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Anche le città hanno una storia / Cities have a History too
02 YouTube link: https://www.youtube.com/watch?v=t5ajo3XyA94&list=PL47001 udlZD1vgYv75VONymITvZAlvbLP&index=2
Antonio Brusa, medievista ed specialista di didattica della storia, Università di Bari
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Antonio Brusa, Medievalist and a specialist in history teaching, University of Bari
e-mail: brusantonio@gmail.com
According to Mario Liverani’s reconstruction, the first Sumerian cities were complex social organisms, which posed two fundamental problems: government (who governs and how they govern) and the relationship with the territory (who can be part of the city and who must stay outside). Cities faced these problems by creating a political (the king-god) and economic-cultural instrument (government through meritocracy and ideology). Also, cities dealt with the issues by regulating the conflict between inclusion and exclusion with rituals and a conceptual system that we still use today (the citizen and the peasant; the civilian and the barbarian). This first urban system endured for two thousand years, and in 1600 BC, it collapsed with the disappearance of all Sumerian cities. There was a third problem that those cities had to face in the short / medium / long term and very long-term in a case of catastrophe - the issue of the environment. The over-exploitation of the soils produced slow salinization that made them unproductive. The land of Sumer became a swampy heath, interrupted by the remains of ancient cities, and inhabited by fishermen and mosquitoes. This parable could mirror a more general one that concerns the whole history of cities. As we can see from the top of our 21st century, cities seemingly have definitively won since more than half of the human population lives in some urban complex. Observing the starting point of this global history from the top, we can see the first signs of human settlement in the environment: those that the first farmers made with their work. These are the premonitory signs of the city. According to Walter Christaller (a nineteenth-century German geographer), a city becomes acknowledged when the changes turn orderly. The environment becomes domesticated, arranged in concentric circles around the city, and subordinated to an economic logic (the cost of transporting the fruits of the earth) and a commodity logic (their perishability). Secondo la ricostruzione di Mario Liverani, le prime città sumere si caratterizzavano come organismi sociali complessi, che ponevano due problemi di fondo: il governo (chi governa e come governa) e il rapporto con il territorio (chi può far parte della città e chi ne deve stare fuori). Le città affrontarono questi due problemi creando uno strumento politico (il re-dio), uno strumento economicoculturale (il governo attraverso la meritocrazia e l’ideologia) e regolando il dissidio fra inclusione ed esclusione con delle ritualità e con un sistema concettuale che usiamo ancora oggi (il cittadino e il villano; il civile e il barbaro). Questo prima sistema urbano resse per duemila anni. Nel 1600 a.C, conobbe il suo crollo con la scomparsa di tutte le città sumere. C’era un terzo problema che quelle città dovettero affrontare: con enormi successi nel breve/medio/lungo periodo, ma con una catastrofe nel lunghissimo. Quello dell’ambiente. L’eccessivo sfruttamento dei suoli produsse una lenta salinizzazione che li rese improduttivi. La terra di Sumer diventò una landa impaludata, interrotta dai resti delle antiche città, e abitata da pescatori e zanzare. Questa parabola potrebbe essere lo specchio di una parabola più generale, quella dell’intera storia delle città, così come la vediamo guardandola dall’alto del nostro XXI secolo, nel quale la città sembra aver definitivamente vinto, dal momento che oltre la metà della popolazione umana vive in un qualche complesso urbano. Cercando dall’alto il punto di partenza di questa storia globale, scorgiamo i primi segni sull’ambiente di un insediamento umano: quelli che i primi agricoltori tracciano con il loro lavoro. Ecco i segni premonitori della città. Secondo Walter Christaller (un geografo tedesco dell’Ottocento) la città si riconosce quando questa modifica diventa ordinata. L’ambiente viene domesticato, disponendosi in cerchi concentrici intorno alla città, subordinati a una logica economica (il costo del trasporto dei frutti della terra) e merceologica (la loro deperibilità).
Christaller scopre questa “grammatica del rapporto fra città e territorio”, osservando le città della Baviera a lui contemporanee. Infatti, dalla loro nascita fino all’età moderna, le città non avevano fatto altro che “disciplinare” l’ambiente. Fino all’avvento della globalizzazione, che ha destrutturato quella grammatica, dal momento che - eccetto i gruppi umani acculturati dalle ideologie salutiste - le popolazioni del mondo non mangiano più a chilometro zero. Il pianeta terra in quanto tale è diventato l’ambiente unico della città globale, forse caotico, forse organizzato secondo logiche che ci sfuggono. Il secolo XXI, dunque, secolo dell’apocalissi urbana? Concentriamoci su un altro aspetto delle città, quale ci viene mostrato in particolare dagli insediamenti urbani europei a partire dall’XI secolo. Noi sappiamo perfettamente che erano luoghi pericolosi per la vita umana. Insalubri e poco sicuri. Si vive più a lungo in campagna che in città. E parecchio. Lo sappiamo e - come ci dice tanta letteratura popolare - lo sapevano anche allora. Nonostante ciò, masse di contadini non cessavano di abbandonare i più sicuri luoghi natii per recarsi nelle città. Rischiavano la vita, ma li sorreggeva la speranza di cambiarla. Ce lo racconta bene Carlo Cipolla. La speranza di cambiare è stato uno dei motori principali dello sviluppo spettacolare della civilizzazione europea. Se i paragoni e le parabole valgono qualcosa, potremmo pensare lo stesso degli infernali slums che circondano le immense metropoli africane, americane e cinesi. Un luogo dove l’umanità si riversa, sperando. Così Alberto Salza chiude il suo libro più vero, “Niente”, un libro di antropologia della povertà estrema.
Observing the Bavarian cities of his time, Christaller discovered this “grammar of the relationship between city and territory”. In fact, from their birth until the modern age, cities had done nothing but “discipline” the environment. Until the advent of globalisation, which has deconstructed that grammar, since - except for human groups acculturated by health ideologies - the world’s populations no longer eat at kilometre zero. Such Planet Earth has become a unique environment of the global city. The global city perhaps is chaotic and organised according to logics that escape us. Thus, is it the 21st century the century of the urban apocalypse? Let us focus on another aspect of cities that specifically European urban settlements from the 11th century onwards have shown. We know perfectly well that these cities were dangerous places for human life, unhealthy, and unsafe. People lived much longer in the country than in the city. We know this now, and they knew it even then due to the statements of much popular literature. Despite these advantages, masses of peasants continued to leave their safer homes, moving to the cities. They risked their lives, but the hope of changing it sustained them. Carlo Cipolla explains this well. The hope of change was one of the main drivers of the spectacular development of European civilisation. If comparisons and parables are worth something, we can also make a comparison with the infernal slums that surround the immense African, American and Chinese metropolises - places where humanity pours, hoping. With these words, Alberto Salza ends his book, “Nothing” - anthropology of extreme poverty.
Alcuni principali riferimenti A few key references
Bairoch, P. (1992). Storia delle città. Milano: Jaca Book. Cipolla, C.M. (2009). Storia economica dell’Europa preindustriale. Bologna: Il mulino. Liverani, M. (1986). L’origine della città. Roma: Editori Riuniti. Mumford, L. (2010). La cité à travers l’histoire. Paris : L. [Agone Préface by Garnier, J-P.]. Salza, A. (2009). Niente. Come si vive quando manca tutto. Antropologia della povertà estrema. Sperling e Kupfer: Milano. Whitfield, P. (2005). Cities of the World. A History in Maps. Berkley: Uccpress.