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L’ALFETTA E LE CORSE

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CALENDARIO EVENTI

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VINCENTE NEI RALLY E IN PISTA

L’ALFETTA È STATA UN’AUTO DECLINATA IN TUTTE LE SUE VERSIONI ANCHE NELLE CORSE. BREVE EXCURSUS DEI NUMEROSI MODELLI CHE HANNO CALCATO TANTISSIMI CAMPI DI GARA.

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di Roberto Valentini

Nonostante il grande impegno nel Mondiale Sport, l’Autodelta, all’inizio degli anni Settanta, trova il modo di sviluppare l’Alfetta berlina per i rally. Partendo dalla base della 1.8 e sfruttando i regolamenti del Gr.2 (Turismo elaborato), vengono allestiti alcuni esemplari tra “muletti” e auto da gara. Il pilota incaricato allo sviluppo è Luciano Trombotto, che la fa esordire nel 1974 nel Rally San Martino di Castrozza. Per questa iniziativa viene creata un’apposita squadra corse, con la direzione tecnica di Gianluigi Corbari e quella sportiva di Dante Salvay, sotto la supervisione dell’ingegner Carlo Chiti. All’esordio l’Alfetta è 8^ assoluta e vince il Gr.2 e al Tour de Corse, valido per il Mondiale, il francese Fréquelin si piazza 10° assoluto. Con l’arrivo dell’Alfetta GT l’esperienza maturata sulla berlina viene trasferita su quest’ultima, più corta e leggera. Si forma una squadra uffciale con il francese ean Claude Andruet e l’italiano Amilcare Ballestrieri, entrambi provenienti dalla squadra Lancia, ai quali si aggiungono Chicco Svizzero e Leo Pittoni. Il primo signifcativo successo è nel Rally dell’Isola d’Elba, con Ballestrieri, davanti al compagno di squadra Pittoni. Ballestrieri conquista nello steso anno il titolo europeo di Gr.2. Andruet, con la GT 16V è 3° assoluto nel Tour de Corse mondiale. Nonostante i risultati incoraggianti il programma uffciale viene interrotto l’anno successivo e le Alfetta GT 2000 Gr.2 proseguono l’attività, affdate al olly Club, che nel 1976 le fa correre saltuariamente nel Campionato Italiano, affdandole a Federico Ormezzano, Leo Pittoni e Alfredo Fagnola.

ALFA GT V8: UN MOSTRO INGOVERNABILE

Alla fne del 1975 viene preparata in Autodelta un’Alfetta GT con il motore 8 cilindri a V di 3 litri (350 CV) della Montreal da omologare in Gr.4. La carrozzeria del prototipo realizzato in Autodelta è in alluminio e, rispetto alla versione Gr.2, ha codolini ancora più larghi e dotati di una vistosissima presa d’aria per i freni posteriori e una bombatura sul cofano anteriore, necessaria ad ospitare il nuovo propulsore. La vettura esordisce in gara alla fne del ’75 con Ballestrieri nel Rally Ronde di Piacenza, che ammette al via anche i prototipi, ma è costretta al ritiro per problemi al cambio.

IL MAL D’AFRICA DI SANDRO MUNARI

Il Safari Rally è l’obiettivo mancato del grande Sandro Munari. Una gara che ha sempre preparato in modo meticoloso ma che, per un verso o per l’altro, non è mai riuscito a vincere. Nemmeno con la Lancia Stratos. Nella GTV6 Gr.A Munari ha individuato una vettura in grado di ben fgurare in una corsa impegnativa come il Safari. a quindi deciso di giocarsi la sua ultima chance nell’edizione 1983, ma deve ritirarsi nella seconda tappa per la rottura di una spazzola dello spinterogeno. Oggi questa automobile è stata conservata nelle condizioni originali e ha partecipato alla Vernasca Silver Flag.

QUATTRO TITOLI TURISMO IN PISTA

Dal 1982 al 1985 l’Alfa Romeo GTV6 ha vinto consecutivamente quattro titoli europei assoluti Turismo Costruttori, grazie ai successi ottenuti nella categoria fno a 2500 cm . Tra i piloti che hanno permesso questi successi ci sono Marco Micangeli, Lella Lombardi, Anna Cambiaghi, Gianfranco Brancatelli, Giorgio Francia, Rinaldo Drovandi e altri piloti privati che con quest’auto hanno avuto la possibilità di ottenere ottimi piazzamenti. Nel 1978 l’Alfa Romeo appoggia direttamente il olly Club ingaggiando il campione italiano in carica (con la Lancia Stratos) Mauro Pregliasco e sviluppando la versione 2000 con motore 16 valvole di 2 litri (già sperimentato 2 anni prima da Andruet) che, oltre a incrementare la potenza, migliora signifcativamente la coppia, caratteristica importante soprattutto sui percorsi sterrati, dove la motricità è essenziale. Pregliasco si aggiudica il Campionato Italiano Gr.2 precedendo la Opel di Ormezzano, dopo una stagione entusiasmante che lo ha visto imporsi nella classifca assoluta in due occasioni, nel Rally Colline di Romagna e nel 100.000 Trabucchi. Nella stagione 1979 Pregliasco disputa alcune gare dell’Europeo e dell’Italiano, senza puntare ad alcun campionato. Corre dove le fliali Alfa Romeo sono interessate alla specialità. Nonostante la discontinuità, si piazza 2° nel Campionato Italiano Gr.2 e 4° assoluto nell’Europeo. In Alfa Romeo cercano però un’auto che possa competere per la classifca assoluta e nasce così la “Turbodelta”, omologata in Gr.4, che esordisce nel 1980 con due nuovi piloti che si aggiungono a Pregliasco: Maurizio Verini (campione europeo nel 1978 con la Fiat) che prende parte all’Europeo, e Federico Ormezzano. Verini si piazza terzo alla Targa Florio e a San Marino, quarto sui duri sterrati della Costa Smeralda. Ma la vettura non raggiunge le aspettative e lo sviluppo si ferma presto, per problemi tecnici troppo diffcili e onerosi da risolvere, con un unico successo assoluto, nel Rally del Danubio, in Romania, con Mauro Pregliasco.

LA GTV 6 IN GRUPPO N E GRUPPO A

Il 1982 segna il cambio dei regolamenti tecnici: il Gr.1 viene sostituito dal Gr.N, che però prevede che la vettura sia strettamente di serie, il Gr.2 dal Gr.A, che però prevede maggiori limitazioni nell’elaborazione. Due anni prima era stata presentata la GTV6, con motore 6 cilindri di 2492 cm³ da 160 CV. Una vettura ideale per le nuove regole della Federazione. I primi sviluppi della versione Gr.A sono rivolti alla pista, con ottimi risultati e nei rally sono all’inizio i piloti privati ad utilizzarla. Bruno Bentivogli, vince il titolo Gr.N del Campionato Italiano 1982. Nell’83 e ’84 corre con la versione Gr.A aggiudicandosi in entrambe le stagioni il titolo italiano di categoria. Il miglior risultato assoluto è del francese Yves Loubet che, nel 1986, ottiene un eccezionale 3° posto assoluto nel Rallye Tour de Corse, valido per il Mondiale.

La storia della Mini inizia nel 1957, in Inghilterra, quando si chiede alla BMC (British Motor Corporation) e in particolare ad Alec Issigonis, di progettare una nuova utilitaria che fosse economica, di dimensioni ridotte, ma con una buona abitabilità per quattro persone. La sfda non era sicuramente semplice, ma Issigonis riuscì a progettare una vettura dalla lunghezza di tre metri e larghezza ridotta, motore disposto frontalmente e trasversalmente, quindi con trazione anteriore, così da evitare di occupare ulteriore spazio con alberi di trasmissione e tunnel. Il propulsore è un 4 cilindri di 848 cm³, già ben collaudato, con una potenza di 34 CV. Dal prototipo alla presentazione non passò molto tempo, in quanto i vertici aziendali approvarono subito l’auto e, dopo il periodo necessario per la sua ingegnerizzazione, iniziò la produzione in serie. La presentazione al grande pubblico avviene il 26 agosto del 1959 ed è venduta con due marchi differenti: Austin e Morris, denominata rispettivamente Austin Seven e Morris Mini-Minor. Le forme per certi versi futuristiche e le soluzioni tecniche adottate, non vennero subito comprese dal grande pubblico, ma dopo le vittorie ai Rally di Montecarlo con le Mini elaborate da John Cooper, si iniziò a parlare di lei in tutto il Mondo. In Italia però, il prezzo della Mini era elevato a causa delle tasse sull’importazione che ne rendevano l’acquisto non così conveniente. Seppur alcuni esemplari furono acquistati come seconda auto da famiglie benestanti, vista anche l’immagine un po’ “esotica” e ricercata che aveva la vettura. Proprio in quel contesto la Innocenti di Lambrate ebbe un’intuizione e avendo già in produzione un modello Austin, chiese alla BMC di poter produrre anche la Mini in Italia e in breve periodo, presi gli accordi commerciali e risolti i problemi pratici, ottenne la licenza. Così, dopo aver adeguato le linee di produzione, i primi esemplari di Innocenti Mini Minor uscirono dagli stabilimenti di Lambrate nel settembre del 1965. Fin da subito il successo è davvero ottimo e il pubblico accoglie con grande entusiasmo questa piccola “glamour” che è un’ottima alternativa alle “solite” utilitarie Fiat.

La Mini italiana costa 840.000 lire di listino, collocandosi esattamente fra le Fiat 850 berlina e la 850 coupé. Il timore quindi che la Innocenti vada a mettersi in diretta concorrenza con la Fiat, non è del tutto fondato: infatti, la clientela che acquista la Mini è attratta dalla nascita di una nuova nicchia di utilitarie “di lusso”, che verrà poi sfruttata molti anni dopo proprio da Fiat con la mitica Autobianchi A112. Grazie a questa piccola “glamour”, la produzione della Innocenti passa da 20.000 auto all’anno ad oltre 50.000, decretandone un ottimo successo commerciale. Le differenze di questa Mini italiana rispetto a quella inglese sono nei dettagli: la calandra anteriore a barre orizzontali è quella dei modelli Cooper d’Oltremanica, i paraurti sono lisci e senza rostri. L’elemento distintivo delle Mini Innocenti per è il cofano del bagagliaio, che ha un alloggiamento specifco per

la targa italiana. Inoltre le versioni nostrane hanno i ripetitori laterali in aggiunta, non presenti sui modelli inglesi. Le piccole ruote da 10 pollici sono ornate da un coprimozzo che cela l’intero cerchio e ha una foggia che impreziosisce tutta la vettura. La fanaleria e il resto è identico alle sorelle inglesi, anche se molti dettagli sono prodotti da ditte italiane come la Carello. L’interno è davvero molto curato, il riscaldamento è di serie e seppur la strumentazione sia scarna e composta di soli tre elementi circolari (pressione olio, tachimetro/ contachilometri, indicatore benzina), con le spie integrate, vuoi per la posizione centrale, vuoi per la cura costruttiva, sembra di categoria superiore, con la lamiera a vista solo nella parte superiore, dove centralmente è posizionato un portacenere cromato. Sotto alla strumentazione sono presenti il nottolino in cui inserire la chiave per effettuare l’avviamento, gli interruttori per le luci e i tergicristalli, oltre ai vari comandi per la gestione e il controllo dei ussi d’aria.

La leva del cambio è molto lunga e non sempre pratica nell’utilizzo, infatti nelle versioni successive verrà sostituita e accorciata. I sedili sono in fnta pelle, nel caso del nostro esemplare in

color marroncino, disponibile con il verde, molto robusti e ben rifniti. Medesimo discorso vale per i tappetini di base in gomma,

riportanti il marchio Innocenti, decisamente durevoli e di ottima qualità. Nelle porte sono anche presenti già gli alloggiamenti per inserire gli altoparlanti nel caso si volesse avere l’autoradio. La panchetta posteriore è davvero comoda per due persone, e l’abitabilità interna è incredibilmente effcace per quattro occupanti,

anche di statura elevata, che riescono comunque a trovare una buona sistemazione. Il vano baule posteriore, nonostante la presenza di serbatoio e ruota di scorta (posizionati nel posteriore per questioni di spazio e di distribuzione di pesi), è comunque un buon alloggiamento per un paio di borse morbide in caso di weekend lungo. Aprendo invece il vano motore, troviamo il piccolo e affdabile 4 cilindri di 848 cm , con 34 CV, non un mostro di potenza,

ma il rombo e lo spunto lo rendono comunque piacevole e brioso da guidare. Lo stupendo esemplare del nostro servizio è del 1966 ed è stato completamente restaurato e successivamente omologato ASI, attualmente appartiene alla collezione di Luca Manzone di City Motors ed è in cerca di un nuovo proprietario.

Il Ciao, un motorino tanto esile quanto simpatico, tanto lento quanto sbarazzino, è entrato ormai, insieme alla Vespa, nell’Empireo del collezionismo. Sono in molti a desiderare soprattutto i primi esemplari, che hanno oggi raggiunto cifre di tutto rispetto. Negli anni la competenza da parte dei collezionisti su questo piccolo ciclomotore è diventata sempre maggiore, fno ad arrivare a un perfezionismo legato all’originalità, che va a guardare anche il singolo bullone. Al compimento dei suoi primi 55 anni, si è ritagliato un suo spazio e una dignità storica e noi osiamo dire, fnalmente. Ma andiamo per ordine, ripercorrendo brevemente la storia della sua nascita, così da comprendere il perché il Ciao sia stato così importante per la Casa di Pontedera. L’8 febbraio 1967 il Brevetto per Modello Industriale viene depositato alla Camera di Commercio di Milano, una pratica che verrà poi rilasciata il 12 dicembre dello stesso anno come Brevetto numero 123038. Il battesimo del Ciao avviene in modo suntuoso, come mai aveva fatto la Piaggio fno a quel momento. L’11 ottobre 1967 sulla motonave da crociera delle linee Costa, ormeggiata al porto di Genova, vengono ospitati un centinaio di giornalisti di riviste di settore, quotidiani e per la prima volta anche di riviste femminili o rotocalchi di larga diffusione. Umberto Agnelli fa gli onori di casa, con giornalisti e personalità e, dopo l’elegante presentazione, tutti gli ospiti si trasferiscono al Palazzetto dello Sport, dove i collaudatori mettono a disposizione il nuovo ciclomotore. La presentazione al grande pubblico avviene invece al 40° Salone del Motociclo di Milano dello stesso anno. Il Ciao strizza l’occhio soprattutto ai giovani, già a partire dal nome, semplice e sbarazzino. La campagna pubblicitaria sarà proprio mirata a questo target, ma anche alle donne e a tutti coloro che con un mezzo agile e snello desiderano un po’di libertà. Inoltre la semplicità meccanica e di manutenzione, ne fanno un mezzo davvero adatto anche a chi sa poco di motori. Il consumo di miscela (al 2%) è irrisorio, si possono percorrere circa 50 m con un litro. Le prestazioni, pur rimanendo fra quelle imposte dal Codice, sono soddisfacenti e più che adeguate per muoversi agilmente nel traffco dell’epoca. La seduta è molto comoda e si pu guidare senza affaticarsi, anche se, sui terreni più accidentati, si sente la mancanza di una sospensione posteriore. Addirittura sulla versione economica (la N1) la forcella anteriore è rigida e il freno è a pattini e non a tamburo, esattamente come su una bicicletta. Il molleggio della forcella anteriore, quando presente, e quello della sella non sempre infatti sono effcaci.

TUTTO IL CIAO IN UN LIBRO

Chi ha detto che il fglio di un progetto minimalista e spartano al massimo non possa diventare una leggenda? È quello che è successo al Ciao, come abbiamo visto in queste pagine. E, come tutte le leggende che si rispettino, anche il celebre motociclo della Piaggio inizia ad avere una letteratura dedicata. In questa ben si inserisce il testo di Giancarlo Catarsi (che di icone ne sa qualcosa: studioso del motorismo d’epoca, ha scritto, fra il resto, di Alfa Romeo Giulia e Duetto, Citroen DS e 2CV, Fiat 600) intitolato “Ciao Piaggio, Melocompro ”. Il volume, puntuale, preciso e ben illustrato con le tante immagini d’epoca, le pubblicità ma anche tanti modelli fotografati oggi, perfettamente funzionanti e originalissimi, ripercorre la storia tecnica (le versioni sono censite e catalogate in sequenza cronologica) e industriale del Ciao, senza tralasciare il ruolo fondamentale che questo mezzo minimo ha avuto nella società e nell’evolversi del costume.

“Ciao Piaggio, Melocompro…” di Giancarlo Catarsi, Giorgio Nada Editore, testo in italiano, foto b/n e colori, 35,00 €

La sella è una monoposto in fnta pelle nera con il nome dell’azienda impresso su una placchetta metallica rivettata sulla parte posteriore. Fissata al telaio con due bulloni, pu essere regolata in base all’altezza del guidatore. Il serbatoio è “portante” e forma il telaio, che racchiude al suo interno anche il piccolo propulsore. Le scritte “Ciao” in corsivo, sono di colore blu per le versioni con ruote da 17 e rosse per quelle con ruote da 19 pollici. Da sempre, i ciclomotori sono progettati con ingombranti motori esterni, oppure a sbalzo sulla forcella anteriore, presentando, in alcuni casi, problemi di baricentro. Invece nel Ciao, questa ha apposito alloggiamento nel telaio; sempre nel telaio si integra la trasmissione a frizione centrifuga (monomarcia) o con variatore e cinghia trapezoidale, altra piccola ma signifcativa innovazione. L’avviamento è a pedale. Il motore è un vero piccolo gioiello di tecnologia: monocilindrico a due tempi con cilindrata di 49,77 cm , a distribuzione rotante, raffreddamento ad aria forzata con ventilatore centrifugo; l’alimentazione avviene attraverso un carburatore Dell’Orto S A 12.10, che si immette direttamente nel carter e distribuisce poi la miscela grazie alla spalla ricavata nell’albero motore. Il silenziatore è posizionato sul lato destro nella parte inferiore del telaio, a fanco della ruota posteriore di forma cilindrica, presenta dimensioni ridotte ed è verniciato di nero. Il manubrio presenta una forma a “corna di bue”, ed è cromato. Il faro anteriore integra anche il clacson ed è rotondo con diametro 95 mm. Posteriormente si trova un piccolo fanalino con catarifrangente integrato, posizionato sul parafango.

Le due fancatine che ricoprono gli organi meccanici sono in plastica grigia, “fermate” sul telaio tramite tre grosse viti, svitabili anche con una semplice moneta. Il carter sinistro presenta un solo “rigonfamento” nella versione con frizione centrifuga e due per la versione con variatore automatico. Tramite un piccolo bottone nero posto sul mozzo posteriore, il Ciao diventa in pochi secondi una “bicicletta”, staccando il motore e permettendo la marcia con la sola forza motrice delle gambe, attraverso i pedali. Il rapporto di demoltiplicazione e il peso di circa 40 g lo rendono abbastanza maneggevole anche in questa modalità, a patto di avere buoni muscoli. Posteriormente, sopra il parafango è presente un piccolo portapacchi su cui, a richiesta, possono essere agganciate due borse laterali specifche per poter riporre i propri oggetti. I colori disponibili sono vivaci e chiaramente dedicati, come già detto, a un pubblico giovane (a listino è comunque presente un sobrio grigio per chi non vuole mettersi troppo in mostra). Anche in questo campo, il Ciao è una piccola rivoluzione, in quanto molto spesso i ciclomotori sono disponibili in un unico colore triste o poco sgargiante. L’avviamento è facilitato dal decompressore, che si utilizza tirando la piccola levetta posta sulla sinistra del manubrio, sotto quella del freno posteriore. Per la versione N1, la più economica, con forcella anteriore rigida e freno a pattino, il prezzo di partenza è di 55.000 lire, che diventano 59.000 per la versione E1 con forcella ammortizzata e freno a tamburo. Altrimenti, per 66.000 lire si pu acquistare il V1, con trasmissione a variatore automatico a pulegge espansibili, decisamente più brillante nello spunto e nelle salite. Il Piaggio Ciao del nostro servizio è un “prima serie” del 1968, denominato anche “modello A”, telaio C7V1T 11934- (ultimo numero omesso), quindi con cerchi da 17 pollici e variatore. Lo stato di conservazione è incredibile: la vernice è ancora la sua originale, così come tutti i componenti, inclusi alcuni rari accessori come le borse laterali in tinta. Il colore è il bellissimo “verde Mela”, codice Piaggio 302, che lo rende davvero un mezzo sbarazzino e giovanile, tipico della fne degli anni ’60. Custodito con grande cura dall’appassionato e collezionista torinese Camillo Lucenti, che è sempre alla ricerca di nuovi accessori rari da montare sul suo Ciao, conserva ancora il suo libretto originale (annullato), gli attrezzi e il libretto uso e manutenzione, oltre ai preziosi adesivi del concessionario torinese che lo vendette all’epoca. Quindi, ancora una volta, buon compleanno Ciao!

CARATTERISTICHE TECNICHE PIAGGIO “CIAO” N1, E1, V1

MOTORE: Monocilindrico orizzontale a 2 tempi, potenza 1,41 CV a 4500 giri, funzionamento a miscela benzina-olio 2%, regolata dall’albero motore. Alesaggio e corsa (38,4x43 mm), cilindrata totale 49,77 cm , raffreddamento ad aria forzata con ventilatore centrifugo; carburatore Dell’Orto S B 12.10 con fltro aria a reticella. TRASMISSIONE: Versioni C7 N1 - C7 E1 (ruote da 17 pollici) e C9 N1 - C9 E1 (ruote da 19 pollici), con frizione automatica, pulegge fsse, cinghia trapezoidale, riduttore ad ingranaggi. Versioni C7 V1 - C9 V1, con variatore automatico, pulegge espansibili, cinghia trapezoidale, frizione automatica, riduttore. Trasmissione ausiliaria (ruota posteriore) a pedali, moltiplica, catena a rulli, rocchetto a ruota libera con rapporto 28/18.

TELAIO: Struttura in lamiera d’acciaio a forma aperta. Forcella anteriore a doppia travatura, manubrio e sella a posizioni regolabili. FRENI: Solo per versione N1 anteriore a pattini, per tutte le altre versioni, anteriore a tamburo a 2 ganasce posteriore a tamburo a 2 ganasce.

SOSPENSIONI: Posteriore rigida; anteriore rigida sulle versioni C7 N1 e C9 N1, anteriore elastica (molle elicoidali) sulle versioni C7 E1 - C7 V1 , C9 E1 - C9 V1.

RUOTE E PNEUMATICI:

Per la versione C7: cerchio 1.20-17, gomma 2.00-17. Per la versione C9: cerchio 1.2019, gomma 2.00-19.

DIMENSIONI E PESI:

Interasse 1.000 mm, larghezza 630 mm, lunghezza 1.570 mm per le versioni con ruote da 17” e 1.615 per le versioni con ruote da 19”. Altezza 995 mm per le versioni con ruote da 17” e 1.040 mm per le versioni con ruote da 19”. Peso a vuoto per la versioni con ruote da 17” e frizione centrifuga 33,5 g, con variatore 37,5 g. Per la versione con ruote da 19” e frizione centrifuga 38 g, con variatore 39,5 g. Capacità serbatoio 2,8 litri, riserva inclusa. PRESTAZIONI: Velocità massima 40 m/h. Consumo 1,4 litri per 100 m. Autonomia 200 m. Pendenza massima superabile 10% per versioni normali e 15% con variatore.

I COLORI DEL PIAGGIO “CIAO” PRIMA SERIE

303 Verde Chiaro (1967-68) 400 Azzurro Chiaro (1967-68) 850 Rosso (1967-68) 910 Giallo (1967-68) 226 Bleu (1967-69) 801 Rosa Shoc ing (1967-69) 302 Verde Mela (1967-69) 310 Verde (1967-69) 730 Grigio (1967-69) 916 Giallo Arancio (1967-69) 715 Biancospino (1968-69) 802 Rosso (1968-69) 901 Avorio New or (1968-69)

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