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di Livia Paccarié
Le Canaglie che hanno vissuto il calcio
LIBRI Angelo Carotenuto
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nel suo ultimo romanzo racconta “le Canaglie”. Dalla ricerca delle fonti ai protagonisti che lo hanno ispirato, la storia della Lazio dei primi anni 70, metafora di Roma e della società del tempo
di Jacopo Vergari «Scrivere e prepararsi a scrivere questo romanzo è stata anche la maniera di rileggere cose e rivivere episodi che erano in memoria da qualche parte, un modo di reinterpretare, di dare un bordo a certe cose sfumate che da bambino e da ragazzo avvertivi in sottofondo e non sempre capivi bene». A parlare è Angelo Carotenuto, giornalista e scrittore, autore del libro Le canaglie, edito da Sellerio e uscito nel 2020. Il protagonista è Marcello Traseticcio, personaggio immaginario che fa il fotografo in un quotidiano romano, costretto dal suo direttore a occuparsi della Lazio. Dalla dolce vita di Via Veneto - lui che vanta l’amicizia del regista Federico Fellini - al periferico campo di allenamento di Tor di Quinto. Di calcio sa poco, quasi nulla. Ma si immerge in quel mondo, esplora i confini, ne comprende la dimensione trasversale. Nella stagione 1971-72 i biancocelesti sono in Serie B, divisi tra nuovi acquisti e una gestione tecnica che sa di scommessa. È l’inizio di una parabola fatta di risse, conflitti insanabili tra clan, trionfi, momenti di crescita e condivisione. Marcello regala scatti della promozione in A, dello scudetto buttato via a Napoli l’anno successivo, delle bravate dei giocatori nei locali notturni, del tricolore conquistato il 12 maggio 1974, giorno del referendum per l’abrogazione della legge sul divorzio. La sua esistenza si intreccia con quella di Tommaso Maestrelli, allenatore saggio e profondo, del rissoso e fiero Giorgio Chinaglia, del biondo e talentuoso Luciano Re Cecconi, morto in circostanze assurde. Fino all’acculturato capitano Pino Wilson, detto “Milord”. Sono solo alcuni dei protagonisti che popolano lo spogliatoio, dove pistole e asciugamani vengono tirati fuori dai borsoni con la stessa leggerezza. Il libro è una fitta rete di passaggi tra sport, storia, costume e cultura. Sullo sfondo delle giornate di campionato ci sono gli omicidi di politici e magistrati, il caso Pasolini, la morte dello scrittore Gadda, la nascita delle Brigate Rosse. E così quella squadra divisa tra destra e sinistra, ma unita su un campo di calcio, diventa la metafora di Roma, della società italiana dell’epoca. In un’intervista a Zeta, l’autore descrive il suo romanzo, dalla ricerca delle fonti fino ai protagonisti che lo hanno ispirato.
Come è nata l’esigenza di scrivere questo libro?
«Come sempre. Per la voglia di raccontare una storia e amoreggiare con delle parole. Le storie delle persone dentro quella Lazio mi parevano gigantesche,
Tommaso Maestrelli e Giorgio Chinaglia
La copertina del nuovo libro edito da Sellerio 364 pp., 16,00 €
1974
15 gennaio - La serie Happy Days debutta sulla rete televisiva statunitense ABC
9 agosto - In seguito allo scandalo Watergate, Richard Nixon si dimette dalla carica di presidente degli Stati Uniti
30 ottobre - A Kinshasa, nella Repubblica Democratica del Congo (ex Zaire), si svolge The Rumble in The Jungle, leggendario incontro di pugilato tra Muhammad Ali e George Foreman uniche e tutto sommato rimosse. Più mi documentavo, più mi pareva che quella squadra diventasse altro, diventasse cioè molto più di una squadra di calcio, fino a sembrarmi la riproduzione in scala della società italiana dell'epoca, una riproposta in miniatura delle sue spaccature feroci, drammatiche, pubbliche, teatrali. Con le risse in allenamento, la divisione in due clan».
Cosa ti premeva raccontare di Roma e della società di quel periodo?
«Un senso di perdita, forse. Il collasso di un mondo. L'odore delle macerie in arrivo. Ma già dalla lingua, intendo. Oggi Roma ha una parlata, non ha mica più una lingua. Esiste uno slang che viene da lontano, figlio di certi sottoprodotti televisivi e cinematografici che attribuiscono un romanesco di plastica a una serie di personaggi di volta in volta cialtroni, improbabili o delinquenti. L'altezza della lingua di Roma è stata cancellata. Perduta. Sostituita da un chewing-gum che è presentato come una macchietta, quando le opere in dialetto conservano parole e modi di dire meravigliosi. La perdita di un certo modo di fare il giornalista. La perdita della componente popolare nel calcio. La perdita dell'ingenuità garantita dai grandi programmoni popolari della RAI, da Canzonissima a Rischiatutto, dal Pinocchio di Comencini al Sandokan di Kabir Bedi. La perdita di molte vite innocenti, studenti che uscivano per partecipare a una manifestazione, a un corteo, e potevano non tornare a casa, vittime della violenza politica di quegli anni. Il lutto di una generazione di genitori».
Come descriveresti il calcio degli anni 70?
«Un calcio che si bastava. Un calcio del poco. Un calcio del quale si vedeva quasi niente e che lasciava all'immaginazione un campo enorme per esercitarsi. L'ultimo calcio ingenuo prima dell'arrivo degli stranieri, prima della nascita del divismo, prima che questo sport prendesse la strada dell'entertainment».
Quali erano il punto di forza e il punto debole di quella Lazio?
«Fu una squadra costruita con possibilità economiche limitate rispetto alle avversarie, aveva molti giocatori scartati nel resto d'Italia, smentì il luogo comune che si vince restando uniti come una cosa sola».
Come descriveresti il tuo libro a chi non l’ha letto?
«È un romanzo che prova a raccontare un pezzo di storia del nostro Paese attraverso le storie di ragazzi che facevano i calciatori e una ragazza che voleva fare la giornalista: come fanno a stare insieme la cupezza e l'energia». ■