dfo - Digital Financial Officer settembre 2018

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DIGITAL FINANCIAL OFFICER

settembre 2018 Blast21 Srl - 20123 Milano, Via M. Bandello 15 Trimestrale - anno II - Numero 7 - settembre 2018 Poste Italiane SpA - Sped. in a.p. - D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB milano

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A A R


sommario SCENARI Aziende familiari: l’agenda 20 dei futuri leader

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Grande manifattura, Italia fanalino 22 di coda in Europa Un ruolo strategico, 24 grazie all’automazione Più supporto al credito di filiera 26

INTERVISTA Digitale e finanza alternativa 30 per il nuovo CFO

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DOSSIER Soluzioni di credit management per 36 crescere al riparo da rischi Come pagano le imprese e gli 38 strumenti per la gestione del credito

INFORMAZIONI DALLE AZIENDE Tecnologie per un ufficio 40 davvero smart

AZIENDA La tesoreria nel mondo che cambia 42 Reporting finanziario moderno: 44 la grande sfida per i CFO Il marchio “Made in Italy”? 46 Genera valore, ma non basta 2 dfo - settembre 2018

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sommario

dfo

DIGITAL FINANCIAL OFFICER

www.dfo.media Numero 7 - Settembre 2018 Direttore responsabile Alberto Grisoni - agrisoni@aziendabanca.it

30

Redazione Barbara Botti - bbotti@aziendabanca.it Simone Rizzo - srizzo@aziendabanca.it Gaja Calderone Advertising Mariuccia Ritrovato - mritrovato@aziendabanca.it Hanno collaborato Elena Giordano, Francesca Ruggiero, Rosaria Barrile, Paolo Fioroni Progetto grafico e Impaginazione Clementina Occhipinti Stampa - Àncora Arti Grafiche Crediti Immagini Copertina e pag. 30: ImageFlow. Pag. 7: Wolfliser. Pag. 8: Optura Design. Pag. 9: Macgyverhh. Pag. 10: Phonlamai Photo. Pag. 26: NESPIX. Tutte le foto sono di shutterstock.com Redazione Blast21 Srl - Via F. Caracciolo, 68 - 20155 Milano Tel. 02 49536590 4 numeri l’anno. L’abbonamento andrà in corso, salvo diversa indicazione, dal primo numero raggiungibile. Italia 10 euro. La copia 3,90 euro. Arretrati il doppio. Estero 20 euro. Sped. in a.p. - D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Milano Autorizzazione tribunale di Milano n. 74 del 7/02/2017. È vietata la riproduzione, anche parziale, di quanto pubblicato senza la preventiva autorizzazione scritta di Blast21.

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Ai sensi del decreto legislativo 196/2003, le finalità del trattamento dei dati relativi ai destinatari del presente periodico, o di altri dello stesso Editore, consistono nell’assicurare una informazione tecnica, professionale e specializzata a soggetti identificati per la loro attività professionale. L’Editore, titolare del trattamento, garantisce ai soggetti interessati i diritti di cui all’art.13 del suddetto decreto. Gentile lettore, alcune copie del mensile AziendaBanca sono inviate gratuitamente per finalità di marketing diretto. Il destinatario finale può, in qualunque momento, contattare la redazione per richiedere l’aggiornamento o la rimozione del proprio nominativo dalla mailing list.

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nomi

A ANDAF............................................18 Assifact...........................................26 Attiva................................................ 7 AWOS............................................... 6 B Banca IFIS......................................... 7 BorsadelCredito.it............................ 6 BPER Banca...................................... 6 Bruschi Roberto............................. 42 Bulfoni Antonio..............................19 Buonaguidi Andrea........................ 19 C Calabrese Salvatore....................... 18 Cant Leslie......................................44 Capgemini......................................24 Carrà Alessandro............................ 19 Cartiera dell’Adda........................... 16 CCH Tagetik....................................44 Coface............................................10 Colombini Matteo.......................... 30 Crédit Agricole Italia....................... 26 CRIBIS.............................................38 CRIF.................................................. 8 D Darag..............................................18 Deloitte...........................................20 E EcoNaturaSì....................................26 ERA.................................................30 European FinTyre Distribution....... 18 F Ferrero...........................................26 Foriba.............................................14

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Fox Networks Group Italy.............. 19 Frigato Carlo...................................18 G Giglio Group...................................18 Grafiche Bramucci.......................... 16 Gruppo Gabrielli............................ 18 Gruppo Isem..................................16 H Halley James..................................18 Hays.................................................. 9 Holding Fr.......................................16 HSBC...............................................46 I Inaz.................................................13 Industra Cartaria Pieretti............... 16 Infocert...........................................14 Intrum............................................12 K Kelly Services..................................19 L Leanus............................................13 LSWR Group...................................30

O Orogel.............................................26 Orsero............................................30 P Palmieri Gianluca...........................19 Pezone Tommaso...........................30 PharmaNutra.................................19 Politecnico di Milano...............14, 26 Pompignoli Marco.......................... 19 Preti Marco....................................38 Prismi.............................................19 R RCS Media Group...........................19 S Sarti Francesco...............................19 Siamo Soci........................................ 6 Spezin Finanziaria.......................... 30 T TAS Group......................................42 Tesla................................................. 7 Tomassetti Massimo...................... 18 U UniCredit........................................26 Unipol Banca.................................... 7

M Maraz Galassi Carlo....................... 30 Mariano Marco..............................46 Mediobanca...................................22 Mendia Mario................................42 Messina Massimiliano................... 18 MolMed.........................................18

V Valbormida.....................................16 Viasat..............................................13 Viganò Giovanni.............................30 Vincenzo Zucchi SpA...................... 19

N Nutkao............................................16

W White Bridge Investments............. 16


editoriale

CHE COSA IMPARARE DALL’ADDIO DI FOODORA

Alberto Grisoni Direttore di DFO

Foodora venderà le proprie attività in Italia. Per chi non lo sapesse, Foodora è uno dei brand più noti della nuova “gig economy”, o “economia dei lavoretti”. Una multinazionale che ha il classico modello di business snellissimo delle startup: non possiede niente tranne una piattaforma informatica (web e mobile) che mette in contatto consumatori affamati con ristoranti. E arruola dei “rider” per consegnare il pasto a domicilio, in sella a biciclette e scooter. Un business piuttosto scalabile, sarete d’accordo. Eppure, Foodora lascia non solo il nostro Paese (chi ha provato a costruirci un caso contro il Decreto Dignità ha rapidamente fatto marcia indietro) ma anche Francia e Olanda, mentre ha già abbandonato l’Australia lo scorso 20 agosto. La ragione? Troppa concorrenza. Meglio concentrarsi sui paesi in cui il brand è già forte. Sembra una inversione di tendenza rispetto al modello delle startup, dove l’orizzonte sembra sempre globale. Un brand, un modello, il mondo. Come Amazon, Google, Facebook, Apple e così via. E invece. E invece alcuni modelli di business sono anche troppo scalabili. Facilmente replicabili. Addirittura una commodity. Per competere bisogna generare valore, mentre una piattaforma che mette in contatto clienti e ristoratori è alla portata di tutti. La trovate in white label per qualche spicciolo, online. Ovvio che ci sia competizione. Che cosa può fare la differenza? Il brand, certo, con tutte le considerazioni legate alla reputazione, ai mass media e ai social network. L’abitudine del cliente, e qui conta essere arrivato per primo (ma anche arrivare secondo, facendo tesoro degli errori del first mover, ha i suoi vantaggi). Il prezzo, va da sé. E poi la componente soft, l’ultimo miglio: la tempestività della consegna, la gentilezza del fattorino, la qualità dell’assistenza clienti. Bisogna investire in tante cose, per avere successo: la tecnologia da sola non basta. Buona lettura

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brevi - mercato

BorsadelCredito.it e siamo soci insieme per le PMI P2P lending e crowdfunding, 2 servizi in uno. Grazie all’accordo tra BorsadelCredito.it e SiamoSoci, le PMI che hanno ottenuto un prestito P2P possono accedere a condizioni agevolate a una campagna crowd su Mamacrowd.com di SiamoSoci. E viceversa. Oltre 700 imprese potranno fruire di questo servizio. Un punto unico di accesso al credito, senza costi aggiuntivi. Che risponde a un’esigenza del mercato. “È risaputo infatti“, si legge in una nota “che le società che riescono a capitalizzarsi adeguatamente e in maniera diversificata, attraendo nuovi azionisti, migliorano il proprio rating e di conseguenza il proprio me-

rito di credito. Allo stesso tempo però gli investitori sono più favorevoli a valutare il proprio ingresso in aziende che hanno dimostrato di sapersi finanziare anche attraverso il debito“. Scambi di valutazione creditizia Alla base dell’accordo tra BorsadelCredito.it e SiamoSoci c’è un processo di valutazione coordinata: la prima valuta il merito creditizio delle imprese che poi passano al crowdfunding; viceversa le imprese che arrivano su BorsadelCredito.it sono già state valutate da SiamoSoci. Le aziende e le startup ottengono quindi in tempi più rapidi il via

libera per iniziare a farsi finanziare. E possono contare sulla due diligence eseguita da Mamacrowd. Le imprese target Le aziende dovranno comunque rispettare i criteri di valutazione delle due piattaforme: per BorsadelCredito.it le PMI devono avere infatti un minimo di 12 mesi di attività e un fatturato di almeno 50mila euro. Mentre per avviare una campagna di crowdfunding con SiamoSoci, le imprese devono rispettare i requisiti Consob e superare la due dilligence. Per questo, il target sono le PMI con un fatturato tra 1 e 15 milioni.

BPER CON AWOS PER L’EXPORT DELLE IMPRESE Nuovo accordo per le imprese esportartici da BPER Banca. In collaborazione con l’associazione no-profit AWOS (A World of Sanctions), saranno organizzate giornate formative e di confronto sui temi dell’export, aperte a tutte le aziende. Focus sugli embarghi e la regolamentazione Il focus è in particolare sulle aree sottoposte a embarghi o a restrizioni alla movimentazione dei beni, un ostacolo per le imprese che puntano ai mercati esteri. Si parlerà poi di export control, ovvero dei controlli previsti per evitare violazioni in materia di operazioni di esportazione di prodotti e di tecnologie. “L’export del resto continua a raggiungere nuovi record storici (450miliardi di euro nel 2017) e rappresenta una scelta obbligata per una buona fetta del sistema imprenditoriale italiano”, si legge in una nota. Chi è AWOS? AWOS è un progetto italiano che segue lo sviluppo dei principali regimi di sanzioni economiche internazionali, sia UE che extra UE. Presieduta da Zeno Poggi, l’associazione conta anche su un Comitato Scientifico, con professionisti specializzati sul settore industriale e bancario e rappresentanti delle autorità. 6 dfo - settembre 2018


mercato - brevi

Leasing. Banca IFIS firma con Tesla, Unipol e Attiva Triplo accordo sul leasing per Banca IFIS Impresa: protagoniste Tesla, Unipol Banca e Attiva. Banca IFIS partner di Tesla Grazie all’accordo con Tesla, Banca IFIS Impresa diventa preferred partner per l’Italia: a disposizione di tutti coloro che desiderano finanziare, attraverso lo strumento del leasing, un veicolo Tesla un’offerta ad hoc da parte dell’istituto.

Promozione e formazione in Unipol Banca La partnership con Unipol Banca punta invece, come si legge in una nota, “a promuovere il leasing finanziario dei segmenti strumentale e autoveicoli tra i clienti della banca in tutta Italia“. In programma anche corsi di formazione dedicati alla rete territoriale di Unipol. Accordo con Attiva per la tecnologia Ultimo accordo è infine quello con

Attiva, che amplia così la sua offerta tecnologica con i servizi finanziari di Banca IFIS Impresa (preferred partner). «Le intese firmate sono un segnale forte che Banca IFIS Impresa dà alle aziende del territorio, oltre che ai propri partner – dichiara Massimo Macciocchi, Direttore Leasing di Banca IFIS Impresa. Vogliamo essere sempre più vicini alle esigenze delle piccole e medie imprese, supportando a 360° l’attività imprenditoriale».

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brevi - mercato

Split Payment. L’impatto sulle PMI resta limitato Lo split payment non ha messo alle strette più di tanto le PMI. Dati del 2015 alla mano, è CRIF a dirlo: gli effetti del meccanismo di scissione pagamenti sul livello di indebitamento delle piccole imprese italiane sono stati minimi. IVA e split payment: effetti limitati I settori maggiormente colpiti dal meccanismo nel 2015 sono stati utilities, costruzioni e infrastrutture, manifattura, commercio e trasporti e logistica. Qui le metriche del credito sono chiaramente migliorate tra il 2013 e il 2016: il valore medio dell’indicatore del debito finanziario lordo/ EBITDA è passato a 3,3x nel 2015 da 3,4x nel 2014.

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Lo split payment nel 2018? Effetti “riassorbibili” L’estensione della direttiva, decisa a gennaio, potrebbe comunque avere un impatto negativo sul ciclo del capitale circolante per le PMI italiane nel 2018. In primis a causa dall’accumulazione di crediti IVA. Ma il conseguente scompenso di liquidità sarà riassorbito nella dinamica del capitale circolante nel 2019. Del resto le imprese hanno a disposizione varie alternative per finanziare il fabbisogno di capitale circolante nel 2018: riserve di liquidità, anticipi bancari, factoring e cartolarizzazioni, soluzioni i cui effetti sui livelli di indebitamento sono molto variabili. Anche per questo è improbabile, secondo CRIF, che

lo split payment sarà esteso oltre il 2020. I numeri dello split payment Eppure dal suo lancio a oggi lo split payment ha raggiunto numeri notevoli. La porzione di IVA soggetta al regime è stata pari nel 2015 a circa 6,7 miliardi di euro, ovvero il 9,8% del gettito IVA complessivo dalle società di capitali. Le richieste di rimborso IVA relative allo stesso periodo d’imposta sono invece cresciute di 2,13 miliardi di euro, raggiungendo 9,97 miliardi in totale (+27%). Sono quindi aumentati i crediti per imposte di circa 1,5 miliardi di euro nel 2015 (+9%), anche se la crescita ha rappresentato solo lo 0,6% del debito finanziario totale del campione analizzato.


mercato - brevi

Finance. I CFO sono ancora le figure più pagate

I CFO guadagnano ancora più di tutti (o quasi). Secondo l’ultima Hays Salary Guide, il Direttore Finanziario resta in cima alla classifica dei professionisti Finance più pagati, seguito dal Project Cost Control Manager e dal Financial Controller. Lo stipendio del CFO E, stipendi alla mano, il primo gradino del podio è più che giustificato: 120mila euro è quanto prende in media all’anno un CFO senior nell’ambito della GDO e del retail (salario mensile fisso lordo moltiplicato per 13). Ma non se la passano male anche i Project Cost Control Manager, che

arrivano a guadagnare anche 70mila euro all’anno. Così come i Financial Controller, che però si fermano a quota 65mila euro. Buste paga più leggere invece per i Retail Controller (che all’anno guadagnano fino a 50mila euro) e i Payroll Coordinator (fino a 40mila euro). Finance: crescono le posizione aperte … Del resto il Finance appare in ripresa agli occhi degli analisti di Hays, tanto che le posizioni aperte sono destinate ad aumentare ancora nei prossimi 5 anni. La maggior parte delle aziende si dice a caccia di nuovi professionisti, in specie profili tecnici

(spinti anche dalla ricerca continua in ambito blockchain e criptovalute) e di middle management. … soprattutto nel settore auto e industriale I settori più aperti a nuove assunzioni sono quello industriale, l’automotive, quello dei macchinari complessi, il mondo della Power Generation e quello della meccanica di precisione. I profili più richiesti sono invece il Business/Sales Controller, seguito dal Finance Manager e dal Tax Specialist/ Manager. Meno richiesti i profili più tradizionali, come quelli legati all’area amministrativa o legal. settembre 2018 - dfo 9


brevi - mercato

Siderurgia. La ripresa c’è, ma il rischio resta alto

Un ritorno ai livelli pre-crisi ma un’alta instabilità. Fotografa così Coface il mercato dei metalli a livello globale: da metà 2016 il settore è in ripresa e i prezzi vivono una tendenza al rialzo, ma potrebbe essere un trend non destinato a durare. L’impennata dei prezzi non scongiura i rischi Eppure per ora il segno più è evidente e marcato. Aumentano del 37% rispetto a inizio 2016 i prezzi dell’alluminio, quadruplicano quelli del cobalto, mentre quelli del rame e del nichel crescono rispettivamente del 44% e del 53% e vanno molto vicini al raddoppio anche quelli dello zinco. Sono cifre che però non bastano per permettere a Coface di togliere il settore 10 dfo - settembre 2018

dai comparti a “rischio di credito elevato”. Preoccupano in particolare le vendite all’ingrosso e il rapporto instabile con i grandi clienti di punta. Il peso del protezionismo a stelle e strisce Di sicuro poi le misure protezionistiche degli Stati Uniti (dazi doganali sulle importazioni di acciaio e alluminio) e dell’Unione Europea (dazi antidumping su acciaio e ferro) non aiutano. I produttori di metalli cinesi ad esempio si sono allontanati da questi mercati per riorientarsi verso il mercato interno. E i dazi doganali cinesi imposti sui tubi in acciaio, gli aerei e le auto in risposta a Trump probabilmente non avranno l’effetto sperato.

Salvi i metalli di base … Inoltre tutti gli indicatori mostrano che l’economia mondiale ha già raggiunto il suo picco di crescita, quindi i prezzi potrebbero tornare in calo a partire dal 2019. Sicuramente i principali metalli di base non ne risentiranno più di tanto, spinti anche dalla ripresa della domanda di batterie e componenti elettronici: l’alluminio può crescere ancora del 2% entro il 2019, il rame del 2,4%, lo zinco e il nichel rispettivamente del 14% e del 18%. … ma in calo quelli ferrosi Lo stesso non si può dire però dei metalli ferrosi: i prezzi dell’acciaio potrebbero diminuire del 19% a causa soprattutto dei produttori cinesi, ma anche dell’elevato indebitamento generale delle imprese.


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Aziende italiane. Più insolvenza, meno liquidità Ritardi nei pagamenti, freno per la liquidità. Nei primi tre mesi del 2018, in Italia, il 52% delle imprese non ha pagato intenzionalmente le proprie fatture, un dato in linea con la media europea (48%) ma che di sicuro non fa bene alla liquidità. In ritardo la PA e il B2B, meglio solo il B2C L’ultimo European Payment Report di Intrum conferma un quadro ormai noto, così come la principale causa dei ritardi nei pagamenti: le difficoltà finanziarie dei clienti. Per il 61% delle realtà intervistate in Italia è così (per il 62% del campione in Europa). Nel nostro Paese la più ritardataria è come sempre la PA: in media vengono concessi 73 giorni per pagare ma nella maggior parte dei casi si superano i 104. Se la cava meglio il B2B dove la media si attesta sui 56 giorni, contro i 50 offerti. Anche se ancora lontano dai risultati raggiunti dal B2C

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dove le imprese riescono a pagare in anticipo rispetto alla scadenza. Meno liquidità: un freno all’occupazione? Le conseguenze sono problemi di liquidità e perdita di fatturato ma a rischio c’è la sopravvivenza dell’azienda stessa. Tanto che quasi 6 imprese italiane su 10 ricorrono agli anticipi di pagamento (contro le 4 su 10 in Europa). I ritardi di pagamento sono invece collegati solo in parte al calo dell’occupazione: solo il 15% degli intervistati (il 40% lo scorso anno) afferma infatti che una maggiore velocità nei pagamenti farà da volàno per le nuove assunzioni. Il 39% si mantiene scettico ma c’è un buon 31% che invece è proprio convinto che non porterà maggiore occupazione. Le PMI le aziende più in difficoltà Ma quali sono le imprese più in difficoltà? Tra le più ritardatarie troviamo

ancora le PMI (68%, ma in miglioramento rispetto all’81% del 2017), seguite dalle realtà del settore pubblico (44%, il 26% nel 2017). Le aziende creditrici hanno comunque iniziato a essere meno flessibili sui ritardi: il 55% di queste imprese non accetta termini di pagamento più lunghi rispetto a quanto concordato (erano il 23% l’anno scorso). E se proprio costrette ad accettare il pagamento in ritardo, lo fanno con una PMI nel 64% dei casi, nel 48% dei casi con una grande multinazionale. Sconosciuta la direttiva UE sui pagamenti La direttiva sui mancati pagamenti della Commissione Europea non sembra quindi aver risolto un granché. Anche se la possibilità di addebitare 40 euro di spese più interessi ai clienti in ritardo potrebbe potenzialmente risolvere tutti i problemi. A livello europeo però solo il 31% delle aziende afferma di essere a conoscenza della direttiva: in Italia ben il 60% del campione non sa nulla in materia. C’è poi anche un buon 49% che, benché informato sulla normativa, non usufruirebbe dei suoi vantaggi.


tecnologia - brevi

Viasat-Inaz.

La gestione delle flotte aziendali si fa hi-tech

chiamato Gestione Parco Auto, per controllare costi, consumi, contratti, scadenze di ogni singolo mezzo. Ci vuole intelligenza (artificiale) per la gestione delle flotte aziendali. Viasat, società di sicurezza satellitare, e Inaz, professionista HR, sono pronte a lanciare sul mercato un nuovo sistema automatico di fleet management. La soluzione si chiama iFMS (intelligent Fleet Monitoring Solutions) e per-

mette di geolocalizzare e avere sempre sotto controllo la flotta aziendale e le relative spese di viaggio. Alla base c’è l’applicazione WebConsole Viasat Fleet, che comprende anche assistenza e protezione H24 grazie alla Centrale Operativa Viasat. E a cui si aggiunge un applicativo web,

Dalla localizzazione alla busta paga Basta installare a bordo del veicolo una blackbox Viasat, indispensabile per la localizzazione, la tracciabilità della flotta e la pianificazione delle attività di viaggio. L’integrazione con gli applicativi Inaz permetterà invece di elaborare in automatico le buste paghe includendo le spese degli spostamenti.

Accesso al credito. Se l’automazione non aiuta A volte il rating non basta. È così nel mondo del credito alle imprese dove, mentre banche e FinTech continuano a studiare nuovi modelli di valutazione creditizia automatica, un azienda su 4 si ritrova esclusa dai finanziamenti bancari. L’imprecisione” delle valutazioni automatiche È un meccanismo che, a quanto pare, non funziona quello fotografato nel corso di un recente seminario organizzato da Leanus. A oggi ammontano a circa 800 miliardi di euro i debiti a carico delle imprese italiane, ma il sistema imprenditoriale lamenta ancora grosse difficoltà nell’accesso alle risorse finanziarie: i processi di valutazione sono ancora troppi lunghi e, quando sono rapidi e automatici, spesso gli score generati e l’effettiva situazione aziendale non corrispondono. Il caso degli accantonamenti patrimoniali Gli accantonamenti patrimoniali sono l’esempio perfetto: definiti quasi interamente attraverso automatismi (gli score), sono proporzionali alla perdita attesa in caso di default. Ma rating di questo genere sono davvero in grado di defi-

nire il profilo di rischio di un impresa e di prevedere anche il futuro? Un’analisi basata solo sugli score, infatti, se da un lato mira a ridurre il rischio degli istituti di credito, dall’altro impedisce spesso di cogliere molte opportunità celate nei bilanci. Ricorrono al credito solo le grandi imprese Non stupisce allora come dei circa 800 miliardi di debiti delle imprese verso le banche, il 69% è in capo a poco più di 8mila imprese con ricavi maggiori di 50 milioni di euro. Se al 31% residuo si sottraggono le imprese che non ricorrono al debito (circa il 25%) le imprese di minori dimensioni con finanziamenti bancari attivi sono poche. Il mercato potenziale Eppure il potenziale sarebbe enorme. Solo tra le imprese che non ricorrono al credito troviamo circa 30mila aziende con ricavi superiori a 1 milione di euro, che a livello nazionale rappresentano circa 500 miliardi di euro di ricavi generati e quasi 50 di cassa disponibile. settembre 2018 - dfo 13


brevi - tecnologia

Fattura elettronica. Bene il rinvio, ora serve accelerare Più tempo, ma non meno problemi. L’obbligo di fatturazione elettronica slitta a gennaio 2019 per tutti, compresi i carburanti. Restano però le sfide di sempre: per essere compliant si deve accelerare sulla digital transformation. Verso la fatturazione elettronica Come è emerso nel corso di un recente convegno del Politecnico di Milano, la proroga ha fatto tirare a tutti un sospiro di sollievo. In primis ai benzinai che, insieme ai sub-appaltatori pubblici, avrebbero dovuto già essere pronti sul fronte della fattura elettronica dal primo luglio 2018. Sei mesi in più che permetteranno di intervenire su ciò che ancora frena questa novità digitale: l’assenza di standard comuni ad esempio e la tecnologia ancora poco diffusa. Sei mesi in più per adeguarsi Quali software installare? Di quali app dotarsi? Benzinai, ma non solo, dovranno trovare una risposta a queste domande, capire come gestire le comunicazioni con l’SdI, il Sistema di Interscambio gestito 14 dfo - settembre 2018


tecnologia - brevi

dall’Agenzia delle Entrate, e come prepararsi al meglio per dire addio alla vecchia scheda carburante e aprirsi alla fatturazione elettronica. Ci sarà da comprendere poi se, almeno per i primi sei mesi, si vivrà una fase di doppio regime (fatturazione elettronica e sistemi tradizionali) o meno. Le sfide delle grandi aziende Le aziende di grande dimensioni come Eni, Enel, Pirelli e Fastweb sono sulla buona strada. Come hanno raccontato al convegno, già da tempo utilizzano piattaforme per la fatturazione elettronica per le transazioni con i fornitori all’interno dell’intera supply chain. È chiaro però che in questi sei mesi si dovrà correre per “fare sistema” all’interno della filiera e coinvolgere il più possibile tutti gli stakeholder intorno al tavolo dell’innovazione della fatturazione B2B. Una collaborazione che diventa maggiormente necessaria se consideriamo che servizi B2B di questo genere saranno sviluppati sempre di più in outsourcing piuttosto che inhouse. Ancora limitati gli investimenti nel digitale Diverse sono quindi le sfide, per le grandi aziende, ma soprattutto per le più piccole. Del resto l’investimento nel cosiddetto Digital B2B resta ancora scarso in Italia, nonostante parliamo di un mercato in crescita di anno in anno. Quasi il

60% delle grandi aziende, e il 45% delle PMI, investono meno dell’1% del proprio fatturato nella digitalizzazione. Tra le piccole imprese, per di più, c’è ancora un quarto che non vede opportuno investire nella tecnologia, pur riconoscendola come un vantaggio competitivo. I vantaggi della fattura elettronica Di sicuro i vantaggi della fatturazione B2B digitale sono evidenti. Secondo le previsioni del Bilancio di Stabilità 2018, la fattura elettronica assicurerà ogni anno un incremento di gettito di 2,05 miliardi di euro nelle casse dello Stato. Accanto all’efficienza dei processi e alla semplificazione, contrastare l’evasione fiscale è infatti la priorità:

l’evasione IVA italiana vale oltre 40 miliardi di euro, il 25% sul totale di quella europea (160 miliardi). Il mercato potenziale L’Italia è tra i pionieri nell’avventura verso la fatturazione elettronica. In Europa 16 Paesi non hanno nessun tipo di obbligo, in 4 l’imposizione è parziale, mentre solo in 7 Stati vige una normativa simile alla nostra. E il potenziale mercato c’è tutto: nel 2017 si contano già 30 milioni di fatture elettroniche inviate alla PA, mentre risultano 166mila le fatture elettroniche scambiate, tra fatture EDI (Electronic Data Interchange) e fatture SdI, fra privati. Queste ultime già l’anno prossimo dovrebbero arrivare a quota 223mila.

FORIBA CON INFOCERT PER LA FATTURAZIONE ELETTRONICA InfoCert accelera sull’e-invoicing. Insieme a Foriba, società internazionale attiva nell’e-transformation, nasce una nuova soluzione per la fatturazione elettronica integrata con SAP. Lo strumento permette di verificare lo stato di invio delle fatture attive e la ricezione di quelle passive, oltre che di gestire le più comuni eccezioni. Il modulo di Foriba, in particolare, si integra con qualsiasi installazione SAP, sia on premise sia cloud. La soluzione è pensata soprattutto per le aziende del settore Oil & Gas, che per prime dovranno adeguarsi alla normativa per la fatturazione elettronica B2B in Italia. Grazie all’integrazione con LegalInvoice HUB, i clienti di Foriba inoltre potranno accedere a tutti i servizi trusted offerti da InfoCert: soluzioni di conservazione digitale, firma digitale, marcatura temporale, elaborazione e trasformazione dei documenti. Foriba gestisce in Italia il 70% dell’intero mercato della fatturazione elettronica per un totale complessivo di quasi 26,5 milioni di fatture gestite e un valore mensile delle relative transazioni pari a 20 miliardi di euro.

settembre 2018 - dfo 15


brevi - M&A

Cartiera dell’Adda acquisisce l’80% di Industria Cartaria Pieretti Cartiera dell’Adda Srl ha acquisito l’80% di Industria Cartaria Pieretti SpA, azienda storica lucchese specializzata nella produzione di carta e cartoncini riciclati per uso industriale. Il restante 20% del capitale azionario è rimasto invece di proprietà di Tiziano Pieretti, socio di minoranza nella vecchia compagine sociale, che continuerà a gestire l’azienda in qualità di amministratore delegato. A cedere la propria partecipazione sono stati Graziano Pieretti, Presidente dell’azienda

lucchese fondata dal padre Giuseppe Pieretti nel 1924, con la figlia Carmelina e il fratello Luisiano Pieretti. L’operazione dà origine al primo player sul mercato italiano in termini di tonnellate prodotte di cartone grigio riciclato con un giro d’affari di oltre 120 milioni di euro nel 2018 e 230 dipendenti. Industria Cartaria Pieretti, con sede a Marlia Capannori in provincia di Lucca, fondata nel 1924, si è specializzata col tempo nella produzione di cartoncini riciclati, destinati ai

settori dei produttori di rotoli per carte tissue, di tubi a spirale ed in linea, di imballaggi e di cartone ondulato. La società ha chiuso il 2017 con 52 milioni di euro di ricavi e 110 dipendenti. Cartiera dell’Adda, con sede a Calozio Corte in provincia di Lecco, è controllata dalla famiglia fondatrice Cima e opera dal 1956 nella produzione e vendita di cartone grigio per uso industriale. A sua volta la società ha chiuso il 2017 con 50 milioni di euro di ricavi e 100 dipendenti.

GRUPPO ISEM INTEGRA GRAFICHE BRAMUCCI Grafiche Bramucci Srl ha completato l’aggregazione con il Gruppo Isem, con l’obiettivo di rafforzare il perimetro del gruppo focalizzandone lo sviluppo nei mercati internazionali. Grafiche Bramucci, fondata nel 1966, è specializzata nella realizzazione di raffinati astucci di lusso in cartoncino pieghevole ed è leader nella produzione di packaging di altissima qualità e materiali promozionali per il mondo della cosmesi e del lusso servendo clienti multinazionali e grandi retailer. Il Gruppo Isem opera nel mercato europeo delle scatole rigide di lusso per la profumeria, la cosmetica e lo champagne, con clienti primari quali il gruppo Coty, L’Oreàl, Shiseido e LVMH. La società ha chiuso il 2017 con 32,5 milioni di euro di ricavi e conta oltre 160 dipendenti.

LA HOLDING FR ACQUISISCE LA MAGGIORANZA IN VALBORMIDA SPA La maggioranza del capitale di Valbormida SpA, azienda della Langa Astigiana attiva nella forgiatura dei metalli e fornitore strategico dei principali gruppi internazionali nel settore automotive e macchine movimento terra, è stata rilevata dalla FR, holding della famiglia Rostagno, acquistandola da Sata SpA. 16 dfo - settembre 2018

LA CREMA SPALMABILE DI NUTKAO PASSA A WHITE BRIDGE INVESTMENTS White Bridge Investments ha completato l’operazione di acquisto del controllo del gruppo Nutkao, leader internazionale nella produzione di crema spalmabile a base di cacao e nocciole e semilavorati per l’industria dolciaria. La famiglia Braida ha ceduto una quota pari all’80% del capitale alla holding di partecipazioni italiana White Bridge Investments SpA. Nutkao, fondata nel 1982 da Giuseppe Braida, ha il principale stabilimento produttivo a Canove di Govone (Cuneo), uno in North Carolina (USA) e ha acquisito nel 2018 uno stabilimento in Ghana. Ha registrato nel 2017 un fatturato di 130 milioni di euro.


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carriere

MOLMED. SALVATORE CALABRESE MolMed, azienda biotecnologica specializzata nella cura di cancro e malattie rare, sceglie Salvatore Calabrese come nuovo Chief Financial Officer, sostituendo Andrea Quaglino. Salvatore Calabrese ha iniziato la propria carriera in PriceWaterhouseCoopers, dove è rimasto per 7 anni presso le sedi di Milano e di Boston, seguendo numerose società del settore biotech quotate al NASDAQ e al NYSE, per poi passare come Accounting & Finance Manager in Novuspharma. Dal 2005 al 2014 ha lavorato poi in Gentium, contribuendo alla quotazione della società al Nasdaq, dove ha ricoperto diversi ruoli, tra cui Senior Vice President, Chief Financial Officer e Chief Operating Officer e infine quello di General Manager e Site Leader per la filiale italiana del gruppo. GIGLIO GROUP. CARLO FRIGATO Il CdA di Giglio Group ha nominato Carlo Frigato, già consigliere della società, nuovo Chief Financial Officer e Investor Relator del Gruppo. Nel nuovo ruolo Frigato risponde direttamente all’Amministratore Delegato. Così come Massimo Mancini, attuale Direttore Generale del Gruppo e di recente nominato nuovo dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili. Con la nomina di Frigato prosegue il rafforzamento della struttura manageriale del Gruppo. Il manager ha ricoperto vari incarichi di vertice negli ultimi anni, tra cui quello di CFO nella società Buongiorno.

DARAG. JAMES HALLEY James Halley è il nuovo Chief Financial Officer di Darag. In carica dal 3 settembre, subentra a Mike Trotman. Il manager lavora da oltre 30 anni nel mondo della finanza e della contabilità: è stato in Axa Ireland, Arthur Andersen ed Ernst & Young e ultimamente ha ricoperto il ruolo di Direttore Finanziario in Aegis London. La nomina si inserisce in un più ampio progetto di sviluppo della compagnia, che comprende anche il recente aumento di capitale da 260 milioni di euro. Grazie all’operazione, Aleph Capital Partners e Crestview Partners si sono uniti, in qualità di investitori, a Keyhaven Capital Partners.

EUROPEAN FINTYRE DISTRIBUTION LIMITED. MASSIMILIANO MESSINA Massimiliano Messina è il nuovo Chief Financial Officer di European FinTyre Distribution Limited (EfTD), distributore paneuropeo di pneumatici di sostituzione. Messina va a rafforzare i vertici della società, realtà che conta su un fatturato di 1,1 miliardi di euro, più di 1.300 dipendenti e attiva soprattutto in Germania e Italia. Oltre a dedicarsi all’ottimizzazione delle risorse finanziarie e a guidare le leve di controllo gestionale, Messina ha anche la responsabilità dell’attività di M&A. Il nuovo CFO riferisce direttamente al CEO Mauro Pessi. Prima di approdare in EfTD, Messina ha rivestito diverse posizioni in General Motors, come Chief Financial Officer di Chevrolet e Cadillac Europe, in Delphi Corp, come EMEA Executive Finance Director, in Vivarte, come Chief Operating Officer di Gruppo, e in LafargeHolcim, come Senior Vice President Finance. 18 dfo - settembre 2018

GRUPPO GABRIELLI. MASSIMO TOMASSETTI Massimo Tomassetti si unisce al Gruppo Gabrielli come Direttore Amministrazione Finanza e Controllo (CFO), rispondendo all’AD Mauro Carbonetti. Tomassetti ha maturato varie esperienze in realtà aziendali nazionali e internazionali tra cui in Dayco Europe e Otis, dirigendo le diverse funzioni dell’area finanziaria. La nuova direzione AFC, sotto la guida di Tomassetti, unisce la direzione Amministrazione Finanza e Controllo e quella Controllo di Gestione (DCG).

ANDAF CONFERMA LA GOVERNANCE FINO AL 2020 ANDAF, Associazione Nazionale Direttori Amministrativi e Finanziari, rinnova i membri del Consiglio Direttivo in carica per tutto il triennio 2018/2020. Alla Presidenza è stato confermato Roberto Mannozzi (Direttore Centrale Amministrazione, Bilancio e Fiscale del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane) insieme ai Vice Presidenti Massimo Campioli (CFO Società M-I Stadio) e Carmine Scoglio (Responsabile Servizi Amministrativi Poste Italiane). Restano in carica inoltre il Tesoriere Cristina Cagnazzi (Finance Director di Hikma Italia) e Michele Malusà alla Segreteria Generale.


carriere

FOX NETWORKS GROUP ITALY. ANDREA BUONAGUIDI Andrea Buonaguidi assume la carica di CFO del gruppo Fox Networks Group Italy, dove ha ora la responsabilità per l’area Finance e New Business Development. Buonaguidi è stato in precedenza consulente di Direzione Aziendale per quasi 14 anni, prima in Accenture e poi in Bain & Co., occupandosi di business planning, ristrutturazioni e piani di trasformazione organizzativa e tecnologica sia in Italia sia in altri Paesi d’Europa. Nel 2011 è entrato poi in SKY come Finance Manager dell’area Advertising Sales (l’attuale SKY Media) con diretto riporto al CFO, per poi seguire l’intera area Programming (Sport, News, Intrattenimento e Cinema). Nel 2014 è stato in seguito nominato Head of Broadband Strategy and Business Development e si è occupato dello sviluppo di partnership commerciali con operatori TLC, oltre che di progetti di crescita al di fuori del core business. Mentre ne 2015 ha assunto il ruolo di CFO in Palomar, dove ha seguito anche il finanziamento di note serie televisive nazionali e internazionali.

VINCENZO ZUCCHI. ANTONIO BULFONI Antonio Bulfoni è il nuovo Direttore Finanziario e Dirigente Preposto alla redazione dei documenti contabili societari di Vincenzo Zucchi SpA, azienda che opera nel settore tessile e dell’arredamento. Antonio Bulfoni ha lavorato per oltre dieci anni in ambito amministrativo e finanziario e in particolare nella gestione di crisi e rilanci aziendali nel settore tessile: ha ricoperto ruoli di crescente responsabilità in società nazionali ma anche internazionali. Antonio Bulfoni non detiene a oggi alcuna partecipazione nel capitale della società.

KELLY SERVICES. ALESSANDRO CARRÀ Kelly Services, società di consulenza per le risorse umane, che offre servizi di outsourcing, HR, somministrazione e full-time placement, ha un nuovo Financial Director per la branch italiana: Alessandro Carrà. Carrà ha iniziato la propria carriera nel 2005 come Sales Account in Vis Grafica e nel 2007 è entrato a far parte di Kelly Services con un contratto di stage, ricoprendo il ruolo di Sales Development Specialist. Nel 2008 è diventato poi Business Controller & Sales Support e nel 2014 è stato nominato Senior Controller. Nel 2015 le strade di Alessandro Carrà e Kelly Services si sono divise per entrare in Boston Counsulting Group. Ma nel dicembre del 2017, il manager è rientrato in Kelly Services con il ruolo di Financial Manager.

PRISMI. GIANLUCA PALMIERI Prismi, società specializzata nei servizi di digital marketing, quotata sul mercato Aim Italia, affida a Gianluca Palmieri l’incarico di CFO del gruppo e Responsabile M&A. Palmieri ha dato inizio alla propria carriera professionale come Controller in note società industriali emiliane, per poi diventare, dopo diversi incarichi di crescente responsabilità, Direttore Amministrazione Finanza all’interno di un altro gruppo multinazionale.

RCS MEDIA GROUP. MARCO POMPIGNOLI RCS Media Group riorganizza la struttura amministrativa e di controllo aziendale. La funzione di Group Chief Financial Officer e le relative responsabilità passano all’Amministratore Esecutivo Marco Pompignoli. Pompignoli prende il posto di Riccardo Taranto, attuale Group Chief Financial Officer, che lascia il gruppo RCS. Pompignoli è anche presente nei CdA di varie società del gruppo guidato da Urbano Cairo.

PHARMANUTRA. FRANCESCO SARTI Francesco Sarti assume l’incarico di Chief Financial Officer di PharmaNutra, azienda farmaceutica attiva nel settore dei complementi nutrizionali di ferro. Sarti riporta al Presidente e al Vice Presidente del Consiglio di Amministrazione e ha il compito del coordinamento e della supervisione delle arre operative a supporto del business. Francesco Sarti, classe 1963, in precedenza ha ricoperto il ruolo di Consigliere di Amministrazione e CFO in Faper Group, holding che detiene partecipazioni in società italiane specializzate nel settore della meccanica per cartiere, della sterilizzazione e della costruzione di grandi navi a vela e a motore. settembre 2018 - dfo 19


scenari - aziende familiari

AZIENDE FAMILIARI: L’AGENDA DEI FUTURI LEADER Secondo un’analisi condotta dal Deloitte, la mancanza di una strategia per affrontare la digital transformation e sostenere l’innovazione “aperta” resta un punto dolente

L’

approccio alla digital transformation e il modo in cui sviluppare idee e processi innovativi sono le due aree su cui le imprese familiari devono ancora stabilire una strategia chiara. A confermarlo, il campione interpellato da Deloitte Family Business Center composto da 575 futuri leader di aziende familiari distribuiti in 52 Paesi. Tra le aziende che hanno preso parte all’indagine online, condotta nel periodo compreso tra l’8 gennaio e il 28 febbraio di quest’anno, il 51% ha registrato un fatturato annuo inferiore a 50 milioni di euro, il 33% tra 50 e 250 milioni di euro e il 16% oltre i 250 milioni di euro. Per conseguire la crescita durante i tre anni precedenti all’indagine, il tipo di aggregazione aziendale più utilizzato è stato quello dell’acquisizione. Alla domanda sull’intenzione di sviluppare aggregazioni aziendali nei prossimi tre anni, le risposte confermano questo tipo di propensione: le acquisizioni dovrebbero rimanere il principale metodo di aggregazione tra le aziende familiari, seguite dal ricorso 20 dfo - settembre 2018

ad alleanze strategiche e joint-venture. Nonostante gli intervistati forniscano diverse motivazioni alla base dello sviluppo di aggregazioni aziendali, il fattore decisivo sembra essere il conseguimento della crescita o delle efficienze di scala. Il 30% delle aziende familiari del campione che hanno dato vita ad aggregazioni aziendali ha citato “l’accesso all’innovazione” tra i fattori trainanti. In pratica, molte aziende familiari avvertono l’esigenza di possedere internamente le innovazioni per ricavarne valore. Ma, secondo l’analisi di Deloitte, si starebbe diffondendo una maggiore consapevolezza sull’esistenza di strade alternative per accedere all’innovazione. In futuro, le aziende familiari potrebbero voler esplorare in misura maggiore rispetto al passato questi approcci diversi: joint venture e alleanze, in particolare, offrirebbero modi per beneficiare delle innovazioni a un costo e a un livello di rischio più basso rispetto alle acquisizioni che, invece, tendono a essere più conflittuali e onerose.

Aprire l’organizzazione all’innovazione In passato, le aziende familiari sono state talvolta percepite come “tradizionali”, non innovatrici. Ma oggi secondo Deloitte, si starebbe verificando la situazione opposta: alcuni studi recenti mostrano come le aziende familiari possano rientrare a pieno titolo tra le organizzazioni più innovative nei mercati e che sono in grado di innovare addirittura a un ritmo più rapido rispetto ad altre tipologie di aziende. La maggior parte dei processi di innovazione delle aziende familiari, tuttavia, è stata tradizionalmente organizzata soprattutto intorno ad attività di ricerca e sviluppo interne, dove sono occasionali le iniziative di “innovazione aperta” che attirano idee dall’esterno. L’attuale ritmo del cambiamento tecnologico rende tuttavia più difficile per una singola organizzazione disporre di tutte le risorse, capacità e tecnologie necessarie per stare al passo con l’in-


L

strategia integrata che pone la tecnologia digitale E tecnologie digitali hanno supportato e al centro della sua attività. accelerato lo sviluppo degli ecosistemi di aziende familiari - scenari Abbiamo riscontrato che un quarto dei futuri business degli ultimi anni. Queste tecnologie leader di aziende familiari ha adottato una sono alla base della creazione di nuovi modelli strategia per l’utilizzo delle tecnologie digitali, aziendali attraverso l’integrazione di persone, mentre il 35% ha affermato di averne una ma aziende e cose. Hanno inoltre contribuito alla relativamente recente. Quasi il 40% non dispone rapidità dei cambiamenti, un tratto che non di una strategia digitale o afferma che ci sta ancora sembra in linea con una caratteristica specifica di lavorando (figura 11). molte aziende familiari: la gestione della società a lungo termine nell’arco di più generazioni. novazione. Ed è proprio sulla base to uno strumento di miglioramento Tuttavia, molte aziende familiari si stanno di questa evidenza che le aziende LE STRATEGIE DIGITALI DELLE operativo, senza tener conto pienaadeguando al mondo digitale in brevissimo tempo. familiari devono incrementare gli mente delle potenziali applicazioni. AZIENDE FAMILIARI VARIANO Continuare quest’operazione di adeguamento è Figura 11. Le strategie digitali delle sforzi per collaborare in vista dello I leader delle aziende familiari, in A SECONDA DELL’ETÀ una responsabilità importante per la prossima aziende familiari variano a seconda sviluppo di nuovi prodotti o servizi. sintesi, devono ancora comprendere dell’età generazione di leader di aziende familiari.

Alla richiesta di descrivere il proprio come integrare le diverse tecnoloLa sua azienda di famiglia ha atteggiamento nei confronti delgie e i sistemi di informazione nella una strategia digitale? la collaborazione con altri soggetti propria attività. Il grande tema che Molte aziende familiari 1% sull’innovazione, quasi la metà degli dovranno affrontare nei prossimi non dispongono di 20% intervistati (49%) ha infatti risposto anni può quindi essere ricondotto una strategia digitale che avrebbe collaborato con qualsia26% secondo Deloitte a un’unica domansi soggetto in possesso di una buona da: quali cambiamenti potrebbe completamente sviluppata idea, ma circa un terzo (32%) ha poi comportare la digitalizzazione per il precisato collaborato modello aziendale dell’impresa e in Un concetto errato che sullaavrebbe trasformazione solo con soggetti con cui intrattiene che modo le attuali strategie e opedigitale è quello di ritenere che consista soltanto una relazione di lunga durata.diQuasi razioni dovrebbero essere modificanella digitalizzazione dell’attuale modalità gestione dell’azienda e nella suaintervistati interazione (19%) con ha un quinto degli te per apportare tali cambiamenti? 18% soggetti terzi.5risposto Ma l’opportunità di innovazione che preferisce innovare auIn questa evoluzione verso la digi35% è di gran lunga più ampia. per Si quanto prendanopossibile. in tonomamente tal transformation non vi sarebbe considerazione, ad esempio, le opportunità di Sì Il 53% degli intervistati ha affermainoltre ostacolo di tipo finanziario: interazione digitale con il cliente: non si tratta solo Sì, ma si tratta di uno sviluppo to di non avere mai collaborato o il 76% del campione infatti ha afabbastanza recente di digitalizzaredii punti contatto esistenti, ma di con averedicollaborato raramente fermato che le proprie aziende diNo, ma ci stiamo lavorando reinventare nuovi e metodi di interazione altri livelli soggetti su progetti concernenti spongono di adeguate risorse e non No per avvicinarsi al cliente. Analogamente, la osl’innovazione. Secondo quanto dipendono in maniera particolare da Non saprei trasformazioneservato digitaledall’analisi, riguarda il passaggio molti deidaleader finanziamenti esterni. Le procedure un’organizzazione tradizionale progettiparteN = 575 interpellati, di che cui avvia la maggior per la gestione del rischio sembrano Fonte: analisi Deloitte. digitali a un’organizzazione digitale dotata di una (circa 53%) appartenente alla secon- Fonte: analisi Deloitte essere invece l’aspetto più carente: Deloitte Insights | deloitte.com/insights da generazione alla guida dell’azienla maggior degli intervistati ritiene da di famiglia, tendono ad avere un che la propria azienda non possieda approccio conservativo o prudente futuri leader ha adottato una stra- tutti gli strumenti necessari per far nei confronti della collaborazione. tegia per l’utilizzo delle tecnologie fronte ai cambiamenti futuri. Ma L’atteggiamento degli intervistati nei digitali mentre il 35% ha affermato secondo Deloitte questo dato è proconfronti della proprietà intellettuale di averne intrapresa una ma solo in babilmente sovrastimato e in linea conferma infatti questa supposizio- tempi relativamente recenti. Ma il con l’avversione al rischio tipica delle ne: il 63% ha affermato che è “molto dato più sorprendente è che quasi aziende familiari: gli intervistati posimportante” o “piuttosto importanil 40% non dispone di una strategia sono aver basato le proprie risposte 13 te” per l’azienda di famiglia possede- digitale o ci sta ancora lavorando. Le sulle percezioni (forse esagerate) re la proprietà intellettuale. modalità con cui gli intervistati utiliz- della portata dei rischi da affrontare, zano la tecnologia digitale, con una piuttosto che sui punti di debolezza Capire la digital transformation grande attenzione al miglioramento effettivi o percepiti nei sistemi per la Molte aziende familiari si stanno dei processi, fanno ritenere che mol- gestione del rischio. adeguando al mondo digitale in bre- ti leader di aziende familiari consivissimo tempo. Circa un quarto dei derino la digitalizzazione soprattutR.B. settembre 2018 - dfo 21


scenari - manifattura

GRANDE MANIFATTURA, ITALIA FANALINO DI CODA IN EUROPA Secondo uno studio condotto da Mediobanca, il confronto con Germania, Francia e UK ci vede in affanno per ricavi, utili e investimenti

A

ll’interno del settore industriale, la grande manifattura privata si conferma l’unica componente in crescita in Italia per il quarto anno consecutivo. Batte tutti per tasso di investimento (9,7%, contro quello dei gruppi pubblici pari al 4,7%) e per solidità patrimoniale. Ma, nonostante il primato sugli altri comparti industriali del nostro Paese, il confronto con il resto d’Europa, secondo un’analisi condotta dall’Area Studi di Mediobanca, per il periodo 2013-2017 vede la manifattura italiana (sia pubblica che privata) fanalino di coda in termini di fatturato cumulato, utili netti cumulati, investimenti cumulati e occupazione. Basti pensare che nessun gruppo con sede in Italia figura fra i Top10 per fatturato in Europa dove prevale la Germania, con cinque big player (e ricavi pari a circa 2/3 del

22 dfo - settembre 2018

totale) e il primato nell’automotive con sei gruppi, fra cui Exor (sede in Olanda), terza dopo Volkswagen e Daimler e davanti a BMW. Le “micro” italiane Il confronto in particolare con i competitor tedeschi rivela un divario schiacciante: i primi tre big player (VW, Daimler, BMW) fatturano da soli più dei primi 10 italiani considerati nel loro insieme; mediamente un gruppo teutonico fattura 10 volte più di uno italiano, uno francese quattro volte di più e uno britannico il doppio. Fra i Top10 Europa, la metà è presidiata da tedeschi, due sono francesi e due “olandesi d’adozione” (Airbus e la nostra Exor). Il giro d’affari dei Top10 tedeschi vale quasi la metà del PIL italiano e la loro capitalizzazione è superiore al valore della Borsa milanese. L’incidenza sul PIL Per “misurare” poi l’impatto dei big player sull’economia di ciascun Paese, l’Area studi di Mediobanca ha rilevato quanto i ricavi di ciascun gruppo di aziende leader incidono sul PIL: il 5,2% in Italia, l’8,3% nel Regno Unito, il 15,7% in Francia, il 24,6% in Germania (cinque volte più che in Italia). A trainare i ricavi sembrano essere prevalentemente

due settori in Europa: quelli derivanti dall’automotive in Germania, Francia, Italia, e quelli ottenuti dal settore chimico, pharma e tabacco nel Regno Unito. I big player italiani sono in coda per crescita del fatturato nel 2013-2017: l’incremento dei ricavi tedeschi è stato del 19,5%, per i francesi del 19,1%, per i britannici del 13,2% e solo del 10,7% gli italiani (penalizzati dai big player pubblici: -17%, mentre i privati mettono a segno un +34,5%). Big meno internazionali Rispetto inoltre alle controparti britanniche, tedesche e francesi, esportiamo meno e siamo meno presenti all’estero: il fatturato non domestico dei big player è pari all’88% per i britannici, all’86% per i francesi, all’84% per i tedeschi e al 78% per gli italiani. I valori relativi all’occupazione vanno infatti di pari passo: i big player offrono lavoro, rispettivamente, a 20 tedeschi, 13 francesi, 5 britannici e 5 italiani ogni mille persone in età lavorativa nel proprio paese; i big player italiani sono quelli ad aver creato meno occupazione nel periodo 2013-2017: +8,6% i tedeschi, +7,9% i francesi, +4,4% i britannici e +1,6% gli italiani (di cui i big pubblici -14%, e big privati, +17%). Germania e Francia sono


manifattura - scenari

i Paesi europei dove i big player offrono maggiori opportunità lavorative ai propri cittadini: in Germania e Francia rispettivamente 20 tedeschi e 13 francesi ogni 1.000 persone attive lavorano in un big player manifatturiero. I Top10 tedeschi occupano nel mondo 4 persone ogni 10mila in età lavorativa, i francesi 3 persone e i britannici 1 persona. I Top10 italiani occupano 1 persona ogni 20mila attive nel mondo (la metà dei britannici). Redditività UK al top Sul fronte della redditività, margini e rendimenti si confermano appannaggio dei big anglosassoni: l’ebit margin, che misura il rapporto tra il margine operativo e il fatturato, dell’Italia (4,4%) è pari a circa un quarto di quello britannico (18,7%), un terzo di quello francese (13,5%) e metà di quello tedesco

(8,6%). Marcato anche il divario a livello di margini netti: britannici al 12,4% di utile sul fatturato, francesi al 9,5%, tedeschi al 7% e italiani fermi all’1,7%. I big player anglosassoni primeggiano pure in termini di rendimenti (ROE e ROI) e in Borsa (dividend yield al 3,3% davanti al 3% francese, al 2,8% tedesco e all’1,3% italiano). Se si considerano gli utili cumulati ai big player italiani è ascrivibile solo l’1% del totale: i 40 big player della manifattura tedesca, britannica, francese e italiana hanno cumulato utili per 476 miliardi di euro fra il 2013 e il 2017, di cui 210 miliardi di euro i tedeschi, 142 miliardi di euro i britannici, 119 miliardi i francesi e solo 5 miliardi gli italiani. Ma i tedeschi investono Gli investimenti sono da capogiro per i big player tedeschi focalizzati su una strategia di crescita interna, in contrap-

Francia Francia

Michelin 22,022,0 Michelin

Liquide 20,320,3 L'AirL'Air Liquide

24,724,7 Danone Danone

Prada Prada3,1 3,1

BuzziBuzzi Unicem Unicem2,8 2,8

Fincantieri Fincantieri4,9 4,9

Pirelli & C.& C.5,4 5,4 Pirelli

Prysmian Prysmian7,9 7,9

Giro d’affari dei Top10 tedeschi: quasi come quello dei Top10 USA e poco meno della metà del Pil italiano Un big player italiano fattura mediamente un decimo di uno tedesco, un quarto di uno francese e la metà di uno Girobritannico. d’affari deiLa Top10 quasi comeitaliana, quello dei Top10 USA e poco meno della metà del Pilalitaliano FCAtedeschi: Italy, prima azienda si collocherebbe al nono posto in Germania, sesto in Francia Un big italiano fattura Unito mediamente un decimo di uno tedesco, un quarto di uno francese e la metà di uno e alplayer secondo nel Regno britannico. La FCA Italy, prima azienda Francia, italiana, Italia. si collocherebbe al nono posto in Germania, al sesto in Francia Ricavi automotive: prevalenti in Germania, Nel Regno Unito: chimica-pharma e tabacco e al secondo nel Regno Unito Ricavi automotive: prevalenti in Germania, Francia, Italia. Nel Regno Unito: chimica-pharma e tabacco

Fonte: Area Studi Mediobanca

Parmalat Parmalat 6,7 6,7

SAIPEM SAIPEM 9,0 9,0

Luxottica Luxottica 9,2 9,2

Giro d’affari: €89 mld, +10,7% sul 2013 Leonardo Leonardo 11,511,5

FCAFCA ItalyItaly 28,628,6

Reckitt Benckiser Reckitt Benckiser 13,013,0

Diageo Diageo 13,613,6

Johnson Matthey Johnson Matthey 15,915,9

Imperial Brands Imperial Brands 17,217,2

Rolls-Royce Rolls-Royce 18,418,4

Giro d’affari: €192 mld, +13,2% sul 2013 Associated British Associated British 17,317,3 Foods Foods

BAEBAE Systems Systems 20,720,7

AstraZeneca AstraZeneca 18,718,7

34,034,0

British American British American 22,922,9 Tobacco Tobacco

GlaxoSmithKline GlaxoSmithKline

Schneider Schneider 24,724,7 Electric Electric

35,135,1 Sanofi Sanofi

Dimensione media: €9 mld Giro d’affari: €89 mld, +10,7% sul 2013 Dimensione media: €9 mld

Dimensione media: €19 mld Giro d’affari: €192 media: mld, +13,2% sul 2013 Dimensione €19 mld

7

L'Oréal 26,026,0 L'Oréal

40,840,8 Saint-Gobain Saint-Gobain

58,858,8

42,642,6

Renault Renault

Italia Italia

Regno Unito Regno Unito

7

Giro d’affari: €360 mld, +19,1% sul 2013

LVMH LVMH

65,265,2

Dimensione media: €36 mld Giro d’affari: €360 media: mld, +19,1% sul 2013 Dimensione €36 mld

Peugeot Peugeot

Henkel 20,020,0 Henkel

35,035,0 Bayer Bayer

Adidas 21,221,2 Adidas

44,044,0

41,441,4

Continental Continental

Giro d’affari: €803 mld, +19,5% sul 2013

Thyssenkrupp Thyssenkrupp

64,564,5

83,083,0

Dimensione media: €80 mld Giro d’affari: €803 media: mld, +19,5% sul 2013 Dimensione €80 mld

BASF BASF

BMW BMW

98,798,7

Germania Germania

Siemens Siemens

164,3 164,3 Daimler Daimler

Volkswagen Volkswagen

230,7 230,7

IG PLAYER TALIA VS DE-FR-UK (GIRO D’AFFARI) BIG PLAYER:B VS:: IIDE-FR-UK (GIRO D’AFFARI) BITALIA IG PLAYER TALIA VS DE-FR-UK (GIRO D’AFFARI) Top10 per fatturato 2017 (€ mld)2017 (€ mld) Top10 per fatturato Top10 per fatturato 2017 (€ mld)

posizione a quella per acquisizioni tipica degli anglosassoni: 426 miliardi di euro cumulati nel 2013-2017, decisamente al di sopra dei competitor francesi (71 miliardi), britannici (32 miliardi) e italiani (appena 18 miliardi di euro), con un tasso di investimento del 16,5% nel 2017 pari al doppio di quello britannico (8,1%) e quasi tre volte maggiore di quello francese (6,1%) e italiano (5,7%). Tallone d’Achille della grande manifattura italiana è la propensione all’investimento: i Top10 italiani sono gli unici ad aver ridotto il tasso di investimento fra il 2013 e il 2017 (di circa 1,3 punti percentuali). Appena il 3% degli investimenti cumulati nel 2013-2017 fa infatti capo ai big italiani (78% ai tedeschi, 13% ai francesi e 6% ai britannici). I big italiani recuperano invece sul fronte patrimoniale, grazie alla bassa incidenza della componente immateriale sul totale attivo e alla consistente disponibilità in cassa. I big player italiani appaiono i più solidi (capitale netto tangibile in percentuale dei debiti finanziari pari al 56,2%), davanti a francesi (41,7%) e tedeschi (40,7%) e i più liquidi (incidenza della liquidità sul debito oneroso pari al 41,6%), allineati ai francesi (41,5%) e davanti a tedeschi (22,2%) e britannici (18,3%). I valori di Borsa invece vedono penalizzano oltre all’Italia anche la Germania. I Top10 italiani a fine 2017 capitalizzano mediamente un sesto dei tedeschi e un quinto di francesi e britannici. Nel 2013-2017 la capitalizzazione dei francesi segna un aumento del 33,2%, quella dei britannici del 28,1%, quella dei tedeschi del 12,8% e quella italiana del 9,2%. R.B. settembre 2018 - dfo 23


scenari - CFO & CIO

UN RUOLO STRATEGICO,

GRAZIE ALL’AUTOMAZIONE

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CFO & CIO - scenari

Le grandi imprese di tutto il mondo puntano sull’automazione dei processi per trasformare la funzione Finance in un partner strategico del management. I limiti? I sistemi legacy

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utomatizzare i processi finanziari in azienda per liberare il potenziale dei dati e supportare le scelte strategiche del top management. Per questo una grande azienda su due sta automatizzando i processi finanziari, secondo un recente Report di Capgemini, “Reimagine Finance for the digitale age”. 100% automazione in un triennio Il quadro, secondo i 500 senior Finance Executive intervistati (rappresentativi di aziende di tutto il mondo) è chiaro: oltre la metà di loro sta assistendo e gestendo l’automazione dei processi finanziari all’interno della propria struttura. L’automazione è ormai pressoché completa per una serie di processi individuali, tra cui la gestione delle query e dei pagamenti. Mentre l’automazione totale, per il 66% del campione, dovrebbe richiedere ancora un massimo di tre anni. Un Finance digitale e strategico Un cambiamento guidato da tecnologie come la RPA, Robot Process Automation, che integrano i nuovi processi automatizzati con soluzioni di intelligenza artificiale e apprendimento automatico. L’obiettivo finale, infat-

ti, non è solo automatizzare le transazioni, ma trasformare in ottica digitale la funzione Finance, liberando il potere dei dati che custodisce nei propri sistemi e trasformandoli in informazione e in strumenti che possano aiutare il CFO e l’azienda stessa nelle rispettive scelte strategiche. Liberare il potere dei dati Ecco quindi spiegato quel 43% di CFO che, secondo il Report, vede nell’Automazione una futura nuova unit di business: perché, se bene utilizzate, queste tecnologie potrebbero davvero trasformare il “Finance” da contabile a manager strategico. Il 55% delle aziende ha fissato l’obiettivo di liberare, automatizzando i processi, dati oggi poco o per nulla utilizzati. Il limite principale sono le tecnologie “legacy”, quelle esistenti in azienda, progettate in epoche in cui l’attuale scenario digitale era poco meno che fantascienza. E le italiane? I dati della ricerca si riferiscono, ovviamente, al suo campione. 500 senior Finance Executive di grandi aziende di tutto il mondo non possono essere rappresentativi, percentualmente, delle aziende italiane. Dimensionalmente più piccole e verosimilmente più indietro nel processo di trasformazione digitale dei propri processi Finance (e non solo), per non parlare della complessità di sistemi informativi in uso. Il potenziale di business legato all’automazione dei processi e alla loro integrazione con l’intelligenza artificiale, però, è assolutamente lo stesso. P.F. settembre 2018 - dfo 25


scenari - credito di filiera

PIÙ SUPPORTO AL CREDITO DI FILIERA

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credito di filiera - scenari

Dalle soluzioni in ambito bancario alle FinTech: la supply chain finance come soluzione per recuperare liquidità

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n uno scenario in cui i tempi di pagamento delle fatture commerciali si confermano ancora molto dilatati, un numero crescente di aziende sembra aver compreso come, per restare competitive in un mercato sempre più globale, sia diventato fondamentale recuperare liquidità attraverso le operazioni di supply chain finance. Nonostante la normativa europea imponga un massimo di 60 giorni per il pagamento delle fatture, che scendono addirittura a 30 giorni nel caso di alcuni settori come quello dell’alimentare fresco, i tempi medi di incasso restano infatti ben al di sopra di questa soglia e anche sopra la media europea (pari a circa 61 giorni). Il ricorso, invece, alle soluzioni di supply chain finance, che consentono alle imprese di finanziare il proprio capitale circolante facendo leva sul ruolo che ricoprono all’interno della loro specifica supply chain, potrebbe tuttavia ridurre gli impatti negativi di questi ritardi, scongiurando il verificarsi di crisi aziendali. 637 miliardi di euro Ad affermarlo è l’Osservatorio Supply Chain della School of Management del Politecnico di Milano secondo cui grazie a queste soluzioni si potrebbero rimettere in circolo più velocemente ben 637 miliardi di euro, calco-

lati come valore totale dei crediti commerciali vantati dalle imprese nel 2016, in crescita dai 559 miliardi di fine 2015. Ad oggi infatti il mercato servito si fermerebbe però soltanto al 23% del totale (il 29% se si considerano solo i crediti verso i clienti), pari a oltre 146 miliardi di euro. Per il momento, inoltre, tale segmento sarebbe ancora dominato da soluzioni tradizionali, come l’anticipo fattura, che consiste nel finanziamento delle fatture non ancora riscosse (che passa dagli 87 miliardi del 2015 ai 75 miliardi del 2016 con un calo del 13,8%), e dal factoring (la cessione di crediti commerciali vantati da un’azienda verso i debitori) che sale del 6,6% a quota 58 miliardi. Ma il panorama potrebbe presto cambiare: nel corso del 2017 hanno preso piede anche nuove soluzioni come l’invoice auction, il purchase order finance, il dynamic discounting e l’equipment finance, di cui c’è stata un’importante crescita nel 2017 grazie al boom del FinTech e all’impiego di tecnologie innovative come blockchain, big data e Internet of Things.

Anticipo fattura e factoring restano prevalenti, ma le nuove soluzioni crescono

3 miliardi di reverse factoring Nonostante queste innovazioni, negli ultimi due anni a crescere è stato soprattutto il reverse factoring, in sostanza il credito di filiera, per un valore pari a circa 3 miliardi di settembre 2018 - dfo 27


scenari - credito di filiera

IL MERCATO POTENZIALE E IL MERCATO SERVITO DEL SUPPLY CHAIN FINANCE IN ITALIA NEL 2016

Pubblica Amministrazione: 44+ miliardi di Euro 6% Export: 47+ miliardi di Euro 7% B2C: 25+ miliardi di Euro 5%

Consociate: 166+ miliardi di Euro 24%

Anticipo Fattura: 75+ miliardi di Euro (-13,8% su 2015) 12% Factoring: 58+ miliardi di Euro (+6,6% su 2015) 9% Reverse Factoring: 3+ miliardi di Euro (+7% su 2015) -1%

637+ miliardi di Euro

Altre soluzioni: < 3 miliardi di Euro -1%

B2B: 521+ miliardi di Euro 82%

Mercato non coperto: 398+ miliardi di Euro 77%

Clienti: 471+ miliardi di Euro 76% Fonte: Osservatorio Supply Chain della School of Management del Politecnico di Milano

euro. Quest’ultimo strumento consente di agevolare il supporto alle imprese parte di una filiera produttiva e di finanziare i fornitori appoggiando il rischio sull’azienda capo-filiera. A fronte di un accordo preventivamente siglato tra la società di factoring (oppure un altro investitore) e il capo-filiera, le PMI fornitrici cedono all’investitore il credito vantato verso il capo-filiera a un tasso di interesse più basso rispetto a quello al quale verrebbero finanziate in assenza di questo accordo. 28 dfo - settembre 2018

Le soluzioni dal mondo bancario… All’interno del sistema bancario l’attenzione per le soluzioni dedicate al credito di filiera si conferma elevata. Nel corso dell’ultimo anno, solo per citare gli accordi più importanti, è stata siglata, all’interno del “Progetto Filiere Agroalimentari”, una partnership tra UniCredit e EcorNaturaSì, gruppo specializzato nel settore della distribuzione in Italia di prodotti biologici e biodinamici. In base all’accordo le imprese


credito di filiera - scenari

agroalimentari fornitrici di EcorNaturaSì riceveranno proposte creditizie e servizi ad hoc. Il progetto inizialmente coinvolgerà le filiere dell’ortofrutta e dei seminativi, con un bacino di utenza potenziale di circa 200 imprese dislocate su tutto il territorio nazionale, per poi essere allargato anche ad altri settori. E in questa direzione vanno anche le ultime due iniziative lanciate da Crédit Agricole Italia. La prima siglata nel mese di giugno, è dedicata al sostegno della filiera ortofrutticola di Orogel, che comprende 1.660 produttori e aziende. Tra le opportunità destinate al circuito vi è l’anticipazione del valore del contratto di fornitura di verdura fresca e il finanziamento di investimenti dedicati ai reimpianti e di quelli finalizzati alla modifica o all’implementazione della produzione. La seconda lanciata a luglio intende invece offrire un sostegno mirato alle aziende agricole che scelgono di investire nella produzione di nocciole nell’ambito del “Progetto Nocciola Italia” di Ferrero. Resa possibile dalla collaborazione con il Consorzio Forestale di Pavia, si tratta di una struttura di finanziamento riservata ai produttori di nocciole consorziati in grado di tener conto delle tempistiche per la crescita degli impianti e dello scambio dei flussi finanziari derivanti dai rapporti di filiera. …e le innovazioni delle FinTech Rispetto al credito di filiera proposto dagli istituti di credito, si vanno però profilando all’orizzonte soluzioni alternative come testimonia una ricerca condotta da Assifact in collaborazione con l’Osservatorio Supply

Chain Finance del Politecnico di Milano sul tema dell’evoluzione del factoring nell’era del FinTech. Condotta su oltre 100 startup internazionali in ambito supply chain finance, di cui 15 italiane, la ricerca ha individuato quattro business model principali attraverso cui le nuove realtà puntano a velocizzare e digitalizzare la gestione dei crediti commerciali. Tra le più note, almeno per il momento, vi sono le “cash seeker” che mettono in contatto investitori che cercano opportunità di investimento non tradizionali con imprese che cercano liquidità alternativa perché in difficoltà nell’accedere al canale bancario. Tipicamente cadono in questo segmento le piattaforme di invoice auction e invoice financing. Le “cash exploiter”, invece, sfruttano la liquidità in eccesso della filiera a vantaggio di piccoli fornitori. In questo ambito rientrano le piattaforme di dynamic discounting. Mentre i “working capital broker” mettono in contatto imprese che necessitano di credito con investitori istituzionali, le startup “compass” offrono strumenti volti a ridurre le asimmetrie informative lungo la filiera e semplificano la valutazione del merito creditizio; tra questi si collocano infatti i valutatori di merito creditizio e i comparatori di soluzioni di supply chain finance.

Il credito di filiera emergente è alternativo a quello bancario

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intervista - ERA

DIGITALE E FINANZA ALTERNATIVA PER IL NUOVO CFO Una ricerca inquadra gli strumenti su cui i CFO del futuro dovranno contare per accompagnare la trasformazione del loro ruolo: digitale e analytics per migliorare la gestione dei costi. E nuove fonti di finanziamento per essere meno dipendenti dalle banche

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ERA - intervista

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ematerializzazione dei processi, controllo dei costi e Supply Chain Finance. Sono le tre priorità per i CFO che emergono dalla ricerca “The future of CFO in Enterprise 4.0”, a cui ha contribuito Expense Reduction Analysts. Carlo Maraz Galassi, Country Director Italia, ci racconta i risultati principali. Domanda. Che cosa emerge dalla vostra ultima ricerca per quello che riguarda le strategie e l’innovazione dell’area Finanza? A quali opportunità i CFO guardano con particolare interesse e dove vogliono investire? Risposta. Gli obiettivi sentiti come prioritari dal CFO per l’area Amministrazione, Finanza e Controllo (AFC) risultano uguali a quelli aziendali sull’innovazione dei sistemi, efficienza organizzativa e innovazione tecnologica. Coerentemente con queste priorità, il CFO intende portare avanti iniziative nell’area AFC per la dematerializzazione (40% delle risposte) la Supply Chain Finance (55%) e lo sviluppo dei sistemi di Business Intelligence e Analytics (quest’ultima via è stata confermata da ben il 74% degli intervistati). Linee che si riscontrano in iniziative riguardanti l’integrazione dei dati dell’intera organizzazione (con una

redemption del 79%) e l’automazione dei processi in ambito Finance (per il 74% degli intervistati). D. E come sta cambiando, invece, il modo in cui queste iniziative vengono finanziate? R. I normali e ordinari strumenti di finanziamento che portano a un incremento dell’indebitamento finanziario netto e l’emissione dei titoli obbligazionari (compresi i così detti “mini bond”) lasciano il posto – al fine del reperimento di risorse finanziarie – allo smobilizzo dei crediti incagliati/Non Performing Loans (21%), nuovi accordi commerciali con fornitori e clienti (38%) e l’ottimizzazione dei costi (48%, al primo posto con la percentuale più alta). D. Il CFO percepisce il proprio ruolo all’interno dell’azienda in modo diverso? R. La professione del CFO, e il suo ruolo, sono profondamente cambiati nel corso degli anni, prevedendo competenze sempre più estese. Un’evoluzione che non coinvolge solo prospettive e ambiti di attività, ma un effettivo ampliarsi del raggio di azione laddove la priorità più diffusa è costituita dal supporto al processo decisionale e dalla gestione di rischi strategici, seguita da un’implicita trasformazione delle competen-

Carlo Maraz Galassi, Country Director Italia

ze richieste. Secondo gli intervistati, consapevoli dell’impatto della nuova economia digitale sulle aziende, diviene prioritaria una digitalizzazione dei processi amministrativi e l’innovazione dei sistemi e della tecnologica. Questi cambiamenti implicano anche una riforma del ruolo e delle competenze ricercate: il 55% del campione preso in esame ritiene che le competenze del futuro CFO riguardino una maggiore sinergia con gli altri “c-suites” (CIO, HR, Marketing Operation), il 48% valuta invece un supporto in termini di “business insight” per il CEO mentre il 48% vede come ruolo quello di “facilitatore” del modello di business. Si configura un CFO 4.0 (da “uomo settembre 2018 - dfo 31


intervista - ERA

SEGUIRE IL CAMBIAMENTO QUANDO È FUNZIONALE AL NOSTRO RUOLO «La rapidità con cui la tecnologia sta plasmando e accelerando i prodotti e i servizi aziendali, deve farci riflettere profondamente su come gestire al meglio tutti questi cambiamenti in ambito lavorativo» commenta Giovanni Viganò, CFO di LSWR Group, azienda attiva nell’editoria specialistica. «Le imprese si trovano a fare da apripista a una trasformazione senza precedenti che coinvolge non solo il modo di fare impresa ma anche quello in cui le persone stesse lavorano e vivono». Il CFO e il cambiamento «In questo scenario, la funzione del Chief Financial Officer non poteva rimanere esclusa. Nel suo ruolo di agente del cambiamento digitale infatti anche il Chief Financial Officer è impattato da un modello operativo completamente mutato che coinvolge skill e professionalità totalmente nuove. E deve adottare un modello di ingaggio, motivazionale e di sviluppo professionale coerente con il profilo dei nuovi talenti in un un’ottica di valorizzazione dell’individuo, di creazione di momenti professionali che si sviluppano in una dimensione ambientale e fisica relazionale e tecnologicodigitale e la creazione di una cultura di gruppo estremamente collaborativa. Il digitale rende i processi più agili, orientati al futuro e fortemente guidati da un maggior numero di informazioni rilevanti, e ciò porterà un contributo chiave alla creazione di valore per il business. Le tecnologie digitali cambieranno profondamente non solo i processi, ma il ruolo stesso del finance in azienda. Il CFO diviene un vero e proprio Data Hub per l’azienda agendo da canale per gestire e distribuire i flussi d’informazione e rendere operative le decisioni. Il raggio di azione di questo CFO 4.0 si estende dalla politica degli investimenti al commerciale e la supply chain, e funge da garante per tutte le funzioni di analisi e pianificazione della business unit lavorando in

dei numeri” a “strategic business partner”) che diviene il nuovo garante della sostenibilità del business e ne supporta in modo determinante le scelte e strategie aziendali, con una visione e un orizzonte profes32 dfo - settembre 2018

sinergia con la strategia aziendale e pianificazione finanziaria. Chi oggi ha letto chiaramente questi trend si è fatto pioniere di un cambiamento epocale e ne capitalizzerà i vantaggi competitivi». Focalizzarsi sui Giovanni Viganò, fondamentali del CFO CFO di LSWR Group «Nella mia esperienza in LSWR, gruppo internazionale specializzato nella formazione, comunicazione e informazione medico-scientifica, giuridico-legale e tecnica, con sedi in Spagna e Polonia, oltre all’Italia, siamo stati fortemente impattati dalla digitalizzazione, sia nella funzione di CFO sia nel core business aziendale. Per questo abbiamo voluto cavalcare la digitalizzazione e l’evoluzione tecnologica in generale per farle diventare un nostro punto di forza. Il concetto chiave è che il CFO non deve cavalcare a prescindere i nuovi trend, trascurando i fondamentali del proprio ruolo: cash flow, redditività e fatturato devono sempre rimanere i pilastri di ogni sua decisione. E se i nuovi trend non sono in grado di generare valore, la loro applicazione va rivista e modulata in tale direzione. Questo è il motivo per cui in LSWR Group continuiamo a puntare molto su business tradizionali come la pubblicazione di libri e altri prodotti cartacei: essi garantiscono ancora ritorni importanti in termini di cash flow e redditività, perché farne a meno? Questo è il segreto del buon CFO: conservare i fondamentali del proprio ruolo, evolvendoli in base ai nuovi trend di periodo. Un passo in avanti verso il futuro, dunque, senza passi indietro sul passato».

sionale più allargato che gli consente un percorso di crescita finalizzato ad assumere in prospettiva il ruolo di CEO con piena consapevolezza dell’impatto della nuova economia digitale sulle aziende.

D. Il CFO resta l’uomo dei numeri. E con la tecnologia si apre la possibilità di migliorare l’analisi e il monitoraggio dei costi. R. Dal punto di vista finanziario il CFO persegue gli obiettivi di otti-


ERA - intervista

mizzazione dei flussi finanziari e la liberazione delle liquidità, in linea con un approccio sempre più “cashflow oriented” nella gestione del business. Le priorità della gestione dei rischi – strategici e operativi – emergenti e del supporto al processo decisionale rientrano nell’evolu-

zione del ruolo che supporta il top management nell’elaborazione della strategia e verifica della conseguente attuazione, in qualità di strategic business partner del CEO. La Cost Optimization – area di intervento drasticamente cambiata nel corso degli ultimi anni a causa della dimi-

nuzione della marginalità in molti mercati delle forniture e dell’efficienza raggiunta in diversi segmenti di mercato – scala la vetta delle priorità dell’azienda, divenendo secondo il 48% dei rispondenti la prima area dalla quale attingere risorse per finanziare la crescita. L’ottica di lavoro

PER IL CFO È ARRIVATO IL MOMENTO DI TRASFORMARSI «Dopo anni di immobilità, dovuta alla riduzione degli investimenti per la crisi economica e finanziaria internazionale, la funzione del Chief Financial Officer sta muovendo passi importanti verso una ridefinizione delle mansioni e dell’impostazione» afferma Matteo Colombini, CEO e CFO di Orsero. «La spinta maggiore è data sicuramente dalla tecnologia e in particolare da tutto quello che ruota attorno al concetto di digitalizzazione: data analytics, Predictive e Cognitive Analytics, Social Media e Crowdsourcing, solo per citarne alcuni. A questo cambiamento poi è indubbiamente legato il tema delle competenze, per cui i CFO dovranno studiare tutto ciò che è necessario per governare la digitalizzazione e per riuscire a gestire un team di lavoro dotato di competenze tecniche specifiche per gestire questi strumenti in maniera semplice, veloce e performante». Cambiare l’approccio al proprio lavoro «Quando parliamo del trend del settore credo si debba comprendere che, data la rapida evoluzione dell’ambiente finance, l’automazione, l’outsourcing e l’implementazione dei sistemi oggi sono solo l’inizio del percorso che porterà alla completa trasformazione digitale. La rivoluzione che è davvero necessaria per i CFO e di tutti i C-Level sarà un cambiamento radicale nell’approccio mentale al proprio lavoro che deve passare dall’analisi dei tradizionali ambiti di competenza come la riduzione dei costi, l’efficienza, il risparmio delle risorse aziendali, alla ricerca di risultati più dinamici come il valore aggiunto di determinate decisioni e alle previsioni dei risultati di business. Ovviamente c’è ancora bisogno di trovare il bandolo della matassa e standardizzare certi processi e meccanismi, ma bisogna riuscire a farlo il prima possibile per permettere ai CFO di spendere più tem-

po per usare le proprie competenze per aiutare gli imprenditori e i manager a raggiungere risultati migliori. Un passaggio che richiede tempo e ancora, sicuramente, ha bisogno di essere capito e compreso a fondo, analizzandone ogni minimo aspetto, non Matteo Colombini, solo in Italia, ma anche a CEO e CFO di Orsero livello internazionale, per permettere alle grandi e piccole imprese di tutto il mondo di rimanere al passo con i tempi e affrontare le importanti sfide del futuro che l’innovazione tecnologica come, per esempio, quella dell’intelligenza artificiale». L’esperienza di Orsero «Orsero, l’azienda dove seguo l’amministrazione finanziaria, è leader nell’Europa mediterranea per l’importazione e la distribuzione di prodotti ortofrutticoli freschi e si trova a gestire oltre 6.000 clienti tra la grande distribuzione e i mercati generali in Italia, Francia, Spagna, Portogallo e Grecia, gestiti da quasi 1.300 persone per un miliardo circa di fatturato. Con numeri così un’efficiente gestione finanziaria e gestionale diventa fondamentale, ogni minima percentuale di marginalità può fare la differenza. Per questo motivo il team che coordino è impegnato quotidianamente a monitorare, anche attraverso l’uso di software dedicati, le singole voci di costo, le procedure concordate e le attività delle varie divisioni per poi suggerire le migliorie necessarie».

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intervista - ERA

IL CFO È INDISPENSABILE PER INTERCETTARE L’INNOVAZIONE «Le tecnologie innovative stanno facilitando l’integrazione inter-funzionale, permettendo un “dialogo” più veloce ed efficiente all’interno dell’azienda» secondo Tommaso Pezone, CFO di Spezin Finanziaria. «Il ruolo del CFO è fondamentale affinché l’azienda possa sfruttare al meglio tale innovazioni e assicurarsi un significativo vantaggio competitivo. È, inoltre, necessario sfruttare i nuovi sviluppi tecnologici per creare sistemi di reporting che permettano di essere più proattivi nei confronti del mercato e della concorrenza. Le nuove tecnologie sono una grande opportunità: l’integrazione tra Finanza e tecnologie digitali, per esempio, permetterà di semplificare la gestione e abbattere notevolmente i costi. Il CFO deve spingere le aziende verso tale modello, non solo per favorire la riduzione dei costi, ma soprattutto perché solo un’azienda che non ha paura dell’innovazione potrà essere in grado di adattarsi rapidamente ai cambiamenti». Il CFO deve risparmiare tempo «Ormai il CFO non è più un semplice contabile, concentrato sulla gestione della propria funzione, ma è una figura che deve essere in grado di gestire il cambiamento e creare maggiore valore aggiunto. Non più semplice produzione e riproduzione di dati, ma anche e soprattutto analisi e interpretazione degli stessi. Il CFO deve necessariamente interagire con tutte le funzioni aziendali, dalla logistica al commerciale, per essere in grado di accelerare la comu-

è la ricerca di soluzioni innovative, lo scouting continuo sul mercato di nuovi operatori, la partnership con i fornitori al fine di ottenere ed applicare soluzioni win-win sia per l’azienda che per il fornitore. I prossimi anni saranno quindi fondamentali per le aziende, siano esse piccole o grandi, che dovranno innovare profondamente le proprie procedure e i business plan per riuscire a competere in questo scenario. 34 dfo - settembre 2018

nicazione tra di esse e permettere all’azienda di assumere decisioni nel minor tempo possibile. Per fare un esempio concreto, una riunione con un CFO deve terminare con una decisione, precisa e condivisa. Il più grosso vantaggio dell’intervento del CFO è, quindi, Tommaso Pezone, CFO l’eliminazione in azienda di Spezin Finanziaria di frasi del tipo: “ci aggiorniamo”, “aspettiamo sviluppi”, “è necessario aggiornare i dati”. Il CFO deve far guadagnare all’azienda la risorsa più preziosa di tutte: il tempo». Gestire i requisiti normativi e di business «Considerando che Spefin è un intermediario vigilato, sicuramente compito fondamentale del CFO è quello di monitorare sulla conformità e gestione dei rischi, in particolare, è fondamentale creare una struttura amministrativa che riesca a gestire e a muoversi tra gli stringenti requisiti di business, normativi e di adeguatezza patrimoniale. Inoltre, essendo Spefin un’azienda estremamente dinamica e con una forte componente tecnologica, risulta altresì fondamentale che il CFO sia la figura di interconnessione e di sintesi tra le varie funzioni aziendali».

D. Come valutano i nostri CFO le opportunità legate alla finanza alternativa? R. L’adozione della finanza alternativa e digitale sarà sempre più importante per ridurre la dominanza della tradizionale finanza bancaria. È importante che il CFO adotti soluzioni disponibili sempre più competitive, sofisticate e sorprendenti per trovare soluzioni alternative che rendano più efficace la gestione della finanza d’impresa. Il monitoraggio e la

reportistica delle non-financial information, così come la riduzione dei costi di business, non vengono più considerati appuntamenti essenziali del nuovo CFO (solo il 12% degli intervistati infatti ha risposto positivamente a questo item) più orientato a una dimensione di supporto al processo decisionale (il 52% ha confermato questa visione) e di innovatore dei processi amministrativi (45%). A.G.



dossier - Atradius

SOLUZIONI DI CREDIT MANAGEMENT

PER CRESCERE AL RIPARO DA RISCHI Atradius propone alle aziende italiane soluzioni di gestione strategica del rischio di credito commerciale. Per dare risposta a un problema molto sentito dalle PMI: i mancati pagamenti e le insolvenze

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a gestione strategica del rischio di credito commerciale diventa sempre più importante nei contesti aziendali. «Sempre più importante, ma anche sempre più complessa – commenta Massimo Mancini, Country Manager di Atradius Italia – a causa della globalizzazione dei mercati e della volatilità delle economie. In questo contesto, l’assicurazione del fatturato a credito dell’azienda si rivela uno strumento di supporto alle logiche di crescita e sviluppo efficace, chiaro e flessibile. Ma soprattutto uno strumento che permette di crescere al riparo da rischi. Ecco perché un crescente numero di aziende italiane guarda con interesse a questa soluzione assicurativa, che consente di proteggere la redditività aziendale, aiutando a cogliere le opportunità di sviluppo sui mercati e limitando il rischio di credito commerciale che può derivare da volatilità di mercati ed economie». 36 dfo - settembre 2018

Proteggere il cash flow dai mancati pagamenti Le dinamiche evolutive e la globalizzazione alimentano mancati pagamenti e insolvenze, che rappresentano un problema molto sentito da parte delle aziende italiane, soprattutto PMI, che costituiscono circa il 90% del tessuto industriale del nostro Paese. «In particolare – precisa Mancini – il verificarsi di tali fenomeni può rivelarsi talmente negativo per i risultati di un’azienda da comprometterne la continuità del business. Infatti, se i clienti non pagano o pagano in ritardo, un’impresa non riesce ad ottimizzare i propri flussi finanziari correndo il rischio di avviarsi al fallimento. Il rischio di credito commerciale rappresenta, dunque, una concreta minaccia allo sviluppo del business aziendale. Per questi motivi le aziende cercano protezione». Il credit management richiede esperienza L’esigenza di protezione da parte di un partner professionale specializzato è sentita in modo significativo soprattutto da chi non ha una sufficiente esperienza nel credit management. «Assicurando i crediti commerciali, invece, l’azienda, indipendentemente da dimensioni e settore merceologico, trasferisce il rischio di mancato pagamento su un assicuratore specializzato nella gestione dei crediti – spiega Mancini.

Questo permette all’azienda assicurata di concentrarsi sulla crescita del proprio giro d’affari, senza temere gli impatti negativi, sui bilanci, di eventuali perdite su crediti. Inoltre, una polizza di assicurazione del credito può agevolare l’accesso al finanziamento bancario, poiché la banca può diventare eventuale beneficiario degli indennizzi». Le coperture disponibili «Quale leader ed esperto nel settore dell’assicurazione del credito a livello mondiale – prosegue Mancini – Atradius affianca le aziende nella gestione del portafoglio crediti nel modo più redditizio possibile, attraverso flessibilità e polizze assicurative sempre più rispondenti alle esigenze degli operatori, al fine di contenere il pregiudizio derivante dall’inadempienza dei debitori. Le coperture assicurative offerte da Atradius si rivolgono al mercato in maniera trasversale. In particolare, Atradius offre la polizza “Modula”, dotata di una struttura modulare che consente all’impresa assicurata una copertura personalizzata contro il rischio di insolvenza degli acquirenti, mentre alle grandi imprese e alle multinazionali operanti in tutto il mondo offre soluzioni estremamente flessibili dal punto di vista gestionale, come la soluzione “Global” riservata alle multinazionali, in linea con le esigenze di protezione dei crediti a livello mondiale».


Atradius - dossier

Polizza e digitale Bisogna sottolineare come la versatilità dell’assicurazione del credito consenta di coniugare questo strumento assicurativo con l’evoluzione digitale. `Di fatto – racconta Mancini – sono altamente significativi gli impatti della rivoluzione digitale nel settore assicurativo, il cui modello di offerta, e di gestione del processo post-vendita della polizza, devono necessariamente adeguarsi ai cambiamenti imposti dal sempre più capillare utilizzo delle tecnologie digitali da parte del mercato. In quest’ottica, Atradius ha concretamente avviato un percorso inteso a realizzare le più efficaci sinergie tra le potenzialità delle nuove tecnologie e la propria proposta di valore al mercato. Questo con l’avvio di una versione più avanzata della propria piattaforma digitale, che si presenta al mercato con il nome di “Atrium”’, il nuovo portale per la gestione della copertura assicurativa dei crediti commerciali»

Il portale web Atrium è un portale di tecnologia avanzata, in cui gli assicurati Atradius possono gestire la propria polizza di assicurazione dei crediti commerciali in un ambiente intuitivo, interattivo e agile atto a migliorare la customer experience. Il portale è stato realizzato per fornire le più avanzate soluzioni digitali ed i più elevati requisiti di utilizzo. «Da sempre ci distinguiamo nel fornire al mercato soluzioni assicurative e gestionali dei crediti commerciali altamente innovative e all’avanguardia dal punto di vista della customer experience – conclude Mancini. Eccellere in questo obiettivo, in un prodotto ad alto valore come l’assicurazione dei crediti commerciali, è la mission del Gruppo. Alle aziende italiane vengono offerti strumenti focalizzati sulle loro reali necessità, che consentano significativi risparmi di tempo nella gestione del portafoglio crediti commerciali nella maniera più redditizia possibile.

Infatti, è proprio il tempo il fattore determinante nel poter cogliere prontamente le opportunità commerciali offerte dalla globalizzazione dei mercati, tutto questo al riparo da rischi e nell’ottica delle migliori pratiche per la tutela e lo sviluppo del business. Essere pronti e preparati ad affrontare l’era digitale, in cui i servizi e prodotti offerti dal Gruppo troveranno una sempre maggiore evoluzione, significa realizzare quella strategia di posizionamento sul mercato che risulta in un sempre maggiore gradimento da parte delle imprese clienti del Gruppo». Sul mercato italiano, Atradius affianca alle soluzioni assicurative per il credito commerciale anche un servizio di recupero crediti in Italia e all’estero; e le fideiussioni e garanzie, accettate da tutti i beneficiari pubblici e privati che, a costo contenuto, consentono di non immobilizzare denaro, titoli o altre garanzie reali. P.F. settembre 2018 - dfo 37


dossier - CRIBIS

COME PAGANO LE IMPRESE E GLI STRUMENTI PER LA GESTIONE DEL CREDITO La gestione del credito commerciale rimane la chiave per intercettare le criticità e cogliere le opportunità di sviluppo. Ne parliamo con Marco Preti, Amministratore Delegato di CRIBIS

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e ultime analisi fotografano un miglioramento nell’andamento dei pagamenti commerciali delle imprese, ma in Italia si paga ancora con una media di 82 giorni.

con una media di 82 giorni: quasi 3 mesi per incassare una fattura, con punte di 127 giorni nella Sanità. Le aziende con ritardo nei pagamenti superiore ai 30 giorni restano stabili.

Dottor Preti, quali sono le principali evidenze dell’ultima analisi di CRIBIS sui pagamenti commerciali in Italia? A giugno 2018 registriamo un andamento in linea con il trend degli ultimi anni: nonostante un lieve calo dei pagamenti puntuali rispetto al trimestre precedente, le aziende regolari nei pagamenti si attestano al 36,7%, in aumento su base annua dello 0,8% (36,4% a giugno 2017), seppur in lieve calo rispetto a marzo 2018 (-0,5%). Nonostante la situazione di generale miglioramento in materia di pagamenti, in Italia si paga ancora

Quali dinamiche si riscontrano a livello territoriale? Il Nord Est si conferma l’area geografica più affidabile, registrando il 45,5% di pagamenti commerciali entro i termini, ben al di sopra della media nazionale, a fronte del 6,8% di ritardi superiori a 30 giorni. Positivo anche l’andamento del Nord Ovest, sopra la media nazionale, con il 42,1% di imprese regolari nei pagamenti e il 7,8% in ritardo, in linea con i dati registrati nel trimestre precedente. Le regioni del Centro, invece, presentano una situazione meno positiva, con numeri inferiori alla me-

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Marco Preti, Amministratore Delegato di CRIBIS

dia nazionale, ma pressoché in linea con i dati rilevati precedentemente, mentre le imprese che pagano con ritardo grave aumentano di 0,8 punti percentuali attestandosi al 13,1%. In linea con i dati rilevati a marzo 2018, sono le aziende del Sud a mostrare maggiori criticità: soltanto il 23,3% delle imprese di quest’area, infatti, riesce a rispettare i termini di pagamento. Entrando nel dettaglio dei dati regionali, Veneto ed Emilia Ro-


CRIBIS - dossier

magna sono le regioni più virtuose in materia di pagamenti, seguite dalla Lombardia al 45,8%. Al di là dei singoli dati è importante interpretare correttamente questa analisi superando il concetto di territorialità: tra Nord e Sud vi sono una serie di differenze sostanziali dal punto di vista commerciale, del tessuto economico e nelle dimensioni e tipologie aziendali di cui è necessario tenere conto. E qual è la situazione per settori e dimensione delle imprese? Le imprese del settore finanziario registrano i risultati migliori, con il 48,1% di aziende che si sono distinte nei pagamenti e solo l’8,3% che paga oltre i termini. Seguono le imprese del comparto industriale e produttivo che, nonostante presenti un leggero calo, mostra dati positivi non solo per quanto riguarda le aziende puntuali nei pagamenti (42,6%), ma che registra anche, tra tutti i settori oggetto dell’analisi di CRIBIS, la percentuale più bassa di imprese con ritardi oltre i 30 giorni (solo il 7,7%). Il settore del commercio al dettaglio si conferma quello con le maggiori criticità a confronto con gli altri comparti, in linea con l’andamento di marzo 2018: a giugno 2018, infatti, le aziende puntuali sono state il 26,4%, a fronte del 17% di imprese con ritardi nei pagamenti oltre i 30 giorni e di un ampio numero di realtà (56,6%) che ha registrato ritardi entro i 30 giorni. L’analisi dei pagamenti per dimensione aziendale evidenzia la puntualità nei pagamenti delle micro realtà, che rispettano le scaden-

ze nel 37,9% dei casi. Sono sempre le micro realtà, però, a registrare la quota maggiore di ritardi gravi oltre ai 30 giorni (12,2%). A seguire, le piccole imprese mostrano puntualità nei pagamenti nel 35,6% dei casi, a fronte del 6,9% di ritardi gravi. Per le grandi realtà la situazione è ribaltata: solo nel 12% dei casi si tratta di aziende virtuose, mentre il 5,1% accumula ritardi gravi nei pagamenti e ben l’82,9% paga i propri fornitori con ritardi entro i 30 giorni. La gestione del credito commerciale rimane fondamentale per le aziende. Quali leve per migliorarla? In questi anni le aziende che hanno raccolto i risultati migliori sono quelle che hanno saputo coniugare l’esigenza di salvaguardare la propria solidità finanziaria con l’obiettivo di crescita dei ricavi e del numero di clienti. Per fare questo le aziende stanno investendo in procedure e strumenti per migliorare la propria gestione del credito e intercettare tempestivamente le criticità, ma anche le opportunità di sviluppo. Partendo da questa esperienza abbiamo sviluppato uno strumento per aiutare le aziende a raggiungere i propri obiettivi con una soluzione configurabile in base alle proprie esigenze. CRIBIS.com X è la nuova piattaforma dedicata al mondo dei Credit Manager, che permette di tradurre le strategie commerciali e di gestione del credito in strumenti operativi per valutare nuovi clienti, monitorare e gestire il portafoglio clienti e ottimizzare il processo decisionale con la rete commerciale, riducendo così DSO, scaduto e perdite.

Quali sono le caratteristiche distintive di questa nuova soluzione? Con CRIBIS.com X le aziende possono avere sotto controllo lo stato di salute complessivo del portafoglio clienti e, allo stesso tempo, sapere rapidamente quali sono i clienti che necessitano di maggior attenzione: è infatti in grado di fornire analisi che uniscono dati interni dell’impresa e gli indicatori di rischio e i benchmark sui pagamenti di CRIBIS, per tenere sempre sotto controllo ritardi, esposizione e scaduto. Allo stesso tempo, permette in maniera interattiva di navigare rapidamente all’interno del patrimonio informativo di CRIBIS, il più ampio e aggiornato disponibile sul mercato e arricchito costantemente da nuove fonti, individuando subito i contenuti di interesse. CRIBIS.com X consente di intervenire tempestivamente sulle situazioni problematiche: confronta rapidamente affidabilità della clientela ed esposizione; inoltre aggiorna tempestivamente sui cambiamenti in atto con notifiche di monitoraggio impostabili secondo ogni esigenza. Per permettere di implementare efficacemente la Credit Policy, l’utilizzo delle informazioni è adattabile in funzione degli obiettivi di credito con la possibilità di integrare i dati, di analizzare i crediti e di usufruire di valutazioni coerenti e personalizzate. Inoltre, l’app CRIBIS Sales Go consente di cercare in mobilità nuove imprese da visitare e di verificare le condizioni di credito concedibili. Qualsiasi azienda con una rete commerciale sul territorio può avere un immediato vantaggio in termini di costi e di efficienza commerciale. P.F. settembre 2018 - dfo 39


Informazioni dalle aziende - Lenovo

TECNOLOGIE PER UN UFFICIO DAVVERO SMART La vision di Lenovo sul lavoro del futuro passa dagli spazi lavorativi “intelligenti”. Ma come avere la certezza che la tecnologia sia all’altezza delle aspettative? I benefit che un tempo distinguevano le aziende più evolute – alimenti sani gratuiti, cene di fine mese e la possibilità di vestire in modo più casual in certi giorni – sembrano ormai superati. L’atmosfera cordiale e informale, concepita per stimolare creatività e produttività, non basta ad attrarre i migliori talenti. Cosa serve? Tecnologie smart. L’87% dei decisori aziendali afferma di voler richiedere tecnologie Smart Office per il prossimo incarico, secondo lo studio “Smart Office: a 2017 Vision for the Future” di British Land e Worktech Academy. Un’esigenza particolarmente sentita dai Millennial, di cui il 60% preferisce benefit basati su tecnologie intelligenti a quelli tradizionali di qualunque tipo, e l’80% decide se accettare un incarico in base alla tecnologia offerta nell’ambiente di lavoro, come conferma la Ricerca Intel Office of the Future. 40 dfo - settembre 2018

Tecnologia intelligente, vita intelligente Oggi tutti utilizzano tecnologie intelligenti perché semplificano la vita. L’ideale sarebbe utilizzarle anche sul posto di lavoro, per semplificare le attività e migliorare la collaborazione. Eppure, in base a un sondaggio condotto da Tech Republic, la tecnologia intelligente negli uffici è al di sotto di ogni aspettativa. Circa il 35% degli intervistati ha dichiarato di aver provato uno o più prodotti Smart Office e di non essere rimasto soddisfatto. La maggior parte è stata costretta a rinunciare, a causa di prodotti difficili da utilizzare e privi di un supporto IT soddisfacente. Le principali difficoltà sono state riscontate nell’ambito della videoconferenza.

aspettare che la connessione funzioni o che qualcuno, all’interno o esterno della sala riunioni riesca a connettersi? Tutto questo cambierà con la tecnologia Smart Office di nuova generazione. Finalmente ora è possibile organizzare riunioni immediate senza i tipici problemi di connessione e condivisione dei contenuti. Ad esempio grazie a tecnologie intelligenti come Lenovo ThinkSmart Hub 500, il primo strumento per conferenze basato su Skype for Business che unisce elaborazione, schermo e audio in un unico dispositivo autonomo. È solo una delle tecnologie all’avanguardia ideate per aumentare l’efficienza e le prestazioni dei dipendenti grazie a un ambiente di lavoro più intelligente.

La videoconferenza istantanea è possibile Un problema noto a tutti: quante volte, prima dell’inizio di una conferenza telefonica, capita di dover

Controllo dell’ambiente di lavoro Il controllo vocale consente ad esempio di gestire ogni aspetto con più semplicità, dalla sala riunioni al computer desktop. Gli as-


Lenovo - Informazioni dalle aziende

sistenti vocali, utilizzabili su tutti i dispositivi, dagli smartphone ai sistemi per conferenze, possono contribuire ad aumentare la produttività eseguendo attività ripetitive, come l’organizzazione di calendari e riunioni. Tramite l’elaborazione del linguaggio naturale, gli assistenti virtuali possono addirittura prendere appunti durante le riunioni e trovare rapidamente informazioni rilevanti per la conversazione all’interno di enormi quantità di dati. In un ambiente di lavoro sempre più aperto, il problema consiste nel garantire che i dispositivi a comando vocale non vengano disturbati dalle voci circostanti e che l’utente non distragga

altre persone mentre interagisce con il dispositivo. Nel caso dei dipendenti, la tecnologia Smart Office consente di controllare il livello di comfort dello spazio di lavoro: le funzionalità più richieste includono la regolazione automatica di illuminazione e tende, oltre alla possibilità di impostare valori personalizzati per luce e temperatura, da utilizzare ovunque all’interno dell’edificio. Le funzionalità intelligenti preferite dei decisori aziendali sono correlate all’efficienza, ad esempio un’app per prenotare sale e scrivanie, sale riunioni in cui schermi e dispositivi personali interagiscono senza problemi e tecnologie IoT (Internet of Things)

per tenere traccia dell’utilizzo. Una cosa è certa: è il momento di investire nelle tecnologie Smart Office e ignorare il superfluo, per aumentare la produttività e attrarre in azienda i talenti migliori.

Per maggiori informazioni: LENOVO (Italy) S.r.l Segreen Business Park Via San Bovio, 3 Edificio 20090 SAN FELICE - Segrate (MI) www.lenovo.com/it/it

settembre 2018 - dfo 41


aziende - TAS Group

LA TESORERIA NEL MONDO CHE CAMBIA Pagamenti in tempo reale, cruscotti per la gestione unitaria dei conti correnti, il controllo della liquidità infragiornaliera e la reportistica, integrazione dei flussi nei sistemi gestionali. Ma anche servizi digitali omnicanale, robotica e modelli previsionali basati sull’intelligenza artificiale. Sono le nuove risorse che la digital transformation offre alla tesoreria

G

li instant payment sono una delle novità più rilevanti a uso della tesoreria d’impresa. Ma non sono l’unica. La lista delle innovazioni recenti include la diffusione dei dispositivi mobile e dei relativi servizi, l’evoluzione dei POS in sistemi tap and go, la smaterializzazione degli strumenti di pagamento attraverso app e wallet virtuali. E, ancora, rivoluzioni normative come la direttiva PSD2, che abilita soggetti terzi a erogare servizi bancari e consente loro l’accesso al conto corrente, previa autorizzazione dell’intestatario. In Europa esistono due iniziative per i pagamenti in tempo reale, basate su sistemi di trasferimento RTGS, acronimo traducibile in italiano con “sistema di regolamento lordo in tempo reale”. La prima piattaforma, promossa da EBA Clearing ed estesa a una trentina di Paesi, è attiva dal novembre 2017, mentre la seconda, voluta dalla BCE, partirà nel novembre di quest’anno e avrà una portata paneuropea. Entrambe assicurano trasferimenti immediati – parliamo di un tempo che varia dai cinque ai dieci secondi –, sette giorni su sette, h24, per ogni giorno dell’anno. I pagamenti sono monitorabili in diretta e irrevocabili. «Nel contesto di un più generale processo di consolidamento dei si42 dfo - settembre 2018

stemi di pagamento, il trend è quello di una migrazione verso nuove piattaforme e nuove architetture dei conti. Temi chiave sono l’interoperabilità dei sistemi e il rapporto con le banche commerciali – spiega Mario Mendia, direttore della Business Unit Capital Markets and Treasury di TAS Group, gruppo specializzato in software per l’innovazione nei sistemi di pagamento, le carte, i mercati finanziari e i processi ERP. La gestione della liquidità d’impresa è in evoluzione e una nuova domanda di servizi digitali, oggi ancora parzialmente insoddisfatta, nasce dalla necessità della tesoreria di avere una visione unitaria di tutte le posizioni, in tempo reale, integrando i flussi nei sistemi ERP». Un cambiamento irreversibile «Il trend verso il real time è avviato e irreversibile, non c’è ombra di dubbio. Ma i tempi della sua affermazione non sono dettati solo dai desiderata degli utenti, ma vincolati ai limiti della realtà esistente – continua Mendia». L’attività delle banche, in particolare, è soggetta a restrizioni regolatorie in continua evoluzione, che incidono sui tempi ammodernamento dei sistemi e, di riflesso, sulla diffusione delle novità di mercato. «Pren-


TAS Group - aziende

diamo gli instant payment: a oggi, in Europa sono consentiti fino a 15mila euro. Un limite che li rende marginali per una tesoreria corporate. La piattaforma paneuropea in partenza a novembre 2018, al contrario, affida il tetto massimo alla discrezionalità del regolatore nazionale e alla comunità degli istituti di credito. Ecco allora che le transazioni real time potrebbero diventare interessanti per le aziende, per pagare il personale e per i trasferimenti internazionali o non preventivati. Per le banche, invece, i limiti di pagamento diventeranno uno strumento competitivo per l’offerta di servizi». Dal retail al corporate l’osmosi è continua Se da un lato il marketing crea con una certa facilità prodotti instant per il retail, di facile gestione operativa, la loro estensione al corporate è cosa ben più complessa. Ciò nondimeno, la domanda è destinata a crescere, trainata da un’osmosi che alimenta l’aspettativa delle imprese. «Fuori dall’ufficio, ogni CFO, ogni tesoriere, ogni controller sono clienti privati, coinvolti come tutti noi in un processo di generale disintermediazione, che va dall’e-commerce al trade investment online – afferma Roberto Bruschi, Business Expert Financial Markets and Treasury di TAS Group. Con l’entrata in vigore della PSD2, che sottrae alle banche l’appannaggio esclusivo dei pagamenti e abilita i player fintech a offrire servizi bancari, la concorrenza si estenderà dal retail al corporate, nonostante le imprese mostrino una certa diffidenza verso i soggetti non bancari». Il nuovo paradigma competitivo Lo scenario competitivo costringe le banche a rimodernare i sistemi, fino a oggi caratterizzati da una tecnologia solida ma vetusta. Tradizionalmente poco reattive al cambiamento, le banche subiscono la concorrenza

delle digital bank e dei player FinTech, più dinamici perché nati in era digitale e avvantaggiati da sistemi all’avanguardia. Riflette ancora Bruschi: «La banca deve stare al passo con un mondo che cambia in fretta. I tradizionali sistemi legacy, votati alla sicurezza più che versatili all’innovazione, rischiano di essere penalizzanti perché rispetto al passato le aziende danno meno peso a questo aspetto: ai fini Mario Mendia, direttore della Business Unit Capital Markets and del pagamento, big player Treasury di TAS Group come PayPal e Amazon non sono percepiti come meno sicuri». E intanto l’esigenza di rinnovamento incalza, generando il timore di non saper tener dietro al cambiamento, «di non essere i primi a seguire il business case giusto da cavalcare», chiosa Mendia. Real time, robotica e intelligenza artificiale Perché i prodotti real time entrino nell’uso comune delle aziende, le banche dovranno aver implementato i sistemi, ma bisognerà anche fare i conti con un modello di tesoreria conservativa, a sua volta in evoluzione. «Le aziende hanno bisogno di gestire le loro posizioni in maniera unitaria e in tempo reale, di aggregare i dati derivanti da fonti diverse e di integrare i flussi con i sistemi ERP. Ma vogliono anche diminuire i processi manuali e aumentare la flessibilità. Da un lato la robotizzazione dei task, che affida alla macchina i compiti ripetitivi, e dall’altro l’intelligenza artificiale, con l’applicazione di modelli predittivi all’ambito dei pagamenti, sono le tecnologie più accreditate per assecondare le esigenze della tesoreria del futuro», conclude Mendia. F.R. settembre 2018 - dfo 43


aziende - CCH Tagetik

REPORTING FINANZIARIO MODERNO: LA GRANDE SFIDA PER I CFO I nuovi requisiti di compliance, gli standard locali e il contesto di mercato rendono sempre più importanti gli strumenti tecnologici a disposizione del CFO e della funzione Finance

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cambiamenti nel Reporting Finanziario sono una delle più grandi sfide che i CFO si trovano oggi ad affrontare. I nuovi requisiti di compliance – quali Solvency II, l’IFRS 16, e gli standard di sostenibilità locali – implicano importanti cambiamenti all’interno del reporting finanziario e in determinati processi finanziari.

I nuovi bisogni del CFO Inoltre, i team Finance devono gestire nuove richieste a livello di reporting interno. Sono necessarie informazioni più puntuali e rilevanti su cui basare le decisioni quotidiane. I dirigenti e i membri del Consiglio di Amministrazione vogliono un quadro finanziario completo e aggiornato, oltre a previsioni, modeling e analisi basate sui KPI su cui fondare le decisioni strategiche. La richiesta di velocità, precisione e conformità non è mai stata più grande. A ciò si aggiungono le aspettative riguardo l’accuratezza dei dati, la tempestività del reporting, l’accessibilità (in qualsiasi momento, da qualsiasi dispositivo), la chiarezza delle presentazioni e l’efficienza dei processi.

Servono informazioni più puntuali e rilevanti su cui basare le decisioni quotidiane Leslie Cant, Product Marketing Director di CCH Tagetik 44 dfo - settembre 2018


CCH Tagetik - aziende

Quali soluzioni tecnologiche La risposta a queste nuove esigenze è proprio la tecnologia che, grazie ai processi automatizzati e ad una piattaforma di Corporate Performance Management, oggi fornisce la chiave per rispondere alle nuove sfide del reporting finanziario moderno, determinando inoltre una riduzione in termini di tempo e di risorse. Una soluzione software completa per la gestione del reporting offre numerosi vantaggi: • Information management. Una soluzione efficace permette di tracciare e verificare i dati e automatizzare la gestione degli aggiornamenti. Idealmente, la soluzione include anche la gestione del workflow, fornendo un quadro approfondito dello stato di avanzamento del lavoro e delle relative scadenze. • Import ed export dei dati. Ai fini di un reporting dettagliato, i team Finance devono incorporare dati provenienti da diverse sorgenti. Una soluzione di reporting dovrebbe agevolare l’import (e l’export) dei dati da sistemi ERP, sistemi finanziari o altri sistemi legacy all’interno dell’ecosistema delle tecnologie di un’azienda. • Collaborazione. A livello avanzato, è necessaria la collaborazione tra varie aree aziendali. Una soluzione software dovrebbe rendere semplice e intuitiva, persino per un utente occasionale, la condivisione di dati e commenti. • Risultati di facile lettura. La possibilità di visualizzare i risulati di reporting utilizzando strumenti familiari, quali Microsoft Excel, PowerPoint o Word, ne facilita la comprensione. Inoltre, la possibilità di unire numeri e descrizioni testuali e/o supporti grafici aiuta il team Finance a comunicare dati importanti in maniera più efficace. La soluzione dovrebbe per-

Il vantaggio più rilevante di una Corporate Performance Platform è arrivare a una versione unica della verità

mettere ai business owner di accedere ai report in qualsiasi momento, senza il bisogno di ulteriori risorse finanziarie. • Una versione unica della verità. Questo è il vantaggio più importante di una soluzione di Corporate Performance Platform, poichè determina una riduzione dei rischi legati alla compliance e permette di fornire ai dirigenti e agli stakeholder informazioni coerenti e affidabili. Le regole finanziarie integrate e la possibilità di gestire le conversioni di valuta migliorano ulteriormente il livello di coerenza del reporting. In breve, il reporting finanziario moderno deve rispettare i requisiti normativi e fornire una guida operativa, finanziaria e strategica. I CFO assumono responsabilità strategiche sempre più ampie, pertanto devono essere in grado di fornire agli stakeholder informazioni approfondite, puntuali e affidabili. La tecnologia accompagnata da una soluzione di Corporate Performance Platform li aiuterà a gestire queste nuove sfide con sicurezza. Leslie Cant, Product Marketing Director CCH Tagetik settembre 2018 - dfo 45


aziende - Made in Italy

IL MARCHIO “MADE IN ITALY”? GENERA VALORE, MA NON BASTA A puntare sul fascino del nostro Paese e sul valore aggiunto che genera sono soprattutto le aziende tessili, alimentari e dei metalli. Per le grandi aziende servono soprattutto innovazione, produttività ed efficienza

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re paroline magiche che non aprono tutte le porte. Secondo un’indagine HSBC, il marchio “Made in Italy” viene utilizzato nelle relazioni di business internazionali solo da un’azienda esportatrice su tre. Anche se il 90% gli riconosce la capacità di generare valore aggiunto. Innovazione e produttività contano di più Potrebbe sembrare un paradosso, ma la spiegazione è abbastanza semplice. Le aziende italiane sono consapevoli che il successo all’estero non è frutto solo di un marchio ma, come spiega Marco Mariano, Head of Commercial Banking di HSBC Italia, «è legato soprattutto alle capacità strutturali e strategiche, come il livello di innovazione e di produttività». Non è un caso che il binomio “successo all’estero - Made 46 dfo - settembre 2018

In Italy” sia stato inserito anche tra i sette falsi miti dell’export nostrano (vedi box). Made in Italy: il marchio va forte tra le piccole imprese … Il marchio Made in Italy, come sinonimo di alta qualità, creatività e design, funziona infatti soprattutto per le imprese più piccole e per quelle manifatturiere (50%) e dal settore terziario (18%). All’interno dell’industria manifatturiera, in particolare, il marchio domina (come prevedibile) la comunicazione delle aziende tessili (80%), alimentari (59%) e della lavorazione dei metalli (50%). … ma non tra le grandi Le aziende di grandi dimensioni che puntano sull’origine geografica dei loro prodotti si fermano invece al 39%. Fanno meglio solo quelle con un elevato indice di innovazione (47%). A livello geografico, le imprese che lo utilizzano maggiormente sono nel Nord Est (43%), nel Centro Italia e nel Nord Ovest. S.R.


Made in Italy - aziende

SETTE FALSI MITI SU ITALIA ED EXPORT Sul rapporto tra Italia, export e resto del mondo circolano diverse credenze errate. Uno studio di HSBC ha raccolto 7 “falsi miti” sul nostro export.

1

“L’Italia è un Paese in vendita” Parte dal confronto cessioni-acquisizioni la ricerca di HSBC. A differenza di quanto si pensi, infatti, quasi la metà delle medie e grandi aziende italiane ha realizzato almeno un’acquisizione: nell’81% dei casi all’estero. Mentre solo il 13% delle aziende è stato acquisito da società estere.

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“Le aziende italiane non innovano” Anche grazie alle nuove acquisizioni, non si può dire che gli esportatori non innovino. Al di là dei luoghi comuni, quasi il 90% delle aziende esportatrici ha rinnovato prodotti e processi negli ultimi tre anni: la digitalizzazione si conferma quindi centrale per avere successo all’estero.

3

“L’Italia esporta solo manifattura” All’estero è apprezzata non solo la manifattura, prodotti artigianali etc, ma anche l’industria del terziario italiana, dove invece l’innovazione tecnologica è presente di sicuro: il 65% delle aziende di questo settore esporta.

4

“All’estero si va per tagliare i costi” L’obiettivo dell’internazionalizzazione? È chiaro che la riduzione dei costi è una priorità, è così per il 22% del campione, ma a precederla troviamo altre urgenze, come la necessità di aprirsi a clienti, partner e fornitori esteri (39%).

5

“L’export risolve i problemi di redditività” Che le aziende con un business all’estero guadagnino di più non è da dare per scontato. Alti livelli di reddittività e produttività sono stati riscontrati sia tra le aziende esportatrici sia tra quelle con un attività esclusivamente nazionale: non sono solo gli esportatori quindi ad avere elevati indici di ROE o ROI (intorno all’11%).

6

“La burocrazia? Un problema solo italiano” Sebbene i vantaggi non manchino, l’export porta con sè molte difficoltà. Il 61% delle realtà intervistate mette la burocrazia in cima alle criticità. Non è quindi un problema solo nostrano. Si aggiungono poi la difficoltà di trovare adeguato capitale umano (47%), il problema di proteggere la proprietà intellettuale (39%), le differenze linguistiche/culturali e la corruzione (19%).

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“Il marchio Made in Italy aiuta” Come abbiamo visto in questo articolo, non è sempre così.

settembre 2018 - dfo 47


closing time

Dazi. Un freno per il commercio, ma non per la crescita UE, Cina e Giappone pronti a difendersi Europa e Cina sono comunque già pronte per rispondere. Nel corso del 21esimo vertice UE-Cina di Pechino le due potenze hanno firmato per potenziare l’accordo sul commercio in linea con la OMC, operativa da 15 anni. E in occasione del 25esimo vertice di Tokyo, il Vecchio Continente si è accordato anche con il Giappone. Primo di una serie di passi verso il libero scambio, la migliore arma contro il protezionismo USA.

La guerra dei dazi avanza, ma la crescita globale non è a rischio. Anche se Trump minaccia ormai in modo diretto Cina ed Europa, queste stanno già reagendo. Inoltre la tensione commerciale non ha ancora messo un freno alla domanda interna. Il commercio che rallenta … È Amundi a metterlo nero su bianco, ritraendo uno scenario sì preoccupante ma finora dagli impatti ancora limitati. Certo, è bastata l’incertezza a rallentare le relazioni commerciali tra le varie nazioni in tutto il mondo. Ad aprile il commercio mondiale cresceva solo del 2,4% (3 mesi/ 3 mesi su base annua). Ma a luglio siamo 48 dfo - settembre 2018

già tornati su un +3,8%, percentuale ancora bassa rispetto agli anni precedenti e una crescita più lenta di quella del PIL mondiale, che però apre spazio all’ottimismo. … e il protezionismo USA che avanza Quindi sì, l’effetto Trump, pur senza grossi scossoni, pesa sul commercio globale. Il Presidente ha del resto in serbo nuovi dazi per Cina ed Europa, accusate di non rispettare le regole dei giochi e di essere causa del deficit a stelle e strisce. Ma è ormai chiaro a tutti, anche se la Casa Bianca non lascerà perdere prima delle elezioni di mid-term, che è un’argomentazione senza prove.

Nessun rischio per la domanda interna La domanda interna europea può considerarsi quindi per ora al sicuro. Anche perché i prodotti presi di mira dai dazi rappresentano al momento una percentuale esigua del commercio internazionale. Il braccio di ferro tra Trump ed Europa, così come quello con la Cina o con il Giappone, semmai ha fatto calare alcuni indicatori sulla fiducia delle imprese ma l’impatto sulla crescita globale resta limitato. Altre cause per il rallentamento del commercio Se il commercio internazionale rallenterà ancora nei prossimi mesi è piuttosto a causa della liberalizzazione meno mercata rispetto agli anni ’90, imposta dalla crisi finanziaria; dell’aumento delle barriere non tariffarie, soprattutto nei Paesi emergenti; e del rischio rappresentato dalla situazione attuale sul funzionamento delle catene di valore. S.R.


dfo

settembre 2018

DIGITAL F IN A N C IA L OFFICER

M. Bandello 15 23 Milano, Via 8 Blast21 Srl - 201 - settembre 201 o II - Numero 7 Trimestrale - ann - D.L. 353/2003 - Sped. in a.p. no Poste Italiane SpA ma 1, DCB mila com 1, art. 46) 02/2004 n. (conv. In L. 27/

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