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A Che Punto Siamo. Fatti non foste per... parlar come bruti

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Mauro Gola

Presidente di Confindustria Cuneo

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Fatti non foste per... parlar come bruti

Mercé l’imperversare di sguaiati dibattiti televisivi e, più ancora, lo spesso irresponsabile utilizzo dei social, viviamo in un mondo nel quale si ha la sensazione che abbia ragione, nel senso di imporsi in una battaglia dialettica, chi più urli e più ricorra a espressioni violente o a insulti. Già il parlare di “battaglia”, riferendosi a un confronto di idee e di posizioni legittimamente divergenti, stona in un contesto che si voglia definire civile, ma tant’è. Nel settecentesimo anniversario della morte di Dante Alighieri viene spontaneo parafrasare il Sommo Poeta, padre della nostra lingua e quindi del canale che ciascuno ha a disposizione per esprimere le proprie argomentazioni: fatti non foste per... parlar come bruti. Vero è che, se si va a scartabellare negli archivi storici, si rivengono giornali (e non fogli clandestini) nei quali, in particolare tra fine Ottocento e inizio Novecento, il dibattito politico-partitico era basato su invettive di aggressività almeno pari a quella di qualche post irresponsabile che oggi guadagna la ribalta della pubblica indignazione. Quindi la rete, in realtà, ha dato nuovi, e purtroppo più ampi, pulpiti a una becera tendenza da sempre insita in alcuni, sembra non pochi, animi umani che tempo addietro avevano minori possibilità di raggiungere vaste platee e potenzialmente dare quel cattivo esempio oggi diffuso su larghissima scala, da troppi considerato il più efficace mezzo per ottenere il consenso. Come agli eccessi a mezzo stampa di oltre un secolo fa venne man mano posto un freno anche grazie alla possibilità di adire agli strumenti giuridici che tuttora tutelano l’onorabilità delle persone, pur salvaguardando l’intangibile libertà di pensiero e di espressione, vero è che, di pari passo con l’imbarbarimento del dibattito, cresce l’esigenza, giorno per giorno più forte, di rapportarsi in modo “etico” ai nuovi mezzi di comunicazione. Non si può non comunicare. Ogni nostra parola, gesto, azione, persino la posizione del corpo, dice qualcosa di noi agli altri. Anche quando non vogliamo comunicare, in realtà comunichiamo, che sia con il silenzio, l’inattività o il rifiuto. Ne sanno più di qualcosa i cultori della programmazione neurolinguistica. Che sia importante imparare a definire il nostro agire comunicativo, sentendo l’esigenza di ancorare il discorso a un’etica, a una filosofia morale, dovrebbe essere ovvio, perché si tratta di un’ineludibile pratica quotidiana che incide sulle nostre scelte, regola le nostre esistenze e influenza i nostri comportamenti sul posto di lavoro, fra i gruppi sociali in cui siamo attivi e in famiglia. La vita umana si basa su princìpi morali e su valori che guidano o dovrebbero guidarne la condotta, pertanto il discorso e il consenso che esso può suscitare vanno mediati dall’argomentazione di valide proposizioni morali tra soggetti capaci di agire e di parlare. Lo scopo della comunicazione dev’essere quello di cercare nel suo destinatario un consenso che sia libero, fondato su argomenti convincenti. In questo auspicabile tipo di comunicazione si esprime ogni forma di proposizione etica. Se i discorsi scientifici non propongono valutazioni morali, ma sono bensì basati su descrizioni e spiegazioni eticamente neutrali, quelli morali sono ancorati alla pressione degli interessi particolari e di gruppo che aspirano a un riconoscimento. Tra progresso della comunicazione e giustizia sociale esiste un inscindibile rapporto di causazione circolare: da una parte, un mondo più giusto è la premessa necessaria per una comunicazione più autentica; dall’altra, solo la progressiva instaurazione di una comunicazione ideale rende possibile la determinazione del giusto. Ne discende che il compito etico della comunicazione sia la sua capacità di creare comunione. La qualità etica della comunicazione dipende anche da una caratteristica specifica del messaggio: la sua piena corrispondenza con il pensiero del comunicante, corrispondenza che in questi tempi latita, specie se si bada ai canali citati nell’incipit. Ecco perché non siamo e non dobbiamo sentirci soltanto fruitori o lettori dell’informazione, ma produttori, utenti attivi, attenti e ben consapevoli, in particolare, nell’uso delle nuove tecnologie.

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