7 minute read
SPACE ECONOMY
SPACE ECONOMY
DI PATRIZIA CARAVEO*
SPACEX
BOEING
ORMAI AVVIATA LA GARA SPAZIALE TRA LA DUE COMPAGNIE USA. QUALE SARÀ LA PIÙ CONVENIENTE?
» Nella pagina a sinistra dall’alto: il lancio dell’Orbital Flight Test 2 della capsula Starliner, avvenuto il 19 maggio scorso.
Inquadra il QR per il video del lancio di Oft-2.
L’attracco della Cst-100 Starliner di Boeing alla Stazione spaziale internazionale, il 20 maggio. SPACE ECONOMY
La prova generale della navetta Starliner durante il suo secondo volo di prova è stata per la Boeing la fine di un incubo che durava da oltre due anni. Da quando, nel dicembre 2019, poco dopo il lancio dello Oft-1 (Orbital Flight Test) del Cst 100-Starliner, i controllori di volo capirono che c’era un grosso problema a bordo della capsula. Il computer di bordo, che doveva comandare l’accensione dei thruster (i motori per le manovre orbitali), segnava un’ora sbagliata (di ben undici ore) e quindi non dava i comandi nel momento giusto.
LE PROBLEMATICHE DI BOEING
Quando gli ingegneri riuscirono a capire la natura del problema, nel corso dei diversi tentativi di intervento era stato ormai consumato troppo carburante e non ce n’era più abbastanza per raggiungere la Stazione spaziale internazionale. Provocando così il fallimento della missione, che terminò dopo appena due giorni, allargando il divario tra la storica e gloriosa industria aerospaziale e la più giovane SpaceX, che aveva condotto a marzo 2019 un test perfetto per la sua capsula Dragon. Per rendere la situazione ancora più imbarazzante, mentre la Starliner era in orbita si erano riscontrati problemi di comunicazione che avevano messo in evidenza delle carenze nel software della missione; un nervo scoperto per la Boeing, già sotto accusa per i problemi di software che avevano causato due disastri aerei con l‘aereo Boeing 737 Max (ottobre 2018 e marzo 2019). A seguito di questo test fallito, la Nasa si era vista costretta a rivedere i suoi rapporti di fiducia con la Boeing, un’industria da sempre a fianco dell’Agenzia. Una commissione d’inchiesta della Nasa evidenziò almeno 50 potenziali aree critiche che richiedevano un intervento mirato di Boeing. Diciotto mesi dopo il fiasco, nel luglio 2021, la Boeing aveva fatto tutti gli interventi richiesti ed era pronta a riprovare. La navetta Starliner, in cima al vettore Atlas 5 dalla United Space Alliance, era già sulla torre di lancio a Cape Canaveral, ma il lancio venne cancellato, perché 13 valvole della navetta erano bloccate. Per capire cosa fosse successo, hanno dovuto riportare la Starliner in fabbrica. Scoprendo che il propellente era penetrato nelle valvole dove aveva interagito con l’umidità dell’aria per formare acido nitrico che aveva corroso le valvole. In totale, questi due tentativi di lancio erano costati alla Boeing 600 milioni di dollari. Era quindi imperativo riuscire a superare il test previsto per maggio di quest’anno, che prevedeva un attracco alla Iss e un ritorno a terra con un atterraggio morbido. Sebbene si trattasse di un test senza equipaggio, un esito soddisfacente avrebbe rappresentato l’ingresso di un nuovo veicolo per il trasporto degli astronauti nella flotta degli Stati Uniti e dei loro partner.
FINALMENTE LA MISSIONE OFT-2 L’Oft-2 di Starliner è iniziato il 19 maggio sempre da Cape Canaveral. Una volta in orbita, si sono registrati diversi problemi con i thruster, alcuni dei quali si sono inceppati due volte. Per fortuna, la Boeing non ha voluto correre rischi e tutto era abbondantemente ridondante, in modo da poter sostituire eventuali componenti
SPACE ECONOMY
DI DI PATRIZIA CARAVEO
» L’atterraggio nel New Mexico della missione Oft-2 il 25 maggio.
mal funzionanti. C’è stato anche un piccolo problema con il liquido di raffreddamento, risultato più freddo del previsto. È probabile che i tubi siano stati parzialmente ostruiti dal ghiaccio, cosa che ha richiesto un intervento degli ingegneri. Anche l’attracco ha avuto qualche problema, superato al secondo tentativo. Il portello è stato aperto e sono state fatte le operazioni di scarico, seguite da quelle di carico del materiale che doveva tornare a terra. Il 25 maggio, Starliner è atterrata in New Mexico, ammortizzando l’impatto anche con appositi airbag. Gli astronauti che voleranno sul prossimo Starliner si uniranno ai turisti spaziali di Blue Origin, che attualmente sono gli unici ad atterrare sul suolo americano. Ad eccezione dello Shuttle, che tornava a terra come un aereo (senza motore), tutte le missioni Nasa, e ora anche quelle SpaceX, sono sempre ammarate. Sembra che la Boeing, seppure con qualche incertezza, abbia finalmente superato la prova generale. E sulla base dei dati di questo volo la Nasa deciderà se lo Starliner sia pronto per effettuare il trasporto degli astronauti nel prossimo viaggio che potrebbe avvenire alla fine dell’anno oppure all’inizio del prossimo. Ma la Nasa non ha ancora dato l’autorizzazione alla Boeing e, vista la decisione dell’agenzia di opzionare altri cinque lanci con la Crew Dragon di Space X, si sospetta che la fiducia di utilizzare la navetta Boeing stia scricchiolando.
SPACE ECONOMY
LE STRATEGIE
DEL DOPO-SHUTTLE
Dopo tutto, è per questo che la Nasa aveva firmato nel 2014 dei contratti con Boeing e con la compagnia di Elon Musk, nell’ambito del Commercial Crew Transportation Program (Cctp). Dopo il pensionamento dello Shuttle, che aveva tolto agli Stati Uniti la possibilità di lanciare astronauti dal suolo americano, quello che all’epoca la Nasa voleva era la sicurezza di non dovere dipendere più dalla Soyuz russa per il trasporto dei suoi equipaggi. Non che la Soyuz fosse una soluzione poco sicura, dato che la capsula russa ha ottime prestazioni, anche se è un po’ spartana. Quello che ai membri del Congresso Usa non andava giù era l’idea di dipendere dai russi che, operando in regime di monopolio, avevano costantemente aumentato il prezzo. La Nasa aveva iniziato a pagare circa 20 milioni di dollari per astronauta, ma dopo il pensionamento dello Shuttle, nel 2011, il prezzo è schizzato a 60 milioni, per poi continuare a crescere. A partire dal 2009, la Nasa ha acquistato in media sei biglietti all’anno. Una soluzione economicamente conveniente, considerando i costi altissimi dello Shuttle, ma certo poco soddisfacente per il politico medio americano. Per di più, i russi non perdevano occasione di fare notare la dipendenza degli Stati Uniti dai loro lanci. All’epoca della prima crisi in Crimea, nel 2014, erano volate parole grosse da parte del capo dell’agenzia spaziale russa Roscosmos, secondo il quale gli astronauti Usa avrebbero dovuto lanciarsi “con un tappeto elastico”.
UNA QUESTIONE (ANCHE) DI COSTI
Per ricominciare a lanciare i propri astronauti dal suolo americano, la Nasa aveva coinvolto due compagnie, nella speranza che si innescasse un po’ di sana concorrenza. Da un lato, la veterana Boeing, dall’altro la new entry SpaceX. Chi nutriva dubbi sulle capacità di SpaceX si è dovuto ricredere, perché ha raggiunto il risultato con due anni abbondanti di anticipo rispetto alla Boeing, nonostante quest’ultima avesse avuto un contratto più generoso per lo stesso compito: 4,82 miliardi di dollari, a fronte dei 3,14 accordati a SpaceX. Dato che entrambi i programmi prevedono un lancio di prova, seguito da sei di capsule con quattro posti ciascuna, la differenza di costo si riflette sul “biglietto” che la Nasa paga per il trasporto degli astronauti. Dopo avere sottratto i costi di ricerca e sviluppo, il costo di un sedile sul Crew Dragon di SpaceX è di circa 55 milioni a testa, mentre sulla Starliner ogni passeggero deve pagare 90 milioni; un prezzo superiore anche al costo medio che la Nasa ha pagato nel corso degli anni all’agenzia spaziale russa. Quello dei costi è uno dei punti evidenziati dall’ispettore generale della Nasa in un report del 2019, in cui si esaminano tempi e ritardi
*PATRIZIA CARAVEO È DIRIGENTE DI RICERCA ALL’ISTITUTO NAZIONALE DI ASTROFISICA (INAF) E LAVORA ALL’ISTITUTO DI ASTROFISICA SPAZIALE E FISICA COSMICA DI MILANO. del Cctp e si critica la decisione dell’Agenzia di concedere un budget maggiore a Boeing; la quale, secondo alcuni, aveva minacciato di sfilarsi, minando alla base l’idea della ridondanza dei fornitori del servizio. Tutte le grandi aziende spaziali hanno sempre avuto contratti del tipo cost plus (rimborso dei costi più un margine di profitto) e sono poco propense ad accettare quelli a prezzo fisso. Il fatto che i partecipanti alla missione privata Ax-1, che ha utilizzato una navetta Dragon di SpaceX, abbiano pagato proprio 55 milioni a testa ci dice che il calcolo dell’ispettore è realistico. In verità, l’approccio classico di Boeing, che utilizza ogni lanciatore Atlas 5 una sola volta, porta a prezzi più alti di quelli di SpaceX, che recupera e riutilizza a ciclo continuo i primi stadi dei suoi razzi. Per questo, una volta esaurito il contratto Cctp, è difficile credere che SpaceX abbia qualcosa da temere nel campo del trasporto equipaggi privati oltre l’atmosfera. Allo stato attuale delle cose, Boeing ha in programma di effettuare solo i lanci previsti dall’accordo. All’orizzonte non ci sono clienti privati, per almeno due motivi: da un lato, il lanciatore Boeing sfrutta i motori russi RD 180 ricondizionati, in questo momento colpiti dalle sanzioni e quindi non più acquistabili. Quelli disponibili basteranno solo per i lanci previsti senza possibilità che se ne aggiungano altri, a causa del prezzo maggiore. Dall’altro, se un’agenzia governativa può decidere di pagare di più per non dipendere da un solo fornitore o per difendere posti di lavoro, il cliente privato sceglie il prezzo più conveniente.