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di Michele Antonelli e Gabriele Bartoloni

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di Mattia Giusto

di Mattia Giusto

Mense

In coda per un pasto caldo, la Milano che non ti aspetti

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Nella città più colpita dal virus, modello economico per anni, le associazioni aiutano chi ha bisogno. Le storie di chi non si arrende

di Enrico Dalcastagné

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«Giustino è sulla strada dopo trent’anni di lavoro. Ogni sera va a Paderno Dugnano e dorme in un capannone abbandonato. Ce l’ha con la Fornero e gli extracomunitari ma salva la sanità lombarda: «Mi sono preso il Covid e mi hanno curato in ospedale, su questo non ho niente da dire». Claudio ora sta meglio, dopo un anno senza lavoro ha trovato un’occupazione e un posto dove stare: «Da lunedì non sono più in giro, per me la pandemia finisce qua». Angelo dorme a piazza Firenze oppure sulla 90, il filobus che gira attorno a Milano. La biblioteca gli manca tanto: da quando è chiusa per Covid non può stare al caldo e lavarsi. «Io lì leggevo fumetti». Le biografie degli ultimi sono queste, alla povertà materiale si sommano storie di solitudine. Se ai milanesi moderni e europei il lockdown ha regalato Netflix e smart working, a tanti altri ha inflitto una rottura dei rapporti sociali. «Ogni giorno vengono da noi tra le 2 e le 3 mila persone, nell’ultimo anno soprattutto giovani che non arrivano alla fine del mese. Gente che prima aveva un lavoro, magari in nero, e conserva ancora una casa – ci dice fra Giuseppe Fornoni, che gestisce la mensa dell’Opera San Francesco – Dopo la crisi del 2008 venivano di più gli anziani, oggi sono aumentati i Neet e tanti ospiti con storie diverse». I camerieri filippini licenziati in tronco, il parcheggiatore disoccupato. Una moltitudine che viveva di piccoli flussi di reddito che sgocciolavano dall’alto dei successi del terziario cittadino e che oggi, con le luci spente dal virus, non arrivano più. Il mondo dell’assistenza milanese si è attivato e reinventato con forza: la Caritas con le parrocchie, l’ambiente progressista di Emergency, il Banco Alimentare nato da CL, Pane Quotidiano con il Rotary Club. Con qualche invidia e momentanea alleanza, remano tutti dalla stessa parte. Volontari e «utenti», come li chiamano i City Angels di Mario Furlan, che a tarda sera regalano coperte e tè caldo a chi un tetto non ce l’ha; fino all’una di notte su un furgone rosso, tra i quartieri Cadorna e Gratosoglio. O volontari e «nostri ospiti», come ripetono i frati di San Francesco alla mensa di viale Piave. Lì vediamo una coda di mamme con i passeggini, giovani immigrati al telefonino, gruppetti vocianti di badanti dell’Est, maschi anziani con lo sguardo perso. Gli stranieri accanto ai pensionati milanesi, le colf rumene assieme a chi ha perso il lavoro da lavapiatti, commesso, fattorino all’ortomercato. Solo adesso ci si accorge quanto fosse largo il retroterra di lavoro irregolare e di part time involontario femminile; lo spazio dell’economia sommersa, nella Milano delle special week a raffica.■

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1. I City Angels in azione vicino alla Stazione Centrale di Milano, dove c'è la loro sede operativa. 2. I volontari dell'Opera

San Francesco

distribuiscono pane e pasta. 3. La mensa di piazza Velasquez dell'Opera San Francesco. 4. Un pasto caldo alla mensa di viale Piave, a Milano. 4

Il supermercato di chi non può permetterselo

Un bancomat a punti con un sistema di ricarica automatica. Così le famiglie più impoverite possono contare su un'iniziativa della Caritas per recuperare una normalità sospesa

di Simone Di Gregorio

Intere famiglie, donne, uomini, giovani, anziani, italiani e non. I nuovi poveri di Roma affollano i corridoi di un supermercato nascosto nel cortile della “Cittadella della Carità – Santa Giacinta”, tra le mura romane dell’acquedotto che costeggia via Casilina. È l’Emporio della Solidarietà. Cinquecento metri quadrati di scaffali, alimenti, carrelli, insegne, in cui le famiglie indigenti possono reperire gratuitamente generi di prima necessità, ma non solo.

«Questa esperienza nasce nel 2018 come aiuto alle famiglie che non riuscivano a arrivare a fine mese. Parliamo di 30 – 40 persone al giorno, niente a che vedere con la situazione attuale. Il Covid ha cambiato tutto, oggi arriviamo anche a 250 accessi», spiega Lucia Montebello, la responsabile dell’Emporio. Dal carico scarico delle merci, fino ai turni di volontariato e il riordino scaffali, Lucia organizza ogni aspetto del funzionamento di questo supermarket gratuito. Conosce i clienti, parla e scherza con tutti.

«Per fare la spesa qui è necessario passare dai centri di ascolto diocesani o parrocchiali che verificano l’esistenza di una condizione di disagio socioeconomico e rilasciano una specie di bancomat a punti». Ogni prodotto esposto all’emporio, invece del prezzo, ha una targhetta che ne indica il costo in punti. I “clienti” alla cassa presentano questa carta di credito che, vidimata con un Pos, scala i punti dal monte crediti disponibile.

«Ho speso 117 punti» racconta la signora mentre sfoggia dal carrello due pigiami blu ancora imballati

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1. La Cittadella della Carità

– Santa Giacinta sulla via Casilina Vecchia a Roma. 2. Lucia Montebello, responsabile dell’Emporio della Solidarietà, dentro la Cittadella. 3. La signora Maria, romana del quartiere Prenestino. nel plexiglas, tra un pandoro e alcuni pacchi di pasta. La mascherina chirurgica le sostiene il naso: «Sono per i miei figli. Hanno 50 anni, ma non lavorano per colpa de ‘sto Covid che ci ha distrutto economicamente e fisicamente». In vendita ci sono articoli di tutti i tipi. Dai generi alimentari, come pasta e carne, omogenizzati e pannolini, fino a zaini, pantaloni, magliette e anche pigiami.

Lucia Montebello se ne prende i meriti: «Da quando sono qui, ho fatto in modo che l’offerta non fosse limitata ai generi alimentari». Tutte le merci sono reperite attraverso un sistema di approvvigionamento basato su finanziamenti pubblici e sponsor privati, le derrate alimentari donate dell’Unione European e le raccolte fatte dai volontari nei centri commerciali. Prima della pandemia, parte del ricavato proveniva dalle monete raccolte sul fondo a Fontana di Trevi. «Con il turismo bloccato, anche la raccolta simbolica dal “Fontanone” non è più possibile. I generi di prima necessità non sono accessibili illimitatamente, altrimenti non basterebbero per tutti», continua Montebello mentre indica un cartellino sullo scaffale della pasta. “Non più di due pacchi”, si legge stampato.

Come i soldi, anche i punti finiscono. «Ne ho spesi 60 oggi. Ho finito il mio credito, ma ho fatto richiesta per la ricarica, dovrei farcela», racconta Mohamed, egiziano, che prima di perdere il lavoro con la pandemia, faceva il collaboratore domestico. «Lavoravo presso due famiglie, assistevo due anziani, poi la paura li ha convinti a allontanarmi».

Lucia sa che oltre al sostengo economico, c’è una componente psicologica nella ritualità della spesa al supermercato. «L’Emporio della solidarietà permette a tutte queste persone di riprende a vivere quella normalità che gli è stata negata e sospesa dall’emergenza Coronavirus». ■

“Prima della pandemia l’accesso medio era di 30-40 persone al giorno, Il Covid ha cambiato tutto, oggi arriviamo anche a 250 accessi.”

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