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di Natasha Caragnano

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di Mattia Giusto

di Mattia Giusto

Le palestre dimenticate

SPORT Giulio e Sara, prima sale tutte piene,

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adesso sono in attesa di capire quale sarà il loro futuro

di Gian Marco Passerini e Lorenzo Ottaviani 1

«Ci sentiamo presi in giro. È frustrante vivere nell’incertezza. Non ne possiamo più». Sono le parole di Giulio, un ragazzo romano di 29 anni che, poco prima dell’arrivo della pandemia aveva deciso insieme a un amico di aprire una palestra. L’epilogo si può intuire con facilità: il suo è stato un anno fatto di chiusure e rinunce. Lo sport ha tanti volti, dagli atleti professionisti che fanno sognare milioni di appassionati a chi va ad allenarsi durante la settimana per tenersi in forma. E poi c’è chi lavora nel mondo delle palestre, chi si occupa di mantenere vivi i luoghi dove si svolge attività fisica. Con la pandemia le difficoltà si sono moltiplicate. Le palestre sono state costrette a una lunga chiusura e le saracinesche si sono abbassate. Abbiamo voluto raccontare le storie di chi, a causa del virus, fatica ad intravedere un futuro certo: le storie di Giulio e Sara, persone che vivono di sport e cercano di affrontare questo momento, fatto di incertezze e dubbi, come meglio possono. Giulio nell’aprire la sua palestra ha investito una discreta somma. Non poteva di certo prevedere il coronavirus e nemmeno le problematiche che ha comportato. L’entusiasmo iniziale si è trasformato presto in timore e ad oggi, non sa nemmeno se vale la pena continuare. «In questo momento siamo chiusi. Abbiamo aperto nell’ottobre 2019, abbiamo investito un capitale discreto, abbiamo sottoscritto un contratto di affitto che ha un certo costo e abbiamo investito tanto tempo per allestire gli interni. Ora viviamo nell’incertezza e non sappiamo cosa ne sarà. Vale la pena continuare a provare? O è meglio lasciare perdere?». Sono queste le domande che Giulio si pone ogni giorno perché, in una situazione del genere, rispettare tutte le scadenze e i pagamenti non è cosa facile. Non è servito a nulla seguire le misure precauzionali e nonostante le grosse spese per mettere in sicurezza le sale, Giulio è stato costretto a chiudere. «Le misure le abbiamo seguite tutte. Sanificazioni, distanziamento, dispenser sanificante per le mani e mascherine. È stato un duro colpo da digerire, soprattutto l’ultima chiusura. Abbiamo speso parecchi soldi e il governo ci aveva promesso dei controlli per verificare potenziali irregolarità che però non sono mai stati effettuati. La chiusura poi è arrivata comunque e noi ci siamo sentiti presi in giro». Ora Giulio non ha idea di come riuscirà a portare avanti la sua attività perché tutt’ora non sa nulla sul quando ripartire e soprattutto sul come farlo. Sta pensando di mettere in stand-by tutto. «Adesso non avrebbe senso riaprire con solo dei corsi individuali e con troppe restrizioni. Non rientreremo a tutti i costi. Economicamente la situazione è delicata, abbiamo ottenuto solo uno sconto per l’affitto e la prospettiva di dover chiudere c’è. L’unica soluzione è aspettare che passi la bufera per poi capire come organizzarci al meglio».

2

1. Nella palestra di

Sara a Roma. Alcuni allievi di taekwondo si muovono nella sala seguendo i segni sul pavimento che indicano il metro di distanza

2. Alcuni attrezzi

in una palestra. I macchinari di Giulio, comprati appena prima del locwdown, non possono essere utilizzati

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