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Vincent, Acqua rosso sangue

Acqua rosso sangue

di Vincent

Ero in gita con la mia classe, ma sapevo che qualcosa di insolito sarebbe accaduto.

Io mi chiamo Vincent, questo venerdì siamo partiti per il Lago di Garda, ci siamo preparati, abbiamo preso la nostra merenda e la maestra ci ha accompagnato sull’autobus.

La maestra si chiama Lilia, è snella e molto simpatica, una maestra anche giovane.

Mentre sull’autobus si parlava, si scherzava, si ballava e si cantava, la radio dell’autista parlò di un assassino evaso dalla prigione.

Tutti restammo in silenzio e cominciammo a discuterne, ma la maestra, che sembrava terrorizzata, chiese di fare silenzio e così facemmo.

Dopo qualche ora arrivammo in Veneto, dove ci aspettava una breve passeggiata piacevole per raggiungere la nostra destinazione: il Lago di Garda.

Appena arrivati, c’era una guida ad attenderci che ci doveva dare delle informazioni in più sul posto e sul lago, però era sera quindi ci accompagnò al nostro hotel lasciandoci con l’avvertimento di stare attenti e tutti, molto confusi e sorpresi, ci andammo a sistemare nelle nostre camere. - Aiuto! Aiutoo!- gridò una voce femminile.

Tutti, compreso l’autista, ci svegliammo di soprassalto e ci radunammo in cucina.

Giovanni chiese chi potesse essere stato, ma nessuno lo sapeva. Perciò decidemmo di controllare tutte le camere, ma senza risultato. Eravamo impauriti, speravamo si trattasse di uno scherzo e tornammo nelle nostre camere. Io feci fatica ad addormentarmi, perché non facevo altro che pensare a quel grido, ma mi dissi che l’indomani si sarebbe risolto tutto. Pima di chiudere gli occhi sentii scricchiolare la porta e poi aprirsi lentamente.

Al di fuori della porta c’era una sagoma che non riuscii a distinguere, ma sentivo che mi stava osservando. Respirava affannosamente e teneva in mano un coltello, forse un pugnale, o qualcosa di simile. Nonostante la paura, riuscii a spingermi lentamente fuori dal letto e a nascondermi sotto di esso, sperando di non essere notato.

La porta si richiuse velocemente dietro di lui ed io, impaurito, restai a fissarlo. Il suo volto era coperto da un passamontagna, per questo non lo riconobbi, ma da come si muoveva pareva essere un uomo, non tanto alto, snello. Cercava qualcosa, probabilmente me, ma non toccò nulla. Trattenni il respiro. Finalmente uscì dalla mia camera e potei tornare a letto. Ero salvo.

Ci svegliammo al mattino presto, curiosi di continuare la nostra gita e di scoprire cosa fosse successo quella notte.

Ad attenderci nella hall, c’era la guida che chiese a noi se sapessimo dove fosse la maestra. Attendemmo invano, perché della maestra non c’era neanche l’ombra. Allora la guida decise di accompagnarci lo stesso sulle sponde del Lago di Garda: c’era un paesaggio meraviglioso da mozzare il fiato, se non fosse che al centro del lago si vedeva una sporca e grande chiazza di acqua rosso sangue con qualcosa che galleggiava su di essa... - È la maestra, è la nostra maestra! - urlò Emanuele.

La guida, presa dal panico, chiamò subito la polizia e l’ambulanza che arrivarono poco dopo.

I sommozzatori non persero tempo, recuperarono il corpo e lo trascinarono nel furgone. Notai che insieme alla polizia era arrivato anche l’investigatore Antonio Sillitti pronto ad indagare sul caso.

L’investigatore interrogò noi ragazzi, la guida, l’autista ed il giardiniere che aveva da poco tagliato l’erba.

Tra i compagni nessuno aveva visto nulla, io, invece confessai di aver notato la maestra parlare col giardiniere come se si conoscessero da tempo e di aver sentito il grido poco dopo.

La guida non notò niente di particolare che facesse

pensare a quell’omicidio.

L’autista non dichiarò nulla, era molto cupo e silenzioso.

Il giardiniere fu interrogato per ultimo, negò di conoscere la maestra e disse che la sera prima si era avvicinato a lei solo per chiederle un’informazione sulle rose.

Sul corpo della maestra furono trovate delle spine di rosa, proprio tra le dita, quindi il principale sospettato fu il giardiniere.

Eravamo tutti a cena in attesa che venissero i nostri genitori a prenderci; la mia mamma arrivò un po’ prima degli altri, si imbatté nell’autista e discusse con lui perché aveva posteggiato l’autobus davanti l’ingresso dell’hotel nel posto dei disabili. Si accorse inoltre che aveva una macchia rossa sul colletto della camicia, sembrava più che altro del rossetto. Dopodiché mi raggiunse e ci incamminammo verso il parcheggio, ma prima di salire sull’auto, la mamma mi raccontò ciò che aveva visto sulla camicia dell’autista.

Subito corsi dentro l’hotel per parlarne con l’investigatore che, sentita la notizia, interrogò mia mamma, poi di nuovo l’autista, il quale, dopo tante domande, raccontò finalmente la verità. - Io e Lilia avevamo una storia d’amore; fui preso dalla gelosia quando quella sera la vidi parlare col giardiniere, dai loro sguardi capii che tra loro era nato qualcosa, perché lui era troppo gentile e le aveva regalato delle rose. Allora, accecato dalla gelosia la accoltellai e buttai il suo corpo dentro l’acqua insieme alle rose. Nascosi il pugnale sporco di sangue sotto terra vicino alle rose.

L’autista scoppiò a piangere. Fu subito portato alla centrale di polizia in attesa di essere processato.

L’investigatore mi ringraziò e, offrendomi un bel gelato, mi disse che avevo la stoffa per fare questo mestiere.

Avrò anche la stoffa del detective come mi ha detto l’investigatore, ma ancora non riesco a spiegarmi quell’ombra che mi fissò la scorsa notte. Se fosse l’autista o qualcun altro non si saprà mai.

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