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di Simone Di Gregorio
«A Palermo non è cambiato niente», voci dalla città senza lavoro
In una città in cui lil tasso di inattività sfiora il cinquanta per cento, la pandemia e le restrizioni imposte per contrastarla sono solo un’altra difficoltà che grava sulle spalle degli ultimi
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di Silvio Puccio
«Ce l’avete un sacchetto per me?». Rosa si avvicina all’auto dei volontari con passo incerto, facendo perno sulla stampella. Con l’altra mano trascina un carrellino vuoto. «Coronavirus o meno, a Palermo non è cambiato niente. Facevo la fame prima e continuo a farla adesso». Se le chiedi del suo lavoro, ti risponde che non ce l'ha mai avuto. «Ma ho sempre cercato di vivere con dignità, rispetto ed educazione», sottolinea. Poi un volontario in mascherina e casacca blu le porge una busta. Dentro ci sono due confezioni di pasta, sughi in bottiglia, dei tramezzini donati da un bar ormai costretto chiudere alle 18. «Ho una figlia ancora piccola. Quando torno a casa coi sacchetti della spesa sorride, corre verso di me e mi abbraccia. Il bene che fanno queste persone arriva anche alla mia bambina, portando un po' di gioia in casa».
Dopo aver distribuito i viveri al capannello di persone ammassate sui gradoni del palazzo delle Poste, la carovana ricomincia la sua ronda. Antonella Madonia chiude il cofano ancora colmo della sua Panda. Di giorno lavora nella segreteria di un liceo. Ogni primo lunedì del mese si occupa dei più bisognosi con la Perla Rosa, una cooperativa di aiuto fondata a Palermo tre anni fa. Sale in auto, mette in moto e comincia a raccontare: «Prima della pandemia assistevamo non più di quaranta famiglie. Adesso portiamo cibo, vestiti e beni necessari a 139 nuclei familiari. Un numero destinato ad aumentare. Molte delle persone che aiutiamo un lavoro stabile non l'hanno mai

1. Le ronde notturne
dei volontari nel centro storico di Palermo. I bisognosi attendono sul ciglio della strada in attesa di ricevere la spesa.
2. Il pranzo da dietro
un vetro alla mensa "la Panormitana" della Caritas di Palermo. A causa del Covid il refettorio serve solo pasti già pronti, da consumare altrove. avuto. Altri lo hanno perso nell'ultimo anno, dopo l'arrivo del coronavirus».
Secondo l'Istat, a Palermo il tasso di disoccupazione sfiora quota 19 per cento. Si tratta del quarto valore più elevato tra le grandi città italiane. Ma è il numero degli inattivi a raggiungere valori da primato, toccando i cinquanta punti percentuali. Dopo Napoli, si tratta del dato peggiore registrato a livello nazionale.
Una statistica resa drammatica dai tanti che, non trovando un'occupazione regolare, si affidano a forme di lavoro sommerso, irregolare, nascosto, andando a ingrossare le fila di quelli che vengono classificati come inattivi dai dati ufficiali. Parcheggiatori abusivi, lavoratori in nero, pensionati con la minima. Uomini e donne che sopravvivono appoggiandosi a strumenti di welfare informale per continuare a sbarcare il lunario. Una rete che la pandemia ha spezzato, rendendo tangibile l'emergenza che ha allungato le file di fronte alle mense dei poveri.
«Sono uscito dal carcere a luglio. Se non ci fosse la Caritas sarei di nuovo a rubare». Pietro, un uomo sulla cinquantina ingobbito dentro il suo cappotto strappato, fuma nervoso mentre aspetta di ricevere il pranzo. In coda come tanti allo sportello che il refettorio della Caritas ha adibito per fornire i pasti senza creare assembramenti dentro la struttura, si avvicina alla volontaria che passa i piatti da dietro il vetro. A mezza bocca le dice che non ha la tessera per dimostrare il suo stato di indigenza. Lei risponde comprensiva che per oggi non serve. «Nelle mense che gestiamo abbiamo registrato un notevole incremento di richieste di aiuto – Spiega Gregorio Porcaro, vice presidente del braccio palermitano della Caritas – molte delle persone che assistiamo adesso non si sono mai rivolte a noi prima d'ora. Gente che, prima della pandemia, viveva di espedienti o piccoli lavori sommersi o non regolari. e che adesso sperimentano la difficoltà di pagare le bollette e di comprare da mangiare. Adesso che è stato imposto il distanziamento sociale, le comunità cui appartenevano si sono infragilite. Questo è il sostrato nascosto di Palermo che la pandemia ha portato a galla, e che ora siamo chiamati ad aiutare». ■
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