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Emergenti. Enrico Conforto. È di Bra il portabandiera della generazione Z

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Conforto Enrico «Una volta laureato, vorrei fare esperienza all’estero

Alfiere del lavoro, studi in Bocconi e il sogno della politica per avere una visione globale del mondo e È di Bra il portabandiera delle sue dinamiche. Ma il mio obiettivo della generazione Z è tornare in Italia»

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Cristina Borgogno

Ha 21 anni, è braidese e sembra nato per eccellere. Dai campi di basket ai certamina di latino fino agli studi alla Bocconi di Milano, Enrico Conforto è uno di quei giovani che non hanno paura di mettersi alla prova. E neppure di sgobbare. L’ultimo successo in ordine di tempo è la candidatura in Aurora Fellows (quando scriviamo Enrico ha già ottenuto il doppio endorsement ed è in attesa dell’esito finale), il progetto europeo nato dall’idea di Jacopo Mele che seleziona talenti per formare ragazzi tra i 18 e i 23 anni, affinché sviluppino qualità e mentalità da imprenditori del futuro. Ma dove è iniziata la carriera scolastica di Enrico? «Mi sono iscritto al liceo classico “Gandino” perché credevo di essere più portato per le materie scientifiche, ma volevo colmare il vuoto che pensavo di avere in campo umanistico. Ho amato molto gli studi classici, soprattutto il latino. Apprezzavo il pragmatismo degli autori. L’ultimo anno mi sono classificato terzo al Certamen Augusteum Taurinense (foto grande nella pagina a fianco, ndr). Durante il Liceo ho partecipato in squadra, come capitano, a competizioni culturali di matematica, fisica e italiano, salendo per due volte sul podio delle Olimpiadi della cultura e del talento, in cui sono rimasto nello staff: ora faccio parte del board della parte logistica». Dopo la maturità, però, è tornato ai numeri. «Sono al secondo anno della laurea triennale in economia e finanza alla Bocconi. Il livello qui è molto alto, non solo per il ranking, ma nella qualità dell’insegnamento e per gli sbocchi nel mondo del lavoro. La scorsa estate ho fatto il mio primo stage a Zurigo, per una società di consulenza. Adesso lavoro in una società di gestione del risparmio a Milano». Cosa vorrebbe fare una volta laureato? «Il mio futuro lo vedo declinato lungo due strade. Una è la finanza. Mi interessa il campo della private equity, che è anche quello in cui sono impegnato con il secondo stage universitario. Il sogno più grande e più a lungo termine è la politica. Sento molto il senso di responsabilità nei confronti della comunità. Penso di essere stato fortunato nella mia vita e vorrei impegnarmi per restituire qualcosa agli altri». Due anni fa il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, l’ha nominata Alfiere del lavoro. «Mi ero appena iscritto all’università (dopo il diploma con 100 e lode, ndr), quando mi è arrivata la telefonata dal Quirinale. La selezione avviene in base ai risultati scolastici. E io sono stato uno tra i 25 in Italia.

È stato emozionante». Com’è una sua giornata tipo? «Mi alzo intorno alle 6,40 per dedicare una mezz’ora allo sport. Una giornata normale di università la divido tra lezioni in aula, oggi a distanza, lezioni extra del collegio di merito dove vivo a Milano e studio al pomeriggio. Sono impegnato anche in diverse associazioni studentesche. Con alcuni compagni, ho fondato Seds (Students for the exploration and development of the space), il primo chapter italiano di una rete internazionale collegata a università come Stanford e Harvard con l’obiettivo di diffondere tra i giovani l’interesse nei confronti della space economy. Insomma, un invito ad alzare il naso verso il cielo». A guardare in alto si impara anche nello sport. Gioca ancora a basket? «Ahimé, non più. Ho fatto tutta la trafila nelle giovanili dell’Abet Bra, di cui sono stato anche capitano. Sono arrivato a esordire in serie C Gold. È tra le cose di cui ho più nostalgia. La pallacanestro dava regolarità alle mie giornate, benessere fisico e socialità grazie allo spogliatoio». Nativi digitali, ambientalisti, di mentalità aperta. In questi anni vi hanno definiti in molti modi. Cosa pensa dei suoi coetanei, della generazione Z? «Più che un giudizio, mi auguro che continueremo a essere attivi e che un giorno arriveremo a prendere in mano le redini della società che ci appartiene. Vorrei che potessimo agire e non subire, in maniera educata, con opinioni approfondite. Non amo l’agitazione popolare e gli slogan, anzi sono gli aspetti della politica che meno sopporto. Preferisco le argomentazioni strutturate che partono dalla testa e non quelle che si rivolgono alla pancia. Non basta un post su Instagram per essere un politico. Un obiettivo dovrebbero essere le pari opportunità, nel vero senso della parola: ossia mettere tutti nella possibilità di esprimere il proprio meglio. Credo nella meritocrazia». Ha parlato di Instagram. Lei è sui social? «Sì, ma li uso moderatamente. Frequento quasi esclusivamente Linkedin; non sono su Facebook, però ho un account Instagram. In generale dedico ai social una manciata di minuti al giorno». Parla inglese? «Nel mondo finanziario è un obbligo. Ho deciso di riprendere in mano anche il francese. Spero il prossimo anno di frequentare un semestre in America. E così anche il master: Stati Uniti, oppure Londra». Pensa che diventerà uno dei nostri troppi “cervelli in fuga”? «Non credo. Certo, vorrei fare esperienza all’estero per arricchirmi dal punto di vista personale e avere una visione globale del mondo e delle sue dinamiche. Ma il mio obiettivo è tornare. Mi sento molto legato alla mia città, al mio territorio, e trovo ingiusto che un intero ciclo di istruzione sia a spese dello Stato, se poi a quello Stato non arriva nulla. Questo è uno dei più grandi problemi del Paese: chi fa ricerca, sviluppo, ma anche chi lavora nella finanza, tende a spostarsi all’estero. Il Campus della Bocconi è ricco di studenti in arrivo da diversi Paesi del mondo. Spesso lo sottovalutiamo, ma il sistema scolastico italiano è molto valido e all’avanguardia. Ecco perché poi abbiamo successo anche fuori dai nostri confini».

Nella pagina a fianco: Enrico Conforto nominato Alfiere del lavoro dal Capo dello Stato in seguito alla maturità conseguita con 100 e lode. Sopra: con i colleghi fondatori del primo chapter italiano della rete Seds e impegnato in un’azione con la maglia dell’Abet Bra

FilippiÈ nella cinquina degli aspiranti migliori registi esordienti

Elena Bottini

«Mia mamma racconta che la prima volta che ho fatto la regista è stata quando frequentavo le elementari. Avevamo preparato con i compagni di classe e la maestra una sorta di piccolo spettacolo di varietà, con barzellette, canzoni e scenette varie e io avevo preso in mano la situazione, organizzando il minishow che aveva come spettatori le nostre famiglie». Da allora sono passati più di trent’anni e oggi il nome di Alice Filippi è per la seconda volta nella cinquina dei finalisti dei premi “David di Donatello”. La prima occasione, un po’ a sorpresa, era arrivata due anni fa, con la candidatura a miglior documentario dell’opera prima “’78-Vai piano ma vinci”, docufilm presentato in anteprima assoluta alla trentacinquesima edizione del Torino Film Festival (Tff), nel 2018.

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