NEXT GENERATION ITALIA VOLUME 2 ENERGIA, AMBIENTE E SOSTENIBILITÀ
Indice PREMESSA 3 3.2.3 Fonti rinnovabili: pompe di calore Contesto 4 e caldaie a biomassa 3.3 Edifici pubblici 1 TRASPORTI 14 3.4 Costruzioni verdi 1.1 Riduzione del trasporto motorizzato privato 17 1.1.1 Trasporto Pubblico Locale 18 4 AGRICOLTURA E VERDE 1.1.2 Mobilità ciclabile 28 4.1 Agricoltura 1.1.3 Mobilità condivisa 30 4.2 Foreste
1.1.4
1.2 1.3
Pianificazione della mobilità sostenibile
Ammodernamento ed elettrificazione parco auto Trasporto merci
31
34 42
2 ENERGIA 2.1 Barriere normative 2.2 Barriere economiche 2.3 Barriere tecnologiche e di sistema 2.4 Azioni trasversali 2.5 Idrogeno, decarbonizzazione e gas nella transizione
48 52 55
3 EDILIZIA 3.1 Efficienza e risparmio energetico 3.2 Decarbonizzazione delle fonti di riscaldamento
66
3.2.1 Teleriscaldamento 3.2.2 Caldaie alimentate a biometano
4.2.1 4.2.2 4.2.3
Una migliore gestione del patrimonio forestale Rafforzare la filiera del legno ecosostenibile e di qualità Assicurare la sostenibilità delle aree protette
81
84 86
88 88 92 92 95 98
57 61
4.3 5 5.1
62
5.2 Rifiuti come risorse
108
6
ADATTAMENTO CLIMATICO E DISSESTO IDROGEOLOGICO
114
7 7.1 7.2
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E AZIONI TRASVERSALI Pubblica amministrazione Legge sul clima
124 124 129
69 77
78 80
Verde Urbano
ECONOMIA CIRCOLARE Un modello di economia circolare
5.1.1 Contesto legislativo
99 102 102
104
Ottobre 2021
NEXT GENERATION ITALIA Premessa
Contesto Gli effetti del cambiamento climatico non possono più essere considerati una questione distante, hanno già molti effetti tangibili sulle nostre vite. L’Italia dal 1999 al 2018 ha avuto 19.947 morti dovuti ad
eventi climatici estremi. Il nostro Paese è al sesto posto mondiale per vittime.1
Oggi riusciamo a convivere con questo cambiamento e siamo porta-
ti a pensare che potremo continuare a farlo in futuro, ma purtroppo non è così. Infatti si stima che, senza forti azioni correttive, entro il 2100 le ondate di calore provocheranno circa 200 mila morti all’anno, nel 2050 l’Europa subirà danni tra i 115 e i 310 miliardi all’anno a causa delle
alluvioni, di cui tra i 33 e i 66 in Veneto che sarà la regione più colpita d’Europa2.
Al di là degli eventi climatici estremi, i comportamenti quotidiani lega-
ti al nostro stile di vita, quali il consumo di combustibili, hanno effetti molto negativi sulla nostra salute. L’Agenzia Europea dell’Ambiente (EEA) stima che ogni anno in Italia muoiono prematuramente più di
60mila persone a causa dell’inquinamento atmosferico e che questo abbia un impatto maggiore sul nostro Paese rispetto agli altri partner
europei: solo nel 2018 si sono contati 65.700 morti su tutto il territorio italiano attribuibili all’inquinamento dell’aria, contro i 41.300 della Francia e 31.600 della Spagna3.
1
2
3
4
https://ilbolive.unipd.it/it/news/clima-italia-quasi-20mila-morti-causa-eventi Progetto COACCH, 2019 Rapporto Air Quality in Europe 2020
Morti premature per inquinamento dell’aria nel 2018 per milione di abitanti
PM 2.5 O3
Fonte: Rapporto Air Quality in Europe 2020.
NO2
1200
1000
800
600
400
200
EU28
Svizzera
Islanda
Regno Unito
Svezia
Spagna
Portogallo
Paesi Bassi
Malta
Lussembrugo
Italia
Irlanda
Germania
Francia
Finalndia
Danimarca
Cipro
Belgio
Austria
0
Nonostante l’entità del rischio, la politica in tutto il Mondo ha sempre risposto lentamente e timidamente a questi problemi.
Il motivo principale della debole risposta globale ai cambiamenti clima-
tici è il legame apparentemente inscindibile tra sviluppo economico ed emissioni a effetto serra. Storicamente, infatti, le economie più avanzate sono anche quelle che hanno emesso di più. La crescita economica al
5
contempo ha avuto quasi sempre un aumento delle emissioni come
conseguenza. La sfida più grande e importante nel contrastare i cambiamenti climatici consiste proprio nel rompere questo legame apparentemente strutturale; questo sarà possibile soltanto realizzando un modello concreto di sviluppo sostenibile.
Rapporto tra emissioni e PIL in Europa Fonte: McKinsey
Emissions - MtCO2e
Germany
1000
700
Poland
Benelux
Iberia
France
Italy Southeast Europe
Central Europe
400 Nordics
Ireland
100 100
1.000
10.000
GDP - EUR Bn
Negli anni l’Unione Europea ha fatto spesso da apripista nel contrasto al cambiamento climatico, ponendosi obiettivi tra i più ambiziosi a livello
globale. Il Green New Deal approvato a maggio 2020 prosegue questa
linea, ponendosi come traguardo il raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050 e la riduzione delle emissioni di gas serra del 55% entro il 20304.
Un modello di sviluppo sostenibile è realizzabile. Se molte delle tecnologie necessarie per raggiungere l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050 sono ancora in fase sperimentale e/o non sono ad oggi
economicamente vantaggiose, al contrario le tecnologie necessarie per
abbattere del 55% le emissioni entro il 2030 esistono già e possono essere applicate in tutti i settori rilevanti. La barriera che impedisce l’abbatti-
mento delle emissioni è dunque di natura politica, non tecnica: manca la volontà di implementare rapidamente soluzioni tecnologicamente disponibili e spesso anche economicamente vantaggiose.
4
6
Rispetto alle emissioni registrate nel 1990
Settori strategici per l’abbattimento delle emissioni Fonte: McKinsey
Abatement - EUR/tCO2e 700 600 500 400 300 200 100 0 -100 -200 -300 -400 -500 -600 -700 0
100
200
300
400
500
600
700
800
900
1.000
1.100
1.200
Abatement - MtCO2e Il grafico sopra mostra i vantaggi economici delle tecnologie sostenibili. Sull’asse verticale si conta il risparmio o il costo che le tecnologie
ambientali comportano (parliamo di risparmio se il valore è inferiore
a 0). Sull’asse orizzontale si misura il vantaggio in termini di taglio alle emissioni che ogni tecnologia comporta. Come si vede, per i settori di produzione energetica, trasporto e edilizia le tecnologie non solo esi-
stono, ma possono fare tanto in termini di riduzione delle emissioni e di vantaggi economici. Per gli altri settori, come agricoltura e industria, la
situazione è più complessa perché implementare tecnologie più sostenibili comporta un costo maggiore.
In questo documento ci concentriamo soprattutto sulle misure neces-
sarie per raggiungere l’obiettivo europeo di emissioni del 2030, sia per-
ché le tecnologie necessarie sono già a disposizione, sia perché biso-
gna implementare queste politiche al più presto. Non c’è molto tempo per raggiungere gli obiettivi europei: ridurre le emissioni del 55% entro il 2030 rispetto ai valori del 1990 equivale a ridurle del 41% rispetto al 2018.
Per ottenere questo si deve intervenire in tutti i settori maggiormente responsabili della produzione di emissioni di gas serra: trasporti, produzione di energia, industria, edilizia, agricoltura, gestione dei rifiuti. Affronteremo ciascuno dei componenti, procedendo seguendo l’ordine del peso relativo di ognuno in termini di emissioni.
7
I settori responsabili della produzione di emissioni di gas serra Fonte: Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici
1990
2018
kt CO2
% totale
kt CO2
% totale
diff. su 1990
EMISSIONI TOTALI
512.495,82
100,0%
391.263,12
100,0%
-23,7%
Trasporti
102.107,49
19,9%
104.263,14
26,6%
2,0%
1.506,24
0,3%
2.338,31
0,6%
55,2%
94.027,77
18,3%
96.865,93
24,8%
3,0%
56.020,35
10,9%
67.093,20
17,1%
19,8%
9.522,99
1,9%
10.542,45
2,7%
10,7%
25.827,09
5,0%
16.900,42
4,3%
-34,6%
2.657,34
0,5%
2.329,86
0,6%
-12,3%
686,63
0,1%
154,84
0,0%
-77,4%
5.542,93
1,1%
4.098,92
1,0%
-26,1%
413,92
0,1%
805,13
0,2%
94,5%
Produzione di energia
135.501,88
26,8%
95.805,32
24,5%
-30,3%
Elettricità e riscaldamento
108.929,71
21,3%
70.302,72
18,0%
-35,5%
Raffinatura di petrolio
15.966,59
3,1%
19.838,92
5,1%
24,3%
Manifattura di combustibili
12.605,57
2,5%
5.663,68
1,4%
-55,1%
Industria
131.686,80
25,7%
88.660,69
22,7%
-32,7%
Chimica e cemento
32.049,54
6,3%
14.833,18
3,8%
-53,7%
31.782,12
6,2%
12.978,30
3,3%
-59,2%
0
-
16.551,56
4,2%
-
Altro
67.855,14
13,2%
44.297,65
11,3%
-34,7%
Edifici
78.602,92
15,3%
83.172,60
21,3%
5,8%
11.923,10
2,3%
25.274,37
6,5%
112,0%
57.547,03
11,2%
49.650,92
12,7%
-13,7%
9.132,79
1,8%
8.247,31
2,1%
-9,7%
Agricoltura e allevamento
34.708,70
6,8%
30.186,58
7,7%
-13,0%
Allevamento
15.496,60
3,0%
14.202,26
3,6%
-8,4%
Letami
6.765,09
1,3%
5.669,99
1,4%
-16,2%
Coltivazione riso
1.876,46
0,4%
1.553,04
0,4%
-17,2%
10.085,64
2,0%
8.321,84
2,1%
-17,5%
484,91
0,1%
439,45
0,1%
-9,4%
Gestione dei Rifiuti
17.304,42
3,4%
18.290,07
4,7
5,7%
Emissioni Fuggitive
12.926,96
2,5%
6.799,32
1,7%
-47,4%
Boschi
-3.555,92
-0,7%
-36.265,89
-9,3%
919,9%
Aereolinee domestiche Trasporto su gomma • Automobili • Minivan • Bus e camion • Motocicli Trasporto su rotaia Navigazione domestica Altro
Metalli Refrigerazione
Commerciali e istituzioni Residenziale Agricoltura e altro
Suola agricolo Altro
Purtroppo però molti degli eventi climatici dannosi riconducibili all’inquinamento prodotto finora sono destinati a rimanere, anche ipotizzando il pieno raggiungimento dei target di riduzione delle emissioni. Da qui
nasce l’importanza di prevedere anche delle politiche di adattamento che, al contrario delle politiche di mitigazione volte ad abbattere le
emissioni, hanno l’obiettivo di contrastare e minimizzare gli effetti degli 8
eventi climatici dannosi causati dal livello di emissioni già in circolo. In
questo capitolo ci concentreremo sulla gestione del rischio idrogeologico, essendo l’Italia uno dei Paesi più esposti al mondo, sicuramente il più esposto in Europa.
Implementare un modello di sviluppo sostenibile equivale a cambiare profondamente il nostro modo di produrre e consumare, aprendo la porta a nuove opportunità. All’Italia, Paese storicamente importato-
re di fonti di energia fossili e materie prime, investire sulla transizione ecologica e sull’economia circolare permetterà di ridurre la spesa e la dipendenza energetica grazie all’autoproduzione di rinnovabili e il re-
cupero/riciclo dei materiale. I benefici per famiglie e imprese saranno
molti e le prossime sezioni offriranno esempi concreti, ma come in ogni grande transizione economica c’è il rischio di aumentare le disuguaglianze e di creare profonde fratture sociali.
La sfida dello Stato in questo caso consiste nel proteggere i settori più penalizzati e compensare nel breve termine le perdite a cui gli individui
legati a quei settori andranno inevitabilmente incontro, occupandosi di creare per loro nuove opportunità di crescita nel medio e lungo periodo.
Riuscire in questa sfida è essenziale per un Paese in difficoltà come il
nostro. Solo quando avremo reso la transizione verde socialmente sostenibile potremo dire di aver raggiunto l’obiettivo, nel gergo europeo, della “transizione giusta”.
JUST TRANSITION FUND Il Just Transition Fund (JTF) è il pilastro centrale
Il fondo sarà dotato di 40 miliardi per il periodo
del Just Transition Mechanism, lo strumento
2021-2024, 10 dal budget comune e il resto dal NGEU.
europeo che si pone il traguardo di rendere
Ogni euro ricevuto dai 10 miliardi del budget
la transizione ambientale socialmente sostenibile.
dovrà essere co-finanziato dagli Stati membri
L’obiettivo è quello di mobilitare 150 miliardi in totale
con 1,5/3€ dei fondi europei per la coesione loro
insieme agli altri due pilastri: il Just Transition Scheme,
assegnati, in modo di far arrivare la capacità
1,8 miliardi parte del programma InvestEU, e una linea
di spesa generale del JTF tra gli 89 e i 107 miliardi.
di credito della Banca Europea per gli Investimenti
Per accedere al JTF gli stati membri dovranno stilare
(BEI) fino a 10 miliardi. Il JTF supporterà gli investimenti
dei Just Transition Plans dove sono identificati i territori
per la diversificazione economica e la riconversione dei
e i settori eleggibili al finanziamento, identificazione
territori colpiti dalla transizione, programmi
che avverrà in base ai 2020 country reports per il
di riqualificazione dei lavoratori e di assistenza interinale,
Semestre Europeo. Approvato il JTP sarà possibile
la riqualificazione degli impianti inquinanti e via dicendo.
accedere anche agli altri due pilastri del JTM.
9
Indice delle nostre proposte 1 TRASPORTI
14
1.2.3
Incentivi per l’acquisto di auto elettriche
per famiglie con ISEE inferiore a 30 mila euro
40
1.1.1.1
Estensione delle linee
1.2.4
Incentivi per l’acquisto di auto usate
tramviarie e metropolitane
19
Euro 6, ibride o elettriche
1.1.1.2
Ammodernamento del parco autobus
22
1.2.5
Limiti alla circolazione
1.1.1.3
Potenziamento e completamento
delle auto molto inquinanti
delle linee ferroviarie nazionali e regionali
1.2.6
Nuove colonnine per colmare i fabbisogni
1.1.1.4
Sostituzione di tutti i treni
infrastrutturali per la ricarica delle auto
con più di 15 annI
elettriche e ibride plug-in
1.1.1.5
Aumento della frequenza
di passaggio del trasporto pubblico
1.1.2.1
Interventi per la quantità
e la qualità delle ciclabili
1.1.2.2
Migliore intermodalità
della mobilità ciclabile
1.1.3.1
IIncentivi allo sviluppo di servizi
di mobilità condivisa di car
e bike sharing al Sud
1.1.3.2
Normativa più favorevole
alla mobilità condivisa
1.1.4.1
Adozione del nuovo Piano Generale
dei Trasporti e della Logistica
1.1.4.2
Potenziamento del monitoraggio
e pianificazione data-driven
1.2.1
Revisione degli incentivi
per l’acquisto di nuove auto
1.2.2
Revisione degli incentivi
per l’acquisto di nuove moto
10
22 25
40 40
41
26
1.3.1
Incentivi allo svecchiamento
dei veicoli per il trasporto merci
1.3.2
Estensione e aumento
29
del Ferrobonus al 2030
1.3.3
Nuove infrastrutture
29
per il trasporto su ferro
44
1.3.4
Ultimo miglio ferroviario
46
43 44
31
2 ENERGIA
31
2.1.1
Semplificazione e accelerazione dell’iter
autorizzativo per eolico e fotovoltaico
2.1.2
Individuazione di terreni da sbloccare
per l’installazione di nuovi impianti
fotovoltaici a terra
32 33
48
54
55
2.1.3
Procedura autorizzativa agevolata
per progetti ibridi
38
2.2.1
Incentivare l’utilizzo del Power Purchase
Agreement per Pubbliche
39
Amministrazioni e Grandi Imprese
55
56
2.2.2
Standardizzazione dei contratti
per gli edifici residenziali
Power Purchase Agreement
3.1.5
Digitalizzazione delle procedure
e Garanzia pubblica
57
approvative edilizie
della Pubblica Amministrazione
75
76
2.3.1
Incentivi per l’installazione di accumuli
3.1.6
Accesso al Superbonus
elettrochimici di energia elettrica
59
per edifici con difformità minori
2.3.2
Consolidamento del Capacity Market
60
3.1.7
Previsioni speciali per i proprietari
2.3.3
Interventi per il potenziamento
di immobili rientranti
e l’efficientamento della rete elettrica
nel patrimonio culturale
3.1.8
Valutazione degli impianti ambientali
ed economici del Superbonus
77
3.2.1.1
Ampliare la rete di teleriscaldamento
80
60
2.4.1
Introduzione di una remunerazione
diretta per la regolazione della tensione
2.4.2
Incentivo per il servizio
di evitato curtailment
2.5.1
Incentivi per la sostituzione degli impianti
61
3.2.1.2 Impianti rinnovabili nei Comuni montani
a carbone con impianti a gas,
3.2.2.1
Investimento in centrali di biogas
in modo da raggiungere il phase
per immettere il biometano
out totale del carbone entro il 2025
65
nella rete di riscaldame
2.5.2
Azioni di coordinamento
e sviluppo dell’idrogeno
65
3.2.3.1
Riduzione della detrazione
per tecnologie che utilizzano fonti fossili
(caldaie a gas) nel Superbonus
3.1.1
Creazione e sviluppo
di sportelli unici (One Stop Shop)
3.1.2
Incentivi all’uso del Superbonus
per le case in affitto
3.1.3
Estensione del Superbonus
all’edilizia commerciale
3.1.4
Proroga del Superbonus
76
61
3 EDILIZIA
76
66
80
81
84
3.2.3.2 Istituzione di un fondo per prestiti
a tasso ridotto per gli acquisti di impianti
di riscaldamento rinnovabili
3.3.1
Piano di azione per la ristrutturazione
e l’efficientamento energetico
dell’edilizia pubblica
84
74 75 75
3.3.2
Certificati LEED
per gli edifici più importanti
85 86
11
3.4.1
Standard NZEB (Nearly Zero Energy
4.2.3.1 Destinare fondi regionali
Building) per i nuovi edifici
87
3.4.2
Obbligo di Level(s) per gli edifici
87
4.2.3.2 Riorganizzare la gestione
3.4.3
Smart Readiness Indicator per una
migliore gestione dell’energia
87
AGRICOLTURA E VERDE
88
4.1.1
Più impianti per la produzione di biogas
e biometano nelle zone con alta
concentrazione di allevamenti
4.1.2
Stimolare la ricerca per ridurre
l’inquinamento dei suoli agricoli
causato dai fertilizzanti chimici
4.1.3
Estensione del Superbonus 110%
per la creazione di parchi agri-solari
4.1.4
Investimenti in aree agricole per limitare
gli effetti del dissesto idrogeologico
91
91 91 92
delle Aree Protette
98 98
4.2.3.3 Più formazione per il personale
4
alla tutela delle Aree Protette
delle Aree Protette
98
4.2.3.4 Strumenti digitali
per le Aree Protette
99
4.2.3.5 Campagne per valorizzare
le Aree Protette
4.3.1
Premiare i comuni
che piantano nuovi alberi
5
ECONOMIA CIRCOLARE
5.1.1.1
Integrare le etichette dei prodotti
in vendita con informazioni riguardo
all’impatto ambientale e premiare
99
100
102
4.2.1.1
Aumentare i controlli per verificare
i prodotti con migliori risultati
106
l’applicabilità dei Piani gestionali
5.1.1.2
Transizione 4.0 ed economia circolare
107
delle foreste e dei differenti strumenti
di gestione delle aree protette
5.1.1.3
Velocizzare l’approvazione
94
dei decreti End of Waste
95
5.2.1
Piano di investimenti
straordinario per l’impiantistica
5.2.2
Incoraggiare l’applicazione della
4.2.2.2 Potenziare la rete di piattaforme
tariffazione puntuale per la TARI
logistico-commerciali e piazzali di prima
5.2.3
Sistema di premialità per incentivare
raccolta su scala regionale per promuovere
la creazione di nuove imprese forestali
108
4.2.1.2 Missione di recupero e restauro
delle foreste abbandonate e/o degradate
4.2.2.1 Promuovere i mestieri del legno
12
97
97
i Comuni a ridurre la quota di rifiuti
non inviati a riciclaggio
111 112
113
6
ADATTAMENTO CLIMATICO E DISSESTO IDROGEOLOGICO
6.1
Interventi di prevenzione
delle calamità naturali
6.2
Piano di adattamento nazionale
e monitoraggio ambientale
6.3
Interventi di semplificazione per
una migliore spesa
6.4
Potenziamento delle Autorità
di Bacino Distrettuale
6.5
Assicurazione contro i danni
da calamità naturali
6.6
Proposta di legge nazionale
sull’adattamento climatico
e il rischio idrogeologico
7
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E AZIONI TRASVERSALI
7.1.1
Potenziare il programma CReIAMO PA
e rendere la formazione della PA
sui temi ambientali obbligatoria
7.1.2
Monitoraggio sul Green
Public Procurement
128
7.2.1
Implementare una Legge sul Clima
130
114
119
119 120
120
121
123
124
128
13
Trasporti In Italia il settore dei trasporti è il responsabile numero uno delle emissioni di gas a effetto serra, contribuendo al 26,6% delle emissioni totali. Insieme a quello dell’edilizia, è l’unico settore in cui le emissioni sono
aumentate rispetto al 1990 e, vista la costante crescita della domanda di trasporto, senza un deciso intervento pubblico le emissioni sono destinate ad aumentare.
Un sistema di trasporti meno inquinante rappresenterebbe un punto di
svolta per la nostra salute. Infatti, viviamo in città altamente inquinate e il settore dei trasporti ne è in buona parte la causa5, soprattutto per quel
che riguarda il biossido di azoto (NO2) e le polveri sottili (Pm10). Secondo
l’OCSE nel 2013 si trovano in Italia più della metà delle 30 città più inqui-
nate d’Europa6, mentre uno studio condotto dall’OMS su 13 grandi città italiane ha rilevato che in quelle città muoiono prematuramente ogni anno 8.220 persone a causa dell’inquinamento dovuto alla concentrazione atmosferica delle polveri sottili 7.
Il trasporto su gomma è responsabile di più del 90% delle emissioni
del settore. Bisogna quindi ridurre l’incidenza del trasporto privato e
commerciale su gomma, assai più inquinante delle altre modalità di
trasporto, in favore di una mobilità più sostenibile. Basti pensare ad esempio che per ogni km percorso da un passeggero su un’auto in media si emettono 0.133 kg di CO2, contro gli 0.069 kg di un autobus e gli 0.06 di un treno diesel8.
5 Come anche dimostrato dal calo di quantità di Pm10 e NO2 durante le prime restrizioni alla mobilità causate dal Covid-19, rispettivamente del 20% e tra il 40% e il 60% 6 Da rapporti Ocse 7
Da rapporti OMS
8 Da Co2nnect
14
L’Italia ha molta strada da fare, innanzitutto perchè abbiamo troppe
auto. Siamo secondi in Europa per numero di autovetture, sia in termini
assoluti, con più di 39 milioni di auto, sia pro capite, 655 ogni 1000 abitanti. Delle 80 città europee con il valore più alto, ben 70 sono italiane;
delle prime 35 regioni europee, 17 sono in Italia9. Senza un intervento la
situazione tende a peggiorare, il nostro parco auto è infatti in costante crescita dal 2013.
Veicoli ogni 1.000 residenti Fonte: ACEA Vehicles Report - Gennaio 2021
Lussemburgo Italia Polonia Estonia Slovenia Germania Francia Austria Unione Europea Repubblica Ceca Spagna Olanda Belgio Portogallo Finlandia Grecia Svezia Danimarca Lituania Irlanda Slovacchia Croazia Ungheria Romania Lettonia 300
400
500
600
700
9 Dati Eurostat 2016
15
Abbiamo un parco auto sensibilmente più vecchio di molti Paesi euro-
pei. Il 57% del parco auto ha un’età superiore a 10 anni, solo leggermente
al di sopra della media UE di 55%, ma decisamente superiore rispetto a Francia (46%) e Germania (41%)10. UNREA infatti stima che dei 38,5 milioni di auto effettivamente circolanti a giugno 2020, il 56,4% sono Euro 4 o inferiori (21,7 milioni) e il 29,3 sono Euro 3 o inferiori (11,3 milioni).11
Parco auto per categoria Fonte: UNREA
Euro 0 - 3,8% Euro IV - 27,1%
Euro I - 5,1% Euro II - 8,0% Euro III - 12,3%
Euro VI - 25,3%
Euro V - 18,3%
Questo è un grosso problema, sia in termini di inquinamento, perché auto più vecchie inquinano di più, sia di sicurezza. L‘età media dei veicoli è aumentata dai 7,9 anni nel 2008 agli 11,4 del 2018 e le autovetture italiane che hanno tra i 10 e i 20 anni sono il 56% del totale.
Oltre ad avere più auto rispetto agli altri Paesi, le usiamo anche di più12.
Nel 2019 ogni giorno oltre il 65% della popolazione ha utilizzato un mezzo motorizzato (auto o motoveicolo), il 20,8% si è spostato a piedi, il 10,8%
ha utilizzato il trasporto pubblico e solo il 3,3% si è spostato in bicicletta13. Dal 1990, i trasporti in auto sono aumentati del 21%. Se guardiamo alle
principali città e regioni europee, tra quelle con popolazione e numero
di auto pro capite simili ai nostri, ci accorgiamo che la media di utilizzo del trasporto pubblico supera solitamente il 40% con picchi oltre il 50%, mentre in Italia sono soltanto 4 le città ad arrivare al 20%14.
Tutte queste criticità si ripetono per il trasporto merci. Per quanto riguarda l’anzianità della nostra flotta di veicoli medi e pesanti, la nostra
media di oltre 14 anni di età è l’ottava più vecchia d’Europa, mentre la flotta di veicoli leggeri è addirittura la seconda per anzianità. Anche
sull’utilizzo, tendiamo a preferire il trasporto su gomma a quello su ferro, maggiormente rispetto alla media europea, con i treni che coprono il 12% della quota modale contro il 20% della media europea. 10 Su elaborazione dati di ACEA
11 Da Rapporti UNRAE - Unione Nazionale Rappresentanti Autoveicoli Esteri
12 Per tutti i dati la fonte è Isofort, tranne media UE bici dell’ 8% che viene da ECF 13 Kyoto su dati Isofort
14 (2005-2016): Torino (28%), Bologna (26%), Ravenna (24%) e Padova (22%)
16
ANTE EURO IV 29,3%
Bisogna quindi lavorare su tre direttrici:
1. Diminuire l’utilizzo di mezzi motorizzati privati, rendendo convenienti, accessibili, sicure ed efficienti modalità di trasporto alternative
all’auto e più sostenibili. Questo può essere effettuato potenziando: • il trasporto pubblico; • la ciclabilità;
• la mobilità condivisa;
• la pianificazione delle mobilità sostenibile.
2. Sostituire il parco dei mezzi privati con mezzi moderni e sostenibili attraverso:
• incentivi per rendere le auto meno inquinanti (ibride
ed elettriche) economicamente più accessibili e accelerare la fuoriuscita dal mercato delle auto più inquinanti;
• costruzione di punti di ricarica necessari alla diffusione delle auto elettriche ed ibride plug-in.
3. Ridurre l’impatto inquinante del trasporto merci:
• incentivando il trasporto su ferro rispetto a quello su gomma; • promuovendo il rinnovamento del parco veicoli su gomma.
1.1 Riduzione del trasporto motorizzato privato Per abbandonare l’auto c’è bisogno di un’alternativa valida. Più di
un terzo degli Italiani vorrebbe usare meno macchine e più trasporto pubblico, mentre più del 38% vorrebbe aumentare l’uso della bicicletta come mezzo di trasporto15. Circa l’85% degli italiani vorrebbe più investimenti nel trasporto pubblico e il 75% sulla mobilità ciclabile16. Inoltre, le
maggiori preoccupazioni delle famiglie rispetto alla zona in cui vivono
sono, in ordine di importanza, il traffico, l’inquinamento, la difficoltà di parcheggio e gli scarsi collegamenti con i mezzi pubblici17.
15 Dati dal Rapporto della Mobilità Isofort 2020 16 Dati dal Rapporto della Mobilità Isofort 2018 17 Dati Istat 2019
17
PARIGI: UN CASO DI SUCCESSO NEL TRASFORMARE LA MOBILITÀ. A Parigi, come nel resto d’Europa, gli spostamenti
e aree ad accesso variabile in funzione dell’anzianità
e spesso sono stati registrati livelli record di smog
si è dotata di un city bike plan già nel 1996 e da
in auto erano aumentati continuamente fino al 1990
delle auto. Sul versante delle biciclette, la città
dovuti in parte all’alta concentrazione di veicoli.
quell’anno le ciclabili sono aumentate continuamente,
Oggi la capitale francese è generalmente considerata
dal 2014 sono stati costruiti 10 mila nuovi parcheggi
la città modello in Europa per la mobilità urbana
per bici, dal 2015 le ciclabili sono quasi raddoppiate
del futuro. Dal 1990 le auto sono diminuite del 45%,
e dal 2018 al 2019 l’utilizzo di biciclette è aumentato
dal 2010 le vittime legate al traffico sono scese del
40% e si stima che nell’Ile-de-France solo il 35% degli
abitanti possegga una vettura (contro il 60% del 2001) . 1
del 54%4. Ora l’obiettivo è dotare di una pista ciclabile ogni strada di Parigi entro il 2024. Per quel che riguarda il bike sharing, Vélib è uno dei servizi di settore più usati
A Parigi ci si sposta più a piedi che in macchina, con
in Occidente5, contando nel 2012 più di 20 mila bici,
un’invidiabile ripartizione modale del 90% di trasporto
1.800 stazioni (una ogni 300m), dai 40 ai 120 mila affitti
sostenibile (che comprende trasporto pubblico
al giorno e con ogni bici che viaggia circa 40 volte
e mobilità ciclopedonale) contro il 10% delle auto
di più di una bici privata. Il servizio può puntare sulla
in centro, rispettivamente 66% e 34% in periferia2 3.
facile intermodalità e il basso costo, l’app Navigo integra
L’esperienza parigina ci insegna che i cambiamenti
il servizio con il trasporto pubblico e 24h di Vélib costano
sono possibili, ma che richiedono un impegno pubblico
come un biglietto della metro, mentre le tariffe annuali
costante nel tempo. Dagli anni ‘90 infatti i sindaci della
partono da 29 euro contro i 643 euro di partenza per
capitale, di destra e di sinistra, hanno continuamente
il trasporto pubblico. A completare il quadro, dal 2020
intrapreso azioni per favorire la mobilità sostenibile
sono iniziati i lavori per il Grand Paris Express6 che,
e disincentivare l’uso di auto: dissuasori contro
da ultimare entro il 2030, è considerato il più grande
il parcheggio sui marciapiedi, significative e numerose
progetto di trasporto pubblico in Europa degli ultimi
pedonalizzazioni, marciapiedi ingranditi e strade
dieci anni, con un investimento che supera i 40 miliardi,
riqualificate in favore di linee tramviarie. Non sono
contando 200 km di nuova linea automatizzata al 100%
poi mancate le misure di contenimento, come molte
con una capacità di 2 milioni di passeggeri al giorno
eliminazioni di parcheggi su strada, diffuse “zone30”
aggiungendo 68 nuove stazioni.
1
2
3
4 5
6
Da ICLEI - Local Governments for Sustainability e Sustainable Mobility Dal rapporto “Mobility Trends in cutting-edge cities” di IFMO - Institute for Mobility Research In periferia più estrema però 56% e 44% Fonte sondaggio commissionato da sindaco Bloomberg https://www.societedugrandparis.fr/info/grand-paris-express-largest-transport-project-europe-1061
1.1.1 Trasporto Pubblico Locale
LA SITUAZIONE OGGI Nelle aree urbane18 si ricorre spesso alle auto perché il trasporto pub-
blico non riesce a costituire una valida alternativa ai mezzi motorizzati privati: le linee sono poche e scarsamente efficienti. Per ridurre il ricorso all’auto quindi è necessario innanzitutto potenziare l’offerta di trasporto pubblico.
L’aspetto del trasporto pubblico dove il divario con l’Europa è più ampio
è certamente la quantità di linee metropolitane e tramviarie. Il chilo18 Per semplicità, in questo documento con aree urbane ci riferiamo alla definizione Istat di aree urbane (Densità non inferiore a 1500 abitanti per km2 e popolazione nelle celle contigue non inferiore a 50 mila abitanti) e agglomerati urbani (Celle contigue di densità non inferiore a 300 abitanti per km2 e popolazione nelle celle contigue non inferiore ai 5000 abitanti). Fonte: Istat
18
metraggio totale delle metropolitane italiane (247,2) è inferiore a quello
della singola Madrid (291,3). Ancora più indicativo è il confronto rispetto agli altri grandi Paesi europei, che ne hanno più del doppio della capitale spagnola: Regno Unito 672,7 km, Germania 653,3 km e Spagna 611,4
km. Anche considerando i km per abitante delle singole città il gap resta
evidente, con la sola eccezione di Milano. Ci sono 1,4 km di metro ogni 100mila abitanti a Roma, contro i 4,48 di Madrid, 4,26 di Berlino e 3,87 di Londra. Anche le linee tramviarie hanno un significativo gap di offerta:
nel nostro Paese sono in esercizio 511,4 km totali, assai lontani dai 798,2 km della Francia e dai 2.029,8 km della Germania.
LE NOSTRE PROPOSTE Proposta 1.1.1.1
Estensione delle linee tramviarie e metropolitane. Per recuperare la media europea abbiamo bisogno di realizzare almeno 20 km di metro-
politane e 25 km di tranvie ogni anni. Considerando che dal 2011 al 2015,
abbiamo costruito in media 14,2 km di metro e solo 6,9 km di tramvie all’anno, la nostra proposta rappresenterebbe un salto di qualità. Come mostra la Tabella, una parte dei progetti è già in cantiere o fi-
nanziato, gli altri sono compresi nei Piani Urbani di Mobilità Sostenibile (PUMS) e sono realizzabili entro il 2030, quindi è una proposta realisticamente implementabile nel breve periodo.
Stimando il costo di costruzione di un chilometro di metropolitana a 150 milioni di euro (compresi i treni), aumentare di circa 6 chilometri
ogni anno gli investimenti comporta un costo aggiuntivo di 860 milioni di euro all’anno. I costi aggiuntivi per la realizzazione delle linee tram
saranno invece di circa 180 milioni ogni anno. Il costo totale è quindi di circa 1,04 miliardi all’anno.
Scenario 2030: nuove linee di metro, tram e suburbane per le città italiane Fonte: Legambiente
AREA METROPOLITANA E OPERE
KM
COSTO (mil)
FINANZIAMENTI DISPONIBILI
FINANZIAMENTI MANCANTI
6
1.400
0
1.400
Conversione rete metrotranvie - Fase 1
20
300
0
300
Linea 2 metro, tratta Porta Nuova - Rebaudengo
7,2
1.428
1.428
0
Prolungamento linea 1 verso Bengasi
1,9
192
193
0
Prolungamento linea 1 verso Rivoli
3,4
271,4
271,4
0
Prolungamenti metro verso Canepari e Martinez
1,5
63
63
0
Potenziamento passante Genova Brignole-Voltri
15
622,4
622,4
0
TORINO Linea 2 metro, tratta Anselmetti - Porta Nuova
GENOVA
19
AREA METROPOLITANA E OPERE
KM
COSTO (mil)
FINANZIAMENTI DISPONIBILI
FINANZIAMENTI MANCANTI
Prolungamento metro linea M5 Monza Polo Istituzionale
13
1.265
365
900
Linea M4 Linate Aereoporto - San Cristoforo
15
1.819
1.819
0
Prolungamento M1 Sesto FS - Monza Bettola
1,9
205,9
205,9
0
Prolungamento M1 Bisceglie - Quartiere Olmi
3,3
358
358
0
Riqualificazione tranvia Milano - Lambiate
11,5
153,2
153,2
0
Metrotranvia Ospedale Niguarda - Cascina Gobba M2
1,5
15,8
15,8
0
Metrotranvia Milano - Desio - Seregno
14,2
214,2
214,2
0
Metrotranvia Rogoredo M3 - Repetti M4
4,5
36
36
0
11,5
178,6
178,6
0
11,7
250
0
250
Linea SIR 2 Rubana - Busa di Vigonza
11,5
153,2
153,2
0
Linea SIR 3 Stazione - Voltabarozzo
5,5
69,6
56
13,6
Metrotranvie blu, verde e gialla
36,8
1.150
0
1.150
Completamento del Sistema Ferroviario Metropolitano Bologna
357
740
320
420
Metrotranvia rossa
16,5
509
509
0
Metrotranvia 2 Aeroporto - Polo Scientifico
7,4
294
0
294
Metrotranvia 3 Libertà - Bagno a Ripoli
7,2
284
280
4
6
260
10
250
Metrotranvia 4 Le Piagge - Campi Bisenzio
5,4
160
0
160
Metrotranvia 2 Lavezzini - Libertà - San Marco
2,5
40
40
0
Metrotranvia 4 SMN - Le Piagge
6,2
166
166
0
Prolungamento metrlo linea A Battistini - Monte Mario
5,2
900
0
900
Prolungamento metrlo linea B Rebibbia - Casal Monastero
2,8
700
0
700
Prolungamento metrlo linea B1 Jonio - GRA
3,8
950
0
950
Completamento metro linea C Fori Imperiali - Farnesina
14,3
3.700
0
3.700
Tramvia Termini - Vaticano - Aurelio
8,3
150
0
150
Metrotranvia Anagnina - Tor Vergata - Torre Angela
6,5
230
0
230
Tranvia Marconi - Subaugusta
13,4
220
0
220
Tranvia Angelico - Auditorium
5,1
60
0
60
Tranvia piazza Vittorio - piazza Venezia
2,7
31
0
31
Chiusura a Nord dell’anello ferroviario Roma e nuova stazione Foro Italico
15
577
16
561
Quadruplicamento Capannelle - Ciampino
3,8
70
0
70
40,8
481
481
0
6
100
100
0
MILANO
BERGAMO Metrotranvia T2 Bergamo - Villa d’Almè
BRESCIA Tranvia Pendolina - Fiera
PADOVA
BOLOGNA
FIRENZE
Metrotranvia 3 Libertà - Rovezzano
ROMA
Conversione in metropolitane delle linee Roma - Lido e Roma - Viterbo (tratta urbana) Raddoppio Roma Nord - Viterbo
20
AREA METROPOLITANA E OPERE
KM
COSTO (mil)
FINANZIAMENTI DISPONIBILI
FINANZIAMENTI MANCANTI
12,6
213,8
213,8
0
Tranvia Tiburtina - Ponte Mammolo
3
55
55
0
Metrotranvia Ponte Mammolo - Subaugusta
8
184,2
184,2
0
Tranvia Aversa - Teverola - Santa Maria Caua Vetere - Capua
18
209,3
0
209,3
Raddoppio della Circumflegrea tra Quarto - Pianura e Pisani
10
535
251
284
Completamento linea metro 6
6,3
790
790
0
Linea metro 1 (chiusura anello)
7
685,5
685,5
0
8,8
125
125
0
Prolungamento FM1 Cecilia - Delle Regioni
0,9
20
20
0
Apertura linea Bari - Bitritto
11,9
34,6
34,6
0
36
50
0
50
24,2
198
198
0
40
487
487
0
7
252
252
0
9
492
492
0
3,9
104,3
104,3
0
Completamento della metro leggera dell’area vasta Cagliari (Sestu, Selargius, Quartucciu, Quartu S.Elena)
29,1
294
0
294
Prolungamento metrotranvia 1 Repubblica - Stazione
2,5
22,5
22,5
0
Metrotranvia 2 Bonaria - Poetto
4,4
44
44
0
2,5
36
36
0
25.592,3
11.896,4
13.695,9
ROMA Conversione in metropolitane linea Laziali - Giardinetti e prolungamenti a Termini e Tor Vergata
NAPOLI
SALERNO Prolungamento FM1 Cecilia - Delle Regioni
BARI
FOGGIA Treno - Tram Foggia - Manfredonia
PALERMO Tratta A Stazione Centrale - Villa Sofia; Tratta B Notarbartolo - Giachery; Tratta C Stazione Centrale - Calatafimi
Tratta D Orleans - Polo Ospedaliero; Tratta E2 Mondello - Strasburgo; Tratta F Stazione Centrale - Stazione Giachery; Tratta G Lanza di Scalea - Sferracavallo Chiusura anello ferroviario
CATANIA Prolungamento metro Stesicoro - Aeroporto Prolungamento metro Nesima - Misterbianco
CAGLIARI
SASSARI Prolungamento Treno - Tram Santa Maria di Pisa - Li Punti
TOTALE ITALIA
Il parco autobus italiano è vecchio e in costante diminuzione in termini di quantità. Nel 2019 il nostro parco autobus ammontava a 100.149
unità, più della Francia (94.371) e della Germania (81.364). Le nuove im-
matricolazioni hanno però subito un grosso calo negli ultimi 5 anni: in
media sono state solo 3.820, rispetto alle 7.376 della Francia e alle 6.106 della Germania.
Per quel che riguarda la qualità, acquistiamo pochi veicoli a basse 21
emissioni: le nuove immatricolazioni sono composte al 92% da veicoli diesel e soltanto l’8% è ad alimentazione alternativa19. Ad oggi, infatti, il 94% del parco è alimentato a diesel, contro un residuale 6% ad alimentazione alternativa. Così come il parco auto, anche gli autobus in
italia sono significativamente più vecchi rispetto ad altri Paesi europei: nel 2019 l’età media dei nostri autobus è di 12,8 anni, più alta rispetto agli
11,7 della media europea e molto più alta degli 8,5 anni della Germania e dei 7,2 della Francia. In Italia gli autobus con più di 10 anni sono il 66% del
totale, rispetto al 27% della Francia e al 35,5% della Germania, a giugno dell’anno scorso le classi euro 3 o inferiori erano il 48% del totale.
Proposta 1.1.1.2
Ammodernamento del parco autobus20. Dobbiamo colmare il gap di anzianità con Francia e Germania21, ma senza ridurre la dimensione del
parco autobus, per farlo bisogna intervenire su due direttrici: da una parte dimezzare entro 3 anni il numero di autobus con età superiore ai
10 anni, passando da 66 mila a 33 mila, dall’altra stabilizzare l’età media
del parco a circa 8 anni. Per realizzare questo piano occorre acquistare circa 25 mila autobus all’anno per i prossimi 3 anni per stabilizzarsi poi acquistando circa 6.700 nuovi autobus ogni anno22.
Più immatricolazioni da sole non bastano, i nuovi acquisti devono gradualmente integrare sempre più autobus ibridi ed elettrici. Entro il 2030
proponiamo il divieto di immatricolare nuovi autobus alimentati con
carburanti a combustione interna (benzina, diesel, gpl), come proporremo per le auto (vedi proposta 1.2.3).
Rispetto ai 4.060 acquisti medi degli ultimi 4 anni, stimando un costo unitario di 250 mila euro per autobus, raggiungere 25 mila acquisti com-
porterà un costo aggiuntivo di circa 5,2 miliardi di euro per i primi 3 anni. A partire dal quarto anno, i costi aggiuntivi rispetto a quelli attuali saranno di circa 660 milioni di euro all’anno.
Sono necessari interventi anche sui treni regionali e nazionali, nel-
la maggior parte dei casi servono dei potenziamenti, ma è necessario anche costruire nuovi collegamenti. Per fare qualche esempio,
a Roma è da 30 anni che si aspetta il completamento dell’anello ferroviario di cui beneficerebbero migliaia di pendolari ogni giorno, tra Napoli e Bari non esistono treni diretti, tra Taranto e Lecce l’unico mezzo diretto è un intercity notturno. Sono poi numerose le aree urbane che
da anni soffrono la mancanza di interventi strategici, come le velocizzazioni sulle linee adriatica, tirrenica, ionica e i collegamenti con le aree fuori dall’alta velocità.
Proposta 1.1.1.3
Potenziamento e completamento delle linee ferroviarie nazionali e re-
gionali.23 La tabella di seguito indica le priorità di intervento, da effettua-
19 Si considerano autobus ad alimentazione alternativa gli autobus elettrici, a idrogeno, metano, gnl e ibridi 20 Proposta presentata da Asstra (Associazione Trasporti) in Audizione IX Commissione alla Camera
21 Convergendo quindi verso un’età media del parco autobus di 8 anni, e una quota di autobus con età superiore ai 10 anni inferiore al 33% 22 Assumiamo che il nostro parco autobus rimanga costante 23 Proposta ripresa da Legambiente
22
re entro il 2030, per un costo stimato, oltre agli investimenti già previsti, di 13 miliardi di euro aggiuntivi.
Scenario 2030: il potenziamento delle linee ferroviarie in Italia Fonte: Legambiente
REGIONE E OPERE
COSTO (mil)
FINANZIAMENTI DISPONIBILI
FINANZIAMENTI MANCANTI
Raddoppio della Albairate (MI) - Mortara (PV)
443,12
6,42
436,7
Potenziamento Rho - Gallarate
827,7
522
305,7
Quadruplicamento Chiasso - Monza
1.412
4
1.408
Quadruplicamento Pavia - Milano - Rogoredo
900
265
636
Raddoppio Codogno - Cremona - Mantova
1.320
340
980
Raddoppio Ponte San Pietro - Bergamo - Montello
300
170
130
Nuovo collegamento con l’aeroporto di Bergamo
170
139
31
35
0
35
475
425
50
1.800
200
1.600
1.540
51
1.489
Raddoppio linea ferroviaria Pontremolese (La Spezia - Brennero)
314
170
144
Elettrificazione Brescia - Parma
120
0
120
Completamento del Sistema Ferroviario Metropolitano Bologna
740
320
420
20
5
15
93
0
93
86
0
86
Raddoppio PM228 (Albacina) - Castelplanio
573
0
573
Raddoppio della Terni - Spoleto
572
13,42
558,58
Elettrificazione e velocizzazione Sulmona - L’Aquila - Rieti - Terni
442
62
380
Raddoppio Pescara - Chieti - Manoppello
602
351,74
250,26
547
16
531
98
63
35
290
80
210
260
206
54
1.024
396
628
112
60
52
LOMBARDIA
VENETO - FVG Elettrificazione e velocizzazione della linea Verona - Rovigo (tratta Cerea - Isola della Scala) Nuovo collegamento con l’aeroporto di Venezia Velocizzazione Venezia - Trieste
LIGURIA Completamento del raddoppio Genova - Ventimiglia
EMILIA - ROMAGNA
Servizio Ferroviario Metropolitano Salsomaggiore - Fidenza - Parma
TOSCANA Velocizzazione del Corridoio ferroviario Tirrenico Nord
MARCHE - UMBRIA - ABRUZZO Velocizzazione Orte - Falconara
LAZIO Chiusura a Nord dell’anello ferroviario Roma e stazione Foro Italico Stazione di scambio FL/Linea C a Pigneto
Molise Velocizzazione, elettrificazione e riapertura Venafro - Isernia - Campobasso - Termoli
PUGLIA Elettrificazione Ferrovie del Sud Est RIassetto dei nodi ferroviari Nord e Sud Bari Collegamento con l’aeroporto di Brindisi
23
REGIONE E OPERE
COSTO (mil)
FINANZIAMENTI DISPONIBILI
FINANZIAMENTI MANCANTI
Velocizzazione Battipaglia - Potenza - Metaponto
711
61
650
Potenziamento Potenza - Foggia
313
283
30
918
618
300
Velocizzazione Catania - Siracusa
132,8
88
44
Velocizzazione Siracusa - Ragusa - Gela
200
0
200
Ripristino linea Caltagirone - Gela
265
90
175
40
0
40
Riqualificazione reti RFI ed ARST in Sardegna
635
414
221
Nuovo collegamento con l’aeroporto di Olbia
170
0
170
18.501,82
5.419,58
13.081,24
BASILICATA
CALABRIA Potenziamento ed elettrificazione linea Sibari - Catanzaro Lido - Lamezia Terme
SICILIA
Nuovo collegamento con aeroporto Trapani Birgi
SARDEGNA
TOTALE ITALIA
Al contrario del parco autobus, il rinnovamento del parco treni sta pro-
cedendo con un ritmo sostenuto. In Italia nel 2020 hanno circolato 2.767
treni con un’età media scesa a 15,2 anni, in continua diminuzione rispetto ai 18,6 del 2016 ed in linea con la media europea. Negli ultimi anni sono
stati immessi 757 nuovi treni e l’innesto di altri 704 è già programmato.
La media nazionale nasconde però forti differenze territoriali, con molte regioni, soprattutto nel Sud, con un’età del parco treni vicina ai 20 anni. Treni più nuovi non sono soltanto più sostenibili, sicuri e capienti, ma au-
mentano anche la domanda di trasporto pubblico. La ricerca ci dice che il rinnovo del parco circolante è una delle cause principali della crescita della quantità di passeggeri nei treni regionali che, in alcuni casi, si è registrata negli ultimi anni.24
Età media del materiale rotabile per Regione Fonte: Legambiente
REGIONI E PR. AUTONOME
ETÀ MEDIA PER REGIONE
NUMERO TRENI
% TRENI CON PIÙ DI 15 ANNI
Abruzzo
19,8
54
48,1
Basilicata
19,6
40
65
Pr. Bolzano
9,8
43
20,6
19
94
70,2
Campania
19,9
352
65,9
Emilia - Romagna
10,3
176
19,3
Friuli - Venezia Giulia
11,6
45
0
Lazio
16,3
201
43,3
Liguria
10,9
72
6,9
Lombardia
18,4
422
46
Calabria
24 Da dati Legambiente
24
REGIONI E PR. AUTONOME
ETÀ MEDIA PER REGIONE
NUMERO TRENI
% TRENI CON PIÙ DI 15 ANNI
Marche
12,5
50
26
Molise
19,6
23
74
Piemonte
11,8
193
9,8
Puglia
17,4
174
41,9
Sardegna
19,3
119
69,7
Sicilia
18,6
147
34
Toscana
12,4
229
35,8
Pr. Trento
11,3
62
27,4
Umbria
19,7
70
65,6
Valle d’Aosta
9,2
17
0
Veneto
12,4
184
38
ITALIA
15,2
2.767
38,5
Proposta 1.1.1.4
Sostituzione di tutti i treni con più di 15 anni. Proponiamo di avviare la sostituzione di tutti i treni con un’età maggiore di 15 anni, da completare entro il 2030 e che dovrà essere distribuita in modo da raggiungere in
ogni regione un’età media significativamente inferiore all’attuale media nazionale di 15,2 anni. È pertanto necessario acquistare 1.145 nuovi treni,
441 in più rispetto alle 704 immissioni già programmate. La distribuzione regionale dei nuovi acquisti sarà: REGIONE
NUOVI TRENI
Abruzzo
26
Basilicata
26
Bolzano
9
Calabria
62
Campania
232
Emilia-Romagna
34
Lazio
87
Liguria
5
Lombardia
194
Marche
13
Molise
17
Piemonte
19
Puglia
73
Sardagna
83
Sicilia
50
Toscana
82
Trento
17
Umbria
46
Veneto
70
TOTALE
1.145
25
Il costo di acquisto dei 441 treni aggiuntivi è stimato in circa 2 miliardi di euro.
Sinora, ci siamo focalizzati sull’incremento del chilometraggio delle linee
perché lì il gap con il resto dei Paesi europei è più evidente, ma per incentivare un maggior utilizzo del trasporto pubblico bisogna anche ridurre i tempi di attesa, sia nelle aree urbane sia in quelle extraurbane.
Questo perché la ricerca conferma che la puntualità delle linee pubbliche è uno dei fattori che più influenza la scelta tra trasporto pubblico e mezzo motorizzato privato.
In Italia i mezzi pubblici non spiccano per la loro frequenza e puntualità. Per esempio a Roma la Linea B ha una frequenza di 4 minuti nelle ore di
punta e 15 in quelle di morbida, la Linea C addirittura da 9 a 12. In con-
fronto, le metropolitane di Parigi, Madrid e Berlino hanno tutte frequenza tra i 2 e i 4 negli orari di punta e tra i 7 e i 9 in quelli di morbida. Per quel
che riguarda i treni, la percentuale di intercity puntuali in Italia è del 53%, contro il 71% della Germania, 76% della Francia e l’89% della Spagna25,
non sorprende quindi che, come rilevato nel 2013 da uno studio della Commissione Europea, l’Italia sia l’unico Stato insieme alla Polonia in
cui la maggioranza degli utenti non sono soddisfatti dalla puntualità del servizio26.
Proposta 1.1.1.5
Aumento della frequenza di passaggio del trasporto pubblico. Proponiamo di aumentare la frequenza di passaggio delle linee metro-
politane e tramviarie. Le prime devono arrivare tra i 3-4 minuti negli orari di punta, prioritizzando le linee dove la domanda è maggiore27. Le
seconde devono invece arrivare a 4 minuti nelle ore di punta a Roma, Napoli, Milano e Torino.
Per quanto riguarda i treni regionali, la frequenza deve essere di 8-15
minuti negli orari di punta delle linee più frequentate di accesso alle aree metropolitane28, arrivando ad una frequenza di 15-30 minuti nelle ore di punta pendolare lungo alcune linee chiave29. Per alcuni casi
specifici come le linee umbre, dell’Adriatico e in Sicilia, dove il servizio è
ancora fermo a treni ogni ora o, peggio, senza orario cadenzato, bisogna che il passaggio di un treno ogni 30 minuti in orari di punta e 60 in quelli di morbida sia garantito.
Per raggiungere questo obiettivi si può stimare un fabbisogno aggiuntivo, rispetto agli investimenti già previsti, di almeno 650 treni regionali, tra
nuovi e revamping, di 180 treni metropolitani e 320 tram, per una spesa complessiva di circa 5 miliardi di euro da spalmare in dieci anni.
25 Dalla mappa “Percentage of Intercity trains classified as punctual (2018)” della Commissione Europea - 7th Rail Market Monitoring Report 26 Dall’ Eurobarameter
27 Come ad es. linea B/B1 e linea C a Roma, metropolitana di Genova, linea 2 di Napoli, metropolitana di Catania
28 Linee FL di Roma, sulla Roma Nord-Viterbo e sulla Roma-Ostia Lido, sulle SFM più frequentate a Torino, in quelle S che attraversano Milano, a Napoli (Circumvesuviana, Circumflegrea e Cumana). 29 Le FL4 ed FL8 nel Lazio; la S7 a Milano; le SFM 4, 6 e 7 a Torino; la Padova- Treviso e la Venezia-Castelfranco Veneto in Veneto; il Sistema Ferroviario Metropolitano di Bologna; la linea Adriatica (tra Emilia-Romagna, Marche ed Abruzzo in modo da arrivare ad orari cadenzati tra Rimini ed Ancona e tra S. Benedetto del Tronto e Pescara); la Villa San Giovanni-Melito di Porto Salvo nell’area metropolitana di Reggio Calabria; la FM 1 Bari Centrale-Cecilia; la Cagliari San Gottardo-Dolianova
26
Scenario 2030: frequenze sulle linee ferroviarie Fonte: Legambiente
LINEA FERROVIARIA E METROPOLITANA
FREQUENZA TRENI 2020 (punta e morbida)
FREQUENZA TRENI AL 2030 (punta e morbida)
SFM 1 Chieri - Pont canavese
30 / 60 minuti
15 / 30 minuti
SFM 2 (Torre Pelice) Pinerolo - Chivasso
30 / 60 minuti
30 minuti alternando corse veloci e lente
SFM 3 (Modane) Bardonecchia - Susa - Caselle Aeroporto
30 minuti alternato
15 minuti / 30 limitato ad Avigliana, corse veloci per l’alta e media valle
SFM 4 Alba - Geermagnano
60 minuti
30 minuti alternando corse veloci e lente
(Cavallermaggiore) Alba - Asti / Alessandria, Vercelli - Casale - Alessandria e Anello Granda (Bra - Savigliano - Saluzzo - Cuneo - Mondovì)
linee sospese
30 / 60 minuti
S1 Lodi - Milano - Saronno, S5 Varese - Milano Treviglio e S11 Milano - Como - Chiasso
30 minuti
15 minuti
S7 Milano Porta Garibaldi - Molteno - Lecco
60 minuti
30/60 minuti
60/120 minuti
30/60 minuti
Genova Voltri - Genova Nervi e Genova Brignole Genova Pontedecimo
20/40 minuti
7,5/15 minuti
Genova Piazza Principe - Ovada
60 minuti
30 minuti
Metro Genova
5/20 minuti
4/8 minuti
S1A Porretta Terme - Bologna e S2A Vignola - Bologna
30/60 minuti
15/30 minuti
S1B S. Benedetto Val di Sambro - Bologna
25/40 minuti
15/30 minuti
S2B Portomaggiore - Bologna
20/60 minuti
15/30 minuti
Firenze - Empoli - Pisa - Livorno
30/60 minuti
30 minuti
Firenze - Empoli - Siena
60 minuti
30 minuti
Firenze - Lucca
30/60 minuti
30 minuti
Cesena - Ancona
60 minuti
30 minuti
Ravenna - Pesaro
un solo treno diretto al giorno
30 minuti
S. Benedetto del Tronto - Pescara
60/90 minuti
30/60 minuti
>60 minuti
30/60 minuti
FL4 Roma Termini - Albano Laziale, Velletri, Frascati e FL8 Roma Termini - Nettuno
60 minuti
15 minuti
COTRAL Roma - Lido e Roma Nord - Viterbo
10/30 minuti
Roma - Lido: 3/8 min; Roma Nord - Viterbo (tratta urbana): 8/15 min
Metro B/B1
4/15 minuti
3/8 minuti
TORINO E PIEMONTE
MILANO
VENETO Treviso - Padova
GENOVA
BOLOGNA
FIRENZE E TOSCANA
ADRIATICA NORD E SUD
CONURBAZIONE AREA UMBRA Perugia - Foligno - Terni e Terni - Todi - Perugia - Città di Castello - Sansepolcro
ROMA
27
Metro C
12/20 minuti
4/10 minuti
LINEA FERROVIARIA E METROPOLITANA
FREQUENZA TRENI 2020 (punta e morbida)
FREQUENZA TRENI AL 2030 (punta e morbida)
Napoli Porta Nolana - Sarno e S. Giorgio
30/60 minuti
8/15 minuti
Napoli - Piedimonte Matese e Napoli - Cancello - Benevento
>60 minuti
30/60 minuti
Cumana e Circumflegrea Napoli Montesanto - Torregaveta
20 minuti
8/15 minuti
Metro linea 2
7/15 minuti
4/10 minuti
40/60 minuti
20/30 minuti
>60 minuti
30/60 minuti
Anello ferroviario di Palermo
n.a.
15 minuti
Palermo - Messina e Palermo - Catania
>60 minuti
30/60 minuti
Messina - Catania
30/60 minuti
30 minuti
Catania - Siracusa
>60 minuti
30/60 minuti
Metro di Catania
10/15 minuti
5/10 minuti
20/>60 minuti
15/30 minuti fino a Dolianova; 60 minuti verso Isili
NAPOLI
BARI FM 1 Bari Centrale - Cecilia
REGGIO CALABRIA Rosarno - Melito di Porto Salvo (Tamburello)
PALERMO / SICILIA
SICILIA ORIENTALE
SARDEGNA ARST Cagliari San Gottardo - Dolianova - Isili
1.1.2 Mobilità ciclabile
LA SITUAZIONE OGGI L’Italia investe meno dei grandi Paesi europei per la mobilità ciclabile. Per il 2020 e il 2021 il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (MIT) ha stanziato per le infrastrutture di mobilità ciclabile 137,2 milioni, in confronto l’Inghilterra ha stanziato 2,2 miliardi per la mobilità ciclabile per i pros-
simi 5 anni. Secondo le stime della European Cycling Federation i fondi nazionali mediamente dedicati alla mobilità ciclabile sono 88 milioni in Italia, contro i 131 della Germania, 244 della Francia e 247 della Spagna.
Nonostante dal 2008 al 2015 le ciclabili siano aumentate del 50 per cento, passando da 2823 km a 4169 km, l’utilizzo delle biciclette in Italia è rimasto estremamente basso: la percentuale di italiani che usano la bici abitualmente è pari al 3,6%, numero ben lontano da Paesi come Olanda e Dani-
marca, dove utilizzano regolarmente la bicicletta circa un terzo e un quar-
to della popolazione. In generale, nella maggioranza delle città italiane la
quota di spostamenti in bici sul totale si attesta tra l’1% e il 6%, contro una media UE tra l’8% e il 10%30, con picchi sopra al 30% in Paesi come Olanda
e Danimarca. La crisi Covid 19 ha favorito un aumento sostanzioso nel nu-
mero di ciclisti, stimato intorno al 20% rispetto al 2019, e per questo pensia-
30 Da Isofort
28
mo che ad oggi sia cruciale rafforzare gli investimenti in mobilità ciclabile. Costruire nuove ciclabili non basta, per incentivare l’utilizzo di biciclet-
te è necessario uno sforzo ulteriore. Bisogna concentrarsi soprattutto sull’intermodalità e sull’efficienza complessiva della rete. Le ciclabili per
essere utilizzate devono essere ben connesse, in modo da permettere
agli utenti di spostarsi in sicurezza e rapidamente, senza essere costretti a percorrere pericolosi tratti su strade non ciclabili. Per essere utili devono collegare poli con alta domanda di trasporto, come ad
esempio i luoghi di lavoro/studio o i centri sportivi/culturali e consentire
più intermodalità con le stazioni di trasporto pubblico. Le ciclabili devono essere illuminate di notte e al riparo dal traffico, affiancandole, dove possibile, alle zone 30km/h31.
La sicurezza ed efficienza delle ciclabili è un tema che cresce di impor-
tanza con l’aumento costante dei rider occupati nelle grandi imprese
di delivery. Si stima che in Italia circolino quotidianamente tra i 15 e i 30 mila rider, ma è un numero in continua crescita e fotografarlo con pre-
cisione è difficile. Da un sondaggio32 si evince che l’82% dei rider chiede
più ciclabili, e il 62% di loro non riesce ad utilizzare mai le piste presenti, trovandosi costretto a viaggiare a fianco delle auto.
LE NOSTRE PROPOSTE Proposta 1.1.2.1
Interventi per la quantità e la qualità delle ciclabili. Per quel che riguar-
da la quantità, proponiamo di raddoppiare il chilometraggio nelle aree urbane nei prossimi cinque anni, come già prevedono i PUMS. Sono da
implementare progetti per 2.626 km di nuove piste ciclabili, da sommare ai 2.341 km già esistenti.
Per quanto concerne la qualità, la sicurezza e l’intermodalità delle ciclabili esistenti, ogni PUMS deve contenere un piano di riqualificazione della rete, con target specifici in termini di zone 30km/h in prossimità di ciclabili e illuminazione delle stesse, continuità della rete ciclabile e connessione di poli ad alta domanda di trasporto.
Stimando in 550 euro al metro il costo di una ciclabile, il costo per costruire 2.626 km aggiuntivi di piste ciclabili è di circa 1,4 miliardi di euro.
Proposta 1.1.2.2
Migliore intermodalità della mobilità ciclabile. Proponiamo di istituire zone di parcheggio sicure per biciclette in prossimità delle stazioni fer-
roviarie e metropolitane con maggiore domanda di trasporto33 e dei poli
di interesse più frequentati (scuole/università, centri sportivi/culturali).
Inoltre, vogliamo garantire la possibilità di trasportare la bicicletta nei mezzi del trasporto pubblico34. Ogni treno nazionale e regionale deve 31 L’8% delle vittime stradali sono ciclisti (secondo istat-focus2r). Secondo i report della Commissione Europea, in numeri assoluti solo la Germania ha più fatalità di ciclisti rispetto all’Italia 32 Su un campione rappresentativo degli oltre 2.500 riders di Deliveroo
33 Il 54% dei comuni intervistati ha allestito postazioni di interscambio bici in tutte le stazioni ferroviarie, il 19% in almeno una, mentre il 27% ne è ancora sprovvisto. (fonte: report focus2r) 34 Il trasporto della bicicletta sui mezzi pubblici, è consentito solo nei treni e solo nel 45% dei comuni, nel 17% di questi comuni si può fare solo con le bici pieghevoli (fonte: report focus2r e analisi legambiente su un campione di 96 comuni rappresentativi)
29
essere dotato di carrozza bici e vanno installati sugli autobus degli stalli anteriori/posteriori dove poter agganciare almeno 4 biciclette.
1.1.3 Mobilità condivisa
LA SITUAZIONE OGGI I servizi di mobilità condivisa offrono opportunità promettenti in termini
ambientali35. Uno studio dell’OCSE ha rilevato che con un utilizzo diffuso
di mobilità condivisa a livello globale, sarebbe possibile ridurre del 6,3% le emissioni del settore dei trasporti36. Ancor più visibili sarebbero i benefici sulla congestione stradale, dato che ogni tragitto con un mezzo
condiviso evita che tante persone con mezzo privato viaggino singolarmente, intasino le strade e occupino parcheggi.
La mobilità condivisa in Italia è, come in Europa, un settore in continua
espansione. Il mercato europeo del car-sharing aveva un valore di cir-
ca 570 milioni di dollari nel 2017 e per il 2024 è previsto che raggiunga i 4 miliardi37. Si stima che questo mercato crescerà con un tasso CAGR
(compound annual growth rate) del 33,7%.
In Italia crescono i servizi disponibili: nel 2018 erano presenti sul territorio italiano 363 servizi di mobilità condivisa, aumentati di 100 dal 2015,
crescono ancora di più gli utenti, 5,2 milioni nel 2018 aumentati del 24%
rispetto all’anno prima. Anche in termini di qualità, la percentuale di veicoli elettrici sul totale è aumentata dal 27% del 2017 al 43% del 201838.
Nonostante la crescita del settore, nella maggior parte delle città italiane la mobilità condivisa rimane marginale e poco diffusa. Stando ai dati aggiornati al 2018, soltanto Milano ha più di 200 auto car sharing ogni
100mila abitanti (245) e soltanto Firenze e Torino ne hanno più di 100 (ri-
spettivamente 137 e 104). Tutte le altre città, a parte Roma (con 81), hanno meno di 50 auto ogni 100mila abitanti. Inoltre, una percentuale ancora
troppo basse delle auto car sharing sono a basse emissioni (elettriche, ibride o a gas): il 22,4% a Milano, il 19,3% a Torino e il 42,3% a Firenze.
Per quel che riguarda il bike sharing, se al Centro e al Nord si registra
un’ampia diffusione, con molte città con almeno 20 biciclette ogni 10mila abitanti, al Sud è quasi completamente assente con l’unica eccezione di
Lecce, che nel 2018 aveva 52,4 biciclette ogni 10mila abitanti. Le città con
più di 100 biciclette bike sharing ogni 10mila abitanti erano invece Rimini (169,4), Ravenna (157,8), Milano (121,3) e Firenze (105,3).
Una maggiore diffusione dei servizi di mobilità condivisa li renderebbe più efficienti e convenienti, a vantaggio sia del venditore sia del consumatore. Il primo perché può recuperare più velocemente i costi iniziali
35 Ma anche in termini economici come osservato dal rapporto “Ricerca sulla convenienza economica del car sharing” (2018) di C.Bulando, E.Ivaldi, M.Mastretta, P.Parra Saiani, S.Sacone 36 Dal report “Working Party on Integrating Environmental and Economic Policies” dell’OCSE
37 Da “Car Sharing Market Trends 2021 - Regional Statistics and Forecasts 2024 | Europe, North America & APAC” di Graphical Research 38 Quota trainata dallo scooter sharing
30
per mettere a disposizione il parco veicoli, i consumatori perché hanno a
disposizione più veicoli nelle vicinanze tra cui scegliere e possono beneficiare di prezzi inferiori grazie ad una migliore competizione ed efficienza nell’erogazione del servizio.
Affinché il mercato della mobilità condivisa si sviluppi è necessario ab-
battere le barriere iniziali all’ingresso degli operatori privati e promuovere il servizio pubblico nelle zone dove questi non investono.
LE NOSTRE PROPOSTE Proposta 1.1.3.1
Incentivi allo sviluppo di servizi di mobilità condivisa di car e bike sharing al Sud. Proponiamo un incentivo fiscale nella forma di un credito
d’imposta dei costi di acquisto del parco mezzi, in favore di una maggiore diffusione dei servizi di mobilità condivisa.
1. Per il car sharing l’incentivo rimarrà fino al raggiungimento di 100 auto car sharing ogni 100mila abitanti per le città tra i 100 e i 300
mila abitanti e fino al raggiungimento di 200 auto car sharing ogni 100mila abitanti per le città con più di 300 mila abitanti.
2. Per il bike sharing l’incentivo rimarrà fino al raggiungimento di 50 biciclette bike sharing ogni 10mila abitanti per le città tra i 100 mila e i
300 mila abitanti e fino al raggiungimento di 100 biciclette bike sharing ogni 10mila abitanti per le citta con piu di 300 mila abitanti.
Proposta 1.1.3.2
Normativa più favorevole alla mobilità condivisa. Essendo un fenomeno
relativamente nuovo, la mobilità condivisa richiede un aggiornamento di alcune norme sulla mobilità, che ha come prerequisito un aggiorna-
mento del Codice della Strada che preveda una definizione di veicolo condiviso e mobilità condivisa, ancora assente.
Nello specifico: possibilità per i veicoli condivisi di percorrere le linee preferenziali, estendere ai servizi di mobilità condivisa il sostegno pubblico previsto per le altre forme di trasporto pubblico locale, tra cui l’abbas-
samento dell’IVA dal 22% al 10%, obbligo di inserimento nei PUMS di una quota di parcheggi dedicati ai veicoli condivisi.
1.1.4 Pianificazione della mobilità sostenibile
LA SITUAZIONE OGGI Intervenire per disincentivare il ricorso ai mezzi motorizzati privati per
aumentare la quota di mobilità sostenibile è molto complesso. Infatti la scelta del mezzo da usare si cambia nel tempo e dipende da molti fat-
tori spesso poco connessi tra di loro, come geografia, meteo, distanza,
destinazione, reddito, cultura e preferenze individuali, fattori a loro volta influenzati delle caratteristiche specifiche del territorio. Per questo moti-
31
vo sono i Comuni che, sfruttando una maggiore conoscenza degli elementi sopra elencati, definiscono le politiche di medio e lungo periodo
per gestire la mobilità e incentivare quella sostenibile tramite l’elaborazione dei Piani Urbani della Mobilità Sostenibile (PUMS)39.
Questo sistema però risulta in una pianificazione territorialmente
frammentata e generalmente poco ambiziosa. I PUMS infatti non seguono delle linee guida uniformi e non esistono nemmeno dei target
ambientali predeterminati a cui devono rispondere, con il risultato che gli obiettivi ambientali locali sono spesso poco ambiziosi e in alcuni casi
addirittura assenti. In Italia manca una strategia aggiornata per la mo-
bilità sostenibile che adotti una forte dimensione ambientale con una
visione di insieme di lungo periodo. L’ultimo Piano Generale dei Trasporti
e della Logistica risale al 2001, doveva essere aggiornato nel 2016, ma
non è stato fatto. Avere un Piano aggiornato è necessario non solo per integrare i target ambientali attuali nella pianificazione dei trasporti di Regioni, Città e Comuni, ma anche per tener conto dei numerosi cambiamenti nel campo della mobilità, come le opportunità che le nuove
tecnologie digitali possono offrire nella pianificazione degli interventi e nel monitoraggio degli spostamenti.
Un altro problema riguarda i dati sulla mobilità degli italiani, sono po-
chi, di carattere generale e non aggiornati. Soprattutto per quel che
riguarda la ripartizione modale, cioè quanto sono usati i diversi mezzi di trasporto in relazione agli spostamenti totali, è molto raro trovare un
dato successivo al 2010. Sono informazioni che dovrebbero essere alla base di qualsiasi pianificazione e la loro assenza rende più difficile prevedere gli effetti degli interventi nel tempo.
LE NOSTRE PROPOSTE Proposta 1.1.4.1
Adozione del nuovo Piano Generale dei Trasporti e della Logistica. Ad
oggi soltanto 46 PUMS su 183 sono stati approvati e solo 69 Comuni/ Unioni di Comuni, pari al 46% della popolazione nazionale, hanno aderito all’Osservatorio PUMS40. Per recuperare questo ritardo, aumentare le sinergie nel frammentato sistema dei PUMS e accrescerne l’ambizione, il MIT deve presentare un Piano Generale dei Trasporti e della Logistica. Il Piano deve contenere il quadro delle priorità finanziate nei Comuni, per
le infrastrutture su ferro, per quelle ciclabili e per la mobilità condivisa,
fissare target ambiziosi in termini di ripartizione modale e di riduzione delle emissioni e destinare a questi interventi, come avviene negli altri
Paesi europei, la quota prevalente delle risorse stanziate ogni anno dal MIT. Inoltre, tali risorse devono essere condizionate all’approvazione dei PUMS, in modo da diventare parte integrante del piano nazionale.
39 I PUMS, da elaborare seguendo le linee guida della Commissione Europea del 2014, sono diventati obbligatori per decreto nel 2017 in tutti i comuni (singoli o aggregati) che superano i 100mila abitanti 40 Osservatorio PUMS, gestito da Euromobility, focal point di Endurance
32
REGIONE
PUMS APPROVATI
PUMS ADOTTATI
PUMS IN REDAZIONE
PUMS TOTALI
Puglia
5
10
27
42
Lombardia
6
4
10
20
Toscana
6
6
4
16
Emilia - Romagna
9
4
2
15
Sicilia
6
3
6
15
Sardegna
3
1
5
9
Marche
2
0
7
9
Piemonte
1
4
4
9
Veneto
1
3
5
9
Umbria
4
1
1
6
Altre
3
10
26
39
46
26
97
189
TOTALE
Proposta 1.1.4.2
Potenziamento del monitoraggio e pianificazione data-driven. Il lavoro
di ricerca e analisi deve concentrarsi su due priorità. La prima è quella di sopperire alla mancanza di dati attendibili, aggiornando le banche dati relative alla ripartizione modale di tutti i Comuni/Unioni di Comuni supe-
riori ai 100mila abitanti. Lo scopo è interpretare le tendenze della mobi-
lità locale, identificando in particolare gli spostamenti in auto di breve e medio raggio più frequenti. In questo modo sarà possibile elaborare
indicazioni specifiche su come incentivare la mobilità sostenibile considerando le caratteristiche locali, supportando così i Comuni nell’elabo-
razione dei PUMS. A tal fine proponiamo di potenziare l’Istituto Superiore di Formazione e Ricerca per i Trasporti.
Dopo aver raggiunto un livello di informazioni sufficienti ad elaborare
analisi e definire aree di intervento e linee di indirizzo più aggiornate e verificabili, la seconda priorità è cogliere le opportunità offerte dalla ri-
voluzione digitale. L’enorme flusso di dati proveniente dagli smartphone e dai nuovi Cooperative Intelligent Transport Systems offre possibilità
senza precedenti per la pianificazione e le valutazioni d’impatto. L’Obiet-
tivo verso cui tendere dev’essere quello di favorire una pianificazione più intelligente degli interventi pubblici, attraverso la creazione di modelli
geospaziali dei sistemi di mobilità delle principali città italiane che siano in grado di simulare, in tempo reale, i flussi di movimento dei cittadini e
integrandoli con informazioni sempre più dettagliate, dal motivo dello spostamento, alla scelta del mezzo, alla tendenza a cambiarlo, al costo aggregato, alle emissioni prodotte e via dicendo, aumentando così la prevedibilità dell’impatto delle politiche adottate.
33
INTELLIGENT TRANSPORTATION SYSTEMS (ITS) Parallelamente agli investimenti volti ad aumentare
tecnologie come sensori di movimento, sistemi di
l’offerta e la qualità delle modalità di trasporto
controllo semaforico e sistemi di controllo del traffico
sostenibile, le tecnologie dell’informazione e delle
extraurbano/autostradale. I C-ITS si propongono di
telecomunicazioni possono offrire nell’immediato una
rendere interoperabili queste nuove tecnologie in modo
migliore organizzazione e complementarietà delle
da far comunicare, attraverso flussi di dati che scorrono
diverse modalità di trasporto attraverso l’utilizzo dei c.d.
in tempo reale, i veicoli e le infrastrutture dei trasporti,
Cooperative Intelligent Transportation Systems (C-ITS).
così da garantire una sempre maggiore efficienza
La disponibilità e la relativa diffusione dei precedenti
del sistema dei trasporti. Sarà più facile prevedere
Intelligent Transportation Systems (ITS) ha permesso,
dove parcheggiare, quale percorso scegliere, tempi
secondo la Commissione Europea, di ridurre i tempi
di percorrenza del tpl, prioritizzare il passaggio degli
di percorrenza (15-20%), dei consumi energetici (12%)
autobus e dei veicoli di emergenza e via dicendo. La
e delle emissioni di inquinanti (10%). Studi compiuti a
chiave è nei dati: gli ITS saranno sempre più efficaci con
livello internazionale stimano impatti ancora maggiori:
l’aumentare della disponibilità di informazioni, dati più
riduzioni fino al 40% delle code, del 25% dei tempi
attendibili e capillari sullo stato di funzionamento della
totali di viaggio, del 10% nei consumi di carburanti,
rete stradale, verrà inclusa la mobilità ciclopedonale,
del 22% nell’emissione di inquinanti. Gli ITS hanno
nonché la conoscenza, continuamente aggiornata, dei
aperto la strada a veicoli e strade intelligenti, tramite
comportamenti dell’utenza del sistema di trasporto1.
1
Dall’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile
1.2 Ammodernamento ed elettrificazione del parco auto LA SITUAZIONE OGGI Per diminuire le emissioni del settore trasporti, è cruciale intervenire per ridurre l’anzianità del nostro parco auto.
L’invecchiamento del parco auto italiano rispecchia una generale tendenza europea, solo che l’Italia registra dati peggiori rispetto agli altri
grandi Paesi. L’età media del parco auto italiano era pari a 11,4 anni nel
2019 rispetto ai 10,2 della Francia, ai 9,6 della Germania e agli 8 del Regno Unito, mentre la percentuale di veicoli con più di 10 anni è superiore a Francia, Germania, Inghilterra e media UE.
Percentuale di autovetture con più di 10 anni Fonte: ACEA, 2019
100% 75% 50%
34
Grecia
Romania
Polonia
Lituania
Lettonia
Ungheria
Estonia
Croazia
Rep. Ceca
Spagna
Slovacchia
Portogallo
Italia
Finlandia
UE
Slovenia
Olanda
Francia
Norvegia
Svezia
Germania
Austria
UK
Irlanda
Svizzera
Dan.
Belgio
0
Lus.
25%
Nel 2019 in Italia sono state immatricolate auto meno inquinanti rispetto
alla media europea: 119,4 gCO2/km di media in Italia contro i 123 gCO2/km
europei, ma per seguire i regolamenti europei a partire dal 2021 la media delle emissioni dei nuovi veicoli immatricolati deve essere inferiore a 95
gCO2 per km41. Si prevede in questo modo di ridurre le emissioni delle autovetture in Europa del 5% entro il 2025 e del 37,5% entro il 2030.
Per farlo bisogna aumentare la penetrazione di auto elettriche, ibride
e ibride plug-in, seguendo l’esempio dei Paesi Bassi e della Norvegia. Essendo leader nella vendita di auto ibride ed elettriche, questi due Paesi registrano un’invidiabile media di inquinamento rispettivamente
di 98,4 gCO2/km e 59,9 gCO2/km. Infatti la diffusione di veicoli elettrici, ibridi e ibridi plug-in sul totale è nei Paesi bassi rispettivamente di 1,2%, 2,4% e 1%, in Norvegia addirittura 9,4%, 4,4% e 4,1%. Sono numeri alti se
consideriamo che in Italia la quota è di 0,1%, 0,8% e 0% e la media europea è di 0,2%, 0,8% e 0,2%.
Allo stato attuale raggiungere questo obiettivo richiede molta ambizione. Assumendo che il parco auto effettivo resti costante fino al 2030 e che
le nuove immatricolazioni annuali rimangano in media di 1,9 milioni42, per
raggiungere il target di riduzione delle emissioni al 2030 è necessario che
tutte le nuove auto immatricolate emettano il 17% di quanto viene emesso in media un’auto dell’attuale parco circolante, ovvero circa 20 gCO2/km.
EFFICIENZA DELLE AUTO ELETTRICHE Le auto elettriche sono tre volte più efficienti
di rinnovabili, le emissioni complessive di CO2
dal punto di vista energetico e hanno zero emissioni
di un’auto elettrica sono già del 55% inferiori
dal tubo di scappamento. Le emissioni inquinanti
rispetto ad un’auto tradizionale. In futuro,
delle auto elettriche sono causate dalla produzione
le emissioni delle auto elettriche diminuiranno
energetica e delle batterie e, come tutti gli altri veicoli,
ulteriormente grazie all’aumento della quota
dall’usura dei freni e delle ruote. Con l’attuale
di rinnovabili nel mix energetico e alla maggior
mix energetico italiano, composto soltanto dal 38%
efficienza nella produzione delle batterie.
Bisogna quindi sia immatricolare nuove auto molto meno inquinanti sia incoraggiare la sostituzione delle auto più inquinanti in circola-
zione. Un’analisi di Cambridge Econometrics, Element Energy e CERTeT BOCCONI costruisce quattro possibili scenari dell’evoluzione del parco
auto italiano fino al 2050. Tra questi scenari, solo il più rapido e ambizioso (Tech Rapid) permette di rispettare i target europei. Sulla base di questo scenario, le emissioni totali si ridurrebbero da 50 MtCO2 a circa
30 nel 2030 e quelle medie del parco auto si ridurrebbero da 160 gCO2/ km a circa 96.
41 Così hanno stabilito Parlamento Europeo e Consiglio dell’Unione Europea nel 2013. Fonte:UNRAE e ACI 42 Assunzione che è giustificata considerando che così è stato nel 2017, 2018 e 2019
35
Per rispettare questo, il 90% delle nuove autovetture immatricolate nel 2030 dovranno essere ibride o elettriche e solo il 10% alimentate con motore a combustione interna. Questo mix di vendite infatti ci permetterebbe di raggiungere una quota media di emissioni delle nuove immatricolazioni pari a circa 57 gCO2/km nel 2025 e circa 25 gCO2/km nel 2030.
Evoluzione delle nuove immatricolazione secondo lo scenario Tech Rapid Fonte: Tech Rapid
100%
BEV ICE
75%
HEV PHEV
50%
FCEV
25%
0 2017
2020
2025
2030
2035
2040
2045
2050
I costi medi totali per quattro anni stimati nel 2020 per tipologia di alimentazione sono rappresentati dai seguenti grafici.
Costi medi per tipologia di alimentazione per quattro anni Fonte:Tech Rapid
SMALL
ICE (petrol) ICE (diesel)
Infrastructure costs
HEV (petrol)
Maintenance costs
PHEV (petrol)
Fuel costs
BEV (Tech)
Financial costs
BEV ( Tech Rapid) FCEV MEDIUM
ICE (petrol) ICE (diesel) HEV (petrol) PHEV (petrol) BEV (Tech) BEV ( Tech Rapid) FCEV 0
36
Cost of new vehicle
10.000
20.000
30.000
40.000
50.000
La barriera principale al raggiungimento di questi obiettivi è il minor co-
sto di acquisto delle auto a combustione interna, che le rende più competitive nel breve termine43. I minori costi di manutenzione e di rifornimen-
to del carburante però rendono già oggi le auto ibride ed elettriche meno
costose nel medio termine. Un incentivo che abbassi il costo di acquisto
medio di questi tipi di auto, portandolo ad un livello inferiore di quello delle auto a combustione interna, è quindi lo strumento più efficace. Infatti è lo strumento utilizzato dallo Stato già al giorno d’oggi.
La legge di bilancio 2019 aveva già previsto incentivi per l’acquisto di
veicoli altamente sostenibili, con emissioni inferiori a 70 di g di CO2/km,
maggiorati per i veicoli sotto i 20 g di CO2/km che vengono acquistati contestualmente alla rottamazione di una vettura Euro 4 o inferiore. Il
decreto Rilancio ha aggiunto altri incentivi per l’acquisto di Euro 6 (emis-
sioni sotto i 135 gCO2/km) con prezzo fino a 40mila euro e ha incremen-
tato l’Ecobonus per le auto con emissioni inferiori.
Gli incentivi attualmente disponibili per le auto sono sintetizzati nella Tabella seguente:
Incentivi INCENTIVI CON ROTTAMAZIONE
INCENTIVI SENZA ROTTAMAZIONE
<135 g/km (Benzina e Diesel Euro 6)
€ 3.500
€0
da 20 a 60 g/km (Ibrida e Ibrida plug-in)
€ 6.500
€ 3.500
<20 g/km (Elettrica)
€ 10.000
€ 6.000
Con gli attuali incentivi il prezzo di acquisto medio di un veicolo piccolo e medio prima e dopo la loro applicazione è il seguente:
Veicolo piccolo COSTO MEDIO 2020
COSTO POST INCENTIVI CON ROTTAMAZIONE
COSTO POST INCENTIVI SENZA ROTTAMAZIONE
Benzina
€ 16.671
€ 13.171
€ 16.671
Diesel
€ 16.950
€ 13.450
€ 16.950
Ibrida
€ 18.544
€ 12.044
€ 15.044
Ibrida Plug-in
€ 20.477
€ 13.977
€ 16.977
Elettrica
€ 25.353
€ 15.353
€ 19.353
43 Sia quelle di piccola che di media dimensione
37
Veicolo medio COSTO MEDIO 2020
COSTO POST INCENTIVI CON ROTTAMAZIONE
COSTO POST INCENTIVI SENZA ROTTAMAZIONE
Benzina
€ 30.431
€ 26.931
€ 30.431
Diesel
€ 31.232
€ 27.732
€ 31.232
Ibrida
€ 32.560
€ 26.060
€ 29.060
Ibrida Plug-in
€ 35.119
€ 28.619
€ 31.619
Elettrica
€ 41.501
€ 31.501
€ 35.501
Inoltre, è previsto un incentivo simile anche per l’acquisto di moto e scooter ibridi ed elettrici, esteso fino al 2026 con 20 milioni all’anno stanziati fino al 2023 e 30 milioni fino al 2026. L’incentivo consiste in:
• un contributo del 40% del prezzo di acquisto, fino ad un massimo di € 4.000, con la contestuale rottamazione di di un veicolo Euro 3 o inferiore
• un contributo del 30% del prezzo di acquisto, fino ad un massimo di € 3.000, senza rottamazione
L’attuale sistema di incentivi però presenta delle criticità sostanziali: 1. il costo di acquisto delle auto elettriche, imprescindibili
per raggiungere il target del 2050 ma anche solo quello
del 2030, rimane più alto di quelle a combustione interna
2. gli incentivi sull’acquisto di auto Euro 6 favoriscono l’acquisto di auto troppo inquinanti per rispettare i target europei. Alcuni veicoli Euro 6 infatti arrivano fino a 135 g/km
3. gli incentivi per l’acquisto di moto e scooter ibridi ed elettrici non sono abbastanza accattivanti.
LE NOSTRE PROPOSTE Proposta 1.2.1
Revisione degli incentivi per l’acquisto di nuove auto. Proponiamo di eliminare gli incentivi per le auto Euro 6 e aumentarli per le auto ibride
e, soprattutto, elettriche come riassunto nella tabella seguente. L’acqui-
rente potrà accedere agli incentivi maggiorati anche contestualmente alla rottamazione di un’auto Euro 5, non più soltanto Euro 4 e inferiori. INCENTIVI CON ROTTAMAZIONE
INCENTIVI SENZA ROTTAMAZIONE
€0
€0
da 20 a 60 g/km (Ibrida e Ibrida plug-in)
€ 7.500
€ 4.500
<20 g/km (Elettrica)
€ 13.000
€ 10.000
<135 g/km (Benzina e Diesel Euro 6)
38
Introducendo questi incentivi, i nuovi costi dei veicoli sarebbero:
Veicolo piccolo COSTO MEDIO 2020
COSTO POST INCENTIVI CON ROTTAMAZIONE
COSTO POST INCENTIVI SENZA ROTTAMAZIONE
Benzina
€ 16.671
€ 16.671
€ 16.671
Diesel
€ 16.950
€ 16.950
€ 16.950
Ibrida
€ 18.544
€ 11.044
€ 14.044
Ibrida Plug-in
€ 20.477
€ 12.977
€ 15.977
Elettrica
€ 25.353
€ 12.353
€ 15.553
COSTO MEDIO 2020
COSTO POST INCENTIVI CON ROTTAMAZIONE
COSTO POST INCENTIVI SENZA ROTTAMAZIONE
Benzina
€ 30.431
€ 30.431
€ 30.431
Diesel
€ 31.232
€ 31.232
€ 31.232
Ibrida
€ 32.560
€ 25.060
€ 28.060
Ibrida Plug-in
€ 35.119
€ 27.619
€ 30.619
Elettrica
€ 41.501
€ 28.501
€ 31.501
Veicolo medio
Dopo aver acquistato un’automobile tra le classi di emissioni incentivate (<20 gCO2/km o compreso tra 20 e 60), l’acquisto di una seconda auto
appartenente ad una classe di emissione superiore comporterà l’obbligo di restituzione dell’incentivo.
Assumendo lo stesso numero di immatricolazioni di auto ibride ed elettriche avvenute nel 2020 e che tutti gli acquirenti utilizzino gli incentivi, il
costo massimo è pari a circa 2,3 miliardi all’anno in caso tutti gli acquisti
avvengano con rottamazione e a circa 1,9 miliardi ogni anno assumendo
che il 50% degli acquisti avvenga con rottamazione e il restante 50% senza.
Proposta 1.2.2
Revisione degli incentivi per l’acquisto di nuove moto. Per agevolare la sostituzione anche del parco moto e scooter, proponiamo una maggiorazione degli incentivi come segue:
• un contributo del 50% del prezzo di acquisto, fino ad un massimo di € 6.000, con la contestuale rottamazione di di un veicolo Euro 3 o inferiore
• un contributo del 40% del prezzo di acquisto, fino ad un massimo di €4.000, senza rottamazione
Con i cambiamenti proposti si risolverebbero i problemi degli attuali in-
centivi, ma la maggiore difficoltà per completare l’ammodernamen-
to del parco auto consiste nelle limitate disponibilità economiche di molte famiglie italiane, che non sarebbero portate ad acquistare auto
ibride ed elettriche nemmeno con gli incentivi. È una questione dirimente perché sono spesso le famiglie a basso reddito dove si concen-
39
trano maggiormente le auto vecchie e più inquinanti. Il Governo ha introdotto uno sconto (non cumulabile con i precedenti
incentivi) del 40% del prezzo di acquisto di un’auto elettrica dal prezzo
minore di 36.600 per le famiglie con ISEE inferiore a €30.000. L’incentivo dovrebbe valere per tutto il 2021 e gli stanziamenti dovrebbero essere pari a 20 milioni di euro, corrispondenti a circa 1.800 famiglie.
È inoltre già stata introdotta un’agevolazione fiscale - consistente in uno
sgravio del 40% dei costi di trasferimento di proprietà - a favore di coloro che rottamano un veicolo di classe non superiore alla Euro 3 e acquistano un veicolo usato Euro 6, elettrico o ibrido.
Anche in questo caso gli incentivi presentano delle criticità:
1. lo sconto del 40% sul prezzo di acquisto di un’auto elettrica non pre-
mia la rottamazione di un’auto inquinate contestualmente all’acquisto dell’auto elettrica
2. sia i fondi stanziati sia la finestra per utilizzarli sono troppo ridotti affinché possa avere effetti strutturali sul parco auto.
Infine, è necessario pianificare una graduale introduzione del divieto di
circolazione per le auto inquinanti, specialmente nei centri delle città, dove si concentrano la maggior parte delle emissioni inquinanti.
Proposta 1.2.3
Incentivi per l’acquisto di auto elettriche per famiglie con ISEE inferiore
a 30 mila euro. Proponiamo un incremento dell’incentivo, che sarà pari
al 60% del prezzo di acquisto in caso di rottamazione di un’auto Euro 3 o inferiore, mantenendo il 40% negli altri casi. In caso di rottamazione
di un’auto Euro 3 sarà anche possibile accedere ad un finanziamento garantito dallo Stato per il restante 40% del prezzo dell’auto. Prevediamo anche di estendere la finestra di utilizzo per tutto il 2022 e stanziare fondi sufficienti affinché sia disponibile per chiunque voglia usufruirne.
Proponiamo che i fondi stanziati per questa misura siano 500 milioni all’anno per il 2021 e il 2022.
Proposta 1.2.4
Incentivi per l’acquisto di auto usate Euro 6, ibride o elettriche. Propo-
niamo un incentivo per chi acquista un’auto di seconda mano poco in-
quinante (Euro 6, ibrida o elettrica) e contestualmente rottama un’auto molto inquinante (Euro 3 o inferiore). L’incentivo consisterà in un bonus di 5.000 euro. Il prezzo di un’auto Euro 6 usata di piccole dimensioni può
variare da 6mila a 10mila euro. In questo modo, il proprietario di un’auto molto inquinante può sostituirla spendendo poche migliaia di euro, con
un eventuale risparmio netto, considerando anche i costi per il carburante e la manutenzione.
Proposta 1.2.5
Limiti alla circolazione delle auto molto inquinanti. A partire dal 2030 sarà vietata l’immatricolazione di autovetture alimentate a combustio40
ne interna (benzina, diesel, gpl), dal 2025 non potranno circolare le auto
Euro 3 o inferiori - data anticipata al 2023 per i centri storici - e dal 2030 nei centri storici potranno circolare solamente autovetture elettriche. Saremo in questo modo allineati a molti altri paesi europei.
Con il veloce aumento delle auto elettriche sarà necessario predispor-
re sufficienti infrastrutture necessarie alla ricarica di questi veicoli. Ad oggi l’infrastruttura di ricarica in Italia consta di circa 8.500 stazioni di
ricarica, ancora poche rispetto alle 20.000 già presenti in Francia e le 25.000 nel Regno Unito. Inoltre la distribuzione territoriale è poco omoge-
nea, il 56% si trova al Nord, il 23% al Centro e il 21% al Sud, e poco efficiente, con la quasi totale assenza di punti di ricarica veloce.
In termini assoluti, la Commissione Europea stima che servirebbe circa un punto di ricarica pubblico ogni 10 veicoli elettrici o ibridi plug-in. Oltre
alla quantità, è importante promuovere una quota sufficiente di punti di ricarica ad alta velocità dove necessario, soprattutto nelle autostrade.
I PUNTI DI RICARICA Ci sono diverse tipologie di punti di ricarica. In sintesi,
Il rapporto Transport EU elaborato da Transport &
ne possiamo identificare 4:
Environment, da noi utilizzato per stabilire il fabbisogno
• caricatore monofase a corrente alternata (3-7 kW), che
italiano di punti di ricarica, stima il fabbisogno di
impiega dalle 7 alle 16 ore per caricare un’auto elettrica; • caricatore trifase a corrente alternata (11-22 kW), che impiega dalle 2 alle 4 ore per caricare un’auto elettrica; • caricatore veloce a corrente continua (50-100 kW), che impiega 30-40 minuti per caricare un’auto elettrica; • caricatore ultraveloce a corrente continua (>100 kW), che impiega 10-20 minuti per caricare un’auto elettrica.
punti di ricarica per tutti i Paesi europei sia in termini quantitativi che qualitativi. Il fabbisogno in termini qualitativi viene calcolato costruendo un indice che pesa maggiormente i punti di ricarica più veloci, definito supply metric. I pesi attribuiti sono pari a 1 per i punti più lenti (3-7 kW) e crescono fino ad arrivare a 10 er i punti di ricarica maggiori di 150 kW.
Proposta 1.2.6
Nuove colonnine per colmare i fabbisogni infrastrutturali per la ricarica
delle auto elettriche e ibride plug-in. Lo scenario descritto da Transport EU, prevedendo la presenza di circa 5,5 milioni di autovetture ibride plug-
in ed elettriche nel 2030, stima un fabbisogno di circa 300mila colonnine
pubbliche e di un indice di supply metric pari a 632,7. Se le nostre proposte
fossero implementate nel 2030 ci sarebbero invece 8 milioni di autovetture ibride plug-in e ibride, circa il 50% in più. Prevediamo quindi un fabbiso-
gno di circa 450 mila colonnine e il raggiungimento di un indice di supply metric pari a circa 950.
Stimando a circa 12 mila euro in media il costo di un punto di ricarica con due caricatori, il costo infrastrutturale al 2030 è pari a 2,7 miliardi di euro.
41
1.3 Trasporto Merci LA SITUAZIONE OGGI Il settore dei veicoli dedicati al trasporto merci in Italia presenta criticità simili a quelle che riguardano le autovetture private. Innanzitutto abbiamo veicoli più vecchi: possediamo l’ottava flotta più vecchia d’Europa,
con quasi un milione di veicoli medi e pesanti dedicati al trasporto merci
con un’età media di oltre 14 anni rispetto ai 7,3 del Regno Unito, ai 9,5 della Germania, ai 9,3 della Francia44, e comunque superiore ai 13 anni della media UE. Per quanto riguarda i veicoli commerciali leggeri, dei quattro
principali mercati europei abbiamo la seconda flotta più vecchia d’Europa, con 12,6 anni di età media contro gli 8,1 di Germania, i 10,4 della Francia e gli 11,6 della media UE.
Inoltre, tendiamo a preferire il trasporto su gomma più del resto dei Pa-
esi europei. In Europa siamo appena ventesimi per il trasporto su rotaia45, con una quota modale rispettivamente dell’88% e del 12% contro
una media europea del 70% e 20%46.
Utilizzo di ferrovie e strade per trasporto merci Fonte: Eurostat
120
volume trasportato per t/km
100
80
60
40
Strada Ferrovia
44 Da “Report sui veicoli in uso in Europa” aggiornato al gennaio 2021 di ACEA 45 Non sono state tenute in conto le isole: Regno Unito, Irlanda, Cipro, Malta
46 La quota non raggiunge il 100 perché non considera il trasporto via acque interne, che ammonta a circa il 10% del totale UE
42
UE
Bulgaria
Portogallo
Dan.
Grecia
Romania
Polonia
Lituania
Lettonia
Ungheria
Estonia
Rep. Ceca
Spagna
Slovacchia
Italia
Olanda
Francia
Svezia
Croazia
Germania
Austria
Svizzera
Finlandia
Belgio
0
Lus.
20
Questo comporta un grande rilascio di emissioni che potrebbero es-
sere invece evitate nel settore del trasporto merci, considerando che il
trasporto ferroviario emette circa un terzo di CO2 rispetto ad un veicolo euro 5, con un rapporto di 29 grammi contro 81. Rapporto che è in realtà maggiore considerando l’anzianità della nostra flotta.
Il trasporto su rotaia però in Italia è meno competitivo di quello su strada, a causa sia delle criticità della rete ferroviaria nazionale che del co-
sto di trasporto. Le criticità principali sono state trattate ampiamente
nella sezione dedicata al trasporto su ferro, a cui va aggiunta in questo caso anche quella in termini di intermodalità. Il tratto di collegamento
del porto con le principali reti stradali e ferroviarie, il c.d. “ultimo miglio”,
rappresenta spesso uno degli elementi più critici del sistema logistico: troppo spesso infatti i porti Italiani diventano dei colli di bottiglia, con il
risultato di una minore competitività rispetto ai porti del nord Europa,
anche quando geograficamente meno convenienti. Un porto non collegato al ferro47 non solo è un incentivo indiretto al trasporto su gomma,
ma rende anche il trasporto su ferro più inquinante a causa della con-
gestione di mezzi motorizzati pesanti dedicati alle operazioni di trasbordo all’ingresso dei porti.
Per quel che riguarda il costo del trasporto, la quota di rete stradale principalmente interessata da flussi di veicoli medi e pesanti sottoposta a
pedaggio è pari al 22%, mentre la rete ferroviaria è interessata dal pagamento di un canone di utilizzo per la sua intera estensione. Consideran-
do le differenze nel pedaggio, la possibilità degli operatori del trasporto
su strada di evitarne una parte e i volumi di merci trasportabili con le
due diverse modalità di trasporto, uno studio rileva come il trasporto su
rotaia sopporti un maggiore costo effettivo rispetto al trasporto su gomma pari a 1,30€/treno*km (1,83€ per la Sicilia)48.
LE NOSTRE PROPOSTE Proposta 1.3.1
Incentivi allo svecchiamento dei veicoli per il trasporto merci. Proponia-
mo il ripristino della struttura iniziale del Piano Industria 4.0 per quanto riguarda il super ed iper ammortamento, al 130% e 140%, destinato all’ac-
quisto di nuovi veicoli medio-pesanti per il trasporto merci. Inoltre, data la crescita esponenziale dell’e-commerce, che ha aumentato la domanda
di consegne a domicilio moltiplicando l’intensità e la complessità dei flussi
logistici urbani, proponiamo di estendere gli incentivi del Piano Industria 4.0 ai veicoli commerciali leggeri utilizzati per le consegne in ambito urbano49.
Parallelamente in Europa sono in corso le negoziazioni interistituzionali
per la revisione della Eurovignette Directive che prevede la graduale in47 Ad oggi, solo 4 porti generano un rilevante traffico ferroviario: Trieste, La Spezia, Livorno e Genova, con quote residuali se non inesistenti negli altri porti 48 Da “Misure di supporto al trasporto ferroviario di merci - Analisi a supporto delle risposta delle autorità europee” (2016) di PricewaterhouseCoopers 49 Dal dossier “Trasporto merci su strada” (2020) di ANFIA
43
troduzione di una differenziazione del pedaggio dei veicoli commerciali
in funzione delle loro emissioni inquinanti e sonore. Anticipando l’esito delle negoziazioni possiamo porci come esempio da seguire: proponia-
mo l’introduzione già dal 2022 di un’esenzione parziale dal pagamento del pedaggio autostradale in funzione dell’anzianità del veicolo, dell’80% per gli euro 6 e del 60% per gli euro 5.
Queste misure hanno l’obiettivo di colmare il gap con i grandi Paesi eu-
ropei, termineranno quindi al raggiungimento di un’età media dei veicoli
commerciali, sia medio-pesanti che leggeri, di 9 anni. Per quel che ri-
guarda il pedaggio differenziato, quando la direttiva sarà adottata sarà possibile valutare un adeguamento alle normative di altri Stati europei qualora fosse necessario un riequilibrio della competizione di mercato.
Proposta 1.3.2
Estensione e aumento del Ferrobonus al 2030. Per compensare la minore competitività del trasporto merci su ferro rispetto a quello su gomma,
proponiamo di alleggerire indirettamente il peso economico del canone
infrastrutturale facendo diventare il Ferrobonus una misura di carattere strutturale. Il Ferrobonus sarà quindi esteso fino al 2030 e sarà garantita una copertura di almeno 40 milioni per ogni annualità.
FERROBONUS Istituito con la Legge Stabilità del 2015 per il triennio
• Incrementare la quota per i 12 mesi successivi
2016-2018, esteso fino al 2021, è un incentivo rivolto
• Mantenere per 24 mesi la quota raggiunta negli
a imprese utenti di servizi di trasporto ferroviario
ultimi 12 mesi di erogazione del contributo.
intermodale o trasbordato e operatori del trasporto combinato (MTO) che decidono di effettuare
All’impresa che rispetta gli impegni riportati è
trasporto merci su rotaia anziché su strada o
riconosciuto un contributo calcolato fino a un tetto
combinando le due opzioni, sia all’interno dei confini
massimo di 2,50 euro per ogni treno-km di trasporto
nazionali che verso gli Stati membri UE. Gli operatori
intermodale o trasbordato effettuato. L’impresa
commissionano alle imprese ferroviarie
ferroviaria è tenuta a traslare ai propri clienti almeno
treni completi e si impegnano a:
il 50% del contributo ricevuto in proporzione ai servizi
• Mantenere per 12 mesi il volume di traffico ferroviario
di trasporto ferroviario commissionati. Sono stati
non inferiore al triennio precedente (2012-2014)
stanziati 14 milioni per il 2020 e 25 milioni per il 2021.
Proposta 1.3.3
Nuove infrastrutture per il trasporto su ferro. Le linee ferroviarie che pro-
poniamo di creare e/o potenziare nella sezione precedente sono utilizzate in buona parte per il trasporto merci. Per dare un ancor più sostanziale
slancio competitivo al trasporto merci su rotaia, integriamo le proposte precedenti con lo sviluppo e il completamento dei quattro corridoi europei TEN-T50, 5.100 km di rete che riguardano direttamente l’Italia:
1. il corridoio Mediterraneo, che attraversa il Nord Italia da Ovest ad Est, con-
giungendo Torino, Milano, Verona, Venezia, Trieste, Bologna e Ravenna;
50 Ad oggi il 90% del trasporto merci nazionale su ferro avviene su queste linee (fonte: RFI: Rete Ferroviaria Italiana)
44
2. il corridoio Scandinavia-Mediterraneo, che parte dal valico del Brennero e collega Trento, Verona, Bologna, Firenze, Livorno e Roma con i principali centri urbani del Sud come Napoli, Bari, Catanzaro, Messina e Palermo;
3. il corridoio Reno Alpi, che include il progetto del Terzo Valico e, pas-
sando per i valichi di Domodossola e Chiasso, connetterà Genova a una rete di trasporto internazionale che farà arrivare i treni a Genova con ben cinque giorni d’anticipo;
4. il corridoio Baltico-Adriatico che collega l’Austria e la Slovenia ai
porti del Nord Adriatico di Trieste, Venezia e Ravenna, passando per Udine, Padova e Bologna.
La priorità va data da una parte alla rapida inclusione del Mezzogiorno nella rete ferroviaria nazionale ed europea, estendendo l’Alta Velo-
cità alle linee Napoli-Bari, Palermo-Catania e Salerno-Reggio Calabria, dall’altra al potenziamento delle reti che collegano l’Italia con il Nord Europa, aumentando la capacità del trasporto merci delle linee Alta Velocità Brescia-Verona-Padova; Verona-Brennero; Genova (porto)-Alpi.
Inoltre, per rendere queste linee davvero competitive nel trasporto merci è necessario integrarle ove possibile con le disponibili tecnolo-
gie avanzate di gestione del traffico, così da ampliare la nostra rete di Alta Velocità/Alta Capacità (AV/AC). E’ parallelamente necessario un in-
vestimento infrastrutturale nel potenziamento del modulo51 delle linee maggiormente interessate al trasporto merci, per consentire l’accesso
ai treni lunghi almeno 750m, coerentemente gli obiettivi UE, capaci di diminuire del 15-20% i costi fissi legati al trasporto su ferro.
La rete TEN-T in Italia Fonte: Ministero Trasporti (MIT)
CORE NETWORKS CORRIDORS DI INTERESSE PER L’ITALIA Baltico - Adriatico Mediterraneo Scandinavo - Mediterraneo Reno - Alpi
51
Il modulo è la massima lunghezza del treno che può circolare sulla rete senza impatti negativi sulla logistica e il funzionamento della rete, è determinato dalla lunghezza dei binari di stazione, dai terminali e dalle relative aree di manovra. Ad oggi in Italia nessuna rete ha un modulo che supera i 690m (fonte: piano commerciale RFI 2020-2024)
45
Sistema ferroviario AV/AC interoperabile Fonte: Ministero Trasporti (MIT)
in progettazione in costruzione in esercizio in esercizio (linee veloci fino a 250 Km/h)
Il costo di questa misura è stimato in circa 8 miliardi di euro.
Proposta 1.3.4
Ultimo miglio ferroviario. Per migliorare l’intermodalità tra la rete fer-
roviaria ed il sistema portuale proponiamo interventi di ampliamento
infrastrutturale da accompagnare necessariamente a misure volte ad efficientare l’interoperabilità tra le due modalità di trasporto. Le azioni che proponiamo comprendono:
• adeguamento infrastrutturale e tecnologico dei binari ferroviari all’interno dei porti e tra i porti e la rete ferroviaria nazionale, in modo da consentire una maggiore intermodalità e minimizzare l’impatto del trasbordo porto-strada e strada-ferro;
• progetti sul modulo dei binari nei fasci presa/consegna, l’elettrificazione dei binari di resa/consegna e carico/scarico e delle dorsali di collega-
mento/raccordo, il comando centralizzato degli instradamenti tra fasci, la manutenzione, la realizzazione di nuovi binari/nuovi raccordi;
• semplificazione delle manovre ferroviarie in porto e misure di regolazione volte a garantire l’economicità e l’efficienza gestionale dei servizi di manovra ferroviaria;
• Installazione di portali telematici con funzione di varchi ferroviari dotati di lettori ottici per la lettura dei codici delle UTI e dei carri ferroviari per l’automazione della verifica della corrispondenza tra dichiarato e reale;
• Consolidamento dei Port Community System, con la creazione dei moduli gestione treni laddove mancanti o potenziamento se già esistenti.
46
47
Energia Il settore dell’industria energetica in Italia è il secondo maggior respon-
sabile delle emissioni a effetto serra dopo i trasporti, producendo il 24,5% delle emissioni totali. Come negli altri Paesi occidentali, negli ultimi anni
questa quota è diminuita notevolmente. Nel settore energetico infatti le emissioni sono il 30% in meno rispetto al 1994.
Nonostante questa diminuzione delle emissioni totali del settore, siamo
ancora indietro rispetto alla media europea per quanto riguarda l’uti-
lizzo delle fonti rinnovabili. Nel 2020, la maggior parte della nostra ener-
gia elettrica veniva ancora prodotta usando fonti fossili (56,6%), mentre in Germania e Spagna, la quota di energia elettrica prodotta da fonti
rinnovabili aveva già largamente superato quella da fonti inquinanti (rispettivamente 56,2% e 65,6%)52. Come mostra il grafico a seguire, il pae-
se ad avere i migliori risultati in termini di produzione energetica a bassa emissione di carbonio è la Francia.
Quota di elettricità proveniente da fonti a basso carbonio (%) Fonte: Our World in Data
Francia
80 70
Spagna
60
Regno Unito
50 40
Germania
30 20
Italia
10
Mondo 1985 1986 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019 2020
0
52 Da “In Europa le energie rinnovabili hanno superato per la prima volta le fossili” (febbraio 2021) Il Sole 24 ore
48
Con il PNIEC (Piano nazionale Integrato per l’Energia), pubblicato a
Gennaio 2020, l’Italia si è data obiettivi ambiziosi, prevedendo una ridu-
zione delle emissioni di gas a effetto serra del 43% per i settori coperti da
Emission Trading System (ETS), e del 33% per gli altri settori. Per raggiun-
gere questi obiettivi, si può procedere lungo due binari. Il primo prevede di incentivare la transizione con meccanismi che aumentino i costi, diminuendo quindi la competitività, di carbone e petrolio. Questa prima soluzione richiede un approccio coordinato Europeo per evitare eccessive
asimmetrie fiscali tra Stati membri. E’ con quest’ottica che si è sviluppato il sistema europeo dell’ Emission Trading System (ETS) e si sta lavorando al Meccanismo di Adeguamento del Carbonio alla Frontiera (CBAM).
49
EMISSION TRADING SYSTEM (ETS) E CARBON BOARDER ADJUSTMENT MECHANISM (CBAM) Istituito nel 2005, l’ETS-UE è il primo e il più ampio
opportunità in quegli stati con PIL procapite sopra la
di emissioni al mondo, comprendendo più di 3/4
un peso per il sistema produttivo, che è destinato
sistema internazionale di scambio di quote
degli scambi internazionali di carbonio. Viene fissato un tetto, che viene ridotto gradualmente, alla quantità
media. Seppur necessario, il sistema ETS rappresenta a crescere insieme alle ambizioni climatiche europee. L’estensione dell’ETS è già in programma, aumentando
totale di gas serra che possono essere emessi dai
il rischio che le imprese più colpite delocalizzino.
singoli impianti, i quali ricevono una quota di emissioni
Un aumento delle delocalizzazioni non solo sarebbe
permesse che sono scambiabili e commerciabili. L’
problematico per la crescita economica, ma
ETS quindi associa un valore economico alle emissioni
vanificherebbe gli sforzi europei in materia
di CO2, le aziende sono così incentivate ad investire
di riduzione delle emissioni, le quali semplicemente
un doppio vantaggio: un consumo minore e un minore
si sta elaborando la necessaria integrazione all’ETS:
nell’ETS rappresentano più del 40% delle emissioni
Frontiera (CBAM). Il CBAM prevede di internalizzare
nell’efficientamento dei propri impianti perché ricevono costo in termine di emissioni di Co2. I settori inclusi
UE totali: produzione energetica e riscaldamento,
si sposterebbero. È per questo motivo che in Europa il Meccanismo di Adeguamento del Carbonio alla nel prezzo finale delle importazioni, aumentandolo,
industrie energivore e aviazione civile. Il risultato
la quantità di carbonio emessa in fase di produzione.
prefissato è stato ampiamente raggiunto con
In questo modo i beni prodotti fuori dai confini
una diminuzione di circa il 35% delle emissioni tra
UE, anche se prodotti con meno vincoli di natura
il 2005 and 2019. I settori non inclusi nell’ETS, che
ambientale, non saranno più competitivi rispetto a
rappresentano il restante 60% delle emissioni UE e
quelli europei. Il CBAM infatti è un modo di estendere
includonoi trasporti, l’edilizia, l’agricoltura, le industrie
indirettamente l’ETS in quei paesi dove le regole
non-ETS e i rifiuti, raggiungeranno i target al 2030 con la Effort Sharing Regulation. Questo regolamento
ambientali non sono sufficientemente stringenti, prevenendo quindi una concorrenza sleale basata sul
segue la doppia necessità di permettere agli stati
ribasso degli obiettivi climatici. Ovviamente questo
membri di seguire strategie nazionali diverse e
meccanismo è possibile solo grazie al grosso peso
distribuire gli sforzi equamente. Vengono fissati dei
del mercato europeo, su cui l’Italia deve fare leva per
target da raggiungere con misure nazionali per il 2030
conciliare crescita economica e tassazione dei settori
in base al PIL pro capite, correggendoli per il costo
inquinanti.
Il secondo binario consiste nel promuovere l’uso di energie pulite, espandendo l’intera filiera di approvvigionamento (produzione, stoc-
caggio, distribuzione) di energie rinnovabili. Questi interventi allo stato attuale devono essere implementati a livello nazionale. Il PNIEC prevede un aumento del 30% entro il 2030 della quota di rinnovabili utilizzate per coprire il nostro consumo finale lordo di energia, così differenziato tra i diversi settori:
• 55% di quota di rinnovabili nel settore elettrico;
• 33% di quota di rinnovabili nel settore della produzione di calore; • 22% di quota di rinnovabili nel settore dei trasporti.
Per raggiungere la quota prevista dal PNIEC è necessario aumentare
la potenza installata di energia rinnovabile di 40 GW rispetto a fine
2019 (+31 GW fotovoltaico, +8,7 GW eolico), mentre per raggiungere i più
ambiziosi obiettivi promossi dalla Commissione Europea questi numeri sono quasi da raddoppiare.
50
Nonostante gli obiettivi ambiziosi del PNIEC, fino ad ora abbiamo ac-
cumulato un ritardo sul fronte delle rinnovabili tradizionali53, dovuto in gran parte ad un ritardo nella nuova capacità installata. Nel 2020, la produzione di energia da fonte eolica è stata pari a circa 18,5 TWh e
quella da fonte fotovoltaica di circa 25,5 TWh, entrambe al di sotto della
generazione obiettivo del PNIEC. Gli andamenti reali della potenza instal-
lata si sono infatti attestati ben al di sotto delle aspettative, come dimo-
strano i grafici sotto. Per raggiungere lo scenario PNIEC 2030 sarà quindi necessario accelerare la crescita della potenza installata, raggiungendo 2,8 GW/anno di fotovoltaico e di 790 MW/anno di eolico.
Andamento installato Fotovoltaico Fonte: Politecnico di Milano e ANIE per dati
TWh
50
MW
Scenaio PNIEC vs. adamenti reali
40,1 TWh
40
30
2000
1600
1200
24,4 TWh
20
800
10
400
Nuova capacità necessaria (MW) Potenza installata - reale (MW)
0 2025
2024
2023
2022
2021
2020
2019
2018
2017
0
Generazione - obiettivo (TWh) Generazione - reale (TWh)
Andamento installato eolico Fonte: Politecnico di Milano e ANIE per dati
TWh 35
MW Scenaio PNIEC vs. adamenti reali
31 TWh
30
1000
800
25 20
600
17,2 TWh
15
400
10 200
5
Nuova capacità necessaria (MW) Potenza installata - reale (MW)
2025
2024
2023
2022
2021
2020
2019
2018
0 2017
0
Generazione - obiettivo (TWh) Generazione - reale (TWh)
53 Esistono anche altre tipologie di energia rinnovabili, come ad esempio il geotermico, l’idroelettrico, biomasse e biogas. In questo capitolo, concentriamo l’attenzione principalmente su eolico e fotovoltaico in quanto sono le energie che hanno potenziale infinitamente maggiore in termini di capacità di produzione. Per quanto riguarda biomasse e biogas, invece, verranno trattati nei capitoli su rifiuti e agricoltura
51
Il ritardo rispetto agli obiettivi sull’eolico e sul fotovoltaico è dovuto sostanzialmente a tre tipi di barriere, sulle quali articoliamo le nostre proposte.
1. Barriere normative: iter autorizzativi complessi, lenti, e disomogenei sul territorio, che devono essere semplificati;
2. Barriere economiche: vi sono alti costi di investimento iniziale delle
rinnovabili, con ritorni in alcuni casi incerti e comunque in attivo solo
dopo 6/15 anni - bisogna assicurare che investire nelle Fonti di Energia Rinnovabili (FER) sia profittevole, ma allo stesso tempo evitare eccessivi aumenti in bolletta per l’utente finale;
3. Barriere di sistema/tecnologiche: il forte aumento di capacità rinnovabile nel lungo termine causerà problemi di stabilità alla rete
elettrica. Si dovranno quindi prevedere specifici interventi per la si-
curezza della rete e un’ampia diffusione di impianti di accumulo nei diversi mercati zonali e il potenziamento delle linee di trasmissione specie sull’asse Nord – Sud.
2.1 Barriere Normative LA SITUAZIONE OGGI Una delle principali cause del rallentamento nell’installazione di nuova capacità è la scarsa partecipazione e competizione nelle gare di assegna-
zione per nuovi impianti di produzione di energia rinnovabile. Analizzando gli esiti degli ultimi 4 bandi, si vede infatti che più di metà della capacità rinnovabile messa a gara non è stata assegnata. La scarsa competizio-
ne alle gare non solo rallenta l’intero processo di transizione all’uso delle rinnovabili, ma comporta tariffe di aggiudicazione più alte che si riflettono in un maggiore costo in bolletta per l’utente finale (si veda box).
52
GLI INCENTIVI ALLE RINNOVABILI (ASTE) Attualmente, le rinnovabili sono incentivate
più è alto il prezzo di aggiudicazione dell’asta, più alto
prevalentemente tramite il meccanismo delle aste
sarà il costo in bolletta. Le tariffe di aggiudicazione
per i “contingenti di capacità incentivabile” (DM FER
in Italia si aggirano tra i 56 e i 69 €/MWh, in linea
2019). La base d’asta è il livello massimo di incentivo
con la media Europea (60€/MWh). In alcuni Paesi
offerto dal gestore del servizio elettrico ai produttori,
si registrano però tariffe decisamente inferiori, come
e i partecipanti offrono un ribasso rispetto alla base.
in Spagna, con 25 €/MWh. Per garantire prezzi di
I partecipanti vengono ordinati sulla base del ribasso
aggiudicazione inferiori è necessario che il numero
offerto (dal più alto al più basso), e il prezzo finale
di progetti presentati sia più alto e più continuo.
è determinato dall’offerta dell’ultimo aggiudicatario
La scarsa partecipazione dipende in gran parte da:
marginale, ovvero l’ultimo partecipante ammesso per
• complessità del procedimento autorizzativo per
soddisfare il totale di capacità messo ad asta. I vincitori dell’asta ricevono poi un incentivo, per tutta la vita dell’impianto, equivalente alla differenza tra il prezzo dell’energia e la tariffa stabilita al momento dell’asta. Questo fa sì che il gestore elettrico (e quindi lo Stato) si faccia carico del rischio dovuto alla volatilità nel
i potenziali produttori di energia: i tempi di approvazione nell’ottenere autorizzazioni per installare nuovi impianti fotovoltaici di grande potenza
e turbine eoliche si aggirano fra i 5 e i 7 anni, ben al di sopra quanto previsto dalle norme europee;
• mancanza di terreni in grado di ottenere i permessi
tempo del prezzo dell’energia elettrica (e al suo
necessari: attualmente gli impianti costruiti su terreni
persistente trend decrescente). Il costo dell’incentivo
agricoli, anche se incolti, non possono accedere
viene pagato in bolletta dall’utente finale, e pertanto
agli schemi incentivanti.
L’attuale procedimento autorizzativo54 prevede l’ottenimento di un’Au-
torizzazione Unica (AU) tramite la presentazione di un lungo elenco di studi, permessi e nullaosta presso la Conferenza dei Servizi, un organo
decisionale cui partecipano rappresentanti di autorità statali, regionali,
provinciali e comunali addetti alla verifica e validazione (o eventuale respingimento) dei documenti presentati.
Questo procedimento avrebbe per legge una durata massima di 90 giorni, ma i lavori si interrompono in caso di necessità di svolgere valu-
tazioni ambientali. Molto spesso poi ci sono casi di ambiguità nell’attri-
buzione delle competenze a deliberare su alcuni temi (per esempio di
carattere urbanistico o paesaggistico), o casi di pareri discordi, oltre a ritardi sistematici nella delibera.
L’ottenimento delle valutazioni di impatto ambientale (VIA) è la principale criticità all’interno del processo autorizzativo. I tempi medi per
la concessione di procedimenti VIA sono di oltre due anni, con picchi di
addirittura sei anni. Gli attuali procedimenti di VIA conferiscono ampia
discrezionalità alla Pubblica Amministrazione, e l’assenza di criteri chiari e oggettivi produce molta incertezza e scoraggia i potenziali produttori.
Considerati i tempi medi attuali di rilascio dei procedimenti autorizzativi, potrebbero volerci circa 24 anni per raggiungere gli obiettivi del PNIEC in tema di installazioni eoliche, e fino a 100 anni per il fotovoltaico.
54 Per gli impianti di taglia non puramente residenziale o commerciale
53
Un altro problema è legato alla disponibilità di spazi fisici adatti. Le fon-
ti rinnovabili sono, per loro natura, a bassa densità di energia prodotta per unità di superficie necessaria. Ciò comporta inevitabilmente la ne-
cessità di individuare criteri che ne consentano la diffusione in coerenza con le esigenze di contenimento del consumo di suolo (specialmente per il fotovoltaico) e di tutela del paesaggio (specialmente per l’eolico).
Per quel che riguarda l’individuazione dei terreni idonei agli impianti, la concessione delle autorizzazioni a costruire impianti sopra 1 MW dipende
generalmente dalle Regioni; o altrimenti, per gli impianti di taglia inferio-
ri, dai Comuni. Questa decentralizzazione comporta una disomogeneità territoriale poco ottimale nell’individuazione dei terreni e quindi nella diffusione di nuova capacità rinnovabile. Eppure i terreni ci sarebbero: con il progetto “le Banche della Terra” sono stati mappati 3,5 milioni di ettari
incolti. Per costruire i 31 GW di fotovoltaico previsti dal PNIEC, ipotizzando 1,5 ha/MW, sarebbero sufficienti 46 mila ettari.
Una volta individuati i terreni, però, si può spesso incorrere in un gran numero dei vincoli capaci di ostacolare la costruzione degli impianti,
come ad esempio il vincolo idrogeologico o Piano Urbanistico Territoriale Tematico (PUTT).
LE NOSTRE PROPOSTE Proposta 2.1.1
Semplificazione e accelerazione dell’iter autorizzativo per eolico e fotovoltaico.
Proponiamo di:
• Ridurre il numero di interlocutori in sede di Conferenza dei Servizi,
così da ridurre i casi di conflitto nel processo decisionale che spesso rallentano l’iter;
• Uniformare il processo autorizzativo su tutto il territorio nazionale, sia per quanto riguarda la documentazione55 da presentare, sia per le
tempistiche, che devono essere certe e non superare i due anni, come previsto dalla Direttiva UE;
• Affidare ad appositi uffici tecnici regionali la gestione dell’intera
procedura, eliminando la dualità Regioni/Comuni, e finanziare la
formazione e l’internalizzazione di competenze tecniche da parte di funzionari regionali addetti56;
• Abilitare la Commissione PNIEC ad attuare la procedura velocizzata di VIA per le valutazioni di impatto ambientale per progetti di interesse sia statale sia regionale57;
• Prevedere una procedura autorizzativa ridotta (sia amministrativa, che di valutazione di impatto ambientale) per gli interventi di
repowering di impianti esistenti e obsoleti qualora l’intervento non 55 Autorizzazioni, studi e permessi
56 Per maggiori dettagli sui temi della formazione in temi ambientali nella PA, si veda il Capitolo 7 57 Se in linea con gli obiettivi PNIEC e realizzati in aree idonee
54
preveda ulteriore occupazione di suolo, qualificandoli come “varianti non sostanziali” uniformemente sul territorio nazionale;
• Prevedere procedure ridotte per gli impianti eolici offshore, in particolare quelli galleggianti, e di fotovoltaico in aree da bonificare, integrati con sistemi di accumulo.
Proposta 2.1.2
Individuazione di terreni da sbloccare per l’installazione di nuovi im-
pianti fotovoltaici a terra. Proponiamo di creare una cabina di regia nazionale per individuare aree idonee e non idonee alla realizzazione
di impianti rinnovabili, che consideri le caratteristiche ambientali, sto-
rico-culturali e paesaggistiche. Questo può essere attuato in maniera
rapida integrando le informazioni di competenza statale (elenco Zone di Protezione Ambientale e Important Bird Areas) con gli elenchi delle zone non idonee alla realizzazione di impianti FER (Fonti Energie Rinnovabili) individuate per legge dalle Regioni. Proponiamo inoltre che gli incentivi
statali attuali siano estesi anche agli impianti fotovoltaici costruiti nelle aree agricole.
Proposta 2.1.3
Procedura autorizzativa agevolata per progetti ibridi58. Proponiamo di
provvedere procedure autorizzative rapide per impianti ibridi, come ad esempio quelli agrivoltaici (agricoltura + fotovoltaico) e quelli legati a
soluzioni di agricoltura hi-tech (vertical farming, coltura in serre idroponiche e aeroponiche).
2.2 Barriere Economiche LA SITUAZIONE OGGI La seconda grande limitazione all’aumento della produzione energetica da fonti rinnovabili è di tipo economico, vista la scarsa remunerabilità, specialmente nel breve periodo, degli investimenti in nuovi impianti rinnovabili.
Il Mercato del Giorno Prima59 (MPG), che costituisce il mercato dove i
produttori di energia elettrica normalmente vendono la loro energia, non garantisce di ripagare i costi di investimento in un nuovo impianto, sia rinnovabile che non rinnovabile. Con la crescita della nuova capacità
rinnovabile, i prezzi dell’elettricità sono destinati a calare ulteriormente,
con la conseguenza che sarà ancora più difficile garantire una adeguata remunerazione a chi investe nella costruzione di un nuovo impianto.
Il Mercato del Giorno Prima (MGP) richiede prevedibilità nell’offerta di energia. Le fonti rinnovabili sono strettamente legate alle condizioni atmosferiche e sono quindi estremamente volatili e non è possibile garan58 Per progetti ibridi si intendono tutte quelle soluzioni nelle quali il terreno viene usato anche con altri fini (es. fotovoltaico + agricoltura), che valorizzano il terreno diversamente dalla sola produzione di energia elettrica dando al terreno una doppia finalità 59 È definito del giorno prima in quanto tali negoziazioni devono avvenire il giorno prima, per ciascuna ora del giorno successivo, rispetto alla produzione fisica delle partite di energia all’esito delle negoziazioni
55
tire prevedibilità nella fornitura di energia e/o adattarsi alla domanda di energia del momento. Questa caratteristica le rende ancora meno remunerative sul Mercato del Giorno Prima (MGP) e accentua la difficol-
tà di remunerare i costi di investimento rispetto alle fonti non rinnovabili. Diminuire l’incertezza sulla remuneratività dell’investimento è neces-
sario soprattutto nella fase iniziale di espansione delle rinnovabili, ca-
ratterizzata da alti costi fissi. Una volta installata, infatti, la capacità rinnovabile ha un costo marginale di produzione di energia pari a zero (le
risorse naturali sono disponibili gratuitamente), e quindi un vantaggio
comparato rispetto all’energia elettrica tradizionale, che invece ha un costo marginale sempre positivo.
Fino ad oggi, lo strumento per promuovere l’installazione di grande capacità di rinnovabili e dare maggiore certezza agli operatori è stato
quello dei c.d. “contratti per differenza”, assegnati tramite aste (si veda box precedente). Questi contratti garantiscono al produttore un prezzo
minimo dell’energia, pari alla tariffa di aggiudicazione, ma prevedono anche la restituzione da parte del produttore qualora il prezzo dell’ener-
gia salga sopra la tariffa aggiudicata, e lasciano il rischio della fluttuazione dei prezzi in capo al sistema (e cioè allo Stato)60.
Una soluzione alternativa, leggermente più rischiosa per i produttori, ma meno costosa per lo Stato, è rappresentata dal Power Purchase
Agreement (PPA), un contratto di lungo termine stipulato direttamente tra produttore di energia rinnovabile e consumatore finale, dove vengo-
no stabiliti ex-ante i volumi ed i prezzi di fornitura per un lungo periodo di
tempo (e.g. 10 anni). Nel caso di investimenti in nuova capacità produttiva di fonte rinnovabile, un accordo del genere garantisce al produttore una stima immediata dei futuri ricavi, eliminando il rischio di volatilità di
un mercato libero come il MGP. Similmente, il consumatore può conoscere in anticipo il costo che dovrà coprire per il suo consumo elettrico necessario a sostenere un’attività produttiva.
LE NOSTRE PROPOSTE Proposta 2.2.1
Incentivare l’utilizzo del Power Purchase Agreement per Pubblica Am-
ministrazione e Grandi Imprese. I PPA non sono ancora diffusi in Italia,
nonostante offrano una soluzione al problema della volatilità dei prezzi. Inoltre sono in prospettiva meno costosi degli attuali sistemi di incen-
tivazione alle rinnovabili. Per incrementare la diffusione di questo stru-
mento, proponiamo che le Pubbliche Amministrazioni e Partecipate Pubbliche inizino a stipulare contratti PPA con i produttori rinnovabili, in
modo da mostrare concretamente i vantaggi di questa soluzione e agire da apripista.
60 https://www.dlapiper.com/it/italy/insights/publications/2019/09/the-new-res-decree-2019-2021-future-forthe-renewable-energy-sector/
56
Proposta 2.2.2
Standardizzazione dei contratti Power Purchase Agreement e Garanzia
pubblica. Per incentivare i consumatori privati a stipulare contratti PPA,
proponiamo che si proceda ad una creazione di una versione “standard” di contratto PPA, che preveda anche una garanzia pubblica a tutela di
eventuali perdite nel caso in cui il prezzo dell’energia dovesse scendere
al di sotto di una certa soglia, che dovrà essere accuratamente stimata, tenendo conto del fisiologico calo di prezzo delle rinnovabili in futuro a seguito della loro rapida espansione.
2.3 Barriere tecnologiche e di sistema LA SITUAZIONE OGGI L’aumento della percentuale di energia proveniente da fonti rinnovabili pone grandi sfide per il funzionamento del sistema elettrico, per tre ragioni61:
1. non programmabilità degli impianti dovuta alla volatilità della produzione di rinnovabili;
2. eccesso di produzione localizzata di energia rispetto alla domanda, dovendo localizzare la produzione di rinnovabili dove c’è maggiore
disposizione di risorse naturali, che non sempre è vicino ai principali luoghi di consumo;
3. caratteristiche tecniche degli impianti FER (assenza di elementi
rotanti dotati di inerzia meccanica sufficiente, collegamento puramente elettronico alla rete elettrica con ridotta capacità di rego-
lazione della frequenza e della tensione, produzione discontinua e non programmabile dell’energia in DC ecc.).
Per questo, la transizione sempre più importante verso le FER creerà pro-
blemi sulla rete nella fase di dispacciamento62. E’ fondamentale quindi
agire sul potenziamento del sistema di gestione della rete elettrica, che si occupa di soddisfare due esigenze fondamentali:
1. mantenere costantemente in equilibrio la produzione ed il consumo; 2. rispondere rapidamente ad una momentanea variazione di domanda di energia.
Per mantenere in equilibrio il sistema e rispondere ai picchi di domanda, sono necessari impianti agili, come quelli tradizionali, che possano
passare rapidamente dal 50% al 100%, o viceversa, della capacità produttiva. Gli impianti rinnovabili non hanno questa caratteristica perché
possono al massimo ridurre l’energia prodotta (curtailment) sostenendo però il costo della mancata produzione.
Una prima soluzione consiste nel potenziare i sistemi di stoccaggio
dell’energia rinnovabile in eccesso. Infatti, la scarsa flessibilità e programmabilità della produzione di rinnovabili fa sì che un grande quan61 Fonte: Piano di Sviluppo 2020 di Terna
62 Il dispacciamento è il servizio che permette la garanzia di erogazione dell’energia in ogni momento della giornata e su tutto il territorio nazionale, coprendo in ogni istante l’equilibrio tra la domanda e l’offerta sulla rete elettrica
57
titativo di energia possa essere prodotto quando la domanda non lo
richiede. Questa energia può essere stoccata in impianti di accumulo,
in modo che sia disponibile quando la domanda lo richiede e le risorse naturali sono più scarse.
Gli impianti di stoccaggio da soli non sono però sufficienti a garanti-
re l’equilibrio della rete. Pertanto, è necessario mantenere in vita alcuni
impianti “tradizionali”. Il sistema elettrico necessita infatti di impianti che
abbiano “inerzia meccanica” per garantire la stabilità della frequenza di rete. A differenza degli impianti rinnovabili, gli impianti tradizionali possono garantire l’inerzia e quindi il bilanciamento della rete.
Gli impianti tradizionali sono però molto grandi e quindi hanno costi fissi molto alti. In un mondo dominato dalle rinnovabili, i prezzi di mercato
dell’energia spot (sul mercato del giorno stesso) sono destinati a scendere moltissimo perché, a differenza dell’energia tradizionale, le rinnovabili hanno un costo marginale di produzione quasi nullo63. In questo scenario, gli impianti tradizionali opereranno sempre meno e ad una
sempre più bassa remunerazione, col rischio che non riescano a coprire i costi. Per evitare che questi impianti, gestiti da privati, chiudano, biso-
gna fornire loro delle garanzie di remunerazione, in modo da garantire una “capacità” minima di disponibilità.
Per quanto riguarda il secondo problema, ovvero la localizzazione degli impianti di produzione delle rinnovabili, che si trovano spesso dove le risorse naturali sono più concentrate (per esempio il fotovoltaico al Sud),
è necessario avere un’infrastruttura solida ed efficiente di trasferimento dell’energia dai luoghi di produzione a quelli di consumo.
Per garantire il corretto funzionamento di un sistema elettrico basato su fonti di energia rinnovabili sono quindi necessari:
1. impianti e infrastrutture di rete flessibili, in grado di modulare la propria produzione in modo da garantire l’equilibrio generale tra produzione e consumo;
2. un’infrastruttura di rete sufficientemente interconnessa e che ga-
rantisca il trasporto dell’energia dalle zone dove la produzione zonale è in eccesso rispetto al consumo a quelle dove la domanda zonale è in eccesso rispetto alla produzione;
3. un nuovo paradigma della rete elettrica, attualmente puramente
radiale, cioè dal grande punto di generazione al grande centro di
consumo, includendo invece anche le risorse di generazione distribuite sulle reti di bassa e media tensione gestite dal Distributore.
Con l’aumentare dell’apporto di energie rinnovabili, la rete avrà bisogno di una maggiore capacità di stoccaggio dell’energia elettrica, 3 GW entro il 2025 e 6 GW al 2030.
L’Italia è già un Paese con una forte presenza di impianti di accumulo di
energia, sotto forma di impianti idroelettrici di pompaggio (ca 7.7 GW).
Tuttavia, la creazione di nuovi impianti di pompaggio per immagazzinare l’energia in eccesso delle fonti rinnovabili ha vari ostacoli, che li ren63 Le risorse naturali sono disponibili gratuitamente, e gli unici costi variabili che hanno sono relativi al funzionamento tecnico e manutenzione dell’impianto
58
dono inadeguati, da soli, a fornire la capacità di accumulo necessaria al sistema:
• carenza di siti adatti alla creazione di nuovi impianti;
• complessità ingegneristica per la creazione di questi impianti;
• elevato Levelized Cost of Energy (LCOE64), tra 249 e 440 $/MWh;
• tempi di realizzazione molto lunghi (>5 anni);
• caratteristiche tecniche parzialmente inadeguate a fornire alcuni servizi di stabilizzazione della rete elettrica.
La creazione di nuovi impianti di pompaggio è indispensabile sul lungo periodo, essendo impianti longevi ed efficaci. Tuttavia, non sono da soli sufficienti a supportare la rapida transizione ecologica che il Paese dovrà affrontare nei prossimi anni, rendendo quindi necessarie altre tecnologie
di accumulo. Allo stato attuale, la soluzione più adatta sono gli accumuli elettrochimici o batterie (a oggi, la tecnologia predominante è quella agli
ioni di litio, ampiamente diffusa nell’elettronica di consumo e nella mobilità elettrica). Il principale ostacolo alla diffusione di accumuli elettro-
chimici è il loro costo elevato (LCOE: 130 $/MWh per impianti utility-scale, anche maggiore per taglie inferiori), che fa sì che non siano attualmente un investimento economicamente efficiente sul mercato, in assenza di schemi incentivanti e di un adeguato inquadramento regolatorio.
Gli accumuli elettrochimici, infatti, sono capaci di fornire una moltitu-
dine di servizi ai sistemi elettrici: immagazzinano l’energia in eccesso prodotta dalle fonti rinnovabili per reimmetterla in rete nei momenti
in cui la domanda è maggiore (energy shifting), supportano la rete fornendo o assorbendo in tempi rapidissimi picchi di potenza per re-
golare la frequenza e la tensione (e in questo sono molto più efficienti dei tradizionali impianti a gas, ma anche dei pompaggi), compensano la variabilità nella produzione rinnovabile, rendendola più flessibile e prevedibile (capacity firming).
Sono inoltre valide alternative o complementi all’ampliamento del-
la rete elettrica in snodi particolarmente critici, essendo in grado di
fungere da “serbatoi polmone” in caso di congestioni, evitando che si
creino veri e propri “ingorghi” di potenza, tipici dei tratti di rete più critici - come in alcune aree della Campania.
LE NOSTRE PROPOSTE Proposta 2.3.1
Incentivi per l’installazione di accumuli elettrochimici di energia elettrica. È opportuno valorizzare la versatilità degli accumuli elettrochi-
mici con una serie di meccanismi remunerativi, anche cumulabili (service-stacking) che permettano una remunerazione adeguata e fa-
voriscano lo sviluppo delle batterie, in un’ottica di neutralità tecnologica (che non penalizzi nuove tecnologie emergenti rispetto al litio incum-
64 Il Levelized Cost of Energy (LCOE) rappresenta il ricavo medio per unità di elettricità generata necessario a recuperare i costi di costruzione e gestione di un impianto di generazione durante un presunto ciclo di vita finanziaria e di funzionamento
59
bent) e di individuazione di siti strategici per lo sviluppo degli impianti (che incrementino gli incentivi, per esempio, in caso gli accumuli siano costruiti in prossimità di aree critiche per la rete elettriche).
Un altro aspetto rilevante consiste nel cercare di direzionare l’installazione delle batterie con tariffe variabili in funzione della posizione rispetto alla rete di queste ultime. Infatti, le batterie sono tanto più efficaci quan-
to più sono vicine ai punti in cui si ha un surplus di energia. Il semplice
incentivo, senza cercare di indirizzare la posizione della nuova capacità, rischia di vanificare gli sforzi e di gravare inutilmente sulle bollette o sulle casse dello Stato.
Per localizzare efficientemente l’installazione delle nuove batterie, proponiamo di definire le aree a più alta criticità, creando una sorta di “mappa”.
Proponiamo poi il rimborso diretto di una quota della capacità installata (kWh), quota variabile in funzione della criticità della sua posizione.
Esistono già schemi simili per quanto riguarda batterie di piccola taglia, senza la specificità della tariffa variabile. Uno di questi è stato adottato in California con il “Self-Generation Incentive Program”.
La nostra proposta parte dagli accumuli elettrochimici ma, se dovessero diffondersi altre tecnologie di accumulo altrettanto o più efficienti, saranno incluse nello schema di incentivi.
Proposta 2.3.2
Consolidamento del Capacity Market65. Il Capacity Market o “mercato
della capacità” è uno strumento con cui il gestore della rete (Terna)
acquista capacità di produzione di energia elettrica utilizzando aste
competitive tra i produttori di energia tradizionale e i proprietari di sistemi di stoccaggio.
Per garantire adeguata remunerazione agli impianti tradizionali che
forniscono elettricità alla rete quando le fonti rinnovabili non sono di-
sponibili, proponiamo di espandere il capacity market. La prima asta si è fatta nel 2020. Il Capacity Market dovrà svilupparsi adeguatamente
man mano che le FER si diffondono, insistendo sulle varie forme di accumulo (dalle batterie di compensazione al riutilizzo degli impianti a pompaggio idroelettrico).
Per incrementare la flessibilità del sistema e allo stesso tempo diminuire le emissioni, proponiamo che anche gli impianti a fonti rinnovabili inte-
grati con sistemi di accumulo possano partecipare alle aste del capacity market.
Proposta 2.3.3
Interventi per il potenziamento e l’efficientamento della rete elettrica.
Proponiamo di effettuare un piano di investimenti che potenzi in maniera importante l’infrastruttura fisica, in particolare le interconnessioni con
la rete europea e le dorsali Nord–Sud per il trasferimento dell’ energia.
65 Proposta ripresa dal Piano Terna
60
Il Sud è caratterizzato infatti da maggiori ventosità e irraggiamento rispetto al Nord, dove invece è concentrata la domanda di energia, per
esempio nel bacino padano. E’ quindi efficiente che gli impianti eolici e fotovoltaici siano relativamente più concentrati al Sud, ma questo richiede un potenziamento della capacità di trasferimento dell’energia, che verrà effettuato agendo in maniera mirata sulla struttura di mercato tramite la quale i vari asset coinvolti possono trovare remunerazione66.
2.4 Azioni trasversali LA SITUAZIONE OGGI Alcune delle azioni appena descritte rappresentano un’enorme sfida, soprattutto se effettuate attraverso investimenti privati. Proponiamo due azioni ulteriori, necessarie per realizzare un mercato dei servizi di dispacciamento efficiente.
La prima riguarda la regolazione della tensione, che serve a mantenere
le linee elettriche entro dei limiti di tensione prestabiliti (per esempio una linea dimensionata per operare, in condizioni standard, a 380 kV non può scostarsi da questo valore nominale di e.g. ±20kV).
La seconda riguarda il servizio di evitato curtailment. Il curtailment consiste nella riduzione della produzione di energia negli impianti fotovol-
taici quando la domanda e’ bassa in modo da non sovraccaricare il sistema. I sistemi di accumulo accoppiati ad impianti rinnovabili di fonti rinnovabili non programmabili (FRNP) possono assorbire in loco l’energia che altrimenti verrebbe sprecata con il curtailment.
LE NOSTRE PROPOSTE Proposta 2.4.1
Introduzione di una remunerazione diretta per la regolazione della tensione. Proponiamo di introdurre sistemi di remunerazione diretta per la
regolazione della tensione. Visto infatti il numero di impianti da realizzare e la loro potenziale presenza sulle reti del distributore, così facendo si andrà a rendere meno pressante il problema relativo alla regolazione
della tensione, specialmente in particolari punti della rete, con impatti
economici positivi non indifferenti. La remunerazione dell’energia reattiva, per queste risorse FRNP, andrebbe a compensare la quota di energia attiva sacrificata, per l’appunto, per assolvere a questo servizio.
Proposta 2.4.2
Incentivo per il servizio di evitato curtailment. Riprendendo la proposta
sugli incentivi per i sistemi di accumulo (2.3.1), proponiamo che il rimbor-
so sia massimo per gli impianti di accumulo utili ad evitare il curtailment.
66 Proposta ripresa dal Piano Terna
61
2.5 Idrogeno, decarbonizzazione e gas nella transizione LA SITUAZIONE OGGI L’idrogeno è la molecola del futuro, o almeno è quella su cui stanno puntando i governi di quasi tutto il Mondo. Pur essendo molto abbondante
in natura, l’idrogeno non si trova mai libero, ma si lega sempre ad altri elementi, per esempio al carbonio, formando il metano. Pertanto, l’unico modo di ottenere l’idrogeno è separandolo dagli elementi con cui è combinato, e per farlo serve energia, e il processo di separazione produce molta CO2 (8 kg di CO2 per ogni kg di idrogeno).
L’Italia è una grande produttrice di idrogeno, in quanto più del 90% dell’i-
drogeno viene prodotto come scarto di reazioni chimiche o da combustibili fossili come il metano. Il problema è che questo tipo di idrogeno ad oggi è un prodotto competitivo in termini di costi ma molto inquinante, e
per questo spesso denominato ”idrogeno grigio”. Secondo i dati dell’Aie (Agenzia Internazionale per l’Energia), la produzione globale rilascia
circa 830 milioni di tonnellate annue di CO2, equivalenti alle emissioni di Regno Unito e Indonesia messi assieme.
Per questo bisogna trovare processi produttivi a minore impatto ambientale. Un’alternativa parziale è quella del cosiddetto “idrogeno blu”.
Viene così definito l’idrogeno estratto da idrocarburi fossili ma associato
a processi di cattura della CO2 generata dal processo, che non viene li-
berata nell’aria bensì catturata e immagazzinata. L’idrogeno blu tuttavia presenta due grossi ostacoli:
1. la cattura della CO2 è sempre parziale, una cattura totale richiederebbe dei costi troppo elevati e grossi investimenti;
2. non è conveniente economicamente e immagazzinare la CO2 sotto terra può essere pericoloso in caso di rischio sismico.
Pertanto, l’unica vera alternativa sostenibile nel lungo periodo è il cosid-
detto “idrogeno verde”, ovvero l’idrogeno prodotto attraverso un pro-
cesso chiamato elettrolisi, che consiste nella scissione della molecola di acqua (H2O) in idrogeno (H2) e ossigeno (O2), sfruttando energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili. Questo tipo di produzione ha due vantaggi cruciali:
1. non rilascia nessuna CO2;
2. offre una soluzione al problema dello stoccaggio della produzione di energia in eccesso da fonti rinnovabili, che può essere convertita in idrogeno ed essere così conservata.
Seppur sicuramente attraente da un punto di vista di sostenibilità, l’i-
drogeno verde ha ancora costi di produzione molto alti, molto maggiori rispetto all’idrogeno grigio e blu. L’International Energy Agency calcola che, all’attuale prezzo del metano europeo, il costo di produzione è di circa 1,5 €/kg per l’idrogeno grigio. Per quello blu, si sale a circa 2 €/kg, poi-
ché bisogna aggiungere i costi per la cattura ed il sequestro della CO2, 62
che fanno aumentare il costo di impianto (1.500 €/kW-idrogeno contro 800 dell’impianto per l’idrogeno grigio) e calare l’efficienza.
Per l’idrogeno verde, ad oggi, i costi salgono di almeno 6 volte. Questo
perché bisogna tener conto del costo degli elettrolizzatori e delle altre componenti di impianto, ovvero il costo dell’energia elettrica rinnovabile che li alimenta e il fattore di carico (numero di ore annue alla po-
tenza nominale equivalente), che impatta sull’ammortamento dell’impianto di produzione. Allo scenario attuale, ipotizzando che l’impianto
elettrolizzatore sia alimentato da un parco fotovoltaico dedicato, il costo in Italia oscillerebbe tra i 6 a 8,7 €/kg67. Se invece fosse alimentato
da un parco eolico offshore, come avviene nel Mare del Nord, l’idrogeno costerebbe da 4 a 5,2 €/kg.
I costi sono destinati a ridursi nel medio-lungo periodo: al 2030, il costo dell’idrogeno dovrebbe oscillare tra i 3,7 a 5,9 €/kg per quello alimen-
tato a fotovoltaico, e tra i 3 a 3,9 €/kg68 per quello alimentato a eolico
offshore; mentre dopo il 2040 potrebbero scendere ulteriormente (tra 2 e 2,8 €/kg)69. In sostanza, l’idrogeno verde potrebbe diventare competitivo nel lungo periodo, ma solo dopo il 2040.
Costo di produzione dell’idrogeno Fonte: Rivista Energia
9 8 7 6 5 4 3 2 1 0
oggi
2030
2040
Idrogeno grigio - stima CE
Idrogeno verde alimentato da fotovoltaico in Italia - stima CE
Idrogeno grigio - stima IEA
Idrogeno verde alimentato da fotovoltaico in Italia - stima IEA
Idrogeno blu - stima CE
Idrogeno verde alimentato da offshore wind in Nord EU - stima CE
Idrogeno blu - stima IEA
Idrogeno verde alimentato da offshore wind in Nord EU - stima IEA
67 La stima di costo attuale assume che l’impianto sia alimentato da un parco fotovoltaico dedicato, localizzato in un’area ad elevato irraggiamento, con un fattore di carico del 16,5% (1.450 h) e costo di generazione dell’energia fotovoltaica di 45 €/MWh 68 Il calo dei costi al 2030 sarebbe dovuto ad un aumento dell’efficienza degli impianti e del fattore di carico.
69 Nel lungo periodo, ipotizzando una produzione di energia in Italia completamente rinnovabile, si potrebbe alimentare l’impianto di elettrolisi da rete elettrica, utilizzando la produzione in eccesso da rinnovabili (c.d. energia “tagliata”). La potenza in eccesso da rinnovabili però ha un andamento molto variabile, quindi il fattore di carico dell’elettrolizzatore dipenderebbe dalla sua taglia e si stima sarebbe compreso tra l’11% (taglia pari al picco della potenza in eccesso) ed il 20% (taglia pari al 20% del picco). Ipotizzando un prezzo dell’energia elettrica prelevata da rete di soli 50 €/MWh, nel migliore dei casi il costo di produzione dell’idrogeno sarebbe di 2,6 €/kg (fonte: Rivista Energia )
63
Date le sue peculiari caratteristiche di produzione, i due veri usi strategici per l’idrogeno sono, da un lato, la possibilità di usarlo per la decarbo-
nizzazione di industrie pesanti ad alto uso di energia, e dall’altro come tecnologia di stoccaggio delle energie rinnovabili70.
L’applicazione dell’idrogeno nell’industria pesante dei c.d. “hard to abate sectors” (cemento, vetro e acciaio) ha grandi prospettive di cre-
scita e permette la decarbonizzazione di questi settori che, per l’alto ammontare di energia che utilizzano, sarebbe altrimenti molto difficile
da realizzare. L’idrogeno verde è però ancora troppo costoso e ad oggi non è applicabile senza un aumento significativo dei costi e una perdi-
ta di competitività di questi settori, che metterebbe a rischio molti posti di lavoro. E’ quindi necessario rimandare l’introduzione dell’idrogeno a
quando sarà più competitivo, dopo il 2040, e pensare ad una tecnologia di transizione che permetta di ridurre le emissioni di CO2 rispetto al
carbone ma senza compromettere la competitività dei settori.
La fonte di energia migliore per svolgere questa funzione di transizione
dal carbone all’idrogeno è il gas naturale. Il gas naturale permette infatti di ottenere importanti risultati ambientali rispetto al carbone. Per
esempio, la riduzione di emissioni nella produzione dell’acciaio è pari al 66% passando dal carbone al gas. Rispetto all’idrogeno, il gas è molto
più economico. Nella produzione dell’acciaio, una tonnellata prodotta utilizzando gas naturale costa 28 euro e richiede 270 metri cubi di metano;
la stessa tonnellata prodotta con idrogeno da rinnovabili costa 90 euro (oltre 3 volte il costo con il gas) e richiede 627 metri cubi di idrogeno.
Oltre a ridurre le emissioni nelle industrie pesanti, il gas è l’unica fon-
te che permette di effettuare il phase-out completo del carbone nel settore energetico in tempi brevi, grazie al suo basso costo e all’alta offerta disponibile. Nel 2017, il carbone contribuiva per 15% della produ-
zione energetica nazionale, che corrisponde a circa 8 GW. Gli impianti a carbone attualmente ancora attivi sono 8. Sostituire la produzione elettrica a carbone con il gas permetterebbe ampi guadagni in termini di
riduzione delle emissioni di CO2 nel breve periodo, con una transizione economicamente sostenibile.
Il modello di trasporto fisico del gas via gasdotto offre poca flessibilità rispetto al trasporto via mare, solitamente utilizzato per il petrolio. Estendere l’utilizzo del gas richiede di aumentare il GNL (Gas Naturale Lique-
fatto) trasportato tramite navi metaniere, in modo da migliorare la fles-
sibilità di approvvigionamento del gas naturale. Il trasporto del gas sarà ancora più flessibile grazie allo sviluppo degli impianti galleggianti sia di
liquefazione che di rigassificazione (Floating Liquefied Natural Gas-FLNG e Floating Storage and Regasification Units – FSRU), che hanno costi e
70 Da questo punto di vista, l’idrogeno può essere considerato un’alternativa agli accumuli “a batteria. L’idrogeno è molto più costoso e complesso, ma permette anche uno stoccaggio di energia molto più a lungo termine - mentre gli accumuli a batteria soffrono il problema della dispersione e permettono di stoccare energia solo per periodi molto brevi (un giorno, in media). Pertanto, l’idrogeno risulta particolarmente interessante per stoccare energia in situazioni climatiche in cui le FER producono molta energia in eccesso in alcune fasi dell’anno (es. estate), in cui però la domanda energetica è molto più limitata dell’offerta
64
tempi di sviluppo vantaggiosi rispetto a quelli degli impianti classici di liquefazione/rigassificazione onshore o offshore.
LE NOSTRE PROPOSTE Proposta 2.5.1
Incentivi per la sostituzione degli impianti a carbone con impianti a gas, in modo da raggiungere il phase-out totale del carbone entro il
2025. Proponiamo di incentivare la sostituzione del carbone con il gas
come fonte di energia in tutti i settori deve la penetrazione delle rinnovabili risulta più difficile.
Proposte 2.5.2
Azioni di coordinamento e sviluppo dell’idrogeno. Proponiamo di intervenire per favorire lo sviluppo delle tecnologie e delle infrastrutture necessarie alla diffusione dell’idrogeno verde. In particolare proponiamo di:
• creare un programma nazionale di ricerca e sviluppo per occuparsi delle aree prioritarie come lo sviluppo di elettrolizzatori (e le varie
tecnologie possibili per procedere all’elettrolisi), della tecnologia a
celle a combustibile per la trasformazione di idrogeno in elettricità, e
dei sistemi di stoccaggio/trasporto dell’idrogeno. Nell’ambito di questa iniziativa, si possono finanziare le spese in R&S per l’uso di idro-
geno verde come sistema di accumulo quando avvengono surplus nella produzione di energia da fonti rinnovabili;
• promuovere l’introduzione di mezzi di trasporto a idrogeno su ferro
nelle linee non elettrificate, affiancati potenzialmente da impianti di produzione (vedi caso Trenord FNM).
65
Edilizia La riqualificazione edilizia mira ad arrivare ad una drastica riduzione delle emissioni tramite una migliore efficienza energetica e l’implementa-
zione di sistemi di riscaldamento più performanti e alimentati con fonti rinnovabili, a vantaggio dell’ambiente e delle famiglie.
L’edilizia, insieme ai trasporti, è l’unico settore che inquina più oggi rispetto
al 1990. Il settore dell’edilizia è responsabile infatti per il 19,2%71 delle emissioni totali annuali, superando la media europea del 16,5%. La principale causa di
emissioni nell’edilizia è il riscaldamento, che assorbe l’80% dell’energia utilizzata dagli edifici. In Italia, come nel resto d’Europa, le emissioni sono causate
per il 70% da edifici residenziali e per il 30% da edifici commerciali e pubblici72.
Questi ultimi però inquinano singolarmente molto di più, considerando che sono solo l’8% del totale degli edifici utilizzati, circa 1,1 milioni su un totale di 13,7.
Le fonti energetiche utilizzate negli edifici residenziali sono il gas per il 51,5%, seguito dalle energie rinnovabili (soprattutto biomasse solide73)
per il 20%, dall’energia elettrica per il 17,5% e un residuo 7% di combustibili petroliferi74. Tra queste fonti, l’energia elettrica è quella che causa mag-
giori emissioni inquinanti (445 kg Co2/Mwh75), seguita dai combustibili petroliferi (326 kg Co2/Mwh76), dal gas (250 kg Co2/Mwh) e infine dalle
energie rinnovabili, che causano una quantità di emissioni inquinanti77
così bassa da essere interamente assorbita in natura. 71 Rispetto al 21,3% della tabella 1 qui non stiamo considerando gli edifici agricoli, che rappresentano il 2,1% delle emissioni 72 Fonte: IEA Co2 emissions statistics
73 Composte principalmente da legno e suoi derivati o rifiuti organici e agricoli 74 Fonte: Eurostat
75 Fonte: ISPRA Ambiente 2017 76 Fonte: AIEL
77 Nello specifico emettono PM10
66
In Italia il settore dell’edilizia presenta due problemi. Innanzitutto, gli edi-
fici italiani consumano di più rispetto agli altri Paesi Europei per il riscaldamento. Guardando al consumo pro capite a parità di condizioni cli-
matiche78 emerge che l’Italia consuma il 10% di energia in più rispetto al Regno Unito, il 24% in più rispetto alla Francia e il 25% in più rispetto alla Germania per soddisfare i suoi fabbisogni termici. La differenza è ancora
più marcata rispetto alla Spagna, che consuma circa la metà rispetto
all’Italia. Per di più, il trend è in peggioramento: dal 2000 l’Italia ha aumentato il proprio consumo finale del 17% mentre Francia e Germania lo hanno ridotto del 25%79 e il Regno Unito del 17%.
Emissioni 2015 solo per riscaldamento Fonte: elaborazione su dati Eurostat e IEA
CONSUMO ENERGETICO ANNUO (TWH)
POPOLAZIONE
HEATING DEGREE DAYS
CONSUMO A % DI HDD RISPETTO A ITALIA
CONSUMO A % DI HDD PRO CAPITE
Germania
543
81,2
2919
336,3288798
4,141981278
Francia
351
66,55
2290
277,1213974
4,16410815
Itlaia
316
60,8
1808
316
5,197368421
Regno Unito
342
64,85
2034
304
4,687740941
112
46,45
1701
119,0452675
2,562869053
Spagna
78 Questo indice è ottenuto ponderando il consumo pro capite con l’indicatore heating degree day, che misura quanto spesso sia necessario accendere il riscaldamento per mantenere una temperatura interna pari a 18 gradi 79 In Petajoules, dati IEA
67
Il secondo problema riguarda il mix energetico che utilizziamo per il riscaldamento. La quota di fonti rinnovabili utilizzate per il riscaldamento è
in linea con gli altri Paesi europei, ma negli ultimi 5 anni è rimasta sostanzialmente stabile. Dal 2008, è aumentata di soli 4 punti percentuali. Al
confronto, la Francia ha registrato un aumento di 9 punti e la Spagna di 7.
Percentuale di fonti rinnovabili utilizzate per il riscaldamento Fonte: Eurostat
2019
2018
2017
2016
2015
2014
2013
2012
2011
2010
2009
2008
Germania
14.554
14.122
13.376
13.039
13.440
13.416
13.413
13.420
12.573
12.055
11.155
10.330
Spagna
18.865
17.568
17.704
17.298
16.983
15.823
14.154
14.159
13.656
12.615
13.317
11.657
Francia
22.464
21.356
20.732
20.235
19.016
18.192
17.670
16.666
15.366
16.163
15.040
13.285
Italia
19.674
19.228
20.081
18.884
19.252
18.912
18.091
16.982
13.817
15.640
16.427
15.306
Regno Unito
7.837
7.544
6.958
6.644
6.243
5.471
4.718
3.894
3.673
3.199
2.894
2.422
Bisogna quindi intervenire su due direttrici:
1. un abbassamento dei consumi di energia, migliorando l’efficienza energetica degli edifici;
2. un aumento del calore generato da fonti rinnovabili non nocive per l’ambiente.
Riguardo alla diminuzione di consumi negli edifici residenziali e terziari, il
Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC) si pone l’obiettivo di ridurli del 18%, passando da 32,4 Mtep80 nel 2019 a 26,6 Mtep entro
il 2030 (un risparmio annuale di 1,75% dell’energia). Riguardo invece alle
fonti rinnovabili, lo PNIEC ha stabilito obiettivi di raggiungere il 33,9% di rinnovabili nel settore al 2030, in linea con la Direttiva Europea 2018/2001
che stabilisce di aumentare la quota delle rinnovabili nel settore termico di 1,3 punti percentuali ogni anno.
Traiettoria della quota FER nel settore termico Fonte: GSE e RSE
2011
2012
2013
2014
2015
2016
2017
2018
2020
2021
2022
2023
Consumi finali lordi nel settore termico rilevati (Mtep)
Quota FER-C rilevata (%)
Consumi finali lordi nel settore termico previsti (Mtep)
Quota FER-C prevista (%)
80 Il settore termico nel grafico sotto comprende anche l’industria
68
2019
2024
2025
2026
2027
2028
2029
2030
3.1 Efficienza e risparmio energetico LA SITUAZIONE OGGI L’efficienza energetica di un edificio determina la quantità di energia
necessaria per raggiungere una determinata temperatura interna. Se
un edificio è caratterizzato da una maggiore efficienza energetica significa che può raggiungere una determinata temperatura interna utiliz-
zando una minore quantità di energia. Migliorare l’efficienza energetica è dunque un modo di abbattere le emissioni dei sistemi di riscaldamen-
to a prescindere da quale sia fonte di alimentazione utilizzata, sia essa
più o meno inquinante. La scarsa efficienza energetica è legata prin-
cipalmente all’anzianità, sia dell’immobile che dell’impianto di riscaldamento. In Italia il 60% degli edifici residenziali, avendo più di 45 anni, è
stato costruito con bassi standard di efficienza energetica e appartiene quindi alla classe energetica F o G81, le più basse.
Distribuzione degli indici di prestazione energetica APE degli edifici secondo l’anno di costruzione Fonte: elaborazione ENEA su dati da SIAPE e da Regioni
100%
80%
60%
40%
20%
0 >1945
1945-1972
1973-1991
1992-2005
2006-2015
2016-2019
0,2
0,2
0,2
0,1
1,9
18
0,3
0,2
0,3
0,3
2,9
15
0,7
0,5
0,5
0,5
4,6
16
1,1
0,8
0,9
1
7,4
16,4
1,9
1,5
1,7
3
12,6
10
4
3,4
4,3
9,3
17,1
5,8
9
9,2
11,7
22,2
22
4,8
13,9
16,8
19,6
26,1
15,1
3,9
22
27
28,2
22,4
9,7
4,4
46,9
40,4
32,6
15,3
6,6
5,7
81 Le classi energetiche sono costruite secondo quanti kilowatt ora (kwh) di energia sono necessari al metro quadro
69
La figura sotto mostra la correlazione positiva esistente tra anzianità dell’edificio ed emissioni di Co2: più un edificio è vecchio più inquina per
riscaldarsi82 .
Distribuzione dei valori medi di emissioni di CO2 per classe energetica e per zona climatica per gli edifici del settore residenziale Fonte: Elaborazioni ENEA su dati da SIAPE e da Regioni
100% 5,5
5,5
6,8
12,9
80%
8
8,8
11,1
13,3
10,1
10,4
14,5
15,8
60%
12,3
14,2
17,2
19,9
19,2
19,4
19,6
22,9
19,1
20,7
25,2
28
21
23
27,1
34,6
24,9
26,3
33,3
41,7
31,8
32,5
42,3
53,8
47,2
48,5
66,9
92
40%
20%
0
C
D
E
F
Ad un confronto col resto d’Europa, si vede chiaramente che gli edifici italiani sono tra i meno efficienti, perché più vecchi.
Suddivisione percentuale degli APE degli edifici per classe energetica in alcuni stati membri dell’UE Fonte:Elaborazione ENEA
% edifici in classe A
BG BE FLA
% edifici in classe B
BE WAL
% edifici in classe C
DK EE
% edifici in classe D
EN AND WLS ES
% edifici in classe >D
FI FR EL HU IE IT LT N IE NOR NL PT SCT SK 0
20%
40%
60%
80%
100%
82 Gli APE sono obbligatori solo nei casi di compravendita, affitto o ristrutturazione dell’immobile, ma possiamo assumere che gli edifici che non hanno richiesto l’APE siano probabilmente quelli più vecchi del parco edilizio e quindi la situazione attuale potrebbe rivelarsi peggiore di quella descritta
70
Per aumentare l’efficienza energetica dei nostri edifici si possono ope-
rare due tipi di interventi: sull’involucro e sull’impianto di riscaldamen-
to. L’involucro è l’insieme di elementi che delimita l’esterno con l’interno dell’abitazione, comprende quindi tetto, pareti, infissi e finestre. La permeabilità di questi elementi determina quindi la quantità di energia ne-
cessaria per raggiungere la temperatura interna desiderata, dato che più un involucro è permeabile e più la temperatura esterna entra facilmente all’interno dell’immobile.
Per quanto riguarda invece gli impianti di riscaldamento, l’efficienza ener-
getica dipende dalla quantità di energia necessaria per raggiungere una
certa temperatura. Un impianto più efficiente necessita di meno energia per raggiungere una determinata temperatura e quindi produce meno
emissioni rispetto ad uno meno efficiente, a parità di fonte utilizzata. Gli interventi di isolamento sull’involucro dell’edificio sono prioritari ri-
spetto agli interventi sull’impianto perché il livello di permeabilità degli edifici ne determina il fabbisogno energetico: più un edificio è isolato
con l’esterno, meno potente deve essere l’impianto necessario alla sua climatizzazione e viceversa. Purtroppo, però, gli interventi di isolamento sono anche i più onerosi, e quindi adottati con minore frequenza. Tale
barriera economica è stata diminuita in Italia grazie al bonus casa e all’ecobonus, che prevedono la detrazione dall’IRPEF di almeno il 50% degli oneri sostenuti su diversi interventi.
BONUS CASA Il Bonus Casa1 è entrato in vigore nel 1998 e prevede
La detrazione era inizialmente pari al 36%
la possibilità di detrarre dall’IRPEF una percentuale
degli oneri per poi essere aumentata al 50%.
degli oneri sostenuti per ristrutturare le abitazioni
Ad oggi è possibile usufruire di tale bonus
e le parti comuni degli edifici residenziali.
per un massimale di 96,000 euro:
STRUTTURE EDILIZIE
INFISSI1
IMPIANTI TECNOLOGICI
ELETTRODOMESTICI2
Riduzione della trasmittanza termica delle: • Pareti verticali • Coperture • Pavimenti
Riduzione della trasmittanza termica dei serramenti comprensivi di infissi
Rinnovabili: • Collettore solari (solare termico) • Caldaia a biomassa • Impianti fotovoltaici
• forni • frigoriferi • lavastoviglie • piani cottura elettrici • lavatrici/ asciugatrici
Efficienti: • Caldaie a condensazione • Pompe di calore • Sistemi Ibridi • Teleriscaldamento Digitali: • Sistemi di contabilizzazione del calore • Sistemi di termoregolazione e building automation
1
2
Fonte: ENEA Solo se collegati ad un intervento di recupero di patrimonio edilizio
71
ECOBONUS L’Ecobonus, in vigore dal 2008, permette di detrarre dall’IRPEF o l’IRES una percentuale degli oneri sostenuti, come mostra la tabella seguente:
1
2
3
INTERVENTO
DETRAZIONE MASSIMA
344 - Riqualificazione energetica globale
100.000,00 euro (65%)
345 - Interventi su involucro parti singole: • coibentazione di strutture opache verticali, e orizzontali • sostituzione di finestre comprensive di infissi • installazione di schermature solari
60.000,00 (da 50% al 65%)
345 - Interventi sull’involucro parti comuni con un’incidenza superiore al 25% della superficie disperdente: • se realizzati nelle zone sismiche e che determinano il passaggio ad una classe di rischio sismico inferiore
Importo massimo: 40.000,00 a unità immobiliare (70%1) 136.000,00 a unità immobiliare (80%2)
346 - Collettori solari per produzione di acqua calda
60.000,00 (65%)
347 - Sostituzione di impianti di climatizzazione invernale o scaldacqua con impianti dotati di: • caldaie a condensazione o a biomassa • pompe di calore e apparecchi ibridi • micro-cogeneratori • installazione di sistemi di Building Automation
30.000,00 (50%3) 30.000,00 (65%) 100.000,00 (65%)
75% se conseguono almeno le qualità medie “Decreto Linee Guida per la certificazione energetica” 85% se conseguono il passaggio di due o più classi di rischio inferiore 55% con contestuale installazione di sistemi di termoregolazione evoluti
I risultati ottenuti dagli attuali bonus però sono stati complessivamen-
te deludenti. Per il periodo 2014-2018 il PNIEC ha stimato un risparmio di 0,1 Mtep annui per l’utilizzo dell’Ecobonus e di 0,225 Mtep annui con l’utiliz-
zo del Bonus Casa, rispetto ai circa 0,57 Mtep necessari per raggiungere gli obiettivi di risparmio energetico fissati dal PNIEC.
Dalla figura di seguito emerge chiaramente che gli incentivi non sono
stati in grado di aumentare significatamente gli interventi di coibentazione dell’involucro83, cioè quelli con il maggior ritorno in termini di efficienza energetica. Le stime sull‘utilizzo dell’Ecobonus riportano che nel
2014-2018 sono stati realizzati oltre 1.7 milioni di interventi su un parco
edilizio di 13 milioni. Più precisamente, dei 334 mila interventi del 2018, il 42% riguardavano la sostituzione dei serramenti, il 27% la sostituzione dell’impianto e solo il 7% riguardava la coibentazione dell’involucro.
83 Rivestimento con materiale isolante
72
Interventi e risparmi realizzati per tipologia Fonte: ENEA
No Interventi
Risparmi per tipologia (GWH/Anno)
160.000
450
140.000
400 350
120.000
300
100.000
250
80.000
200
60.000
150
40.000
100
20.000
50
Building automation
Climatizzazione invernale
Pannelli solari per ACS
Schermature solari
Sostituzione serramenti
Coibentazione involucro
Riqualificazione globale
0 Condomini
0
Per migliorare i risultati di questo schema di incentivi, il decreto “Ri-
lancio” ha introdotto il nuovo Super Ecobonus edilizio. Le novità sono un notevole aumento della percentuale di rimborso a carico dello
Stato, la possibilità di cedere il credito ad un terzo, sgravando così i proprietari di immobili dalla necessità di trovare le risorse per l’inve-
stimento e, soprattutto, la struttura del bonus, che obbliga ad effet-
tuare interventi strutturali sull’involucro o sull’impianto prima di poter accedere alle detrazioni per altri interventi minori.
SUPER ECOBONUS Super Ecobonus: Il decreto “Rilancio” ha incrementato al 110% (da ripartire in 5 quote annuali) l’aliquota di detrazione IRPEF/IRES delle spese
edifici, compresi quelli unifamiliari, con un’incidenza superiore al 25% della superficie; • sostituzione degli impianti di climatizzazione
sostenute dal 1 luglio 2020 al 2023 a fronte
invernale esistenti con impianti centralizzati
di specifici interventi se prevedono il miglioramento
per il riscaldamento, e/o il raffrescamento
di almeno due classi energetiche per l’edificio o unità
e/o la fornitura di acqua calda sanitaria.
immobiliare. È necessario un intervento trainante1 per
Elementi trainati2:
accedere al 110% di detrazione su tutte le spese:
Interventi di efficientamento energetico rientranti
• isolamento termico delle superfici opache verticali,
nell’ecobonus, nei limiti di spesa previsti
orizzontali e inclinate che interessano l’involucro degli
1
2
dalla legislazione vigente per ciascun intervento.
Previsto anche per interventi antisismici Previsti altri interventi trainati ma non si riportano all’efficientamento
73
Al fine di sviluppare un indicatore significativo e misurabile dei pro-
gressi di risparmio energetico è stato elaborato il tasso virtuale di ristrutturazione profonda84. Tale tasso esprime quanti sarebbero stati i
m2 (virtuali) riqualificati se gli interventi di efficienza energetica incen-
tivati attraverso l’Ecobonus e il Bonus casa fossero stati tutti interventi di ristrutturazione profonda.
Il tasso di riqualificazione virtuale annuale dell’Ecobonus è stato di
0,26% e quello del Bonus casa del 0,59%. IL PNRR prevede un tasso di
riqualificazione di 0,32% all’anno per il Superbonus, ovvero un risparmio di 0,19 Mtep/anno. La STREPIN85 prevede che sia necessario raggiunge-
re un tasso virtuale di riqualificazione del 1,16% degli edifici residenziali
e del 2,5% per gli edifici terziari per raggiungere l’obiettivo di 0,57 Mtep risparmiati all’anno.
La struttura del nuovo Superbonus però sta già mostrando i suoi limiti, soprattutto a causa delle complessità burocratiche per accedervi. Per questo motivo è necessario intervenire per facilitare l’accesso al bo-
nus e assicurare che venga usato per gli interventi più efficienti. Questi
incentivi statali infatti non possono essere realmente efficaci se non accompagnati da misure che aiutino i cittadini nello svolgimento delle procedure amministrative e nella scelta degli interventi.
LE NOSTRE PROPOSTE Proposta 3.1.1
Creazione e sviluppo di sportelli unici (One Stop Shop). Proponiamo di diffondere su tutto il territorio nazionale, come previsto dalla direttiva
europea 2018/844, sportelli unici (one stop shop) per aiutare i cittadini nelle procedure amministrative e nella scelta degli interventi, offrendo
servizi di consulenza integrata in materia di ristrutturazioni e di strumenti finanziari per l’efficienza energetica.
Le funzioni essenziali che questi sportelli dovranno svolgere sono:
• guidare il consumatore nella scelta informandolo sui risparmi di
medio e lungo periodo di cui beneficerà con i diversi interventi di modernizzazione dell’edificio;
• accompagnare e aiutare il consumatore nell’iter autorizzativo;
• svolgere un ruolo di tramite tra il consumatore e i soggetti rilevanti ai fini dell’attuazione dell’intervento;
• monitorare la correttezza e la tempestività dell’intervento; • facilitare il contatto tra imprese e consumatori.
Nel caso dei condomini, dove l’eterogeneità e la molteplicità di proprie-
tari causa una maggiore difficoltà di coordinamento, gli sportelli permetterebbero di fare preventivi gratuiti specifici per le diverse condizioni dei condomini. Prensiamo che esplicitare i risparmi economici derivan-
ti dagli interventi e rispondere ai numerosi dubbi che possono sorgere 84 Con ENEA, ISPRA e RSE
85 Strategia per la riqualificazione energetica del parco immobiliare nazionale
74
possano sbloccare numerosi interventi, soprattutto nei condomini.
Proposta 3.1.2
Incentivi all’uso del Superbonus per le case in affitto. I proprietari delle
case in affitto, non vivendo in prima persona nelle case, non sono incentivati a effettuare una riqualificazione per cui non usufruirebbero né dei
risparmi in bolletta né del miglior comfort dell’abitazione (split incentives
barrier). Per di più, in Italia tale investimento non si tradurrebbe neanche in un aumento significativo del prezzo del bene: la qualità energetica dell’edificio infatti rimane tra gli ultimi elementi che influenzano le scelte di chi compra o affitta un immobile, dopo l’ubicazione, l’esposizione e la vicinanza ai servizi86. Nel 2019, le abitazioni in affitto erano il 25% del totale87, un numero quindi molto significativo.
Per incentivare l’uso del Superbonus anche in questi casi, proponiamo
una riduzione dell’aliquota della cedolare secca a tutti i proprietari di case in affitto se effettuano interventi di rinnovo tramite il Superbonus.
Proposta 3.1.3
Estensione del Superbonus all’edilizia commerciale. Ad oggi il Superbo-
nus è previsto solo per gli edifici residenziali88, esclude quindi gli uffici, i negozi, i laboratori, gli edifici produttivi, gli alberghi e via dicendo89. Que-
sta condizione limita di molto la capacità del Superbonus di trainare una radicale transizione verso un parco immobiliare sostenibile perché gli edifici non residenziali causano il 30% delle emissioni.
Proponiamo di estendere il Superbonus agli edifici commerciali. Per fa-
vorire una più rapida transizione, l’utilizzo del bonus in questi casi sarà condizionato non più solo all’aumento di due classi, ma al raggiungimento della condizione di NZEB (Nearly Zero Emission Building)90. Un edi-
ficio NZEB, ancor più sostenibile degli edifici classe A, è climaticamente
neutrale o quasi, ha un fabbisogno energetico molto basso e autoproduce tutta - o quasi - l’energia necessaria da fonti rinnovabili.
Proposta 3.1.4
Proroga del Superbonus per gli edifici residenziali. Per promuovere
l’efficacia del Superbonus, è necessario garantire certezza e continuità degli investimenti. La necessità degli operatori e dei fruitori di adattarsi
alle nuove tipologie di incentivi, che purtroppo cambiano spesso, comporta in molti casi l’accumulo degli investimenti negli ultimi anni delle
misure. Basti pensare che il 30% dei fondi dell’Ecobonus, pari ad oggi a 12,6 miliardi, sono stati investiti solo negli ultimi 3 anni91 sui 14 in cui
l’incentivo è stato in vigore. Proponiamo quindi di prorogare la validità dell’incentivo fino al 2023.
86 Analisi effettuata da ENEA 87 Fonte: Istat
88 Le categorie ufficialmente ammesse sono: 1. immobili ad uso abitativo, 2. ad uso misto con prevalenza di funzioni abitative, 3. ad uso non residenziale a patto che dopo i lavori venga ottenuto un cambio di destinazione d’uso a residenziale 89 Chiarito dall’ Agenzia delle Entrate con la circolare 24/E/2020
90 Dal gennaio 2021, tutti gli edifici di nuova costruzione devono essere NZEB (Decreto Ministeriale 26 giugno 2015) 91 Fonte: ENEA 2020
75
Proposta 3.1.5
Digitalizzazione delle procedure approvative edilizie della Pubblica Amministrazione. Per accedere al Superbonus è necessaria la certifi-
cazione di conformità urbanistica e catastale dell’abitazione, reperibile presso gli uffici comunali. Gli uffici, data la scarsa digitalizzazione, si ritrovano sommersi da richieste che vengono trattate poco velocemente,
facendo rallentare le pratiche. E’ chiaro che la burocrazia e l’organizzazione dell’amministrazione locale non è stata al passo con l’innovazione
digitale, soprattutto nel processo edilizio92 (97° posto su 190 per efficienza). Per questo gap ad oggi, nel nostro Paese, per ottenere un permesso edilizio ci vogliono 14 procedure (contro le 12,7 della media OCSE93 )
che richiedono in media 189,5 giorni (contro i 152,3 della media OCSE) e soprattutto comportano un costo burocratico pari al 3,4% del valore dell’immobile (contro 1,5% della media OCSE).
Per velocizzare e semplificare l’implementazione del Superbonus, è necessario fornire alle aree tecniche della PA Locale, dedite alla questione
del territorio, strumenti digitali per smaltire le pratiche più rapidamente.
L’obiettivo è quello di raggiungere, entro 5 anni, la gestione digitale ibrida94 del processo approvativo edilizio in tutta Italia, la riedizione del Testo
Unico, la messa in opera della piattaforma unica (come in progetto dal MISE) e una completa digitalizzazione del catasto.
Proposta 3.1.6
Accesso al Superbonus per edifici con difformità minori. Il patrimonio
immobiliare italiano è caratterizzato da numerose difformità “minori” che comportano l’impossibilità di avviare interventi edilizi, compresi
quelli oggetto del Superbonus. L’art. 49 del Testo Unico dell’Edilizia pre-
vede l’impossibilità di accedere a incentivi fiscali per gli interventi in presenza di un abuso. Questo limita di molto l’utilizzo dell’incentivo. Infatti,
a meno che questo abuso non rientri nella categoria delle tolleranze edilizie (art. 34 d.p.r. 380/2001), si deve procedere alla sanatoria tramite un doppio procedimento di accertamento di conformità, che assicuri
l’armonia tra l’edificio e le norme al tempo della costruzione e a quelle vigenti: questo comporterebbe lunghi controlli e tempi incerti.
Proponiamo di estendere il Superbonus, indipendentemente dall’ottenimento dell’accertamento di conformità urbanistica ed edilizia, agli immobili caratterizzati da interventi di edilizia libera - interventi leciti, ma per cui non si è chiesto il permesso necessario - e con difformità minori,
che possono essere definite come aumenti di superficie del 5% assentiti
e opere come coperture, balconi, aperture di vani su facciata e difformità dei prospetti.
Proposta 3.1.7
Previsioni speciali per i proprietari di immobili rientranti nel patrimonio culturale. Alcuni interventi di efficientamento energetico, come ad
esempio la realizzazione del cappotto termico, non possono essere re92 Fonte: European Cyber Security Organisation (2020) 93 Fonte: OCSE
94 Ciclo dei dati pubblici edilizi totalmente digitale, rinviando il completamento, comprendente la normazione di algoritmi decisionali ed a supporto (AI), entro il 2030
76
alizzati sugli immobili sottoposti a vincolo di interesse storico artistico
(Dlgs 42/2004). Questo esclude dalla platea dei beneficiari i proprietari di questi immobili e di fatto condanna all’obsolescenza energetica, e
alla svalutazione, gli immobili più pregiati del Paese. E’ necessario integrare le misure di efficientamento energetico con i requisiti di conser-
vazione e valorizzazione del patrimonio culturale, coordinando le norme previste dal MIBACT al fine di includere gli immobili vincolati.
Proposta 3.1.8
Valutazione degli impatti ambientali ed economici del Superbonus. Un rimborso del 110% può avere impatti negativi sul mercato. Ad esem-
pio, nel mercato edilizio, l’aumento dei prezzi, quest’anno, è stato importante95. Consideriamo che un rimborso del 110% della spesa possa
essere giustificato solo se permette di conseguire risparmi energetici
significativi. Per questo motivo proponiamo ogni anno di analizzare i risultati del bonus in termini di spesa pubblica e risparmi energetici as-
sieme agli impatti sul mercato in modo tale da valutare una eventuale rimodulazione del rimborso.
3.2 Decarbonizzazione delle fonti di riscaldamento La decarbonizzazione degli impianti di riscaldamento è cruciale per ridurre l’impatto ambientale degli edifici, ma non è un processo sem-
plice. Per prima cosa, installare impianti alimentati con energie rinnovabili richiede spesso un cambio del sistema di diffusione del calore
all’interno dell’edificio, implicando lavori importanti ed onerosi. Una seconda barriera è poi il basso costo del gas e delle caldaie a gas, ma soprattutto la massiccia diffusione della sua rete, che rallenta lo sviluppo del mercato delle rinnovabili.
Gli impianti che possono contribuire alla riduzione dell’emissione nel settore della produzione di calore, sostituendo le tradizionali caldaie a gas, sono i seguenti:
• il teleriscaldamento; • le pompe di calore;
• le caldaie a biomassa. Le caldaie a biomassa e le pompe di calore sono fonti completamente rinnovabili96. Il vantaggio del teleriscaldamento invece è quello di cen-
tralizzare la produzione di calore, in modo da renderla più efficiente.
Questi impianti possono essere alimentati sia da fonti rinnovabili che non rinnovabili. Un’altra soluzione consiste nel mantenere le caldaie tradizionali sostituendo il gas con il biometano per la loro alimentazione, che è una fonte neutrale dal punto di vista delle emissioni.
95 I metalli sono aumentati del 20,8%, con punte che superano il più 50%; i materiali termoisolanti del 16%; i materiali per gli impianti del 14,6%, con punte che superano il +25%; il legno del 14,3%. Fonte: Rinnovabili.it (2021) 96 Essendo l’utilizzo di energia elettrica nelle pompe di calore ridotto, questa tecnologia viene considerata rinnovabile
77
La diversità dei climi delle regioni Italiane non permette lo sviluppo e
l’implementazione di un’unica tecnologia di diffusione del calore a livello nazionale. È quindi necessario analizzare tutte le possibili soluzioni,
e scegliere la migliore in funzione delle specificità climatiche e delle diverse caratteristiche delle abitazioni a livello territoriale.
La nostra strategia consiste nell’incentivare la diffusione del teleriscal-
damento, delle pompe di calore, delle caldaie a biomassa e, allo stesso tempo, sostituire il metano con il biometano nell’alimentazione delle caldaie tradizionali.
3.2.1 Teleriscaldamento
LA SITUAZIONE OGGI Il teleriscaldamento consiste nella produzione centralizzata di acqua calda in una centrale, dalla quale viene poi distribuita a numerosi edi-
fici. Per riscaldare l’acqua si possono utilizzare sia fonti inquinanti che rinnovabili come la geotermia, la combustione di biomasse o di rifiuti.
Produrre grandi quantità di calore in modo centralizzato è più effi-
ciente rispetto ad una produzione frammentata: un’unica grande centrale può produrre la stessa quantità di calore utilizzando meno energia rispetto a tanti piccoli impianti, traducendosi in un risparmio in termini di bollette e di emissioni.
Il teleriscaldamento in Italia non è molto diffuso a causa dei suoi alti
costi. Gli investimenti necessari per predisporre l’infrastruttura del teleri-
scaldamento sono economicamente fattibili solo nelle regioni più fred-
de, dove l’alta domanda di calore fa sì che l’investimento iniziale venga recuperato più velocemente. Il 96% del teleriscaldamento italiano è in-
fatti situato in 5 regioni del Nord: Piemonte, Lombardia, Trentino Alto Adige e Emilia Romagna. In Europa è diffuso principalmente in Paesi nordici come l’Austria, la Danimarca o la Svezia97.
Oltre alla scarsa diffusione, in Italia il teleriscaldamento è alimentato
per la maggior parte da fonti inquinanti: nelle 250 reti di questo impianto, il calore prodotto da fonti rinnovabili è solo il 27%98, quota inferiore ri-
spetto ad altri Paesi, come la Svezia, dove arriva al 70%99. In Italia il calore
per il teleriscaldamento proviene circa al 90% da centrali che producono anche, o principalmente, elettricità, come le centrali termoelettriche e di cogenerazione100.
97 In Svezia più del 50% del riscaldamento è fornito dal teleriscaldamento
98 Secondo AIRU gli impianti che usano bioenergie ammontano a 647Mwt 99 Biomassa e rifiuti organici
100 La cogenerazione è un sistema in grado di produrre energia termica ed elettrica congiuntamente attraverso un unico impianto. Questo sistema permette di effettuare dei risparmi energetici: anziché perdere il calore che viene normalmente emanato durante la produzione di elettricità viene trasformato in energia termica capace di riscaldare
78
Bilancio energetico - ambientale dei sistemi di teleriscaldamento in esercizio in Italia - Anno 2019 Fonte: AIRU (Associazione Italiana Riscaldamento Urbano)
Energia elettrica Recupero di calore Fonti rinnovabili Fonti fossili Accumuli termici
302 59,2 4.973 16.785
Energia elettrica
Bilancio energetico-ambientale sistemi teleriscaldamento in Italia, anno 2019 (GWh)
V
Clienti teleriscaldamento 9.133 122
Energia termica Energia frigorifera
RISPARMIO Energia primara fossile 0,5 Mtep Emissioni evitare 1,7 Mt Abbiamo un potenziale inespresso dei sistemi di teleriscaldamento: la volumetria di case teleriscaldate oggi è solo di 365,000 Mm3, servita tra-
mite una rete di 4.500km. Lo PNIEC ne individua un potenziale aumento di 900km, ampliando la volumetria teleriscaldata di 49,000 Mm3, di cui
14,000 Mm3 prodotti da biomassa per un risparmio di 0.12Mt Co2 all’anno.
Un discorso parallelo va fatto per i Comuni montani. In Italia ci sono 487
Comuni in fascia climatica F con popolazione superiore a 1.000 abitanti. In molti casi ci sono le condizioni per realizzare impianti moderni e tec-
nologici, alimentabili con legno cippato di provenienza locale, collegati a
reti di teleriscaldamento pubblico-private; ci sono almeno 200 impianti di questo tipo in esercizio, da poche centinaia di kWt ad alcuni MWt.
Volumetria teleriscaldata anno 2019 Fonte: AIRU (Associazione Italiana Riscaldamento Urbano)
VOLUMETRIA TELERISCALDATA ANNO 2019 (m3) x < 100.000 100.000 < x < 1.000.000 1.000.000 < x < 5.000.000 5.000.000 < x < 10.000.000 10.000.000 < x < 45.000.000 x > 45.000.000
79
LE NOSTRE PROPOSTE Proposta 3.2.1.1
Ampliare la rete di teleriscaldamento. Proponiamo di aumentare del 13%
la volumetria delle case che utilizzano il teleriscaldamento aumentando la rete di 900km entro il 2030. L’incremento dell’energia erogata in rete sarebbe di 4000 GWh/anno e necessiterebbe dell’installazione di 2000 MWt
di centrali. Il costo per la rete è pari a 1,3 milioni per km, mentre quello per gli impianti è pari a 0,65 milioni a MW. Stimiamo quindi il costo totale in circa 2,5 miliardi, 1,3 miliardi per le reti di allacciamento e 1,17 miliardi per gli impianti.
Proposta 3.2.1.2
Impianti rinnovabili nei Comuni montani. Proponiamo di costruire 250
impianti di teleriscaldamento alimentati con legno cippato nei piccoli Comuni montani con una potenza media di 750 kWt, ovvero 1500 MWh/ anno per impianto. Questi impianti costerebbero 125 milioni di euro e permetterebbero di risparmiare circa 112 mila tonnellate di CO2.
3.2.2 Caldaie alimentate a biometano
LA SITUAZIONE OGGI Le caldaie alimentate a gas fossile (metano) sono l’impianto più dif-
fuso in Italia e riscaldano ben 17,2 milioni abitazioni su 25,5 totali. Questa ampia diffusione rende il biometano molto promettente per la transizio-
ne verde degli edifici perchè, avendo la stessa composizione chimica del gas fossile, può essere immesso direttamente nella rete del gas già esistente e funzionare nella maggior parte delle caldaie già presenti.
Il biogas viene prodotto con la fermentazione batterica di biomasse di origine agricola101, processo che produce varie tipologie di gas da
cui è possibile estrarre e isolare il metano con un intervento di purifi-
cazione. E’ una fonte sostenibile perché le emissioni, causate dal deperimento del materiale organico, avverrebbero comunque in natura. Inoltre, nel caso del biometano agricolo, è attestato che le emissioni
prodotte siano uguali alla quantità di CO2 assorbita dalle colture durante la fase di crescita.
Nonostante l’Italia sia, ad oggi, il terzo produttore al mondo di biogas con 1500 impianti di digestione anaerobica in esercizio (80% in
ambito agricolo), vi sono solo 5 impianti per la produzione di biome-
tano. Secondo il Consorzio Italiano Biogas, infatti, solo il 15% dei reflui
zootecnici viene trattato in biodigestori che lo producono e, nei prossimi 10 anni, questa percentuale potrebbe salire al 65%, passando da
una produzione annua di 1,5 miliardi di metri cubi di biometano a 6,5.
In Europa i principali produttori di biometano sono Germania e Svezia, le
quali hanno rispettivamente 367 e 178 impianti su un totale di 367 in Europa.
101 Come ad esempio deiezioni animali, scarti agricoli, rifiuti organici o culture apposite
80
LA NOSTRA PROPOSTA Proposta 3.2.2.1
Investimento in centrali di biogas per immettere il biometano nella rete di riscaldamento. Proponiamo di integrare i digestori anaerobici che vengono proposti nel Capitolo 5 con centrali di purificazione di biogas, collegate direttamente alla rete di gas fossile ad uso residenziale. In questo modo il biometano verrà direttamente utilizzato per ridurre il consumo di gas nel settore che ne consuma di più.
Prevediamo di sviluppare 39 digestori anaerobici capaci di trattare an-
nualmente 3,88 milioni di tonnellate di rifiuti. Il costo dell’investimento è di 1,2 miliardi, ai quali va aggiunto il costo di purificazione del biogas e di allacciamento alla rete di metano.
3.2.3 Fonti rinnovabili: pompe di calore e caldaie a biomassa
LA SITUAZIONE OGGI A differenza delle pompe di calore e delle caldaie a biomassa, quelle tradizionali sono rinnovabili solo se alimentate a biometano. Data la
grande diffusione delle caldaie, il biometano non può essere sufficiente per alimentarle tutte, anche aumentandone la produzione. Per decar-
bonizzare il settore del riscaldamento è quindi necessario investire in
altri impianti, come le pompe di calore e gli impianti a biomassa, che utilizzino fonti di calore rinnovabili diverse.
I dati sull’utilizzo dell’Ecobonus dimostrano che non è stato uno
strumento capace di incentivare la sostituzione di caldaie tradizionali con impianti a fonte rinnovabile. Gli utenti hanno preferito usare gli incentivi per comprare caldaie alimentate da tecnologie fos-
sili di nuova generazione, piuttosto che rinnovabili. Nonostante l‘installazione di pompe di calore e caldaie a biomassa sia in aumento, la caldaie a condensazione restano ancora gli impianti più diffusi.
Tipologie di caldaie. Anni 2017-2019 Fonte: Elaborazione su dati ENEA
2017
2018
2019
Caldaia a condensazione
543
81,2
2919
Caldaia a biomassa
351
66,55
2290
Pompa di calore
316
60,8
1808
La più importante barriera alla diffusione delle fonti rinnovabili è economica. Le caldaie tradizionali sono infatti molto più economiche sia
delle caldaie a biomassa che delle pompe di calore. Una caldaia tradizionale costa di solito tra i 500 e i 1,000 euro, mentre una caldaia a bio-
81
massa intorno ai 3,000-4,000 euro e una pompa a calore tra i 6,000 e i 15,000 euro. Purtroppo, le caldaie tradizionali di nuova generazione hanno sempre beneficiato degli stessi incentivi di quelle alimentate da fonti
rinnovabili, con il risultato di essere state sempre economicamente più vantaggiose per i consumatori. Il Superbonus ha eliminato il vantaggio
economico a favore delle caldaie, azzerando così i costi per entrambe.
TIPOLOGIE POMPE DI CALORE Una pompa di calore (PdC) è un impianto capace
la quota marginale di energia elettrica necessaria è
di trasferire, in un ambiente interno, energia termi-
generata da fonti rinnovabili, la PdC è a emissioni zero.
ca, calda o fredda, che prende da una fonte esterna. Le PdC comportano un considerevole risparmio ener-
Considerato il loro funzionamento, le pompe di calore
getico, perché la quota di energia elettrica impiega-
possono essere classificate in funzione delle tre «sor-
ta per generare calore è marginale; solo un terzo o un
genti»/ambienti da cui possono prelevare l’energia
quarto dell’energia termica è generata da quella elet-
termica: aria, acqua o terreno.
trica, il resto proviene dall’ambiente esterno. Quando
La sorgente più comune è l’aria esterna, data
solo che è il calore ad essere prelevato dall’aria,
la semplicità del suo sfruttamento. La pompa
ed è utilizzabile anche per riscaldare l’acqua
di calore opera come un normale condizionatore,
da usare poi nel sistema di riscaldamento.
POSITIVI
NEGATIVI
Non necessita di opere edili importanti
La temperatura dell’aria esterna è molto variabile, non è adatta a situazioni in cui ci sono ampi sbalzi termici
Non necessita di ampi spazi
Ha un costo maggiore di una caldaia tradizionale
L’aria è sempre disponibile Ha costi operativi limitati
Quando disponibile, è possibile utilizzare l’acqua
e il procedimento è lo stesso ma vengono
proveniente da un fiume, un mare o un lago
usati appositi scambiatori di calore.
POSITIVI
NEGATIVI
La temperatura dell’acqua superficiale ha variazioni di temperatura molto meno marcate dell’aria ambiente e si mantiene mediamente su livelli più elevati.
Rispetto all’aria, l’acqua è meno reperibile Costi di realizzazione e manutenzione maggiori
Un’altra sorgente è il terreno (PdC a bassa entalpia), in
con apposite tecnologie nei quali viene fatta circolare
cui vengono impiantati ad una decina di metri dei tubi
acqua con antigelo che si riscalda lungo il percorso.
POSITIVI
NEGATIVI
A 10m di profondità, la temperatura non risente delle variazioni stagionali e si mantiene sempre su valori costanti
Realizzazione molto più invadente ed è generalmente da scegliere in fase di progettazione dell’edificio Costi di gestione più alti Per un appartamento medio, può costare anche 15.000 euro, con un prezzi crescenti anche in relazione alla superficie da riscaldare e, quindi, alla potenza installata.
82
La diffusione delle pompe di calore è frenata da due barriere: una in-
frastrutturale e una legata alla variabilità delle fonti utilizzate. La barriera infrastrutturale deriva dal fatto che le pompe di calore non sono in grado di raggiungere temperature elevate come le caldaie. Questo implica che le fonti rinnovabili devono essere accompagnate da un sistema di dispersione del calore più diffuso, come per esempio il riscal-
damento a pavimento. Sostituire il sistema di diffusione del calore è un intervento molto invasivo che disincentiva l’adozione di queste tecnologie. La variabilità delle fonti naturali utilizzate nelle pompe di calore fa
sì che sia difficile mantenere costante la produzione, specialmente nei momenti in cui la domanda è alta e le risorse naturali utilizzate per la sua produzione sono scarse.
Per superare questi due problemi sono stati concepiti altri due tipi di
pompe di calore: quelle ad alta temperatura e i sistemi ibridi. La prima
riesce a raggiungere temperature molto più alte di quelle classiche e non necessita quindi modifiche all’impianto di diffusione, ma resta comunque legata alla variabilità delle fonti e il suo costo è molto alto. La
seconda risolve anche quest’ultimo problema, ma non è completamen-
te rinnovabile. E’ infatti ottenuta integrando una pompa di calore con una caldaia a condensazione alimentata da gas naturale. La pompa di
calore viene utilizzata fintanto che la temperatura esterna non raggiun-
ge temperature troppo basse per un corretto funzionamento, altrimenti utilizza la caldaia a condensazione.
Per aggirare le barriere che caratterizzano le pompe di calore senza rinunciare alla neutralità ambientale, un’ulteriore alternativa è offerta
dalla caldaia a biomassa. Quest’ultima funziona come una caldaia tra-
dizionale, ma utilizza come fonti legna, pellet o cippato. Questa tecnologia si adatta molto bene alla diversità del clima nelle regioni italiane e permette una considerevole riduzione delle emissioni di Co2.
Il problema delle caldaie a biomassa oggi sono le emissioni di PM10, micro particelle molto nocive per la salute. La prima causa di queste emis-
sioni è la vecchiaia degli apparecchi: in Italia il 70% del totale ha più di 10 anni, sono circa 6,3 milioni (AIEL, 2020). In effetti, le caldaie moderne non
producono quasi più questo tipo di particelle, che sono prodotte all’86% da vecchi impianti. Un’altra causa è la conduzione impropria della stufa,
che può provocare emissioni 10 volte maggiori rispetto ad un uso corretto. Per ridurre le emissioni di PM10 del 70% in 10 anni è necessario sostituire le caldaie vecchie con modelli nuovi. Secondo l’AIEL (Associazione Italiana Energie Agroforestali) sarebbe necessario sostituire 350 mila caldaie all’anno, in modo da poter utilizzare una tecnologia neutrale sulle emissioni di carbonio e non nociva per la salute.
83
LE NOSTRE PROPOSTE Proposta 3.2.3.1
Riduzione della detrazione per tecnologie che utilizzano fonti fossili
(caldaie a gas) nel Superbonus. Per aumentare la diffusione di pompe
di calore e caldaie a biomassa, proponiamo di ridurre del 50% la detrazione degli oneri sostenuti per l’acquisto di caldaie tradizionali a gas.
Proposta 3.2.3.2
Istituzione di un fondo per prestiti a tasso ridotto per gli acquisti di im-
pianti di riscaldamento rinnovabili. Gli impianti rinnovabili hanno alti costi iniziali di investimento, ma garantiscono costi operativi inferiori
grazie a risparmi energetici che ne derivano. Proponiamo di istituire un fondo per effettuare prestiti per l’acquisto di impianti di riscaldamento
rinnovabili, le cui rate saranno in parte e completamente ripagate grazie a piccoli costi in bolletta. Questa soluzione risolverebbe il problema dell’investimento iniziale ed eviterebbe le lunghe pratiche burocratiche
legate agli incentivi statali e permetterebbe di rilanciare la transizione verso fonti rinnovabili senza rappresentare ampi costi per lo Stato.
3.3 Edifici pubblici LA SITUAZIONE OGGI L’efficienza energetica nella Pubblica Amministrazione rappresenta un
elemento fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi europei previsti al 2030 e al 2050, dato il numero di edifici pubblici e la loro
vecchiaia. In Italia gli immobili pubblici sono 1 milione e sono soprattutto abitazioni (561mila), seguite da box e parcheggi (182mila), capannoni e magazzini (58mila), edifici scolastici (43mila), impianti sportivi (14mila) e caserme (13mila). Il 43% degli uffici comunali è stato costruito prima del 1945, mentre quasi il 59% delle scuole prima del 1976.
La direttiva 2012/27/UE sull’efficienza energetica prevede che, a partire
dal 2014, il 3% della superficie utilizzabile degli edifici riscaldati e/o raffreddati di proprietà del governo centrale, e da esso occupati, debba essere ristrutturato/migliorato ogni anno. A questo ritmo, tutti gli edifici pubblici potrebbero essere efficientati entro il 2050. Oltre ai benefici am-
bientali, l’efficientamento energetico di questi edifici sarebbe anche un esempio virtuoso capace di trainare gli interventi sugli edifici privati.
Per questo fine è stato attivato il PREPAC (Programma di riqualificazione energetica degli edifici della Pubblica Amministrazione) che prevede la
predisposizione, entro il 30 novembre di ogni anno, di un programma di interventi per il miglioramento della prestazione energetica degli immo-
bili della PA. Lo stanziamento complessivo previsto per il periodo 2014 2020 è di 355 milioni di euro. Gli interventi non sono decisi centralmente,
ma spetta alle singole amministrazioni fare le richieste per accedere ai fondi, con la conseguenza che non sono sempre gli edifici più inquinanti ad avere la precedenza negli interventi. Un’attenzione particolare è da 84
attribuire agli edifici scolastici e agli impianti sportivi.
Edifici scolastici
In Italia ci sono 39.079 edifici scolastici statali. La metà delle scuole è stata costruita tra l’inizio degli anni Sessanta e la metà degli anni Ottanta del secolo scorso. L’età media delle scuole italiane è di circa 52 anni.
Tuttavia ci sono regioni in cui gli edifici sono mediamente più vecchi: in Liguria l’età sale a 75 anni, in Piemonte a 64, in Toscana ed Emilia-Romagna a 56, in Lombardia a 55.
Sul fronte dell’efficienza energetica e della sostenibilità ambientale, il 59% delle scuole ha adottato uno o più accorgimenti per il contenimen-
to dei consumi di energia, tuttavia sono ancora numerose quelle poco efficienti, che così fanno lievitare le spese per la climatizzazione delle aule e degli ambienti.
Stando ai dati dell’Anagrafe dell’edilizia scolastica del 2016, secondo le
segnalazioni dei tecnici degli enti proprietari (Comuni per scuole primarie e medie, Città metropolitane o Province per le superiori) almeno l’8,6% dei 36 mila edifici censiti quattro anni fa, presentavano uno o più problemi strutturali seri, ossia una qualche compromissione delle strutture portanti verticali o dei solai o delle coperture.
Impianti sportivi
Manca, ad oggi, un censimento nazionale aggiornato degli impianti sportivi pubblici. Sarebbe quindi prioritaria l’istituzione di un registro nazionale degli impianti che consenta di monitorare l’utilizzo, la disloca-
zione sul territorio nazionale, la vetustà e lo stato di conservazione degli stessi. Dal censimento realizzato dal CONI nel 2015 su quattro Regioni, risulta che la maggior parte degli impianti sportivi risale agli anni ‘80 e la
pressoché totalità degli stessi (oltre il 90%) non ricorre a fonti di energia rinnovabile. Inoltre, la maggior parte dei costi di gestione è imputabile a spese di manutenzione ordinaria e a spese per utenze di luce acqua e gas.
LE NOSTRE PROPOSTE Proposta 3.3.1
Piano di azione per la ristrutturazione e l’efficientamento energetico dell’edilizia pubblica. Proponiamo di effettuare un’analisi delle presta-
zioni energetiche e dell’efficienza funzionale di tutti gli edifici pubblici e classificarli a seconda del loro inquinamento e dell’efficienza dell’uso dello spazio, prendendo in considerazione il rapporto kWh/mq, mq/posto di
lavoro e mq/costo di gestione annuo. Seguendo la direttiva europea, ogni anno il 3% degli edifici sarà soggetto ad interventi di ristrutturazione pro-
fonda e la metà degli interventi dovrà permettere di creare edifici NZEB. Per massimizzare gli effetti ambientali ed economici dell’investimento,
sarà indispensabile iniziare dagli edifici con prestazioni più scadenti. Occorre infine far rispettare scrupolosamente per gli edifici pubblici la Legge Energetica D.Lgs 48/2020 che ha recepito la direttiva europea 844
85
(EPBD III) che prescrive che dal 1 gennaio 2021 tutti gli edifici nuovi o sottoposti a riqualificazione siano NZEB, cioè ad energia quasi zero.
Proposta 3.3.2
Certificazioni LEED per gli edifici pubblici più importanti. Proponiamo che le Amministrazioni Centrali e gli edifici più grandi facciano gli in-
terventi necessari per ottenere le certificazioni LEED, in modo anche da fornire un esempio per il mercato privato.
CERTIFICAZIONI LEED La certificazione LEED1 è un sistema internazionale di
ambientali correlate alla selezione dei materiali, alla
classificazione dell’efficienza energetica e dell’im-
riduzione dell’utilizzo di materiali vergini, allo
pronta ecologica degli edifici. Le sezioni considerate
smaltimento dei rifiuti e alla riduzione dell’impatto
sono queste: • sostenibilità del Sito (1 prerequisito, 8 crediti - max 26
ambientale dovuto ai trasporti; • qualità ambientale Interna (2 prerequisiti, 8 credi-
punti): vengono affrontati gli aspetti ambientali legati
ti - max 15 punti): vengono considerate le tematiche
al sito dove verrà costruito l’edificio e il rapporto di
inerenti alla qualità dell’ambiente interno, che riguar-
questo con il contesto;
dano la salubrità, la sicurezza,il comfort, il consumo
• gestione delle acque (1 prerequisito, 3 crediti - max 10 punti): vengono considerate le tematiche ambientali legate all’uso, alla gestione e allo smaltimento delle
di energia, l’efficacia del cambio d’aria e il controllo della contaminazione di quest’ultima; • innovazione nella progettazione (2 crediti - max
acque negli edifici, monitorando l’efficienza dei flussi
6 punti): vengono identificati gli aspetti progettuali
idrici e promuovendone la riduzione dei consumi e il
che si distinguono per le caratteristiche di innovazione
riutilizzo delle acque meteoriche;
e di applicazione delle pratiche di sostenibilità
• energia e atmosfera (3 prerequisiti, 6 crediti - max 35 punti): viene promosso il miglioramento delle presta-
nella realizzazione di edifici; • priorità regionale (1 credito – max 4 punti): l’obiettivo
zioni energetiche degli edifici con l’impiego di energia
è quello di incentivare i gruppi di progettazione
proveniente da fonti rinnovabili o alternative e con il
a focalizzare l’attenzione su caratteristiche
controllo delle prestazioni energetiche dell’edificio;
ambientali del tutto uniche e peculiari
• materiali e risorse (1 prerequisito, 7 crediti - max 14
della località in cui è situato il progetto.1
punti): vengono prese in considerazione le tematiche 1
Fonte: Green Building Council Italia
3.4 Costruzioni verdi Per evitare che in futuro si presentino le stesse difficoltà che dobbiamo affrontare oggi legate all’efficientamento e all’integrazione di rinnovabili negli edifici, è necessario che i nuovi vengano costruiti rispettando i più alti standard ambientali e di efficienza energetica.
La direttiva europea 2010/31/UE ha previsto che a partire dal 1 gennaio 2019 gli edifici di nuova costruzione occupati da enti pubblici e di proprietà di questi ultimi fossero “edifici a energia quasi zero”, e che dal 1°
gennaio 2021 tale obbligo fosse esteso a tutti gli edifici di nuova costruzione. Ricordiamo che uno NZEB (Nearly Zero Energy Building) è un edificio in cui il fabbisogno energetico, molto basso, quasi nullo, è coperto in misura significativa da energia da fonti rinnovabili, prodotta in situ. 86
Per le nuove costruzioni è necessario considerare l’intero ciclo di vita dell’edificio, dalla progettazione alla realizzazione. L’edilizia infatti è responsabile di un significativo impatto ambientale102 anche relativa-
mente ai materiali impiegati e alle fasi di costruzione, manutenzione e demolizione. Si è calcolato che la Co2 emesso nel ciclo di vita degli
edifici rappresenta circa il 10% delle emissioni totali annue di gas a effetto serra in tutto il Mondo. Per questo deve essere imposto l’utilizzo di materiali riciclati e una progettazione più in armonia con le esigenze ambientali.
Un altro aspetto importante riguarda poi la gestione ottimale dell’ener-
gia negli edifici e il comfort degli abitanti. Lo Smart Readiness Indicator valuta il risparmio energetico, la flessibilità nell’interazione con la rete, la
generazione distribuita, il comfort degli utenti, la convenienza economica, la salute e il benessere per l’utilizzatore. Questo indicatore permette
di digitalizzare la gestione dell’energia ottimizzando i consumi e il benessere degli abitanti riducendone di conseguenza i consumi.
LE NOSTRE PROPOSTE Proposta 3.4.1
Standard NZEB (Nearly Zero Energy Building) per i nuovi edifici. Occorre
far rispettare scrupolosamente per gli edifici la Legge Energetica D.Lgs
48/2020 che ha recepito la direttiva europea 844 (EPBD III) la quale prescrive che dal 1 gennaio 2021 tutti gli edifici nuovi, o sottoposti a riqualificazione, siano NZEB.
Proposta 3.4.2
Obbligo di Level(s)103 per gli edifici. Proponiamo di introdurre l’obbligo
del calcolo dell’indicatore Level(s) per i nuovi edifici. Questo indicatore
tiene traccia delle prestazioni sui vari stadi dei progetti di costruzione in
modo tale di considerare l’impatto ambientale dell’edificio nel suo intero ciclo di vita. Ogni parametro è volto a calcolare le prestazioni dell’edificio
in relazione agli obiettivi di sostenibilità fissati dall’UE. Level(s) potrà poi essere utilizzato in disposizioni normative per imporre determinati standard di circolarità.
Proposta 3.4.3
Smart Readiness Indicator per una migliore gestione dell’energia. Pro-
poniamo di rendere obbligatorio e non più facoltativo lo Smart Readiness Indicator (SRI) per i nuovi titoli edilizi per gli edifici. Proponiamo inoltre di collegare l’SRI al rilascio dei permessi, sia per nuovi edifici, che per
le ristrutturazioni importanti (a partire dalla “Ristrutturazione edilizia”), in modo tale che ogni volta che viene intrapresa una nuova costruzione o ristrutturazione, lo SRI sia un requisito obbligatorio e non più facoltati-
vo da collegare all’APE (certificato di prestazione energetica), strumento già obbligatorio.
102 Fonte: IRP, Resource Efficiency and Climate Change (2020); UN Environment Emissions Gap Report 2019 103 “Level(s) - European framework for sustainable buildings” Commissione Europea
87
Agricoltura e Verde 4.1 Agricoltura LA SITUAZIONE OGGI L’agricoltura104 è una componente importante del PIL italiano: il valore aggiunto del settore è di 31,3 mld di euro nel 2020, ed è il più alto in Eu-
ropa, infatti supera i 30,2 mld di euro della Francia e i 29,3 mld di euro della Spagna104.
In termini di emissioni di CO2, però, l’agricoltura in Europa rappresenta,
in media, solo il 2,3% delle emissioni totali. In Italia, l’incidenza è dell’1,7%, pari a meno della metà della quota olandese105. Questo per dire che i buoni risultati dell’agricoltura italiana, migliori della media dell’UE, con-
sentono di evitare misure stringenti volte alla drastica riduzione delle emissioni di CO2 e suggeriscono di porre l’attenzione sulle concrete opportunità che esistono al fine di fare leva sulla sostenibilità ambientale per migliorare ulteriormente le condizioni economiche e strutturali delle aziende agricole nella loro più ampia accezione.
Come mostra il diagramma a seguire, le principali cause di tutte le
emissioni inquinanti nell’agricoltura e nell’allevamento sono gli effluenti degli allevamenti (ovvero la fermentazione enterica106 dei ruminanti e la
104 Fonte: Istat 2020
105 Fonte: IEA (International Energy Agency)
106 La fermentazione enterica è il processo che nello stomaco degli animali ruminanti scompone i carboidrati in molecole semplici che possono essere digerite Il metano è prodotto dalla fermentazione enterica durante la digestione degli animali. Fonte: FAO
88
gestione delle deiezioni) e l’utilizzo di fertilizzanti sui suoli agricoli.
Le attività agricole e le emissioni di gas serra Fonte: Rapporto “Focus sulle emissioni da agricoltura e allevamento” di ISPRA
Fermentazione enterica Suoli agricoli Gestione delle deiezioni Coltivazione del riso Applicazione di urea e calce Combustione delle stoppie
In particolare, sia gli effluenti degli allevamenti sia l’utilizzo dei fertilizzanti causano grande produzione di ammoniaca. Infatti, le emissioni di ammoniaca del settore agricolo rappresentano più del 90% delle sue emissioni nazionali
. Una volta liberata in atmosfera, l’ammonia-
107
ca si lega con altri elementi per diventare “particolato secondario”, o
più comunemente chiamato polvere sottile. Se si considera il complesso di particolati primari (ovvero le polveri sottili emesse direttamente dalle auto e dalla combustione della legna) e secondari, l’agricoltura
è il secondo responsabile di questo tipo di inquinamento (15%), dopo
il riscaldamento (38%), ma prima di industria (11%) e trasporti(9%)108.
107 Fonte: ISPRA 2018
108 Report ISPRA - Greenpeace 2016
89
Le emissioni derivanti dall’inefficiente gestione delle deiezioni possono essere ridotte intervenendo sui processi di stoccaggio e distribuzione degli effluenti. Per fare ciò, molti studi concordano che la principale so-
luzione sia la digestione anaerobica109, ovvero la trasformazione degli effluenti in biogas. Per questo, è necessario costruire nuovi impianti e
riconvertire e migliorare l’efficienza di quelli già esistenti. Oltre che ridurre le emissioni, le azioni di produzione di biogas e di biometano permetteranno anche di migliorare l’efficienza energetica delle strutture agricole e zootecniche.
Migliorare le performances produttive degli allevamenti, oltre che essere una priorità per lo sviluppo economico del settore, può essere uno stru-
mento per ridurre le emissioni naturali di metano. Infatti, è dimostrato scientificamente che il livello di emissioni per litro di latte è inversamente proporzionale alla produttività del singolo capo, ed è in tale direzione che occorre agire110.
In termini di emissioni complessive, l’inquinamento dei suoli è responsabile per il 27% delle emissioni. Per ridurle, è necessario intervenire sulla quantità e sulla qualità dei fertilizzanti e sfruttare in maniera più efficien-
te le strutture agricole e zootecniche andando verso il modello “suolo per coltivare e tetto per produrre energia”111.
LINEE GUIDA GIÀ ESISTENTI PER LA RIDUZIONE DELLE EMISSIONI DEL SETTORE AGRICOLO: • Codice nazionale indicativo di buone pratiche agri-
1
• Politica Agricola Comune (PAC) 2021-2027: tra le mi-
cole per il controllo delle emissioni di ammoniaca:
sure previste dalla PAC per il miglioramento dell’am-
previste azioni per la gestione dell’azoto, strategie di
biente, c’è il rafforzamento delle condizionalità con
alimentazione del bestiame, tecniche di stoccaggio e
pagamenti subordinati a requisiti ambientali più
di spandimento del letame a basse emissioni, sistemi
rigorosi, sostegni al reddito degli agricoltori, misure di
di stabulazione e limitazione delle emissioni derivanti
mercato per regimi ecologici ad impatto positivo e
dall’impiego di fertilizzanti minerali.
pagamenti per gli impegni ambientali e climatici1.
Fonte: PNIEC
Le nostre proposte sono incentrate sull’adozione di principi di sostenibi-
lità e di strumenti di ultima generazione per aumentare l’efficienza e la competitività del settore e limitarne l’impatto ambientale.
109 Fonte: NextVille - Energie Rinnovabili ed Efficienza Energetica
110 Fonte: Ricerca “ Connecting the animal genome, gastrointestinal microbiomes and nutrition to improve digestion efficiency and the environmental impacts of ruminant livestock production” della Commissione Europea 111 Fonte: Demain di C.Dion e M.Laurent (2015)
90
LE NOSTRE PROPOSTE Proposta 4.1.1
Più impianti per la produzione di biogas e biometano nelle zone con
alta concentrazione di allevamenti. Questa proposta rientra nel Piano di Investimento per i nuovi Impianti di recupero dei rifiuti, sviluppata
nel Capitolo 5 dedicata all’economia circolare. Il sostegno agli impianti
biogas deve però essere visto nel contesto di una azione generale per aumentare la sostenibilità della zootecnia che permetta alle aziende
agricole, singole o consorziate, di investire in modo coordinato negli adeguamenti necessari per consentire una gestione corretta delle deiezioni, il corretto recupero e riutilizzo dei sottoprodotti e l’autoproduzione energetica.
Proposta 4.1.2
Stimolare la ricerca per ridurre l’inquinamento dei suoli agricoli cau-
sato dai fertilizzanti chimici. Il Piano di Azione Nazionale, che è in attesa di approvazione, porta un’attenzione particolare sull’uso dei fertilizzanti chimici. Occorre puntare con decisione sulla diffusione della fertilizza-
zione di precisione, favorendo con adeguati interventi di sostegno gli
strumenti che le conoscenze scientifiche e tecniche mettono già a disposizione all’agricoltura 4.0 (sensori in campo o applicati direttamente sulle macchine agricole, utilizzo delle informazioni satellitare, droni, ecc). La diffusione degli impianti di produzione di biogas legati direttamen-
te alle aziende agricole aumenterebbe la disponibilità di digestato, un
fertilizzante organico con caratteristiche agronomiche molto positive
e distribuibile con tecniche ad alta efficienza e con basse emissioni in atmosfera. Infine, occorre favorire la ricerca genetica di piante sempre più efficienti nell’utilizzo dei fertilizzanti, usando anche le moderne tec-
nologie TEA (Tecniche di Evoluzione Assistita) che la scienza ha messo a disposizione per l’aumento della produttività coniugata con la sostenibilità (produrre di più con meno risorse?)112.
Proposta 4.1.3
Estensione del Superbonus 110% per la creazione di parchi agri-solari113.
Proponiamo di modernizzare i tetti degli edifici per un uso produttivo nei
settori agricoli, zootecnici e agro-industriali, aumentando in tal modo
la sostenibilità, la resilienza, la transizione verde e l’efficienza energetica
del settore. Per raggiungere questo obiettivo proponiamo di estende-
re il Superbonus al 110% per l’installazione di pannelli fotovoltaici sui tetti delle strutture agricole e zootecniche, sfruttando così a pieno gli edifici
di produzione e convertendo il settore verso l’autoconsumo di energie
rinnovabili dando al contempo piena attuazione della Legge 257/92 (in materia di eliminazione dell’amianto) e del DLGS 257/2006 (in materia di protezione dei lavoratori dalle esposizioni all’amianto).
112 Manifesto “Prima i Geni”
113 Questa proposta è ripresa dalle schede tecniche della missione M2 Rivoluzione verde della bozza di PNRR fatta circolare ad inizio marzo 2021. La scheda tecnica prevede che entro il 2026, 13,250m2 di superficie saranno ricoperti di pannelli fotovoltaici, per un produzione di energia da pannelli solari pari a 1,300-1,400 GWh che aumenterebbero del 5% l’energia solare prodotta in Italia
91
Proposta 4.1.4
Investimenti in aree agricole per limitare gli effetti del dissesto idrogeologico. Proponiamo di offrire incentivi come l’ “Ecobonus” per la re-
alizzazione di pozzi filtranti collegati agli impianti serricoli, consentendo la laminazione per l’immissione delle acque meteoriche raccolte dalle serre nelle reti di deflusso pubbliche, che causano elevate criticità
di natura idraulica ed idrogeologica. Proponiamo incentivi anche per
l’acquisto di teli per pacciamatura di nuova generazione, permeabili
e drenanti, in sostituzione degli attuali teli neri impermeabili, che causano elevate criticità. Infine, vogliamo favorire, mediante incentivi, la realizzazione di opere di ingegneria naturalistica per mitigare il rischio idraulico e idrogeologico.
4.2 Foreste 4.2.1 Una migliore gestione del patrimonio forestale
LA SITUAZIONE OGGI Le foreste hanno un ruolo fondamentale per il contrasto ai cambiamenti climatici, perché, assorbendo anidride carbonica e rilasciando ossigeno
dall’atmosfera, purificano l’aria. L’efficienza di questo processo è direttamente proporzionale alla superficie totale delle foglie: più ce ne sono e più CO2 viene prelevata dall’atmosfera. In Italia, ogni anno le foreste
sottraggono circa 46,2 milioni di tonnellate di CO2114, più di un decimo del
totale delle emissioni di CO2 nazionali115. Le foreste svolgono inoltre una
funzione di protezione primaria diretta e indiretta del territorio: protezione della qualità dell’acqua, mitigazione degli alluvioni, lotta alla deserti-
ficazione, protezione del suolo, contenimento delle fasi e dei fenomeni di erosione e dei danni da valanghe116.
L’Italia ha una superficie forestale molto estesa, che copre il 36,4% del
territorio nazionale, per un totale di 10.982.013 ettari117. Siamo al secon-
do posto tra i grandi Paesi europei per copertura forestale dopo la Spagna (copertura forestale pari al 55,4% del territorio) e davanti alla
media UE (33%), alla Germania (32,8%), alla Francia (32,1%) e alla Gran Bretagna (13,1%)118.
114 Dal Rapporto “Boschi e foreste nel Next Generation EU – sostenibilità, sicurezza, bellezza” di Fondazione Symbola (2020) 115 Il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNEC) stima che le emissioni per settore nel 2016 sono in totale 427,9 mln di tonnellate di CO2
116 Questa multifunzionalità delle foreste è evidenziata dalla seconda risoluzione “Le foreste e l’acqua” adottata all’occasione delle quinta Conferenza Interministeriale Europea sulla Protezione delle Foreste di Varsavia 117 Report Per il piano italiano di utilizzo dei fondi di Next Generation EU di AIEL
118 Dal Rapporto “Boschi e foreste nel Next Generation EU – sostenibilità, sicurezza, bellezza” di Fondazione Symbola (2020)
92
COS’È UNA FORESTA? Le foreste sono definite a livello internazionale come
per produzione agricola, come per esempio quelle di
terreni di almeno 0,5 ettari di superficie caratterizzati
frutteti.1 In Italia, il patrimonio forestale nazionale è rico-
dalla presenza di alberi e dall’assenza di altri utilizzi
nosciuto come “parte del capitale naturale nazionale e
predominanti del terreno. Gli alberi delle foreste devono
come bene di rilevante interesse pubblico da tutelare e
poter raggiungere un’altezza minima di 5 metri. Non
valorizzare per la stabilità e il benessere delle genera-
sono considerati terreni forestali le piantagioni arboree
zioni presenti e future2”.
1
2
Definizione FAO Fonte: DL 34/2018
LA POLITICA FORESTALE ITALIANA Predisposizione del Rapporto Annuale sulle Foreste
alla formazione degli operatori, l’iscrizione agli albi
scenza delle foreste italiane. Le pubblicazioni si basano
stato di abbandono colturale della superficie
su una raccolta e un’analisi di dati provenienti da tutti
boschiva, gli indirizzi di gestione e pianificazione
gli stakeholders coinvolti nella gestione e nel censi-
forestale.Tra gli obiettivi del TUFF c’è quello
mento del patrimonio forestale (Regioni, enti territoriali,
di aumentare l’assorbimento del carbonio.
Italiane (RAF): iniziativa creata per rafforzare la cono-
Istat, …)
Testo Unico Foreste e Filiere Forestali (TUFF): regola-
delle imprese competenti, il riconoscimento dello
Libro bianco dei boschi d’Italia: descrizione delle
percezioni, esigenze e necessità di tutti gli attori, diretti
mento promosso nel 2018 per “l’ orientamento
ed indiretti, del settore forestale. Questo testo ha il ruolo
e la modernizzazione del settore forestale” tramite
di valutare la compatibilità tra le necessità del settore
indirizzi e linee guida per la gestione a supporto
e gli impegni internazionali in materia di mitigazione
delle Regioni. All’interno del TUFF sono specificati
e adattamento al cambiamento climatico.1
i criteri e gli indirizzi minimi del settore riguardo
1
Fonte: PNIEC 2018
Il 34% della superficie boschiva italiana, precisamente 3.116.271 ettari, è di proprietà della Pubblica Amministrazione. Sono soprattutto i Comuni
i proprietari dei grandi appezzamenti boschivi, ai quali però spesso non portano sufficiente attenzione. In tale situazione di abbandono si inserisce spesso la criminalità organizzata: gli scandali ai quali si sono interes-
sati i media nazionali sono stati numerosi. Spingere le amministrazioni, di qualsiasi livello, ad occuparsi del proprio patrimonio boschivo ci sembra
il primo passo da perseguire, sia per essere coerenti con gli obiettivi di sostenibilità posti, sia per aprire la strada alla creazione di una filiera del legno sostenibile e certificata.
L’aumento della superficie boschiva è un dato positivo dal punto di vista della produzione di ossigeno ma comporta una seria riflessione
sull’abbandono delle superfici agricole a partire dalla montagna, verso
l’alta collina, alla collina. Difatti, abbandono significa mancata manutenzione dei territori e quindi facilitazione dei fenomeni di dissesto idrogeologico e fauna selvatica fuori controllo. Per efficientare al massimo il sequestro di carbonio dei nostri boschi, dobbiamo imparare a gestire
93
il nostro patrimonio boschivo e renderlo economicamente sostenibile, al fine di produrre materiali utilizzati a vario titolo per l’industria ed evi-
tare che una grande quantità di carbonio (organicato con la fotosintesi) venga restituito immediatamente in natura, vanificando l’intero sforzo dell’ecosistema.
Se gli utilizzatori avessero prospettive di mercato per i loro prodotti, il bosco
tornerebbe ad essere quella fonte di reddito che era un tempo e molte
più persone troverebbero occupazione, dovendo offrire forza lavoro ne-
cessaria per affrontare le utilizzazioni. Forza lavoro che aiuterebbe anche a ripopolare vallate e montagne oggi semideserte e abbandonate.
Le ricerche affermano che la soluzione ottimale per risolvere il proble-
ma dell’abbandono forestale e migliorare il potenziale di assorbimento di CO2 delle foreste sia adottare modelli di gestione sostenibile del
patrimonio119 che rafforzino la pianificazione e applichino approcci sel-
vicolturali per valorizzare la multifunzionalità dei boschi. Una gestione
sostenibile delle foreste garantirebbe loro un aumento del 30% dell’assorbimento di carbonio120.
Ad oggi, i piani di gestione forestale sono applicati solo al 18% della superficie forestale italiana121.
LE NOSTRE PROPOSTE Proposta 4.2.1 .1
Aumentare i controlli per verificare l’applicabilità dei Piani gestionali
delle foreste e dei differenti strumenti di gestione delle aree protette. Oggi, secondo la legge, tutto il patrimonio forestale pubblico deve es-
sere sottoposto ad una pianificazione. Ogni Regione dovrebbe quindi
avere un Piano di Gestione Forestale e ogni Ente Parco dovrebbe adottare gli strumenti di gestione delle aree protette122. Per contrastare l’ab-
bandono forestale però, non sono sufficienti i controlli di applicabilità
delle legge e gran parte del patrimonio pubblico destinato non è sog-
getto ad un piano. Proponiamo quindi che venga rafforzato il controllo da parte del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali (MIPAAF). Ogni anno, la Regione dovrà raccogliere la programmazione territoriale forestale dei Comuni, meglio se organizzati in “Unioni”, e co-
municare al MIPAAF il Piano di Gestione Forestale Sostenibile in modo da garantire la tutela e la manutenzione delle foreste. E’ parimenti importante investire sul personale che gestisce le aree boschive e/o pro-
tette, con informazioni e aggiornamenti periodici sui comportamenti proattivi da assumere dinanzi a emergenze derivanti dai cambiamenti climatici e dagli incendi.
119 “Gestione forestale e tutela dal dissesto idrogeologico nei territori montani” F.Iovino 120 Dal rapporto “Boschi e foreste nel Next Generation EU” (2020) Fondazione Symbola 121 Dal rapporto “Per il piano italiano di utilizzo dei fondi di Next Generation EU” di AIEL
122 Regolamento del Parco - Piano per il parco - Iniziative per la promozione economica e sociale, istituiti con la Legge Quadro n.394
94
Proposta 4.2.1.2
Missione di recupero e restauro delle foreste abbandonate e/o degradate. Le zone forestali abbandonate e/o degradate saranno soggette
ad un piano d’intervento dedicato per il recupero della biodiversità e il rimboschimento. L’Italia è uno dei Paesi europei più ricchi di biodiver-
sità, perciò non sussiste l’emergenza in termini di rimboschimento: la loro promozione è certamente importante, ma il pronto intervento è da
dedicare alla fase di gestione. L’abbandono forestale infatti comporta
perdite di grandi quantità legnose e aumenta il rischio di dissesto idrogeologico, due priorità per un Paese come l’Italia.
LE FORESTE NEL PIANO FRANCE RELANCE Il Piano francese France Relance prevede fondi desti-
valorizzazione del prodotto. Nello stesso piano è sottoli-
nati alla ricerca per preparare il patrimonio forestale ai
neata la necessità di conoscere e descrivere meglio
cambiamenti climatici, anticipare l’evoluzione e man-
la biodiversità del patrimonio forestale, per ogni sua
tenere i servizi. Un esempio di misura che va in questa
parcella. È inoltre proposta la ricostruzione sostenibile
direzione è l’accompagnamento degli investimenti per
di foreste deperite nelle regioni del Grand Est e di Bour-
lo sviluppo e la modernizzazione delle imprese della
gogne-Franche-Comté per usufruire al massimo
filiera di trasformazione del legno, dalla raccolta alla
di tutto il potenziale del patrimonio forestale.
4.2.2 Rafforzare la filiera del legno ecosostenibile e di qualità
LA SITUAZIONE OGGI Oltre ad un modello di gestione pianificata e sostenibile, un altro punto
fondamentale per usare le foreste per mitigare gli effetti climatici è rafforzare la filiera del legno. Promuovere la filiera garantisce il buon utilizzo e la vitalità delle foreste.
La filiera del legno è la seconda industria manifatturiera in Italia, produce l’1,6% del PIL, e garantisce lavoro a oltre 300 mila persone e le imprese
ad essa corrispondenti sono il 15% di quelle manifatturiere nazionali. Il volume d’affari complessivo del settore è di oltre 32 mld di euro. Siamo anche tra i maggiori importatori di legna al mondo: oltre l’80% del fabbisogno di legno nazionale è importato. L’Italia è il paese UE con il
più basso grado di autosufficienza nell’approvvigionamento di materia prima legnosa123.
I tassi di utilizzazione del prelievo del bosco si attestano tra il 18,4% e il
37,4% dell’incremento annuo. Nonostante questi dati siano incerti e calcolati con diversi metodi indiretti, si può affermare che il prelievo fo-
restale italiano sia inferiore rispetto alla media europea, circa del 62-
123 Dal rapporto Foreste 2019 di Legambiente
95
67%124. Questo basso tasso implica una forte dipendenza dall’estero per l’importazione di legno e legname per l’industria.
L’elevato livello di importazione di materia legnosa stupisce molti, per-
ché il patrimonio forestale italiano sarebbe in grado di fornire abbastanza legna da coprire una maggior quota di materia necessaria per le produzioni della filiera.
Ad oggi la produzione di legno, nonostante sia al di sotto dei livelli potenziali, rimane stabile, ma diminuiscono le infrastrutture della filiera del legno, ovvero segherie e infrastrutture per le utilizzazioni in bosco125.
Considerando il successo dell’esportazione dei prodotti legnosi finiti, la filiera foresta-legno italiana ha grande potenzialità di crescita anche per
produttori di materia prima forestale. Oltre alla mancata opportunità di crescita, l’importazione del legno dall’estero ha elevati costi ambientali,
perché il trasporto di grandi quantità di materia su lunghe distanze produce molte emissioni.
Per ridurre gli impatti ambientali, è necessario creare una filiera alterna-
tiva, di produzione, trasformazione e vendita del legno eco-sostenibile e
certificata. Purtroppo, i privati si sottraggono a questo tipo di attività per i margini corrisposti troppo bassi, i tempi dilatati degli investimenti e per le gravose risorse economiche da mettere a disposizione.
Eppure negli ultimi anni stanno emergendo esperienze virtuose di im-
pianti per aiutare i produttori e le imprese a sfruttare al meglio il patrimonio boschivo, come dimostra il progetto delle piattaforme logistico commerciali. Questi modelli devono essere più diffusi per garantire il rafforzamento delle piattaforme.
È necessario che lo Stato stimoli il rafforzamento della filiera del legno, che oltre ad un potenziale economico ed ambientale comporterebbe
anche un importante ruolo sociale, in particolare nelle aree interne, rurali
e montane. Infatti, dinamizzare le imprese del legno aumenterà i livelli di occupazione nelle aree limitrofe alle foreste che oggi, in alcuni casi, soffrono di spopolamento126.
124 Dal rapporto “Per il piano italiano di utilizzo dei fondi di Next Generation EU” di AIEL 125 Dal rapporto “Per il piano italiano di utilizzo dei fondi di Next Generation EU” di AIEL 126 Fonte: AIEL
96
IL RUOLO FONDAMENTALE DELLE “PIATTAFORME LOGISTICO-COMMERCIALI” PER RAFFORZARE LE IMPRESE FORESTALI Le “piattaforme logistico-commerciali” sono le infra-
cesso, scambi di esperienza e know-how.
strutture dedicate al legname prelevate dai boschi
In Italia si contano oggi 50 piattaforme che possono
che vengono stagionate, essiccate e processate
essere associate ad imprese forestali individuali o in
prima di essere direzionate verso l’industria del legno
forma associata (consorzi, cooperative). Ad oggi, l’e-
o gli impianti energetici. Queste piattaforme hanno il
sperienza delle piattaforme è stata un successo: c’è
grande vantaggio di ottimizzare la logistica dei proces-
una più sostenibile mobilizzazione del legno locale, un
si a valle dell’utilizzazione boschiva. Le prime piattafor-
aumento dei prelievi forestali e una maggiore valoriz-
me di questo tipo sono state create 10 anni fa grazie
zazione a cascata della filiera. Questi sono passi fonda-
al programma europeo “Intelligent Energy Europe”
mentali per garantire nel tempo forniture di legname
(IEE). Il progetto è stato sviluppato da AIEL, implemen-
di qualità, necessari per l’industria del legno
tando con altri Paesi, in cui il modello era già un suc-
e per gli impianti tecnologici locali.1
1
Dal rapporto “Per il piano italiano di utilizzo dei fondi di Next Generation EU” di AIEL
LE NOSTRE PROPOSTE Proposta 4.2.2.1
Promuovere i mestieri del legno. Nelle regioni più ricche di patrimonio
forestale, proponiamo di creare dei percorsi dedicati alla formazione in mestieri del legno (operatori boschivi ma anche ricercatori per lo sviluppo e la valorizzazione del patrimonio forestale) negli istituti tecnici e
negli ITS. Per aprire circa 20 percorsi ITS il costo standard è di 330 mila euro, quindi occorre stimare un investimento di circa 6,6 mln di euro.
Proposta 4.2.2.2
Potenziare la rete di piattaforme logistico-commerciali e piazzali di prima raccolta su scala regionale per promuovere la creazione di nuove imprese forestali127. Il successo delle piattaforme logisti-
co-commerciali già esistenti è un argomento a favore dell’aumento
di progetti di questo tipo. Questa proposta è stata elaborata da AIEL che stima un investimento di 25 mln per la realizzazione di 50 piatta-
forme logistico-commerciali, realizzate da imprese forestali in forma singola (considerando un costo medio di 500 mila euro a piattafor-
ma evoluta). Oltre alla creazione di più piattaforme logistico-commerciali, sarà fondamentale creare più piazzali di prima raccolta,
perché è da lì che arriva il legno. Ovviamente, i punti di raccolta e le piattaforme dovranno essere interconnesse in modo efficiente. L’obiettivo della proposta è facilitare i processi di prelievo di legname
per i proprietari di foreste e aumentare l’offerta di materia prima italiana per i produttori dell’industria del legno.
127 Dal rapporto “Per il piano italiano di utilizzo dei fondi di Next Generation EU” di AIEL
97
4.2.3 Assicurare la sostenibilità delle aree protette
LA SITUAZIONE OGGI In Italia esistono 871 Aree Protette suddivise in Parchi Nazionali, Parchi Regionali, Aree Marine Protette, Riserve naturali dello Stato e Regionali, siti della Rete Natura 2000 (SIC e ZPS) e aree per lo più gestite da altri enti o associazioni. Il territorio è protetto per circa il 12% e la legge di rife-
rimento nel nostro Paese è la Legge Quadro n.394 del 199. A causa però
dei fenomeni contemporanei di inquinamento, l’introduzione di specie invasive, la deforestazione e, non ultimo, i cambiamenti climatici, sono
emersi disagi che hanno alterato la stratosfera e distrutto enormi porzioni di foreste riducendo la fotosintesi che assicurava l’ossigenazione del pianeta, facendo scomparire alcuni ambienti naturali e diminuendo la biodiversità.
Diventerà dirimente che tutti gli enti che gestiscono Aree protette in
Italia assicurino al territorio uno sviluppo sostenibile, riuscendo a rendere compatibili le azioni di sviluppo economico (commercio, attività produttive e turismo) con la tutela del paesaggio, l’uso sostenibile delle
risorse naturali e la conservazione della biodiversità, e garantendo la salute degli ecosistemi.
LE NOSTRE PROPOSTE Proposta 4.2.3.1
Destinare fondi regionali alla tutela delle Aree Protette. Proponiamo di introdurre l’obbligo per le Regioni di vincolare già nel bilancio preventivo
fondi per destinarli alla tutela della biodiversità. I fondi coinvolti saranno calcolati in base alla percentuale di territorio protetto già in essere o in
base ai fondi destinati dall’UE. Questa proposta ha per obiettivo il miglioramento delle Aree Protette marine e terrestri e la promozione di progetti
ad esse correlati, nel rispetto della piena autonomia amministrativa di ciascuna area protetta.
Proposta 4.2.3.2
Riorganizzare la gestione delle Aree Protette. Pensiamo sia necessa-
rio attivare, a livello regionale, un organismo unico di gestione, collegiale
e plurale, volto sia a rendere omogenea e sinergica l’attività delle Aree Protette, sia ad implementare le attività istituzionali dei parchi, coordinandole con tutte le altre attività regionali di carattere territoriale, produttivo
e turistico. Si può rafforzare la gestione dei singoli parchi, rivalutando e
valorizzando, ove necessario, la figura tecnico-amministrativa del Direttore e riordinando le strutture organizzative e le dotazioni organiche, al fine di garantire al sistema dei parchi la necessaria organicità, efficacia ed efficienza gestionale.
Proposta 4.2.3.3
Più formazione per il personale delle Aree Protette. Per garantire la di98
fesa delle aree protette, il personale dovrà seguire corsi di formazione e aggiornamenti periodici relativi ai comportamenti proattivi da assumere dinanzi a fenomeni emergenziali derivanti dai cambiamenti climatici e dagli incendi, aggiornando i piani economici e i piani antincendio delle Aree Protette e garantendone la copertura economica.
Proposta 4.2.3.4
Strumenti digitali per le Aree Protette. Proponiamo di avviare la digita-
lizzazione della rete di parchi e riserve e delle principali attività di monitoraggio del territorio ad esse legate, con specifici strumenti di acquisizione di dati geografici e naturalistici, al fine di modernizzarne la gestione, aumentarne l’efficienza, prevenire calamità e permettere di gestire tutte le informazioni in modo rapido e sicuro (programmi GIS, software di analisi dei dati cartografici, grafiche per planimetrie, ecc... ).
Proposta 4.2.3.5
Campagne per valorizzare le Aree Protette. Proponiamo di attivare una campagna in ogni Regione finalizzata alla conoscenza e alla promo-
zione delle Aree Protette che, oltre ad essere patrimonio naturale, sono luoghi di fruizione ed accessibilità e costituiscono un bene comune, fa-
vorendo l’economia e il turismo che dal cosiddetto “capitale naturale”
trae profitto. A realizzare le campagne di valorizzazione sarà il Ministero dell’Ambiente in collaborazione con i singoli parchi.
4.3 Verde urbano LA SITUAZIONE OGGI Secondo le analisi disponibili sulla qualità dell’aria, è nelle città che si superano i limiti fissati dalle norme in materia di inquinamento.
Piantare alberi è uno dei modi più efficaci per purificare l’aria e quindi
eliminare i rischi di salute legati all’inquinamento. È stato stimato che
l’anidride carbonica rilasciata da 100 veicoli a benzina Euro 6 può essere sequestrata da un parco urbano di piccole dimensioni (poche decine
di ettari)128. Secondo le stime, con un aumento del 10% degli spazi verdi, l’insorgere di problemi di salute può essere ritardato di 5 anni129 e con un programma di piantagione mondiale si potrebbero rimuovere due terzi delle emissioni che sono state immesse nell’atmosfera da attività uma-
ne. Rispetto ad altri strumenti di abbattimento, piantare alberi è una del-
le soluzioni più economiche (il costo del sequestro di carbonio con azioni di rimboschimento è stimato a meno di 100 euro a tonnellata di Co2)130.
Nonostante i numerosi vantaggi degli spazi verdi nelle città, in Italia le foreste urbane sono poche e mal gestite. Secondo i dati disponibili, soltan-
to 1 città su 10 ha un Piano del verde e solo il 62% dei capoluoghi italiani 128 Rapporto Fondazione Symbola
129 Dal rapporto “Guidelines on Urban and Periurban Forestry” FAO (2016) 130 Dal rapporto Foreste 2019 di Legambiente
99
fornisce un bilancio del numero di alberi nelle aree pubbliche.
COSA SONO LE FORESTE URBANE? Secondo la FAO, le foreste urbane sono reti
con superficie inferiore ai 0,5 ettari che sono,
o sistemi che includono tutti i boschi e alberi,
almeno in parte, attrezzate con materiale
che siano in gruppi o singoli, localizzati in aree urbane
per lo svago e la ricreazione dei cittadini.
o peri-urbane e sono divise in 5 categorie:
Sono inclusi in questa categoria anche
• boschi e foreste peri-urbane: spazi verdi intorno alle città che possono procurare beni (legna, fibre, frutta) e servizi (turismo, spazi ricreativi); • parchi e foreste urbane: spazi con superficie di oltre 0,5 ettari che sono, almeno in parte, attrezzate con materiale per lo svago e la ricreazione dei cittadini; • piccoli parchi e giardini con alberi: spazi
i giardini privati e gli spazi verdi; • alberature stradali o in piazza: popolazioni lineari o piccoli gruppi di alberi, alberature individuali in piazze e aree di parcheggio; • altri spazi verdi con alberi: spazi di agricoltura urbana, campi sportivi, spazi vacanti, prati, bordo fiumi e riviere, campi aperti, cimiteri e giardini botanici.
LA NOSTRA PROPOSTA Proposta 4.3.1
Premiare i Comuni che piantano nuovi alberi. Ogni anno i Comuni che presentano un bilancio arboreo in aumento riceveranno finanziamenti
statali vincolati ad essere usati per la voce di bilancio “Aree protette, parchi naturali, protezione naturalistica e forestazione”. L’importo del finanziamento dipenderà dal numero di alberi per abitante che si intende
raggiungere. Questo target sarà fissato annualmente a livello nazionale.
PROGETTI DI QUARTIERE PER IL VERDE URBANO AD UTRECHT Nel 2010 è nato, nei Paesi Bassi, il Neighbourhood
mila euro per l’implementazione dei migliori progetti.
Green Planning, un programma a livello municipale
Ogni piano di quartiere è stato sviluppato in maniera
per facilitare il coinvolgimento dei cittadini nello svilup-
diversa in modo da avere processi, modalità e conte-
po delle infrastrutture verdi della città di Utrecht.
nuti più adatti alle esigenze ambientali, sociali
Al momento della progettazione, viene richiesto
e locali. Per rafforzare il coinvolgimento dei cittadini,
ai cittadini di condividere le proprie idee per migliorare
la città di Utrecht li continua a sollecitare
la quantità e la qualità degli spazi verdi urbani.
nel mantenimento e nella gestione degli spazi verdi,
Le amministrazioni di quartiere fanno poi uno studio
con l’obiettivo di promuovere l’autogestione1.
e una selezione delle idee più rilevanti. Ad ognuno dei 10 quartieri della città sono stati allocati 500 1
100
Dal rapporto “Guidelines on urban and peri-urban forestry” (2016) FAO
101
Economia circolare 5.1 Un modello di economia circolare LA SITUAZIONE OGGI L’economia circolare è un modello di produzione e consumo che mette al centro la condivisione, il prestito, il riutilizzo, la riparazione e il riciclo dei materiali e dei prodotti esistenti il più a lungo possibile. L’obiettivo
principale è estendere il ciclo di vita dei prodotti e reintrodurre nel ciclo economico, laddove possibile, i materiali di cui il prodotto è composto.
L’Economia circolare Fonte figura: CONSIP
102
I principi dell’economia circolare mettono in primo piano le considerazioni ambientali e si pongono in aperto contrasto con il tradizionale
modello economico lineare, fondato sul tipico schema consumistico
“estrarre, produrre, utilizzare e gettare”. Si stima che, adottando un modello completamente circolare, le emissioni di CO2 si ridurrebbero del
48% nel 2030 mentre il consumo di materie prime in molti e rilevanti settori economici del 32%131.
L’Italia è sicuramente tra i Paesi europei più virtuosi in materia di eco-
nomia circolare. Lo dimostrano gli ottimi risultati italiani per quanto riguarda la quota di riciclo complessiva (68% contro una media UE del 57%) e il tasso di uso circolare di materia (19,3% contro una media UE dell’11,9%). Il nostro indice di performance sull’economia circolare, calcolato ogni anno dal Circular Economy Network, è migliore rispetto a Francia, Germania, Spagna e Polonia132.
131 Stima di Ellen MacArthur Foundation
132 Per calcolare l’indice sono esaminati i risultati dei paesi nell’ambito della produzione, del consumo, della gestione circolare dei rifiuti, degli investimenti e dell’occupazione nel riciclo, nella riparazione e nel riutilizzo (“Terzo Rapporto sull’Economia Circolare in Italia” Circular Economy Network (2021))
103
Indice di performance sull’economia circolare 2021: classifica dei cinque principali Paesi europei e confronto con l’indice di performance 2020 Fonte: Circular Economy Network
2021
VARIAZIONE RISPETTO AL 2020
1° Italia
79
nessuna variazione
2° Francia
68
nessuna variazione
3° Germania
65
nessuna variazione
4° Spagna
65
nessuna variazione
5° Polonia
54
nessuna variazione
Per mantenere la posizione di leadership e migliorare i risultati già positi-
vi dell’Italia nella transizione verso un modello complessivo di economia
circolare è necessario coinvolgere maggiormente i cittadini e le imprese, sia con azioni di trasparenza sia incentivando i produttori ad adottare modelli di produzione più sostenibili.
5.1.1 Contesto legislativo Di seguito, riassumiamo le normative più importanti in materia di economia circolare.
DECRETI PER L’ATTUAZIONE DEL PACCHETTO ECONOMIA CIRCOLARE DELL’UE Nel settembre 2020 sono stati approvati i decreti le-
• Decreto legislativo in materia di veicoli fuori uso (n.119);
gislativi di recepimento delle direttive UE in materia
• Decreto legislativo in materia di discariche (n. 121).
di rifiuti del Pacchetto Economia Circolare, adottato dall’Unione Europea a luglio 2018, con l’obiettivo di pre-
Non è presente tra queste normative il Programma
venire la produzione di rifiuti, incrementare il recupero
Nazionale per la gestione dei rifiuti, ancora in elabora-
di materie prime e seconde, portare il riciclo dei rifiuti
zione. Questo programma avrà un ruolo fondamentale,
urbani ad almeno il 65% entro il 2035 e ridurre, entro la
perché dovrà “fissare i macro-obiettivi, definire i criteri
stessa data, lo smaltimento in discarica a meno
e le linee strategiche a cui le Regioni e le Province auto-
del 10%. I decreti approvati sono:
nome si atterranno nell’elaborazione dei Piani regionali
• Decreto legislativo in materia di gestione
di gestione dei rifiuti” assicurando che tutte le strategie,
di rifiuti e di imballaggi (n.116); • Decreto legislativo in materia di pile e accumulatori e di apparecchiature elettriche ed elettroniche (n.118);
104
a ogni livello territoriale, siano conformi ai target fissati dalle direttive europee. Il Programma dovrà essere approvato entro il 26 marzo 2022.
END OF WASTE Con la direttiva dell’End of Waste, la Commissione
no non è coerente con la direttiva europea alla quale
Europea chiede agli Stati membri di adottare
dovrebbe rispondere. Infatti, secondo i testi europei, la
misure appropriate per garantire il riciclaggio
normativa End of Waste dovrebbe facilitare le attività
o il recupero dei rifiuti con delle misure
di riciclo con discipline semplificate, mentre la legge
che rispettino le seguenti condizioni:
italiana si basa su un complicato sistema di controllo
• la sostanza o l’oggetto devono essere
aggiuntivo a quelli ordinari. Questo macchinoso si-
destinati a essere utilizzati per scopi specifici;
stema di controllo di secondo livello, che ancora non
• esiste un mercato o una domanda per tale
esiste per lo smaltimento dei rifiuti, limita i vantaggi che
sostanza od oggetto;
i decreti End of Waste forniscono, in particolare la pos-
• la sostanza o l’oggetto soddisfano i requisiti tecnici
sibilità delle Regioni di rilasciare autorizzazioni caso per
per gli scopi specifici e rispettano la normativa
caso. Al contempo, i decreti ministeriali End of Waste
e gli standard esistenti applicabili ai prodotti;
emanati nel 2020 hanno permesso di implementare
• l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non porteranno
due provvedimenti molto attesi riguardanti il riutilizzo
a impatti complessivi negativi sull’ambiente
degli pneumatici fuori uso (DM 182/2020) e la carta
o sulla salute umana.
da macero (DM 33/2021). Sono in fase di preparazione
Il decreto legislativo attualmente adottato dal Gover-
numerosi altri decreti End Of Waste.
L’ECOLABEL UE Nel 1992 è stata creata una licenza di qualità
processo per ricevere la licenza:
ambientale e sostenibile a livello europeo:
per gli altri non ci sono incentivi. Infatti, in Italia
l’Ecolabel. Si può aderire a questo marchio
a fine 2020 sono 264 le licenze Ecolabel UE1, come
di qualità ecologica su base volontaria, perciò
mostra il grafico qui sotto.
solo i pochi che hanno tutti i requisiti intraprendono il 1
Fonte: ISPRA
Evoluzione numero prodotti e licenze Ecolabel UE Fonte: ISPRA
1.000
20.000
Numero di prodotti Numero di Licenze rilasciate
dic - 2020
2018
2019
2017
2015
2016
2013
2014
2011
2012
2010
2008
2009
2007
2005
0
2006
200
2003
4.000
2004
400
2001
8.000
2002
600
2000
12.000
1998
800
1999
16.000
0
105
L’ECONOMIA CIRCOLARE NEL PIANO “TRANSIZIONE 4.0” PER L’INNOVAZIONE E LA COMPETITIVITÀ DEL SISTEMA PRODUTTIVO Il PNRR assegna al Piano Transizione 4.0 risorse
Il nuovo Piano Transizione 4.0 introduce
per 18,8 miliardi di euro. Con tale Piano è stata
significativi potenziamenti sia in termini di aliquote
elaborata una nuova strategia di politica industriale
e massimali delle agevolazioni, sia in termini
del Paese, più attenta alla sostenibilità e agli investi-
di semplificazione e accelerazione delle procedure.
menti green rispetto al precedente Piano Industria 4.0.
Vengono rafforzati in particolare gli incentivi
Il progetto si basa su un credito d’imposta articolato
per agevolare la transizione digitale e verde,
per spese in beni strumentali (materiali e immateriali)
sostenendo i processi virtuosi generati
e per investimenti in ricerca e sviluppo, nonchè in pro-
da trasformazioni tecnologiche interconnesse
cessi di innovazione e di sviluppo orientati alla
nella progettazione, nella produzione e nella
sostenibilità ambietale e all’evoluzione digitale.
1
distribuzione di sistemi e prodotti manifatturieri.1
Fonte: Terzo rappoto sull’Economia Circolare in Italia (2021)
Oltre a queste normative, in Italia non esiste una strategia nazionale
sul tema dell’economia circolare. E’ auspicabile che il PNRR provveda a questa carenza. Nel frattempo alcune Città e Regioni come l’Emilia Ro-
magna, la Toscana, l’Abruzzo, hanno già implementato le proprie leggi per la transizione circolare.
LE NOSTRE PROPOSTE Proposta 5.1.1.1
Integrare le etichette dei prodotti in vendita con informazioni riguar-
do all’impatto ambientale e premiare i prodotti con migliori risultati. Proponiamo di istituire un metodo di etichettatura ambientale obbligatorio per tutti i prodotti venduti in confezione, seguendo il modello francese Eco-Score (vedi box) o i modelli già esistenti in Italia come
“Etichetta Ambientale” (vedi box). All’Etichetta Ambientale sarà associato un punteggio (vedi modello eco-score francese) che aumenta
con la sostenibilità del prodotto. Si può, in questo modo, sostituire l’Eco-
label UE che, seppur efficace nel premiare i prodotti sostenibili, non incentiva sufficientemente a fare meglio in termini di sostenibilità e non penalizza chi inquina di più.
L’acquisto di prodotti con il punteggio più alto sarà incentivato da una riduzione dell’IVA sui prodotti stessi.
106
ECO-SCORE, L’ETICHETTA AMBIENTALE FRANCESE La Francia ha introdotto un logo sui prodotti alimentari
Cycle Assessment (LCA), il sistema di produzione
per informare i consumatori dell’impatto ambientale.
(biologico, equo-solidale, etc), l’imballaggio, l’impatto
La segnaletica del logo è su una scala di 5 lettere e 5
legato ai trasporti, la riciclabilità degli imballaggi
colori: i prodotti con la A verde scuro sono quelli con
e il rispetto della biodiversità. La valutazione è fatta
minor impatto ambientale mentre i prodotti con la E
a punti, calcolati su 100 grammi di prodotto.
rossa sono quelli con il maggiore. I criteri presi in
L’eco-score è stato sviluppato con il supporto
considerazione per definire l’impatto ambientale
dell’Agenzia Francese per la Transizione Ecologica
sono il ciclo della vita del prodotto seguendo il Life
e di associazioni come WWF, Greenpeace, Zerowaste.
L’ETICHETTA AMBIENTALE ITALIANA L’iniziativa Etichetta Ambientale è nata per fornire
chetta è poi riportata una scala di valori
informazioni riguardo all’impatto del prodotto su aria,
che fa riferimento all’impatto medio giornaliero
acqua e suolo. Per valutarlo sono presi in considerazio-
di un cittadino europeo. Quindi, se l’etichetta
ne 18 indicatori che si basano su una Valutazione
ambientale segnala un impatto pari a 0,2
del Ciclo di Vita (Life Cycle Assessment LCA).
e se consideriamo che quello di un abitante europeo
Le valutazioni si concentrano sui metodi di estrazione
in una giornata tipo non dovrebbe eccedere 1,
delle materie prime, la loro lavorazione, distribuzione al
si comprende che consumando il prodotto etichettato
punto vendita e lo smaltimento del packaging. Sull’eti-
si raggiunge il 20% dell’impatto giornaliero.1
1
Fonte: dal sito dell’etichetta ambientale
Proposta 5.1.1.2
Transizione 4.0 ed economia circolare. Proponiamo di inserire esplici-
tamente nel piano Transizione 4.0 del PNRR italiano l’economia circolare, includendo incentivi per gli investimenti di sviluppo di processi di produ-
zione che usano materie prime, seconde e altri macchinari di riciclaggio.
GLI AIUTI AI PRODUTTORI DI PLASTICA FRANCESI PER L’USO DI PLASTICA RICICLATA Nella proposta di investimento per il riutilizzo delle ma-
di plastica che decidono di incorporare quella riciclata.
terie e il riciclaggio del piano francese France Relance,
Questo sostegno alla transizione delle aziende della fi-
è previsto un sostegno alle aziende che utilizzano pla-
liera della plastica ha un costo previsto di 4 mln di euro,
stica riciclata. Tra gli esempi di progetti da finanziare è
mentre tutto il piano di investimento per il riutilizzo delle
citato quello della modifica dei processi per i produttori
materia e il riciclaggio ammonta a 226 mln di euro.
107
Proposta 5.1.1.3
Velocizzare l’approvazione dei decreti End of Waste133. Pensiamo sia
necessario semplificare il più possibile l’iter di approvazione dei decreti End of Waste non ancora implementati. Proponiamo dunque che siano
fissati dei target temporali per ogni decreto End of Waste, in modo da accelerare tutte le procedure e garantire che tutte le tipologie di rifiuto diventino una materia prima utilizzabile.
5.2 Rifiuti come risorse Parte centrale della filosofia dell’economia circolare consiste nel considerare risorsa ciò che normalmente viene considerato un “rifiuto”,
che deve quindi essere riciclato come materiale o, laddove impossibile, utilizzato per produrre energia. Uno degli obiettivi chiave di questa visio-
ne è dunque la riduzione al minimo dei rifiuti in quanto tali, ricorrendo alla discarica solo se inevitabile.
In Italia produciamo meno rifiuti rispetto alla media europea. Nel nostro
Paese, i rifiuti prodotti sono in media circa 2700 kg/abitante rispetto ai quasi 5000 kg/abitante di Germania, Francia e media UE. In numeri as-
soluti, l’Italia ha prodotto nel 2018 circa 165 milioni di tonnellate di rifiuti, di cui circa 30 urbani e circa 135 di rifiuti speciali134.
RIFIUTI URBANI I rifiuti urbani sono:
ad uso pubblico, sulle spiagge marittime
• rifiuti domestici, anche ingombranti, provenienti da
e lacuali e sulle rive dei corsi d’acqua;
locali e luoghi adibiti ad uso di civile abitazione; • rifiuti speciali non pericolosi assimilati ai rifiuti urbani; • rifiuti provenienti dallo spazzamento delle strade; • rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree soggette
• rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali; • rifiuti provenienti da esumazioni ed estumulazioni, nonché gli altri rifiuti provenienti da attività cimiteriale.
RIFIUTI SPECIALI X I rifiuti speciali sono:
• rifiuti di lavorazioni industriali e artigianali;
• rifiuti di attività agricole e agro-industriali,
• rifiuti di attività commerciali, di servizio e sanitari;
ai sensi e per gli effetti dell’art. 2135 c.c.; • rifiuti derivanti dalle attività di demolizione, costruzione, scavo (eccetto art. 184-bis);
133 Proposta presentata da Legambiente 134 Fonte: ISPRA
108
• rifiuti derivanti dall’attività di recupero e smaltimento degli stessi, i fanghi da potabilizzazione e da depurazione delle acque reflue e da abbattimento di fumi.
Come mostra il grafico a seguire, i rifiuti urbani sono prodotti in quantità
omogenea tra i grandi Paesi UE ma l’Italia, come la Spagna, si distingue per una minor generazione di rifiuti speciali.
Rifiuti prodotti da attività economiche e rifiuti urbani in UE (in kg/abitante - anno 2016) Fonte: elaborazione Assoambiente su dati Eurostat
5.000
RU RS
4.000
3.000
2.000
1.000
0
UE 28
Germania
Francia
Regno Unito
Spagna
Italia
La minore quantità di rifiuti speciali è dovuta ad un efficiente sistema
di gestione dei rifiuti: la maggior parte dei rifiuti speciali e’ avviata verso
processi di recupero di materia (65%), l’11% a messa in riserva e deposito preliminare135, il 9% in discarica, il 13% ad altre operazioni di smaltimento.
Una quota molto ridotta (pari a circa il 2%) è destinata a termovalorizzazione o recupero energetico. A discarica sono conferiti per la maggior parte rifiuti pericolosi, che non possono essere smaltiti altrimenti136.
La gestione dei rifiuti urbani segue processi differenti a seconda del
tipo di raccolta, differenziata o indifferenziata. La prima, in costante
aumento, ha raggiunto quota 61,3% nel 2019. E’ un’ottima performance anche se non ha segnato il raggiungimento del target del 65%, fissato per il 2012 dalla Legge 296/2006. Essendo la gestione dei rifiuti urbani
una competenza comunale137, si registrano forti differenze territoriali,
con 8 Regioni ancora sotto al 55% di raccolta differenziata nel 2019, di cui 6 nel Mezzogiorno.
135 Tipologia di stoccaggio di rifiuti espressamente finalizzata al recupero, ravvisata qualora il materiale sia in attesa di una operazione di recupero. Operazione preliminare e strumentale ad una diversa e successiva attività, quella propriamente di recupero 136 Fonte: Ispra
137 Eccezione nei casi in cui c’è un gestore unico del servizio rifiuti
109
Valori pro capite relativi a produzione e gestione di rifiuti urbani (RU)nell’UE, anno 2018 Fonte:elaborazione ISPRA su dati Eurostat
PAESE / RAGRUPPAMENTO
RU PRODOTTO (kg/abitante per anno)
RU TRATTATO
RU TRATTATO (%)
(kg/abitante per anno)
RICICLAGGIO
RECUPERO ENERGIA
COMPOSTAGGIO E DIGESTIONE ANAEROBICA
INCENERIMENTO
DISCARICA
UE 28
489
481
31%
28%
17%
1%
23%
UE 27
492
484
31%
27%
17%
1%
24%
Albania
462
462
18%
3%
n.a.
2%
76%
Austria
579
570
26%
39%
33%
0%
2%
Belgio
411
411
35%
42%
20%
1%
1%
Bosnia Erzegovina
356
274
n.a.
n.a.
n.a.
0%
99%
Bulgaria
407
407
30%
7%
2%
0%
61%
Croazia
432
396
25%
0%
3%
0%
72%
Danimarca
814
814
32%
49%
18%
0%
1%
Estonia
405
382
26%
44%
4%
0%
23%
Finlandia
551
551
29%
57%
13%
0%
1%
Francia
527
527
25%
35%
19%
0%
21%
Germania
615
615
50%
31%
18%
1%
1%
Italia
499
455
32%
20%
23%
1%
24%
Kosovo
226
n.a.
n.a.
n.a.
n.a.
n.a.
n.a.
Lettonia
407
351
22%
n.a.
n.a.
0%
68%
Lituania
464
417
27%
14%
32%
0%
27%
Lussemburgo
610
610
28%
44%
22%
0%
6%
Macedonia del Nord
301
n.a.
n.a.
n.a.
n.a.
n.a.
n.a.
Malta
640
592
7%
0%
0%
0%
93%
Montenegro
530
505
5%
0%
0%
0%
92%
Norvegia
739
739
31%
51%
10%
0%
3%
511
511
27%
42%
29%
1%
1%
Polonia
329
329
26%
23%
8%
2%
42%
Portogallo
508
485
13%
19%
17%
0%
51%
Regno Unito
463
465
27%
38%
17%
3%
15%
Repubblica Ceca
351
351
27%
16%
7%
0%
49%
Romania
272
264
8%
5%
4%
0%
76%
Serbia
319
280
0%
0%
0%
0%
100%
Slovacchia
414
414
27%
7%
10%
1%
55%
Slovenia
486
383
54%
12%
21%
1%
12%
Spagna
475
475
18%
13%
18%
0%
51%
Svezia
434
434
30%
53%
16%
0%
1%
Svizzera
703
703
31%
48%
22%
0%
0%
Turchia
424
396
12%
0%
0%
0%
88%
Ungheria
381
383
29%
13%
8%
0%
49%
Paesi Bassi
Note: “0” valore inferiore a 0,5%; (q) i dati riportati sono arrotondati all’unità, per cui la somma delle percentuali delle quattro forme di gestione non sempre eguaglia 100. I paesi aderenti all’UE 28 sono evidenziati in grassetto RU = Rifiuti urbani
110
Il Piano di azione Europeo sull’Economia Circolare fissa dei target di riciclaggio dei rifiuti urbani - del 55% nel 2025, 60% nel 2030 e 65% nel 2035 - e un limite allo smaltimento dei rifiuti urbani in discarica pari al 10% del
totale. Di conseguenza, i rifiuti sottoposti ad altre forme di smaltimento,
tra cui la termovalorizzazione, dovrebbero essere circa il 25%. Al giorno d’oggi il 32% dei rifiuti urbani è riciclato, il 20% usato per il recupero di
energia, il 23% è trattato con compostaggio e digestione anaerobica, il 24% è diretto in discarica e solo l’1% viene incenerito138. Per raggiungere i
target europei sono dunque necessari più impianti per il riciclo di rifiuti che, invece di aumentare nel corso degli anni, sono diminuiti139.
Aumentare il numero di impianti serve anche a invertire la rotta di un fenomeno che si sta accentuando negli ultimi anni: l’export di rifiuti. Nel
2018, l’Italia ha esportato quasi 465 mila tonnellate di rifiuti urbani, contro le 355 mila tonnellate del 2017, e 3,5 mln di tonnellate di rifiuti speciali, contro i 3,1 mln del 2017140.
LE NOSTRE PROPOSTE Proposta 5.2.1
Piano di investimenti straordinario per l’impiantistica141. In Italia, il si-
stema impiantistico per la gestione dei rifiuti è rimasto indietro e deve essere rafforzato.
Proponiamo di implementare il Piano di Investimenti elaborato da Assoambiente, secondo cui si potrebbero creare 70 nuovi impianti in 5 anni con un investimento pari a 10 mld di euro. La tabella sottostante riassu-
me le tipologie di impianti, le tonnellate di rifiuti che potrebbero essere trattate e gli investimenti necessari.
Piano di Investimenti per nuovi impianti di Assoambiente Fonte: stime FISE Assoambiente
TIPOLOGIA
N°
MC
TON.
DIM. MEDIA
INVEST. TON. (€)
TOT. INVEST. (€)
Termovalorrizatori per gli speciali
7
-
1.200.000
171.429
1.000
1.200.000.000
Aumento della produzione
1
-
200.000
200.000
1.000
200.000.000
Riduzione dell’export
3
-
500.000
166.667
1.000
500.000.000
Termovalorizzatori per gli urbani
10
-
2.500.000
250.000
1.000
2.500.000.000
Recupero dei fanghi
10
-
1.000.000
100.000
500
500.000.000
Ampliamento discariche rifiuti NP
39
100.000.000
3.880.000
99.487
500
1.940.000.000
Discariche rifiuti P
-
10.000.000
80.000.000
-
15
1.200.000.000
Ampliamento discariche urbani
-
100.000.000
8.000.000
-
20
160.000.000
Altro (chimico-fisici, biologici, stoccaggi)
-
-
80.000.000
-
10
800.000.000
Totale
10.000.000.000
138 Rapporto” Rifiuti Urbani 2020” di Ispra
139 Rapporto “Per una strategia nazionale dei rifiuti” di FISE Assoambiente 140 Dati Assoambiente
141 Proposta di Assoambiente
111
Proposta 5.2.2
Incoraggiare l’applicazione della tariffazione puntuale per la TARI142.
Sono sempre più numerosi i Comuni italiani che hanno implementato un sistema di tariffa puntuale per i rifiuti. Questo tipo di tariffa si basa sul prin-
cipio del pay as you throw, secondo il quale chi produce più rifiuti paga di più, mentre ad oggi la TARI tradizionale viene definita in base ai metri quadrati dell’immobile da cui provengono i rifiuti143. Con la tariffa puntuale
è quindi possibile coinvolgere e premiare cittadini, commercianti e imprese che differenziano correttamente e riducono la produzione di rifiuti. In alcuni Comuni, specialmente i più popolosi, applicare il sistema di tariffa puntuale può richiedere tempi di implementazione particolarmente lunghi. Sarà quindi richiesto a tutti i Comuni di fare un’analisi della fatti-
bilità di questo sistema per le utenze domestiche e non. Il principio del pay as you throw porta con sé un’ulteriore esternalità positiva: al fine di ridurre la propria produzione di rifiuti, i cittadini preferiranno prodotti con
minori imballaggi, incentivando i produttori a ridurre i materiali usati per il confezionamento. Per incoraggiare l’applicazione della tariffazione pun-
tuale, tutti i Comuni devono ricevere gli strumenti informativi riguardo a questo metodo di pagamento. Inoltre, sarà realizzata una mappatura dei Comuni che hanno applicato il metodo tariffario puntuale , per creare un database di esempi di successo.
IL SUCCESSO DEL SISTEMA DI TARIFFA PUNTUALE È DIMOSTRATO DA NUMEROSI ESEMPI VIRTUOSI ITALIANI ED INTERNAZIONALI Paragone della tariffa puntuale con altri sistemi:
che eccedono il numero di svuotamenti
Famiglia tipo paga 200 euro annui di bolletta rifiuti:
dei contenitori del rifiuto residuo.
ALTRI SISTEMI DI TARIFFA RIFIUTI
• 60 euro di quota fissa sulla base dei metri quadrati dell’abitazione; • 140 di quota variabile sulla base del numero dei componenti del nucleo familiare.
preassegnati, rilevati attraverso gli svuotamenti
Se invece la stessa famiglia effettuasse un numero doppio di conferimenti in eccedenza, rispetto a quelli preassegnati, il costo annuo della bolletta rifiuti potrebbe aumentare a 210 euro:
SISTEMA DI TARIFFA PUNTUALE
• 60 euro di quota fissa sulla base dei metri quadrati
185 euro di bolletta rifiuti:
• 100 euro di conferimenti preassegnati;
La stessa famiglia potrebbe spendere • 60 euro di quota fissa sulla base dei metri quadrati dell’abitazione; • 100 euro di conferimenti preassegnati; • 25 euro di quota puntuale per i conferimenti annui
dell’abitazione; • 50 euro di quota puntuale per i conferimenti annui che eccedono il numero di svuotamenti preassegnati, rilevati attraverso gli svuotamenti dei contenitori del rifiuto residuo.
A TRENTO OLTRE L’80% DI RACCOLTA DIFFERENZIATA Nel 2015, a 3 anni dall’introduzione della tariffa
di Trento supera l’80% e la produzione
puntuale, la raccolta differenziata nel Comune
dei rifiuti è diminuita del 10%.
142 Proposta anche presente tra le proposte di Legambiente
143 Dallo studio “La tariffa puntuale. Sperimentazione nei comuni di Canegrate, Magnago e San Giorgio su Legnano” di Aemme Linea Ambiente
112
IL SUCCESSO DELLA TARIFFA PUNTUALE A PARMA GIÀ DOPO I PRIMI MESI Dopo 6 mesi dall’inizio dell’applicazione della tariffa
e oltre 92 mila famiglie hanno avuto dei risparmi
puntuale, il Comune di Parma ha raggiunto il 72%
sulla bolletta dei rifiuti. Infatti, quasi tutte le utenze
di raccolta differenziata. Nello stesso periodo,
domestiche (il 98%) hanno registrato un numero
la produzione dei rifiuti è stata limitata del 6% circa
di svuotamenti inferiore a quello previsto.
LA TARIFFA PUNTUALE A SAN FRANCISCO San Francisco, città spesso citata come esempio per
coli, la tariffa per il comodato d’uso diminuisce. Ogni
la strategia “Rifiuti Zero”, ha adottato il sistema “pay as
mese, il singolo condominio pagherà in funzione dei
you throw”. La città fa pagare una tariffa di base men-
volumi prescelti. Tutti i pagamenti vengono effettuati
sile, a cui si aggiunge una tariffa per il comodato d’uso
tramite il gestore Recology1.
di tre carrellati (rifiuti residui non riciclabili, organico e rifiuti secchi riciclabili). Se si scelgono carrellati più pic-
1
Fonte: Associazione dei Comuni Virtuosi
Proposta 5.2.3
Sistema di premialità per incentivare i Comuni a ridurre la quota di ri-
fiuti non inviati a riciclaggio. Sul modello dell’Emilia Romagna (vedi box), ci prefiggiamo di istituire un fondo per premiare i Comuni che registrano le migliori performances in materia di riduzione e trattamento dei rifiuti, scoraggiando così l’utilizzo di discariche.
IL FONDO PER PREMIARE I COMUNI IN EMILIA ROMAGNA La Regione ha costituito un Fondo d’ambito di incentivazio-
non destinati a riciclaggio;
ne alla prevenzione e riduzione dei rifiuti finanziato dai costi
• Comuni che implementano sistemi di tariffazione puntuale;
comuni del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani (tra
• Comuni che realizzano
il 5% e il 15% del costo medio di smaltimento per i quanti-
dei centri comunali per il riu-
so e per progetti di riduzione della produzione di rifiuti.
tativi di rifiuti non inviati a riciclaggio nell’anno precedente), dall’apporto derivante dalla quota parte del tributo spe-
A definire i criteri per l’attivazione e la ripartizione del Fon-
ciale e dagli eventuali contributi pubblici specificatamen-
do è una Commissione assembleare composta da 5
te finalizzati. I finanziamenti del Fondo dell’Emilia-Romagna
membri, di cui:
premiano i Comuni in base alle seguenti considerazioni:
• 2 indicati dalle associazioni ambientaliste di rilievo
• Comuni che hanno prodotto quantitativi di rifiuti procapi-
regionale riconosciute dal Ministero dell’Ambiente
te per abitante equivalente non inviati a riciclaggio inferiore al 70% della media regionale registrata (l’incentivo è calcolato in maniera progressiva ed automatica rispetto ai quantitativi non inviati a riciclaggio); • Comuni che applicano una raccolta porta a porta che
1
e della Tutela del Territorio e del Mare; • 1 dalle associazioni regionali di rappresentanza imprenditoriale; • 1 dalle associazioni di tutela di consumo; • 1 dalle organizzazioni sindacali.
comprenda almeno il rifiuto urbano indifferenziato e il ri-
Inoltre, alla Commissione possono partecipare le associa-
fiuto organico o sistemi equipollenti che portino allo stes-
zioni di categoria che rappresentano gli utenti del servizio di
so risultato qualitativo e quantitativo di riduzione di rifiuti
gestione dei rifiuti. La Commissione è rinnovata ogni tre anni1.
Legge 16/2015 dell’Emilia Romagna
113
Adattamento climatico e dissesto idrogeologico LA SITUAZIONE OGGI Nei Capitoli precedenti ci siamo concentrati sulle politiche di mitigazione ambientale, quelle che agiscono sulle cause del cambiamento climatico con l’obiettivo di ridurre la quantità di emissioni e il loro accumulo
nell’atmosfera. Altrettanto importanti sono le politiche di adattamento climatico, che hanno l’obiettivo di prevenire e minimizzare gli effetti e i danni provocati dagli eventi climatici dannosi.
L’Italia dovrebbe prestare una particolare attenzione alle strategie di
adattamento, perché la nostra posizione geografica ci espone più di altri ai sinistri naturali causati dai cambiamenti climatici. Dal 2002 al 2019, i danni causati da calamità naturali in Italia certificati dall’Unione Europea ammontano a 59 miliardi, il 44% del totale europeo. Le ca-
lamità naturali a cui l’Italia è maggiormente esposta, insieme agli eventi sismici, sono quelle dovute al dissesto idrogeologico, cioè l’erosione del suolo determinata da una predisposizione naturale ed elementi antro-
pici, che comporta eventi avversi estremi come frane, alluvioni, allagamenti e simili144.
144 Fonte: ANCE
114
Danni certificati dall’Unione europea per grandi calamità naturali dal 2002 a novembre 2019 (valori in miliardi di euro) Fonte: Associazione Nazionale Costruttori Edili
60 50 40 30 20 10
Malta
Estonia
Cipro
Lituania
Irlanda
Lettonia
Slovacchia
Croazia
Serbia
Bulgaria
Ungheria
Slovenia
Spagna
Svezia
Grecia
Polonia
Rep. Ceca
Portogallo
Romania
Austria
Regno Unito
Francia
Germania
Italia
0
Come si evince dal grafico qui sopra siamo uno dei paesi a maggior rischio di dissesto idrogeologico in Europa. L’ultimo rapporto dell’Isti-
tuto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale (ISPRA), segnala
che Il 91% dei Comuni italiani è a rischio frane e alluvioni e classifica come “a maggiore pericolosità” Il 16,6% del territorio nazionale145. Fa-
cendo un confronto, delle circa 900.000 frane censite nelle banche dati dei Paesi europei, quasi i due terzi sono in Italia, mentre la ricerca ci
dice che siamo il Paese più a rischio in Europa per tasso di erosione del suolo causato dalle precipitazioni, dopo Slovenia e Malta146. 145 Fonte: Rapporto Dissesto Idrogeologico 2018 di ISPRA 146 Fonte: Rapporto Dissesto Idrogeologico 2018 di ISPRA
115
Erosività delle precipitazioni in Europa Fonte: European Soil Data Centre (ESDAC) - Commissione Europea
L’alta esposizione del nostro Paese ci porta a spendere molto per
contrastare il dissesto idrogeologico. Si stima che dal 1944 al 2018 l’Italia abbia speso 75,9 miliardi per far fronte ai danni provocati da even-
ti estremi147, mentre siamo tra i primi paesi al Mondo per risarcimenti
e riparazioni di danni causati dal dissesto idrogeologico, pagando in media circa 3,5 miliardi l’anno dal 1945148.
Spendiamo molto, ma spendiamo male, per due motivi: Il primo è che
paghiamo più per riparare i danni che per prevenirli, laddove una maggiore spesa in prevenzione garantirebbe una minore spesa complessiva.
La Commissione Europea ha stimato che ogni euro speso in prevenzione
si traduce in quattro euro risparmiati in riparazione149. Eppure, tra il 1999 e
il 2019 sono stati stanziati poco meno di 6,6 miliardi per prevenire il rischio 147 Fonte: Legambiente su dati Minambiente 148 Fonte: Legambiente cita dati ItaliaSicura 149 Fonte:Ance
116
idrogeologico, 330 milioni l’anno di media150, e i dati della Protezione Civile ci dicono che dal 2013 al 2020 i fondi assegnati per gli stati di emergenza
arrivano a 13,2 miliardi151, con una media di 1,9 miliardi l’anno, per un rap-
porto di 1 a 6 tra spese di prevenzione e quelle per riparare i danni.
Il secondo motivo è che la spesa in prevenzione, oltre a essere minore di quella in riparazione, è gestita male. Dei 6,6 miliardi disponibili per la prevenzione dal 1999 ad oggi, solo il 42,5% è stato speso, completando il 62,6% dei
lavori152 e, nonostante in tutte le Regioni si siano concluse numerose opere
di prevenzione153, le aree a rischio aumentano ogni anno e solo tra il 2019 e il 2020 gli stati di emergenza per eventi meteo-idro sono passati da 92 a 103.
LO SPRECO DELLE RISORSE PER CONTRASTARE IL DISSESTO IDROGEOLOGICO L’utilizzo delle risorse destinate al contrasto del dis-
sesto idrogeologico è paradigmatico della difficoltà che l’Italia ha nella gestione dei fondi. Gli esempi di
la loro immediata “cantierabilità”;
• le risorse affidate alle gestioni commissariali,
dopo 10 anni sono stati spesi solo 1,5 miliardi dei 5,9
risorse stanziate ma non spese in questo senso sono
programmati per il dissesto idrogeologico, il 26%,
numerosi, ne riportiamo tre:
e più della metà dei fondi deve ancora essere trasfe-
• il c.d. “Piano stralcio per le aree metropolitane”,
approvato nel 2015 con una dotazione di 1,3 miliardi di euro. Destinato a interventi di mitigazione del rischio idrogeologico, dopo 4 anni il 64% dei lavori era ancora in fase di progettazione, a causa dei “lunghi tempi di
rito ai commissari straordinari, anche in questo caso a causa di procedure di approvazione farraginose, carenze di progettazione e lentezze attuative;
• i fondi europei per il periodo 2014-2020,
la voce di spesa per l’adattamento climatico
conclusione della conferenza dei servizi e dell’acquisi-
presenta un avanzamento della spesa pari al 28%,
zione dei pareri di VIA e VAS” (Ddl «Cantiere Ambiente»
a fronte di 1,6 miliardi di euro disponibili abbiamo
(Atto n.1422/S). I progetti erano stati scelti proprio per
speso solo 443 milioni dopo 7 anni.
Infine, oltre ad essere l’unico grande Paese europeo a non avere una
legge sul clima154, l’Italia è anche l’unica in Europa a non avere un pia-
no nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici155. In Europa ben 23 paesi156 si sono dotati di un piano nazionale, mentre in Italia, a
livello locale, solo le Città di Bologna e Ancona hanno un piano di adattamento completo157, contro le 95 del Regno Unito, le 54 della Francia e le 31 della Germania.
150 Fonte: Legambiente su dati RENDIS
151 Tra gli importi segnalati dalle Regioni per lo stato di emergenza e la ricognizione dei fabbisogni determinata dal commissario delegato 152 13% degli interventi i dati non sono disponibili (corrispondenti a circa il 15% della spesa). Tra questi due estremi ci sono lavori in esecuzione (7,4% del totale previsto e corrispondenti al 17% dei costi), in corso di progettazione (5,1% corrispondente al 9% degli importi), aggiudicati (3,2% corrispondenti all’8,3% degli importi), o con progettazione ultimata (2,7% pari al 5% della spesa 153 456 i lavori terminati in Lombardia, 452 quelli in Toscana e 411 in Piemonte; 304 le opere chiuse in Emilia Romagna, 271 in Calabria e 268 in Sicilia 154 Trattiamo il tema di legge sul clima nel Capitolo 7
155 Dopo l’approvazione della “Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici” nel 2014 si attendeva il piano nazionale per attuarla, l’ultima versione è del 2018 ed è ancora in attesa di approvazione 156 European Enviroanment Agency - Overview of National Adaptation Strategies and Plans 157 Non si contano quindi quelli settoriali, come il Piano Aria e Clima di Milano
117
I PIANI NAZIONALI DI ADATTAMENTO IN FRANCIA E GERMANIA La Francia ha approvato la sua strategia di adatta-
dei rischi da parte delle persone e le attività
menti ai cambiamenti climatici nel 2006, e nel 2011
di valutazione del rischio e di gestione del rischio
un piano nazionale (attualmente si sta elaborando
da parte delle autorità locali. Simile alla Francia
quello nuovo) che prevede 240 misure concrete che riguardano 20 aree tematiche, con schemi
è l’approccio al piano d’azione della Germania, che
ha redatto la strategia nel 2008 e che ha posto le basi
e piani di adattamento regionali e locali. A livello
per un processo a medio termine per individuare pro-
regionale sono stati approvati tutti i 26 piani, mentre
gressivamente gli effetti del cambiamento climatico
a livello locale il numero di piani previsti è di circa
globale, valutare i rischi e sviluppare e attuare misure
400. L’adattamento è anche indirettamente
di adattamento, concretizzate con il piano del 2011 con
promosso attraverso un meccanismo che coinvolge
un impegno concreto per lo sviluppo e l’attuazione
gli assicuratori nel finanziamento di politiche di preven-
delle stesse misure. Nel caso tedesco sono i 16 Länder
zione del rischio. I contributi riscossi dagli assicuratori
ad avere definito le proprie strategie di adattamento,
privati contribuiscono al finanziamento di azioni
ognuna delle quali messa in rete su una piattaforma
preventive, come gli investimenti per la riduzione
per la condivisione e la collaborazione.
Stato attuale dell’implementazione dei piani nazionali di adattamento climatico nei Paesi europei Fonte: Legambiente rapporto Ciittàclima 2020
esiste sia una strategia nazionale di adattamento che un piano nazionale di adattamento esiste un piano nazionale di adattamento esiste una strategia nazionale di adattamento non esistono piani o strategie di adattamento climatico
118
Tabella riassuntiva dei Piani nelle Città europee per Paese CITTÀ CON PIANO DI ADATTAMENTO COMPLETO
TOTALE CITTÀ CONSIDERATE
% DI CITTÀ CON PIANO DI ADATTAMENTO COMPLETO SUL TOTALE
Regno Unito
95
163
58,3%
Francia
54
98
55,1%
Germania
31
125
24,8%
Spagna
11
109
10,1%
Finlandia
7
9
77,8%
Portogallo
6
25
24%
Italia
2
76
2,6%
PAESE
Un approccio più strategico permetterebbe anche di non ripetere
sempre gli stessi errori. Nonostante le aree maggiormente vulnerabili e
le azioni antropiche più rischiose siano note, un’indagine di Legambiente158 rivela che anche negli ultimi 10 anni il 9% delle amministrazioni ha
coperto corsi d’acqua nel proprio territorio costruendoci sopra, solo il 4% ha delocalizzato abitazioni costruite in aree a rischio, mentre il 9,3% dei Comuni ha dichiarato di aver edificato in aree a rischio idrogeologico. Il risultato è che nel 70% dei Comuni intervistati si trovano abitazioni in aree a rischio, nel 27% interi quartieri e nel 15% scuole o ospedali.
LE NOSTRE PROPOSTE Proposta 6.1
Interventi di prevenzione delle calamità naturali. Proponiamo di effettuare un intervento straordinario di prevenzione del rischio, agevolato e reso
più efficiente dalla realizzazione delle proposte successive. Sulla base del-
le stime della Commissione europea, secondo cui ogni euro speso in prevenzione si traduce in un risparmio di 4 euro in riparazione, investire ogni
anno 475 milioni in prevenzione, oltre alla spesa media che già affrontiamo, potrebbe garantire un risparmio netto di oltre 1,4 miliardi nel me-
dio termine. Gli interventi in ambito di prevenzione devono essere quindi
considerati un investimento che, oltre a proteggere i cittadini e l’ambiente, potrebbero garantire un risparmio netto allo Stato nel lungo periodo. Stimiamo che saranno necessari interventi per circa 8,5 miliardi di euro.
Proposta 6.2
Piano di adattamento nazionale e monitoraggio ambientale159. L’Italia
deve dotarsi al più presto di un piano di adattamento ai cambiamenti cli-
matici, allineandosi così al resto dei Paesi europei. Il Piano deve selezionare chiaramente le priorità di intervento per la prevenzione del rischio idrogeologico nei prossimi anni, a seconda dell’urgenza e della rilevanza dei rischi,
mettendo da parte i progetti meno urgenti160 e fornendo un quadro chiaro 158 Indagine realizzata sulla base delle risposte fornite da 1.462 amministrazioni al questionario inviato ai 7.145 comuni classificati ad elevata pericolosità idrogeologica nel 2017 159 Proposta di Legambiente in rapporto CittàClima 2020
160 Considerando che i progetti identificati dalle Regioni superano i 10 mila
119
degli interventi in corso e dei finanziamenti, che troppo spesso manca. Insieme al piano, una raccolta dati più coerente e meno frammentata è un passo necessario per un Sistema Nazionale di Protezione Ambientale
(SNPA)161 più efficiente. E’ essenziale sviluppare un sistema di monitoraggio
che, utilizzando le tecnologie più avanzate in materia162, consenta il con-
trollo da remoto di ampie fasce territoriali e la previsione di rischi di natura
idrogeologica. I dati così raccolti saranno la base informativa dei piani di prevenzione, ma costituiranno anche un’importante fonte per la ricerca.
Stimiamo un costo di un milione di euro per la realizzazione del progetto su modello “osservatorio”.
Proposta 6.3
Interventi di semplificazione per una migliore spesa163. Proponiamo una
serie di interventi per semplificare e ridurre le tempistiche di autorizzazione e attuazione dei progetti di mitigazione del rischio idrogeologico,
minimizzando l’inutilizzo di risorse. Le azioni da implementare interverranno sui seguenti aspetti.
• Le molteplici procedure legate ai programmi di spesa destinati agli enti locali devono essere unificate e devono prevedere:
•
•
•
l’assegnazione delle risorse entro un tempo limitato e certo e l’avvio dell’opera entro un termine perentorio, pena la perdita dei finanziamenti;
un cronoprogramma definito e vincolante da seguire per la realizzazione dell’opera;
un sistema di premialità, in termini di ulteriori finanziamenti
a tassi di favore, per quelle stazioni appaltanti che riescono a realizzare i lavori in tempi rapidi.
• Le numerose informazioni necessarie agli enti coinvolti sulle diverse
linee di finanziamento, comprese le relative scadenze e modalità di
accesso, devono essere riepilogate in un unico sistema informativo.
• I ritardi spesso dovuti alla molteplicità di autorizzazioni richieste164, posso-
no essere ridotti unificando il processo in una sede di raccordo unica, rapida e permanente, sul modello della Conferenza Permanente (istituita nel 2016 per accelerare la ricostruzione dopo gli eventi sismici del 2016).
• I ritardi nel fornire le autorizzazioni necessarie possono essere ridotti
fissando una scadenza di 20 giorni dal momento in cui sono stati ri-
chieste, alla scadenza dei quali l’esito è da intendersi positivo. Inoltre, la durata delle autorizzazioni deve essere estesa per 10 anni.
Proposta 6.4
Potenziamento delle Autorità di Bacino Distrettuale. Proponiamo di po-
tenziare, sia in termini di personale che di responsabilità decisionali, le Autorità di distretto, rendendole delle vere e proprie stazioni appaltanti,
161 Che comprende sia ISPRA che le varie Agenzie Regionali di Protezione Ambientale (ARPA)
162 Osservazioni satellitari, droni, sensori e reti di telecomunicazione a funzionamento continuo integrate con sistemi di cyber security, il tutto collegato a sale di controllo predisposte in ogni Regione 163 Proposte prese dall’ANCE
164 La fase autorizzativa delle opere prevede l’ottenimento di numerose autorizzazioni, pareri e nulla osta, tra cui: autorizzazione idrogeologica; parere dell’autorità di bacino; l’autorizzazione paesaggistica; la Valutazione d’impatto ambientale (VIA) in presenza di progetti di determinate tipologie; Il nulla osta dell’ente parco per interventi nell’ambito di parchi o riserve nazionali o regionali; la Valutazione di incidenza se le opere ricadono all’interno di siti di interesse comunitario (VINCA); il parere del Consorzio di bonifica e/o di altri enti, ecc
120
con funzioni autorizzative precise, capaci di controllare e certificare lun-
go tutta la filiera i progetti, gli interventi e le misure adottate. Invece, il Ministero dell’Ambiente, insieme alle Regioni, ha il compito di garantire
risorse sufficienti. Questo perché sono le Autorità di Bacino Distrettuale ad essere responsabili degli andamenti idrici nel bacino di competenza e dell’approccio integrato da adottare.
Ad oggi le competenze in materia di dissesto idrogeologico vedono il
Ministero dell’Ambiente al vertice, mentre il Presidente di Regione svolge o delega la funzione di commissario per il dissesto idrogeologico. Viene
quindi a mancare la differenziazione dei ruoli tra decisore politico ed ente tecnico, portando ad azioni e strategie basate sui confini amministrativi anziché su quelli naturali, rispondendo all’emotività dell’elettorato
con un orizzonte temporale che raramente va oltre il mandato elettorale. Stimiamo un costo di un milione di euro per il potenziamento del personale delle autorità di bacino.
AUTORITÀ DI BACINO E BACINI IDROGRAFICI Le autorità di bacino distrettuale sono autorità tecni-
un approccio integrato capace di gestire tutta l’asta
che, a composizione mista Stato-Regioni, che operano
fluviale e i rii minori, mettendo insieme aspetti idraulici,
sui bacini idrografici , considerati come sistemi uni-
sedimentari, ecosistemici e via dicendo.
tari su cui agire in termini di mitigazione del rischio e
In Italia ci sono 8 distretti idrografici, che comprendono
gestione delle emergenze, indipendentemente dalle
al loro interno uno o più bacini idrografici: quello delle
suddivisioni amministrative. Le autorità di bacino sono
Alpi orientali, del Padano, dell’Appennino settentrionale,
il centro decisivo, con lo scopo di superare le fram-
del Serchio, dell’Appennino centrale, dell’Appennino
mentazioni di competenza e istituzionali e permettere
meridionale, della Sardegna e della Sicilia.
1
1
La porzione di territorio che raccoglie le acque superficiali che defluiscono lungo i versanti e le fa confluire in uno stesso corso d’acqua. E’ l’unità fisiografica fondamentale alla quale far riferimento nello studio dei fenomeni fluviali e dei processi geomorfologici ad essi legati
Proposta 6.5
Assicurazione contro i danni da calamità naturali165. Nonostante gli
alti costi in cui l’Italia incorre per riparare i danni del dissesto idroge-
ologico, le abitazioni protette da coperture assicurative per eventi di questo genere raggiungono solo il 2%166. Dal 1980 ad oggi la percen-
tuale dei danni per eventi climatici coperti da assicurazione sul totale
ammonta al 5%, contro il 70% del Regno Unito, il 50% della Francia, il 48% della Germania e il 26% della Spagna. Proponiamo di dotarci di
un’assicurazione obbligatoria contro i danni da calamità naturali, che
comporta tre vantaggi considerevoli167. Il primo è che le compagnie
assicurative hanno una velocità di esborso maggiore rispetto allo Stato, verrebbero quindi ridotte le cessazioni di attività e gli abbandoni territoriali dovuti ai ritardi dei contributi. Il secondo è che lo Stato, non
essendo più l’assicuratore di ultima istanza, potrà concentrare gli in165 C’è una legge ferma
166 Fonte: Ania in Legambiente
167 Esistono schemi su base volontaria (Danimarca e Belgio), obbligatoria (Francia e Spagna), o incentivata con costi limitati (Germania, Portogallo, Gran Bretagna)
121
vestimenti su interventi di prevenzione più strutturali. Infine, le compagnie assicuratrici sarebbero direttamente interessate a minimizzare
i rischi naturali, supportando direttamente le politiche di mitigazione
con risorse economiche, expertise e con una maggiore diffusione della cultura di gestione del rischio.
Stima dell’importo medio del premio: 3,47 miliardi (danni medi annuali da calamità naturali 2002-2019)168/14,4 milioni (numero edifici nel 2011) = 240€ più una percentuale per la compagnia assicurativa. Per massimizzarne i benefici, l’assicurazione dovrebbe:
• essere obbligatoria169 e, sotto una certa soglia ISEE, completamente detraibile;
• prevedere uno scoperto per i danni di lieve entità, così da minimizzare il rischio di azzardo morale;
• coprire i danni causati dalla maggior parte degli eventi climatici, non essere cioè settoriale;
• escludere gli immobili abusivi non condonati;
• destinare una parte dei ricavi ad un fondo per la mitigazione del rischio, che comprenda sia investimenti infrastrutturali che sussidi a iniziative private;
• per gli edifici, la ricostruzione dovrà rispettare degli standard di sicurezza ed efficienza energetica prestabiliti.
Copertura assicurativa contro le catastrofi naturali in Europa
O
O
C
O
S
N
O
P
O
O
P
O
C
O
O
Cyclone/Hurricane
O C
N
O
O
C
O
S
N
O
P
N
O
P
O
C
O
O
Floods
O C1 O
N
O
C
S
S
O
N
P
O
O
P
O
C
O
O
Hail
O
O
O
O
O
O
S
O
O
S
O C2 O
O
C
S
O
25% - 75%
Landslides
O C1 O
O
O
C
S
S
O
S
P
O
O
S
O
C
O
O
10% - 25%
Snow
O
O
O
O
O
O
S
S
O
O
N
O
N
O
O
C
O
O
< 10%
Frost
O
O
O
O
N
O
O
S
O
O
O
O
N
O
O
O
N
O
Avalanche
O
N
O
N
O
C
S
N
O
N
P
O
N
O
O
C
N
N
Drought
O
N
S
N
N
C
N
N
N
N
N
N
N
S
O
N
N
N
TYPE OF INSURANCE COVER
Subsidence
O C0 O
N
N
C
S
S
N
N
N
O
O
S
O
N
O
O
C
Compulsory cover by law
Earthquakes
C
O
O
N
N
P
O
O
P
O
O
C
O
P
Obligatory pool
S
O
S
N
O
O
O
O
S
O
N
S
N
C
O
O
N
N
P
O
O
P
O
O
Optional cover
O
O
O
O
O
O
O
O
S
Cover offered but not widely taken
N
Not existent
Francia
Grecia
Italia
Olanda
Norvegia
Spagna
Svezia
1 2
For simple retail risk only Only uf hail result from a storm
S
N
N
Volcanic eruption
N
N
O
Lightning
O
O
O
Belgio
Rep. Ceca
O
O
O
168 Database EM-DAT: 18 miliardi (1951-2012) per alluvioni e frane, 300 milioni l’anno di media
N O
O
Turchia
Forest fires
Regno Unito
O
Svizzera
C
Finlandia
N
1
Austria
O
Daimarca
1
Portoglallo
O C1 O
Polonia
Storm
Germania
Fonte: CEA
169 Se non fosse obbligatoria, nel caso in cui solo i soggetti ad alto rischio la contraessero (selezione avversa) il prezzo del premio sarebbe troppo elevato e il rischio di non poter coprire i costi alto, dato il pool ristretto di assicurati (libro verde)
122
RATE OF PENETRATION COVER > 75%
no data
Proposta 6.6
Proposta di legge nazionale sull’adattamento climatico e il rischio
idrogeologico. Per evitare di ripetere le pratiche dannose che vanificano in parte gli sforzi di contrasto al rischio di dissesto, proponiamo
d’urgenza un patto tra Governo, Regioni e Comuni che porti all’approvazione di una Legge dello Stato al fine di rafforzare alcuni obblighi e assumere alcune decisioni, di fatto già previsti ma spesso solo formal-
mente, oramai non più rinviabili, per la messa in sicurezza del territorio e delle persone, tra cui:
• far rispettare il divieto di edificazione nelle aree classificate da
ISPRA come a maggiore rischio idrogeologico e, al fine di mettere
in sicurezza chi abita in queste aree, provvedere alla delocalizzazione o, dove necessario, alla demolizione degli edifici maggiormente
esposti, introducendo adeguati strumenti di compensazione e supporto alle famiglie interessate;
• messa in sicurezza delle infrastrutture urbane più vulnerabili ai
fenomeni meteorologici estremi, come i sottopassaggi e le stazioni metropolitane facilmente allagabili (metro C a Roma), sia con
sistemi di deflusso dell’acqua sia con strumenti di monitoraggio e allertamento;
• far rispettare il divieto di copertura dei corsi d’acqua e, dove possibile, riapertura di quelli chiusi in passato. In una prospettiva di adattamento al clima è necessario riportare il più possibile alla
naturalità fiumi e fossi, creando spazi per un deflusso naturale e in sicurezza delle acque durante le piogge e la ricarica delle falde;
• fissazione di percentuali obbligatorie di terreni permeabili170 in spazi pubblici come parcheggi, cortili e piazze, sul modello dei Comuni di Bolzano, Scandiano e Mortara;
• creazione di vasche sotterranee di recupero e conservazione delle
acque piovane in tutti gli interventi che riguardano gli spazi pubblici,
aventi la doppia funzione di sicurezza, indirizzandovi l’acqua durante le piogge estreme, e di recupero dell’acqua utilizzabile.
170 Indispensabile per una corretta e sicura gestione delle acque, ricaricando la falda, e per ridurre l’effetto isola di calore
123
Pubblica Amministrazione e Azioni Trasversali Le politiche di mitigazione del cambiamento climatico si prestano ad
una pianificazione settorializzata, identificando quali settori sono re-
sponsabili di quante emissioni climalteranti ed elaborando, di conse-
guenza, le politiche più efficaci per ridurle. Ovviamente i punti di contatto tra settori sono molti ed è quindi impossibile isolare totalmente un set-
tore dall’altro, ma ragionare per settori permette di avere un quadro più
chiaro delle criticità, stabilire delle priorità e monitorare i risultati delle azioni intraprese. Di seguito, vengono identificate alcune azioni trasversali che, se intraprese, darebbero uno slancio positivo a tutti i settori fin qui considerati.
7.1 Pubblica Amministrazione LA SITUAZIONE OGGI La Pubblica Amministrazione (PA) può dare una spinta decisiva al contrasto al cambiamento climatico facendo leva sulla sua capacità di orientamento del mercato, trainando quindi il settore privato. Le PA sono i principali acquirenti e consumatori di beni: in Italia gli acquisti della PA rappresentano il 17% del PIL e nel 2016 gli appalti pubblici hanno avuto un
valore di circa 111,5 miliardi171. Queste dimensioni fanno sì che la PA possa in-
fluenzare il mercato e le imprese che vi operano, favorendo l’integrazione di considerazioni ambientali sia nei beni scambiati che nelle politiche pubbliche che riguardano i vari settori (trasporti, energia ecc.) e promuoven-
do, tramite il proprio esempio, una consapevolezza ambientale più diffusa.
171 Fonte: ISPRA
124
Lo strumento con cui la PA può diventare protagonista della transizione ambientale è proprio l’acquisto di beni e servizi più ambiental-
mente sostenibili. Questo sistema è chiamato Green Public Procure-
ment (GPP), che in buona sostanza consiste nella possibilità di inserire criteri di qualificazione ambientale in sede di acquisto di beni e servizi da parte della PA. La scelta di acquisto viene indirizzata dai “Criteri
Ambientali Minimi” (CAM)172 che, fornendo requisiti ambientali per tutte le fasi delle procedure di gara173, identificano i prodotti/servizi/progetti migliori sotto il profilo ambientale lungo il loro intero ciclo di vita174.
Ad oggi sono adottati CAM per 17 categorie di forniture ed affidamenti: arredi interni, arredo urbano, ausili per l’incontinenza, calzature da lavoro e accessori in pelle, carta, cartucce, edilizia, fornitura e progettazione dell’illuminazione pubblica, illuminazione pubblica come servizio, riscaldamento/raffrescamento edifici, lavaggio industriale, noleggio di tessili
e materasseria, rifiuti urbani, ristorazione collettiva, sanificazione, stampanti, tessili, veicoli e verde pubblico 175.
L’Italia non è rimasta indietro sul GPP. In termini di normativa, nel 2008
ci siamo dotati di un Piano d’Azione Nazionale, in linea con gli altri Paesi europei, e nel 2016 con l’approvazione del nuovo codice degli appalti l’adozione dei CAM è diventata obbligatoria per tutte le categorie consi172 Approvati con decreto ministeriale
173 Oggetto dell’appalto, specifiche tecniche, caratteristiche tecniche premianti collegate alla modalità di aggiudicazione all’offerta economicamente più vantaggiosa, condizioni di esecuzione dell’appalto 174 Sono ad esempio da includere i costi sostenuti da altri utenti, il consumo di energia e altre risorse nell’utilizzo, costi di manutenzione e quelli relativi al fine vita, quelli ad es. connessi alla raccolta e al riciclaggio, ma anche i costi in termini di emissioni rilasciate in fase di produzione 175 Ulteriori 7 in corso di definizione, 4 programmati per il 2021 e 1 per il 2022. Fonte: Ministero della Transizione Ecologica
125
derate, a prescindere dal valore dell’appalto. Sul piano dell’efficienza del
GPP, ci collochiamo all’8º posto in Europa per numero di capitolati sopra soglia contenenti criteri ambientali176. Nel 2016 il valore dei contratti verdi
in Italia è pari a circa il 6,2% del totale UE, ammontando a 111,5 miliardi di
euro177. Paragonare il livello di GPP tra Stati membri è complicato, ma tutti gli studi collocano l’Italia tra i Paesi virtuosi, con una quota di valore degli appalti verdi pari al 40%-60% del totale.
Quota di appalti verdi sul valore monetario totale Fonte: Centre for European Policy Studies (CEPS)
> 80% 60% - 80% 40% - 60% 20% - 40% < 20% no data
176 Rapporto del gruppo Take 5 commissionato dalla Commissione UE
177 Articolo “ Circular economy legislation, Italy is a leader in Europe in developing green public procurement practices: a study by Sant’Anna School institute of management presented at Accredia meeting” da Sant’Anna Magazine
126
Andando a vedere il livello di applicazione dei CAM178 notiamo però
come esso sia molto difforme tra i settori merceologici e a seconda delle diverse tipologie di ente pubblico179. Ad esempio i CAM sono molto
applicati negli acquisti relativi a stampanti, toner e carta, mentre la necessità di alte competenze tecnico-progettuali nella stesura dei bandi limita molto l’applicazione dei CAM nei servizi energetici o nell’edilizia.
Questa difformità è in parte naturale, dovuta alla eterogeneità dei beni/ servizi e delle funzioni delle PA, in parte è da attribuire ad un insufficien-
te monitoraggio. Infatti, analizzando le performance delle PA emerge un
quadro frammentato e altamente differenziato, da cui è difficile estrarre
generalizzazioni che sarebbero invece utili a identificare le aree critiche che beneficerebbero da interventi mirati. Un buon monitoraggio è inoltre
indispensabile anche per verificare che le stazioni appaltanti riescano a
inserire nei documenti di gara almeno le specifiche tecniche e le clausole contrattuali previste nei CAM.
Ad oggi non esiste ancora una procedura istituzionale formalizzata per
monitorare il GPP. Oggi questa funzione è svolta annualmente, dal 2018,
dall’Osservatorio Appalti Verdi (OAV) formato da Legambiente e Fondazione Ecosistemi, il quale però non include Regioni e Città Metropolita-
ne. Solo il 15,6% dei Comuni capoluogo conferma di avere un sistema di monitoraggio e verifica del GPP, percentuale diminuita rispetto al 22,7% dello scorso anno. Negli altri Comuni, dove la minore dimensione facilita la funzione di monitoraggio, la media, comunque bassa, è del 57,5%180.
Se quindi le differenze di performance sono legate a molteplici fattori,
che conviene appunto monitorare, c’è un filo rosso che collega l’applicazione dei CAM di tutta la PA: la mancanza di un’adeguata formazione. Considerando i Comuni di capoluogo, rileviamo che a mala
pena 1 su 4 adotta i CAM nell’80% dei casi181 e che più di 1 su 2 ritiene che la difficoltà principale risieda nella propria capacità di trasformare i CAM in un “appalto verde”. Il 42% dei Gestori delle aree naturali riscon-
tra una mancanza di formazione e il 50,7% segnala difficoltà nella stesura dei bandi, numeri che sono rispettivamente 46% e 58% per quanto riguarda i Comuni.
La formazione offerta agli amministratori pubblici è in aumento, ma
risulta comunque insufficiente. Ad esempio i capoluoghi che hanno for-
mato i propri dipendenti sul GPP negli ultimi tre anni sono passati dal 35,2% al 36,7% in un anno, mentre i Gestori delle aree naturali sono passati addirittura dal 35% al 53%.
178 Il livello di applicazione dei CAM è sì un parametro Indicativo, ma la sua validità è soggetta variazioni a seconda della merce/servizio, ad es. I numeri sono molto bassi sui prodotti elettronici, ma la costante innovazione del settore garantisce di per sé la sostenibilità ambientale dei prodotti, numeri bassi anche per quel che riguarda i veicoli, ma le direttive europee di fatto impongono requisiti più stringenti 179 Questi numeri si riferiscono ad un campione rappresentativo di: 88 Comuni Capoluogo, 68 Enti Gestori di Aree Naturali Protette e 538 Comuni 180 Seppur con una grande disparità a favore del centro e del sud (68,6% e 65,4%) rispetto al nord (38,4%)
181 Aosta, Bari, Bolzano, Brescia, Ferrara, Gorizia, Livorno, Lucca, Macerata, Milano, Modena, Monza, Oristano, Padova, Reggio Emilia, Rimini, Treviso, Udine
127
LE NOSTRE PROPOSTE Proposta 7.1.1
Potenziare il programma CReIAMO PA e rendere la formazione della PA sui temi Ambientali obbligatoria. Tutti gli addetti della PA nazionale e locale dovranno seguire dei corsi di formazione online ogni anno sul tema
dell’Ambiente e della Sostenibilità. Proponiamo di potenziare ed estendere il già esistente programma CReIAMO PA (vedi box) per diffondere
nella PA una cultura orientata alla sostenibilità ambientale in tutte le fasi
dell’azione amministrativa. Crediamo infatti che finché gli enti locali non saranno formati adeguatamente per il contrasto ai cambiamenti climatici, sarà difficile adottare un modello di transizione ecologica nazionale.
Ipotizziamo che servirebbe almeno 1 persona formata con il programma
CReIAMO PA per ogni Comune. L’Italia conta circa 8 mila Comuni, pun-
tiamo quindi a formare 24 mila addetti alla PA pubblica ogni anno. Delle risorse stanziate per CReIAMO PA nel periodo 2017-2023, finora sono stati spesi 12 mln di euro (il 30% del totale) per 4203 partecipanti. Stimiamo
quindi che per formare 8 mila addetti sarebbero necessari ulteriori 12 mln di euro per finanziare la formazione.
Proposta 7.1.2
Monitoraggio sul Green Public Procurement. Proponiamo di investire
sul monitoraggio di CReIAMO PA (vedi box) per renderlo definitivamente operativo, con un duplice obiettivo.
1. Estendere il monitoraggio quantitativo sull’universo dei Comuni, e favorire la pubblicità dei dati raccolti da ANAC. L’ OAV da tre anni
monitora l’applicazione dei CAM su un campione rappresentativo di
Comuni di capoluogo, Comuni e Enti Gestori delle Aree Verdi, mentre CReIAMO PA ha recentemente iniziato ad integrare i dati su alcune Regioni e Città Metropolitane.
2. Includere un monitoraggio qualitativo, come previsto dalla Commissione Europea, che preveda tre elementi:
•
l’ efficacia e il progresso derivanti dell’introduzione
•
i benefici ambientali legati alla CO2 risparmiata
•
del GPP nelle politiche degli enti; con gli acquisti dei CAM;
i benefici economici legati al ciclo di vita dei prodotti e servizi acquistati con criteri minimi ambientali.
Il monitoraggio qualitativo richiederà il raccoglimento di nuove tipologie di dati e dunque l’introduzione di nuovi metodi di raccoglimento. La
sua introduzione comincerà quindi l’anno prossimo e su un campione ristretto di PA selezionate in base al loro stato di avanzamento rispetto all’introduzione del GPP nelle procedure di gara.
128
CREIAMO PA: PROGETTO COMPETENZE E RETI PER L’INTEGRAZIONE AMBIENTALE E PER IL MIGLIORAMENTO DELLE ORGANIZZAZIONI DELLA PA Il Ministero dell’Ambiente, tramite il soggetto attuatore Sogesid Spa, promuove il progetto CReIAMO PA che ha per obiettivo la diffusione dei temi legati alla sostenibilità ambientale nelle diverse fasi dell’azione
• l’integrazione dei requisiti ambientali nei processi di acquisto delle PA; • l’introduzione degli obiettivi di sostenibilità ambientale nelle azioni amministrative;
della PA. Grazie all’ efficace integrazione dei temi
• l’economia circolare;
ambientali nelle politiche di coesione, si potrà
• il contenimento delle emissioni;
raggiungere anche una maggiore efficienza gestionale
• l’adattamento ai cambiamenti climatici;
e organizzativa delle strutture pubbliche. Per fare ciò,
• le politiche per le risorse idriche;
sono definiti dei percorsi di rafforzamento delle capaci-
• lo sviluppo della mobilità urbana sostenibile;
tà e delle competenze tecniche che si sviluppano
• l’efficacia dei processi di valutazione ambientale;
con oltre 1000 attività formative ed informative.
• la capacità amministrativa in materia
Sono individuate 9 linee di intervento:
1
di valutazione di incidenza1.
Sito CReIAMO PA - Ministero dell’Ambiente
7.2 Legge sul clima LA SITUAZIONE OGGI L’Italia è l’unico grande Paese europeo senza una legge sul clima. Riteniamo sia un problema per tre motivi.
1. L’attuazione delle proposte climatiche non può avvenire senza un
inquadramento normativo. Invece di approvare tanti provvedimenti sparsi, è opportuno che il legislatore adotti una legge quadro che comprenda i vari settori e provvedimenti, dando una direzione di politica ambientale, economica e sociale.
2. Una chiara legge sul clima diffonde un messaggio di stabilità a livel-
lo internazionale per quanto riguarda il perseguimento degli obiettivi climatici, l’inquadramento normativo e il regime economico essenziale per un settore che necessita di investimenti di lungo periodo e quindi di un’ampia prevedibilità.
3. Simbolicamente, quando una missione si fa legge, lo Stato si impegna con maggiore zelo al raggiungimento degli obiettivi.
129
Stato dell’implementazione delle Leggi sul Clima in Europa Fonte: Ecologic Institute Research
Adottata con elementi a lungo termine Adottata senza elementi a lungo termine In preparazione In valutazione Nessuna informazione
LA NOSTRA PROPOSTA Proposta 7.2.1
Implementare una Legge sul Clima. All’interno di questa legge saranno evidenziate le priorità per ogni settore a livello nazionale e saranno fissati chiaramente gli obiettivi da raggiungere, che devono essere di lungo
termine. La Legge sul Clima dovrà anche indicare i responsabili della va-
lutazione e del monitoraggio degli interventi, una funzione che abbiamo
visto essere essenziale per il raggiungimento degli obiettivi. La Legge sul Clima dovrà contenere 5 elementi imprescindibili:
• gli obiettivi di corto e lungo termine accompagnati da chiari indicatori qualitativi e quantitativi;
• un programma strategico;
• la governance e la divisione dei ruoli istituzionali;
• un sistema di monitoraggio e valutazione del progresso, da effettuare regolarmente, usando una banca di dati;
130
• l’identificazione degli attori esterni (partecipazione pubblica e contributi accademici) da coinvolgere.
La presentazione degli obiettivi sarà completata da un cronoprogramma che definisca le tappe da raggiungere dal momento dell’attuazione
della legge al momento previsto di raggiungimento del target a lungo termine (esempio: per completare entro il 2050 il progetto X andrà fatta
l’azione Y nel 2022, Z nel 2023 etc). Gli obiettivi quantitativi sono fondamentali per poter monitorare e valutare l’azione climatica. La legge sul
Clima dovrà anche definire il budget a disposizione per l’abbattimento
delle emissioni. Su modello della Germania, proponiamo che la sezione di bilancio sia divisa per settori, in modo tale da incentivare la collaborazione tra ministeri per il raggiungimento di obiettivi comuni.
131