli alla città di Lecce, che della cultura
vuole rendersi promotrice in maniera sempre più impattante. - spiega Mirella Coricciati, Presidente di Germinazioni IVª.0 - Non vi è posto migliore, per far germogliare il seme della creatività, che una galleria aperta, in cui tutti gli artisti possano lasciare il proprio contributo, confrontarsi e condividere tra loro e con il pubblico tutte le passioni, le fonti di ispirazione e, perché no, anche le difficoltà del mestiere. Germinazioni IVª.0 potrà essere considerata un’opera d’arte vivente e in continua crescita, perché offrirà anche agli artisti emergenti l’opportunità di maturare in un luogo dal quale Ercole Pignatelli, molti anni fa, è dovuto emigrare per poter ‘spiccare il volo’ nel mondo dell’arte”. Nato a Lecce il 28 aprile del 1935, frequenta l’istituto d’arte ed è sempre attento agli sviluppi e allo studio dell’arte contemporanea. Dopo la sua prima mostra personale al Circolo Cittadino, decide di non tornare più a scuola e si trasferisce a Milano dove entra in contatto con Salvatore Quasimodo, Ugo Mulas, Milena Milani, Piero Manzoni, Lucio Fontana, Giorgio Kaisserlian. Talento e pazienza segnano il suo lungo percorso artistico. Le sue opere figurano in collezioni pubbliche in Spagna, USA, Giappone, Germania, Argentina, solo per citarne alcuni paesi esteri oltre che in diverse città d’Italia. ercole Pignatelli. “IVª Dimensione”, Germinazioni IVª.0 Lecce, via del Mare, 18 fino al 20 maggio 2017
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Bologna, Cortile Archiginnasio, foto di Sara Foti Sciavaliere
iL paLazzo deLL’archiginnasio tra Le meravigLie di BoLogna Sara Foti Sciavaliere
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Il simbolo della Bononia Alma Mater Studiorum, la più antica Università al mondo
BOLOGNA. Se dalla centralissima Piazza Maggiore, percorriamo la via che fiancheggia il lato sinistro della Basilica di San Petronio fino ad arrivare alla spalle dell’edificio, arriviamo in Piazza Luigi Galvani, e a questo illustre uomo di scienza è dedicato il monumento presente. Fisiologo, fisico e anatomista bolognese, si è formato in Medicina per poi essere ammesso nel contesto accademico in qualità di docente proprio laddove ha avuto sede la più antica Università, la Bononia Alma Mater Studiorum, nel Palazzo dell’Archiginnasio che si affaccia su piazza Galvani. Lo studioso teneva lezioni di Anatomia e, nel 1768, presiedette la famosa “funzione” anatomica, un vero e proprio spettacolo che si svolgeva proprio presso il Teatro Anatomico dell’Archiginnasio (ne parlerò più avanti nel dettaglio). Il Palazzo dell’Archiginnasio fu costruito fra il 1562 ed il 1563 per volere del Legato pontificio di Bologna, il cardinale Carlo Borromeo e del Vicelegato Pier Donato Cesi, su progetto dell’architetto bolognese Antonio Morandi detto Terribilia. Ma in realtà l’attività universitaria a Bologna aveva radici ben più antiche: già nell’XI secolo di fatto si parla del libero insegnamento impartito da maestri privati a gruppi di scolari riuniti in associazioni, le cosiddette universitates. A Bologna
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giungevano da tutta l’Italia e dai paesi d’Oltralpe soprattutto per studiare diritto civile e canonico. L’insegnamento però si svolgeva presso le abitazioni dei maestri o in locali in affitto. Fu soltanto nella seconda metà del XVI secolo che si ebbe una sede stabile ed unica per tutti gli insegnamenti universitari. Tale decisione, sollecitata da papa Pio IV, rispondeva anche all’esigenza di un più efficace controllo sullo Studio da parte dell’autorità religiosa, oltre a inquadrarsi in un piano di rinnovamento urbanistico del centro politico della città, sostenuto da Cesi. L’edificio cessò la sua funzione universitaria nel 1803. Il palazzo presenta all’esterno un lungo portico di trenta arcate su colonne di macigno e si articola in due piani intorno ad un cortile centrale a doppio ordine di logge, che risente dell’influenza dell’architettura dei collegi universitari cinquecenteschi – come Palazzo Bo a Padova e la “Sapienza” a Roma –, ma si lega anche ai cortili dei palazzi nobiliari cittadini dove si svolgevano sontuose cerimonie anche di carattere pubblico. Il cortile, vero fulcro dell’edificio, fu di fatto teatro di numerosi avvenimenti legati alla storia dello Studio: la cerimonia più pittoresca era la preparazione della Teriaca, farmaco ottenuto dalla combinazione di ben cinquanta elementi che
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fungeva da panacea contro tutti mali e in particolare contro il morso degli animali selvatici e velenosi. Come tutte le sale e le pareti dell’edificio, il loggiato che gira intorno al cortile è adorno di stemmi e memorie scolpite o dipinte. Sulla volta d’ingresso campeggia l’affresco in onore del cardinale
Benedetto Giustiniani, dedicatogli da Diego de Leon Garavito, uno studente spagnolo nativo di Lima in Perù, primo studente “americano” all’Università di Bologna. Dal cortile due ampi scaloni conducono al piano superiore, dove gli ambienti erano suddivisi fra le due distinte universi-
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tates che costituivano l’Università, i Legisti (che studiavano Diritto civile e canonico) e gli Artisti (gli studenti di Filosofia, Medicina, Matematiche, Scienze fisiche e naturali). A sinistra si trova lo scalone degli Artisti, con la memoria per il medico Venceslao Lazzari, dipinta nel 1601 da Lionello Spada. A
Piazza Galvani, Palazzo Archiginnasio, foto di Sara Foti Sciavaliere
Biblioteca) e due aule magne poste alle estremità del fabbricato, una per gli Artisti (oggi Sala di lettura della Biblioteca) e una per i Legisti (detta in seguito anche Sala dello Stabat Mater). Come scrivevo prima, già nel cortile si nota quella che è la più evidente caratteristica del Palazzo dell’Archiginnasio, ossia le pareti delle sale, le volte degli scaloni e dei loggiati fittamente decorate da iscrizioni e monumenti celebrativi dei
Storie. L’uomo e il territorio
destra sale, invece, lo scalone dei Legisti, con il monumento dedicato a san Carlo Borromeo, cardinale legato di Bologna negli anni della fondazione dell’Archiginnasio. Al piano superiore sono presenti dieci aule scolastiche (oggi intercomunicanti ma un tempo con accesso indipendente da un lunghissimo corridoio; purtroppo comunque non visitabili poiché costituiscono i depositi principali di libri della
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Ingresso Archiginnasio, foto Sara Foti Sciavaliere
maestri dello Studio e da migliaia di stemmi e di nomi di studenti. Tale opulenta decorazione costituisce il maggior complesso araldico murale esistente, ed ha suscitato – e suscita ancora – l’ammirazione di visitatori e studiosi. Gli stemmi dovevano rafforzare l’idea
di autorità e di potere dell’istituzione: così come nelle gallerie dei palazzi nobiliari i dipinti celebravano i fasti della famiglia, allo stesso modo nell’Archiginnasio la decorazione araldica contribuiva a enfatizzare la storia, il prestigio della tradizione accademica, mentre le iscrizioni e i motti erano un invito all’elevazione intellettuale e morale. Dalla fondazione dell’edificio sino alla fine del XVIII secolo,
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furono apposte iscrizioni e monumenti commemorativi dei maestri dello Studio e stemmi degli studenti, che riportano oltre al nome e alla provenienza dello studente anche l’indicazione della natio di cui lo studente era rappresentante. Non si tratta quindi sono di un apparato decorativo di grande suggestione ma anche di una vera e propria fonte storica. Attualmente la consistenza degli stemmi che si susseguono nelle
In questa pagina dettaglio del Portico inferiore, sotto particolare della Sala Stabat Mater (foto di Sara Foti Sciavaliere)
aule, nei corridoi e lungo gli scaloni è di circa seimila “pezzi”. Risalendo gli scaloni, accediamo al piano superiore dove troviamo il lungo corridoio che un tempo permetteva l’accesso alle aule, oggi non visitabili. Anche se è possibile dare una sbirciatina da quella che un tempo era l’aula magna dei Legisti, oggi nota come Stabat Mater, in memoria della prima esecuzione, tenutavi il 18 marzo 1842, dello Stabat Mater – appunto – di Gioachino Rossini, sotto la direzione di Gaetano Donizetti. Quest’ambiente solenne è uno dei più rappresentativi dell’Archiginnasio, perché fastosamente decorato da varie composizioni gratulatorie. Un grande affresco raffigurante la Vergine col Bambino, datato 1569, campeggia al centro della parete occidentale e sovrasta il luogo in cui era un tempo posta la cattedra. E da un porticina, se si ha la fortuna di trovarla aperta, è possibile dare uno sguardo alle antiche aule. La prima è quella denominata Aula Rusconi e da queste si scorgono, le aule susseguirsi una dietro l’altre gremite di libri. Anche qui le pareti sono ornate da stemmi e monumenti che celebrano le figure di maggior rilievo
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Sala Rusconi, (foto di Sara Foti Sciavaliere)
nella storia dello Studio. Il patrimonio della Biblioteca comunale dell’Archiginnasio conta attualmente circa 850mila volumi e opuscoli, tra cui oltre duemila incunaboli, 15mila cinquecentine, 8.500 manoscritti, oltre a collezioni di autografi, disegni e stampe, e circa 250 fondi archivistici; in questo patrimonio occupano un posto rilevante le raccolte riguardanti la storia di Bologna e del suo territorio, dal Medioevo all’età contemporanea. Riprendendo il percorso lungo il corridoio che segue il perimetro del loggiato superiore, si raggiunge il Teatro Anatomico. La sala, chiamata teatro per la caratteristica forma ad anfiteatro, fu progettata nel 1637 per le lezioni anatomiche dall’architetto bolognese Antonio Paolucci detto il Levanti. E qui si necessita di una breve parentesi per spiegare che l’Anatomia come disciplina si sviluppò proprio a Bologna sul finire del Medioevo e la sua origine è legata al nome di Mondino de’ Liuzzi, che nel 1315 eseguì la prima dissezione pubblica, scrivendo anche un trattato che fu punto di riferimento per gli anatomisti. La pratica anatomica inaugurata da Mondino continuò nei secoli successivi, facendo di Bologna uno dei centri più importanti in questo campo, grazie all’attività di eccellenti maestri. L’esigenza di edificare un “teatro anatomico” stabile fu il risultato di questa tradizione di studi. Fino alla fine del Cinquecento si erigeva di anno in anno un teatro anatomico in legno, che veniva smontato al termine dell’esercitazione, tuttavia nel 1595 si deliberò la costruzione di uno permanente ristrut-
turando una sala al piano superiore dell’Archiginnasio. A dirla tutta, questa decisione nasceva anche dalla competizione con lo Studio di Padova, che aveva già da tempo un teatro anatomico permanente. Nel 1602 si stabilì di tenere l’anatomia pubblica nel periodo di Carnevale e la dissezione assunse il carattere di una celebrazione ufficiale, cui partecipavano i docenti e gli studenti dello Studio, le autorità cittadine e un pubblico elegante. Tra i medici che si cimentarono nell’esecuzione dell'anatomia pubblica, dando saggio della loro perizia in questa particolarissima esibizione, come scrivevo all’inizio c’era anche Luigi Galvani. Nel 1631, il Governo della Città per far fronte al grande numero di spettatori che assistevano alle dissezioni, decise di costruire un nuovo anfiteatro, trasformando per lo scopo una grande sala vicina alla precedente, sopra la cappella di Santa Maria de’ Bulgari.
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Archiginnasio, Studio anatomico, (foto di Sara Foti Sciavaliere)
Venne costruita in legno d’abete e decorata con due ordini di statue raffiguranti celebri medici, quelli più famosi dell’antichità (Ippocrate, Galeno) e dello Studio bolognese (Fabrizio Bartoletti, Girolamo Sbaraglia, Marcello Malpighi, Carlo Fracassati, Mondino de’ Liuzzi, Bartolomeo da Varignana, Pietro d’Argelata, Costanzo Varolio, Giulio Cesare Aranzio, Gaspare Tagliacozzi, quest’ultimo che regge un naso nella mano avendo per primo tentato interventi di chirurgia plastica ricostruttiva). La cattedra del lettore, che
sovrasta quella del dimostratore, è fiancheggiata da due statue dette “Spellati”, scolpite nel 1734 su disegno di Ercole Lelli, famoso ceroplasta dell'Istituto delle Scienze, e sopra al baldacchino si vede una figura femminile seduta, allegoria dell’Anatomia, che riceve come omaggio da un putto alato non un fiore, ma un femore. Crollato con il bombardamento del 29 gennaio 1944, che danneggiò fortemente l’ala orientale del palazzo, il Teatro Anatomico ricostruito nell’immediato dopoguerra, con rigore filologico, riutilizzando
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Documenti di Laura Caterina Bassi, (foto di Sara Foti Sciavaliere)
le sculture lignee originali, fortunatamente recuperate fra le macerie. Il soffitto a lacunari, realizzato nel 1645 da Antonio Levanti, è decorato con figure simboliche rappresentanti quattordici costellazioni e al centro Apollo, nume protettore della medicina. La scelta del tema astrologico risale alla tradizione di consultare gli astri prima di procedere alle operazioni o di somministrare farmaci, secondo una concezione della medicina che risente dell’influsso esercitato sulla scienza diffusa dagli Arabi fin dai tempi della conquista della Spagna. La decorazione del soffitto riflette un certo modo di concepire l’uomo e la sua vita biologica in rapporto con la natura e il cosmo. E prima di concludere questa passeggiata per l’Archiginnasio di Bologna, approfittando che da poco è stata ricordata la ricorrenza delle Festa delle Donne, vorrei porre l’attenzione su una teca davanti alla cattedra, dove sono esposti alcuni documenti che ci ricordano la presenza di una donna tra gli uomini di scienza dell’Università
di Bologna. Si tratta di Laura Caterina Bassi, la prima donna a laurearsi nel 1732 nell’antica Studio bolognese, e a soli ventuno anni tenne la sua prima lezione come docente universitaria. Lei è stata una figura chiave per l’introduzione in Italia delle teorie di Newton, grazie alle sperimentazioni effettuate nel suo gabinetto scientifico privato, che accolse celebri scienziati. Uscendo poi dal Teatro Anatomico, a sinistra, sull’architrave di una porta troviamo l’unica opera dell’Archiginnasio realizzata da un’artista donna: è la “memoria” Muratori, visibile solo per alcuni frammenti poiché danneggiato dai bombardamenti e dal successivo restauro. La “memoria” fu dipinta nel 1707 da Teresa Muratori su incarico del padre Roberto, per rinnovare un più antico monumento in onore degli antenati Francesco e Achille Muratori, filosofi e medici. E quindi ripercorrendo i loggiati, i corridoi e gli scaloni straripanti di decorazioni ci dirigiamo verso l’uscita dell’Archiginnasio dove sono passati secoli di cultura e si è costruito il sapere, e dove ancora si possono immaginare studenti e accademici negli abiti dei loro tempi a dibattere e disquisire su concetti e teorie che magari per noi oggi sono all’ordine del giorno.
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Nelle foto: Fabrizio Bosso,Max Ionata, Flavio Boltro
musica e ricette daLL'itaLia per iL rudiae BLues festivaL
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A Lecce dal 30 marzo al 27 aprile cinque concerti, tra suoni e sapori
LECCE. Stefano Di Battista, Roberto Ottaviano, Nando di Modugno, Fabrizio Bosso, Julian Mazzariello, Flavio Boltro Trio, Enrico Bevilacqua 4tet, Max Ionata sono gli ospiti della prima edizione del rudiae Blues Festival. Dal 30 marzo al 27 aprile, All’Ombra del Barocco di Liberrima in Corte dei Cicala a Lecce nell'ambito della rassegna Blues Shadow, diretta dal violinista e compositore Alessandro Quarta, un calendario di eventi tra musica ed enogastronomia. Cinque concerti da gustare con l'accompagnamento di piatti, vini e birre della tradizione italiana. Alla fine di ogni concerto, infatti, gli chef del ristorante prepareranno una ricetta tipica del territorio di origine dei musicisti. Si parte giovedì 30 marzo (ore 20.30 ingresso 30 euro) con Alessandro Quarta 5tet con il sassofonista romano Stefano Di Battista e Tonnarelli cacio e pepe. Giovedì 6 aprile (ore 20.30 ingresso 20 euro) la Puglia sarà protagonista con il sassofonista Roberto Ottaviano, il chitarrista Nando di Modugno e le Orecchiette alle cime di rapa. Giovedì 11 aprile (ore 20.30 - ingresso 30 euro) si festeggia l'arrivo della Pasqua con il trombettista Fabrizio Bosso, il pianista Julian Mazzariello e il piatto tipico piemontese Tajarin burro e salvia. Giovedì 20 aprile (ore 20.30 ingresso 20 euro) si resta in Piemonte con il trio guidato dal trombettista Flavio Boltro affiancato da Mauro Battisti (contrabbasso), Mattia Barbieri (batteria) e dal Risotto al Barolo. Il Rudiae Blues Festival si concluderà giovedì 27 aprile (ore 20.30 - ingresso 20 euro) con il concerto dell'Enrico Bevilacqua 4tet con il sassofonista abruzzese Max Ionata e con un piatto di spaghetti all'amatriciana. Per tutto il mese di marzo prosegue ogni sabato e domenica anche Blues Shadow. In particolare segnaliamo l’appuntamento del 18 marzo con Antonio Ancora Trio e il suo repertorio dedicato alla Bossa Nova, e quello del 25 marzo con il
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quartetto del chitarrista Giancarlo Del Vitto con Marco Girardo (batteria), Stefano Rielli (contrabbasso), Francesco Negro (pianoforte). All'Ombra del Barocco Corte dei Cicala - Lecce Info e prenotazioni 0832.245524
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festivaL deL cinema europeo apertura con omaggio a totò
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Carlo Croccolo, Isabella Ferrari, Valerio Mastrandrea, Citto Maselli, Stephen Frears, Agnieszka Holland e Nuri Bilge Ceylan A Lecce, dal 3 all’8 aprile
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onto alla rovescia per il Festival del Cinema Europeo che quest’anno taglia il traguardo della maggiore età e apre l’edizione con un omaggio a Totò di cui ricorre il cinquantesimo anniversario della scomparsa. Al Principe Antonio De Curtis il Festival, in programma a Lecce dal 3 all’8 aprile, sarà dedicata la prima proiezione con l’anteprima mondiale di Chi si ferma è perduto di Sergio Corbucci, restaurato dalla Cineteca di Bologna e Titanus, presso il laboratorio L'Immagine Ritrovata con il contributo del Festival del Cinema Europeo. La proiezione sarà presentata infatti dal direttore della Cineteca di Bologna Gianluca Farinelli e si terrà lunedì 3 aprile al Cinema Multisala Massimo alla presenza della nipote del Principe De Curtis, Elena Alessandra Anticoli De Curtis e con la partecipazione straordinaria di Carlo Croccolo, che riceverà l’Ulivo d’Oro alla Carriera a pochi giorni dal suo 90° compleanno e che racconterà al pubblico, in un
incontro moderato da Valerio Caprara, la sua lunga carriera insieme a Totò. Diciotto edizioni, si diceva, un carnet di ospiti di prestigio ormai lunghissimo e tanti eventi collaterali - tra i quali il Premio Mario Verdone e il Premio Emidio Greco - che in questi anni hanno caratterizzato il Festival, diretto da Alberto La Monica e Cristina Soldano. In attesa della conferenza stampa ci giungono le prime anticipazioni sul programma, anche quest’anno di respiro internazionale, che vedrà a Lecce il regista britannico Stephen Frears nella giornata conclusiva della kermesse con la consegna dell’Ulivo d’oro alla carriera, tra i protagonisti del cinema europeo con la regista e sceneggiatrice polacca Agnieszka Holland e il regista turco Nuri Bilge Ceylan. Riflettori puntati per la sezione dedicata a “I Protagonisti del Cinema Italiano” sull’arrivo di Isabella Ferrari e Valerio Mastandrea insieme a quella di Citto Maselli. sabella Ferrari sarà al Festival venerdì 7 aprile e ritirerà l'Ulivo d'Oro alla Carriera, prima della proiezione di Amatemi (2005) di
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Renato De Maria. Durante le giornate del Festival sarà possibile rivedere alcune delle pellicole che hanno segnato la carriera dell’attrice: Sapore di mare di Carlo Vanzina (1983), Appuntamento a Liverpool di Marco Tullio Giordana (1988), romanzo di un giovane povero di Ettore Scola (1995), Arrivederci amore, ciao di Michele Soavi (2006), Caos calmo di Antonello Grimaldi (2008), Un giorno perfetto di Ferzan Ozpetek(2008), E la chiamano estate di Paolo Franchi (2012), Il venditore di medicine di Antonio Morabito (2013), La vita oscena Renato De Maria (2014). Alla Ferrari, inoltre, sarà dedicata una Mostra fotografica, allestita durante i giorni del Festival presso l’ex Monastero dei Teatini, ad ingresso libero. Due nomination ai David di Donatello 2017 come miglior attore per il film Fai bei sogni di Marco Bellocchio e come miglior attore non protagonista per il film Fiore di Claudio Giovannesi,Valerio Mastandrea il 4 aprile sarà presentato al pubblico del Festival da Laura Delli Colli e ritirerà l’Ulivo d’Oro alla Carrieraproprio prima della proiezione
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Nelle foto: l’attrice Isabella Ferrari, Totò e Carlo Croccolo in una sequenza del film “Signori si nasce” e l’attore Carlo Croccolo
di Fai bei sogni (2016). Tra i film in rassegna che sarà possibile rivedere, Tutti giù per terra di Davide Ferrario, L'odore della notte di Claudio Caligari (1998), Velocità massima di Daniele Vicari (2002), Non pensarci di Gianni Zanasi (2007), Un giorno perfetto di Ferzan Ozpetek (2008), La prima cosa bella di Paolo Virzì (2009), romanzo di una strage di Marco Tullio Giordana (2011), Gli equilibristi di Ivano De Matteo (2012), La mia classe di Daniele Gaglianone (2013). Impegno civile e politico, sempre nel nome della cultura, hanno da sempre caratterizzato l’opera e la vita di Citto Maselli che il 6 aprile a Lecce, presentato da Bruno Torri, riceverà l’Ulivo d’Oro alla Carriera. Ben undici i film da lui diretti che saranno riproposti al pubblico del festival: Ombrellai (1952), Storia di Caterina (1953), Gli sbandati (1955), Gli indifferenti (1964), Lettera aperta a un giornale della sera (1970), Il sospetto (1975), Storia d'amore (1986), L'alba (1991), Il compagno (1999), Frammenti di Novecento (2005), Le
ombre rosse (2009). Come annunciato, il pubblico del Festival potrà assistere anche alle proiezioni di dieci tra i maggiori successi di Stephen Frears: da My Beautiful Laundrette (1985), a Le relazioni pericolose (1988), rischiose abitudini (1990), The Snapper (1993), Due sulla strada (1996), Alta fedeltà (2000), piccoli affari sporchi (2002), The Queen - La regina (2006), philomena (2013), fino alla recente Florence (2016). Attualmente Frears è in post produzione con la nuova pellicola Victoria and Abdul, protagonista, ancora una volta, Judi Dench nel ruolo della regina Vittoria e Ali Fazalas nella parte di Abdul Karim e con Michael Gambon. Tratto da una storia vera e basato sul romanzo “Victoria and Abdul: The True Story of the Queen's Closest Confidant“ di Shrabani Basu, il film racconta la particolare amicizia tra un giovane indiano e la Regina Vittoria, durante il Giubileo del 1887. Per la sezione dedicata a“I Protagonisti del Cinema Europeo” il festival renderà omaggio
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Nelle foto: l’attore Valerio Mastrandrea, la regista polacca Agnieszka Holland, il regista britannico Stephen Frears, il regista
anche alla regista e sceneggiatrice polacca Agnieszka Holland e al regista turco Nuri Bilge Ceylan. Due volte candidata agli Oscar (nel 1985 con raccolto amaro e nel 1990 con Europa Europa (1990), , film con il quale vince il Golden Globe) Agnieszka Holland ha iniziato in Polonia la carriera cinematografica come assistente di Krzysztof Zanussi collaborando poi con Andrzej Wajda. Attori di provincia, uno tra i film emblema del "cinema dell'inquietudine morale", è stato premiato dalla critica al Festival di Cannes nel 1980. La regista, che nel 1981 emigra in Francia, ha lavorato molto anche per la tv in numerose e celebri serie come House of Cards, The Wire, Cold Case e Treme. Il Festival del Cinema Europeo propone una selezione delle sue pellicole, scelte insieme alla regista, tra cui Spoor (Pokot) presentato alla scorsa edizione della Berlinale, Screen Test (Zdjecia próbne, 1977), Attori di provincia (Aktorzy prowincjonalni, 1979), Una donna sola (Kobieta samotna,1981) , La febbre (Goraczka, 1981), Europa Europa (1991), Olivier, Olivier (1992), Il giardino segreto (The Secret Garden, 1993), Washington Square - L'ereditiera (Washington
Square, 1997), In Darkness (W ciemności, 2011). Premio Miglior regia con Le tre scimmie nel 2008 al Festival di Cannes, Nuri Bilge Ceylan con lo stesso film viene candidato all’Oscar per il Miglior film straniero, prima pellicola turca a essere candidata agli Oscar in questa sezione. Ma Nuri Bilge Ceylan, con Cocoon, è stato anche autore del primo cortometraggio turco a essere presentato in concorso nel 1995 al Festival di Cannes. E Cannes “diventa” per il regista una vetrina fondamentale per la propria carriera: nel 2003 con Uzak si aggiudica il Grand Prix; nel 2009 viene chiamato a far parte della giuria del festival francese; nel 2011 con C'era una volta in Anatolia si aggiudica nuovamente il Grand Prix e nel 2014 vince la Palma d'oro per Il regno d'inverno. Protagonista di una Masterclass (giovedì 6 aprile alle ore 11.00) del regista turco i film in programma sono: Koza (1995), Kasaba (1997), Nuvole di Maggio (1999), Uzak (2002), Il piacere e l'amore (2006), Le tre scimmie (2008), C'era una volta in Anatolia (2011), Il regno d'inverno (2014) Realizzato dalla Fondazione Apulia Film Commission e dalla Regione Puglia con risorse del Patto per la Puglia (FSC), il Festival del Cinema Europeo è ideato e organizzato dall’Associazione Culturale “Art Promotion” con il sostegno del Comune di Lecce e del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo-Direzione Generale Cinema. Info: festivaldelcinemaeuropeo.com
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,QFRQWUR FFRQ OO·$XWRUH Nico Maggi Anna Paola Pascali Vita Silvestri 6XOO·XVFLR G GL FFDVD Tre sguardi tre storie andata e ritorno. 'RYH F·q OD FDVD F·q DQFKH LO FXRUH« Ma quando la casa, lasciata e ritrovata poi a distanza di anni, diviene il luogo dei ricordi dove affiorano i sentimenti più reconditi, può diventare momento G·DVVHQ]D H VRIIHUHQ]D /D FDVD FKH KD protetto e riparato dagli sguardi della gente, diviene improvvisamente testimone muto di una condizione sociale alquanto pesante. Tre storie legate da un unico fil rouge: OD ULFHUFD GL XQ·LGHQWLWj SHUGXWD FKH possa estendersi oltre la discriminazione ed il pregiudizio.
'LDORJKHUj FRQ O·$XWRUH lo Scrittore Alfonso Beninatto
Martedì 21 Marzo 2017 ore 20.45 Biblioteca Comunale di Maserada sul Piave Viale Caccianiga, n° 100/a WHO KWWS ZZZ FRPXQH PDVHUDGD WY LW H PDLO ELEOLRWHFD#FRPXQH PDVHUDGD WY LW
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Quando iL cinema diventa ufficio a napoLi in due anni 250 produzioni
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Anche il docufilm “Pino Daniele il tempo resterà” anteprima assoluta al San Carlo il 19 marzo
In soli due anni dalla sua costituzione, l'Ufficio Cinema del Comune di Napoli ha collaborato con oltre 250 produzioni e con TV straniere, dalla Cina al Canada, da India e Corea a Turchia, Giappone, Russia, Polonia, Belgio, Francia, Spagna. Incardinato presso la Direzione Cultura, l’Ufficio Cinema è nato con l'obiettivo di incentivare la scelta di Napoli come ambientazione di film, serie tv e spot. Il cinema e la televisione rappresentano, infatti, un'opportunità di sviluppo economico ed occupazionale, nonché un volano di promozione turistica su cui l'amministrazione comunale ha deciso di investire creando una struttura in grado di supportare le produzioni e di semplificare l'iter delle autorizzazioni per le riprese. Va sottolineato infatti che oltre ad aver contribuito alla promozione dell'immagine della città, questa attività ha anche determinato notevoli effetti economici diretti, indiretti ed indotti, stimati – solo per 11 delle produzioni più grandi – in 27 milioni di euro. Tra i
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numerosi cortometraggi, trasmissioni tv, web serie, spot, videoclip, documentari, si segnalano in particolare i successi della Rai “I bastardi di Pizzofalcone”, “Non dirlo al mio capo”, “Sotto copertura” e i film “Falchi” ora nelle sale, il kolossal americano “Mary Magdalene”, il primo lungometraggio con la regia di Rupert Everett “The happy prince” e la collaborazione operativa con il docu-film “Pino Daniele: il tempo resterà” diretto da Giorgio Verdelli in anteprima assoluta al San Carlo il 19 marzo. E a proposito dell’indimenticabile cantautore napoletano, torna, al Palapartenope, "Je sto vicino a te", l’omaggio a Pino Daniele voluto dal fratello Nello con il Comune di Napoli, anticipato a sabato 18 marzo alle ore 21 per entrare a mezzanotte nel 19, giorno in cui avrebbe compiuto 62 anni. Fedele al suo spirito di festa aperta alla
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città, il memorial per il Nero a Metà sarà ad ingresso gratuito su invito, fino a esaurimento dei posti a disposizione, con diretta radiofonica su Radio Marte e diretta streaming sul sito de "Il Mattino". Peppe Barra, Dodi Battaglia dei Pooh, Nino Buonocore, Nino D'Angelo, Sal Da Vinci, Fabio De Caro, Maurizio de Giovanni, Tony Esposito, Marina Mulopulos, i 99 Posse e Marco Zurzolo gli artisti attesi sul palco, insieme a sorprese dell'ultimo momento. Sul palco anche una band formata da Flex Aiello, Paolo Badà, Diego Imparato, Tony Panico, Lino Pariota, Claudio Romano e Tony Cercola. Warm up a cura di dj Roberto Funaro. Sarà possibile prenotare gli inviti sul sito del Comune, dalle ore 8 di martedì 14 marzo oltre che al botteghino del Palapartenope, in via Barbagallo, (dal 14 mattina, orari 10-18).
Nella foto l’artista Francesco Zavattari ospite della Casa Museo Pavarotti, nel riquadro l’opera realizzata
francesco disegna Luciano. aL via Le ceLeBrazioni per iL decennaLe
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Una live performance dellartista toscano ha aperto la serie di iniziative per ricordare il tenore a dieci anni dalla scomparsa
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Il gesto pittorico dell’artista toscano Francesco Zavattari incontra la vocalità di un indimenticabile maestro il tenore Luciano Pavarotti. Si apre un periodo di importanti progetti condivisi con Casa Museo Luciano Pavarotti e Fondazione Luciano Pavarotti: la passione dell'artista Francesco Zavattari
per il Maestro prende forma ufficiale grazie a una serie di eventi inseriti nell'ambito delle celebrazioni per il decennale della sua scomparsa. Il primo appuntamento si è svolto il 22 febbraio scorso, quando lo splendido museo nel cuore della campagna modenese ha ospitato l'evento Francesco disegna
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Luciano, una live performance intima ed esclusiva. Le indimenticabili arie d'opera, che quotidianamente permeano la suggestiva atmosfera della casa, hanno guidato Zavattari nel dare vita, con tratto e colore, alla tela bianca: il risultato è un omaggio alla potenza canora ed espressiva di questo grande personaggio, sintetizzata nel titolo L'attimo infinito di Luciano. La mia idea non era quella di dedicare un vero e proprio ritratto al Maestro pavarotti spiega Zavattari - molti altri artisti hanno già fatto questo prima di me. Ciò che ho voluto fare è stato disegnare Luciano nel suo habitat naturale. Un teatro fre-
mente di luce. Una luce irradiata direttamente dal palco sulle note della sua voce. Il tutto nell'attimo, infinito, precedente a ogni lungo applauso. Quello è il momento che ho voluto fissare sulla mia tela, da oggi proprietà e parte integrante dell'allestimento della Casa Museo Luciano pavarotti. L'attimo infinito di Luciano il titolo scelto per l’opera realizzata con fusaggine, pastello extrafine, idropittura, grafite e pennarello su tela (80x80 cm). Un valore aggiunto all’evento la presenza di Nicoletta Mantovani, moglie dell’artista, che ha commentato: è stata un'emozione molto forte vedere un grande talento all'opera ispirato dalla voce di Luciano. Francesco è riuscito a catturare sulla tela questa grande energia vibrante che, a dieci anni dalla scomparsa di Luciano, è ancora presente nei cuori di chi lo ha amato. La giornata è stata raccontata attraverso diversi scatti e un video, a cura di Lorenzo Chiocchetti, che parlano di un luogo magico, curato in ogni minimo dettaglio, in cui la presenza di Luciano Pavarotti è oltremodo palpabile. Questa documentazione costituisce solo un assaggio di una sinergia tra Casa Museo Luciano Pavarotti e Francesco Zavattari destinata a proseguire, rafforzarsi nei prossimi mesi e ad aprirsi al pubblico, in un connubio tra musica e arte visiva teso a celebrare un personaggio intramontabile.
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Nelle foto: Teresa Margolles, “Frazada (L’Ombra)”, 2016, Coperta, struttura metallica e pietra, 170 x 190 cm, Courtesy l’artista; Cecilia Bertoni, “round midnight / ritratti”, video installazione, immagine di Cecilia Bertoni
teresa margoLLes ospite a vorno di “assemBLaggi provvisori”
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Alla Tenuta Dello Scompiglio il 25 marzo
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Non smette di stupire il ricco programma di eventi di “Assemblaggi Provvisori”, manifestazione dell’associazione culturale Dello Scompiglio, diretta da Cecilia Bertoni e incentrata sull’individualità in relazione e/o in conflitto con il genere. Sabato 25 marzo, dalle ore 18.00, lo SPE - Spazio Performatico ed Espositivo Dello Scompiglio (Vorno, Lucca) ospiterà ben due inaugurazioni e una performance teatrale. Si inizia con il vernissage di Sobre la sangre, mostra di Teresa Margolles incentrata sull'odio di genere, a cura di Francesca Guerisoli e Angel Moya Garcia. Teresa Margolles (Culiacán, Sinaloa, Messico, 1963 – vive e lavora a Madrid) è un’artista visiva che esamina le cause e le conseguenze sociali della morte, della distruzione e della guerra civile. L’artista è nota per la creazione di opere d’arte che si concentrano sui temi della violenza, del genere,
della povertà e dell’alienazione. Il suo lavoro critica l’ordine sociale ed economico che rende normali certe morti violente, trasgredendo le convenzioni sociali e artistiche e sottolineando la complicità del governo nel produrre violenza e nel generare povertà. Come firma singola e attraverso il collettivo SEMEFO (Servicio Médico Forense), fondato a Città del Messico nel 1990 e attivo per un decennio, Teresa Margolles è tra le artiste che più hanno trattato il tema della brutalità della guerra tra narcotrafficanti e forze dell’ordine nella Repubblica federale del Messico, realizzando opere dalle quali emerge una ferma condanna alla violenza e a ciò che essa produce nelle famiglie delle vittime, nelle comunità e nello spazio urbano. Taglio del nastro anche per round midnight /ritratti, video installazione di Cecilia Bertoni in cui i ritratti dei cinque performer - Olivier Boréel, Eleonora Chiocchini, Katia Frese, Sara Leghissa, Valerio Sirna- si trasformano gradualmente per eludere le convenzioni socio-culturali del genere. Entrambe le mostre saranno visitabili fino al 25 giugno. Inoltre, in serata, sarà presentata “There is no certainty – no, it’s difficult nowadays to be sure of something”, performance della compagnia Théâtre Variable n°2, con la regia Keti Irubetagoyena, che esamina il peso della normalità attraverso gli occhi di una donna nel giorno del suo cinquantesimo compleanno. Info e prenotazioni: biglietteria@delloscompiglio.org |0583 971125 | www.delloscompiglio.org |0583 971475 | 338 7884145
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francesco mercurio aL comando deLLa BiBLioteca nazionaLe di napoLi
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Dalla biblioteca provinciale di Foggia il nuovo direttore
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NAPOLI. Francesco Mercurio è il nuovo direttore della Biblioteca Nazionale di Napoli, laureato in Filosofia presso l’Università di Salerno, storico di formazione, autore di numerosi saggi di carattere storico, politico e sociale, dal 1999 fino ad oggi è stato direttore di una importante realtà meridionale: la Biblioteca provinciale di Foggia, l'Archivio Storico provinciale e il Sistema Museale Provinciale. La lunga esperienza sviluppata a livello regionale e nazionale nella gestione e nella tutela dei beni culturali e la profonda conoscenza della storia e della cultura del Mezzogiorno, hanno permesso a Mercurio di accostarsi con entusiasmo alla sfida di dirigere la biblioteca napoletana, conosciuta come importante presidio scientifico nel contesto accademico e di studi internazionale. Mercurio è già al lavoro per rilanciare il dialogo permanente e partecipato della Biblioteca con la città, con il territorio, con le diverse espressioni della società civile. “La Biblioteca Nazionale di Napoli è uno scrigno inesauribile di cultura e conoscenza ma anche di bellezza per le espressioni d’arte custodite - commenta Francesco Mercurio - preziosi autografi dei maggiori autori della letteratura italiana da Tasso a Leopardi ad Ungaretti, manoscritti di raro valore da Tolomeo a Vico, una collezione come quella dei Papiri di Ercolano unica al mondo, sale affrescate di armoniosa eleganza: si tratta di un patrimonio inimmaginabile, spesso noto solo agli addetti ai lavori, tutto da scoprire e sul quale voglio accendere il focus della città e del paese”. Francesco Mercurio, nato a Foggia nel 1954, si è laureato in Filosofia presso l'Università di Salerno (con 110 e lode). è stato direttore della Biblio-
teca Provinciale di Foggia, dell'Archivio Storico provinciale e del Sistema Museale Provinciale, una complessa realtà di circa 53 biblioteche, caratterizzata da importanti fondi di storia locale. Storico di formazione ha lavorato con diverse università. In particolare dal 1997 al 2003 è stato docente a contratto presso l'istituto Universitario di Architettura di Venezia Facoltà di Pianificazione Urbanistica e Ambientale per il corso di Storia delle città e del territorio. Si è prevalentemente e interessato al rapporto fra gli uomini ed il loro territorio. Autore di molte pubblicazioni, alcuni suoi lavori sono stati editi presso Marsilio, Laterza, Donzelli, Einaudi. Organizzatore ed animatore del sistema bibliotecario provinciale, è stato dal 2005 al 2011 presidente regionale dell'Associazione Italiana Biblioteche Pugliese ed è componente del Comitato tecnico scientifico del Servizio Bibliotecario Nazionale presso l'Istituto Centrale per il Catalogo Unico del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. è stato uno dei fondatori dell'Istituto Meridionale di Scienze Sociali (IMES) ed è socio della ESEH (EuropeanSociety of Environmental History).
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saLentarte. cinema e jazz per itinerario rosa 2017
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In apertura la proiezione del cortometraggio “Santo Rizzello: 100 anni di storia e il videoclip ‘Funkattivo’
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LECCE. Dopo le tappe di Milano e Firenze, domenica 19 marzo (ore 19 - ingresso libero) approda anche a Lecce, nelle sale di Palazzo Turrisi-Palumbo, il tour di “SalentArte”, Un evento multiculturale tra cinema e musica nato dalla collaborazione tra la vocalist e autrice jazz Elisabetta Guido (che proporrà i brani di "The good storyteller”, il suo più recente lavoro discografico prodotto dall’etichetta Dodicilune) e la regista Agnese Correra (che presenterà il cortometraggio “Santo Rizzello: 100 anni di storia” e il videoclip del brano “Funkattivo”). La serata - organizzata nell'ambito della rassegna Itinerario Rosa del Comune di Lecce - si aprirà dunque con la proiezione del documentario “Santo Rizzello: 100 anni di storia”. Un pescatore centenario, Santo Rizzello, narra Porto Cesareo con gli occhi di chi ha navigato e si è nutrito del suo mare, di chi ha vissuto caparbiamente nella sua terra, strappato via solo dalla Guerra, di chi ha partecipato a quel processo di autonomia da Nardò voluto proprio dal popolo. Custode di 100
anni di storia del suo paese, come uno scrigno che serba un tesoro prezioso, si è aperto raccontando fatti, persone, luoghi. A seguire sullo schermo il videoclip del brano “Funkattivo”, tratto dall’album “The Good Storyteller” di Elisabetta Guido, che ha firmato anche la colonna sonora del documentario. Entrambi i video sono diretti da Agnese Correra, regista e sceneggiatrice, specializzata presso l’ACT Multimedia di Cinecittà. Tra le sue principali attività la realizzazione di cortometraggi, documentari, videoclip musicali e promo pubblicitari, molti dei quali legati al Salento. In chiusura concerto di Elisabetta Guido, affiancata dalla pianista Carla Petrachi e dal batterista Matteo di Giuseppe. Vocalist e autrice di jazz, gospel e popular music, Elisabetta porta nella tradizione afroamericana le proprie radici. Collaboratrice della Rai come direttrice di coro e vocalist in programmi di largo ascolto, ha cantato con Tullio De Piscopo, Renzo Arbore, Javier Girotto, Fabrizio Bosso e molti altri. Dopo “Let your voice dance” (Dodicilune, 2013) la poliedrica artista nella primavera 2016 ha pubblicato "The Good storyteller". Negli undici inediti - scritti interamente o cofirmati dalla stessa Guido – la cantate racconta (da perfetta storyteller) alcune storie d’amore. Completano il cd “Crystal Silence” di Chick Corea e la ghost track “The dry cleaner from des moines” di Charles Mingus e Joni Mitchell in una versione drum’n’bass arrangiata dal batterista Francesco Pennetta. Nel lavoro traspare l’amore viscerale della cantante salentina per il ritmo (i brani sono un mix di funk, swing, drum’n’bass, poliritmia e ritmi popolari), al servi-
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zio di atmosfere ricche di modulazioni armoniche, senza però mai allontanarsi dalla tradizione melodica italiana. Grande spazio è lasciato anche all’improvvisazione. Il disco ospita, infatti, due “Total impro”, brani composti in studio durante la registrazione del cd con il pianista Danilo Tarso, presenza costante in tutto questo lavoro, e che mostrano fra l’altro un fortissimo e continuato interplay, oramai consolidato da più di due anni di attività concertistica del duo in Italia e all’estero. Completano la lineup del disco Roberto Ottaviano, Stefano Rielli e il batterista Francesco Pennetta. Merita un capitolo a parte “Salento Rhapsody”, una piccola opera in tre movimenti; un omaggio di Elisa-
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betta Guido alla sua regione, da sempre terra d’incontro, comunione e integrazione fra culture musicali appartenenti a diversi Paesi e a diverse etnie, ancor di più in un momento storico in cui questi valori sono messi in discussione in tutto il mondo occidentale. Nei tre movimenti (“La mia fortuna”, “Mare Mare” e “19 aprile 2015”) la cantante collabora con due formazioni di musica popolare, Zimbaria e I tamburellisti di Otranto, e con il violinista Francesco Del Prete. domenica 19 marzo - ore 19 Palazzo Turrisi Palumbo - Lecce Ingresso libero Info facebook.com/elisabettaguidovoce
Un frame tratto dal film, girato a Torino in piazza Cli
Quando torino vestiva d’argento La città di “profondo rosso” Stefano Cambò
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I luoghi del Cinema
Un tour nei luoghi del famoso thriller horror del regista Dario Argento
Se c’è una città che ha segnato negli anni un rapporto indelebile e imprescindibile con un regista, quella è sicuramente Torino! Il regista in questione non poteva che essere Dario Argento, il maestro italiano del Thriller-Horror. Sette sono i film ambientati nel capoluogo piemontese, ma uno su tutti ha trovato il suo punto di forza nelle locations scelte con cura dal cineasta romano. Stiamo parlando di profondo rosso, naturalmente. Quel profondo rosso che venne girato a Torino nel 1974 (uscendo poi nelle sale l’anno successivo) quando ancora la città era
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ben lontana dall’essere considerata un set cinematografico a cielo aperto. Infatti la pellicola, diventata ormai un cult del genere, deve la sua fortuna a due fattori importanti. Il primo è la scelta del titolo. All’inizio il film si chiamava La tigre dai denti a sciabola, perché Dario Argento voleva continuare con la tendenza animalesca delle produzioni precedenti (Il gatto a nove code e Quattro mosche di velluto grigio) e soprattutto perché voleva prendere in giro la stampa dell’epoca. Poi su un copione comparve il titolo provvisorio Chipsiomega (dalla somma delle ultime tre lettere Vista su Torino e la Mole Antonelliana
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dell’alfabeto greco). Infine si preferì profondo rosso (di sicuro l’opzione migliore a mio modesto parere) per omaggiare le tante scene scarlatte in cui compariva l’elemento predominante del sangue. Il secondo fattore che fece la
fortuna del film è invece la scelta delle musiche affidate al rock psichedelico dei Goblin (con il loro motivetto ipnotico diventato leggenda) e alle composizioni eclettiche del pianista jazz Giorgio Gaslini. L’unione di questi stili, insieme ad una regia perforante, ha dato vita ad una Torino fredda, notturna e per certi versi metafisica. Così metafisica che il famoso Blue Bar, protagonista di numerose scene, prende chiaramente ispirazione dal bellissimo quadro Nightawks del pittore americano Edward Hopper. Secondo le testimonianze dell’epoca, la ricostruzione sembrava così reale che molti passanti durante le pause volevano entrarci per prendere un drink. Tra i luoghi memorabili del film, un posto d’onore c’è l’ha sicuramente Piazza Cln (il nome si rifà al Comitato di Liberazione Nazionale fondatosi in Italia al termine del fascismo) su cui ruota buona parte della trama, dal primo omicidio all’ultimo colpo di scena. Per chi volesse visitarla, si trova fra via Roma e Piazza San Carlo ed è famosa soprattutto per le due fontane che rappresentano le allegorie dei principali fiumi di Torino: il Po e la Dora Riparia. Si tratta di due sculture imponenti realizzate dall’artista Umberto Baglioni nel 1937.
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Una curiosità: nel progetto iniziale la piazza avrebbe dovuto ospitare oltre a quelle indicate, anche le statue raffiguranti il re Vittorio Emanuele III e il duce Benito Mussolini. Altro scenario suggestivo della pellicola è sicuramente il Teatro Carignano, uno dei più importanti di Torino e luogo caro a Dario Argento. Così caro che il regista ci gira le scene di due film diversi a distanza di venticinque anni l’uno dall’altro… Quella del Congresso di parapsicologia nel 1975 per profondo rosso e quella dell’omicidio della ballerina per Non ho sonno nel 2001, anche se poi decide di affidare la parte del presunto colpevole allo stesso attore, quel Gabriele Lavia che dopo più di un lustro di secolo in una scena clou del secondo film dice è tutta colpa tua, esattamente come fece in Profondo Rosso, emulando per l’occasione anche la stessa espressione del viso. Inoltre, per chi fosse un amante della filosofia contemporanea, la piazza da cui prende il nome il teatro è stata scenario del famoso crollo mentale di Freidrich Nietzsche datato 3 gennaio 1889. Secondo le testimonianze dell’epoca, il filosofo tedesco, vedendo un cocchiere fustigare un cavallo adibito al traino di una carrozza, abbracciò tra le lacrime l’animale e lo baciò sul muso, per poi crollare al suolo tra le urla deliranti e gli spasmi.
Palazzo Madama a Torino: facciata principale, da Piazza Carlo Alberto.
mento che commemora la storica permanenza di Nietzsche che proprio in quella dimora scrisse Ecce Homo, una delle sue opere più conosciute. Ma la città della Mole non è solo questo… Perché un piccolo posto nel cuore del regista ce l’ha anche la Galleria San Federico (qui ci girerà
I luoghi del Cinema
C’è da dire anche che nel 1944, ai cento anni dalla nascita, è stata apposta dal podestà dell’epoca sulla casa dove il filosofo abitava in piazza Carlo Alberto, una targa alla sua memoria con epigrafe e ritratto realizzati da Antonio Rubino e inoltre, ancora oggi, è visibile un piccolo monu-
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la locandina del film
infatti la scena finale di Giallo). Si tratta di un grande edificio commerciale che si trova nel centro storico di Torino. Costruito negli anni trenta, il luogo diventa con il passare del tempo una prestigiosa sede di gioiellerie, negozi e studi professionali (tanto che fino agli anni duemila qui vi era anche la sede della Juventus F.C.) Al suo interno si può ancora visitare il Cinema Rex, uno di più vecchi e suggestivi della città. Ultima location in ordine di scaletta, ma non d’importanza, è Villa Scott (soprannominata la casa del bambino urlante nel film). Si tratta di una bellissima dimora situata in corso Lanza. è stata costruita nel 1902 dall’ingegnere Pietro Fenoglio per Alfonso Scott, ricco gentiluomo torinese. Si narra che all’epoca delle riprese, la struttura fosse un istituto di suore che servisse per accogliere le ragazze bisognose. Siccome non vi era spazio per ricevere al suo interno la troupe e i mezzi, le religiose e le giovani in difficoltà vennero mandate
in vacanza a Rimini, giusto il tempo per filmare una delle scene più famose. Per chi ne avesse voglia (dopo aver visto il film naturalmente) alcuni costumi, oggetti di scena e locandine sono in mostra nelle sale del Museo Nazionale del Cinema all’interno della Mole Antonelliana, il monumento simbolo della città. Così monumento che per l’intera giornata del 7 marzo 2015 ha ospitato nella chapelle dedicata al Caffé Torino, adiacente all’Aula del Tempio il Profondo Rosso Day, per festeggiare i 40 anni dall’uscita nelle sale del film. Inoltre dal 2010 è stato istituito un vero e proprio itinerario che ripercorre tra gli altri anche i luoghi storici di profondo rosso. Si chiama per l’appunto Dario Argento Tour Locations. E d’altronde non poteva essere diversamente… visto che il regista da sempre considera Torino come la città perfetta per i suoi incubi!
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foto di Mario Cazzato
L’antica origine di vichi e corti e Le mura deLLa città Mario Cazzato
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Salento Segreto
a cura di Mario Cazzato
Un documento del 1738 spiega l’origine militare delle corti e dei vichi
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ra un torrione e l'altro le c o r t i n e murarie ospitavano un camminamento di ronda interrotto solo dalle porte urbiche e dalla mole del castello. A questi camminamenti si accedeva da quelle che erano delle vere e proprie strade militari rettilinee che terminavano sulle mura e che poi sono state chiamate corti o vichi (corte dei Fieschi, vico dei Rainò ecc.). Un documento del 1738 chiarisce la questione. Tra il convento di San Francesco di Paola e palazzo Giaconia, allora Carignani, c'era un
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passaggio detto "strettolone" alla cui fine esisteva un portone con lo stemma della città da cui, in tempo di guerra, si poteva salire sulle mura. Nello stesso documento si dice che vi erano altri accessi simili in altri punti della città confinanti con le mura. Ecco spiegata l'origine militare di alcune di queste corti, sistema ideato ovviamente da Gian Giacomo dell'Acaya. In pratica molte corti e vichi di Lecce nacquero come strade militari di accesso dall’abitato alle mura.
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