377 marzo 2018
Effetto Simondon
a cura di Veronica Cavedagna e Giulio Piatti Premessa [G.P., V.C.] Nota bibliografica
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MATERIALI Gilbert Simondon Epistemologia della cibernetica (1953) Gilbert Simondon, Jean Le Moyne Intervista sulla meccanologia (1968)
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Xavier Guchet Simondon e la tecno-estetica 76 Andrea Bardin L’epistemologia politica di Simondon 91 Jean-Hugues Barthélémy L’“effetto Simondon” 106 e le sfide del XXI secolo Giovanni Carrozzini L’addio a Kant di Foucault e Simondon 123 Francesca Dell’Orto Individuazione, costituzione, immaginazione 138 Giulio Piatti Filosofia del campo. Tracce bergsoniane nel pensiero di Simondon 151 Damiano Cantone Haecceitas e soggetto tra Simondon e Deleuze 163 Carlo Molinar Min L’analogia impossibile. Ontologie della relazione in Simondon e Deleuze 177 Luca Taddio Illusione, direzionalità e stabilità: da Nietzsche a Simondon 189
Premessa
N
el contesto di quella vivace stagione “teorica” che ha attraversato, a partire dagli anni sessanta, gli ambienti accademici francesi per poi riversarsi progressivamente in Europa e negli Stati Uniti, il ruolo giocato dal pensiero di Gilbert Simondon (1924-1989) sembra all’apparenza soltanto secondario. Rispetto alle più seducenti analisi di Jacques Derrida, Gilles Deleuze, Michel Foucault, Jean Baudrillard o Jean-François Lyotard, soltanto per citarne alcune, le intuizioni simondoniane sulla tecnica e sull’individuazione (che possiamo intendere sinteticamente come concetto in grado di restituire il modo d’essere del reale nei suoi vari ordini e gradi, senza che se ne tradisca la complessità intrinseca) non hanno certo saputo esercitare in quegli anni un ruolo catalizzatore. La poca attenzione del pubblico e del mondo editoriale – si ricordi che si è dovuto attendere fino al 2005 per la pubblicazione integrale della sua monumentale tesi di dottorato, discussa alla fine degli anni cinquanta1 – non è stata tuttavia accompagnata da una disattenzione dell’accademia francese. Georges Canguilhem, Maurice Merleau-Ponty e Mikel Dufrenne, tra gli altri, seguiranno con attenzione il percorso di studi di Simondon, così come Derrida, per esempio, intratterrà con lui più di
1. Cfr. la nota bibliografica a seguire.
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un rapporto;2 si sa poi quanto Deleuze – forse l’unico della sua generazione – abbia attinto alle principali innovazioni introdotte dalla sua metafisica,3 determinando, di riflesso, una certa attenzione verso la sua filosofia. Ecco dunque che questi rapporti, certo presenti, ma impliciti e spesso autoreferenziali, nonché sovente invisibili al grande pubblico, hanno saputo progressivamente generare una serie di effetti, capaci di regalare al pensiero di Simondon una seconda vita. A partire dalla fine degli anni ottanta, dopo la morte di Simondon e con la pubblicazione di L’individuation psychique et collective (seconda parte della tesi di dottorato, che completa le sue riflessioni sull’individuazione fisica e biologica), si è infatti innescato un processo, sotto la supervisione della famiglia Simondon e in particolare di Nathalie Simondon, che ha portato alla pubblicazione, o ripubblicazione, delle principali opere e all’apparizione di corsi e conferenze tenuti da Simondon alla Sorbona a partire dagli anni sessanta, fino a pochi anni fa rimasti inediti. Tale rinascita, unita a una rinnovata attenzione da parte delle nuove generazioni di filosofi – si pensi per esempio all’importanza della filosofia simondoniana nell’economia complessiva del pensiero di Bernard Stiegler – ha trasformato Simondon in uno dei più riconosciuti pensatori contemporanei.4 L’“effetto Simondon” ha determinato la scoperta di un pensatore “integrale”, irriducibile all’immagine, fino a quel tempo dominante, di eccentrico epistemologo delle scienze o di filosofo “informato” della 2. Ci riferiamo qui alle vicende legate alla creazione del Collège international de philosophie che determinerà uno scambio di lettere tra Derrida e Simondon. Per l’approfondimento di questi punti si rimanda alla nota bibliografica. 3. A L’individu et sa genèse physico-biologique Deleuze dedicherà un’importante recensione nel 1966 (cfr. G. Deleuze, L’isola deserta e altri scritti. Testi e interviste 1953-1974, trad. di D. Borca, Einaudi, Torino 2007, pp. 106-110). Importante è poi, più in generale, il ruolo della metafisica e del lessico simondoniani nell’impalcatura teorica di opere come Differenza e ripetizione e Logica del senso. 4. Si deve alla meritoria opera di Paolo Virno la prima penetrazione, in Italia, del pensiero simondoniano. È infatti a sua cura la prima traduzione italiana di L’individuation psychique et collective (cfr. G. Simondon, L’individuazione psichica e collettiva, DeriveApprodi, Roma 2001). È stato invece Giovanni Carrozzini, più recentemente, a tradurre la tesi di dottorato nella sua interezza (cfr. Id., L’individuazione alla luce delle nozioni di forma e d’informazione, Mimesis, Milano-Udine 2011).
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tecnica. Si è infatti compreso come a guidare le analisi simondoniane sia un pensiero “a tutto tondo”, vasto ed eterogeno, ampio quanto il reale – un pensiero perfettamente coerente con il suo spirito curioso e libertario. Dalle analisi concrete e puntuali sullo sviluppo della civiltà tecnica – presenti anche in quell’Intervista sulla meccanologia del 1968 la cui traduzione italiana appare nel presente fascicolo – allo studio dei processi di individuazione attivi nel reale (dalla materia inorganica sino alle più raffinate acquisizioni psicosociali) attraverso cui egli misura e ripensa le nozioni tradizionali della metafisica occidentale, passando per gli spunti innovatori intorno alla cibernetica, alla percezione e all’immaginazione, il pensiero simondoniano si è via via confermato come una riflessione sistematica e di natura ontogenetica, volta cioè ad analizzare tutti quei processi che hanno portato (e stanno tuttora portando) alla costituzione di ogni differente strato della realtà. Rileggere, oggi, Simondon significa allora interrogarsi sulle sfide poste al pensiero filosofico dalla contemporaneità, la cui risoluzione dipende in gran parte dalla capacità di ridefinire il posto dell’uomo nel cosmo, alla luce di quella dimensione preindividuale che Simondon non ha mai smesso di indagare secondo le più differenti angolature. A partire da tali considerazioni, i contributi che compongono questo fascicolo di “aut aut” si sono dati essenzialmente due obiettivi: da un lato, andare a misurare le più importanti innovazioni introdotte dal discorso di Simondon (nella filosofia come nell’estetica, nella tecnica e nella scienza come nella politica); dall’altro, verificare i tratti di continuità e discontinuità della sua riflessione rispetto ad alcuni tra i massimi pensatori del XX secolo, da Nietzsche a Husserl, da Bergson a Foucault, passando per Deleuze. In questo modo, si intende insomma offrire al lettore italiano un viaggio all’interno del “prisma Simondon”, in grado di ripartirsi su una grande varietà di ambiti disciplinari senza al contempo allontanarsi dalla sua ispirazione più profondamente speculativa (e per ciò stesso innovatrice): quella cioè di fornire all’indagine filosofica una cornice che sia all’altezza del contemporaneo. [G.P., V.C.] 5
Nota bibliografica
Monografie Du mode d’existence des objets techniques, Aubier, Paris 1958 (1969, 1989, 2001, 2012) [tesi complementare del dottorato di stato]. L’individu et sa genèse physico-biologique, Puf, Paris 1964 (riedizione aumentata presso Jérôme Millon, Grenoble 1995) [prima parte e inizio della seconda parte della tesi principale per il dottorato di stato, L’individuation à la lumière des notions de forme et d’information]. L’individuation psychique et collective, Aubier, Paris 1989 (2007); trad. di P. Virno, L’individuazione psichica e collettiva, DeriveApprodi, Milano 2001 [fine della seconda parte dell’Individuation à la lumière des notions de forme et d’information]. Pubblicazioni postume Deux leçons sur l’animal et l’homme, Ellipses, Paris 2004 [ritrascrizione di un corso di Propedeutica registrato a Poitiers tra il 1955 e il 1962]. L’invention dans les techniques. Cours et conférences, Seuil, Paris 2005 [contiene L’invention et le développement des techniques (1968), L’invention dans les techniques (1971), ed estratti da La presente bibliografia, aggiornata rispetto alle ultime pubblicazioni, è stata compilata sulla base di quella realizzata dalla famiglia Simondon (<gilbert1.simondon.fr/files/bibliographie_GS.pdf>) e integrata da quella presente sul sito del Cides - Centre international des études simondoniennes (<mshparisnord.fr/cides/index.php/menu-3.html>). Ove presente, si è fatto riferimento alla traduzione italiana delle opere.
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Imagination et invention (1965-66), Résolution des problèmes (1974) e Invention et créativité (1976)]. L’individuation à la lumière des notions de forme et d’information, prefazione di J. Garelli, Jérôme Millon, Grenoble 2005; trad. di G. Carrozzini, L’individuazione alla luce delle nozioni di forma e d’informazione, Mimesis, Milano-Udine 2011 [prima pubblicazione integrale della tesi di stato di Simondon, ripresa dei due volumi parziali usciti per Puf e Aubier, con complementi (gli inediti Storia della nozione di individuo e Nota complementare sulle conseguenze della nozione di individuazione) e supplementi (Forma, informazione, potenziali, del 1960, e due testi preparatori all’Individuazione, ovvero Analisi dei criteri dell’individualità e Allagmatica)]. Cours sur la perception (1964-1965), La Transparence, Chatou 2006 (ried. Puf, Paris 2013) [corso]. Imagination et invention (1965-1966), La Transparence, Chatou 2008 [corso]. Communication et information. Cours et conférences, La Transparence, Chatou 2010 [contiene il Cours sur la communication (1970-71), L’amplification dans les processus d’information (1962), Le relais amplificateur (1976), Perception et modulation (1968), Cours sur l’instinct (1964) e Attitudes et motivations (1960)]. Sur la technique, Puf, Paris 2014; trad. di A.S. Caridi, Sulla tecnica, Orthotes, Napoli-Salerno 2017 [contiene le lezioni sulla Psicosociologia della tecnica (1960-61), sulla Nascita della tecnologia (1970) e su Arte e natura. La padronanza tecnica della natura (1980); gli articoli Posizione dell’avviamento tecnico in una formazione umana completa (1953), Prolegomeni ad una revisione dell’insegnamento (1954), Aspetto psicologico del macchinismo agricolo (1959), I limiti del progresso umano (1959), L’affetto alone in ambito tecnico: verso una strategia della pubblicità (1960), La mentalità tecnica (1961), Cultura e tecnica (1965), Tecnica ed escatologia: il divenire degli oggetti tecnici (1972), Tre prospettive per una riflessione sull’etica e la tecnica (1983); le note Psicosociologia del cinema (inedito) 7
(1960), Oggetto tecnico e coscienza moderna (inedito) (1961), Antropo-tecnologia (inedito) (1961), Oggetto economico ed oggetto tecnico (1962), Riflessioni sulla tecno-estetica (1982);1 l’Intervista sulla tecnologia con Y. Deforge (1965), l’Intervista sulla meccanologia con J. Le Moyne (1968)2 e Salvare l’oggetto tecnico (1983)]. Sur la psychologie, Puf, Paris 2015 [contiene l’inedito Fondements de la psychologie contemporaine, Initiation à la psychologie moderne (1967) e La sensibilité (1966-1967)]. Sur la philosophie, Puf, Paris 2016 [contiene i testi preparatori Introduction (1955 ca.), Point de méthode (intorno al 1955), Recherche sur la philosophie de la nature (1955 ca.), e Cybernétique et philosophie (1953); i contributi Humanisme culturel, humanisme negatif, humanisme nouveau (1953), Voyage aux États-Units (1952), Le progrès, rythme et modalités, Pour une notion de situation dialectique (1960), Négativité (1955 ca.), Optimisme et pessimisme, Les encyclopédies et l’esprit encyclopédique (1950 ca.), Les grandes courants de la philosophie française contemporaine (1962-1963) e Les grandes directions de recherche des sciences humaines en France (19621963); gli studi Épistémologie de la cybernétique (1953),3 Étude de quelques problèmes d’épistémologie et de la théorie de la connaissance, Histoire des sciences et histoire de la pensée, Sciences de la nature et sciences de l’homme e Introduction à une épistémologie généralisée (1980); gli approfondimenti De l’implication technologique dans les fondements d’une culture, L’objet technique come paradigme d’intelligibilité univer1. Si tratta della bozza di una lettera che Gilbert Simondon aveva cominciato in occasione della creazione del Collège international de philosophie, in risposta a una lettera circolare di Jacques Derrida. Simondon non l’ha mai terminata né tantomeno inviata. Più che una risposta a Derrida, è una riflessione originale sulla tecno-estetica che il suo precario stato di salute gli ha impedito di portare a compimento. È stata la moglie, Michelle Simondon, che ritrovando il saggio dopo la sua morte l’ha inviato a Derrida nel 1991, insieme a un testo del 1954 sull’insegnamento, in ragione del loro legame di amicizia, e ne ha autorizzato così la pubblicazione. Per un approfondimento, cfr. G. Simondon, Sulla tecnica, cit., pp. 319-320. 2. In questo fascicolo. 3. In questo fascicolo.
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selle, L’ordre des objets techniques come paradigme d’universalité axiologique dans la relation interhumaine (Introduction à una philosophie transductive) e Annexe sur la démarche analectique]. Articoli Questa lista non contiene i contributi che sono stati successivamente inclusi nelle opere già citate. Notes sur l’objet technique, “Cahiers pédagogiques”, 1954. Discussion avec Zadou-Naïsky, “Cahiers pédagogiques”, 1954. “La psychologie moderne” (con F. Le Terrier), in M. Daumas (a cura di), Histoire de la science, Des origines au XXe siècle, Encyclopédie de la Pléiade, Paris 1957. Revue critique du livre d’Oparine. L’origine de la vie sur terre, “Revue Philosophique”, 1968. La perception de longue durée, “Journal de psychologie normale et pathologique”, 1969-70 [corso apparso in tre fascicoli].
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Materiali
I testi che qui presentiamo appartengono a due diverse fasi della riflessione di Gilbert Simondon. Il primo, Épistémologie de la cybernétique, risale al 1953 ed è un manoscritto di lavoro mai pubblicato dall’autore; il secondo, Entretien sur la mécanologie, costituisce la trascrizione di un’intervista televisiva rilasciata a Jean Le Moyne nel 1968. Se il primo testo riguarda una fase giovanile della riflessione di Simondon, di poco anteriore o più probabilmente contemporaneo alla redazione delle sue opere più importanti e nel quale emerge già la volontà di far dialogare il pensiero riflessivo con quello scientifico, il secondo, invece, nel quale il filosofo è interrogato in relazione alle sue più note intuizioni intorno alla tecnica, appartiene a una fase ormai matura. La scelta di pubblicare questi due testi deriva dall’esigenza di mostrare la varietà di interessi che caratterizza il pensiero di Simondon, nonché la caratura originariamente interdisciplinare del suo sforzo teorico. Prova ne sia la riflessione sulla cibernetica, disciplina a cui Simondon inizia precocemente a interessarsi e nella quale vede la possibilità di costruire una vera e 10
propria “assiomatica” delle scienze, ovvero un sistema di relazioni operazionali, ontologiche ed epistemologiche capaci di riunificare l’enciclopedia dei saperi. Non meno “sistematica” è poi la riflessione, contenuta nell’Entretien, sullo statuto degli oggetti tecnici e sul ruolo della tecnica nella società contemporanea, anticipatrice di una serie di tendenze che paiono trovare oggi il proprio dominio di applicazione. La capacità di intravedere, nello sviluppo delle tecnologie – come nel caso della ruota – una continuità in cui si ridisegnano continuamente i confini tra artificiale e umano, tra concreto e astratto, porta così l’analisi di Simondon – agli antipodi rispetto a molte posizioni coeve sulla tecnica, spesso inficiate da uno sguardo pregiudiziale quando non apertamente ostile – verso la definizione di un nuovo umanismo “allargato”: qui la comprensione dei rapporti conflittuali tra uomo e macchina viene mitigata da un impegno pedagogico, volto a introdurre nella cultura umanistica una sana iniezione di conoscenza tecno-scientifica. Tanto nel caso della cibernetica quanto in quello della tecnica, emerge insomma il disegno ampio – potremmo dire genuinamente speculativo – del lavoro di Simondon, che ci consegna delle importanti intuizioni su come ripensare (e riunire insieme) i più eterogenei campi del sapere, nell’ottica di riposizionare i confini stessi della cultura umana.
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Epistemologia della cibernetica (1953) GILBERT SIMONDON
Manoscritto di lavoro conservato in un dossier dal titolo Recherches philosophiques.1
È
difficile considerare la cibernetica come una scienza. La fisica, la biologia, l’astronomia, la numismatica si definiscono per il loro oggetto; hanno un solo oggetto e possono impiegare diversi metodi per studiarlo. Questo primato dell’oggetto sul metodo nella definizione di una scienza esprime forse un pregiudizio sostanzialista: una struttura è, per il pensiero riflessivo, un termine di riferimento più certo di un’operazione. Solo la matematica pone un serio problema a un simile principio di classifiQuesto testo, intitolato “Épistémologie de la cybernétique” e mai pubblicato da Simondon, è stato raccolto nel volume postumo Sur la philosophie, 1950-1980, edizione stabilita da N. Simondon e I. Saurin, prefazione di F. Worms, Puf, Paris 2016, pp. 177-199. (Tutte le note, tranne dove diversamente indicato, sono dei curatori dell’edizione francese.) 1. Al momento della stesura di questo testo (così come di “Cybernétique et philosophie”), Simondon compie dei tentativi per istituire un gruppo di ricerca in cibernetica che metta in relazione filosofi e scienziati attorno all’École normale supérieure. Il progetto non ha buon esito, ma la cibernetica e la teoria dell’informazione occupano un ruolo determinante nell’insieme della sua opera. Ne offre un’esposizione approfondita nel 1956 in “Fondements de la psychologie contemporaine”, che appare in Sur la psychologie, Puf, Paris 2015, p. 190 sgg. Nel 1952 Simondon incontra un collaboratore di Norbert Wiener negli Stati Uniti; è incaricato della segreteria e della preparazione degli atti del convegno di Royaumont del 1962 su “Il concetto di informazione nella scienza contemporanea”, dove presenta una relazione (“L’amplification dans les processus d’information”, in Communication et information, Puf, Paris 2015, p. 157). Nell’una e nell’altra delle sue due tesi, dopo un’esposizione attenta e comprensiva, conclude con una posizione critica: cfr. L’individuazione alla luce delle nozioni di forma e d’informazione (1958), a cura di G. Carrozzini, Mimesis, Milano-Udine 2011, per esempio pp. 299, 329, 716, e Du mode d’existence des objets techniques, Flammarion, Paris 2012 (d’ora in poi: MEOT), pp. 59, 147, 155, 204-208. Cfr. anche il “Cours sur la communication”, in Communication et information, cit., p. 85.
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cazione: la matematica non possiede un oggetto paragonabile a quello della fisica o dell’astronomia; è innanzitutto un metodo – di misura o di trasformazione di misure. Fornisce alle altre scienze metodi operativi. L’epistemologia deve ad Auguste Comte una classificazione delle scienze fondata sul primato dell’oggetto, e la corrente definizione delle scienze ha conservato qualcosa del positivismo nell’ammettere che ogni scienza debba avere un oggetto. Auguste Comte tuttavia aveva serbato, al di fuori delle scienze che hanno un oggetto, due pensieri validi e conformi allo spirito positivo: la matematica, strumento iniziale di ogni scienza, mezzo fondamentale di espressione, e la riflessione epistemologica, identica al pensiero filosofico, necessaria per assicurare la coordinazione di lavori scientifici specializzati e vigilare sulla permanente oggettività e positività dell’osservazione e dell’esplicazione. Da una parte e dall’altra del corpo delle scienze oggettive specializzate, il positivismo definisce dunque due conoscenze operative valide: la conoscenza matematica, all’avvio della ricerca oggettiva, e la conoscenza epistemologica, al termine provvisorio di questa stessa ricerca. Il postulato del positivismo inerente a questa classificazione può formularsi così: l’operazione, matematica o riflessiva, che precede o che segue il rapporto del soggetto conoscente all’oggetto conosciuto, non è parte integrante della conoscenza oggettiva. Questo postulato significa che, tra le operazioni che il soggetto conoscente è portato a compiere per cogliere l’oggetto conosciuto, alcune sono dotate di un valore “oggettivo”, mentre altre non si trovano affatto investite dello stesso privilegio, in particolare le operazioni di misura e di generalizzazione, di comparazione dei risultati ottenuti nei diversi campi e di scoperte di analogie nelle formule che esprimono fenomeni differenti. La formulazione dell’ipotesi è un’operazione privilegiata e di essa sola l’esperienza inficia o conferma la validità. Il positivismo opera dunque una separazione tra due elementi che costituiscono l’assiomatica di una scienza: l’assiomatica strutturale – l’ipotesi che diventa legge mediante la verifica, e che è un rapporto enunciato tra due fenomeni – e l’assiomatica operativa, che, sotto forma matematica e 13
Intervista sulla meccanologia (1968) GILBERT SIMONDON JEAN LE MOYNE
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uest’intervista con Jean Le Moyne1 ebbe luogo nell’agosto 1968 a Tence (HauteLoire), nella casa di famiglia di Gilbert Simondon. Fu registrata per la televisione canadese da Jacques Parent (Un’intervista sulla meccanologia, Gilbert Simondon, Jean Le Moyne). Diamo qui la versione completa e rivista a partire dalla trasmissione della trascrizione dell’intervista che Jean Le Moyne aveva stabilito, rivista da Gilbert Simondon (che le aggiunse alcune note e schemi), insieme a un supplemento sulla ruota redatto in una lettera ulteriore (mentre Jacques Parent e Jean Le Moyne preparavano un film sulla ruota). Il titolo dell’intervista non è di Gilbert Simondon, che impiega solo eccezionalmente la parola “meccanologia” in Du mode d’existence des objets techniques: una volta, come equivalente di “tecnologia generale” (scienza, ancora da fondare, delle correlazioni e delle trasformazioni a partire dalle compatibilità realizzate negli schemi di funzionamento degli oggetti tecnici concretizzati); un’altra volta, come equivalente di una parte della tecnologia generale (la meccanologia che studia piuttosto gli individui tecnici completi; l’organologia che studia gli ogL’intervista, intitolata “Entretien sur la mécanologie”, è contenuta in G. Simondon, Sur la technique, 1953-1983, Puf, Paris 2014; cura e trad. di A.S. Caridi, Sulla tecnica, Orthotes, Napoli-Salerno 2017, pp. 341-374. Si ringrazia la casa editrice Orthotes per l’autorizzazione alla pubblicazione del testo. (Le N.d.C. sono di Nathalie Simondon, curatrice dell’edizione francese.) 1. All’epoca regista al National Film Board, in Canada. [N.d.C.]
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getti tecnici al livello dell’elemento). In quest’intervista, la parola “meccanologia”, scelta da Jean Le Moyne, deve essere compresa secondo l’impiego che ne fanno i ricercatori di Quebec, i quali, definendo la meccanologia “lo studio comparato delle macchine” secondo Jacques Lafitte (Studio sistematico delle macchine, 1932), includono in essa i “profitti marginali”, cioè “la penetrazione dei gravi problemi attuali creati dalle innovazioni tecnologiche” cercando “un nuovo sistema di riferimento nella prospettiva del rapporto tra l’uomo e la macchina” (cfr. la nota di presentazione del convegno sulla meccanologia organizzato nel marzo 1971 dal Centro culturale canadese a Parigi, rue de Constantine). Quando Jean Le Moyne gli domanda se si iscrive in una corrente “meccanologica”, Gilbert Simondon prende la parola innanzitutto nel senso della sensibilità poetica nei confronti dell’esistenza delle tecniche e delle macchine nella natura (l’industria più perfetta nella natura più naturale) come in Jules Verne, sottolineando poi, senza soffermarsi, la parte dei “filosofi, tecnici o specialisti della meccanologia propriamente detta”. La pubblicazione del testo di quest’intervista2 richiede alcune osservazioni. Gilbert Simondon si impone di rispettare la questione posta, senza rettificare, se del caso, gli elementi concettuali o i termini che Jean Le Moyne gli attribuisce. Occorre dunque rimanere prudenti davanti a certe risposte: la prima, soprattutto, che evoca delle “coincidenze universitarie” per le sue ricerche, ne è un perfetto esempio. Allo stesso modo, in un’altra intervista, con Jacques Charbonnier, su France Culture, gli si suggerisce che ha preso conoscenza di un autore come Lafitte solo qualche settimana prima dell’intervista, cosa che egli non rettifica… mentre ne fa menzione diversi anni prima in uno dei suoi corsi. Jean Le Moyne. Ho già avuto, professor Simondon, l’occasione di dirle l’impatto straordinario che Du mode d’existence des objets 2. La pubblichiamo con l’autorizzazione di Jean Le Moyne. Il testo è stato depositato nel fondo Jean Le Moyne, Archivi nazionali del Canada, a Ottawa, MG30, D358, ed è stato pubblicato nel marzo 2009 nella “Revue de synthèse”, vol. 130, 1. [N.d.C.]
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techniques ha avuto su tutti coloro che ha raggiunto, ma alla nostra ammirazione si unisce una certa sorpresa. Ci chiediamo spesso come un pensiero così fortemente centrato come il suo sul problema dell’individuazione sia arrivato alla meccanologia, a studiare l’oggetto tecnico in quanto tale? Gilbert Simondon. Capisco… In effetti, non saprei dire, vi sono sempre delle casualità universitarie. Tuttavia, una relazione reale mi sembra esistere, nel senso che un oggetto tecnico esiste, si costituisce, innanzitutto come un’unità, un’unità solida, un intermediario tra il mondo e l’uomo, un intermediario forse tra due altri oggetti tecnici e che la prima fase del suo sviluppo è, prima di tutto, una fase di costituzione dell’unità, una fase di costituzione della solidità. Prenda uno strumento; che cosa costituisce l’essenziale di uno strumento? È il fatto di essere un rapporto, un intermediario tra il corpo dell’operatore e le cose sulle quali agisce, ma anche il fatto, innanzitutto, se è un buono strumento, di non poter essere disarticolato, di essere ben costituito. Secondo le diverse culture, si trova, per esempio, un’immanicatura a collare, un’immanicatura a manicotto, un’immanicatura a cerchio o a filo; sono diverse soluzioni che sono appropriate al legno duro, al legno medio, al legno tenero dei paesi del Nord. Queste diverse soluzioni sono tutte razionali, se si tiene conto dei due elementi costitutivi – cioè, il ferro da un lato e il manico dall’altro – e se ci si rende conto d’altra parte che la funzione dello strumento è di stabilire un rapporto costante e non fallace tra il corpo dell’operatore e l’oggetto sul quale agisce. Vi è un’individualità, ma un’individualità interiormente coerente dell’oggetto, anche dello strumento. Non prendiamo, per adesso, altri oggetti tecnici; ho preso il più elementare, quello, per esempio, che Leroi-Gourhan ha studiato in Milieu et techniques o L’homme et la matière. J.L.M. Ma se passiamo adesso alla macchina, lo stesso principio d’individuazione si ritrova, si ritrova lo stesso principio d’individuazione ma, forse, dialettizzato. G.S. Si ritrova perché il punto di partenza quasi necessario è 38
Simondon e la tecno-estetica XAVIER GUCHET
Introduzione Simondon non ci ha lasciato una vera e propria teoria estetica,1 sebbene i commentatori si interessino sempre più ai testi del corpus simondoniano che trattano l’argomento, in particolare al concetto di “tecno-estetica”. Se Pascal Chabot2 vede in tale concetto una modificazione decisiva dell’attitudine estetica nella sua accezione classica – che abbandona così la contemplazione delle belle forme e si tramuta in sensibilità per le operazioni –, Gilbert Hottois3 vi coglie al contrario una risposta ancora classica alle sfide poste dalle tecno-scienze contemporanee: se queste ultime ci mettono al cospetto di una creazione illimitata di nuovi esseri, la tecno-estetica sarebbe una risposta che, attingendo al vecchio repertorio delle risposte di tipo simbolizzante, si basa sull’ideale di una padronanza del reale attraverso la saggezza contemplativa. La postura tecno-estetica consisterebbe nel riconfigurare la tecnica mediante un’esperienza estetica, in funzione e all’occasione di una presa in carico etica e politica. Giovanni Carrozzini4 sottolinea, Xavier Guchet insegna all’Université de Technologie de Compiègne, dove fa parte dell’équipe Costech (Connaissance organisation et systèmes techniques), ed è membro del centro Cetcopra (Centre d’étude des techniques, des connaissances et des pratiques) dell’Université Paris 1 Panthéon-Sorbonne. 1. Cfr. per esempio J. Garrelli, De l’entité à l’événement. La phénoménologie à l’épreuve de la science et de l’art contemporains, Mimésis, Paris 2014, p. 26 nota 46. 2. P. Chabot, La philosophie de Simondon, Vrin, Paris 2003. 3. G. Hottois, “Technoscience et technoesthétique chez Gilbert Simondon”, in P. Chabot (a cura di), Simondon, Vrin, Paris 2002, pp. 89-105. 4. G. Carrozzini, “Esthétique et techno-esthétique chez Simondon”, in J.-H. Barthélémy (a cura di), Cahiers Simondon, vol. III, L’Harmattan, Paris 2011, pp. 51-69.
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per suo conto, la prossimità di Simondon e Dufrenne, ma anche come Simondon abbia superato la concezione dell’estetica quale esperienza fenomenologica, per accostarla piuttosto al design industriale, contestando ogni pertinenza alla coppia concettuale bello/utile ai fini di una qualificazione delle produzioni umane – punto sul quale insiste anche Ludovic Duhem,5 ricorrendo a una lettura incrociata di Simondon e Kant e sostenendo così che l’arte è sempre indissolubilmente tecnica ed estetica, tecno-estetica. Se i commentatori convergono dunque verso la constatazione dell’esistenza di un pensiero estetico in Simondon, così come di una forte articolazione tra tecnica ed estetica, non hanno notato in genere, o comunque non in maniera abbastanza netta, che l’estetica è costantemente presente nel corpus simondoniano. Simondon torna regolarmente sulla questione dei rapporti tra tecnica ed estetica, sin dai suoi primi testi concernenti la pedagogia, nei quali presagisce l’esigenza di sensibilizzare gli studenti alla bellezza delle tecniche, fino all’ormai celebre testo del 1982 sulla tecno-estetica6 (chiamato a torto “Lettera a Derrida”, visto che Simondon non ha mai inviato il suo testo a quest’ultimo). Simondon si serve spesso degli stessi identici esempi, per quanto si verifichino diversi spostamenti e i concetti cambino – e quello di tecno-estetica, perlomeno, non appare prima della redazione del testo scritto nel 1982. Il presente articolo intende rintracciare le occorrenze della riflessione sull’estetica e i suoi rapporti con la tecnica nell’insieme del corpus simondoniano, per enucleare le poste in gioco della tecno-estetica che egli auspicava all’inizio degli anni ottanta. Una decina di anni dopo la redazione del testo sulla tecnoestetica appare un’opera di Jean-Claude Chirollet esattamente su questo tema.7 Chirollet non conosce, verosimilmente, il testo di 5. L. Duhem, Introduction à la techno-esthétique, “Archée. Revue d’art en ligne: arts médiatiques et cyberculture”, <archee.qc.ca/ar.php?page=article&no=343>. 6. In G. Simondon, Sulla tecnica (2014), trad. di A.S. Caridi, Orthotes, Napoli-Salerno 2017. 7. J.-C. Chirollet, Esthétique et technoscience. Pour la culture techno-esthétique, Mardaga, Liège 1994.
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Simondon pubblicato da Derrida all’inizio degli anni novanta. Nel suo libro difende la necessità di oltrepassare il divario tra cultura e tecnica e milita a favore del riconoscimento delle ricche potenzialità delle nuove tecnologie informatiche. Chiama “tecno-estetico” tale riconoscimento, fermento di una cultura infine riunificata. Di conseguenza, senza fare riferimento a Simondon, Chirollet sembra ritrovare quasi parola per parola il programma che era stato delineato da Simondon in Du mode d’existence des objets techniques (riunificare la cultura) e che la tecno-estetica recupera ormai quale suo compito proprio. E se Simondon ha evocato in maniera allusiva la tecno-estetica nel testo del 1982 – testo tardivo e, ne conveniamo, senz’altro incompiuto – il programma si trovava già abbozzato, in ogni caso, nelle prime pagine di Du mode d’existence des objets techniques. Chirollet non avrebbe fatto altro che seguire l’orientamento indicato da Simondon di una tecno-estetica come cultura completa, che superi il divario tra la cultura ufficiale (quella delle arti e delle scienze umane) e le tecniche. Malgrado sia seducente scorgere il programma di una tecno-estetica sul modello dell’introduzione di Du mode d’existence des objets techniques, secondo l’orientamento assunto da Chirollet (e sembrerebbe senza saperlo, visto che Du mode d’existence des objets techniques non è citato), vorremmo prendere un’altra direzione e identificare al titolo di tecno-estetica un problema che non si lascia ricondurre a quello della cultura incompleta – e che ci porterà, almeno, a contestare la lettura critica di Hottois (che lega invece la tecno-estetica all’ideale di una padronanza simbolica delle tecno-scienze da parte di una cultura divenuta completa), oltre che, infine, a difendere la tesi di un significato schiettamente politico della tecno-estetica simondoniana. È il problema dei rapporti tra le tecniche e la vita. Simondon propone nientemeno che la riconsiderazione del gesto separatore la cui espressione senza dubbio più compiuta si trova in Kant: si tratta di un gesto consistente nell’espulsione della tecnica dalla facoltà del piacere e del dispiacere, recidendo così l’uomo tecnico dal “sentimento della sua stessa vita” – gesto le cui ripercussioni politiche non possono essere minimizzate. 78
L’epistemologia politica di Simondon ANDREA BARDIN
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a filosofia dell’individuazione di Simondon manifesta ambizioni sistematiche pari a quelle espresse dal progetto cibernetico di una teoria generale dell’informazione che, nel corso degli anni cinquanta, il filosofo francese assume criticamente da modello per la sua opera principale, L’individuazione alla luce delle nozioni di forma e d’informazione.1 Nel suo enciclopedico capolavoro, Simondon aspira infatti a elaborare una “assiomatizzazione” delle scienze naturali e sociali basata su una teoria dei processi informazionali che attraversi tutti i regimi di individuazione: fisico, biologico, tecnico e psichico-collettivo.2 Nel corso della sua stesura, però, allestisce, di fatto, un laboratorio di sperimentazione epistemologica denso di implicazioni politiche che l’orizzonte del sistema non sembra esaurire. Tali implicazioni, perlopiù confinate nella parte della sua opera che affronta il tema della tecnica e del suo rapporto con i processi sociali, il cui apice è senz’altro Du mode d’existence des objets techniques,3 rimangono in gran parte da esplicitare. Andrea Bardin è lecturer in Politics alla Facoltà di scienze sociali della Oxford Brookes University. 1. G. Simondon, L’individuazione alla luce delle nozioni di forma e d’informazione (1958), a cura di G. Carrozzini, Mimesis, Milano-Udine 2011 (d’ora in poi: L’individuazione). 2. Cfr. in particolare Id., “Forma, informazione, potenziali”(1960), in L’individuazione, cit., pp. 731-760. 3. Cfr. Id., Du mode d’existence des objets techniques, Aubier, Paris 1958. Per un’introduzione generale al tema, cfr. A. De Boever et al. (a cura di), Gilbert Simondon.
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Il mio intento è di offrire in quanto segue una visione sintetica della relazione tra l’ontologia e l’epistemologia elaborate da Simondon nell’Individuazione, fornendo in chiusura alcuni accenni alla possibile rilevanza politica del suo lavoro nel senso di una critica dell’ideologia che denunci l’illusorietà di un’ontologia sostanzialista e determinista, senza proporre, per contro, un’ontologia alternativa che dissolva l’individualità e i nessi causali.4 Per muoversi in questa direzione, sarà necessario fare leva su alcune osservazioni di Gaston Bachelard relative alla fisica quantistica e sulla filosofia della vita di Georges Canguilhem, indiscusso maestro di un’intera generazione e directeur de thèse complémentaire di Simondon.5 1. Metodo di una filosofia dell’individuazione Simondon eredita il proprio progetto da Norbert Wiener, padre della cibernetica, che assume il concetto di informazione quale paradigma da estendere, in linea di principio, a tutti i campi della ricerca scientifica: dalla tecnologia delle comunicazioni alla fisica, dalla biologia alla psicologia, dalla sociologia all’economia politica. Dalla ricerca di Wiener, Simondon ricava non solamente un progetto sistematico, ma anche una concezione dell’individuo che pone innanzitutto un problema di tipo ontologico: “L’individualità del corpo è piuttosto quella di una fiamma che quella di una pietra, quella di una forma anziché quella di un frammento di sostanza”.6 Tale problema si riflette necessariamente sull’epistemologia. In ogni ambito di ricerca, infatti, una “zona oscura” occulta la genesi di ciò che l’immaginazione filosofica di un Being and Technology, Edinburgh University Press, Edinburgh 2012. Per uno studio più analitico, che consideri anche i corsi di psicologia, cfr. G. Carrozzini, Gilbert Simondon, filosofo della “Mentalité technique”, Mimesis, Milano-Udine 2011. 4. Per una lettura sistematica della filosofia politica di Simondon in relazione alle sue fonti, cfr. A. Bardin, Epistemology and Political Philosophy in Gilbert Simondon: Individuation, Technics, Social Systems, Springer, Dordrecht 2015. 5. I referenti per le due tesi di dottorato di Simondon, L’individuazione e il Du mode, furono rispettivamente Hyppolite e Canguilhem. 6. N. Wiener, Introduzione alla cibernetica. L’uso umano degli esseri umani (1950), trad. di D. Persiani, Bollati Boringhieri, Torino 2008, p. 125.
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individuo-sostanza ha sempre reso invisibile, ovvero la realtà dei processi di individuazione. In particolare, una tale concezione dell’individuo nasconde i processi a partire dai quali non solo gli oggetti ma anche i soggetti della ricerca scientifica si costituiscono. È per questo che Simondon apre l’introduzione all’Individuazione con una doppia critica al dualismo ilomorfico di matrice aristotelica e al materialismo riduzionista. Il suo sforzo mira, in entrambi i casi, a dimostrare l’inadeguatezza dell’apparato concettuale della tradizione filosofica in relazione alle acquisizioni del pensiero scientifico del XX secolo che, in particolare nel campo della fisica quantistica, contribuiscono a definire il presupposto generale della filosofia dell’individuazione ovvero che, “a rigore, non si può parlare di individuo, ma di individuazione”.7 In un certo senso la sua critica attacca, come vedremo, tutta la fondazione filosofica della fisica meccanica classica, coinvolgendo in egual misura la teoria moderna della natura come tutto deterministico e i soggetti metafisico-cartesiano e trascendentale-kantiano che ne costituiscono il polo complementare. Con l’intenzione di risalire a monte della stessa impresa fondativa moderna, la filosofia dell’individuazione di Simondon pone così “il problema della realtà completa, precedente l’individuazione da cui emerge il soggetto del pensiero critico e dell’ontologia”.8 A questo fine, Simondon non intende definire univocamente un metodo, ma sperimentare piuttosto l’utilizzo di una serie di differenti strumenti teorici atti a descrivere sistemi lontani dall’equilibrio (metastabili) e processi parzialmente discontinui (trasduttivi) anziché “esseri” e “catene causali”. Nelle sue opere un’impressionante varietà di analisi di processi di ogni tipo, dalla produzione di un mattone alla riproduzione di una colonia di celenterati, dal funzionamento di una turbina alla diffusione di una credenza, fino alla circolazione di un oggetto tecnico, accompagna il tentativo di ricavare la definizione di una serie di paradig7. G. Simondon, L’individuazione, cit., p. 257. 8. Ivi, p. 364.
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L’“effetto Simondon” e le sfide del XXI secolo JEAN-HUGUES BARTHÉLÉMY
Introduzione Come riconciliare (a) la tecnica e la natura, (b) la tecnica e la cultura, (c) la natura e la cultura? Se vi è oggi, incontestabilmente, un “effetto Simondon”, questo accade innanzitutto perché il filosofo francese è senza dubbio il solo a poter rispondere contemporaneamente a queste tre domande. Proprio per questo il “nuovo enciclopedismo” – di cui egli ha posto le basi nel 1958 nelle sue due tesi di dottorato e che, sulla sua scia, è necessario riprendere e sviluppare1 – sarà in grado di rispondere tanto alle sfide quanto alle questioni urgenti del XXI secolo: – abbiamo bisogno di un pensiero capace di mostrare (a) in che cosa i soggetti detentori di diritti non siano semplicemente le “persone” umane e (b) che, tra le numerose cause dell’Antropocene, vi è una confusione – ampiamente sostenuta dalla religione – a proposito del posto della nostra specie nell’universo;2 Jean-Hugues Barthélémy è direttore del Centre international des études simondoniennes. 1. J.-H. Barthélémy, La société de l’invention. Essai d’écologie humaine, in corso di pubblicazione. Quest’opera, che ridefinisce i diversi campi della filosofia, con lo scopo di ricostruirli, procede al tempo stesso alla ri-fondazione inglobante (refondation englobante) dell’ontologia di Simondon. 2. Nonostante la sua lettera enciclica ecologista che fa appello a una “ecologia integrale”, malgrado pure il suo riferimento all’amore universale di san Francesco d’Assisi, che si rivolge persino ai fiori, o ancora, malgrado la sua riabilitazione di Pierre Teilhard de Chardin – il cui La place de l’homme dans la nature (1956) venne censurato dal Vaticano –, papa Francesco scrive ancora che “Dio ha consegnato il mondo agli esseri umani” (Laudato si’, Introduzione, § 5). Una simile affermazione indica chiaramente che, nella misura in cui l’uomo viene considerato come creato da Dio “a sua immagine”, l’antropocentrismo è iscritto nel cuore dei monoteismi come prima e ultima illusione. Per questa ragione il più
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– abbiamo bisogno di un pensiero capace di mostrare (a) che la cultura prolunga la natura e (b) che essa lo fa già attraverso le protoculture animali; – abbiamo bisogno di un pensiero capace di mostrare che la tecnica, costituendo una dimensione essenziale della cultura, prolunga essa stessa la natura; – più in generale ancora, abbiamo bisogno di un pensiero capace di rifiutare tutte le opposizioni che ancora regnano nel “campo di battaglia” (Kant) della filosofia: idealismo/realismo, dogmatismo/scetticismo, innatismo/empirismo, ma anche meccanicismo/vitalismo, psicologismo/sociologismo e umanesimo/tecnicismo, dal momento che è il superamento di queste ultime tre opposizioni ciò che predilige Simondon.3 Se, a partire da Simondon anziché da altri, perveniamo alla costruzione di questo pensiero, avremo allora – non solo, ma anche – un’economia politica ecologica per il secolo a venire, ovvero quel secolo in cui l’uomo è diventato la suprema minaccia per il futuro del pianeta. Questo comporta di rifondare altrimenti i cosiddetti “diritti”. In Imagination et invention (1965-1966), Simondon scrive che “in ogni epoca, le invenzioni normative operano una scoperta di compatibilità per modi d’esistenza che non avevano alcun senso, né punto di innesto, nelle strutture normative precedenti”.4 Vi è qui un appello a fare ciò che i pensieri post-marxisti del “sospetto” non hanno mai voluto fare: riprendere la questione della fondazione filosofica del diritto, invece di lasciarla ai pensieri del “contratto”, col pretesto che l’economia politica non sarebbe filosofia del diritto – cosa che essa deve diventare. Il lavoro di Simondon sarebbe in questo modo ampiamente prolungato e completato. Ovviamente, non si tratterà qui di compiere questo lavoro, ma solo di introdurre quei grandi aspetti che in quindici anni grande trauma che questi monoteismi potrebbero subire sarebbe l’incontro di una forma d’intelligenza non-umana, ma più potente e più saggia della nostra. 3. Si veda il mio Simondon, Les Belles Lettres, Paris 20162. 4. G. Simondon, Imagination et invention (1965-1966), Les Éditions de La Transparence, Chatou 2008, p. 158.
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credo di aver sviluppato nell’opera di Simondon,5 insistendo per questa ragione sul suo enciclopedismo, ma anche sulle specifiche difficoltà della ricezione e della comprensione di un’opera e di un pensiero che sono, allo stesso tempo, mal pubblicati e ricchi di paradossi inesplicati.6 1. Enciclopedismo “genetico” e umanismo “difficile” Ho denominato “enciclopedismo genetico” la dottrina filosofica di Simondon,7 poiché, da un lato, nella sua tesi complementare per il doctorat d’État (Du mode d’existence des objets techniques)8 egli invocava un “nuovo enciclopedismo” e, dall’altro, perché nella sua tesi principale (L’individuation à la lumière des notions de forme et d’information)9 egli proponeva un pensiero ontogenetico, che costruisse ponti tra le scienze per mezzo del suo pensiero dei “regimi d’individuazione”: il fisico, il vitale e lo psico-sociale, o “transindividuale”. Del resto, Simondon ha redatto un “progetto di enciclopedia genetica”,10 sebbene non abbia mai riunito gli elementi della propria filosofia sotto il nome di enciclopedismo genetico. 5. Per un breve bilancio in lingua inglese, si veda il mio Life and Technology: An Inquiry Into and Beyond Simondon, trad. di B. Norman, Meson Press, [s.l.] 2015. Per un approfondimento si vedano le mie due introduzioni Penser l’individuation. Simondon et la philosophie de la nature e Penser la connaissance et la technique après Simondon (L’Harmattan, Paris 2005). 6. Dopo La société de l’invention, tornerò, in La philosophie du paradoxe, sulla fondamentale differenza tra paradosso e contraddizione, differenza oggi troppo ignorata, proprio come quella tra pensiero analogico (Simondon) e pensiero metaforico (Deleuze). 7. J.-H. Barthélémy, Simondon ou l’encyclopédisme génétique, Puf, Paris 2008. Dato che quest’opera non è stata al momento riedita, potrebbe essere utile consultare il mio Simondon, cit., che presenta tra l’altro il vantaggio di includere tanto un glossario, quanto un sottocapitolo dedicato alle diverse posterità di Simondon e alle interpretazioni errate che queste favoriscono spesso, in particolare, tra alcuni ricercatori influenzati dalle opere di Gilles Deleuze e Bernard Stiegler, ma che rivendicano di lavorare su Simondon. La sua opera resta, al momento, poco capita, e il Centre international des études simondoniennes, che raggruppa dodici ricercatori di sei diverse nazionalità (tra cui due membri italiani: Andrea Bardin e Giovanni Carrozzini) si è dato come obiettivo quello di spiegare quest’opera rispettandone il senso, al contempo complesso e specifico, del suo testo. 8. G. Simondon, Du mode d’existence des objets techniques, Aubier, Paris 1958. 9. Id., L’individuation à la lumière des notions de forme et d’information, Jérôme Millon, Grenoble 2005; trad. di G. Carrozzini, L’individuazione alla luce delle nozioni di forma e d’informazione, Mimesis, Milano-Udine 2011. 10. Testo rimasto inedito.
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L’addio a Kant di Foucault e Simondon GIOVANNI CARROZZINI
“It is enough.” And these were his last words. It is enough! Sufficit! Mighty and symbolic words! Thomas de Quincey, The Last Days of Immanuel Kant (1827)
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e filosofie di Foucault e Simondon, occupandosi di genealogia e di genesi, si sono concentrate, fra l’altro, sul ruolo delle regole di funzionamento, rispettivamente di campi oggettivi/formazioni storiche e processi in atto. Foucault è giunto a designarle come a priori, seppur storici, e Deleuze ha intravisto anche per questo nel suo pensiero una forma rinnovata di trascendentalismo.1 È possibile condividere questa lettura ampliandola anche alla riflessione di Simondon? Si cercherà di rispondere a questo interrogativo esaminando dapprima la nozione di “a priori storico” di Foucault e in seguito l’indagine di Simondon in L’individuazione alla luce delle nozioni di forma e d’informazione. Dal confronto fra le ricerche dei due pensatori, si individueranno le difficoltà connesse alla loro assimilazione al trascendentalismo, seppur rinnovato, e si proporrà, infine, una nuova definizione per queste filosofie. 1. Sugli a priori storici di Foucault: per una nuova filosofia trascendentale? Il trascendentale in senso kantiano è una delle nozioni più influenti della storia del pensiero occidentale, al centro di dibattiti sin dai Giovanni Carrozzini è dottore di ricerca in Discipline storico-filosofiche all’Università del Salento. 1. In merito al trascendentale in Simondon, cfr. A. Bardin, “Gilbert Simondon: trascendentale e filosofia dell’individuazione”, in G. Rametta (a cura di), Metamorfosi del trascendentale. Percorsi filosofici tra Kant e Deleuze, Cleup, Padova 2008, pp. 301-339.
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tempi della sua formulazione. Nella seconda metà del XIX secolo, sorsero peraltro delle scuole neokantiane che si proposero di analizzare le possibili applicazioni del trascendentale a contesti trasformati dalle svolte culturali. Alcuni dei loro rappresentanti assegnarono al trascendentale una dimensione storica del tutto assente nella sua enunciazione originaria. Questa storicizzazione del trascendentale scaturiva, a sua volta, da quella della nozione di a priori. D’altro canto, a priori e trascendentale sono tradizionalmente connessi; Kant, infatti, intese per filosofia trascendentale “ogni conoscenza che in generale si occupa non tanto degli oggetti quanto invece del nostro modo di conoscere gli oggetti, nel senso che tale modo di conoscenza deve essere possibile a priori”.2 Nel contesto filosofico francese degli anni sessanta e settanta, anche Michel Foucault procedette a una singolare storicizzazione dell’a priori. Come osserva, infatti, Gilles Deleuze: “Foucault si propone di individuare gli elementi puri. Questo spiega l’uso di una espressione insolita come ‘a priori’ in L’archeologia del sapere. […] Il visibile e l’enunciabile sono gli a priori. Ma di che cosa? Gli a priori di un’epoca, gli a priori di una formazione storica. Di qui l’idea assai bizzarra di Foucault […] secondo cui gli a priori sarebbero storici”.3 Ora, in merito ai suoi a priori Foucault afferma: “Con [essi] intendo designare un a priori che sia non condizione di validità per dei giudizi, ma una condizione di realtà per degli enunciati”.4 L’a priori foucaultiano è pertanto “l’insieme delle regole che caratterizzano una pratica discorsiva; ma queste regole non s’impongono dall’esterno agli elementi che mettono in relazione; sono implicate proprio in ciò che collegano; e se non si modificano col più piccolo di essi, tuttavia li modificano, e si trasformano con loro in certe soglie decisive”.5 2. I. Kant, Critica della ragione pura (1781), trad. di G. Colli, Adelphi, Milano 2001, p. 67. 3. G. Deleuze, Il sapere. Corso su Michel Foucault (1985-1986), vol. I , trad. di L. Feltrin, ombre corte, Verona 2014, p. 43. 4. M. Foucault, L’archeologia del sapere. Una metodologia per la storia della cultura (1969), trad. di G. Bogliolo, Rizzoli, Milano 2009, p. 130. 5. Ivi, p. 132.
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Se si considera il menzionato legame fra a priori e trascendentale, tutta la ricerca “archeologica” foucaultiana, in quanto indagine su degli a priori, potrebbe essere concepita come una filosofia trascendentale, seppur modificata perché storicizzata. È Deleuze a proporne questa interpretazione già nel 1967, evidenziando in Foucault la sua “nuova ripartizione dell’empirico e del trascendentale dove quest’ultimo si trova a essere definito da un ordine di posti, indipendentemente da coloro che li occupano empiricamente. Lo strutturalismo non è separabile da una nuova filosofia trascendentale, dove i posti prevalgono su ciò che li occupa”.6 È possibile condividere questa lettura? Per rispondere, occorre richiamarsi a cosa Foucault pensi del trascendentale e per farlo ci si baserà su un suo dibattito con Giulio Preti.7 In questo contesto, il neokantiano pavese sostiene che tutto il metodo diagnostico di Foucault si inscriva nell’orizzonte del trascendentalismo; Foucault, tuttavia, rigetta questa assimilazione, attenuando la centralità del trascendentale nella sua filosofia: “In tutta la mia ricerca io mi sforzo […] di evitare qualsiasi riferimento a questo trascendentale, che sarebbe una condizione di possibilità per qualsiasi conoscenza. […] Cerco di storicizzare al massimo per lasciare meno spazio possibile al trascendentale”.8 Sulla scorta di questi rilievi, dunque, non sembrerebbe possibile assimilare il suo pensiero a un trascendentalismo, seppur rinnovato à la Deleuze. Si tratta, allora, di comprendere per quale motivo, pur avendo impiegato una nozione come quella di a priori, Foucault si rifiuti di assimilare la sua ricerca a un trascen6. G. Deleuze, Lo strutturalismo (1973), a cura di S. Paolini, SE, Milano 2004, pp. 2021. Deleuze intravede in Foucault una “nuova filosofia trascendentale” in ragione del suo “strutturalismo”, corrente rispetto a cui, tuttavia, Foucault evidenzierà a più riprese la propria estraneità. Deleuze, allora, sembrerebbe farne un nuovo trascendentalista perché ne fa, in primo luogo, uno strutturalista. 7. Foucault si era occupato della nozione di trascendentale già nel 1966, configurando, peraltro, l’uomo come “allotropo empirico-trascendentale”. Cfr. M. Foucault, Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane (1966), trad. di E. Panaitescu, Rizzoli, Milano 1967, p. 343. 8. G. Preti, M. Foucault, Un dibattito Foucault-Preti, a cura di M. Dzieduszycki, “Il Bimestre”, 22-23, 1972, p. 2.
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Individuazione, costituzione, immaginazione FRANCESCA DELL’ORTO
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el corso tenuto all’Institut de psychologie della Sorbona nell’anno accademico 1965-1966 e pubblicato nel 2008 con il titolo Imagination et invention, Gilbert Simondon descrive la relazione tra immaginazione e invenzione come un’unità genetica fondata sul dinamismo trasduttivo dell’immagine. Idea, questa, che andava già delineandosi nella tesi complementare di dottorato Du mode d’existence des objets techniques, uscita nel 1958, e che sembra avvalorare il giudizio di Deleuze, suscitato dalla lettura di L’individu et sa genèse physico-biologique,1 secondo cui Simondon avrebbe inaugurato “una nuova concezione del trascendentale”.2 L’argomento che vorremmo provare a discutere in questa sede è che se alla definizione simondoniana sostituissimo quella di “unità genetica fondata sul dinamismo ritenzionale della costituzione” otterremmo una coerente enunciazione di ciò che, nella fenomenologia husserliana, corrisponde al trascendentale.3 Francesca Dell’Orto è dottoressa di ricerca in Filosofia teoretica all’Università di Torino e Paris-Sorbonne (Paris 4). 1. G. Simondon, L’individu et sa genèse physico-biologique, Puf, Paris 1964. 2. G. Deleuze, Logica del senso (1969), trad. di M. De Stefanis, Feltrinelli, Milano 1975, p. 197. 3. Per ragioni di spazio e di efficacia espositiva limitiamo il nostro intento, di per sé già piuttosto ambizioso, a una lettura fenomenologica della tematica esposta. Per un’analisi più completa e puntuale sul tema del trascendentale in Simondon rimandiamo al saggio di A. Bardin, “Gilbert Simondon: trascendentale e filosofia dell’individuazione”, in G. Rametta (a cura di), Metamorfosi del trascendentale. Percorsi filosofici tra Kant e Deleuze, Cleup, Padova 2008, pp. 301-339.
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Procediamo con ordine, ripercorrendo brevemente gli snodi fondamentali in cui si articola la tesi di Simondon. Egli chiama trasduzione quella relazione dinamica che costituisce, “individua”, i termini stessi messi in rapporto; essa è dinamica perché, a partire da un orizzonte preindividuale, tende verso continue forme di unità in un processo mai concluso: in altre parole, la trasduzione è temporale, cioè animata da uno sfasamento interno: “L’essere non possiede un’unità di identità, come nel caso dello stato stabile, nel quale non si possono verificare trasformazioni; al contrario, l’essere possiede un’unità trasduttiva: in altre parole esso può sfasarsi in rapporto a se stesso e può straripare da una parte all’altra del suo centro”.4 Ogni ente individuale non costituisce che una fase metastabile di un processo di individuazione, laddove la metastabilità indica il costitutivo differimento trasduttivo dell’identità individuale. Parlare di relazione genetica come condizione dell’individuazione significa per Simondon, ispirato dalla termodinamica di Bohr e Heisenberg,5 sostenere che ogni ente è più che unità e più che identità, ovvero è inscritto in una totalità preindividuale sovrasatura di potenziali che lo attraversano e lo polarizzano. Il termine “individuo”, dunque, si riferisce a qualunque configurazione ontologica che, pur godendo di una relativa stabilità, è in realtà momento, più o meno provvisorio, di un processo di individuazione sempre in fieri. In questa cornice andrà ripensata anche la nozione di sogget4. G. Simondon, L’individuazione alla luce delle nozioni di forma e d’informazione (2005), trad. di G. Carrozzini, Mimesis, Milano-Udine 2011, p. 43 (d’ora in poi: L’individuazione). 5. In termodinamica, infatti, la metastabilità è una condizione di equilibrio che, a differenza della stabilità, non deriva da un livello minimo di energia, ma al contrario implica un’alta carica di energia potenziale. Se la fisica ci ha abituato a pensare in questi termini a livello subatomico, Simondon ci invita a pensare la metastabilità anche a livello di individuo, nella misura in cui non si dà mai individuazione completa, neppure nel famoso esempio del cristallo, la cui figura fa pensare a un assoluto equilibrio, ma dove tutt’al più si può affermare che lo sfasamento trasduttivo ha raggiunto un grado minimo di “risonanza interna” all’essere individuato. A rigore, dunque, un’ontologia a regime di metastabilità, come quella di Simondon, è un’ontologia in cui non si dovrebbe parlare di individui, ma solo di individuazione, provare a risalire alla genesi invece di sforzarsi di comprendere l’essere già costituito (cfr. ivi, p. 257).
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to, a cui Simondon, al termine della sua tesi principale di dottorato, L’individuazione alla luce delle nozioni di forma e d’informazione, dedica un paragrafo, intitolato appunto “Soggetto e individuo”. Qui il soggetto si delinea come il fenomeno visibile e per così dire cristallizzato di un processo che include in sé, senza esaurirlo, un sistema preindividuale di cariche energetiche: “Sembra scaturire da questo studio […] il fatto che la denominazione di individuo sia attribuita abusivamente a una realtà ben più complessa, ovvero quella del soggetto completo, che comporta in sé, oltre che la realtà individuata, un aspetto inindividuato, preindividuato o, ancora, naturale”.6 L’individualità è perciò soltanto il residuo sostanzializzato del soggetto, il quale, invece, sprofonda continuamente in una “indeterminazione” soggiacente. Lo sfondo preindividuale, così, indeterminato ma metastabilmente aperto all’individuazione, rende ragione della dialettica soggettiva del limite, della costitutiva inadeguatezza del soggetto che si rivela allo stesso tempo sua indispensabile e inesauribile risorsa. Preme sottolineare – in quanto tornerà utile per le analisi successive – che se la mancanza sostanziale che affligge il soggetto rimanda alla sua ontogenesi, al fatto che gli sfugge sempre qualcosa per essere pienamente individuo, l’aspetto eccedente di tale inadeguatezza a qualunque determinazione ontologica si situa invece sul piano dell’in-formazione e dell’invenzione, ovvero su un piano che trascende, o meglio complessifica, l’essere verso la conoscenza. La distinzione tra individuo e soggetto, tutt’altro che scontata, deve essere secondo Simondon teorizzata in modo rigoroso ed esplicito, in quanto a lungo vittima di un ostinato disconoscimento, radicato nell’antica tradizione concettuale dell’ilomorfismo: “Lo schema ilomorfico ostacola la conoscenza della genesi di un reale e impedisce la conoscenza dell’ontogenesi”.7 L’errore del paradigma ilomorfico consiste nel sostanzializzare forma e materia, concepite entrambe come principi già individua6. Ivi, p. 419. 7. Ivi, p. 422.
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Filosofia del campo. Tracce bergsoniane nel pensiero di Simondon GIULIO PIATTI
1. Divergenze convergenti Basta gettare un rapido sguardo alle opere di Gilbert Simondon per rendersi conto che la presenza, al loro interno, del pensiero bergsoniano è senza dubbio importante, capace di porre Henri Bergson al rango di interlocutore costante e privilegiato. Altrettanto evidente è, tuttavia, l’ostico trattamento che Simondon riserva al filosofo della durée, menzionato in senso prevalentemente critico.1 Se la lotta bergsoniana contro le concezioni meccaniciste antiche e moderne aveva certo permesso un ritorno di interesse del pensiero filosofico novecentesco verso tematiche precedentemente ridimensionate, come quella dell’evoluzione della vita,2 la filosofia bergsoniana manifesta tuttavia, secondo Simondon, un limite invalicabile, derivante dal suo irriducibile dualismo. L’intuizione metafisica, perno del metodo bergsoniano, coglierebbe infatti soltanto l’aspetto qualitativo e processuale della realtà, lasciando in ombra e per ciò stesso squalificando tutto ciò che è statico e solido, in una parola la materia, sempre e soltanto colta come degradazione di un indivisibile slancio vitale.3 Prendendo la strada Giulio Piatti è dottorando in Scienze filosofico-sociali all’Università di Roma Tor Vergata, in cotutela con l’Università di Toulouse Jean Jaurès. 1. Cfr. J.-H. Barthélémy, Penser l’individuation. Simondon et la philosophie de la nature, L’Harmattan, Paris 2005, p. 30. 2. Cfr. G. Simondon, Du mode d’existence des objets techniques (1958), Aubier, Paris 2012, p. 215. 3. Cfr. Id., “Allagmatica”, in L’individuazione alla luce delle nozioni di forma e d’informazione (2005), 2 voll., trad. di G. Carrozzini, Mimesis, Milano-Udine 2011, p. 776 (d’ora in poi: L’individuazione).
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di una “monointuizione”,4 Bergson ricadrebbe così in un vitalismo spiritualista, incapace di pensare gli aspetti strutturali del reale se non all’orizzonte di una loro ricomprensione in senso pragmatista, e condannato così a moltiplicare i dualismi tra componenti “creatrici” e continue della realtà (la società aperta e il suo misticismo, la durata, l’intuizione ecc.) e aspetti tanto utilitaristici quanto illusori (la spazialità, la tecnica, il linguaggio, la scienza ecc.). Al di là della cogenza, qui non discutibile, di simili e ripetute accuse di vitalismo, spiritualismo, pragmatismo e sostanzialismo, ciò che interessa notare ora è come, in fondo, Simondon veda nella durata bergsoniana l’elevazione ad assoluto di uno soltanto dei possibili schemi di comprensione del tempo, quello basato sulla continuità.5 Com’è noto, secondo Simondon il processo di individuazione, attivo a tutti i livelli del reale, dalla materia inorganica sino alle più complesse stratificazioni psicosociali, è guidato dal principio, discreto e quantico, della trasduzione,6 vera e propria strutturazione differenziale. Dove, secondo il Bergson riletto da Simondon, vi sarebbe una continuità di interpenetrazione che lega il cosmo nel senso dello slancio vitale, emergono, nella prospettiva simondoniana, dei salti “scalari” che distribuiscono gli strati della realtà secondo differenti regimi di individuazione: se è forse ancora possibile utilizzare l’immagine dello slancio per definire tale “carica d’essere”, questa va tuttavia intesa in senso strettamente preindividuale e previtale, ovvero depurata dal suo riferimento alla vita,7 che costituisce al contrario una specifica fase di individuazione, non sovrapponibile a quella, altrettanto specifica, della materia inorganica. Tali componenti di forte ed esplicito contrasto con la metafisica bergsoniana non impediscono tuttavia di rilevare alcuni più generali tratti di continuità e, anzi, di considerare in un certo
4. Cfr. R. Barbaras, “Préface”, in G. Simondon, Cours sur la perception. 1964-1965, Puf, Paris 2013, p. XIV. 5. Cfr. Id., L’individuazione, cit., p. 309. 6. Cfr. ivi, p. 409. 7. Cfr. ivi, p. 45.
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senso Simondon come un erede di Bergson.8 Il tentativo di dare consistenza al divenire, costituendo un’ontogenesi che renda conto del reale se faisant non può infatti che richiamare il pensiero bergsoniano, le cui analisi sul movimento avevano influenzato un’intera stagione filosofica, compresi alcuni tra gli stessi maestri di Simondon.9 Ritrovando il divenire all’interno dell’essere, Bergson e Simondon si avviano così entrambi verso una filosofia della creazione, capace di accogliere l’emergenza del nuovo senza retroproiettarla nel dominio della possibilità: qui la bergsoniana “creazione continua di imprevedibile novità che sembra perseguirsi nell’universo”10 entra in consonanza con il processo di individuazione inteso come “una comparsa assoluta di essere, una creazione, ovvero come una formazione continua, a partire da elementi che non contengano al loro interno un qualcosa che preannunci l’essere individuato e lo prepari energeticamente”.11 Ecco, allora, perché entrambi cercano di inquadrare la grana processuale del reale secondo modalità genetiche e stratificate, sebbene – si è visto – molto differenti. Il reale coincide così con un’assoluta positività: Simondon – non diversamente da Bergson – si oppone insomma a ogni filosofia dialettica (o della mediazione), che pensi il negativo come tappa intermedia diretta verso una forma di superiore sintesi.12 Ora, al netto di una tale “aria di famiglia” tra le riflessioni di Bergson e Simondon, ci sembra tuttavia che il fulcro – a nostro 8. Cfr. J.-H. Barthélémy, Penser l’individuation, cit., p. 39; U.M. Ugazio, Gilbert Simondon: un’assiomatica aperta, “Philosophy Kitchen”, 5, 2016, p. 72. 9. Georges Canguilhem (suo directeur de thèse) e Maurice Merleau-Ponty (a cui è dedicata la tesi di dottorato sull’individuazione) saranno entrambi esplicitamente influenzati, dopo un primo periodo di rifiuto, dal pensiero di Bergson. Per una ricostruzione dell’influenza bergsoniana nel secolo, cfr. G. Bianco, Après Bergson. Portrait de groupe avec philosophe, Puf, Paris 2015. 10. H. Bergson, “Il possibile e il reale” (1930), in Pensiero e movimento (1932), trad. di F. Sforza, Bompiani, Milano 2010, p. 83. 11. G. Simondon, L’individuazione, cit., p. 431. 12. Sull’inesistenza della sintesi in Simondon, cfr. G. Carrozzini, “Simondoniana. Commento storico-critico analitico de L’individuazione alla luce delle nozioni di forma e d’informazione”, in G. Simondon, L’individuazione, cit., p. 20. Sull’inesistenza del negativo, cfr. Id., L’individuazione, cit., p. 47. Sulla positività del reale in Bergson, cfr. H. Bergson, “Il possibile e il reale”, cit., pp. 88-91.
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Haecceitas e soggetto tra Simondon e Deleuze DAMIANO CANTONE
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ella storia della filosofia medievale, Giovanni Duns Scoto occupa un posto rilevante quanto peculiare. Pur essendo scomparso all’età di soli quarantadue anni e avendo vissuto un’esistenza tutt’altro che serena, egli ha lasciato un’importante eredità teoretica, la cui eco si può ritrovare anche nei due autori oggetto di questo saggio: Gilbert Simondon e Gilles Deleuze. Le sue riflessioni intorno alla problematicità del concetto di individuo, contenute nell’Opus oxoniense, il testo ricavato dalle lezioni tenute a Oxford tra il 1300 e il 1304 sulle “sentenze” di Pietro Lombardo e dal trattato De primo principio, l’opera composta prima della morte avvenuta nel 1308, costituiscono un riferimento importante nel tentativo, da parte dei due autori francesi, di superare la nozione di soggetto individuale. Sebbene i riferimenti diretti all’opera di Scoto siano limitati negli scritti di Simondon, non possiamo tuttavia sottostimarne l’importanza, dato che l’autore francese si trova a riflettere sulla nozione di individuo da una prospettiva analoga a quella dello scozzese.1 E di certo non possiamo farlo per quanto riguarda Deleuze, i cui debiti nei confronti della teoria dell’haecceitas sono ampiamente riconosciuti nei suoi scritti. Il progetto di una filosofia che abbia come presupposto l’univocità dell’essere pren1. Si veda per esempio P. Virno, Gli angeli e il general intellect (2005), “Forme di vita”, 5, 2006, p. 171 sgg.
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de le mosse, all’interno di Differenza e ripetizione, proprio da un’affermazione di Duns Scoto, e continua fino a trovare, tra il 1977 e il 1980, una concretizzazione importante nell’elaborazione del problema della singolarità attraverso appunto la nozione di haecceitas. Non sarà dunque inutile, nel cercare di riavvolgere il filo di queste riflessioni, qualche chiarimento preliminare intorno alla nozione di individuo in Duns Scoto. Nella prima questione dell’Ordinatio II, parte I,2 egli si interroga sulla natura singolare della materia individuale, se sia cioè individuale di per sé o come risultato di un processo di individuazione. Il punto di partenza è l’affermazione di Aristotele contenuta nel libro VII della Metafisica, secondo la quale “la sostanza di ciascuna cosa è propria di ciò in cui è e non appartiene ad altro”. Da questa prospettiva il principium individuationis avrebbe una valenza semplicemente gnoseologica, intervenendo nell’atto intellettuale di conoscenza delle sostanze individuali. L’esistenza di queste ultime sarebbe dunque presupposta, e di conseguenza non necessiterebbe di alcuna ulteriore giustificazione. L’impostazione proposta dal pensatore scozzese risulta incompatibile con questa premessa aristotelica, e ciò in forza della concezione dell’essere come univoco: quella di essere è una nozione trascendentale rispetto agli enti cui si applica. L’essere, cioè, non funge da genere predicabile per analogia sia di Dio che delle creature, ma tanto il primo quanto le seconde sono, sebbene non allo stesso modo (per esempio Dio in quanto essere è infinito, le creature non lo sono). In tal senso ritiene (con Avicenna) che compito della metafisica in quanto scienza sia quello di occuparsi di conoscere l’essere in quanto essere, dunque prescindendo da tutte le sue possibili caratterizzazioni categoriali. Anzi l’essere, in modo analogo agli altri trascendentali, sfugge a ogni possibile categorizzazione e attraversa ogni categorizzazione possibile. 2. Seguiamo in questo saggio l’edizione curata e commentata da A. D’Angelo: G. Duns Scoto, Il principio di individuazione, il Mulino, Bologna 2011.
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Partendo da questo punto, è chiaro che per Scoto l’esistenza di enti individuali è problematica, e di conseguenza ne va indagata la natura. Rifacendosi ad Avicenna, la natura di un singolo ente non è infatti né universale né particolare, ma indifferente a entrambi i modi: “Sebbene infatti nella realtà non esista mai senza una di queste determinazioni, tuttavia di per sé non è alcuna di queste”.3 L’essenza individuale è dunque distinta sia dalla sua esistenza concreta (oggetto dei sensi) sia dalla sua universalità concettuale (oggetto dell’intelletto), sebbene non possa presentarsi a noi che in queste due forme. È “necessario chiedere la causa della singolarità, la quale aggiunge qualcosa alla natura”.4 L’essenza non è quindi singolare di per sé, ma in virtù del qualcosa che viene aggiunto alla sua natura comune, e Scoto, nella seconda parte dell’Ordinatio, passa in rassegna tutte le tesi opposte. In particolare, egli rifiuta ogni argomentazione che faccia leva sul carattere negativo dell’individuazione, ovvero sulla non identità di un individuo singolo con un altro: tale posizione ha il difetto di non individuare la caratteristica esistente che rende tale la singolarità, ma si limita ad assegnare un attributo negativo – e dunque mentale, non reale – alla sostanza individuale. Si tratta perciò di definire l’elemento positivo e non accidentale che determini l’organizzazione finale singolare che noi chiamiamo individuo. Il problema di Scoto è di spiegare come mai nell’unione di più forme con la materia il risultato è un individuo dotato di una sua specifica unità e non solo un aggregato di enti almeno parzialmente autonomi. La sua risposta è che il principium individuationis è un principio regolativo e non formale. L’individuo singolo è paragonabile a una torta: la somma dei suoi elementi (gli ingredienti) non sono in grado di costituire il dolce se non vengono assemblati secondo un principio ordinatore (la ricetta) che ne guida le varie
3. Ivi, p. 15. 4. Ivi, p. 21.
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L’analogia impossibile. Ontologie della relazione in Simondon e Deleuze CARLO MOLINAR MIN
1. Relazioni con valore d’essere Con tutta probabilità Simondon è l’autore che – insieme a Bergson – ha maggiormente influenzato, in ambito metafisico e speculativo, la ricerca deleuziana. È infatti sufficiente soffermarsi sul terreno delle loro rispettive riflessioni inerenti alla natura dell’essere per riscontrare la notevole affinità di pensiero, e per osservare come quello di Simondon possa essere a buon diritto definito un pionieristico avvicinamento all’empirismo trascendentale. La comune impresa di “seguire l’essere nella sua genesi”1 pone d’altronde, per entrambi, ragguardevoli difficoltà operative, legate allo scacco a cui è sottoposto il procedimento analitico-deduttivo. Alternativamente situato dal lato discontinuo di elementi già individuati, o nel flusso continuo di un divenire privo di punti rilevanti, esso si dimostra fondamentalmente incapace di tallonare pas à pas la processualità del reale. Secondo la tesi di Simondon, per evitare che il “sistema di realtà” sfugga alla lente filosofica, sarà allora indispensabile prendere di mira l’individuazione come operazione, vale a dire l’“ontogenesi” in quanto tale: il divenire effettivo di un individuo colto attraverso i suoi processi costitutivi, piuttosto che a partire da forme individuali astrattamente presupposte.2 Ma in che cosa consiste precisamente l’individuazione? L’individuazione – afCarlo Molinar Min è dottorando di ricerca presso l’Università di Torino. 1. G. Simondon, L’individuazione alla luce delle nozioni di forma e d’informazione (2005), trad. di G. Carrozzini, Mimesis, Milano-Udine 2011, p. 47 (d’ora in poi: L’individuazione). 2. Ivi, pp. 33-34.
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ferma Simondon – è “il divenire dell’essere”, un processo strutturato di sviluppo tramite il quale l’essere si esplica, realizzandosi sotto le forme specifiche di un movimento di sfasamento e di progressiva stratificazione. Ora, secondo Simondon, l’essere “primo” possiede una dimensione essenzialmente “preindividuale” e “problematica” che, sebbene appaia “monofasica” e priva di termini sostanziali, non è da concepirsi priva di proprietà riconoscibili. Anzi, è esattamente nel tentativo di sanare l’indeterminatezza delle posizioni filosofiche del passato – sospese tra i due estremi del caos e del quod est (identità), del sostanzialismo e dell’ilomorfismo – che Simondon avvicina il preindividuale alla descrizione di alcuni processi di individuazione, provenienti dall’ambito scientifico. In particolare, al fine di scansare il rischio di indistinzione, l’essere simondoniano beneficia dell’aiuto della teoria dei quanti e della meccanica ondulatoria – nonché dell’idea maxwelliana di “campo”. In effetti, sulla scorta di queste nuove “modalità di esprimere il preindividuale” l’essere si mostra come un campo “metastabile”, all’interno del quale è l’“energia potenziale” a tendere il suo sistema e a produrre – come propri limiti – gli individui. In questo senso, dunque, l’essere coinciderà, già originariamente, con una specifica dinamica di mediazione e, più precisamente, di “relazione”.3 La teoria della relazione simondoniana, tuttavia, non accontentandosi di ratificare le ragioni delle teorie scientifiche correnti, elabora una critica filosofica atta a superare i dualismi che ancora sopravvivono all’interno delle nuove concezioni fisiche. Ragion per cui sarà necessario per esempio operare un capovolgimento dello schema adottato in microfisica, al fine di dimostrare come, rispetto ai singoli termini che costituiscono le coppie concettuali di onda e corpuscolo, di energia e di materia, vi sia all’opera una basilare relazione di complementarietà. L’onda e il corpuscolo non rappresenterebbero infatti che due modalità – correlate – di espressione della realtà preindividuale, due processi indissolu3. Ivi, p. 36.
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bilmente complementari costituenti “la risonanza epistemologica della primigenia e originaria metastabilità del reale”.4 Ciò che dunque ostacola la possibilità di pensare la reale operazione di costituzione dell’esistente, cioè il suo essere intimamente relazionale, è l’ammettere “la preesistenza dei termini estremi”. Questa errata strategia si osserva, in una delle sue forme più raffinate, nella distinzione kantiana tra a priori e a posteriori, la quale, a detta di Simondon, vedrebbe le forme della sensibilità e dell’intelletto comparire come termini residuali, ottenuti magicamente per astrazione dall’empirico.5 A un’osservazione più attenta, però, tali forme non sorgerebbero che all’interno dello stesso processo di individuazione, come risposte e risoluzioni strutturali di una tensione problematica di carattere preindividuale. La sensibilità, e dunque la percezione – così come a un livello più complesso la conoscenza e la scienza –, inventa in prima istanza “cornici spazio-temporali” in risposta a quello che può essere definito uno “scontro di unità tropistiche primitive”. È quindi chiaro come l’epistemologismo di matrice kantiana venga qui criticato, ridimensionato e riformulato in una prospettiva eminentemente ontologica, sotto certi aspetti anticipatrice dell’empirismo trascendentale e, in particolare, precorritrice di quella che Deleuze, in Differenza e ripetizione, definisce un’estetica trascendentale “apodittica”.6 La forma kantiana dell’esperienza – a posteriori come a priori –, solitamente associata alla natura precostituita delle categorie e della sensibilità, costituirebbe perciò, agli occhi di Simondon, una modalità di risoluzione soltanto derivata, il succedaneo astratto di un processo di individuazione originatosi a partire dalla ben più profonda tensione preindividuale, il cui modello paradigmatico è da ricercarsi in ambito prettamente fisico. Di primo acchito potrebbe di conseguenza stupire – dato il carattere differenziale del preindividuale – l’uso che Simondon fa 4. Ibidem. 5. Ivi, p. 42. 6. G. Deleuze, Differenza e ripetizione (1968), trad. di G. Guglielmi, Raffaello Cortina, Milano 1997, pp. 79-80.
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Illusione, direzionalità e stabilità: da Nietzsche a Simondon LUCA TADDIO
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ietzsche ha mostrato come l’Occidente abbia forgiato la metafisica teologico-epistemica all’insegna della stabilità: forme stabili quali la “verità” o “dio” hanno rappresentato, in quanto fondamento, il presupposto e la giustificazione per l’affermazione dei nostri valori.1 Tale possibilità è correlata al concetto di “trascendenza”, quel luogo “sopra il cielo” (ὑπερουράνιος) in grado di fissare il significato, di in-formare le cose terrene. Dio, per Nietzsche, rappresenta il “bisogno” dell’uomo di affermare un senso stabile del divenire dell’esistenza: è quel luogo di salvezza (il regno dei cieli) eterno che, trascendendo il divenire delle cose, è in grado di salvare l’uomo dalla morte – dalla possibilità di diventare assoluto nulla. Il peso della consapevolezza di sé necessita di una giustificazione e quindi di stabilità, verità, senso. La “coscienza razionale” emerge da una più profonda dimensione dell’uomo: instabile, emotiva, irrazionale che si nutre di istinti, bisogni, desideri e della nostra “volontà di vita”. Il concetto di “volontà di potenza” non indica un atto o una rappresentazione del soggetto, quanto un “elemento genetico e differenziale”: la potenza è “ciò che nella volontà vuole”, la volontà di potenza è – in senso artistico – “essenzialmente creaLuca Taddio è stato docente a contratto di Estetica presso le università di Trieste, Ferrara e Udine dove attualmente insegna. È direttore editoriale della casa editrice Mimesis. 1. Cfr. E. Severino, L’anello del ritorno, Adelphi, Milano 1999.
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trice.2 Tale elemento “genetico e differenziale” lo possiamo reinterpretare alla luce delle nozioni di Simondon di “preindividuale” e di “metastabilità”. Si tratta per Nietzsche di “imprimere al divenire il carattere dell’essere: – questa è la più alta volontà di potenza”.3 Per Simondon “l’essere è essere della relazione” o, più precisamente, “è l’essere della relazione, e non essere in relazione”.4 Il tratto di strada che Simondon condivide con Nietzsche, per quanto circoscritto, è significativo ed è all’insegna dell’“instabilità”: l’essere non è “uno”, non è “identità”, non è “stabile”. La via aperta da Nietzsche rappresenta una direzione di pensiero in netta discontinuità teorica: un sisma che ha segnato un punto di rottura rispetto alla verità stabile affermata dalla tradizione metafisica occidentale. La via indicata da Simondon è altrettanto incompatibile con i presupposti della tradizione ma, diversamente da Nietzsche, si muove in direzione di un pensiero metastabile: “La verità e l’errore non si oppongono come due sostanze, bensì come una relazione inclusa in uno stato stabile in rapporto a una relazione inclusa in uno stato metastabile”.5 Il pensiero occidentale ha origine da una metafisica incentrata sulla “stabilità”, sulla fondazione dell’episteme inteso come sapere incontrovertibile, eterno, immutabile, trascendente. La nascita del soggetto moderno, con Cartesio, afferma la stabilità attraverso la “rappresentazione”: i concetti si iscrivono nel soggetto conoscente, non derivano da forme trascendenti e immutabili bensì, con Kant, da forme pure a priori. Dall’esperienza del mondo il pensiero moderno ricerca le condizioni di possibilità. Per l’in2. G. Deleuze, Nietzsche e la filosofia (1962), trad. di F. Polidori, Feltrinelli, Milano 1992, p. 113. “L’elemento genetico (potenza) determina il rapporto della forza con la forza e qualifica le forze in rapporto fra loro” (ibidem). 3. F. Nietzsche, Frammenti postumi 1885-1887, trad. di S. Giametta, in Opere, a cura di G. Colli e M. Montinari, Adelphi, Milano 1975, vol. VIII, tomo I, p. 297 (7 [54]). 4. G. Simondon, L’individuazione alla luce delle nozioni di forma e d’informazione (2005), trad. di G. Carrozzini, Mimesis, Milano-Udine 2011, pp. 62-63 (d’ora in poi: L’individuazione). “Il postulato epistemologico di questo studio”, afferma Simondon, “consiste nel ritenere che una relazione fra due relazioni è essa stessa relazione” (ivi, p. 114). 5. Ibidem.
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dividuo la stabilità del mondo è qualcosa di “evidente”: la “coscienza” incontra la stabilità della “cosa” nel suo apparire. Il carattere “illusorio” del senso della vita che Nietzsche dischiude conduce a una trasvalutazione dei valori e alla destabilizzazione del soggetto. L’episteme rende stabile il manifestarsi delle cose: si afferma qualcosa in grado di stare sopra (-epi) al divenire, ossia la verità. Ciò che l’episteme fissa, il vero, è per Nietzsche “parvenza”: la stabilità dell’ente è un’illusione costitutiva dell’uomo, “poiché il reale è in sé prospettico, l’illusorietà stessa fa parte della realtà”.6 Ciò che è stabile, il vero ente, è quindi, in quanto risultato di una prospettiva, “errore”. La stessa pretesa di affermare dei valori stabili all’interno del processo è “errore”, “illusione”: “La verità”, afferma Nietzsche nel suo progetto per la volontà di potenza, “è la specie di errore senza la quale una determinata specie di esseri viventi non potrebbe vivere. Ciò che decide è da ultimo il valore per la vita”.7 Al suo esordio, la filosofia si configura come “sapere” in grado di rispondere a quel particolare sentimento di “angosciato stupore” (θαυμάζειν) per il divenire. Il pensiero filosofico prende forma dalla “volontà” di affermare principi stabili per tutte le cose. Tale sapere deve possedere la “forza” di imporsi sul divenire: un sapere “immutabile” e “incontrovertibile”. Quali forze agiscono – a partire dalla realtà preindividuale – sull’individuo? Colui che “vuole” affermare la propria esistenza è colui che prima di tutto non vuole essere “nulla”: è tale “volere” a implicare lo “stare”, la “stabilità” di un certo “ente” individuale. I tratti principali della nostra tradizione metafisica si contraddistinguono per alcuni elementi di stabilità, quali per esempio: “sostanza”, “forma”, “principio”, “fondamento”, “trascendenza”, “essenza”, “verità”, “dio”. A partire dall’ontologia greca, il “mortale” comprende che, per rispondere a tutto ciò che minaccia la propria esistenza, deve incrementare la sua “potenza” attraverso un sapere assolutamente stabile (vero): deve conoscere una tecnica ca6. M. Heidegger, Nietzsche (1961), trad. di F. Volpi, Adelphi, Milano 1995, p. 209. 7. Ibidem.
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