le visioni dei martina
le dodici stanze
nelle sale di Palazzo castromediano vernazza a Lecce la mostra di Luigi e Maurizio Mar-
Si è concluso al todi festival il tour estivo del pianista compositore ezio bosso
anno 1163 numero 9 settembre 201 6
anno XI - n 9 Settembre 2016 -
tIna ModottI, L’archIvIo a bonefro
borghi e periferie anelli deboli della società
la carta di leuca, speranza di pace
Le riflessioni del sociologo Mario Perrone sugli effetti dell’evento sismico che ha scosso l’Italia centrale nel mese di agosto
Il Mediterraneo deve ritornare ad essere il mare che unisce popoli, culture e religioni diverse. Solo la convivialità potrà salvarci
primo piano
le novitĂ della casa
IL RAGGIO VERDE EDIZIONI
ilraggioverdesrl.it
edItorIaLe
In copertina e sopra la fotografa Tina Modotti
Proprietà editoriale Il Raggio Verde S.r.l. Direttore responsabile Antonietta Fulvio progetto grafico Pierpaolo Gaballo impaginazione effegraphic
Redazione Antonietta Fulvio, Sara Di Caprio, Mario Cazzato, Nico Maggi, Giusy Petracca, Michele Bombacigno
Hanno collaborato a questo numero: Maurizio Antonazzo, Michele Bombacigno, Christiane Barckhausen- Canale, Mario Cazzato, Giovanna Corradini, Alessandra de Donatis, Katiuscia Di Rocco, Sara Foti Sciavaliere, Mauro Marino, Mario Perrone, Carlo Petrachi.
Redazione: via del Luppolo,6 - 73100 Lecce e-mail: info@arteeluoghi.it www.arteeluoghi.it
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volge alla fine l’estate che sarà ricordata per la funesta data del 24 agosto che, ancora una volta nella storia della nostra penisola, ha seminato morte e distruzione. Il terribile sisma che ha interessato l’Italia centrale ci pone davanti all’irrisolto problema della bellezza perduta: doverosa è una riflessione sugli eventi che rischiano di cancellare per sempre la memoria di paesi che fino a qualche mese fa pullulavano di vita. amatrice, accumuli, arquata del tronto molti di noi ne ignorava l’esistenza ma sono tasselli importantissimi di quell’enorme patrimonio paesaggistico, artistico e architettonico che rende così speciale il nostro Paese. bisogna recuperarne la memoria e far sì che possano rinascere, perché rappresentano la storia e l’identità del nostro territorio come scrive nel suo intervento il sociologo Mario Perrone. Il giornalista Maurizio antonazzo invece ci racconta l’importanza del meeting che ha fatto incontrare a Santa Maria di Leuca tantissimi giovani, giunti in pellegrinaggio, per firmare la “carta di Leuca” perché il Mediterraneo diventi il mare che unisce popoli, culture e religioni diverse nel solco della lezione di don tonino bello. tantissimi gli appuntamenti di musica, teatro, arte. tra gli eventi espositivi si segnalano la mostra di Luigi e Maurizio Martina a Lecce i “dialoghi di scultura” nel frantoio ipogeo di castri e la mostra fotografica degli allievi di foto Scuola Lecce di alessandra de donatis che inaugura la nuova sede. La copertina di questo mese è dedicata a tina Modotti salutando così l’apertura dell’omonimo archivio a benafro nel Molise: nell’ex convento di Santa Maria delle Grazie hanno trovato posto i materiali raccolti in diverse nazioni e nel corso degli anni dalla curatrice berlinese christiane barckhausen- canale che ringraziamo per il suo esclusivo contributo. Un’altra fotografa italiana, la siciliana Letizia battaglia, aprirà con la sua mostra il festival internazionale del giornalismo civile al Pan di napoli. L’articolato programma del festival si chiuderà con l’attribuzione del Premio “Giancarlo Siani”, il giornalista barbaramente ucciso dalla camorra che ogni 23 settembre (da 31 anni ) viene ricordato perché come recita lo slogan di “Imbavagliati” chi dimentica è colpevole!
SoMMarIo luoghi|eventi| itinerari: la bellezza perduta 4 il sogno della ciclovia 21 |il museo di biologia marina 65| apulia land art festival 66 | visite ai giardini di pietra 67 | melpignano, la piccola napoli 82 arte: la madonna di cola di amatrice 10| |itinerarte 25| foto scuola lecce 32 |”labor omnia vincit” a brindisi 36 attraversamenti in luce 40 maurizio martina 46 |luigi martina 52| l’eredità dei martina 58 dialoghi di scultura 60 a specchia risplende un affresco seicentesco 74 musica: le dodici stanze di enzo bosso 11| li ucci festival 64 il salento omaggia de andrè 39 i luoghi della parola: borghi e periferie anelli deboli della società urbana 6 | etnie culture e poteri nella sicilia di federico ii 43|scuola un percorso di crescita per decostruire luoghi comuni 68 | imbavagliati 70 la carta di leuca 78 teatro|danza: il festival teatri della cupa. omaggio a carmelo bene 23 a nino graziano luca il premio il genio e le invenzioni 42 il teatro del burkina faso 73 libri: luoghi del sapere 26-29 |l’infanzia perduta e la memoria 30 le monografie di dove c’è gusto: donato episcopo 69 I luoghi nella rete|Interviste: ricordi archiviati nel molise l’archivio tina modotti 14 la biblioteca nazionale di napoli 38 formazione e informazione 86 Numero 9 - anno XI - settembre 2016
Foto piccola: Accumoli, veduta di Amatrice (fonte sito istituzionale) prima del sisma del 24 agosto 2016
la bellezza perduta le ferite insanabili del territorio di Antonietta Fulvio
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il violento sisma ha devastato comuni ricchi di storia e di arte. Quale futuro?
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Ancora una volta il 24 agosto nella storia della nostra penisola è una data nefasta. Era il 79 d.C. quando il Vesuvio con una violenta eruzione, accompagnata da un forte terremoto, distrusse Pompei, Ercolano, Stabia. Cambiò la geografia di quei luoghi cancellandone la memoria. Solo alla fine del 1800, gli scavi iniziati per volere di Carlo III di Borbone, riportarono alla luce pagine di storia altrimenti dimenticate. La data del 24 agosto lega a sè ancora una terribile storia di distruzione e di morte è accaduto quest’estate nel sisma che ha colpito la zona dell’Appennino centrale con epicentro in provincia di Rieti (vicino Accumoli) ed ha interessato anche le province di Perugia, Ascoli Piceno, L’Aquila e Teramo. I comuni più vicini all’epicentro Accumoli, Amatrice, Arquata del Tronto - si sono come sgretolati, ridotti in cumuli di macerie. Le zone colpite dal terremoto rientrano nella fascia ad altissima pericolosità sismica che corre lungo l’asse della catena appenninica. Secondo i dati diffusi dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e consultabili grazie al Database Macrosismico Italiano 2015 - il Seicento fu un secolo terribile per questo territorio che nel 1639 (Magnitudo 6.2), 1646 (Magnitudo 5.9) e nel 1703 (Magnitudo 6.9)
conobbe la potenza distruttrice della Natura capace di polverizzare in una manciata di secondi vite, luoghi e storie. Dopo l’Abruzzo e l’Emilia l’incubo terremoto è ritornato. A rischio di sembrare retorici, chi lo ha vissuto sulla propria pelle sa che il terremoto, se ti salva, ti cambia inesorabilmente la vita. Anche se non arriva a distruggerti la casa e non ti strappa gli affetti più cari. Figuriamoci quando accade che i sacrifici di un’intera esistenza e le persone che amiamo ci vengano portate via, all’improvviso in una notte d’estate. Ci si stava preparando ad una grande festa con la cinquantesima edizione della sagra degli spaghetti all’amatriciana che si sarebbe svolta il 27 e 28 agosto ad Amatrice, solo lo scorso anno eletto tra i borghi più belli d’Italia che oggi amaramente piange le sue vittime. è un paese distrutto così come Accumoli. Come sei anni addietro L’Aquila. Il legame con il capoluogo abruzzese - della cui provincia, fino al 1927, Amatrice aveva fatto parte - era stato celebrato lo scorso 20 agosto con “La notte aquilana” un dibattito seguito dall’intervento "6 Aprile 2009 Verità e giustizia per la strage de L'Aquila" di Vincenzo Vittorini, capo di una delle associa-
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zioni delle vittime dei familiari. Poi è arrivato il sisma e Amatrice ha conosciuto lo stesso destino di distruzione. Il terremoto con tutta la sua violenza ruba il tempo agli uomini e ai
luoghi. Le lancette dell’orologio della Torre civica di Amatrice ferme alle 3.32 come quello de L’Aquila alle 3:36 separate da pochi decimi di secondi ma unite dallo stesso carico di dolore a sei anni di
distanza. Sono diventati il simbolo della tragedia questi “antichi custodi del tempo” ma non sono gli unici: impossibile non ricordare anche la Torre dei Modenesi chiamata dagli abitanti Torre dell'Orologio a Finale Emilia crollata il 20 maggio 2012 che per diverse ore dopo il sisma resistette squarciata a metà diventando l’icona della nostra Italia ferita. Oppure quella dell’orologio di Novi di Modena crollata il 3 giugno 2012. è una vera emergenza ricostruire e cercare di sanare le ferite inflitte al patrimonio artistico e architettonico del nostro paese. Sarà possibile un modello Friuli di cui si è tanto parlato in questi giorni? Sarà possibile in futuro mettere in sicurezza le nostre città e fare realmente prevenzione? Certo addolora profondamente assistere inermi ad eventi straordinari che non sono prevedibili e tanto meno gestibili: cosa si potrebbe mai fare contro
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lo slittamento di faglie che si scontrano? Ma è solo la Natura a fare danni o anche l’incuria degli uomini e l’attitudine al malaffare? è vergognoso leggere di speculatori, di sciacalli sempre in agguato, scoprire che c’è sempre chi senza scrupoli alimenta il malcostume e fa più danni del terremoto. La rabbia cresce con lo sconforto. Non ci sono parole per spiegare o raccontare il dolore per le tante vite spezzate, per la bellezza perduta che ci auguriamo in qualche modo possa essere recuperata e ricostruita. Perché luoghi come Amatrice, Accumoli e Arquata del Tronto possano risorgere nuovamente. Sui siti istituzionali dei Comuni colpiti ci sono le indicazioni per poter dare un contributo, per quanto piccolo potrà servire. Per ora lo scenario è quello delle tendopoli che accolgono gli sfollati nel tentativo di un ritorno alla normalità mentre l’autunno incalza con le piogge e il freddo. La solidarietà, ad esempio, come quella dei volontari del Trentino che hanno costruito in tempi record la scuola per i bambini di Amatrice è uno sprazzo di luce nel buio della disperazione e la conferma che, quando si vuole, le comunità insieme possono fare grandi cose.
Nel riquadro: la città di Teora distrutta dal sisma del 1980 in Irpinia, In basso la città di Castelnuovo di Conza rasa al suolo dal terremoto dell’Irpinia
borghi e periferie anelli deboli di una società urbana di Mario Perrone
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Le riflessioni del sociologo sugli effetti dell’evento sismico che in pochi secondi ha devastato alcuni comuni dell’Italia centrale
Eravamo ancora immersi nelle immagini festose delle olimpiadi di Rio, quando sul web e su tutte le televisioni del mondo venivano proiettati immagini di una realtà atroce di grande dolore e sofferenza, sofferenza e morte per un terremoto di magnitudo 6.0, secondo gli esperti, che
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in pochi secondi ha devastato l’Italia centrale. Un sisma così intenso che ci riporta alla memoria le precedenti devastazioni dell’Aquila del 6 aprile del 2009, dell’Irpinia del 23 novembre del 1980 e ancora, il terremoto del Friuli con epicentro a Gemona il 6 maggio del 1976. Questi solo per ricordarne alcuni tra i più devastanti, ma senza dimenticare altri meno intensi. Queste calamità naturali, se da una parte rafforzano la solidarietà sociale nella quale fa emergere uno spirito di fratellanza e di mutuo aiuto, dall’altra parte ci riportano in una dimensione di distruzione e di sofferenza, che generalmente colpisce aree urbane o borghi antichi relegati in periferia, per tale ragione poco interessati se non addirittura esclusi da politiche ed interventi di conservazione statica antisismica. Piccoli borghi e
periferie isolati, lontani dai grandi centri, poco conosciuti, senza grandi vie di comunicazioni ai margini della società urbana ma che in realtà, rappresentano la storia e l’identità del nostro territorio, dove si possiedono ancora oggi delle doti fondamentali, come relazioni fondate sulla fiducia reciproca, un’alimentazione genuina ricca di sapori e costumi, spazi urbani che hanno conservato stili di vita caratterizzanti ognuno con aspetti distintivi in base alla loro metodologia di costruzione. Un sistema di fabbricazione in seno al quale la popolazione residente assume attraverso le proprie regole, valori, attrezzature, tecniche e simboli, una propria identità urbanistica, culturale e sociale, unica di quel territorio.
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Il sensore del sismogramma esce dal tracciato a seguito della scossa delle 19:34 che interessò l’Irpinia nel 1980
Tutto ciò non è stato sufficiente per i giovani abitanti, i quali hanno scelto di emigrare verso i grandi centri urbani in cerca di una vita migliore. Le stesse persone che nella notte del sisma, erano ritornati come ogni anno, con lo scopo di rivivere momenti di serenità con la propria famiglia ma soprattutto con la propria terra. Un territorio ricco di monumenti e dimore storiche che tutti sapevano ad alto rischio sismico, ma che nessuno negli anni è intervenuto per metterlo in sicurezza. Ma anche quando si è intervenuti l’uomo riesce a distruggere più della natura. Come la scuola di Amatrice ristrutturata e certificata antisismica solo quattro anni fa spendendo una cifra di oltre mezzo milione di euro. Il crollo della scuola è la minaccia più grande della nostra politica, la quale non riesce a tutelare i propri cittadini che vivono ai margini di un aggregato urbanistico, non a caso Bauman sostiene che il mondo contemporaneo ha determinato lo sviluppo di «scarti umani». è un’industria popolata da «inadatti» esclusi dalla società a cause delle loro «carenze» nel partecipare alle forme di vita dominanti. Questo meccanismo ha permesso al potere politico di essere l’unico elemento direttivo del destino dei suoi cittadini, costruendo una società basata su un sistema produttivo e per questo poco adatto alle periferie. Il prof. Viola nel suo libro”Inchiesta sociologica scrive: tale società è una società “astratta” in quanto, per potere funzionare come società formalmente democratica, i politici non tengono conto dalla concreta esistenza degli individui, di come essi vivono, delle loro reali condizioni di vita. Società astratta, dunque, nel senso che è un sistema di indifferenza alla condizione esistenziale degli uomini. In questo sistema di indifferenza sociale, si separa di fatto, la sfera politica dalla sfera sociale. “Nella sfera politica vengono affermati principi di partecipazione, libertà, uguaglianza, fratellanza, giustizia. Nella sfera sociale vengono puntualmente smentiti fattivamente tali principi, se da una parte si proclamano principi, Sopra: l’interno della Chiesa di Sant’Agostino ad Amatrice, gravemente danneggiata dal sisma. Foto di Ines Facchin
Domon Ken, Foto commemorative della cerimonia di diploma del corpo della Marina, 1944, 1047×747 Ken Domon Museum of Photography
dall'altra crea presupposti strutturali perché non si realizzino”. In sostanza, è una società mascherata. Tutto ciò si ripercuote in maniera drammatica sugli anelli deboli della società che sono le nostre periferie e i nostri borghi, veri monumenti storici, ma lasciati senza protezione con la difficoltà di una popolazione anziana che non è in grado di intervenire da sola rimanendo inesorabilmente ai
margini della società, con pochi sogni e nessuna speranza. Dopo eventi catastrofici come il sisma un tratto comune che unisce tutta la politica é la ricostruzione dei territori devastati, un rituale vissuto e rivissuto tantissime volte. I media diventano lo strumento ideale per promuovere costantemente se stessi con interventi sulla ricostruzione, sperando che non sia solo fumo negli occhi e la ricostruzione
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avvenga dal basso, partendo dalle case delle persone più umili, facendo attenzione a non ricadere nella trappola dei palazzi del potere come ha denunciato in un’intervista l’urbanista Paolo Berdini in un intervista su Abruzzo web dove si da priorità a l’Aquila, ad una ricostruzione di nicchia. Per Berdini sembra prima di tutto evidente un fenomeno che forse agli stessi aquilani sta sfuggendo: si rischia di ricostruire una città per pochi, a causa del meccanismo che dispiegherà il suo potenziale nel medio lungo periodo, della "gentrificazione", termine introdotto in ambito accademico dalla sociologa inglese Ruth Glass, e che sta ad indicare un ‘insieme di processi che a seguito del restauro e miglioramento urbano e tecnologico di un centro urbano, fanno sì che affluiscano in esso nuovi abitanti ad alto reddito, con conseguente espulsione dei vecchi e nuovi abitanti a basso reddito. In questo intervento di una nuova emarginazione sociale viene nuovamente violentato un territorio con i suoi abitanti, pertanto,affinché sia scongiurata una ricostruzione di nicchia il governo dovrebbe promuovere il ripristino con i fondi per la ricostruzione, non alle solite multinazionali, ma erogando la somma a ditte locali, le quali con attraverso la loro sofferenza, sono sicuro sapranno ricostruire con passione e responsabilità adeguandosi, di certo, a
Domon Ken, Donne a passeggio, Sendai, 1950, 457×560 Ken Domon Museum of Photography
tutte le norme antisismiche esistenti. Naomi Kleim nel suo libro Shoch Ecomony scrive: “L’esperienza di tutti coloro che ricostruiscono case per eventi catastrofici non solo ricostruiscono edifici, ma ricostruiscono se stessi”. Una ricostruzione che nasce dal basso dalle stesse persone che hanno vissuto il dramma della distruzione, ha il valore di una ricostruzione morale ma soprattutto umana e sono gli unici che potranno garantire dei borghi con una scuola sicu-
ra, case costruite con le proprie mani e per questo saranno realmente antisismiche. Ricostruire la propria casa significa ricostruire la propria vita all’interno di una comunità. ll vice preside della scuola elementare Dr. Martin Luther King Jr. nel quartiere Lower Ninth di New Orleans disse: “Riaprire la nostra scuola significa che questa è una comunità davvero speciale, tenuta insieme non solo dalla spiritualità, dai legami di sangue ma dal desiderio di tornare a casa”.
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Museo di Amatrice e della Sindone di Arquata. Immagini messe cortesemente a disposizione dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Protezione Civile.
la madonna di cola dell’amatrice in salvo la tela e le opere del museo
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Concluse le operazioni recupero e messa in sicurezza delle opere del Museo di Amatrice e della Sindone di Arquata
AMATRICE. Sono terminate con successo le operazioni di recupero e messa in sicurezza delle opere del Museo Civico di Amatrice, tra le quali la pregevole tavola con Madonna con bambino e san Giovannino datata e firmata da Cola dell’Amatrice, artista, scultore e architetto rinascimentale attivo nella prima metà del Cinquecento nel territorio dello Stato Pontificio, e tre capolavori dell’arte orafa del Quattrocento quali il Reliquiario della Filetta, la Croce processionale di Pinaco e la Croce processionale di Preta di Pietro Paolo Vannini. Le opere, molto impolverate ma in stato di conservazione discreto, sono state ricoverate in spazi appositamente attrezzati all’interno della Scuola del Corpo Forestale dello Stato di Cittaducale, dove verrà apprestato un laboratorio di pronto intervento per le prime azioni necessarie. Terminato anche il recupero dell’estratto dall’originale della Sacra Sindone conservato presso la chiesa di San Francesco di Borgo a Arquata del Tronto, da dove sono state prelevati anche un tabernacolo ligneo policromo e due teche in legno. Le opere sono state trasportate con un camion messo a disposizione dei Vigili del Fuoco a Ascoli Piceno, dove verranno ricoverate presso il Duomo di Sant’Emidio e nell’adiacente deposito diocesano. Le due operazioni sono state effettuate in piena zona rossa dalle squadre rilevamento danni del MiBACT, coaudiuvate dal personale dei vigili del fuoco, con l'accordo della Protezione civile e l'assistenza del Comando Carabinieri Tutela del Patrimonio Culturale, e hanno visto anche la partecipa-
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zione di restauratori dell’Istituto Superiore di Conservazione e Restauro che hanno proceduto a un primo esame delle opere e a supervisionare il loro imballaggio a norma prima del trasferimento nei ricoveri. “Grazie ai professionisti della tutela – ha dichiarato il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, Dario Franceschini – le preziose opere del Museo di Amatrice e la Sindone di Arquata sono ora in salvo. Un risultato reso possibile dalla passione, la professionalità e lo spirito di sacrificio degli storici dell’arte, dei restauratori, degli architetti, dei bibliotecari e degli archivisti del MiBACT che in questi giorni stanno incessantemente collaborando con i carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Culturale, i vigili del fuoco e la protezione civile per recuperare quanto più possibile i beni artistici e storici di quei territori”.
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le dodici stanze di ezio bosso dove albergano le emozioni in note di Antonietta Fulvio
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Il pianista e compositore torinese ha chiuso con successo il suo The 12th Room Tour al Todi Festival
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Dopo aver emozionato l’Italia dal palco del Festival di Sanremo con la sua composizione “Following A Bird”, da aprile il compositore e direttore d’orchestra Ezio Bosso ha iniziato il tour in tutta Italia per presentare live in piano solo il suo disco “The 12th Room” (Incipit/Egea Music). Tra le numerose tappe che quest’estate lo hanno visto anche in Puglia e Basilicata, il 17 agosto ad Ostuni e il 20 a Matera, dopo l’esibizione del 1° settembre a Pollenzo Cuneo, il musicista ha chiuso con successo il tour estivo al Todi Festival, lo scorso 4 settembre. Un concerto dopo l’altro, passando dalle più prestigiose rassegne (Il festival della Perelada in Spagna, il Macerata Opera festival e il Fetival pucciniano) Ezio Bosso incanta e fa sognare. Un titolo denso di significato. Stanze come gli antichi trovatori chiamavano le canzoni e dodici perchè “Si dice che la vita sia composta da 12 stanze. 12 stanze in cui lasceremo qualcosa di noi che ci ricorderanno. 12 le stanze che ricorderemo quando saremo arrivati all’ultima. Nessuno può ricordare la prima stanza dove è stato, ma pare che questo accada nell’ultima che raggiungeremo. Stanza, significa fermarsi, ma significa anche affermarsi” (...) Per ogni stanza che percorriamo apriremo una porta che ci porterà dentro e fuori da esse. Le stanze sono vuote o piene e siamo noi
a deciderlo”. Con queste parole Ezio Bosso presenta il suo ultimo doppio album, il primo disco di 12 brani (tra cui quattro inediti e sette di repertorio pianistico. Più un brano così inedito da non essere nemmeno mai stato eseguito dal vivo) e un secondo con la Sonata No. 1 in Sol Minore per piano solo composta dallo stesso Bosso. “I due dischi lo rivela lui stesso - sono anche esattamente la scaletta del mio ultimo concerto in piano solo. I brani, come sempre nelle mie scelte, rappresentano un piccolo percorso meta-narrativo. Quelli di repertorio rivelano anche da dove provengo, dove si trovano le radici della musica che scrivo. Rivelano i due musicisti che convivono in me: Il compositore e l’interprete”. Pianista, compositore, direttore d'orchestra Ezio Bosso è stato anche contrabbassista (per una breve parentesi pop con gli Statuto). Prolifico, innovativo e raffinato, il suo talento si è esercitato nei più disparati e complessi ambiti musicali, dalle composizioni classiche per le grandi orchestre sinfoniche, a quelle da camera o solistiche, dalla colonne sonore per il cinema fino al teatro, alla danza e alle sperimentazioni con i ritmi contemporanei. Nato a Torino il 13 settembre 1971, Ezio Bosso incontra la musica all’età di quattro anni grazie al fratello maggiore e a una prozia pianista. Il debut-
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to, a sedici anni, come solista, in Francia. Comincia ad esibirsi in varie orchestre europee ma è l’incontro con il maestro Ludwig Streicher che segna la svolta della sua carriera artistica, indirizzandolo a studiare Composizione e Direzione d’Orchestra all’Accademia di Vienna. Negli anni ’90 si esibisce in alcune delle più importanti stagioni concertistiche internazionali come solista, direttore o in formazioni da camera, salendo sul palco di Royal Festival Hall, Southbank Center London, Sydney Opera House, Palacio de las Bellas Artes di Mexico city, Teatro Colon di Buenos Aires, Carnegie Hall NYC, Teatro Regio di Torino, Houston Symphony e Auditorium Parco della Musica Roma. Dirige alcune delle più importanti orchestre internazionali, come la London Symphony Orchestra, l'Orchestra del Teatro Regio di Torino, l'Orchestra dell'Accademia della Scala, l'Orchestra Filarmonica '900 e l'Orchestra dell'Accademia di Santa Cecilia per citarne alcune. Dal 2011 convive con una malattia neurodegenerativa progressiva ma l’amore per la musica vince tutto. “Come sosteneva il maestro Claudio Abbado “La musica è la nostra vera terapia” ha più volte dichiarato, anche dallo stesso palco dell’Ariston,
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asserendo che “La musica è una vera magia, non a caso i direttori hanno la bacchetta” e lui stesso è testimone di quanto siano vere le sue affermazioni. La malattia può mettere a dura prova il suo corpo ma non la sua anima, la magia di quelle dita che accarezzano i tasti liberando melodie straordinarie capaci di giungere al cuore perché è dal suo cuore che sono nate. Le sue note così come la sua stessa esistenza dimostrano che non esistono barriere e “La musica come la vita si può fare solo insieme”. E allora ascoltando i suoi brani si comprende il valore straordinario della musica che è bella e ha senso nella condivisibilità e insegna la delicata pratica dell’ascolto. Una pratica che la società moderna sembra aver smarrito chiusa nei suoi egoismi. Il dolore, la malattia, la paura sembrano avere importanza solo quando ci riguardano direttamente e, invece, dovrebbe interessarci sempre. Bosso dà sempre molta attenzione ai progetti di sostegno sociale, dal 2013 è artista residente dell’Opera Barolo (la più antica opera pia d’Italia) dove, tra le altre cose, organizza un progetto unico al mondo il “Zusammenmusizieren: far musica insieme”, un progetto di cultura per il sociale dove periodicamente si aprono le porte dello studio del musicista nella sede di Palazzo Barolo (Torino) in 3 giorni dedicati a lezioni individuali ad ogni tipo di musicista di qualsiasi livello e età, a chiunque voglia suonare con lui e parlare di musica, di sicurezza di sé, di memoria e soprattutto dell’importanza dell’ascolto. Nel 2013, su suggerimento di Gidon Kremer, il famoso violoncellista Mario Brunello gli scrive chiedendo di incontrarlo. Da questa casualità è nata una intensa collaborazione in duo pianoforte e violoncello e una profonda amicizia. Nel 2014 Ezio Bosso ha debuttato con la sua Fantasia per Violino e Orchestra come direttore alla testa di London Symphony Orchestra con
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Sergey Krylov al violino solista. Dal loro incontro è nata una collaborazione continuativa. Nel 2015 The Arts News Paper e Penelope Curtis (ex direttrice di Tate Britain) hanno definito il suo concerto alla Ikon Gallery di Birmingham, all'interno dell'opera 3 Drawing Rooms del suo amico fraterno David tremlett, «l’evento artistico dell’anno del Regno Unito». Sempre nel 2015, Ezio è stato scelto dall’Università Alma Mater di Bologna (la più antica università d’Europa) per scrivere e dirigere una composizione di larghissima scala per 200 musicisti dedicata alla Magna Charta Universitatum come primo inno ufficiale di questa importante istituzione mondiale. Attualmente vive a Londra, dove è stato direttore stabile e artistico dell’unica orchestra d’archi di grande numero inglese: The London Strings. Vincitore di importanti riconoscimenti come il Syracuse NY Award al Syracuse Film Festival 2008 (New York) per la miglior colonna sonora nel film di Cristiano Bortone "Rosso come il cielo” o il Green Room Award 2010 in Australia, e di onorificenze istituzionali per il suo impegno come musicista e come uomo come il Nettuno d’oro di Bologna, la sua musica viene richiesta nella danza dai più importanti coreografi come Christopher Wheeldon, Edwaard Lliang o Rafael Bonchela, nel teatro da registi come James Thierrèe mentre nel cinema collabora con molti registi italiani. Per Gabriele Salvatores firma le colonne sonore dei film “Io non ho paura”, “Quo Vadis, Baby?” e “Il ragazzo invisibile”. Nell’autunno 2015, nonostante l’immensa mole di opere scritte, composizioni e collaborazioni, esce il suo primo disco solista ufficiale “The 12th Room”( Egea Music), composto da un cd con 12 brani e un secondo cd con una sonata (divisa in tre movimenti) della durata di 45 minuti. Un cameo incastonato in un percorso assolutamente unico.
Foto di Claudia Forcignanò, in basso Lucio Dalla immagine guida della mostra “Lucio Dalla. Immagini e suoni” a cura del critico musicale Ernesto Assante, allestita fino al 2 ottobre nella sala Zanardelli del Vittoriano
ricordi archiviati. nel molise l’archivio “tina modotti” di Christiane Barckhausen-Canale
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A Bonefro, nel convento di Santa Maria delle Grazie, ha trovato sede l’archivio “Tina Modotti”. Il materiale raccolto in diverse nazioni e nel corso degli anni dalla curatrice berlinese Christiane BarckhausenCanale. L’archivio potrà essere consultato da studiosi, esperti e appassionati della fotografa attivista e attrice italiana
BONEFRO (CAMPOBASSO). Il luogo: Bonefro, un comune molisano di neanche 2000 abitanti. L’arte: la fotografia Quello che unisce il luogo con l’arte è la vita della fotografa Tina Modotti, che è stata una vita non solo di artista, ma anche di rivoluzionaria. Una vita sulla quale, chi ancora non ha mai sentito parlare di Tina Modotti, si può informare con l’aiuto di un centinaio di pagine che si trovano nel web. Io ho cominciato a indagare la vita di Tina nel lontano 1983 ed ho cercato documenti in sette paesi. Nel corso di quella ricerca, difficilissima perché
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Tina ha avuto una vita da nomade, ho contratto la malattia che ho chiamato “archivitis”. Il risultato di sette anni di ricerche é stato, oltre a una biografia di Tina, pubblicata nel 1989 con l’editrice Giunti, un archivio che è stato inaugurato nel 1992 nel centro interculturale delle donne di Berlino, il centro S.U.S.I. Quando, sei anni dopo, il centro ha dovuto traslocare e scegliere uno spazio più ristretto, l’archivio è rimasto orfano. Tutti i raccoglitori hanno trovato il loro posto in sacchi di plastica ammucchiati nella cantina della mia casa a Berlino. L’anno scorso, il comune di Bonefro mi ha messo a disposizione uno spazio piccolo, ma bellissi-
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mo, nell’ex-convento di S.Maria delle Grazie, dove il 1° settembre scorso, ho potuto riaprire l’archivio. Naturalmente, il vero lavoro comincia adesso, perché tutto deve essere riordinato e il contenuto dell’archivio deve essere catalogato in italiano. In questi giorni, mentre cerco di riordinare il materiale dell’archivio, mi invadono i ricordi di tanti anni di ricerca, i ricordi
delle mie visite a tanti archivi in tanti paesi. Come la visita all’Archivio di Stato di Roma, dove solo grazie all’aiuto poco ortodosso e forse poco legale di un collaboratore ho potuto visionare il materiale che cercavo, senza dover riempire un mucchio di moduli di richieste e senza dover aspettare il permesso ufficiale della direzione dell’archivio. Avevo pochi giorni di tempo e pochi soldi per rima-
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nere a Roma, ma quell’archivista ha capito il mio problema e ha fatto un gesto di solidarietà che non ho mai dimenticato, anche se non ricordo più il suo nome. A Cuba, a L’Avana, nell’Archivio di Storia del Movimento Operaio Cubano, ho capito per la prima volta quanto sia importante il lavoro di un archivista. In quell’archivio si trovavano sei lettere che Tina aveva rice-
Immagini dall’archivio
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vuto quando viveva in Messico. Le lettere erano scritte in italiano, e insieme alle lettere trovai un foglio dove un archivista aveva elencato i nomi dei mittenti. Fra questi nomi c’era un certo “Ben Bacioni”, e questo era un nome che mai avevo sentito o letto in relazione a Tina. Fui invasa da una specie di attacco di febbre: avevo trovato una nuova traccia? Uno scoop? Chi poteva essere quell’uomo? Leggendo la lettera ho potuto risolvere il mistero: la lettera era scritta dal fratello di Tina che viveva a Los Angeles e si chia-
mava Benvenuto. Aveva firmato la lettera con “Ben” e prima del suo nome aveva scritto “Bacioni”. Sentii una specie di delusione, ma prima di tutto capii che un archivista non solo deve essere accurato e meticoloso, ma deve anche conoscere qualche lingua straniera…. Un archivista deve anche conoscere un po’ di storia. A Berlino, nell’Archivio Statale della Germania (nel frattempo unificata) trovai, cercando tracce di Tina in Germania, uno di quei libri che si tengono normalmente negli archivi e dove sono elen-
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cati, con poche parole, i materiali e i nomi delle persone menzionate in ogni documento. Scorrendo quell’elenco, trovai con mia grandissima sorpresa due nomi che conoscevo bene: Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti. Un anno prima di quella visita all’archivio ero stata a Boston, negli Stati Uniti, ed avevo conosciuto un uomo che era stato amico e compagno dei due anarchici italiani, ingiustamente condannati a morte e ammazzati sulla sedia elettrica il 27 agosto 1927. Ma perché i loro nomi si trovavano in un
documento che accennava ad un evento dell’anno 1930? Anche questo mistero ha trovato una spiegazione: l’evento in oggetto era una riunione del Soccorso Rosso tedesco, organizzata a Berlino. Tra il pubblico doveva esserci stata una spia, un informatore, che aveva comunicato
che “della presidenza della riunione facevano parte un certo Nicola Sacco ed un certo Bartolomeo Vanzetti”. Posso intuire che questo informatore non conosceva una usanza che si seguiva nelle riunioni dei partiti comunisti ed anche del Soccorso Rosso:
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quando si presentava la presidenza di una certa riunione, si includevano per tradizione i nomi di qualche martire del movimento, considerati membri d’onore della presidenza… Nel 1930, tre anni dopo l’uccisione di Sacco e Vanzetti, erano stati scelti i loro nomi. Al tempo in
cui anche io partecipavo ad eventi simili, venivano scelti i nomi di Angela Davis, di Nelson Mandela, di Che Guevara ed altri…. Posso capire l’ignoranza di quell’informatore berlinese, ma non capisco come l’archivista degli anni ‘90 del secolo scorso non sia stato capace di correggere quell’errore. Come quell’altro archivista, questa volta nell’archivio dell’Università Humboldt di Berlino, che aveva elencato la corri-
spondenza di un professore tedesco, amico di Tina Modotti, esiliato come lei nel Messico. In quell’elenco si trovava: “lettera del professore A.G. diretta alla polizia di sorveglianza dei stranieri” negli Stati Uniti. Leggendo questa annotazione, non volevo credere i miei occhi! Il professore forse era stato un informatore della polizia? Anche in questo caso, la colpa era della lingua. L’archivista aveva letto “foreign policy” ed aveva
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Nella foto in basso. veduta di Bonefro (Campobasso); sotto Tina Modotti
capito “polizia”, senza sapere che si trattava, invece, del Comitato di Politica Estera del Congresso degli Stati Uniti. Tante storie mi vengono in mente riordinando il mio archivio, e solo posso sperare che, quando questo archivio sarà aperto al pubblico, nessun visitatore troverà un mio errore linguistico o di storia.
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L’arrivo dei cicloesploratori a Santa Maria di Leuca
il sogno della ciclovia ricordando camillo rosalba
“
Dall’Irpinia al Salento su due ruote per avviare il cantiere dal basso della Ciclovia dell’Acquedotto Pugliese
”
In bici da Cassano Irpino e Caposele (Av) a Santa Maria di Leuca (Le) per avviare il cantiere dal basso della Ciclovia dell’Acquedotto Pugliese. L’edizione di quest’anno è stata dedicata a Camillo Rosalba, l’ingegnere salernitano primo ideatore e progettista dell’acquedotto la cui intuizione però venne inizialmente considerata utopistica e del tutto ignorata dai politici dell’epoca. La Cicloesplorazione dell’Acquedotto Pugliese si è conclusa con l’arrivo a Leuca salutato dall’accensione straordinaria della Cascata Monumentale. Il singolare viaggio, ha visto protagonisti un gruppo base di 20 cicloturisti, che in sette tappe dal 26 agosto al 2 settembre, hanno percorso in bici oltre 540 chilometri seguendo l’itinerario narrativo segnato dalla condotta principale dell’Acquedotto Pugliese, da Caposele (Avellino) a Santa Maria di Leuca (Lecce). “La Ciclovia dell’Acquedotto Pugliese”, spiega Cosimo Chiffi, portavoce del Coordinamento dal basso, “è una realtà, come dimostra il viaggio che abbiamo appena concluso, testando l’itinerario e definendo il tracciato lì dove non c’è la pista di servizio dell’Acquedotto. C’è da augurarsi che il progetto esalti la naturalità del tracciato rispettando luoghi carichi di storia e di fascino, trasformandola nella più grande via verde del Mezzogiorno, capace di diventare uno dei principali attrattori di un progetto di turismo sostenibile”. La missione è stata caratterizzata da un contagio-
so entusiasmo da parte di ciclisti e associazioni locali e di ciclisti che si sono uniti lungo il percorso accompagnando i cicloesploratori alla scoperta di suggestivi paesaggi lungo il tracciato della condotta principale dell’Acquedotto Pugliese, un percorso carico di storia e di numerose testimonianze di archeologia industriale. In tutte le tappe e lungo il percorso il gruppo base di cicloesploratori è stato accolto da sindaci, amministratori locali ed esponenti dei Gal in un proficuo confronto per promuovere la Ciclovia e il cicloturismo nel Sud. Fra gli incontri più significativi quello con Nando Popu, il cantante dei Sud Sound System che ha accolto la spedizione al Salento Bike Caffè di Lido Conchiglie, augurandosi che la Ciclovia dell’Acquedotto sia realizzata al più presto rispettando storia e natura del Sud. A Santa Maria di Leuca, all’arrivo, l’accensione straordinaria della Cascata Monumentale dell’Acquedotto ha salutato i ciclisti, accolti da don Stefano Ancora (presidente del Parco Culturale Ecclesiale “Terre del Capo di Leuca - de Finibus Terrae”, dal delegato dell’amministrazione comunale di Castrignano del Capo Roberto Calabrese, e dal deputa-
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to Salvatore Capone, firmatario dell’emendamento per la Ciclovia insieme al deputato Diego De Lorenzis. La spedizione è servita a concretizzare una straordinaria esperienza di mappatura e promozione collaborativa dell’itinerario storico che per 500 chilometri segue le condotte di una fra le più imponenti opere d’ingegneria idraulica mai realizzate al mondo. L’iniziativa è stata organizzata dal Coordinamento dal Basso per la Ciclovia dell’Acquedotto Pugliese, il comitato transregionale che sostiene e promuove il progetto avviato nel 2007 dalla Regione Puglia con l’obiettivo di rendere accessibile a cicloturisti e camminatori la pista di servizio che corre lungo il Canale Principale dell’Acquedotto Pugliese, potenzialmente una delle più lunghe greenway d’Europa con i suoi oltre 230 chilometri di percorso protetto già esistente. Prosegue quindi la costruzione dal basso dell’itinerario possibile, ciclabile e narrativo, dell’Acquedotto Pugliese. Il viaggio servirà a definire il roadbook partecipato della ciclovia. I cicloesploratori hanno potuto pedalare su alcuni tratti della pista di servizio temporaneamente aperta al transito delle bici grazie alla collaborazione e al supporto tecnico di Acquedotto Pugliese SpA. L’azienda idrica è infatti da sempre al fianco del Coordinamento dal Basso ed anche il nuovo management, a partire dal presidente Nicola De Sanctis, crede fermamente nel progetto della ciclovia come ulteriore occasione di sviluppo per le comunità e i territori serviti. La Ciclovia dell’Acquedotto Pugliese è uno dei 4 percorsi cicloturistici prioritari per l’Italia, unico nel Mezzogiorno, per il quale lo scorso 27 luglio è stato firmato il protocollo d’intesa fra i Ministeri delle Infra-
strutture e dei Trasporti (MIT) e dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo (MIBACT) e le Regioni Puglia (capofila), Campania e Basilicata, cui spetterà la realizzazione dell’opera. Secondo la tabella di marcia ministeriale, nel 2017 dovranno essere sottoscritti gli accordi di programma con gli enti locali interessati dal percorso, avviate le gare e aperti i primi cantieri che si dovranno chiudere entro il 2018. Cantieri che nel caso della ciclovia del Sud sono già aperti in Valle d’Itria e in Salento: ai 10 km già inaugurati nel 2014 se ne aggiungeranno presto altri 10 km fino a Villa Castelli (BR) mentre sono in via di realizzazione 38 km tra Salice Salentino, Nardò e Galatone (LE).La cicloesplorazione è stata interamente autofinanziata dagli stessi partecipanti. Hanno pedalato nelle sette tappe da Caposele a Leuca: Aljaz Adamic, Cosimo Chiffi, Domenico D’Alelio, Emanuela Dattolo, Fabio Dibitonto, Giuseppe Dimunno, Eliana Francot, Fabio Ganassin, Nina Gorgoni, Gabriele Gorgoni, Santiago Gorgoni, Matilde Guido, Roberto Guido, Paolo Lattanzio, Maria Grazia Lombardi, Raffaele Marra, Gino Giuseppe Pucci, Marco Taurino, Antonio Todisco, Alessia Valentinetti.
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il festival teatri della cupa omaggio a carmelo bene
NOVOLI - CAMPI-TREPUZZI (LECCE). Lo splendido territorio della Valle della Cupa, Novoli, Campi Salentina e Trepuzzi, è stata la location della seconda edizione de “I Teatri della Cupa”. Il festival da venerdì 2 a domenica 11 settembre ha visto andare in scena compagnie internazionali, con uno sguardo attento alle produzioni regionali e alcune interessanti esperienze nazionali di contaminazione di generi che spaziano dalla prosa al circo contemporaneo, dal cibo alla musica”. Nato dalla residenza artistica di Factory Compagnia Transadriatica e Principio Attivo Teatro all’interno del Teatro Comunale di Novoli e realizzato con il sostegno di Unione Europea, Regione Puglia, Teatro Pubblico Pugliese, Unione dei Comuni del Nord Salento, Gal Valle della Cupa e dei comuni di Novoli, Campi Salentina e Trepuzzi, il festival si fonda sul dialogo tra comunità, tra artisti impegnati nelle attività di spettacolo e formazione, tra il pubblico e gli operatori nella volontà di pensare ad un teatro che coinvolga e renda partecipe la comunità anche raccontandola. Significativa attenzione in quest’ottica anche i luoghi contenitori artistici, beni culturali ed ambientali, espressione di un territorio dalle molte potenzialità. Tra gli ospiti si sono alternati sul palco la Compagnia Fibre Parallele, i Coltivatori di Musica di
Belmonte che, aiutati dai cittadini, hanno preparato gli gnocchi e il sugo per la loro performance gastrofonica, Ippolito Chiarello che ha presentato in anteprima il nuovo studio “Heroes” dedicato ai miti musicali nella sua collaudata formula del barbonaggio teatrale. E ancora la compagnia Crest di Taranto, la Compagnia Inti/Thalassia di Brindisi con uno spettacolo su Don Lorenzo Milani, Tri-boo con Every Brillant Thing, Paolo Nani, comico italiano che da anni vive in Danimarca, con il fortunato spettacolo La Lettera che in quasi 25 anni è stato replicato 1200 volte in tutto il mondo, la Bottega degli Apocrifi, il Gran Concerto Armonico e André Casaca, attore, ricercatore teatrale, clown, regista, uno dei maggiori professionisti del teatro corporeo e clown sul territorio italiano, che terrà un workshop e uno spettacolo con Irene Michailidis. In apertura un omaggio a Carmelo Bene, nella sua città d'origine, Campi Salentina, in occasione della ricorrenza del compleanno del Maestro. Cameo, all’interno di un esclusivo e interessantissimo programma teatrale, la mostra allestita a Casa Prato a Campi Salentina dal titolo “CB, variazioni su un ritratto” a cura di Mauro Marino e Santa Scioscio. Le immagini scelte sono degli scatti realizzati da Sandro Becchetti, fotoreporter romano che negli Anni Sessanta, con la sua piccola Leica ha fermato sguardi, movimenti, ambientazioni, tracce della vita complessa e unica di testimoni speciali diventati protagonisti della nostra epoca. Sempre all’immortale attore salentino SimoCarmelo Bene ritratto da S. Becchetti
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ne Giorgino e Simone Franco hanno dedicato una conferenza spettacolo su “La biblioteca impossibile di Carmelo Bene”. Davvero coinvolgenti gli spettacoli da Trip #Porta D’Oriente della Compagnia Factory, un viaggio attraverso storie, memorie, tradizioni, luoghi, personaggi che hanno nutrito la viva peculiarità del territorio del sud Salento che si affaccia sull’Adriatico da Otranto sino al Capo di Leuca al lavoro della Compagnia Inti/Thalassia di Brindisi con la collaborazione della Fondazione Don Lorenzo Milani con il suo Cammelli a Barbiana, racconto su Don Lorenzo Milani di Francesco Niccolini e Luigi D’Elia per la regia Fabrizio Saccomanno. Principio attivo teatro e Giorgia Basilico hanno deliziato grandi e piccini con lo spettacolo Cuori. mentre Tri-boo che, in collaborazione con Sotterraneo di Firenze, ha portato in scena Every Brillant Thing. Tutte le cose per cui vale la pena vivere di Duncan Macmillan, traduzione e regia di Michele Panella con Daniela D’Argenio Donati. Un one woman show in puro stile britannico; il nuovissimo testo di Duncan Macmillan ripercorre la vita della protagonista attraverso i fallimentari tentativi di suicidio della madre. Si segnalano infine gli spettacoli della compagnia Fibre Parallele – in anteprima regionale - con Licia Legge le fiabe, letture tratte dalle fiabe di Grimm e Andersen con Licia Lanera, La Lettera di Nullo Facchini e quello della Bottega degli Apocrifi che ha proposto invece Else. Andante, cantabile con brio, monologo per tre figure con Miriam Fieno, una riscrittura da Arthur Schnitzler di Cosimo Severo e Stefania Marrone. Caa de tabua è stato invece Sant’Elia a Trepuzzi dal Teatro C’art di Castelfiolo spettacolo messo in scena nel Monastero di rentino sul palco Andrè Casaca e Irene Michailidis. Non solo teatro, però il festival è stato anche lo scenario per presentare la ristampa del libro “Il Teatro Comunale di Novoli un secolo di storia” a cura di Domenico M. Toraldo (edizioni Spagine) per il workshop dal titolo “Clown, identità comica del corpo. Uno studio pratico sull’identificazione del nostro essere comico in relazione alla gestualità quotidiana” condotto da André Casaca.
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antonio da fabriano. la madonna della misericordia
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ItIner_arte...dove e QUando...
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LUoGhI deL SaPere
febbre da goal...da leopardi a pasolini e camus Quando il calcio finisce nei libri Fino a qualche anno fa ignoravo quasi completamente quanto copiosa e affascinante fosse la produzione letteraria ispirata a vicende e personaggi del calcio. Sebbene siano stati soprattutto gli scrittori sudamericani (spesso trasformando il calcio in una sorta di epica moderna) e, in misura minore e con modalità diverse, quelli anglosassoni a dedicare la loro attenzione a questo “genere”, cercando di narrare il mondo di emozioni e suggestioni che offre il gioco del calcio visto per lo più come metafora della vita (Albert Camus disse addirittura: “Tutto quello che so della vita, l’ho imparato dal calcio”), non sono mancati e non mancano preziosi esempi anche nel nostro Paese. Si perde nella notte dei tempi la prima prova. Il grande Giacomo Leopardi, nel 1821, scrisse, infatti, la canzone “A un vincitore nel pallone”, che faceva parte del ciclo delle cosiddette Canzoni civili e patriottiche che esortavano alla riscossa nazionale. Naturalmente non si trattava del gioco del calcio che oggi conosciamo, ma era comunque un gioco col pallone. Il canto non è dei migliori del grande Poeta, ma è già emblematico di quel modo di intendere lo sport appunto come metafora della vita, perché Leopardi, cantando le gesta di un famoso campione, peraltro patriota e carbonaro, lo esalta come esempio di energia sportiva, incoraggiandolo a comportarsi così anche nella vita, vedendo nell’azione coraggiosa e determinata l’unico rimedio ad un’esistenza altrimenti vuota e infelice. Ancor più significative sono le cinque poesie dedicate al calcio (un secolo dopo Leopardi) da Umberto Saba, tra le quali la più bella è senz’altro “Goal”. Interessante è anche ricordare come il poeta si avvicinò al calcio casualmente (accompagnò allo stadio, neanche tanto volentieri, la figlia, desiderosa di vedere all’opera la squadra della Triestina), restandone immediatamente folgorato. Disse di non riuscirne a capire il senso, ma da quel giorno per lui tutto cambiò. Nello stadio, avvolto dal calore della folla e affascinato dal gioco, Saba si sentì “perduto”. Perché il calcio è così, misteriosa magia. In “Febbre a 90’” scrive Nick Hornby: “Mi innamorai del calcio come mi sarei innamorato delle donne: improvvisamente, inesplicabilmente, acriticamente.” Anche Pier Paolo Pasolini, a quanto pare fantasiosa ala destra (il che non stupisce certo), scrisse molto di calcio, definendolo “l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo” e assimilandolo originalmente a un vero e proprio linguaggio coi suoi poeti e prosatori (i cifratori sono i giocatori, noi, sugli spalti, siamo i decifratori). “Corso” dice Pasolini “gioca un calcio in poesia.” E ancora: “Rivera gioca un calcio in prosa: ma la sua è prosa poetica, da ‘elzeviro’. Anche Mazzola è un elzevirista che potrebbe scrivere sul ‘Corriere della Sera’, ma è più poeta di Rivera; ogni tanto egli interrompe la prosa, e inventa lì per lì due versi folgoranti.” E, infine, “ogni goal è sempre un’invenzione, è sempre una sovversione del codice: ogni goal è ineluttabilità, folgorazione, stupore, irreversibilità. Proprio come la parola poetica.” In un’intervista, Adriano Sofri disse: “Non c’è niente che spieghi Pasolini quanto il suo modo di giocare a pallone.” Persino il papa Francesco, anch’egli appassionato di calcio (spesso ha citato il gol del calciatore Pontoni che diede lo scudetto argentino al San Lorenzo nel 1946 come uno dei suoi ricordi più belli) ha ripreso, a modo suo, il tema del calcio come metafora della vita. “Mi spiego,” ha detto rivolgendosi a dei calciatori, “nel gioco, quando siete in campo, si trovano la bellezza, la gratuità e il cameratismo. Se a una partita manca questo, perde forza, anche se la squadra vince. Non c’è posto per l’individualismo, ma tutto è coordinazione per la squadra.”
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In ogni caso, sono ormai tanti, e notevoli, gli scrittori che hanno scritto di calcio, così come non sono mancati e non mancano calciatori che hanno scritto dei libri. Tralasciando, ovviamente, quei libri-biografie scritti evidentemente da (o con l’aiuto di) ghostwriter con intenti più commerciali che letterari, alcuni calciatori sono diventati anche grandi scrittori o poeti. Ricordo, tra gli altri, Ezio Vendrame (estroso e atipico calciatore degli anni Settanta), oggi apprezzato poeta, l’argentino Osvaldo Soriano (promessa del calcio argentino e poi giornalista sportivo e romanziere, probabilmente il più importante narratore di calcio) e il campione, sempre argentino, Jorge Valdano, compagno di nazionale del grande Maradona. Ormai, insomma, il connubio tra letteratura e calcio è consolidato. Il calcio metafora della vita (tra le tantissime affinità, la più significativa è forse l’imprevedibilità che caratterizza questo bellissimo sport così come l’esistenza di ciascuno di noi), certo, ma anche – il che forse è la stessa cosa – occasione e pretesto per parlare, quasi inconsapevolmente, di ben altro, della vita appunto, in tutte le sue infinite sfaccettature, in una chiave diversa, spesso favolistica, onirica, poetica o epica. E allora, a questo punto, mi fa piacere segnalarvi alcune pubblicazioni – in certi casi si tratta di veri capolavori –, limitandomi soltanto a quelle che ho avuto il piacere di leggere, perché sono veramente tanti i racconti e i romanzi che parlano di calcio. Ho adorato e letto più volte (e regalato a molti amici) “Cuore di cuoio”, dello scrittore tarantino purosangue trapiantato in Brianza Cosimo Argentina, favola dal finale agrodolce ambientata a Taranto, narrata dal protagonista Camillo Marlo, giovane promessa destinata alla Juventus, e dai suoi amici con un felicissimo impasto di lingua italiana e dialetto. Imperdibile per gli appassionati. Sempre di Cosimo Argentina (e di Fiorenzo Baini) è “Messi a 90”, raccolta di racconti. Baini ci ricorda “le partite più raccapriccianti dell’Italia ai mondiali”, mentre Argentina narra “altre storie di ordinaria follia calcistica”, storie a volte deliranti, spesso esilaranti, quasi sempre sorprendenti e affascinanti. Ma, come dicevo prima, forse il più grande scrittore di calcio (e perciò… di vita) è stato l’argentino Osvaldo Soriano, con i suoi indimenticabili racconti proposti, come spesso accade nella narrativa sudamericana, con accenti visionari, poetici, fantastici. “Pensare con i piedi” e “Fùtbol” le sue raccolte più famose, nelle quali “El gordo” ci parla di calcio, certo, ma anche della storia sofferta dell’Argentina, del suo immaginario privato, della sua infanzia, del suo orgoglioso genitore, antiperonista ed eterno perdente, storie dove spesso l’avversario è un stopper arcigno che ti rifila calcioni senza pensarci due volte, proprio come fa la vita, ma dove puoi anche sognare: “Avevo l’impressione di guadagnarmi qualche attimo di paradiso ogni volta che entravo in area e mi ritrovavo tra due disperati che si credevamo macellai e assassini…” “Il rigore più lungo del mondo” è un capolavoro e non a caso è probabilmente il racconto di calcio più conosciuto al mondo. Straordinaria la lettura di Baricco qualche anno fa in un programma televisivo. E la capacità del calcio di far sognare riecheggia anche nelle parole di Ezio Vendrame, talento incompiuto del nostro calcio (il Kempes italiano, lo definì Boniperti) ma compiutissimo poeta, nella deliziosa raccolta di miniracconti “Se mi mandi in tribuna godo”: “Fu calciando in alto un pallone che sentii di poter bucare il cielo… Che magia! Mi sentii attratto da quella sfera che insieme ai miei sguardi faceva rimbalzare anche il mio cuore.”, nonché nel post scriptum del libro “Il sogno di Futbolandia” di Jorge Valdano: “Vorrei che coloro che mi hanno insegnato a sognare sapessero che io continuo a farlo. E che non intenzione di smettere.” Il poliedrico Valdano (calciatore, dirigente, allenatore, giornalista, scrittore) è, tra l’altro, autore di un esilarante, strepitoso racconto, “Complimenti, vecchia mia, proprio un bel coglione, tuo figlio”, inserito in “Cuentos de fùtbol”, raccolta di memorabili racconti scritti dai più grandi scrittori sudamericani (tra gli altri Eduardo Galeano, Roberto Bolaño, lo stesso Soriano) e curata da Pierpaolo Marchetti. Raccolta a cui è seguita “Cuentos de fùtbol 2”, sempre di autori di lingua spagnola, tra i quali particolarmente bello è quello dello spagnolo Javier Marías, “Il tempo sospeso”. Di lingua ispanica si può quasi definire anche Pino Cacucci, scrittore e traduttore, che vive tra Bologna e l’America latina. Tra i suoi numerosi romanzi e racconti, ho avuto il piacere di leggere il divertente “San Isidro fùtbol”. In “Il centravanti è stato assassinato verso sera”, una sorta di thriller sportivo, il grandissimo scrittore spagnolo Manuel Vázquez Montalbán, scomparso qualche anno fa, prende a pretesto una vicenda sportiva
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LUoGhI deL SaPere
per scrivere un giallo (protagonista il suo mitico personaggio, il detective Pepe Carvalho) e per raccontare una Barcellona sconvolta dai lavori e dalle speculazioni per i Giochi Olimpici del 1992. Se gli scrittori di lingua spagnola ci hanno regalato tanti piccoli e grandi capolavori, anche importanti autori d’Oltremanica hanno scritto, con felici esiti, storie che ruotano intorno calcio. “Fuori area” (sottotitolo “racconti UK di rabbia e passione”) raccoglie racconti che, lontano da tentazioni sociologiche, ci raccontano, tra un velenoso divertimento e una compiaciuta invettiva da stadio, storie spesso strampalate, mostrandoci aspetti originali del calcio (e, naturalmente, e sempre, della vita). Ma anche gli autori anglosassoni a volte toccano vette poetiche, perché poetico è il gioco del calcio. Così Tim Pearce in “Ebony International”: “Quando Kenny riceveva il pallone, questo diventava una parte di lui. Lo accoglieva teneramente, lo accarezzava, e quando lo passava ad un compagno era un gesto di affetto”. Bellissimo, tra i tanti, anche il racconto “Quei belgi” di Christopher Kenworthy che narra di una stralunata partita in una remota provincia del Belgio. Famosissimo, poi, “Febbre a 90’” di Nick Hornby (da cui è stato tratto il bel film omonimo con protagonista Colin Firth). Hornby racconta la sua storia di tifoso e della sua infanzia e della sua adolescenza scandite dalle partite dei Gunners (i giocatori dell’Arsenal), ma il romanzo raccoglie una molteplicità infinita di temi e personaggi, risolvendosi in ultima analisi in una storia di formazione. Tra un gol e l’altro Hornby ci parla, con brillante ironia e profondità, della sua famiglia, delle sue peripezie sentimentali, degli amici, del suo lavoro, della sua passione per la musica. E la vicenda sportiva finale (il rocambolesco esito di un campionato vinto dall’Arsenal) è veramente una sorta di allegoria della imprevedibilità della vita e di una realtà che spesso supera la più sfrenata fantasia. Chiudo con la citazione di alcuni autori italiani. Splendido “A undici metri dalla fine” di Gian Luca Favetto (poeta, drammaturgo, giornalista, critico cinematografico, scrittore). Protagonista il portiere, ormai trentasettenne, Valerio Peraglie, che nei pochi secondi che occorrono all’attaccante avversario per prendere la rincorsa e calciare il rigore che deciderà le sorti di una campionato di Eccellenza, rivede tutta la sua vita, non solo sportiva. Romanzo intenso e veramente riuscito. Infine, segnalo “Schema libero”, una raccolta di racconti di alcuni scrittori italiani, affetti anch’essi dal benefico morbo del calcio, tanto da costituire una sorta di Nazionale di Calcio degli Scrittori, significativamente chiamata “Osvaldo Soriano Football Club”. Tra gli altri, Alessandro Baricco, Dario Voltolini, Gian Luca Favetto, Carlo Lucarelli, Cristiano Cavina, Enrico Remmert. Di quest’ultimo mi viene in mente il racconto “Tutti contro tutti, portieri volanti” significativo anche della capacità del calcio di farsi dolce memoria quasi mitica: “A quei tempi le partite avevano una durata illimitata: fino a quando il pallone si perdeva o si bucava oppure fino al tramonto. Solo allora si tornava a casa da madri urlanti e preoccupate, con le strade buie ma con in corpo quella strana contentezza che si ha solo quando si è sfiniti.” Nella foto una famosa immagine di Pasolini che, pur vestito di tutto punto, con abito scuro, cravatta e pullover sotto la giacca, in una bella giornata di sole, non resiste alla tentazione di tirare due calci per strada (anche in bello stile…). Michele Bombacigno
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Una nUova edIZIone deL De AeTNA dI PIetro beMbo
PIetro beMbo de aetna edizioni di Storia e Studi sociali ragusa 2016
è appena uscita in libreria, per le Edizioni di Storia e Studi Sociali, una nuova edizione del De Aetna del grande umanista Pietro Bembo. L’opera è introdotta e curata dal filologo e studioso di lingue romanze Ferdinando Raffaele. La traduzione dal latino è di Salvatore Cammisuli. L’opera. Ritornato a Venezia dopo un lungo soggiorno a Messina, ove si era stabilito insieme all’amico e sodale di studi Angelo Gabriel per apprendere il greco alla scuola del noto maestro bizantino Costantino Lascaris, il giovane Pietro Bembo mette per iscritto il resoconto dell’unico episodio che aveva significativamente interrotto la sua intensissima routine di studio: un’escursione sull’Etna durante un’eruzione. Era stata un’occasione, per i tempi, straordinaria, che gli offre l’opportunità di dimostrare l’acquisita maturità letteraria. Vede così la luce il De Aetna, un breve trattato in forma di dialogo, in cui dibattono quali personaggi l’autore medesimo e il padre, Bernardo Bembo, insigne e raffinato esponente dell’oligarchia veneziana. La stampa del De Aetna è affidata ad Aldo Manuzio, editore ancora agli esordi, ma destinato ad un folgorante successo. Per Aldo, oltretutto, si tratta della prima opera pubblicata in lingua latina, che si distingue per la raffinatezza del carattere tipografico e della mise en page. Sul piano del racconto, il De Aetna costituisce un illuminante esempio del gusto dell’epoca, e si discosta sensibilmente dalle precedenti raffigurazioni letterarie del vulcano: per la prima volta è offerta una descrizione della sua attività eruttiva senza richiami al soprannaturale. Bembo poi raffigura la Sicilia secondo una peculiare prospettiva storica: essa è lo spazio geo-culturale nel quale per secoli ha prosperato, pervenendo a vette d’eccellenza, la civiltà dei greci. E tuttavia, affascinato da queste suggestioni, l’autore non sembra accorgersi né degli abitanti né della storia più recente dell’isola, che ai suoi occhi appare unicamente il regno della Natura e dell’Antico. Egli così precorre una visione della Sicilia che, con il suo carico di contraddizioni, sarà presente in molte narrazioni nei secoli successivi. Pietro Bembo (1470-1547) ebbe una formazione umanistica e studiò il greco a Messina alla scuola di Costantino Lascaris. Ritornato a Venezia, collaborò con il grande editore Aldo Manuzio presso cui pubblicò il suo primo testo: una breve prosa latina intitolata De Aetna (1496). Nel 1501, sempre per Manuzio, curò un'edizione delle rime del Petrarca e una della Commedia dantesca (1502). Tra il 1497 e il 1499 fu alla corte ferrarese, dove approfondì gli studi filosofici. Nel 1505, presso Manuzio, stampò gli Asolani, dialoghi in tre libri in cui si alternano poesia e prose, che trattano dell'esperienza amorosa. Nel 1506 Bembo si trasferì da Venezia a Urbino, presso la corte dei Montefeltro, e abbracciò la carriera ecclesiastica. Al periodo urbinate, durato sei anni, appartengono le Stanze, 50 ottave di stile petrarchesco recitate a corte nel 1507. Nel 1512, a Roma, divenne segretario di Leone X. In quel periodo entrò in polemica con l'umanista Giovan Francesco Pico e scrisse il trattato De imitatione, in cui si sosteneva la necessità per la prosa di imitare Cicerone. Nel 1522 Bembo si stabilì a Padova, città in cui progettò e ultimò il trattato in tre libri Prose della volgar lingua (1525). Nel 1530 pubblicò le Rime. In quello stesso anno fu nominato storiografo e bibliotecario della Repubblica di Venezia, per la quale vergò una Historia veneta. Nel 1539 il papa Paolo III lo nominò cardinale. Raccolse inoltre le proprie lettere in un Epistolario, anch'esso pubblicato dopo la sua morte avvenuta a Roma. Ferdinando Raffaele. Dottore di ricerca in Scienze letterarie e linguistiche e in Scienze politiche, storiche e filosofico-simboliche, ha conseguito l’abilitazione alla docenza universitaria, per il macrosettore di Letterature e Filologie Romanze e Mediolatina. Fa parte del gruppo di ricerca ARTESIA (Archivio Testuale del Siciliano Antico) come responsabile di redazione e condirettore della collana «Quaderni di Artesia», ora edita dal Centro di Studi filologici e linguistici siciliani. Ha curato le edizioni critiche di alcuni volgarizzamenti delle Conlationes di Giovanni Cassiano e pubblicato numerosi saggi sulla letteratura francese medievale.
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tre microstorie per ricordare l’infanzia perduta e la memoria di Carlo Petrachi
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Sull’uscio di casa, una storia a sei mani il libro di Nico Maggi Anna Paola Pascali e Vita Silvestri
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on di rado le microstorie, soprattutto se raccontate da autori intelligenti e sensibili, offrono materiale utile per una maggiore conoscenza di carattere antropo-socio-psicologico e, dal punto di vista storico, tanti spunti per profonde riflessioni e richiami in termini di paragone tra passato e presente. è il caso dell’opera “Sull’uscio di casa; sottotitolato: “Tre sguardi tre storie andata e ritorno” di Nico Maggi, Anna Paola Pascali e Vita Silvestri, Ed. Il Raggio Verde, Lecce, agosto 2016. Tre storie differenti e simili nel contempo, narrate, pur nella diversità di stile, in modo piacevole e con la capacità di elevarsi al di là e al di sopra dei fatti contingenti. Le tre microstorie personali trovano nei ricordi d’infanzia uno (ma non il solo) dei denominatori comuni. Nico Maggi, in “Confetti arcobaleno”, con abile sintesi, chiarezza espositiva e scorrevolezza affronta il tema della “diversità” come elemento di estro-
missione da un tessuto sociale che, sic et simpliciter, rifiuta ogni situazione non “omologata”. Lo stesso prete non concede l’assoluzione al “diverso” e con quel che viene pubblicato oggi sugli ecclesiastici, quel prete appare per lo meno ipocrita! Ma Nico non si arrende, non si camuffa e, a differenza di altri, non ha la pretesa di voler insegnare a Madre Natura come fare le persone e di quali peculiarità dotarle, ma vuol affermare pubblicamente e senza infingimenti la propria personalità con le proprie caratteristiche in modo aperto e leale. Al pari di Rina Durante in “Femmes damnées” esalta l’AMORE tra due persone – indipendentemente dagli indirizzi sessuali – come un sentimento puro e sublime di per sé e trova nel desiderio di genitorialità il suo compimento. “Costretto” a vivere pur non molto lontano dalla sua cittadina, non taglia mai il cordone ombelicale che lo tiene legato agli affetti familiari e alla propria terra d’origine.
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Anna Paola Pascali, che da alcuni anni vive nella provincia di Treviso, in “La casa delle chianche” rievoca con accenti lirici le proprie esperienze d’infanzia, romanzandole in modo appropriato. Ricorda la “rude dolcezza” del padre e il suo “eloquente silenzio”, ossimori che la dicono lunga sulle contraddizioni di una società a cavallo tra la conclusione di un’era contadina e l’imporsi dello sviluppo industriale. Nel percorso a ritroso dal punto di vista evolutivo, l’autrice rende vive, quasi pensanti e coscienti, le cose e gli oggetti così come nella fase animistica della primissima infanzia. Anche qui compare una famiglia i cui componenti, soprannominati “Essi”, sono tutti emarginati, ritenuti “diversi”, quindi pericolosi,
quasi maledetti da Dio e dagli uomini per la sola colpa di essere carichi di disgrazie. E la parabola del buon samaritano? In soffitta! E la carità cristiana? In soffitta anche quella! L’indole altruistica e solidale porta l’autrice a compiere per quella famiglia, ormai sradicata da Melendugno, un simbolico tentativo di richiesta d’aiuto che ricorda i naufraghi in un’isola deserta. Più complesso e intimamente drammatico risulta il caso di emigrazione di Vita Silvestri nel suo racconto “La casa parla”. Appartenente ad una famiglia, per quei tempi, benestante che aveva intorno alla casa un giardino, terra da coltivare, una mucca, un cavallo, una capra ed era dedita anche all’apicoltura. Per improvvisa e mal valutata decisione del padre, si trova catapultata nel Varesotto insieme a genitori e fratelli. Lo sradicamento dalla terra natia è traumatico, il trapianto difficile: le differenze climatiche e paesaggistiche, le dissomiglianze di usi e di costumi sono elementi che, per lei, mal collimano con lo stile di vita precedente. La lontananza dal mare di San Foca, dai suoi ulivi, dal suo furnieddhru (piccola costruzio-
ne colonica a secco), dal pozzo coperto da una “chianca” acuiscono il suo senso di intimo malessere e sente la mancanza delle sue cose come prepotente motivo di richiamo. Quando il fratello riprende possesso della casa paterna e si ritrasferisce a Melendugno, l’autrice trova un appiglio per tornare al paese natio almeno in vacanza, ma qui un’altra delusione. Se mi è concessa un’autocitazione, in una novella pubblicata circa due decenni orsono, facevo dire a un personaggio: “L’emigrante è straniero due volte: una volta quando arriva al paese ospite, una volta quando torna in casa propria”. Credo che, in questo secondo approccio con la terra madre, i sentimenti di Vita Silvestri, più o meno, siano stati tali. Il paese è molto cambiato, ormai è diventato una cittadina, la casa non ha subito mutamenti profondi, ma i suoi alberi da frutto non ci sono più e parte dell’attigua campagna coltivata ad oliveto ha ceduto il posto ad un’anonima palazzina. Però il ritorno nella casa d’origine e l’affetto del fratello e della cognata ravvivano all’improvviso tanti ricordi come se quella casa parlasse, raccontando la vita che si svolgeva tra quelle
mura e intorno ad esse, il che le consente, poi, di ritornare con spirito rinfrancato nei luoghi che ormai l’hanno adottata da qualche decennio e tra gli affetti della famiglia che nel frattempo s’è creata. Sebbene il libro sia stato scritto a sei mani, nell’insieme “Sull’uscio di casa”, appare quasi un romanzo che trova una matrice comune nella volontà di superamento dell’emarginazione, nell’amore per la propria terra e per i suoi aspetti, per la sua vegetazione (l‘olivo è un elemento ricorrente in tutti e tre i racconti) e per la famiglia d’origine, ma anche nel volersi lasciare alle spalle tutte le amarezze del passato per intraprendere un presente ed un futuro all’insegna di una ritrovata serenità. Non sarebbe stato azzardato dare come sottotitolo, anziché “tre sguardi tre storie andata e ritorno”, una nota affermazione di Carmelo Bene: “Sono un olivo sradicato che cammina”, perché gli “autori-olivi-sradicati”, ad altro non aspirerebbero che a fissare il tronco sulla terra rossa, riaffondare le radici nella bianca roccia tufacea e, in segno di saluto, sventolare la loro chioma verde-argento di fronte all’azzurrità del mare.
Nelle foto alcuni momenti della presentazione ad Acaya sotto l’aranceto dell’associazione Assa
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Foto in basso: Silvia Morello, foto a lato : Tommaso Lavegas, nel riquadro Bruno Barillari direttore dei Libri di Fotografia per Il Raggio Verde edizioni e docente di Foto Scuola Lecce
fotoscuolalecce. per imparare a declinare i linguaggi fotografici di Alessandra de Donatis
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FotoscuolaLecce presenta la sua nuova sede a Lecce, in via dei Principi di Savoia, con la mostra degli allievi raccontata nel catalogo ‘report 1’ a cura di Bruno Barillari per Il Raggio Verde edizioni
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’atto che spinge a fermare un’immagine cesso sensibile durante il quale tutta la nostra con gli occhi e poi fotografare è sempre storia personale viene tirata in ballo: ciò che solitario, è il segmento finale di un pro- abbiamo visto, ciò che abbiamo vissuto, ciò che
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abbiamo imparato, ciò che ci piace e anche ciò che non ci piace, ancora tutto quello che si è strutturato nella nostra intelligenza emotiva come bello, significativo e degno, quindi, di essere fermato in un fotogramma. Tutte le regole legate alla composizione, che inconsciamente possediamo - figli di una cultura dell’immagine sociale - emergono e si legano non solo all’idea di produrre un ricordo ma anche alla necessità di lasciare una propria traccia identificativa. Ciascuno di noi è un compendio di esperienze generate dalla relazione con gli altri, un incrocio
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Foto in basso: Alessandra de Donatis direttore di Foto Scuola Lecce
di similitudini e diversità che portano ad un condizionamento delle scelte, dei punti di vista. L’individuo solitario frammenta il suo percorso personale legandolo ad altri, variandolo, incrementandolo attraverso spunti e suggestioni. Da questo nasce la condivisione, l’esperienza più determinante per l’individuo, generatrice di arricchimento e crescita, in cui i singoli e personali accadimenti non solo si incrociano, ma danno vita a nuove forme di espressione, nuovi scenari, nuova energia. Se il comune denominatore è la fotografia, viene da sé che dal singolo impulso possa poi nascere un’esperienza condivisa che trova nel gruppo un modo nuovo di pensare alla narrativa dell’immagine, che percorre una strada collettiva di apprendimento: si scelgono gli stessi schemi seppur con la possibilità di risultati completamente diversi. è questo il senso della strutturazione di una
scuola di fotografia, che mette alla pari i singoli, instillando in loro tecnica e mezzi, affinché ciascuno trovi la sua valvola e conosca il proprio modo di concepire l’immagine. Alla base di un volume che raccoglie il frutto del lavoro del primo biennio di specializzazione fotografica ci sono tutti i modi di vedere la materia fotografica: il racconto di un essere umano nel ritratto, la rappresentazione del suo ambiente e del suo background nel ritratto ambientato, tutte le spinte emotive del paesaggio e dell’appartenenza ad un tutto universale, l’avventura di sperimentare il reportage e i suoi aspetti sociali, lo svelarsi della personalità degli oggetti nello still life. La gioia della condivisione ha trovato, quindi, una sua casa nella scuola, dando alla didattica un valore aggiunto, nato dal confronto. In sintesi, quel valore immateriale che riusciamo a intercettare è la capacità di leggere tutta la fotografia potenziale che ci circonda
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Domenica 18 settembre, alle 18, si apre ufficialmente il ciclo di iniziative per il nuovo anno accademico di Foto Scuola Lecce, la scuola di fotografia diretta da Alessandra de Donatis, al dodicesimo anno di attività. Nella nuova sede nel centro storico di Lecce, in Via Principe di Savoia, nei pressi di Porta Napoli, sarà allestita la mostra degli allievi del corso base 2015/2016, immancabile appuntamento annuale, che espone i frutti di un anno di studio e formazione. In mostra le opere di Riccardo Belardi, Marina Causo, Gabriella De Santis, Eddy Ferriero, Piero Gaballo, Luigi Greco, Daniela Paladini. Sarà possibile visitare la mostra da domenica 18 a domenica 25 settembre, tutti i giorni, dalle 17.30 alle 20.30. Nella stessa occasione verrà presentato il primo libro fotografico della scuola, “Report_1”, primo di una serie che comporrà una collana vera e propria, edita da Il Raggio Verde Edizioni con la direzione artistica di Bruno Barillari. Nel volume, diviso per sezioni, sono raccolti alcuni dei lavori migliori degli allievi del biennio di formazione professionale. Ritratto, paesaggio, reportage, ritratto ambientato, still-life e letture fotografiche sono le sezioni di raccolta, introdotte dalle parole dei docenti che hanno tenuto i corsi. Gli autori: Federica Calò, Tommaso Lavegas, Antonio Lezzi, Maria Grazia Longo, Silvia Morello, Annarita Santoro. Ospite della serata Leonello Bertolucci, fotografo e docente all’Istituto Italiano di Fotogra-
fia di Milano, con cui Foto Scuola Lecce ha stretto da poco una prestigiosa partnership. Lo stesso Bertolucci è autore di un interessante contributo contenuto nel libro. Intanto, sono ancora aperte le iscrizioni per il nuovo ciclo formativo in partenza ad ottobre. La scuola di fotografia conferma le tre proposte formative, consolidate dal team di docenti: il corso biennale di formazione fotografica professionale per coloro che intendono specializzarsi nella professione fotografica, magari a conclusione di un ciclo di studi; un corso annuale di formazione fotografica base per coloro vogliono avvicinarsi per la prima volta al mondo fotografico o desiderano affinare una passione: un corso amatoriale di avvicinamento alla fotografia dedicato ai ragazzi, dai 14 ai 17. Una assoluta novità nel territorio, la formazione biennale si sdoppia: un corso si terrà al mattino per dare opportunità a tutti colori che a conclusione del ciclo si scuola media superiore e liceale vogliano intraprendere un percorso di studi fotografici, e un corso pomeridiano per quanti vogliano conciliare la specializzazione con il proprio lavoro. Il corso professionale, grazie alla partnership stretta con l’Istituto Italiano di Fotografia di Milano, beneficerà di una borsa di studio. I docenti di FotoScuolaLecce sono: Bruno Barillari, Alice Caracciolo, Daniele Coricciati, Sergio De Riccardis, Mari Giaccari, Lorenzo Papadia, Marco Rizzo, Gabriele Spedicato. Indfo: www.fotoscuolalecce.it
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“labor omnia vincit”. a brindisi per le giornate del patrimonio di Katiuscia Di Rocco
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Mostra al Museo Diocesiano in collaboazione con la Biblioteca “A. De Leo”
BRINDISI. Il predominio spagnolo in Italia iniziò ufficialmente nel 1559, quando fu stipulata la pace di Cateau-Cambrésis. In occasione delle Giornate del Patrimonio, 23 settembre alle ore 18.30, il Museo Diocesano “Giovanni Tarantini” di Brindisi in collaborazione con la Biblioteca Pubblica Arcivescovile “A. De Leo” allestirà una mostra dal titolo “Labor omnia vincit. Gli Spagnoli e Brindisi”. La mostra presenterà documenti inediti che vanno dal XVII al XIX secolo che attestano la radicata e consapevole presenza degli spagnoli in una città di frontiera quale era Brindisi. Il contenitore della mostra sarà il Museo Diocesano all’interno della Chiesa di Santa Teresa dei Carmelitani Scalzi dove è integro un altare seicentesco con tele coeve volute dal castella-
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no spagnolo a Brindisi, Alonso Ferreyra. Per l’occasione la famiglia Titi, una delle prime famiglie spagnole brindisine, concederà in mostra il Libro di bordo del 1848 del loro primo Brick Schooner “L’Angioletto”, di “bandiera napoletana, perfettamente in ordine, ben attrezzato e tutto corredato di ferri, vele, sarte ed ormeggio”, dal quale risultano gli scambi commerciali e la vitalità del porto di Brindisi fino al XIX secolo: una “città antica più di Roma”, che doveva risollevarsi sulle ceneri di un porto “gemma di inestimabile valore”. Brindisi, Museo Diocesano 'Giovanni Tarantini' Piazza Santa Teresa Ingresso libero Info: 0831529186 Orario: 18.30-20.30
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la biblioteca nazionale di napoli un favoloso patrimonio da scoprire
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Particolare dello scritto autografo dell’Infinito del poeta Giacomo Leopardi, tra quelli conservati nella Biblioteca Nazionale di Napoli
Alla scoperta di rari manoscritti nel percorso atraverso le sale monumentali afrescate delle diverse sezioni
NAPOLI. In occasione delle Giornate Europee del Patrimonio la Biblioteca Nazionale di Napoli propone ai suoi visitatori il «Teatro delle Meraviglie», un’emozionante ed affascinante percorso guidato attraverso le sale monumentali ed affrescate delle sezioni Napoletana, Manoscritti, Consultazione, Periodici che esporranno testi e documenti di rara bellezza e di grande interesse. In sala Esposizione: « …Quella favella a cui cedono tutte le vive». La straordinaria mostra consente di ammirare pregiati ed antichi (sec. XV, XVI) esemplari della Commedia dell’Alighieri, del Decamerone di Boccaccio e del Canzoniere di Petrarca; importanti pagine autografe dell' Orlando Furioso dell’Ariosto, una redazione della Gerusalemme Liberata del "sig.re" Torquato Tasso, l’autografo della terza edizione dei Principii d'una Scienza nuova di Giambattista Vico. Un'intera teca è dedicata agli autografi di Giacomo Leopardi, a testimoniare la vastità e l’importanza della raccolta posseduta dalla Biblioteca di Napoli. Accanto agli scritti in prosa dallo Zibaldone alle Operette Morali, i versi celebri del poeta, tra cui L’Infinito, A Silvia, La Ginestra. La mostra si conclude con un folto gruppo di autografi di Ungaretti: versi famosi, cartoline dal fronte, lettere. Dalle ore 11,30 alle ore 13,30 in Sala Rari Musica Strumentale e Devozione nella Napoli del Settecento a cura Ensemble Barocco “Accademia Reale” Giovanni Borrelli, Violino, Roberta Andalò, Soprano: Musiche di Domenico Gallo,
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Michelangelo Jerace, Leonardo Leo, Giovanni Battista Pergolesi. Biblioteca Nazionale “V. Emanuele II” Piazza del Plebiscito, 1, 80132 Napoli Orario: 8:30-19:30; Info: 081 781 9111
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“anime salve” vent’anni dopo il salento omaggia de andrè
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Dodici artisti per il tributo all’ultimo album del cantautore genovese
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CORIGLIANO D’OTRANTO (Lecce). Vent’anni fa, il 19 settembre 1996, il cantautore genovese Fabrizio De Andrè pubblicava Anime salve. Il suo tredicesimo e ultimo album era frutto di un lavoro a quattro mani con il collega Ivano Fossati, che era già stato suo collaboratore, con il quale l’album fu registrato in studio e poi prodotto ed arrangiato insieme a Piero Milesi. Anime salve è considerato da molti il testamento artistico di Fabrizio De André, non solo dal punto di vista musicale ma anche spirituale, ottenne la Targa Tengo nel 1997 per miglior album e miglior canzone (in riferimento al singolo “Princesa”). Vent’anni di anime salve, così è stato chiamato l’evento, vuole essere il tributo di dodici artisti che il 24 settembre, nella sede dell'Associazione Art&Lab Lu Mbroia di
Corigliano d'Otranto, rileggeranno e reinterpreteranno, in maniera del tutto soggettiva e in base al proprio percorso artistico, i nove brani che compongono Anime Salve a vent’anni dalla sua uscita. Le voci saranno di: Ninfa Giannuzzi, Rachele Andrioli, Enza Pagliara, Emanuele Licci e Dario Muci accompagnate da Valerio Daniele alle chitarre, Stefano Compagnone al basso elettrico, Gianluca Milanese al flauto traverso, Massimo Donno alla chitarra e voce, Emanuele Coluccia al sax, Daniele Vitali al piano, Francesco Pellizzari alla batteria e alle percussioni. L’inizio del concerto è previsto per le 21:30 con ingresso di 10€ comprensivo di un piccolo apertivo di benevenuto. Info e prenotazioni: 3381200398 o 338-3651843
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Un momento della conferenza, la dottt.ssa Katiuscia Di Rocco mostra un prezioso codice
attraversamenti in luce giulio de mitri a santa sofia
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L’artista tarantino ospite del Premio Campigna 2016
renderà il via il 18 settembre la 57^ edizione del Premio Campigna 2016, promossa dal Comune di Santa Sofia (Forlì-Cesena), dalla Romagna Acque SpA Società delle Fonti, dal Parco nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna, dalla Pro loco di Santa Sofia e organizzato dall’ufficio cultura associato dei comuni di Galeata, Santa Sofia e Premilcuore. L'edizione di quest'anno premia il tarantino Giulio De Mitri, artista innovativo e sperimentale la cui ricerca, poetica e filosofica al tempo stesso, sancisce un percorso coerente e rigoroso impegnato da anni tra identità, tecnologia sofisticata e mistica liricità ma fedele al proprio tempo e alla propria storia. Il premio consiste nella realizzazione di tre speciali eventi così articolati: pro-
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getto e realizzazione di una opera pubblica site-specific da installare nel Parco di Sculture all’aperto già sede di una importante collezione, ormai storica, di imponenti sculture di maestri dell’arte contemporanea (da Staccioli a Carrino, da Nagasawa ai coniugi Poirier); mostra personale nella Galleria d’Arte Contemporanea “Vero Stoppioni” di Santa Sofia; direzione di una residenza dedicata alla creatività giovanile. L'evento si collegherà alla Settimana del Contemporaneo 2016 di Faenza. L'8 Ottobre, le opere concepite dai sei giovani artisti in seguito alla residenza verranno esposte all'interno della ex Sala da Ballo Milleluci di Santa Sofia in un progetto di mostra a cura di Irene Biolchini. AttraversaMenti in luce è il titolo della mostra personale dell’artista e consta di opere
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recenti e dell’ultimo decennio (2006-2016): una ricerca tra Minimalismo mediterraneo, Arte sociale e Light Art che l’artista ha strutturato attraverso un allestimento di carattere immersivo e contemplativo, in grado di evocare i temi essenziali della sua ricerca e condurre l’osservatore tra paradigmi concettuali, tematizzati nelle sei sezioni della mostra: Energia, Il Grande Mare (Mediterraneo), Rigenerazione, Speranza, Volo e Spiritualità. Il giardino di Psyché è invece il titolo della scultura pubblica site-specific, ideata e realizzata dal-
l’artista per il Parco di Sculture all’aperto. Composta da oltre quindici massi di dimensioni diverse (pietra calcarea del territorio), sui quali svettano 65 farfalle in acciaio specchiante colte in procinto di spiccare il volo, l’opera monumentale è dedicata al mito di Psyché, attraverso il ricorso alla fragilità e alla leggerezza della farfalla, da sempre allegoria e simbolo dell’anima e del suo soffio vitale. La mostra resterà aperta fino al 19 novembre 2016.
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Nella foto: Nino Graziano Luca fondatore della Compagnia Nazionale di Danza Storica oggi ambasciatrice della cultura italiana nel mondo
a nino graziano luca il premio europeo “il genio e le invenzioni”
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La cerimonia si terrà a Roma il 22 settembre, Palazzo della Cancelleria
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ROMA. Per la particolare e geniale intuizione di fondare la Compagnia Nazionale di Danza Storica, Nino Graziano Luca è stato designato vincitore del Premio Europeo “Il Genio e le Invenzioni”. Un riconoscimento voluto all’unanimità dal Comitato organizzatore e da Gaia Maschi Verdi, pronipote del celebre musicista e presidente della Verdi Official Foundation. La cerimonia di consegna avverrà giovedì 22 settembre 2016, alle 18.00, nella storica cornice del Palazzo della Cancelleria a Roma, proprio dove ha sede la mostra dedicata a Leonardo da Vinci, a cui è espressamente ispirato il Premio. La Compagnia Nazionale è il primo corpo di ballo al mondo di ballerini professionisti di danza storica, che da circa venti anni allestisce il Gran Ballo dell’800, un format di successo ideato da Nino Graziano Luca che propone coreografie originali da lui tratte dai Manuali dei più celebri maestri di ballo del XIX secolo, e ancora celebri romanze e arie d’Opera italiane interpretate da soprani e tenori, performance strumentali di orchestre o solisti, deliziosi racconti sulla vita sociale dell’epoca. Per queste ragioni la Compagnia diretta da Nino Graziano Luca è anche gruppo di ricerca e studio, strumento di promozione e comunicazione della cultura italiana nel mondo: oggi conta centinaia di allievi – provenienti da diverse regioni d’Italia – legati dalla passione comune di riscoprire e far conoscere il capitale artistico e di valori ereditato dall’età romantica, e che ancora oggi esercita un forte charme. Le esibizioni in costume d’epoca, le accurate ricostruzioni, l’impegno creativo, l’elegante dinamismo sono le voci di una potente eco artistica che ha oltrepassato più volte i confini nazionali ed europei, coniando di fatto un fenomeno culturale dalle molteplici sfaccettature, dall’Italia all’Austria, dalla Francia alla Russia, dalla Malesia a
Malta. Il fascino intramontabile dell’abbraccio di un valzer, ricordando quello del Gattopardo tra il Principe di Salina e Angelica; le atmosfere imperiali dei palazzi in cui visse la principessa Sissi; il divertimento corale nelle allegre contraddanze: il culto della danza storica in Italia possiede una lunga tradizione e Nino Graziano Luca ha avuto il “genio” di riportare in luce questo patrimonio dell’800 e di renderlo accessibile alla società contemporanea. «è per me un grande onore ricevere il Premio Europeo “Il Genio e le Invenzioni” – ha affermato il direttore della Compagnia – ringrazio il Comitato, perché un riconoscimento così prestigioso rappresenta un attestato di stima ai 27 anni di duro lavoro filologico e coreografico che ho portato avanti. Sarà un piacere partecipare alla cerimonia insieme a coloro che ogni giorno apportano linfa vitale alla Compagnia: i danzatori. Con loro condivido questa magnifica soddisfazione».
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etnie, culture e poteri nella sicilia di federico ii di Giovanna Corradini
Un successo in piena regola: il convegno storiografico su Federico e la Sicilia, realizzato a Buccheri nell’ambito del MedFest, ha avuto esiti brillanti, prima di tutto sul piano della partecipazione, con l’aula consiliare affollata da oltre un centinaio di ascoltatori partecipi provenienti da diverse aree della Sicilia e oltre. E a coinvolgere i presenti, tantissimi fino alla conclusione, è stato il taglio insieme discorsivo e scientifico delle quattro relazioni, che hanno offerto non pochi spunti originali e innovativi. Dopo i saluti dell’assessore Francesco Interlandi e del vicesindaco Vito Dipietro, a entrare nel vivo della discussione è stato Carlo Ruta, saggista e studioso di fonti odeporiche, con una ampia disamina sullo stato della discussione storiografica su Federico II, da Kantorowicz a David Abulafia, e sulle complessità che hanno caratterizzato l’esperienza dell’imperatore svevo, che già nella sua epoca veniva da un lato demonizzato come
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Convegno di studi federiciani a Buccheri nell’ambito del MedFest
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“sultano battezzato”, dall’altro denominato Stupor Mundi. Ruta ha posto in rilievo alcuni significativi elementi di “laicità” della condotta di Federico, tanto nei riguardi dei pontefici di Roma, con cui si scontrò con un’asprezza inusuale nell’Europa cristiana dell’epoca, quanto nei riguardi di altri mondi religiosi, come l’ebraismo e l’Islam, ravvisando in questi casi una condotta ondosa, scarsamente ideologica, densa di suggestioni intellettuali, frutto di un lungo tirocinio giovanile a Palermo di tipo interculturale, ma fortemente segnata anche da atteggiamenti radicalmente aggressivi, a difesa soprattutto del proprio imperium. Teresa Sardella, docente di Storia medievale all’università di Catania, ha esordito con una approfondita analisi sulle radici storiche e giuridiche dell’impero federiciano. E alla luce di questo excursus, ha spiegato le ragioni del lungo contenzioso che oppose Federico ai pontefici di
Roma, nella duplice funzione di imperatore e di signore feudale del Regnum Siciliae, che formalmente era dominio dei papi. La relatrice ha spiegato quanto necessitasse agli imperatori del Sacro romano impero uno sbocco a mare, lungo la penisola italiana, che permettesse, tra l’altro, una gestione più produttiva degli attraversamenti crociati in direzione della Terra Santa, e quanto gli Stati della Chiesa costituissero un ostacolo materiale non indifferente a tutto ciò. Essa ha fatto il punto quindi delle politiche divergenti tra Federico, che voleva incorporare il Regnum Siciliae nell’impero e papi che si opponevano, per mantenere il loro dominio sui loro “possedimenti” peninsulari e insulari. è stata poi la volta di Ferdinando Maurici, storico e archeologo medievalista, che ha passato al vaglio soprattutto la drammatica situazione che venne a crearsi, dopo il 1220, tra Federico e gli arabo-berberi di Sicilia, fino all’esito dello scontro totale. Il relatore ha spiegato le movenze dei musulmani, che, lungo le linee dello Jato, erano già passati sin dalla morte di Guglielmo II alla ribellione aperta, con l’emanazione di proprie leggi e la designazione di proprie autorità politiche, che proprio nella fase sveva giunsero a coniare addirittura proprie monete, in contrapposizione con quelle del regnum. Maurici ha dato conto della lunga guerra che l’imperatore condusse contro l’emiro ribelle, Ibn Abbad, fino allo sradicamento totale dell’etnia araba dalla Sicilia e la deportazione dei superstiti nel Tavoliere di Puglia, inadatto a ogni tipo di rivolta e resistenza,
e in Calabria. Il relatore ha illustrato infine alcune linee della politica militare e di fortificazione di Federico nell’isola. La discussione è stata chiusa dal filologo Ferdinando Raffaele, componente del laboratorio Artesia dell’Università di Catania, con una relazione sulle politiche culturali di Federico II e, in particolare sulla Scuola poetica siciliana che l’imperatore promosse dagli trenta fino al 1250, anno in cui egli morì. Raffaele ha spiegato i caratteri linguistici e gli stilemi della lirica dei siciliani, mettendo in risalto anche la univocità sostanziale dei suoi contenuti, incardinati soprattutto sull’amor cortese, a fronte di una maggiore varietà di temi proposta da quella provenzale. Da quest’ultima produzione lirica – spiega il relatore – i poeti di Federico trassero peraltro spunti non indifferenti, con una discreta quantità, anche, di prestiti linguistici. Raffaele ha fatto infine il punto sul problema delle fonti, dei canzonieri siciliani che giungono sino a noi, che rivelano un lavoro di traduzione e, per così dire, di “toscanizzazione” che rende ancora oggi difficile una definizione morfologica e filologica esaustiva della lingua dei siciliani. In definitiva, un convegno di altissimo profilo, cui, come hanno assicurato le autorità comunali, si cercherà di dare un seguito e una maggiore organicità con la creazione a Buccheri di un Istituto di alti Studi Medievali, attraverso la costruzione di relazioni sinergiche con atenei e istituzioni di ricerca italiani ed esteri.
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numero monografico
In queste pagine due opere di Maurizio Martina della serie “Stoffe animate” in mostra alla Quadriennale di Roma nel 1996
maurizio martina. dalle stoffe animate ai visi come possibilità di ritrarre l’umanità di Antonietta Fulvio
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l’arte secondo maurizio e luigi martina dal 10 al 24 settembre palazzo vernazza ospita quasi cento opere e l’11 settembre conferenza sulla Bellezza
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LECCE. C’è una profonda connessione tra l’atto creativo e la genesi di un’opera d’arte in quanto elaborazione estetica del pensiero che solo l’artista, visionario, riesce ad immaginare e a tradurre in forma, colore, volume. Creare visioni è compito dell’arte tanto quanto quello di interrogarsi sul proprio tempo ed esserne, eventualmente, espressione, testimonianza e racconto per immagini, appunto. Visioni. L’arte ha occhi ben aperti più del giorno non è solo il titolo della mostra ma sintetizza tale assunto di partenza che aderisce perfettamente alla poetica dei fratelli Martina: Maurizio e Luigi uniti per la prima volta in una antologica che
vestirà le sale dei due piani di Palazzo Castromediano Vernazza nel cuore della Lecce barocca, dal 10 al 24 settembre 2016. Viviamo in una società fluida e le immagini irrompono nella nostra vita con una velocità tale da renderle ormai quasi inefficaci. Ci si abitua paradossalmente al dolore, alla sofferenza e niente sembra più scalfire la nostra egoistica quotidianità. Tutto si mostra e quasi nulla resta di ciò che vediamo, il tempo di un like ed è dimenticanza. Per qualsiasi emozione o accadimento. Ed è lecito chiedersi: può l’arte avere ancora la pretesa e la forza di raccontare il proprio tempo, di scuotere le coscienze ormai assuefatte ai codici binari che sono diventati il binario su cui scorrono le nostre stesse esistenze? Può ancora l’arte sporcarsi le mani e plasmare la materia qualunque essa sia - creta, cartapesta o pennellate di acrilici su stoffa o tela - e produrre quella bellezza che salverà il mondo? Osservando le opere di Maurizio e Luigi Martina, ci si trova al cospetto di visioni che ci restituiscono il senso del fare arte contemporanea oggi, al di là di sensazionalismi e di costruzioni concettuali che lasciano il tempo che trovano. Fermo restando che i linguaggi dell’arte contemporanea sono il risultato di una continua contaminazione tra pittura, scultura, fotografia, digital art e arti performative, ci sia concesso rilevare che la pittura - quella con la P
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In questa pagina: opere di Maurizio Martina della serie Stoffe animate in mostra alla Quadriennale di Roma nel 1996, (Tecnica: stoffe + grafite + acrilico
maiuscola - trova un altissimo livello di espressione nelle creazioni di Maurizio Martina che ritorna ad esporre a Lecce dopo un lungo periodo dedicato alla sperimentazione e alla ricerca. Lo avevamo lasciato nel 2008, vincitore del concorso “Kontemporanea” che dopo la mostra a Lecce, nelle sale del Castello Carlo V (organizzata dall’associazione “Raggio Verde”) lo portò anche nelle sale del Bramante nuovamente nella Roma dei suoi esordi e della sua affermazione artistica. Lì, dove aveva frequentato l’Accademia di Belle Arti e dopo aver esposto nelle gallerie più prestigiose, fu scelto dalla storica e critica d’arte Lorenza Trucchi tra i protagonisti di “Ultime generazioni” nella XII Quadriennale da lei presieduta nel 1996. Tra le nuove leve dell’arte contemporanea - in quella stessa edizione parteciparono tra gli altri Arienti, Cattelan, Beecroft, solo per fare qualche nome- «Maurizio Martina si impone tra gli artisti più originari e promettenti che operano
nel panorama dell’arte salentina»- scriverà la stessa Lorenza Trucchi. «I tessuti a righe che egli applica come una pelle resistente, alle sculture o che fa aderire ai disegni ne accentuano il dinamismo e ne esaltano l’espressività». Nascono così i suoi volti, una galleria di ritratti immaginari che altro non sono che il racconto dell’umanità nell’accezione più nobile e autentica del termine. E, infatti, l’identità dell’uomo, tra natura, storia e fede, il fulcro di una ricerca artistica in cui c’è sempre un profondo legame tra pittura e scultura. Sarà anche per le sue esperienze da scenografo nei prestigiosi teatri romani, ma in Maurizio Martina la stoffa, da ideale quinta teatrale, si fonde nel corpo dell’arte, prorompe in scena sulla tela che è spazio narrativo, concentrazione di idea e pensiero, forma e gesto. è la produzione che lui definisce Stoffe animate (19901996). «L’idea di utilizzare il tessuto a righe - ci racconta nasce dall’intenzione semplice di sposare l’immagine con l’e-
Maurizio Martina, Visi Possibilità 2004, Gesù, 2016
mozione». Le immagini sul tessuto creano movimento e il movimento diventa metafora delle infinite declinazioni dell’espressività, il movimento della tela che dà anche una diversa percezione dei volumi rimanda al dinamismo del mondo, «del mondo che muove insieme le cose e noi che camminiamo come figli sulla terra e nel buio delle sue radici, nel senso del disordine e nel salto del sangue». è il suo mondo romano, un periodo frenetico per Maurizio Martina che realizza numerose mostre, da Palazzo Valentini al Centro d'Arte Polmone Pulsante curata dalla stessa Lorenza Trucchi che nel 1994 presenterà nella Galleria D'Arte Dè Serpenti anche la personale intitolata “Argilla stoffa e colore". é un ulteriore passaggio: le stoffe animate diventano tridimensionali nelle sculture realizzate in perfetta continuità con il suo credo artistico. é sempre l’uomo, il volto umano e la miriade di sentimenti e di espressioni che può esprimere, il protagonista assoluto delle creazioni di Maurizio che diventano delle
vere e proprie maschere teatrali e propongono il rapporto maschera/volto che può passare dalla comicità al dramma proprio come nella vita si può passare da uno stato d’animo all’altro, repentinamente, perché le emozioni corrono sempre sul filo della precarietà. Sorprendono lo stile, la manualità e la tecnica di chi padroneggia la pittura quanto la scultura riuscendo ad essere sempre originale e raffinato al tempo stesso. Artista poliedrico, Maurizio Martina comincia a dedicare anche grande attenzione alla scrittura, in particolare quella poetica e teatrale componendo testi, versi e aforismi nei quali racchiude anche la sua poetica e il suo sguardo sulle cose e sul mondo. Ad un certo punto si fa forte in lui l’esigenza di mettere una distanza a ciò che fino a quel momento era stato il suo habitat e da Roma si trasferisce nel paese della sua adolescenza: Arnesano (Lecce). é il 1996 e, dopo aver esposto alla Quadriennale, sente l’esigenza di dedicarsi esclusivamente alla ricerca, alla fotografia, alla sperimentazione di nuove
tecniche e materiali. Ritorna ad esporre nel 2004 nel Palazzo Marchesale di Arnesano con la mostra "Osservando metamorfosi abbiamo visto appollaiarsi l'arte sui muri" che segna la ripresa degli eventi espositivi: nel novembre dello stesso anno espone a Lecce nella sede dell’associazione “Raggio Verde” con la mostra La finestra è un occhio scelto da Dio presentato dalla storica d’arte Ilderosa Laudisa sua ex docente che ne ricorda il rigore e lo studio della tecnica sin dai tempi dell’Istituto d’arte dove anni prima lo aveva conosciuto come alunno. Espone tele di grandi dimensioni, una scelta dettata «dalla volontà di realizzare forme che invadono lo spazio e che si impongono con la loro forte presenza icastica» scriverà la stessa Laudisa ponendo l’accento sugli esiti di una ricerca estetica ma anche tecnica delle sue opere «perché si confrontano e si mescolano il linguaggio pittorico e quello fotografico, con la complicità stimolante del computer». Ritorna ad esporre quest’anno in
Serie Visi Possibilità 2000-2016
due occasioni, la prima alla Itca dove presenta un emblematico lavoro su Gesù, la seconda è la collettiva d’arte Fragilità e leggerezza organizzata dall’associazione “Le Ali di Pandora” la stessa che con la casa editrice “Il Raggio Verde” cura l’antologica che si inaugurerà a Palazzo Castromediano Vernazza. Nei volti criptici di giovani donne, depositarie di bellezza e assimilabili alla dea madre terra - racchiude il senso della vita e della bellezza perché «nell’arte l’uomo si ricorda del significato, delle norme, del segreto della vita.» Nei volti racchiude e disegna le innumerevoli varianti dell’esistenza ad ogni latitudine, dall’Atlantico al Pacifico, dall’Oriente alle terre estreme del Nord. I lineamenti di questi volti femminili si confondono tra le rappresentazioni cartografiche del globo terrestre perché ciò che accade ovunque nel mondo in realtà accade a tutti, anche se consideriamo il pericolo, la guerra, il dolore e la morte solo quando fisicamente a noi vicine. Noi siamo come mappe: terra, fiumi, laghi, mari e pianure se solo ne avessimo la consapevolezza avremmo più rispetto per l’ambiente e per la vita. Sceglieremmo di vivere nella bellezza e per la bellezza e non prigionieri della paura, armati gli uni contro gli altri in guerre sanguinose che devastano l’umanità in nome del dio potere/denaro. Questo sembrano suggerire gli ultimi lavori pittorici di Martina, Visi Possibilità, ancora una volta il segno pittorico contamina lo scatto fotografico per disegnare come in un fermo immagine geografie dell’anima. Tele di grandi dimensioni costruiscono un nuovo racconto per immagini in
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cui labbra serrate in silenzi colpevoli o aperte in urla angosciose sembrano testimoniare questo nostro tempo: prigionieri del caos «l’uomo vive qui come può sulle colline del sangue». E come rivoli di sangue i confini dividono non solo i territori ma l’idea stessa di comunità, l’umanità ha smarrito la propria spiritualità che labbra appena socchiuse cercano di catturare nel respiro del mondo. Lo stesso respiro che aleggia nel suo spartano studio dove
tra una multitudine di opere, tele, disegni, fotografie, bozzetti, sculture trova un senso il disordine, visiva rappresentazione della creatività che appartiene all’arte. Basta osservare lo sguardo felice di Maurizio Martina mentre mostra le sue creature per capire quanto lui appartenga all’arte e quanta forza egli vi tragga e allora appare chiaro il significato di quanto, a proposito dei suoi ultimi lavori, scrive: «Amare l’arte per liberarsi il cuore dalla fregola del sangue.
Maurizio Martina, Visi Possibilità, 2016, Tecnica: foto + grafite + acrilico
luigi martina.la seduzione dello spazio tra volume e forma di Antonietta Fulvio
Cogliere l’essenza della vita nel tempo come nello spazio. Plasmare la materia sull’onda dei propri pensieri. Catturare attimi irripetibili. Intorno a questi principi si muove la poliedrica attività artistica dello scultore Luigi Martina. La sensualità delle forme tra incavi e morbide curve rivelano giochi chiaroscurali che ci riportano indietro nel tempo, all’abilità dei maestri scalpellini che hanno ricamato le facciate di chiese e palazzi nobiliari. E suo nonno, di cui porta il nome, maestro scalpellino lo era stato ed anche di altissimo livello e la scultura è sempre stata familiare in casa Martina. Luigi è sempre stato affascinato dalle creature di pietra perché in fondo le sculture riescono in qualche modo ad imprigionare le emozioni di chi le realizza. Ed è stato quasi un percorso inevitabile per lui, dopo aver visto scolpire suo padre e lo zio paterno, frequentare l’Istituto d’Arte “G. Pellegrino” di Lecce (oggi Liceo artistico Ciardo-Pellegrino) per approdare successivamente all’Accademia di Belle Arti di Roma e
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diplomarsi in scultura con il massimo dei voti. Poi la scelta di ritornare e operare nella sua terra di origine: Monteroni (Lecce). Entrando nel suo studio si ha la percezione della sua vasta produzione artistica che spazia dalla scultura in pietra leccese alla cartapesta, passando da oggetti di puro design a disegni, fotografie. Foto che in alcuni casi, alla stregua di tele, diventano spazio pittorico dove intervenire con il suo segno grafico. Con precisione chirurgica interviene sull’immagine rielaborando lo scatto rubato. Volendo delineare per immagini il percorso artistico di Luigi ci sono opere che, come pietre miliari, rappresentano su una ideale linea del tempo i temi e l’evoluzione di un percorso che non può non iniziare dalla scultura. Ce n’è una emblematica che rappresenta l’inizio della sua indagine, si intitola Prigioniero ed è stata realizzata nel 2003. In essa il fluttuare dei volumi contrasta con un perimetro regolare, delimitato da una struttura metallica rigida che la contiene. «Il tema della prigionia, o meglio il
Architetture del pensiero che si fa forma, volumi tradotti nella leggerezza della cartapesta e la sinuosità della pietra
Dall’alto in basso, le sculture di Luigi Martina: Prigioniero, 2008; Sensuale 1 (2012) 85x110, Stampa digitale su tela con interventi a matita
tema del dogma e del pragma apparentemente inconciliabili, spesso ritorna nei miei lavori» - ci rivela l’artista che non può esimersi dal rappresentare la realtà che vive. Così come la condizione umana, anime in bilico tra il desiderio di libertà e dunque di movimento e la costrinzione che può essere di carattere sociale o un limite entro il quale ci releghiamo da soli. La libertà e il desiderio di mutamento, il tentativo di realizzare nuovi stilemi che possano rappresentare come archetipi la nostra epoca è la motivazione che sta alla base dell’opera Pragma (2009) un intervento grafico sulla stampa digitale di una sua scultura dove evidenziando luci e ombre intende esprimere l’idea «del continuo mutamento qualcosa di magmatico che si muove sotto le cose». L’incontro con la stampa digitale e la successiva elaborazione grafico-pittorica risale al 2013, l’esigenza è dettata dalla rappresentazione del quotidiano da cogliere nella semplicità del divenire, dal desiderio di fermare attimi che non tornano più. Sintesi perfetta di questo assunto è lo scatto Due attimi del 2013 in cui vengono accostate due foto che ritraggono il figlio Lorenzo mentre guarda la tv nella sua cameretta. L’artista interviene pittoricamente sulla seconda immagine più scura, realizzata dallo stesso Lorenzo, dove i colori diventano quasi un
Luigi Martina, da sinistra a destra: Aileen (2016), 100x75 cm Stampa su tela, schizzo preparatorio; Prigioniero1, (2008) 80X100 cm, Pietra e Ferro
filtro attraverso cui l’artista decodifica i due momenti, irripetibili attimi come lo stato d’animo vissuto. L’opera che gli è valsa il premio Teknè quale artista contemporaneo emergente rappresenta un filone ben preciso della sua ricerca in cui si incontrano felicemente linguaggi artistici diversi. é il caso di Foto visione anche qui scatti di vita quotidiana sono al centro dell’opera: «Lorenzo dapprima immerso in una luce campagnola, lo ritroviamo successivamente davanti a quella di un computer. Due momenti apparentemente così semplici racchiudono la realtà di un mondo futuro esaltante dal punto di vista dell’osservatore, un corpo docile che diventerà un giorno un corpo di un uomo e l’uso di una nuova tecnologia che sta cambiando il mondo». In tale direzione va il suo più recente progetto, ancora work in progress: Aileen (2016), una serie di immagini che ripropongono la triste vicenda della serial killer americana condannata a morte per l’omicidio di otto uomini. Gli occhi di Aileen sono quelli della spietata assassina o saranno stati anche occhi docili di bambina con i suoi sogni e le sue paure come qualsiasi donna? L’intento dell’artista non è giustificare il male ma focalizzare l’attenzione «sull’uso violento e sistematico della pena di morte, un mezzo arretrato e disumano che non rende giustizia né alle vittime e ancora meno alla società.». Una società che d’altro canto sta diventando sempre più cinica, incapace di percorrere le vie del dialogo e della solidarietà. Siamo tutti chiusi nei nostri limiti come suggeriscono le forme di Condizione umana morbidi volumi di cartapesta che fluttuano leggeri nello spazio suggerendo la mutevolezza dell’umanità in perenne trasformazione, in movimento ma sempre comunque in uno spazio limitato,
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Dall’alto in basso: particolare di Due attimi, 2013, 120x24, foto e stampa digitale resinata con interventi colorati; particolare di Senza titolo, vetrofonia, 2015
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Dall’alto in basso: Tele Visione (2016) 160x70 cm, foto e stampa digitale resinata con interventi colorati; in basso Cuore, stampa di una scultura su plexiglas, 2014
sempre più inchiodata ai monitor che raccontano esistenze da un angolo all’altro del globo. Nel bene e nel male non si può fare a meno delle immagini: è questo il concept dell’opera Tele Visione che si ispira a quanto descritto dallo scrittore francese Emile Zolà nel romanzo L’opera (1869) in cui descrive un momento dell’Esposizione universale di Parigi, dove gente di ogni estrazione sociale accorreva al padiglione degli artisti per poter visionare le loro opere. «Non ha senso in una società come la nostra ignorare il potere delle immagini» - commenta Luigi Martina che in quest’ultimo periodo sta sperimentando una nuova tecnica: la vetrofonia su plexiglas. Rifacendosi alle visioni degli schermi digitali nella composizione entrano in gioco le forme e il colore: «L’adolescenza, momento proprio del passaggio, non può essere che posta al centro tra due corpi oscuri che sono il tempo passato e futuro. I tocchi di colore sono la speranza di un padre che osserva». L’esperienza della paternità con il suo carico di dubbi, di ansie e interrogativi viene raccontata attraverso il linguaggio dell’arte. Ma chi è l’artista? gli abbiamo chiesto. «L’artista è un po’ come lo sciamano del villaggio. Lui va oltre: la lente deformata attraverso la quale guarda la realtà gli permette di vedere in modo diverso, non convenzionale, arricchendo la visione anche degli altri. Negli ultimi tempi, la manifestazione dell’arte contemporanea mi lascia perplesso: una passerella sull’acqua, calchi di tronchi di ulivo secolari, cascate di numeri giganti in legno verniciato. Mi sono chiesto: all’artista è rimasto solo questo?! L’arte per far parlare di sé ha bisogno di essa? E allora ho nostalgia del minimalismo spinto, del totem di Kubrick e del barattolo di Manzoni. Dov’è la visione? è rimasto solo lo show?! L’arte è anche questo, ma non può essere solo questo».
Pittore, scultore e poeta Maurizio Martina, nato a Monteroni il 23 maggio del 1964, vive e lavora ad Arnesano. Diplomatosi all'Accademia di Belle Arti di Roma nel 1989, inizia la sua attività artistica nella capitale. Nello stesso anno espone a Palazzo Valentini, all'Expo Arte di Bari ed è presente alla "Constituyente, arte y tradiction" Pabellon de Uruguay a Sevilla in Spagna. Tiene mostre personali a Palermo dove nel 1990 presenta "Timidi cinguetti" alla Galleria D'Arte Flacovio; nel 1992 espone a Roma al Centro d'Arte Polmone Pulsante le opere di "Stoffe animate" mostra con testo critico di Lorenza Trucchi. Ancora una mostra romana nel 1994 alla Galleria D'Arte Dè Serpenti con Argilla stoffa e colore presentato da Lorenza Trucchi. L’anno seguente espone i suoi lavori alla A.R.G.A.M.(Ass. Romana Gallerie D'Arte Moderna), alla Ca’ d’ORO e all’Accademia di Egitto. Nel 1996 è presente all'Esposizione Nazionale Quadriennale D'Arte di Roma “1956 - 1990 Ultime Generazioni”, sempre con testo critici di Lorenza Trucchi. Gli anni romani sono molto importanti sia per l’evoluzione della sua ricerca pittorica sia per le sue significative esperienze lavorative nel mondo dello spettacolo e del teatro. Trasferitosi da Roma ad Arnesano sperimenta e lavora su nuove forme espressive. Nel maggio 2004 tiene al Palazzo Marchesale di Arnesano la mostra Osservando metamorfosi abbiamo visto appollaiarsi l'arte sui muri” poi a Lecce nella sede dell’associazione “Raggio Verde” la personale intitolata “La finestra è un occhio scelto da Dio. Nel luglio del 2005 espone ancora ad Arnesano (Il Signore è il mio Dio Progetti ipotetici per il Calvario di Arnesano). Nell’ottobre 2005 partecipa e vince il concorso “Kontemporanea” annesso alla selezione della VI biennale del “CIAC” di Roma esponendo prima a Lecce nel Castello Carlo V e, successivamente, a Roma nelle Sale del Bramante nel febbraio 2006. Nel 2007 espone a Copertino nella manifestazione Arte in convento. Negli ultimi anni si è dedicato alla ricerca e sperimentazione e rare sono state le sue uscite artistiche. Quest’anno ha presentato un’anticipazione del suo nuovo lavoro Gesù alla ITCA (Istituto Terziari Cappuccini dell’Addolorata) e, lo scorso aprile, ha partecipato alla collettiva d'arte Fragilità e leggerezza organizzata a Lecce dall’associazione “Le Ali di Pandora” nelle sale di Palazzo Castromediano Vernazza. Luigi Martina frequenta l’Istituto d'Arte Pellegrino di Lecce successivamente prosegue gli studi presso l'Accademia di Belle Arti di Roma nella sezione scultura diplomandosi nel 1989 con il massimo dei voti. Scultore, affianca l’attività artistica a quella artigianale come scalpellino e ceramista. Ha partecipato a varie collettive d'arte riscuotendo riconoscimenti. Nel marzo 2001 per la scultura in pietra leccese Formica d'oro riceve il premio dal Consorzio Artigiani della Provincia di Lecce. Nel Maggio 2004, nella mostra d’arte Il Cuore organizzata da ASL Le/1 riceve la targa d’onore per la sua scultura. Nell'estate del 2013 riceve il Primo Premio nel Concorso di Arte Contemporanea Emergente Teknè organizzato dal Comune di Calimera. Attualmente continua il suo cammino di ricerca unendo costantemente tradizione e innovazione sia per quanto riguarda le tecniche sia per l’utilizzo di materiali. A Palazzo Castromediano Vernazza presenterà gli esiti della sua ventennale ricerca. Così ama definirsi: «Un uomo nato nel 1965 a Monteroni di Lecce, (dove attualmente risiede) che tra le altre cose costruisce immagini, per comunicare e mostrare mondi sotterranei sotto la luce del sole sforzandosi di essere efficace in modo di arrivare direttamente allo spettatore, mai banalizzando, usando al meglio gli strumenti propri della materia. Io sono per un’arte popolare.»
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l’eredità dei martina. agli albori l’abbacinante calcare salentino
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Salento Segreto
a cura di Mario Cazzato
di Mario Cazzato
Dallo “spietrare” al “costruire” a regola d’arte. Luigi, scalpellino e costruttore, capostipite di una generazione di artisti
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rnesano ha un paesaggio di pietre, di tufo. Era la patria dei “zoccatori”, i tagliamonte che per secoli, da sempre, hanno cavato pietra da costruzione dagli aridi terreni della Cupa verso Villa Convento e Novoli. Squadre di individui a piedi - le biciclette se le potevano permettere solo agli albori del boom economico - con sulle spalle lo “zeccu”, ossia il piccone, unico strumento della loro arte, all’alba lasciavano le loro cose, ogni giorno dell’anno, frenati solo dalla pioggia battente e si recavano in quelle inospitali campagne dove si scorgevano rari e rinsecchiti olivi e cespugli di timo. Lì procedeva qualche carro sul quale, giunti sul posto, magari presso l’antico santuario di Monte vergine, caricavano a mani nude i pesanti blocchi di tufo. I carri tornavano indietro, stracolmi, spezzando l’attesa dei muratori. Molto dopo sull’imbrunire tornavano nelle loro case i “zoccatori”. Gli uni e gli altri, il costruire e lo spietrare, lavori pesanti, oggi li chiamerebbero
usuranti. Ricordo la faccia impolverata, le mani callose di mio padre: sulla strada del ritorno aveva trovato un cotogno, un grappolo d’uva e un fico d’India, una manciata di giuggiole e noi, ragazzi, eravamo felici di questi inaspettati doni che variavano con i mesi e le stagioni. Pietra ingrata, il tufo, arsa, secca, porosa, pericolosamente assorbente. Non potevano che nascere qui gli scalpellini. Per secoli e secoli questi artefici si organizzavano in veri e propri clan familiari, i Martina, a cominciare dal nonno Luigi nato alla fine del XIX secolo, sono la norma e non l’eccezione. Poi, come Luigi, per capacità innate, per un lungo tirocinio che partiva dai primi anni di vita, emergeva il vero “scalpellino” colui che ricavava da grezza pietra dalla sua sorda geometria, eleganti fantasie, ricci e quasi merletti, tutto quel repertorio di visi angelici, e demoniaci, frutta e fiori, volute e pigne, trofei ed esseri zoomorfi e fitomorfi che hanno reso famoso, per fare un esempio eclatante, il barocco leccese salentino. E rammentiamo che il massimo architetto di questo fenomeno ormai assorbito dal barocco nazionale, è quel Giuseppe Zimbalo che iniziò la sua formidabile carriera proprio come scalpellino: sua è l’invenzione di quei paffuti angioletti che caracollano e svolazzano da finestre e balaustre, agili e sempre sorridenti, lui che non fu mai padre. E forse per questo li inseguì sui bordi dei rosoni, sui lati degli stemmi, nelle nicchie e sopra i portali, su chiese e palazzi, per tutta la vita.
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Invano. E per tutta la vita, anche quando divenne il più celebre architetto dell’epoca non cessò di essere mai lo scalpellino che cesellava quei volti ridenti, come se cantassero al vento una sottile melodia. Questi erano gli scalpellini: piccoli poeti, al limite modesti prosatori della pietra. Il clan dei Martina testimonia ancora oggi - e oggi non più solo con la pietra ma anche con il pennello - come questa figura sia arrivata indenne, nelle sue più profonde caratteristiche, fino ai nostri giorni. Quando il rapporto tra arte antica e arte contemporanea non si era ancora scisso, quando cioè si riteneva il presente come diretta conseguenza del passato prossimo, Luigi poteva costruire per fare un esempio della sua febbrile attività di scalpellino-costruttore parte della facciata crollata del palazzo Baronale di Monteroni dei Lopez y Rojo per i quali lavorò nella residenza suburbana di Villa Saetta, sempre a Monteroni. Riproponendo le stesse finestre del ‘500, ingannando la filologia ma consegnandoci un monumento integro nella sua conformazione, lontano dalle astratte elucubrazioni dei teorici del restauro che spesso hanno torto. D’altra parte Luigi aveva un precedente illustre in Francia, Eugenio Viollet le Duc (18141879), il teorico del “restauro stilistico” al quale si deve la conservazione di gran parte delle cattedrali e dei castelli della Loria: Luigi stava quindi in buona compagnia. Come lo sono i suoi discendenti anche loro pervasi da questa totalizzante vis artistica che all’origine, un’origine molto lontana, ha come sorgente l’abbacinante calcare salentino.
dialoghi di scultura nel frantoio ipogeo CASTRI di Lecce (Lecce). Nel Frantoio Ipogeo dialoghi di scultura, Roberto Buttazzo, Franco Dellerba, Bruno Maggio è il titolo della mostra che si aprirà sabato 17 settembre, negli spazi del frantoio ipogeo di Piazza dei Caduti a Castri di Lecce. La mostra, curata da Marinilde Giannandrea e promossa dall’amministrazione comunale, nasce dal presupposto che da un legame a un contesto possano prendere forma narrazioni, ragionamenti, proposte, sinergie. Lo spazio è il frantoio ipogeo di Piazza dei Caduti, che parla del passato di un’intera comunità di cui è diventato nuovamente patrimonio e bene comune. è il luogo del lavoro in cui si può ricercare il senso della propria identità agricola e produttiva. Un lavoro, scandito dal ritmo delle stagioni, centrato sull’importanza che ha avuto, e continua ad avere, l’ulivo per il territorio salentino. I dialoghi di scultura di Roberto Buttazzo, Franco Dellerba e Bruno Maggio hanno la prospettiva di fare rifluire questa centralità, scoprire un luogo mettendo in comunicazione la contemporaneità con il passato - spiega la curatrice. Lo fanno attraverso un materiale comune, la terracotta/ceramica perché il filo conduttore, quello del lavoro, trova un senso nella terra che ha costruito un sillabario agricolo e artigianale e che porta la narrazione artistica a diventare più diretta e a liberarsi da ingombranti sovrastrutture. Roberto Buttazzo, originario di Lequile (Lecce) ha realizzato per questa mostra tre nuovi lavori. Sono gli spiriti-guida del luogo, figure femminili che si illuminano come anime della notte, un po’ sensuali e un po’ ironiche, senza eccessivi ostacoli concettuali ma cariche di una poesia intima, animate da una lieve misura irridente. Pittore e scultore, ha una particolare attenzione alla qualità della forma e della figura. Nei suoi panneggi iperrealisti si coglie l’attenzione alla plasticità
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In mostra fino al 9 ottobre le opere di Roberto Buttazzo, Bruno Maggio, Franco Dellerba
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una foto dell’allestimento
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Dall’alto in basso: Bruno Maggio, viaggio d’amor e di fatica, 2016; Roberto Buttazzo, Diogene 2016. Nella pagina accanto: Franco Dellerba, Passeggiata 2004
della materia pittorica che spesso tende a valicare la superficie della tela con effetti di depistamento tra realtà e finzione. Come scultore predilige la figura umana, interpretata nella sua dichiarata natura sensuale ed emotivamente coinvolgente. La Passeggiata di Franco Dellerba è un’opera a composizione variabile, capace di modificarsi e autogenerarsi. La lunga fila di animali allude a processi migratori, a ironiche processioni, ma in realtà è il concetto che si mette in viaggio, in questo caso nello spazio chiuso e sotterraneo del frantoio. L’artista che vive e lavora a Capurso (Bari) utilizza con libertà diversi linguaggi e materiali, si muove su registri eterogenei che hanno come filo conduttore un rapporto ludico e irridente con la realtà. Il suo lavoro offre un approccio visionario all’arte, tra allusioni o citazioni, riferibili ai simboli e alle residualità del patrimonio della cultura popolare che rielabora e rilegge senza tradirne la specifica natura ma riportandola sempre a questioni e visioni contemporanee. Ha realizzato numerose e importanti mostre in spazi italiani e internazionali e ha a lungo collaborato con la galleria Bonomo di Bari. L’amore per l’ulivo e per la cultura contadina è il filo rosso che lega i lavori di Bruno Maggio realizzati per il frantoio di Castri. All’interno di questo flusso naturale, s’intuisce qualcosa che conduce alla scoperta di una struttura residua di “essere”, qualcosa di resistente alla natura effimera delle vicende dell’esistenza. Artista della terracotta, ha partecipato a numerose mostre ed iniziative in spazi pubblici e privati. Il suo lessico fa interagire modernità e tra-
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dizione. Alla sua produzione fa da sfondo il Salento con la sua carica teatrale di paura e di onnipotenza, di sacralità e di ottimismo. Attinge alle tradizioni popolari, ma anche alla poesia di Vittorio Bodini e ha creato un universo di personaggi, di storie e di architetture, perfettamente riconoscibili. Una produzione, in cui sintesi formale e urgenza della narrazione convivono in un mondo che si muove a volte su una dimensione di felice e irridente surrealtà. Vive e lavora a Lecce. Frantoio ipogeo, Piazza dei Caduti, Castri di LecceGiorni e orari di apertura: martedì, giovedì, sabato e domenica dalle 17.00 alle 19.00 Info e prenotazioni in altri giorni: info@comunecastri.le.it
il frantoio ipogeo di castri di lecce Il Frantoio ipogeo di Castri di Lecce Il Frantoio ipogeo di Castri di Lecce, ubicato in Piazza dei Caduti, è un tipico frantoio oleario salentino realizzato a cavallo dei secoli XVII e XVIII. Nasce come luogo per la lavorazione delle olive e per la produzione e conservazione dell’olio lampante e commestibile. Il frantoio, esaurita la sua fase produttiva, fu abbandonato e spogliato di tutto il materiale. Con l’attuale Amministrazione comunale e con l’aiuto dei fondi GAL si è dato corso a un consistente progetto di riqualificazione rendendolo fruibile al pubblico, abbattendo le barriere architettoniche e favorendo l’accessibilità. L’inaugurazione della struttura è avvenuta nella primavera del 2016 e attualmente la parte visitabile del trappeto è quasi totalmente scavata nella roccia. Nell’ampio ambiente rettangolare, con copertura a volta, sono collocate due basi di macina olearia con pietra molare in pietra dura, tre basi di torchio alla “calabrese”, le vasche
di accumulo e decantazione dell’olio. Intorno a questo ampio ambiente si articolano altri vani di dimensioni più piccole, come le sciave per il deposito temporaneo delle olive, il dormitorio del Nachiro (il capo dei frantoiani), degli operai, la cucina, la stalla per gli animali e il deposito della paglia.
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A lato il musicista Antonio Melegari
li ucci festival. a cutrofiano per ricordare i più grandi cantori
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Una settimana di eventi per ricordare non solo i cantori de "Li Ucci", lo storico gruppo salentino ma tutti i cantori capaci di tramandare il patrimonio popolare salentino
CUTROFIANO (Lecce). Concerti, mostre, presentazioni di libri, bike tour, incontri, degustazioni: tutto questo è stato Li Ucci Festival che da domenica 11 a sabato 17 settembre ha catalizzato l’attenzione su Cutrofiano, in provincia di Lecce. Giunto alla sesta edizione, la manifestazione organizzata dall’Associazione Culturale Sud Ethnic e dal Comune di Cutrofiano - con la direzione artistica e organizzativa di Antonio Melegari e con il supporto di partner pubblici e privati - ricorda ogni anno non solo i cantori de "Li Ucci", lo storico gruppo salentino (guidato da Uccio Aloisi, Uccio Bandello e Narduccio Vergaro) custode degli "stornelli", dei canti d'amore e di lavoro ma anche un’intera generazione di cantori capaci di tramandare il patrimonio popolare salentino. Il momento clou è stato il grande concerto evento finale (sabato 17 in Piazza Municipio) con Li Ucci Orkestra, con 40 elementi, tra i principali esponenti della musica, del canto e della danza popolare salentina. «Sei anni di tradizione, sperimentazione e innovazione. Quella che all’inizio era solo una piccola finestra è stata trasformata in una porta spalancata su tante realtà artistiche, dalla musica alla fotografia, dalla pittura alla gastronomia, dalla danza alla poesia», sottolinea il direttore artistico Melegari. Dopo l'anteprima con il cantattore P40 l'articolato
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programma ha visto l’esibizione di esponenti di spicco della world music come la Famiglia Giovanni Avantaggiato, cantore ultraottantenne, nato e cresciuto a Corigliano d’Otranto, che rappresenta oggi un custode di arcaici saperi. Tra i protagonisti la Famiglia Cordella e la band Hosteria di Giò, tra i vincitori del Premio Nazionale Folk, concorso dedicato alla musica folk e alla world music italiana, promosso da “Li Ucci Festival”, dal “Meeting degli Indipendenti” di Faenza e dalla Scuola di Musica Popolare di Forlimpopoli. Sul palco anche i Cardisanti, dal nome dal termine dialettale di Cutrofiano del cardo campestre, alla cui natura si ispira il carattere musicale. Il gruppo si è ufficialmente costituito dopo la scomparsa nel 1998 di Uccio Bandello. La loro storia ha le radici piantate nell’esperienza dei grandi cantori del proprio paese con i quali hanno condiviso indimenticabili momenti di gioia facendo musica insieme in numerose occasioni. La serataè stata impreziosita dal suono di ciaramelle e zampogne del maestro liutaio Francesco Primiceri. Il festival ha ricordato con una serata densa di emozioni Gianni De Santis, autore di testi musicali e teatrali in griko e italiano, musicista e cultore della lingua antica del Salento scomparso a novembre. Li Ucci festival è stato caratterizzato
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dalla musica di Dario Muci & Antonio Calsolaro (Pesce Fritto e Baccalà), Scazzacatarante (Buena Suerte Cafè) e Salento All Stars in Taranta Ensemble (Jack’n Jill Lab). E ancora Mino De Santis, Le Sorelle Gaballo, Li Strittuli e dei Sancto Ianne, altra band vincitrice del Premio Nazionale Folk. Spazio anche alla danza scherma salentina a cura di Davide Monaco, all’arte con “Li Ucci tra musica e colore” a cura di Teresa Gravili. Particolarmente coinvolgente la proiezione del concerto del 1997 in Piazza Verdi a Bologna con Uccio Aloisi, Uccio Bandello, Luigi Stifani, Giovanni Avantaggiato, Biagio Panico, Ada Metafune (archivio Ass.ne Novaracne) e la festa, fuori programma domenica 18 settembre con il gruppo Folklorico Canterini della riviera Jonica Melino Romolo di Messina e Melegari e i suoi compari.
biologia marina, il museo parenzan compie cinQuant’anni PORTO CESAREO (LECCE). con il convegno “Il Museo di Biologia Marina Parenzan: passato presente e futuro” si è concluso sabato 17 settembre un ricco programma di eventi per celebrre il 50esimo anniversario del ‘Museo di Biologia Marina’ voluto e poi intitolato al compianto professor Pietro Parenzan. Incontri, convegni, mostre, visite guidate hanno ripercorso la storia e raccontato le attività e l’impegno del Museo che, fondato nel 1966 da Pietro Parenzan (il quale, nel 1977, donò le collezioni all’allora “Università di Lecce”), ha avuto fin dalla nascita una forte connotazione educativa. l Museo di Biologia Marina fa riferimento alle ricerche sul campo condotte dagli studiosi del Laboratorio di Zoologia e Biologia Marina del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche e Ambientali dell’Ateneo, coordinato da Ferdinando Boero che è anche il Direttore del Museo. Con i suoi allestimenti e le numerose attività educative, e in stretta collaborazione con l’Area Marina Protetta di Porto Cesareo, il Museo diffonde i risultati della ricerca allo scopo di far conoscere lo stato del nostro mare per incoraggiarne la difesa e la protezione. Nel Museo si svolgono visite guidate semplici e approfondite, laboratori didattici, conferenze,
convegni, spettacoli. Tutte le attività sono studiate in modo da essere condivise, anche in fase di progettazione, con il pubblico fruitore, molto variegato e costituito da studenti di ogni ordine e grado, famiglie con bambini, anziani, gruppi di adulti, disabili, studiosi. Per questo motivo particolare attenzione viene posta alle metodologie di comunicazione - dal pannello all’apparato multimediale, allo scopo di rendere comprensibili alla maggior parte del pubblico i contenuti e i messaggi. Il Museo accoglie ogni anno più di 10mila visitatori.
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apulia land art festival undici artisti nel bosco di mesola
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“Gutta CavART Lapidem” il tema della quarta edizione della manifestazione
CASSANO DELLE MURGE BARI. Undici artisti, opere site specific create con i materiali del luogo per la IV Edizione dell'Apulia Land Art Festival. Nato da un’idea di Carlo Palmisano (Director) e Martina Glover (Vice Director), fondatori dell'Associazione “UnconventionART per l'arte mai vista”, il festival itinerante si terrà quest'anno a Cassano delle Murge (BA), nell’incantevole, ma poco conosciuto, “Bosco di Mesola”, il 16-17-18 settembre. Quest'area della Puglia è caratterizzata da numerosi fenomeni carsici in cui l'acqua e la pietra si alternano tra lame, doline e grotte alimentando un particolare e delicato ecosistema naturale. A celebrare questo ciclo è il tema di questa edizione: “Gutta cavART lapidem”, reinterpretazione del celebre motto
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latino, che ha come protagonisti appunto l’acqua e la pietra. Così come l’acqua, entità apparentemente neutra ed accomodante, riesce a plasmare la pietra, dura e testarda, così, nella visione dell’Apulia di questa edizione, l’arte, presentandosi nel territorio, può lentamente plasmare i contorni di questa terra brada che, destata dalla residenza d’arte, può riattivare una riqualificazione dei siti in chiave naturalistica, turistica ed artistica. Gli 11 artisti partecipanti - in residenza dal 9 al 19 settembre – sono: Dario Agrimi (Italia), Leonardo Cannistrà (Italia), Fabrizio Cicero (Italia), Eleanor Grierson (Regno Unito), Laura Malacart (Regno Unito), Nicolas Melliet (Francia), Hollie Miller (Regno Unito), Fawn Qiu (Stati Uniti), Valentina Sciarra (Italia), Grace Zanotto & Noel
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Gazzano (Italia). Ma l'Apulia Land Art Festival è anche incontri, concerti, teatro, laboratori, installazioni urbane nei Comuni di Cassano delle Murge ed Acquaviva delle Fonti “tre giorni” del Festival, tra loro: Pietro De Scisciolo, Francesco Sannicandro, Cosimo Epicoco, Daniela Chionna e Gianni De Serio (video performance), Maristella Campanelli, Daniela Addante, Paolo DeSantoli, Ermanno Dosa, Cristiana Pacchiarotti ed Angelo Cortese. Mostra personale di Guido Corazziari Camon “Flages&Remix” e proiezione del docufilm "Non Perdono", regia di Roberto Marsella & Grace Zanotto - Palazzo Marchesale Miani Perotti Cassano delle Murge. www.apulialandartfestival.it
visite ai giardini di pietra cursi, “serra delle arti” CURSI (LECCE). Attraversare il territorio capirne la storia, gli uomini, le tradizioni, la cultura, l’identità; presagirne e verificarne le strategie di sviluppo e di innovazione produttiva è l’intento delle “Visite ai Giardini di Pietra” che, nell’edizione 2016, nell’ambito del programma delle residenze di “Serre delle Arti”, muta in rassegna itinerante. Un’occasione per vivere da testimoni la cultura materiale e i luoghi della “pietra leccese”: il processo produttivo, dalla cava di estrazione ai laboratori di ideazione creativa e di lavorazione. Due visite dedicate a Cursi, città regina dei Territori di Pietra, apriranno la rassegna, domenica 25 e giovedì 29 settembre, poi il cammino, lo sguardo e l’attenzione si volgeranno alle aziende di lavorazione della pietra leccese, scenario degli appuntamenti di ottobre: tre domeniche, il 2, il 9 e il 16 per tre pomeriggi dalle 16.00 alle 19.00, da trascorrere in compagnia delle maestranze e degli artisti che daranno parole, musica e canti agli incontri. La prima visita domenica 25 settembre sarà dedicata a Cursi per rendere omaggio alle sue “stanze ideali”, racconti, musica e canti, in cammino per le sue strade in cerca delle “persone”. La passeggiata per le vie di Cursi sarà animata dalle parole di Giuliana Coppola e Maurizio Nocera, dagli attori Alessandra De Luca, Piero Rapanà, Silvia Lodi, Simone Giorgino, Alessandro Berti, Renato Grilli, dai canti di Alessandra De Luca, Marco Leone
Bartolo, Jula Poretti. L’appuntamento alle 17.30 al cospetto di Palazzo Maramonti (sede del Municipio di Cursi) in Piazza PioXII; la prima sosta avrà luogo nello cortile retrostante dove è stata individuata - nel corso dei lavori di restauro del fabbricato – una cava cittadina posta sotto il lastricato del cortile. La prima “stanza” di questa particolare giornata sarà mostrata attraverso le immagini video registrate nei giorni in cui ne fu svelato il passaggio. Da qui prenderà via introdotta da un canto di Alessandra De Luca (che accompagnerà l’intero percorso) la passeggiata che attraversando Piazza Pio XII imboccherà Via Roma. Sotto il braccio della guida il libro “Cursi. La storia, la vita, la pietra” di Donato Giannuzzi presentato da Mauri-
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zio Nocera. La seconda sosta sarà accolta nello spazio comune di una bellissima Corte seicentesca dove l’attrice Silvia Lodi darà voce alle misteriose narrazioni de “Il canto delle sirene” ispirate alla scrittrice Maria Corti dagli affreschi della Cripta Bizantina di Cursi. A seguire le nota di Giuliana Coppola su Maria Corti e sul filologo e letterato Oreste Macrì accompagnata dalla voce del poeta Simone Giorgino per rievocare l’attaccamento dell’intellettuale a Largo Alogne “confessato” nelle pagine della sua autobiografia. La memoria di Via Alogne sarà anche il soggetto della performance dell’attrice Alessandra De Luca. Una nuova sosta avrà luogo nella Piazzetta del Fico d’India e ospiterà il ricordo di un momento
Immagini d’archivio della Visita ai giardini di pietra , 2005 fonte: sito istituzionale
memorabile dell’esperienza dei Territori di Pietra che riguardò Carmelo Bene, Cursi e il Salento: in occasione della “Notte di San Lorenzo” del 10 agosto 1992 nelle Cave andarono “in scena” i “Canti Orfici” di Dino Campana detti da Carmelo Bene. Un evento che segnò il ritorno dell’attore nella sua terra, dopo lunghi anni di stizzita assenza e l’inizio della stagione ancora inesausta dell’affermazione della particolarità territoriale salentina che nella pietra trovava una leva possibile di rilancio e di affermazione. Ad animare la sosta l’ascolto dei Canti Orfici detti da Carmelo Bene e il commento di Simone Giorgino. Poco distante l’omaggio alle installazioni urbane di Ugo La Pietra. Il percorso ripercorrerà Via Roma fino all’angolo con Via San Nicola per dirigersi verso il Parco della Rimembranza dove sarà ricordato il giurista Michele De Pietro. Si proseguirà poi lungo Via Melisse verso Piazza Pia XII per giungere a Palazzo De Donno che sarà luogo di una sosta speciale dedicata all’arte della cucina con la presentazione alle 19.00 della monografia dedicata allo chef Donato Episcopo edita da Il Raggio Verde nella collana “Dove c’è gusto” diretta da Leda Cesari. La serata proseguirà con un omaggio al Fondo Pensionante dei Saraceni di Antonio L. Verri (che ha sede al secondo piano del Palazzo) con l’ascolto del Fabbricante di Armonia a cura dell’attore Piero Rapanà. Sarà possibile visitare il Frantoio Ipogeo e la mostra "Stone stories. Le Pietre di Puglia nell'architettura, nel design, nel paesaggio" che per l’occasione ospiterà una stanza dell’ascolto dedicato al poema “Pietra, pianta” scritto e detto da Alessandro Berti accompagnato dalle corde di Stefano Pilla. Alessandro Berti con la Compagnia teatrale “L’impasto” fu ospite delle Cave il 27 luglio 1999 per “Solo una notte”. Il giardino allestito da Antonio De Luca nel 2005 per il Cafè Egnatia della residenza artistica dell’Osservatorio Nomade a Cursi ospiterà le performance finali della visita con “I tre inni omerici” dell’attore Renato Grilli e i canti di Leone Marco Bartolo e Jula Poretti. Festa di chiusura “Serre delle Arti”, con la presentazione degli elaborati dei nove progettisti che hanno partecipato alla residenza e la musica del trio guidato dal fisarmonicista e compositore Antongiulio Galeandro, con lui Giorgio Distante alla tromba e Mario Grassi alle percussioni. A far da cornice all’appuntamento il film di Davide Barletti “Radio Egnatia”, realizzato nel 2008. Un film che ha per protagonista una chianca di pietra leccese estratta a Cursi. Si legge nella sinossi: “Un artista napoletano di vocazione nomade fa da guida
a un viaggio che, da Durazzo a Istanbul, segue la via Egnatia, l’antica strada romana proseguimento dell’Appia in terra balcanica. Il percorso, segnato dall’abbandono in ogni tappa di una chianca, tipica pietra leccese estratta a Cursi, racconta le storie di persone e tradizioni, dal Salento alla Turchia, attraverso confini e molteplici identità culturali. Il viaggio trova voce in "Radio Egnatia", stazione radio immaginaria il cui palinsesto è costituito dall’intreccio di suoni e informazioni reali di quei luoghi. Il film “Radio Egnatia” è parte di: “Egnatia, un percorso di memorie disperse”. Il progetto Egnatia è un progetto artistico e di ricerca sostenuto dal programma Cultura 2000 per l’anno 2004 – 2005 con capofila Stalker – Osservatorio Nomade con partenariati in Francia, Grecia e Italia. Obiettivo del progetto è la creazione di un “monumento transnazionale”, dislocato lungo la via Egnatia -che dagli approdi italiani del Salento attraversa la penisola balcanica fino ad Istanbul - dedicato alle memorie delle persone costrette a lasciare i luoghi di origine, dagli spostamenti di popolazioni legate alla costituzione degli Stati nazionali, ai recenti immigrati e rifugiati che raggiungono le coste salentine. Al progetto hanno collaborato artisti di tutti i Paesi toccati dalla Via Egnatia che hanno utilizzato la chianca leccese per puntellare la strada di “pietre miliari di memoria”. Il film “Radio Egnatia” è uno dei mezzi, nati dalle riflessioni di una residenza a Cursi, assieme ad un programma radio, otto episodi televisivi, due giornali; due guide a cura dell artista Matteo Fraterno ed un sito web (www.egnatia.info), con cui la pratica di tessere relazioni e costruire memorie condivise a cavallo di confini etnici e culturali viene raccontata.
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le monografie di “dove c’è gusto”: lo chef stellato donato episcopo
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Terzo volume della collana diretta da Leda Cesari per Il Raggio Verde edizioni
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CURSI (LECCE). Sarà presentata a Cursi domenica 25 settembre, ore 19 a Cursi nel suggestivo Palazzo De Donno, la monografia che Il Raggio Verde edizioni ha dedicato allo chef stellato Donato Episcopo attualmente alla direzione della cucina del Cinque Stelle “La Corte” di Follina nell’Hotel Relais Chateaux Villa Abbazia. Una cucina "dove - scrive Leda Cesari direttore della collana "Dove c'è Gusto" - Donato cucina, studia, fa ricerca, ascolta i suoi clienti, prova, inventa, riprova, attinge ispirazione dal suo viaggio personale e professionale e disegna una cucina nuova eppure antica, innovativa eppure saldamente ancorata alle sue radici e alla tradizione del Salento". “Per me la cucina italiana, come la nostra lingua, è fatta di tanti dialetti. E accanto a questa ricchezza, che rende il nostro modo di cucinare e mangiare unico al mondo, c’è un complesso e non meno difficile processo di interpretazione della tradizione”, spiega lo chef nell’introduzione al libro, che raccoglie una selezione di ricette tra primi, secondi, antipasti e dessert e, in questa sorta di percorso gastronomico, riverbera le tante declinazioni possibili della cucina italiana secondo Donato Episcopo. Partito dalla sua Cursi giovanissimo, si è formato accanto a grandi nomi dell’alta cucina italiana e internazionale: un nome su tut-
ti, il tristellato chef tedesco Heinz Beck. Con sei anni di esperienza al ristorante “La Pergola” dell’Hotel Cavalieri Hilton di Roma e contributi ai libri di Beck (pubblicati nel 2001 e nel 2003) che gli valgono i riconoscimenti Gourmand World Cookbook Awards 2002 e 2003. "Meritoria - scrive il Sindaco Antonio Melcore nel testo di presentazione - l’opera di Donato, che nel suo viaggio professionale nelle diverse regioni italiane, e con un bagaglio formativo di eccellenza nazionale e internazionale, non perde occasione per raccontare la storia del nostro territorio e dei suoi prodotti, dei gesti che si compiono per trasformare la materia in piatto, ma anche per scoprire le ritualità e le motivazioni simboliche che accompagnano la tradizione gastronomica". Il libro, impreziosito dalle foto di Paolo Picciotto, Chiara Gatta e Carlo De Marchi, è il terzo volume della collana Dove c'è Gusto nata con l'intento di raccontare l'eccellenza gastronomica ma illustrando al contempo bellezza e cultura del nostro territorio. Nella monografia è inserita, infatti, una nota storica sulla cittadina di Cursi curata dallo storiografo Mario Cazzato impreziosita dagli scatti gentilmente concessi da "Ideal Foto" di Barbara De Donno. Perfettamente in linea con la cifra editoriale che contraddistingue le pubblicazioni della casa editrice il forte legame con il territorio che consente di dialogare e incontrare il progetto "Serre delle Arti - Territori di Pietra": la presentazione del libro è incastonata nel programma di "Visite ai Giardini - rassegna itinerante di parole musica e canti in cammino nel Parco delle Cave". Subito dopo la passeggiata nel centro storico di Cursi, prevista per le 17:30 e curata dal Fondo Verri, ci si fermerà a Palazzo De Donno per l'incontro con lo Chef Donato Episcopo. Interverranno il Sindaco Antonio Melcore, la giornalista Leda Cesari e Mauro Marino direttore artistico delle Visite ai Giardini di Pietra. Coordina la giornalista Antonietta Fulvio.
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uno scatto della manifestazione “Girotondi in..Arancio”, a Lecce, 2015 foto d’archivio)
scuola: un percorso di crescita per decostruire luoghi comuni di Mario Perrone
Finite le vacanze, ogni adolescente viene riportato nella sua realtà di studente, anche i genitori ormai hanno acquistato il corredo scolastico nuovo, e si preparano organizzando il proprio tempo di vita in funzione degli orari scolastici dei figli, affidando all’istituzione scuola gran parte della loro educazione culturale e sociale. Scrivere un articolo sulla scuola e sulla sua capacità di socializzazione, intesa in questo contesto, come capacità di educare a costruire relazioni sociali nel rispetto dell’alterità è un’impresa ardua, considerato che oggi più che mai, la scuola, insieme alla famiglia, sono le principali agenzie di formazione e di socializzazio-
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Scuola e famiglia le principali agenzie di formazione e di socializzazione degli adolescenti
ne dell’adolescente, la scuola in particolare è il pilastro fondamentale in cui si promuove attraverso la studio il suo benessere psico-fisico sociale, e relazionale. Tutto ciò perché, come sappiamo, il percorso di crescita e di formazione degli adolescenti, nell’arco del loro percorso di istruzione scolastica, è caratterizzato da importanti cambiamenti fisici, psicologici e relazionali che richiedono un adeguato e specifico sostegno per la costruzione e ricostruzione del proprio se e della propria immagine. L’attuale scenario economico, i mutamenti sociali e organizzativi nell’ambito sociale e familiare, inducono i ragazzi a confrontarsi con le problematiche economiche-familiari, relazionali, della società contemporanea, che rendono il percorso di crescita più difficile e impegnativo. Inoltre, le numerose e complesse esperienze che i ragazzi si trovano ad affrontare all’interno della scuola, come la costruzione di
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un metodo di studio, le relazioni sociali dalle quali emerge l’idea di se stessi, la ricerca di indipendenza, di autonomia, del senso della vita, i conflitti nel gruppo, possono indurre molti studenti a non sentirsi adeguatamente inseriti in un contesto scolastico ideale, per di più, le difficoltà di comunicazione, tra docenti e studenti, possono determinare una non condivisione delle proprie esperienze, allontanandoli da un confronto costruttivo con i docenti e con le istituzioni. La scuola negli anni ha cercato di colmare questo gap, trasformandosi da luogo dove in passato si produceva la semplice trasmissione nozionistica, ad un luogo di costruzione dell’ identità sociale, che l’adolescente attiva attraverso i molteplici incontri con i gruppi dei pari di estrazione sociale diversa, le relazioni con generazioni differenti e con i docenti di diverse discipline molti dei quali nuovi. In questo senso l’educazione è il processo tramite il quale si forma, si mantiene e si sviluppa la personalità. Essa si raffigura all’interno dell’ istituzioni scuola la quale è preposta a produrre benessere sociale, inteso come
lastiche. Tutto ciò dovrebbe farci riflettere anche su determinati modi di agire di docenti, i quali, sono essi stessi “agenti inconsapevoli della riproduzione e del consolidamento della diseguaglianza nel momento in cui giudicano come mancanza di “talento” ciò che è invece il frutto dell’estraneità del linguaggio e dei valori ereditati nell’ambiente di provenienza rispetto al linguaggio e ai valori propri dell’istituzione scolastica”. Di fatto, è proprio attraverso un atteggiamento di “labeling” (etichettatura) che si riflette sugli studenti “la doppiezza di una istituzione scolastica che afferma di essere fondata su principi di eguaglianza e di pari opportunità mentre in realtà riproduce attivamente la diseguaglianza sociale” (M. Magni 2016) . In questa ottica, la scuola dovrebbe costituire un percorso formativo trasversale che aggrega e compone in sintesi le agenzie educative più significative, scuola-famiglia, attraverso le quali costruire relazioni sociali educando alla cooperazione e all’eguaglianza nel rispetto dell’alterità. Spesso la diseguaglianza viene percepita come diversità, divenendo motivo di discriminazione ed esclusione sociale che si sviluppa, come sostiene Romiti, all’interno della scuola. Secondo alcuni studiosi, la paura di confrontarsi con l’Altro genera stereotipi e pregiudi-
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zi, per questo, al fine di stimolare relazioni di effettiva reciprocità, è necessario decostruire luoghi comuni e immagini deformanti. Inoltre, educare le nuove generazioni al valore positivo della eguaglianza, della diversità e al rispetto dell’altro, significa secondo Ritalma Rizzo “sviluppare una dialettica sul rapporto tra identità e diversità”. (R.Rizzo 2011) Partendo da qui e considerata la multiculturalità nella quale ormai siamo inseriti, risulta importante informare ed educare le giovani generazioni, con le proprie famiglie, su ciò che è il prodotto dell’ineguaglianza sociale stabilito dalle condizioni sociali della propria esistenza, sensibilizzandole all’eguaglianza e al riconoscimento della diversità come una risorsa da accettare e valorizzare per una efficiente convivenza democratica. A.Mutti (1998). Capitale sociale e sviluppo. Bologna, Il Mulino pag. 13 A.Magni (2016) , Come la scuola rafforza le diseguaglianze sociali. Art. MicroMega R.Rizzo (2011), Il tempo del bambino. Il pre-testo di una società dell’accoglienza, dell’ascolto e del diritto all’infunzionalità. Bari. Ed. Laterza
Storie. L’uomo e il territorio
costruzione di un capitale culturale e sociale. Tale capitale, secondo la sociologia, si sviluppa all’interno della scuola a sviluppare dalle capacità degli studenti di studiare insieme per scopi comuni, costruendo in questo modo, attraverso lo studio, relazioni sociali di mutuo aiuto durevoli, capaci nel tempo di produrre benessere sociale. Per capitale sociale la disciplina sociologica intende “una struttura di relazioni tra persone relativamente durevoli nel tempo atta a favorire la cooperazione e perciò produrre, come altre forme di capitale valori materiali simbolici”(A. Mutti 1998). Questa struttura di relazioni è formata di reti fiduciarie formali e informali che stimolano la reciprocità e la cooperazione. Queste relazioni possono essere concepite come forme di capitale perché similmente ad altri tipi di capitali producono valori, e si presentano al tempo stesso come vincoli e come risorse per l’attore sociale. Tuttavia in alcuni casi la retorica scolastica persiste, paradossalmente, anche nel momento in cui si presentano fatti macroscopici che la smentiscono. Allo stato attuale, secondo un articolo scritto da Marco Magni su “MicroMega” scritto sull’analisi del libro di Marco Romito,: Una scuola di classe (orientamento e diseguaglianza nelle transizioni scolastiche), la suola tuttora rafforza le diseguaglianze sociali. Approfondendo la lettura del suo testo Marco Romito sostiene che: “la diseguaglianza, all’interno della scuola, è sì il riflesso di differenze economiche e, soprattutto, socioculturali, proprie dell’ambiente sociale di provenienza, ma è anche riprodotta e rinforzata dalle pratiche proprie della didattica e della valutazione sco-
“1993 Rosaria Schifani foto di Letizia Battaglia”, sotto una foto del giornalista Giancarlo Siani
imbavagliati. il giornalismo civile si incontra al pan di napoli
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Dal18 al 24 settembre il festival con incontri, reading, libri e la mostra della fotografa Letizia Battaglia
NAPOLI. “Fuga per la Vita, Fuga per la Libertà” è il tema della seconda edizione di “Imbavagliati” il Festival Internazionale del Giornalismo Civile, ideato e diretto dalla giornalista Désirée Klain, che si apre a Napoli dal 18 al 24 settembre 2016. L’intento del festival è dare la possibilità ai giornalisti che operano in nazioni dove la censura dittatoriale impedisce la libera espressione o dove il contesto sociale li pone in costante pericolo di vita, di poter raccontare la loro verità e confrontarsi con i colleghi napoletani. Location del festival saranno le sale del Pan, Palazzo delle Arti di Via dei Mille a Napoli dove è custodita l’auto di Giancarlo Siani, il giornalista ucciso dalla camorra il il 23
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settembre del 1985. “Chi dimentica è colpevole (che è anche lo slogan della manifestazione) – ha spiegato Paolo Siani, Presidente della Fondazione Polis della Regione Campania e fratello del giornalista ucciso – e per questo motivo da 31 anni puntualmente ogni 23 settembre ricordiamo Giancarlo nel suo giornale, Il Mattino, e poi alle rampe che oggi portano il suo nome. Noi non vogliamo dimenticare e vi chiediamo di non dimenticare tutte le vittime innocenti della criminalità. Quest’anno ci è sembrato giusto far parte del festival “Imbavagliati” e mettere al centro dell’attenzione il caso Regeni, quello di un ragazzo che era poco più grande di Giancarlo, per provare a fare luce e a chiedere verità e giustizia. Perché, anche se passa il tempo, noi non vogliamo dimenticare. E non dimentichiamo.” Fittissimo il programma di incontri che vedrà la partecipazione dei giornalisti/testimoni Kadri Gürsel e Doğan Özgüden (Turchia), Andrei Babinski e Oksana Chelysheva (Russia) vincitrice della scorsa edizione del Premio Pimentel Fonseca, Rami Jarrah, Fuad Roueiha e Siruan Hadsch Hossein (Siria), Ali Anouzla (Africa). Conte-
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stualmente agli incontri nelle sale del Pan sarà allestita la mostra della fotografa siciliana Letizia Battaglia che con i suoi celebri scatti in bianco e nero ha raccontato la guerra di mafia e pezzi importanti di storia e della società italiana. Al vernissage alla presenza della fotografa interverranno Nino Daniele, Assessore alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli, e Mirella Armiero, Responsabile cultura per la redazione del Corriere del Mezzogiorno di Napoli. Il Festival, che si concluderà con il Premio Siani, è organizzato in collaborazione con l’Assessorato al Turismo e alla Cultura del Comune di Napoli, Fondazione Polis e con l’alto patrocinio di Amnesty International Italia, del Comitato Regionale Campania per l’Unicef Onlus e dell’Ordine dei Giornalisti della Campania. Approfondimenti sul sito: imbavagliati.it
il teatro del burkina faso sguardi, pratiche e forme
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Al via al Paisiello di Lecce la rassegna di Astragali Teatro
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LECCE. Partirà lunedì 19 settembre, con Il teatro nel Burkina Faso, “Le parole del teatro”, la rassegna organizzata da Astragali Teatro per promuovere la conoscenza delle pratiche teatrali e per favorire la formazione del pubblico. Il nuovo avvincente appuntamento vedrà arrivare a Lecce due protagonisti straordinari: Hamadou Mandé, presidente del Centro Nazionale del Burkina Faso dell’International Theatre Institute e regista teatrale di fama internazionale e Hamado Jean-Baptiste Tiemtoré, regista teatrale e attore pluripremiato in Europa per le sue regie teatrali e vincitore del premio nazionale di critica del Belgio con il suo spettacolo ‘Ali’, dedicato a Mohammed Alì. Attore e regista originario del Burkina Faso, Hamado Jean-Baptiste Tiemtoré vive a Lecce dal 2012. Insieme a Marta Ampolo cura il progetto Afrikinos a Lecce, una serie d’incontriseminari sul cinema post-coloniale dell’Africa occidentale francofona e al contempo lavora tra l’Europa e l’Africa, principalmente in Belgio, Francia e Burkina Faso. Nato il 2 febbraio 1983, si è formato al C.F.R.A.V (Centre de Formation et de Recherche en Arts Vivants) di Ouagadougou. Si è laureato in studi teatrali presso l’Università di Ouagadougou, specializzandosi poi in analisi delle arti performative presso le Università di Paris8 in Francia e presso l’ULB - Université Libre de Bruxelles in Belgio. La sua carriera inizia nella compagnia teatrale Feeren diretta da Amadou Bourou, artista pioniere del teatro per ragazzi in Africa occidentale. Con lui ha lavorato come aiuto regista negli spettacoli di apertura del Salon Internazionale de l’Artisanat di Ouagadougou (SIAO) nel 2008 e dell’edizione 2007 del FESPACO (Festival Panafricano del Cinema), e in diversi spettacoli teatrali e nello stesso periodo ha diretto laboratori per diverse scuole della citta
di Ouagadougou. Ha lavorato come animatore in Burkina Faso ed in Belgio, per i comuni di Ixelles e St.Gilles. Da 2006 ha curato la regia di vari spettacoli tra i quali A la Vie A la Mort di Etienne Minoungou e Alexis Guinganè (2008 Burkina Faso), sul tema della pena di morte. Il successo internazionale arriva con la regia dello spettacolo M’appelle Mohamed Ali del 2013, che ha superato le 150 repliche in oltre 20 paesi ed è stato premiato come miglior monologo 2015 in Belgio, premio Tournesol/Avignon 2014, premio migliore spettacolo 2015/12PCA (Burkina Faso). L’incontro, a partire dalle 18:00, presso il Teatro Paisiello di Lecce sarà incentrato su Il teatro nel Burkina Faso, un affascinante viaggio nel teatro burkinabé così poco conosciuto in Italia, un’incursione nel teatro sociale e in quello per i giovani, in quello che si svolge nei villaggi e in quello dei grandi centri urbani. L’intento sarà elaborare una mappa della pratica teatrale in Burkina Faso evidenziandone pratiche, forme e tendenze e rispondendo a quesiti come “Qual è il rapporto tra il teatro e il territorio, quale impatto e quale coinvolgimento ha il teatro nello sviluppo della nazione? Quali sono le difficoltà incontrate e i rapporti col pubblico? Qual è l'identità di questo teatro dopo la colonizzazione occidentale? Uno sguardo sul teatro del Burkina Faso al confine fra passato e presente, fra tradizione e modernità, fra radici e ali.
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Nelle foto particolari dell’affresco restaurato
a specchia risplendono i colori di un affresco seicentesco di Maurizio Antonazzo
SPECCHIA (Lecce). Per anni si frequenta per devozione un luogo sacro, rimanendo affascinati dagli antichi altari barocchi, dalle colorate enormi tele e dalle statue lignee conservate, scoprendo un giorno, che a causa del risanamento nella parte posteriore dell’altare maggiore della chiesa di S. Antonio da Padova a Specchia, sono state scoperte delle mura con una consistente umidità di risalita, poi a seguito dello spostamento del coro in legno addossato alla parete, sono venute alla luce degli antichi affreschi. Realizzati circa quattrocento anni fa, nel 1626 come si può leggere sul lato basso a sinistra di una porta di accesso a un locale e dell’autore dei dipinti si possono leggere solo le iniziali (V.C.?), nella parte inferiore destra di una delle decorazioni centrali,probabilmente un pittore salentino di cultura e tradizione tardo manierista, di qualità espressive non particolarmente elevate, ma di solida preparazione tecnica, con esperienza più di decoratore che di pittore. La chiesa ex domenicana di Santa Maria del Rosario di Specchia, oggi sotto il titolo di S.
Antonio da Padova, sede dell’omonima Confraternita, detta anche della SS. Trinità, rappresenta la testimonianza più meridionale della presenza dei Frati Predicatori nell’antica Terra d’Otranto. Un luogo sacro attiguo all’antico complesso conventuale fondato dall’Ordine di S. Domenico di Guzman nel 1608 ad opera di frà Giacinto Riglietta da Lecce su commissione di Scipione Balsamo,Barone di Cardigliano e, probabilmente, sepolto nella stessa chiesa, e di tutte le famiglie notabili di Specchia. Anche il luogo sacro specchiese, di riflesso, accusò gli ostacoli incontrati dall’Ordine dei Domenicani durante la presenza a Specchia, riscontrabili nelle pitture e negli interventi edilizi, realizzati nel corso dei secoli. Nel corso del 1600 a causa della costruzione del Convento e del luogo sacro, mentre il 700, un secolo ricco di contraddizioni, inizialmente, grazie alla pietra leccese, imperò il barocco con le grandi chiese e i maestosi conventi, tutti ricamati in cornici e stucchi, poi l’epocali rivoluzioni dell’economia, del pensiero e degli ordinamenti politici. Il 7 agosto 1809 Gioacchino
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Il restauratore Dario Taras restituisce un’altra perla del patrimonio artistico del borgo salentino
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Murat emanò il Decreto sulla Confisca dei beni ecclesiastici,i Domenicani furono costretti ad abbandonare Specchia. Dopo la caduta di Napoleone, ed in coincidenza del suo esilio nell’isola d’Elba, Ferdinado I° di Borbone, tornato sul trono di Napoli, restituì il Convento ai Domenicani, che non tornarono più a Specchia, lasciando al degrado il luogo sacro, portando il Vescovo di Ugento, con decreto 9 maggio 1904, ha sospendere il culto nella Chiesa e ha trasferire la sede della Confraternita nella Chiesa Madre. Tra gli anni Venti e la fine degli anni Trenta furono eseguiti dei lavori di restauro; nel 1939 fu sostituito l’altare maggiore in pietra leccese con un altro in marmo e fu rifatto il pavimento, sino ad arrivare alle decorazioni murarie scomparse dopo il Concilio Vaticano II. Gli affreschi sco-
perti recentemente si trovano ai due lati di una porta che permette l’accesso a dei locali utilizzati attualmente come deposito della Confraternita. Il complesso pittorico si sviluppa ai due lati della porta con due scene simmetriche: due Santi domenicani, in ginocchio davanti ad altrettanti altari, ammirano, quello a sinistra, la Madonna col Bambino entro una mandorla di nuvole (apparizione della Vergine a S. Domenico?), quello a destra, il Crocifisso (S. Tommaso?). Le due scene si svolgono in ambienti interni, probabilmente di chiese, con colonne, candelabri, decorazioni di muri a finti conci porte, una chiesa ed altri oggetti non ben riconoscibili elementi tipici degli arredi murari degli Ordini Mendicanti. L’identificazione certa dei due santi non risulta possibile per il cattivo stato di conserva-
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Particolari dell’affresco restaurato
re storico, sono stati decisi e concordati con la Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici delle Province di Lecce, Brindisi e Taranto nella persona del Funzionario, Dott.ssa Caterina Ragusa, storica dell'arte. Molto scrupoloso l’intervento di restauro, commissionato dalla stessa Confraternita, realizzato in varie fasi da Dario Taras, inizialmente ha effettuato la pulitura preliminare di tutta la superficie pittorica, con l’ausilio di pennelli a setole morbide e aspiratori, fatta eccezione per le zone che avevano perso la coesione che hanno subito una la protezione con la velinatura, con carta giapponese e colla animale, garantendo il recupero e la conservazione di tutti gli elementi in grave stato e in via di distacco. Il restauratore ha effettuato un preconsolidamento dell’intero affresco con idonee resine al fine di stabilizzare tutta la superficie e parte del supporto murario sottostante. Poi ha realizzato il “descialbo”, cioè la rimozione accurata di tutti gli strati di colore o pittura, dipinti sull’affresco, effettuato con l’ausilio di bisturi per restauro,
zione della superficie pittorica, per la presenza di calcina che oblitera zone essenziali delle figure, per la presenza di buche pontaie che interrompono la lettura dei dipinti e per l’assenza di attributi iconografici visibili. Altre figure di ecclesiastici (vescovo e monaco) lascerebbero ipotizzare che la decorazione muraria, in origine, abbia interessato anche le altre pareti laterali (Nord e Sud) del presbiterio. L’affresco è ritornato a vivere grazie all’accurato lavoro di due mesi di Dario Taras, esperto restauratore salentino, in possesso di una vasta esperienza nel settore, grazie all’attività svolta nei luoghi sacri in Italia e all’estero, senza trascurare l’ausilio del Dott. Giovanni Giangreco, consulente scientifico esterno, accreditato storico del Salento. Tutti gli interventi di restauro conservativo, nel pieno rispetto dei criteri di minimo intervento a tutela del valo-
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per dare più luce allo strato originario della pellicola pittorica. Taras ha consolidato e riempito le sacche presenti sul supporto murario, grazie a iniezioni di malta liquida, per favorire l'omogenea presa del composto, cercando di evitare lesioni dovute a forze di spinta. Successivamente il restauratore ha chiuso e livellato tutte le porzioni di muratura intorno alle zone decorate e le buche pontaie, esistenti per precedenti ponteggi, con intonachino a base di calce e inerti locali e infine ha stuccato tutte le lacune presenti sulla superficie pittorica. Al termine del restauro, l’affresco è stato riportato ai colori e alla magnificenza del 1626, aggiungendo un’altra perla nel patrimonio storico – artistico di uno dei “Borghi più Belli d’Italia”, un lavoro apprezzato dagli specchiesi e ammirato dai numerosi turisti che nell’ultima estate hanno visitato la cittadina del Capo di Leuca.
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i giovani europei e la pace la carta di leuca, un mare di ponti di Maurizio Antonazzo
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Il Mediterraneo deve ritornare ad essere il mare che unisce popoli, culture e religioni diverse. Solo la convivialità potrà salvarci
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LEUCA. Un territorio che si affaccia sul Mediterraneo, quel mare nostrum percorso a nuoto a Leuca da punta a punta in gioventù da Don Tonino Bello, da vescovo ha navigato per portare pace nell’ex Jugoslavia. Nei giorni in cui il Capo di Leuca è stato meta di centinaia di migliaia di turisti e tutti si divertivano si riposavano, nello stesso momento in molti angoli del mondo la parola “pace” è sconosciuta, 135 giovani, dall’11 al 14 agosto, provenienti dai Paesi europei e del Mediterraneo hanno raggiunto questo angolo di Puglia sui passi della Via Francigena del Sud e hanno pregato, si sono confrontati, hanno ascoltato testimonianze e discusso su “#cartadileuca.0. Un appello, come affermato
da Mons. Vito Angiuli, Vescovo di Ugento S.Maria di Leuca e ideatore dell’iniziativa, da consegnare da parte dei giovani ai governanti dei propri Paesi per far del Mediterraneo un'Arca di Pace, di solidarietà, di sviluppo sostenibile e di pari opportunità. Per quattro giorni, organizzata dalla Fondazione Parco Culturale Ecclesiale "Terre del Capo di Leuca - De Finibus Terrae", sodalizio costituito dalla Diocesi di Ugento S. Maria di Leuca, dalla Comunità di Sant'Egidio,in collaborazione con FOCSIV,Pax Christi, Fondazione “Don Tonino Bello” e la Fondazione "La Notte della Taranta" si è svolta : “#cartadileuca.0: Mediterraneo, un mare di ponti” 2016, con il sostegno dell’Università Cattolica di Brescia - Alta Scuola per l’Ambiente che ha promosso l’appello di pace, in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù di Cracovia, come buona prassi per l’attuazione dell’enciclica “Laudato si”. Nel saluto all’iniziativa, Padre Alex Zanotelli ha scritto: “Diciamo a tutti che il Mediterraneo deve ritornare ad essere il mare che unisce popoli, culture e religioni diverse. Solo la “convivialità” delle differenze, come amava ripetere Don Tonino Bello, potrà salvarci. Altrimenti saremmo destinati a sbranarci vicendevolmente. Non è questo quello che il Signore vuole. Diamoci tutti da fare, soprattutto voi giovani, perché vinca la Vita.” I 135 giovani hanno partecipato ai Tavoli della Convivialità, dove partendo dal testo della Carta, con l’ausilio di competenti facilitatori hanno cercato le possibili attuazioni nella loro vita e cultura, attraverso le proprie esperienze, con impegni e proposte
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concrete in varie tematiche: “La preghiera e lo spirito di Assisi” – “Le migrazioni e i corridoi umanitari” - “Le politiche di integrazione”- “Le alleanze tra le generazioni” – “Le periferie esistenziali e geografiche” - “Educare alla pace” “La cooperazione e il lavoro”- “La comunicazione e la cultura” e “La cultura musicale”. Anche Papa Francesco ha benedetto l’iniziativa, nel messaggio inviato dal Segretario di Stato, Cardinale Pietro Parolin,il Pontefice “rivolge ai partecipanti il suo cordiale saluto ed auspica che la significativa manifestazione, che coinvolge giovani provenienti da varie nazioni, susciti un rinnovato impegno nel favorire una cultura dell’accoglienza e della solidarietà, promuovendo così la pace e la fraternità tra i popoli. Egli incoraggia a considerare, la presenza di tanti fratelli e sorelle migranti un'opportunità di crescita umana, di incontro e di dialogo tra culture e religioni, come anche l'occasione per testimoniare, il Vangelo della carità. Con tali sentimenti, Sua Santità invoca la
materna protezione della Vergine Maria e volentieri invia la benedizione.” I giovani provenivano dall’Italia,dalla Francia, dalla Germania, da Israele, dal Libano, dalla Russia, dalla Tunisia, dalla Turchia, dalla Siria, dalla Spagna, dall’Algeria, dalla Grecia, dall’Albania, dall’Egitto, dall’Inghilterra e dal Marocco. Nel corso dei quattro giorni hanno incontrato e ascoltato rappresentati istituzionali e religiosi, hanno visitato Tricase, partecipando alla Festa patronale di San Vito, Tiggiano e il suo Parco di Palazzo Baronale, Leuca Piccola a Barbarano, due Borghi più Belli d’Italia come Presicce e Specchia,partecipando alla sua “Notte Bianca”, e la suggestiva S. Cesarea Terme. Hanno raggiunto Alessano la sera del 13 agosto, la città natale del Servo di Dio, Don Tonino Bello,dove hanno partecipato a uno degli appuntamenti itineranti de “La Notte della Taranta”, per poi partecipare nella notte al Pellegrinaggio “In cammino... verso un'alba di Pace”, appuntamento che ha richiamato migliaia di fedeli,
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Alcuni momenti della manifestazione, foto Maurizio Antonazzo
e partendo dalla tomba del Vescovo di Molfetta, hanno raggiunto all’alba del 14 agosto la Basilica di S. Maria di Leuca, per la proclamazione e la firma della “Carta di Leuca”. Mons. Vito Angiuli, Vescovo di Ugento - S.Maria di Leuca nell’omelia della Celebrazione Eucaristica a Leuca dopo la sottoscrizione ha affermato: “Nel nostro tempo, le acque sapide del “mare nostrum”, per secoli considerato naturale luogo di traffici, di passaggi e di ritorni alla ricerca di un punto di arrivo e di approdo che potesse donare il sospirato riposo e giorni di pace, sono diventate le velenose acque del “mare mortuum”, dove persone inermi trovano la loro ultima dimora. Firmando la Carta di Leuca, voi cari giovani, avete voluto contestare questo tragico esito e avete riaffermato la verità di un sogno: il Mediterraneo e la Puglia, la terra tra due mari, devono rimanere luoghi di incontro tra le culture e i popoli. Sognate la via maris come via pacis, perché, come recita il salmista, essa è percorsa non solo dagli uomini, ma anche da Dio: «Sul mare passava la tua via. I tuoi sentieri sulle grandi acque e le tue orme rimasero invisibili» (Sal 76,20). Non è stata casuale la scelta del Capo di Leuca, un territorio per natura è un ponte tra Oriente e Occidente, incrocio naturale tra culture e religioni diverse, dove l'Europa tocca con un dito i popoli che si affacciano sul Mediterraneo, dove la forte luce di un faro invita ad incontrarsi per dialogare a costruire la pace e custodire il creato, in continuità con l’ ideale di Don Tonino Bello, che in questa terra riposa ed è stato profeta. Il Servo di Dio di Alessano riconosceva nel Sud una propensione verso il dialogo e verso la pace, un luo-
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go naturale di incontri, di confronti. Circa 25 anni fa, aveva avvertito in anticipo i cambiamenti di una cultura che rifiuta la guerra, gli strumenti di lotta e che vuole trovare motivi di incontro e di dialogo. Realizzando “#cartadileuca.0:Mediterraneo, un mare di ponti” 2016, si è voluto rilanciare tutto questo in continuità con il magistero di don Tonino Bello e nel darsi appuntamento a fra un anno nello stesso luogo, lo scambio dei saluti ha avuto l’auspicio, che nel frattempo,non si ascolteranno i rumori della guerra provenire da ogni angolo del mondo.
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Sotto l’ex Convento degli Agostiniani a Melpignano, foto di Sara Foti Sciavaliere
melpignano, la “piccola” napoli nel cuore della grecìa salentina di Sara Foti Sciavaliere
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Alla scoperta di uno scrigno di arte e storia tra gli ulivi di Puglia
MELPIGNANO (LECCE). Nel cuore del Salento, nella cosiddetta Grecìa Salentina, c’è una piccolo centro di poco più di duemila abitanti, posto in un agro di ulivi e pascoli, attraversato da muretti a secco e punteggiato di costruzioni rurali e testimonianze megalitiche: Melpignano. Un toponimo ormai legato da anni legato al più grande evento nazionale ed europeo di musica popolare, la Notte della Taranta. Melpignano però non è solo quella notte di fine agosto che fa accorrere, nel piazzale dell’ex Convento degli Agostiniani, duecentomila persona per ballare ai ritmi frenetici ed esaltanti della musica tradizionale salentina. Questo paese infatti è uno scrigno di
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arte e storia, a partire dalla sua piazza intitolata a San Giorgio, santo patrono di Melpignano. Percorrendo le strette vie del centro storico si raggiunge la piazza, uno spazio perimetrato da una serie di portici rinascimentali a tutto sesto, interrotti dalla presenza della Chiesa Madre, la Cappella della Madonna Assunta e la novecentesca Torre dell’Orologio. I portici costituiscono un raro esempio in Puglia di architettura realizzata a fini commerciali, di simili è possibile trovarne a Francavilla Fontana (Brindisi) e a Martina Franca (Taranto) alla fine del Cinquecento e più volte rimaneggiati nei due secoli successivi. I lavori di realizzazione iniziarono alla fine del XVI secolo per ospitare
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il grande mercato settimanale che si teneva il sabato e vi trovavano posto mercanti provenienti da Lecce, Bari e Napoli, insieme a numerose botteghe. Una tale vitalitĂ commerciale valse al paese il titolo di "Napuli piccina", la piccola Napoli. I portici sono stati costruito in pietra locale, per subire dei nuovi interventi alla fine del XVII secolo per volere del vescovo Maiorano, come
ricorda l’epigrafe sormontata dall’arme civica. Nell’Ottocento con lo spostamento del mercato a Maglie, i portici persero la loro originaria funzione e importanza, ma ancora oggi quegli archi a tutto sesto sono un tratto caratteristico di piazza San Giorgio. La piazza ospita anche la Chiesa Madre dedicata a San Giorgio che, seppur ricostruita tra il 1793 e
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Melpignano, foto di Sara Foti Sciavaliere
il 1794 su progetto di Manieri, ad oggi mantiene l’originale portale quattrocentesco sormontato dall’altorilievo di S. Giorgio nell’atto di uccidere il drago. Il varco rinascimentale è l’unica testimonianza superstite della precedente struttura, assieme agli affreschi interni e al coro. Attiguo alla Chiesa Matrice si erge il campanile del 1901, diviso in tre ordini e nel terzo è inquadrano l’orologio. Subito accanto sorge la Cappella dell’Assunta arricchita da un interessante portale datato 1678; all'interno, nell’aula unica, si possono ammirare un pavimento a mosaico di fine Ottocento opera dei fratelli Peluso, un grande altare del XVII secolo attribuibile a Placido Buffelli e diverse tele della seconda metà del XVIII secolo raffiguranti i misteri mariani riferibili a Serafino Elmo. La tradizione agricola di Melpignano è confermata dalla molteplice presenza di frantoi ipogei, dediti alla secolare lavorazione delle olive e la produzione d’olio. Tra questi, solo uno è aperto al pubblico e lo si trova in prossimità di piazza San Giorgio ed era appartenente al Palazzo marche sale. Interamente scavato nel banco roccioso, come è consuetudine per questi locali ipogei, fu realizzato nel XVII secolo e conserva ancora le grandi vasche per la molitura delle olive, le macine in pietra e i torchi per la spremitura. Accanto ai numerosi palazzi gentilizi, la ricchezza architettonica del paese è data anche dalle case a corte, simbolo della tradizione agricola salentina. Rilevanti sono le corti cinquecentesche di via Foggiari e di via Dafni, del XVI secolo, e quelle di via Pellegrino. Melpignano è un piccolo centro, tra i molti del Salento, che nascondano tesori di arte e storia da scoprire ed apprezzare.
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formazione e informazione torna il neuroscienze cafè di Valeria Mingolla
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All’Open Space di Lecce una serie di incontri con gli esperti
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LECCE. Si chiama “Neuroscienze Cafè” ed è la rassegna culturalescientifica organizzata dall’Istituto di Arti Terapie e Scienze Creative, in collaborazione con il Comune di Lecce. Nata con l’obiettivo di offrire uno spazio formativo e di approfondimento su temi di interesse clinico, scientifico e sociale, la manifestazione si pone in una prospettiva che unifica mente e corpo nel tentativo di superare la secolare cesura tra res cogitans e res extensa mettendo allo stesso tavolo a dialogare esperti provenienti da ambiti molto diversi: neurologi, scienziati, psichiatri, psicoterapeuti, artiterapeuti. Il titolo della rassegna vuol quindi omaggiare questa propensione alla “ricerca”, quale peculiare caratteristica dell’essere umano, offrendo una carrellata di temi diversificati utilizzando un linguaggio semplice ma efficace. Il progetto riveste una ricaduta importante sul piano sociale e comunitario in quanto, da una parte, mira a potenziare la formazione degli operatori che lavorano in contesti socio-sanitari, migliorando quindi le competenze professionali di chi si occupa di salute, benessere, educazione, comunicazione e dall’altra, si offre come spazio di riflessione e crescita culturale in un’ottica di welfare leggero. La rassegna, accreditata E.C.M. (Educazione Continua in Medicina), si articola in otto appuntamenti che si terranno a Lecce, presso la Sala Polifunzionale “Open Space”, in Piazza Sant’Oronzo, nel periodo Settembre-Dicembre 2016. Durante la rassegna interverranno il dott. Roberto Calamo Specchia, Chirurgo oncologo, Palliativista; la dott.ssa Maria Grazia De Donatis, Psicope-
dagogista, Sophianalista individuale, Gruppoanalisi; la dott.ssa Cinzia Di Tonno, Pediatra; il dott. Gianpaolo Pierri, Psichiatra, Psicologo, Psicoterapeuta; il dott. Antonio Montinaro, Neurochirurgo; il dott. Niccolò Cattich, Musicoterapeuta, Neurologo, Psichiatra, Psicoterapeuta; il dott. Stefano Centonze, Formatore, Musicoterapeuta, Presidente di Artedo. Attraverso la rassegna l’uditorio potrà acquisire competenze e conoscenze finalizzate a promuovere il miglioramento della qualità della vita del paziente. Saranno, infatti, approfonditi, durante gli incontri, tutti quegli aspetti relazionali che, rivolgendosi a professionisti ed equipe, mirano a rendere l’interazione sempre più efficace ed efficiente: la comunicazione verbale tra medico e paziente; l’umanizzazione delle cure; la comprensione empatica; l’educazione ai sentimenti; la formazione del personale sanitario; tutela degli aspetti assistenziali. Il primo appuntamento si terrà Sabato 17 Settembre dalle 10 alle 13. Il dott. Roberto Calamo Specchia, Chirurgo Oncologo, Palliativista, approfondirà il tema: “Le cure palliative nel malato oncologico con particolare riferimento alla terapia del dolore”; il 25 settembre si parlerà di “Educazione ai sentimenti. Vivere, amare, capirsi” con la dott.ssa Maria Grazia De Donatis. Istituto di Arti Terapie e Scienze Creative Viale Oronzo Quarta, n°24 Lecce Sito web: lecce.artiterapie-italia.it
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