IN ARMONIA
PSICOLOGIA
La scrittura come terapia ∞ A CURA DI ELENA BUONANNO
Mettere nero su bianco i pensieri che ci attraversano, ma soprattutto gli eventi traumatici, i momenti difficili particolarmente densi a livello emotivo, può contribuire a migliorare il nostro equilibrio psico-fisico. «Immaginiamo un foglio bianco, una penna e i nostri pensieri: il foglio diventa uno spazio, la penna si trasforma in voce e i pensieri si concretizzano in frasi e parole. Inizia in questo modo un intimo dialogo con il nostro io più profondo, con la nostra anima. La scrittura ci permette di rielaborare e analizzare a fondo ciò che ci tormenta o che per noi risulta più difficoltoso da affrontare e/o comprendere. Scrivere ci consente di fare chiarezza, questo perché tradurre i pensieri in parole
richiede un processo di elaborazione che ci obbliga così a razionalizzarli» spiega la dottoressa Michela Gritti, psicologa clinica. Dottoressa Gritti, perché scrivere fa bene? La narrazione permette di conferire nuovi significati a eventi importanti che hanno caratterizzato la nostra vita e di ricollocare momenti ed emozioni dolorose nel passato. Il potere della scrittura è prima di tutto quello di aiutarci a esprimere le emozioni, gli stati d’animo e le paure: già facendo questo potremo notare un abbassamento del nostro livello di attivazione emotiva. Attraverso la scrittura abbiamo la possibilità di esplorare il nostro mondo interiore, tutti i pensieri che
abitano nella nostra mente e le emozioni a essi connesse. Inoltre, scrivere aiuta a tenere in ordine i pensieri, a comprendere meglio dilemmi e priorità, così come a diventare più consci di noi stessi e del nostro funzionamento. Per semplificare potremmo dire che scrivere ci aiuta a conoscerci meglio. Quali forme di scrittura si rivelano più efficaci in questo senso? Esistono svariate forme di scrittura. Nei percorsi psicologici spesso si utilizza la forma del diario e dello scambio epistolare. Ogni scelta, comunque, viene concordata con il paziente. Gli esercizi di scrittura infatti non fanno per tutti, perciò in ambito terapeutico vanno propo-
In uno degli esperimenti dello psicologo sociale americano James Pennebaker, uno dei pionieri della scrittura terapeutica, il ricercatore prevedeva che due gruppi di studenti narrassero con carta e penna il loro trauma più importante per almeno quindici minuti al giorno e per almeno tre giorni consecutivi. Il primo gruppo avrebbe dovuto fare questo esercizio descrivendo solamente i fatti accaduti, il secondo avrebbe dovuto unire alla descrizione dei fatti quella delle emozioni a essi associate. Un terzo gruppo, definito di controllo, aveva il compito di descrivere, nelle stesse modalità, un argomento ritenuto superficiale, ad esempio parlare di abbigliamento o di viaggi. A ogni partecipante fu chiesto di scrivere di impulso, come se la penna non dovesse mai staccarsi dal foglio e di sospendere per tutto il tempo della sessione qualsiasi forma di giudizio sullo stile, sull’ortografia o sulle scelte lessicali effettuate. I risultati di questa prima osservazione furono incoraggianti, poiché il numero di visite mediche richieste dagli studenti del secondo gruppo di scrittori (numero monitorato nei mesi precedenti e successivi alle sessioni narrative) aveva sperimentato un calo statisticamente notevole. I ricercatori ipotizzarono che nelle persone che avevano narrato, oltre ai fatti, le emozioni associate al trauma, i disturbi di natura psicosomatica fossero in qualche modo diminuiti.
20 | Bergamo Salute | Luglio/Agosto 2022