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La montagna e la bambina

Nelle tavole di Francesca Sanna la montagna è un Signor Montagna con tanto di occhi e bocca, che acciglia lo sguardo e agita le mani, ricco non solo dei boschi che crescono sui suoi pendii, ma anche della storia che racchiude, milioni di anni testimoniati da fossili e resti contenuti tra la sua terra. Il Signor Montagna si sente alquanto disturbato dalla bambina che gli chiede di spostarsi per permetterle di vedere qualcosa di diverso dalle sue rocce quando si affaccia dalla finestra di casa. Siccome non c’è verso di scalfire l’irriverenza innocente di Lucy, che par entusiasta del vento, della pioggia, della neve che lui le manda contro, allora il Signor Montagna prova ad aggirare quell’ostacolo coi codini suscitando in lei la curiosità, la voglia di scoprire e quindi di viaggiare. Se la issa in testa, permettendole una nuova prospettiva: un orizzonte ampio da cui si vede fin il mare e il panorama quotidiano prende una forma tutta differente. Lucy comincia camminando sui fianchi della montagna; si fa il fiato, prende la misura delle proprie forze, calibra il peso dello zai-

Il Signor Montagna ha milioni e milioni di anni e nella sua vita ne ha viste tante, ma ha scoperto solo da poco che esiste qualcosa che non conosceva.

no. E poi sparisce: è in giro per il mondo; il Signor Montagna invece è fermo al suo solito posto, pieno di malinconia e nostalgia. Un albo che - attraverso il tratto peculiare e ricco dell’illustratrice che i lettori italiani hanno ben imparato a conoscere - dice della capacità adulta di suscitare nei bambini la curiosità e la voglia di fare e di andare, ma anche della difficoltà a lasciare andare chi sta crescendo e fa quindi le proprie esperienze in autonomia, magari lontano, sicuramente fuori dal raggio dello sguardo di chi lo ha accompagnato con affetto e cura. Un albo adatto a essere letto e sfogliato insieme, magari proprio come momento comune di condivisione tra i sentieri autonomi e separati che la crescita e la vita poi permettono.

(caterina ramonda)

Bentornati!

La Giovanna, il placido e goloso drago Tommasone (per non parlare del cane Ciccio) sono stati, fra la metà degli anni ’70 e il finire del successivo decennio, tra i personaggi più amati della nostra letteratura per l’infanzia. Tutto era nato, giusto per fare un po’ di storia, nel 1974 quando nella “Libri per ragazzi” della Einaudi appare La Giovanna a fumetti, frutto di una felice esperienza compiuta dagli autori in una scuola elementare. Quattro anni più tardi, e con un preciso processo di maturazione grafica, è la volta de La Giovanna nel bosco, pubblicato da E.Elle e che oggi ritorna in questa bella edizione. Negli anni seguenti sempre Orietta Fatucci, prima, e poi Mondadori, ci regaleranno numerosi altri titoli, declinandone i casi in una pluralità di modi. Tanti erano i motivi di questo successo: l’uso del fumetto, l’incalzante semplicità delle storie, il riferirsi ai topoi del fiabesco con qualche citazione pittorica, un segno morbido e veloce al quale si accompagnava un tratteggio fitto che quasi ricordava la vecchia incisione ottocentesca. E, in primis, la non comune simpatia e originalità dei personaggi con i quali, per i piccoli lettori, era facile e grato identificarsi. La Giovanna era una bambinetta sagace e sicura di sé, tutt’altro che bella con il suo gran nasone, il volto lentigginoso e qualche chilo di troppo. In sogno, sempre accompagnata dal fido Ciccio, trova Tommasone, drago buono che soltanto la prepotenza e la violenza del “perfido

“Aspetta, aspetta! Cosa c’è in questo armadietto? Potremmo prendere: ciliegie al naturale, gelatina di arance, marmellata di lampone… E poi c’è cioccolato caldo, torta allo zabaglione, biscottini di pasta frolla, bignè alla crema, sfogliatelle farcite, frittelle di mele… Fermi tutti! Mancano le more mature! Dai facciamo una corsa e andiamo a coglierne un cestino!” barone Gualtiero” riescono a scuotere, facendo sì che alla buon’ora faccia finalmente ricorso, furibondo, al fuoco che gli esce dalla bocca, mettendo in fuga gli sgherri del barone che, nei loro comportamenti, ricordavano non poco qualche squadraccia fascista. Qui tutto nasce dal desiderio di Tommasone di far visitare a Giovanna la sua casa nel tronco di una quercia secolare e di andare nel bosco a raccogliere un cestino di more (“Una nel cestino per portarla a casa e due subito in bocca per sentire se sono buone”) che possano degnamente concludere una luculliana merenda. Ma il drago viene catturato e chiuso in gabbia e spetterà alla bimba liberarlo, non senza aiutanti e doni magici. I libri di Cristina e di Francesco li avevo scoperti nella biblioteca scolastica che stavamo via via formando con le adozioni alternative all’Anna Frank, poi - diventato papà - si può dire che, a furia di leggerli, li avessi imparati a memoFrancesca Sanna, Spostati Sig. Montagna, Cagli (PU), Settenove, 2021, pp. 32, euro 17,00.

Cristina Lastrego - Francesco Testa, La Giovanna nel bosco, Roma, Gallucci, 2021, pp. 44, euro 14,70

ria. Ricordo, ancora, sempre delle Edizioni E.Elle: La Giovanna e Tommasone, Giovanna sogna un drago, Giovanna sogna la campagna, Giovanna sogna tanti sogni. Ed è stato bello rileggerlo adesso e vedere che nulla ha perso in freschezza narrativa, pacata arguzia e candore.

Come sarà il futuro?

E domani? di Oliver De Solminihac, pubblicato nella collana “Superbaba” (in stampatello minuscolo), è un libro a capitoli che riprende un meccanismo narrativo comune a molti albi illustrati: il racconto, nella traduzione di Daniele Petruccioli, ruota infatti attorno a una domanda che viene ripetuta nell’incontro con diversi personaggi. Il protagonista è un lupacchiotto che abita nel bosco con i suoi genitori e che ha appena festeggiato il suo ottavo compleanno. Il padre, alla fine della festa, come tradizione, gli scatta una fotografia e Lucas la appende in bacheca insieme alle altre sette: un piccolo rituale che tiene traccia della crescita e del passare del tempo. Lucas osserva i propri ritratti, anno dopo anno e si accorge di essere cambiato. Da qui nasce una domanda, subito percepita come ingombrante e pesante. “Ma allora, io chi sono? E domani, che cosa mi aspetta? Come sarà il mio futuro?”. Nell’ordine e nella ritualità dentro casa, Lucas non riesce a trovare risposte, Oliver De Solmnihac - trad. di Daniele Petruccioli, E domani?, Milano, Babalibri, 2021, pp. 56, euro 8,00.

Certe domande sono come un vaso pieno di fiori, ingombrante, pesante e delicato, da appoggiare con attenzione, non in un posto qualsiasi e non come viene.

così chiede di uscire, entra in un bosco dove smarrisce la via di casa e dove cominciano gli incontri: l’agnello astrologo, la volpe sociologa, le civette pessimiste. Tutti hanno un’idea abbastanza precisa sul futuro del lupacchiotto e Lucas, che tanto desidera conoscere il suo domani, scopre che conoscerlo davvero è “spaventoso”. Il racconto, la cui dimensione filosofica trova eco nelle atmosfere delle illustrazioni di Junko Nakamura, nelle stelle lontane e nella nebbia, si chiude con un’apertura: un ultimo incontro felice e poi il bianco della neve. (mara pace)

Tra mare e monti

Dopo il titolo dedicato alla Sicilia con testi di Annamaria Piccione e illustrazioni di Lucia Scuderi (Spirdi, spirdate e sirene) si arriva nei territori della vecchia repubblica marinara per questa intrigante collana progettata e diretta da Teresa Porcella e graficamente pensata da Ignazio Fulghesu. Credo che la scelta di affidarsi ad Anselmo Roveda sia stata quanto mai opportuna giacché unisce in sé ad un’ormai collaudata capacità e piacevolezza di scrittura le vaste competenze attorno al patrimonio del folklore ligure. Patrimonio vasto e composito che, a differenza di altre regioni (si veda giusto la Sicilia con Giuseppe Pitrè), è stato in passato poco e male indagato. Con il risultato che moltissimi materiali, affidati com’erano alla fragile trasmissione orale, sono ormai andati irrimediabilmente perduti. In questa collana ciò che convince è il dialogo fra un agile intreccio narrativo e le precise ma affabili schede dedicate alla creature fantastiche che popolavano le nostre regioni. Marti e Lia sono due inseparabili amiche, intenti ad esplorare in libertà il bosco e il ruscello, penso nella parentesi magica delle vacanze estive, ma devono fare i conti con la presenza di folletti burloni. Invece le mucche della Maria non ne possono più delle incursioni, nelle notti di luna piena, di un gruppo di bambini sonnambuli, stregati dal bibou, serpente dalla gran testa vagamente felina. Li manda alla ricerca di latte, di cui è ghiottissimo, ma i bovini troveranno, con l’aiuto del gatto, il modo di vendicarsi. O,

Il ciliegio è lì da sempre, segna il confine tra il sole del cortile e l’ombra del sentiero che porta al bosco. La strada si infila tra i castagni, prima pianeggiante poi un po’ più ripida, fino al torrente. Per attraversarlo c’è da cercare i massi grossi, quelli su cui poggiare i piedi senza bagnarsi. Uno... due… tre... ed è fatta. [...] I pomeriggi, nell’ora in cui i più piccoli dormono e i grandi sonnecchiano, io e Lia facciamo scorribande nel bosco. Ci sono cespugli di more e un albero di amarene. E al torrente si possono guardare i girini diventare rane: coda ogni giorno più breve, zampe via via più lunghe.

giusto per fare un ulteriore esempio, c’è la bimba di un quartiere di edilizia popolare che crede fermamente nell’esistenza di minuscole fate che si dondolano in un guscio di noce. In tutto sette racconti e sette creature di un mondo parallelo al nostro che un tempo non disdegnava di rivelarsi. Ci sono così il porchin de feugo, il bestento (quello della filastrocca nonsensicale e finta fiaba), il barban (ricordato anche dal grande poeta dialettale Edoardo Firpo). E tanti altri ancora giacché nelle note veniamo a conoscere esseri, in qualche modo “imparentati” con i protagonisti di queste brevi vicende. Roveda ambienta così i suoi incontri in spazi diversi mostrandoci, con pochi tratti, lembi della nostra regione a partire dall’entroterra, laddove l’ulivo cede il posto al castagno, o piccoli borghi ormai quasi disabitati. GiuAnselmo Roveda - ill. di Giulia Pastorino, Barban, fate e tritoni e altri esseri fantastici della Liguria, Campobasso, Telos edizioni, 2021, pp. 80, euro 14,00, collana “147 Mostro che parla!”.

lia Pastorino qui conferma appieno le sue doti di narratrice cordiale ed estrosa che, in primis, ama il colore, cavandone felicissime accensioni e dissonanze. Un segno sicuro e ridente che, quando occorre, ama una deformazione espressionistica mai fine a sé stessa ma ben calata nelle ragioni del testo. Aggiungendovi note impagabili e sornione. (walter fochesato)

Il ladro di giorni

L’albo nasce per parlare ai lettori dai 6 ai 10 anni della pandemia che, per non pochi mesi, li ha chiusi in casa, costretti alla cosiddetta didattica a distanza, separati da figure amate e, ancor più, li ha portati a interrogarsi su di un nemico invisibile dinnanzi al quale non era facile misurarsi e trovare risposte adeguate. Ma, attenzione, qui non ci si trova dinnanzi a uno dei non pochi e talora modesti e discutibili instant book. In questi casi il libro a tema, magari generoso negli intenti, di rado raggiunge i suoi obiettivi e ci porta a ricascare nella vecchia e vieta “pedagogia”. Giacché, come ammoniva Bernardo da Chiaravalle, le strade che portano all’inferno sono lastricate di buone intenzioni. Il libro di Carthusia nasce al contrario da un progetto ben preciso, da un non facile lavoro (due focus group, interviste a bimbi e a genitori, coinvolgimento di esperti…) e esce, non casualmente, in una collana che, da non pochi anni e su testi equilibratissimi e lievi di Beatrice Masini, ha saputo affrontare argomenti difficili quando non dolorosi ma sempre con i modi (le armi verrebbe da dire) della metafora, talora del fiabesco. Dunque l’opera nasce quando la pandemia sembra aver allentato il suo morso, anche se, sappiamo, che tutto non tornerà come prima e che molto è cambiato in noi e nell’infanzia. Nella casa della piccola protagonista si è insinuata una paura o, ancor meglio, un ladro

L’anno che non ho compiuto gli anni è stato quell’anno che sono rimasta molto tempo in casa perché fuori c’era Qualcosa e non ci fidavamo ed era meglio stare dentro. È stato allora che è venuto il ladro.

ineffabile che ha la consistenza di un foglio di carta ed è quindi capace di penetrare per ogni dove. Non casualmente la bimba, dinnanzi a un qualcosa di ignoto e impalpabile, si dà una prima spiegazione riandando alle paure della mamma quando era piccola come lei. Troverà poi il coraggio di affrontarlo, di confrontarsi con lui. Dopo tutto il ladro vuol portarle via “soltanto” il suo compleanno. “Poi mi prendo qualche giorno di più. Poi qualche settimana. Poi magari un mese o due […] Il tuo compleanno è niente. Le cose che fai sono niente. Niente di niente. E se non è niente, che importanza ha se me lo prendo io?” La protagonista inizialmente non sa che cosa rispondere ma poi, riflettendo, comprende che tutto quello che accadeva in caso in quei giorni non era un far niente. “Giocare. Parlare. Ridere. Scrivere, Disegnare. Ricordare. L’elenco era lungo, e bello. Erano un sacco di cose che nessuno poteva portarmi via, nemmeno il ladro, perché ero io a farle, io, la mamma e il papà”. Il ladro, se proprio voleva poteBeatrice Masini - ill. di Angelo Ruta, L’anno che non ho compiuto gli anni, Milano, Carthusia, 2021, pp. 36, euro 17,90, coll. “Ho bisogno di una storia”.

va pur prendersi il suo compleanno. “Però lascia stare il nostro niente”. Devo dire che non era facile illustrare un testo del genere sospeso fra i riti della quotidianità, il sogno notturno, la paura, l’attesa. Angelo Ruta vi è invece riuscito alla perfezione. La sua personalissima declinazione della ligne claire lo porta a tavole morbide ed eleganti nei toni e nei colori. Qui poi ha intessuto un ardito e mirabile dialogo con il testo di Beatrice Masini, sottolineandone la sospensione spaziotemporale. Il dialogo con il ladro di tempo fa sì che gli ambienti della casa via via si spoglino di tutto giocando sulle pareti grigie con gli oggetti, radi, che diventano meri contorni bianchi. Una sensazione di stupori, timori e malinconie che cede poi il passo al ritorno della calda luminosità della casa e di chi vi abita. Gustosissime, infine, le citazioni che Ruta si diverte a disseminare qua e là: dall’omaggio al Piripù Bibi di Emanuela Bussolati e ad altri albi di Carthusia ma non mancano due quadri con una pera e una mela che rimandano ai libri di Iela Mari. (walter fochesato)

In cerca di una storia

Con questo romanzo, Sophie Anderson conferma la sua brillante capacità narrativa che attinge al patrimonio di racconti tradizionali dell’est europeo, di cui aveva già dato prova nel precedente La casa che mi porta via, edito da Rizzoli nel 2018. In questo caso costruisce una narrazione su più livelli offrendo al lettore un corpus di storie all’interno della trama principale, che appaiono come leggende che la protagonista prima ascolta e poi racconta lei stessa, per poi rivelarsi fondanti nella ricerca che sta conducendo. Yanka ha dodici anni ed è conosciuta da tutti come Yanka l’Orsa perché sovrasta i coetanei e persino molti adulti, è forte e coraggiosa, ma in realtà, anche se pochi lo sanno, lei è davvero legata a quell’animale: ha ricordi nitidi dell’orsa che l’ha allevata nei primi due anni di vita, prima che la donna che l’ha adottata la trovasse nella Foresta di Neve. Nonostante integrata nel villaggio e legata al centinaio di abitanti, la ragazzina sente da sempre un richiamo irresistibile verso la foresta. Quando le sue gambe si trasformano in potenti e pelose zampe di orso, decide di fuggire a medici e ospedali e addentrarsi tra gli alberi Mamochka dice che capì all’istante che eravamo destinate a stare insieme. Ma se non so da dove vengo, come posso essere certa del mio posto nel mondo?

in cerca di chiarezza sulle sue origini e sui suoi genitori. È accompagnata da animali con cui può parlare, incontra persone che sanno accompagnarla e risale al passato: non ha bisogno di medicine, ma di una storia, la sua personale. Cercare le sue radici le farà trovare il suo posto nel mondo e le farà guardare ai suoi anni di infanzia con uno sguardo d’insieme, come si osserva a viaggio finito una mappa, con la possibilità di capire che gli incontri, gli intrecci e persino le leggende ascoltate sono parti di un unico sentiero che assume improvvisamente un senso corale e definitivo. Le illustrazioni di Katherine Honesta accompagnano il testo e bordano, con una greca ripetuta sempre identica, le leggende narrate, che così inserite rendono ancora più appetibile il romanzo anche per la proposta in lettura ad alta voce.

(caterina ramonda)

Guardando al domani

I pensieri volano via liberi e leggeri. Ma tracce di pensieri si possono scrivere sulle pagine, indizi e parole che a loro volta alimentano altri pensieri in una sorta di danza che volteggia nell’aria. Il mondo in cui abbiamo abitato nel tempo della pandemia è una sorta di mondo sospeso e la parola “surreale” talvolta è stata usata per raccontare i silenzi delle piazze e delle città, che sembravano essersi assopite dopo inarrestabili tempi frenetici. Daniela Palumbo ha rivolto a ragazzi e ragazze dal nord al sud Italia una domanda, perché le domande sollecitano, spesso non pretendono risposte, ma stimolano, pongono altre domande, permettono di cogliere il senso. “Che parole vuoi portare con te nel futuro?” È da questa domanda che hanno preso forma pensieri, poesie, discorsi immaginari, lettere a un amico e riflessioni di centocinquanta ragazzi fra gli undici e i diciotto anni. Vogliamo la luna. Il futuro raccontato dalle ragazze e dai ragazzi, come leggiamo nell’introduzione, è una sorta di “catalogo di pensieri dedicati al futuro”, un almanacco di sogni, nato dal convincimento che “sognare è un diritto fondamentale”. Parole importanti sfilano nelle pagine in ordine alfabetico, una dopo l’altra, dando vita a pensieri e riflessioni: abbracci, amicizia, amore, arte, ascolto, attesa, bambini, bandiera, bicicletta, calcio, colori, contamiIo vorrei con me, nel mondo nuovo che mi attende, questa parola: ABBRACCIO” (Valentina Patrone).

nazione, correre, cura, delfino, diritti, felicità, girasole, incontro, magia, musica, noi… “Non c’era solo il mondo fuori che perdeva i pezzi - scrive Daniela Palumbo. - Ogni emergenza di questa portata - un terremoto, un’alluvione, un evento catastrofico, o appunto una pandemia - genera un trauma anche dentro le persone… Mi sono resa conto che è necessario - oggi - ricostruire la fiducia nel futuro, anche quella delle piccole cose, per non ritrovarsi dentro un naufragio interminabile”. Se ci mettiamo in ascolto delle parole raccolte nel libro allora potremo sentire una sorta di brusio interiore, un tintinnare di voci sparse. Potremo sentire anche i silenzi e le voci di padri, madri e figli nell’intimità delle loro case. E poi sentiremo anche il silenzio delle case abitate da persone sole, dove le parole sono mute e invece i pensieri, le emozioni e i ricordi riempiono le stanze fino a gonfiare gli ambienti. Le pareti sono così alte che i pensieri a volte restano in trappola, ma basta aprire la finestra per farli volare via e ritornare liberi e leggeri. (federica galvani) Sophie Anderson - ill. di Katherine Honesta - trad. di Loredana Baldinucci, La ragazza degli orsi, Milano, Rizzoli, 2020, pp. 370, euro 17,00.

Daniela Palumbo, Vogliamo la luna. Il futuro raccontato dalle ragazze e dai ragazzi, Milano, Il Battello a Vapore, 2021, pp. 272, euro 15,00.

Una piccola barca a vela

Quanto lontano può portarci un’immagine? Un fiume di Marc Martin, illustratore australiano al suo secondo titolo pubblicato da Salani, è un albo che bisogna iniziare a leggere dai risguardi, dove entriamo nella stanza di una bambina, una stanza che - nei giocattoli e nei quadri alle pareti - contiene il mondo intero. La finestra della camera da letto si affaccia su una grande città attraversata da un corso d’acqua. Un fiume-nastro che nel frontespizio diventa il titolo del libro (ricreato per l’edizione italiana da Giuliano Cangiano) e che nella prima pagina dell’albo troviamo ancora una volta ritratto al di là di un vetro, dentro la cornice della finestra, qui però circondata dal bianco. La bambina, che nei risguardi era seduta a disegnare, cancella il mondo attorno a sé e si prepara a partire. Immagina di salire a bordo di una barca argentata per seguire il fiume: “dove mi porterà?” si chiede. Inizia così l’avventura di questo libro, dove il lettore, pagina dopo pagina, è invitato a seguire la bambina sulla piccola barca dalla vela bianca, lasciandosi alle spalle le città trafficate e i pennacchi di fumo delle fabbriche per addentrarsi tra i campi fino a raggiungere lontane foreste e lo sterminato A volte immagino di galleggiare sul fiume, trascinata via in una barca argentata, verso l’orizzonte. Dove mi porterà?

oceano. Potrebbe quasi essere un leporello, questo albo, che si snoda disegnando un lungo viaggio tra le immagini. C’è un chiaro omaggio alla natura incontaminata, come già nel primo albo di Marc Martin, Una foresta, qui arricchito da un gioco che parla di immaginazione, del dentro e del fuori, del mondo che abbiamo e di quello che immaginiamo, della capacità di immergersi nelle figure. Gli oggetti della stanza che abbiamo incontrato nei risguardi diventano tasselli delle illustrazioni che compongono l’albo. La casetta esposta nella libreria è in primo piano nel paesaggio urbano quando la bambina naviga tra le fabbriche, nei campi riconosciamo il cavallino che stava accanto al mappamondo, nella foresta lussureggiante ritroviamo il bradipo abbandonato sul tappeto e altro ancora. È il mondo della stanza che entra nei disegni della bambina? O la sua immaginazione, portandola lontano, trasforma la stanza (che nei riguardi finali osserviamo nel buio della notte)? Un Marc Martin - trad. di Sara Pietrafesa, Un fiume, Milano, Salani, 2021, pp. 40, euro 14,90.

fiume di Marc Martin è stato tra i Best Illustrated Children’s Books del New York Times nel 2017, accanto a titoli come La strada verso casa di Akiko Miyakoshi (sempre pubblicato da Salani, finalista al Premio Andersen 2020), La mia città sul mare di Joanne Schwartz e illustrato da Sydney Smith (Pulce edizioni, che ho recensito su Andersen n. 379) e Un grande giorno di niente di Beatrice Alemagna (Topipittori).

(mara pace)

Col sapore di una fiaba

“Arid, la città di pietra, era grigia come la cenere. Le strade erano piene di crepe e le finestre delle case ricordavano gli occhi dei ciechi, spalancati senza vedere. Portoni, vicoli, torri e cunicoli sotterranei. Nessuno sembrava più abitare in questa città. Solo pietre e silenzio. ‘Qui non vive più nessuno’ pensò Dulcinana. ‘Anche le persone sono diventate di pietra’.” È così che la coraggiosa Dulcinana entra nella città di Arid, dopo aver attraversato l’acqua nera come la pece sulla barchetta di giunchi di un nano. Un nero così denso dove nemmeno la luna riesce a riflettere la sua luce argentata. Nell’aria aleggia solo un odore di secoli passati. Non si sente né una parola, né una risata, né un grido. Solo il ticchettio delle scarpette d’argento di Dulcinana incrinano il silenzio che, come un soffio di vento, si insinua ovunque, nei vicoli, in mezzo ai sassi e tra le case diroccate del paese di Semprepaura. Il tempo oscilla avanti e indietro e al centro c’è sempre l’inverno. Nessuno ha più memoria della città di Arid. Ma cosa sta cercando Dulcinana e perché è venuta in questa città silenziosa e pietrificata? I giardini di Arid di Paul Biegel, tradotti da Valentina Freschi e pubblicato da La Nuova Frontiera e con l’illustrazione di copertina realizzata da Mariachiara Di Giorgio, raccontano la storia d’amore della principessa Paul Biegel - traduzione di Valentina Freschi, I giardini di Arid, Roma, La Nuova Frontiera, 2020, pp. 192, euro 14,90.

Nel punto in cui aveva piantato il seme, sei lacrime affondarono nel terreno

Miasarai e di Tuononsarò, figlio del giardiniere del castello e che un incantesimo ha trasformato in un fiore. Ma ben presto il fiore si secca e di lui non resta che un seme con dentro il battito del suo cuore. La principessa potrà ridargli la vita piantando il seme nei giardini di Arid. Sarà così l’amore a dare inizio a un viaggio che dura sette lunghe estati, raccontato dal buffone di corte in un incastro di racconti all’interno di un avvincente gioco narrativo. Una storia dall’atmosfera fiabesca, con l’eterna lotta tra il bene e il male e il coraggio di affrontare luoghi perduti pur di rompere per sempre l’incantesimo. Paul Biegel, uno degli autori più importanti nel panorama della letteratura per l’infanzia olandese, racconta storie che legano passato e presente, realtà e sogno, magia e mistero, vita e morte, in cui è l’amore a decidere il nostro destino. (federica galvani)

Sulle tracce di Big Mama

Arturo vive in campagna, è lo zio più stravagante che si possa immaginare, impacciato e timido all’inverosimile e sempre pieno di progetti bislacchi per la testa. Soprattutto, è polistrumentista e grande appassionato di musica, meglio se sfrigolante per l’elevato voltaggio elettrico. Ma sopra-sopra-tutto… è un cane. La sua alta carica di stravaganza canina richiede un freno, magari un essere umano, che riporti tutto alla ragionevolezza. Ed ecco Carlotta: nipote sveglia, giudiziosa e appassionata di parole crociate, che ogni estate i genitori depositano alla cascina dello zione per potersi godere in libertà le vacanze al mare. L’improbabile coppia è assortita, può partire l’avventura. Che inizia da una chiave, trovata da Arturo in mezzo a un campo. Naturalmente non è un oggetto qualsiasi: è sicuramente la chiavetta di accordatura di una delle chitarre appartenute alla grande cantante Big Mama Wolf - che dunque è passata da lì molti anni prima - e non resta che andare a scoprire dove è finito tutto il resto del prezioso strumento. Ne abbiamo lette tante di storie on-the-road, ma a bordo di un catorcio di trattore diventa tutto più Conta che una volta Big Mama ha tirato fuori un aereo da un fiume legandolo con la corda della sua chitarra.

imprevedibile. E in quanto a ingranaggi il trattore di Arturo è messo davvero male. Da perfetti segugi Carlotta e lo zio seguono a ritroso i trascorsi di Big Mama, in un piccolo giallo artistico-sentimentale fatto di indizi, foto e testimonianze; nel quale lo stesso Arturo, scopriremo alla fine, ha una parte importante. Appel si conferma grande caratterista e inventore di storie, sempre pronto al gioco, arguto giocoliere di parole e associazioni paradossali; non teme l’assurdo, anzi sa tesserci intorno storie divertentissime, vorticose e di gran ritmo. Per tutto il racconto si citano i fastosi esordi dei grandi generi musicali del Novecento fra jazz, blues e rock’n’roll. E chissà se è un caso: la cantautrice di blues statunitense degli anni ’50, conosciuta come Big Mama, si fece notare per la voce potente e per un brano di successo intitolato Hound dog: cane da caccia! (fausto boccati) Federico Appel, Carlotta & lo zio elettrico, Milano, Terre di Mezzo, 2021, pp. 96, euro 12,00.

Essere e avere

Jeffers è uno dei miei illustratori preferiti e con ZOOlibri ha pubblicato i suoi libri più belli, intensi e divertenti. Ecco l’accostarsi di questi due ultimi aggettivi potrebbe sembrare contraddittorio ma così non è perché, sempre, lui riesce a spiazzarci, a farci sorridere e ridere ma, al contempo, le sue piccole storie preziose hanno il dono di farci riflettere, di invitarci ad andare oltre, stabilendo connessioni e rimandi a prima vista insospettati e insospettabili. Con una conseguente, irriducibile complessità. Ed è quel che accade anche in questo picture book nel quale Fausto (presuntuoso, dispotico, irascibile ed elegantemente vestito) tutto vuol possedere e controllare. E, finché si tratta di un fiore, di una pecora e di un albero non incontra soverchie difficoltà. Ma poi rivendica un campo, un lago, una foresta e una montagna e le difficoltà aumentano e aumentano rabbia, sfuriate e alterigia. Mal gliene incoglierà quando poi deciderà di estendere i suoi domini al mare e con piglio dittatoriale e una squillante cerata gialla prenderà il largo su di una barca. Perirà miseramente, dato che non sa nuotare e non si accorge, stolido com’è, del potere delle metafore e delle frasi fatte. Così tutto continuerà come prima perché alle cose che lui aveva voluto possedere del “fato di Fausto a loro non interessava”. Una riflessione che si completa, mirabilmente, con la C’era una volta un uomo convinto di possedere ogni cosa e per questo deciso a fare la conta dei suoi averi. “Tu sei mio”, disse Fausto al fiore. “Sì” disse il fiore. “Io sono tuo”. Contento, Fausto andò oltre. “Tu sei mia”, disse alla pecora. “Sì”, disse la pecora. “Credo di sì”. Sentendosi soddisfatto, Fausto andò oltre”. Successivamente, Fausto si imbatté in un albero e dichiarò, “Albero, tu sei mio”. A ciò l’albero replicò, “Oh, d’accordo, io posso essere tuo”. E l’albero si inchinò dinanzi all’uomo. Compiaciuto, Fausto andò oltre, felice di possedere una pecora e un fiore e il suo albero”.

bellissima citazione finale di Kurt Vonnegut. Ci si trova dinnanzi ad un libro “per tutti”, ad una garbata ma pungente operetta morale che tocca temi cruciali come la brama di possesso, il rapporto da stabilire con chi vive accanto a noi, la concezione della natura. Ma questa “favola dipinta”, come recita il sottotitolo, stupisce per la bellezza “liquida” e vivida delle illustrazioni e, ancor più per il rapporto con il testo e per l’ardita e mirabile realizzazione tipografica. Qui, nel crescendo della vicenda, si resta attratti e quasi attoniti nel ruolo narrativo che assuOliver Jeffers, Il fato di Fausto. Una favola dipinta, Reggio Emilia, ZOOlibri, 2021, pp. 90, euro 20,00.

mono, sul fondo latteo della pagina, i pieni e i vuoti, le parole e le figure. In una sinfonia calcolata con precisione e poesia. (walter fochesato)

Passi nel silenzio

Ci sono un italiano, un russo, un tedesco. Parrebbe una barzelletta e invece è la storia: l’italiano, Attilio Limonta, soldato originario della zona del lago di Como, classe 1919, fugge nel 1943 da una base militare sul Mar Bianco dove è rinchiuso come prigioniero di guerra. Insieme a lui un giovane russo e un caporal maggiore tedesco, ognuno con un obiettivo diverso, a condividere la strada, le decisioni, i pericoli in cui incappano, l’aiuto che ricevono dalla popolazione. Radice e Turconi, con la capacità narrativa dell’essenzialità, costruiscono un fumetto denso, arricchito da lunghe citazioni di Tolstoj a segnare passaggi tra i capitoli, da echi di Mario Rigoni Stern e Nuto Revelli, adatto sicuramente ai lettori della secondaria che possono trovare non solo una testimonianza su una pagina della Seconda Guerra mondiale, ma anche un’occasione per conoscere l’Italia del Ventennio, come il protagonista la racconta presentando la propria vita. La cifra che caratterizza l’opera è quella della lingua: gli autori scelgono infatti di lasciare che ogni personaggio si esprima nella propria lingua, senza presenza di traduzione, restituendo i tentativi di comprendersi, Taccio e cammino… e attorno a me palpitano tutte le esistenze passate di qua: dei miti e dei prepotenti, dei forti e dei deboli, dei fiduciosi e dei pessimisti. Delle vittime… e degli assassini. Taccio e cammino e, in questa assenza di suoni, mi par di udire il gemito di chi ha pianto i propri cari e l’euforia smaniosa di chi è venuto - o è tornato - alla vita.

l’aiuto della gestualità, il dire delle posture; insieme il paesaggio, grande protagonista, con ampi silenzi, suoni, versi animali. In più, il flusso dei pensieri di Attilio, le sue riflessioni su quel che gli sta capitando, su quel che sono state la sua infanzia e giovinezza, e in generale sulla vita e sulle scelte, sulle seconde possibilità, sulla necessità - per nulla metaforica - di dover lasciare una vita per poter rinascere in un’altra. Il fumetto diventa allora per il lettore occasione di farsi presente a un momento storico ricostruito attraverso gli echi dei fatti generali e le singolarità dei protagonisti della specifica vicenda, di poter quasi entrare nelle tavole e prendere parte. Per chi conosce i tanti riferimenti bibliografici citati in chiusura sarà semplice

Meraviglia semplice

“La magia della semplicità” queste sono le parole che mi hanno colpito dell’articolo che Chandra Livia Candiani ha scritto nel blog di Topipittori a proposito di Poka & Mine di cui ha curato la traduzione. Sono infatti arrivati in Italia grazie a Topipittori i primi due volumi della serie “Poka & Mine” scritta e illustrata da Kitty Crowther per i piccolissimi e che prevede la traduzione di altre quattro storie. La semplicità riesce a stupirci e meravigliarci, perché in fondo è il linguaggio capace davvero di cogliere il senso profondo. Il mondo di Kitty Crowther rivela proprio questa essenza, con la delicatezza dei gesti e delle espressioni colte in questi due piccoli animali che non rientrano di fatto in nessuna classificazione e che hanno la parvenza di insetti, ma questo poco importa perché il tratto fine e delicato del disegno sa restituirci sentimenti, gesti, sguardi, intese e l’intimità di un rapporto. Poka e Mine sono padre e figlia e insieme vivono e, soprattutto, condividono le avventure che ogni giornata riserva: difficoltà e gioie che ci possono sorprendere nella quotidianità rendendo la vita una piacevole avventura e una meravigliosa scoperta. Una relazione che evidenzia il profondo legame tra adulti e bambini con un differente modo di affrontare gli imprevisti, ma allo stesso tempo caratterizzata dalla complicità e dal rispetto. Nella prima La magia della semplicità dà forma alla bellezza del mondo che ci circonda.

avventura Le nuove ali Mine è caduta e si è rotta un’ala e così Poka l’accompagna dal dottore. Cosa fare? Riparare l’ala rotta oppure scegliere un nuovo paio di ali tra le tante grandi e colorate esposte? “Voglio un paio di ali nuove!” esclama Mine che scoprirà poi l’importanza di non fidarsi delle apparenze, di saper aspettare e di amare se stessi. In Poka & Mine. Il calcio Mine esprime invece un suo grande desiderio: giocare a calcio! “Ma è uno sport da maschi” le fa notare Poka. “E allora?” risponde Mine. Ed è così che inizia una nuova avventura dal finale inaspettato. Kitty Crowther con i suoi delicati tratti del disegno rivela la sua grande sensibilità e il suo amore per gli animali e la natura, sa valorizzare e dare forma al mondo che ci circonda con la magia non solo della semplicità ma anche di chi sa amare la vita e per questo è in grado di coglierne e restituirne i dettagli più preziosi. Una combinazione di parole, scelte con cura, e di colori delicati che sanno trasportarci in un’atmosfera in cui fa capolino una natura fatta di silenzi, voci, fiori e piccoli animali speciali proprio come Poka e Mine. Teresa Radice - Stefano Turconi, La terra, il cielo, i corvi, Milano, Bao Publishing, 2020, pp. 203, euro 20,00.

ritrovarli lungo le pagine; per gli altri, saranno motivo, forse, di approfondire. (caterina ramonda)

Kitty Crowther - traduzione di Chandra Livia Candiani, Poka & Mine. Le nuove ali, Milano, Topipittori, 2021, pp. 36, euro 14,00.

Kitty Crowther - traduzione di Chandra Livia Candiani, Poka & Mine. Il calcio, Milano, Topipittori, 2021, pp. 56, euro 14,00.

Indagine con sorpresa

Dopo Sette rose per Rachel, Sinnos pubblica un nuovo romanzo di Marie-Christophe Ruata-Arn, autrice elvetica che questa volta torna con un libro che potremmo definire un giallo dalla soluzione alquanto surreale e non è lecito svelare di più. Matilda è una ragazzina oltremodo disciplinata: brava a scuola, impegnata nel volontariato, ligia alle regole familiari... forse fin troppo - si legge tra le righe - tanto che il suo ambire alla perfezione attira inevitabilmente qualche antipatia dai coetanei. Inoltre è la responsabile del giornalino della scuola e, approfittando dell’essere figlia di un poliziotto, conduce qualche piccola indagine per le sue inchieste. Certo, però, rimane alquanto sorpresa quando, messa la mano in tasca, vi ritrova una spilla, parte della refurtiva di un colpo appena avvenuto in città. Inizia così un’avventura ritmata, resa incalzante da una scrittura serrata, che gioca con gli stilemi del romanzo di investigazione, fino a una sorprendente virata finale che trasforma la storia (e questo lascerà forse un po’ disorientati gli amanti dei gialli, ma senza deludere nella scelta del finale). Tra vecchie signore che nascondono un segreto, Papà si fida di me. Ed è una cosa normale, perché tutti mi considerano la ragazza più giudiziosa e assennata della scuola, se non dell’intera città.

un quadro che pare seguire con lo sguardo e cagnolini da portare a passeggio, questo romanzo si dimostra intrigante, anche per quello che non racconta o che lascia volutamente sullo sfondo: dal rapporto di Matilda con la nonna, morta qualche anno prima, alla trasformazione della città in cui vive, con tutte le dinamiche sociali che ne conseguono. Intanto la spilla delle sorelle Arckenbruck sparisce e ricompare, lasciando sgomenta la stessa Matilda, ma anche i poliziotti che indagano sui furti. Le tre anziane derubate sembrano piuttosto confuse, mescolando passato e presente dei loro racconti, soprattutto mentre sfogliano l’album delle foto insieme a Matilda, che diventa presenza fissa del loro salotto. La chiave del mistero sarà proprio in quel tempo sospeso, in cui spicca la figura di uno zio avventuriero. Come dicevo, non è lecito svelare di più: conviene invece suggerirne la lettura, tanto

Dov’è la felicità?

Genio e Tito sono due amici adolescenti a un passo da diventare, anche loro nonostante, “grandi”; il legame che li unisce - fatto di risate, condivisioni, motteggi e lotte complici - è talmente forte da fargli dire emozionati «Io sono te e tu sei me», da averli condotti a una promessa per la vita: «quello che è tuo è mio». E pure le diversità, di caratteristiche individuali (più sicuro di sé e spigliato il primo, più introspettivo e mingherlino il secondo) e di estrazione sociale (figlio dell’élite il primo, di lavoratori il secondo), sembrano non avere, nel loro sentimento, reale rilievo. Insieme giocano, crescono e sognano nel Villaggio, opaco insediamento sul quale incombe l’ombra dei cantieri delle 3Città, l’avveniristico complesso urbano nel quale immaginano, una volta portati a termine i lavori, poter migliorare il proprio futuro. Prima ancora che quel sogno condiviso si infranga, allontanandoli, contro la rigida divisone in classi della società, qualcos’altro, anzi qualcun altro, crea una prima breccia nel loro legame. È Maja. L’irruzione della ragazza nel loro orizzonte a due inizia a marcare le differenze; scatena, almeno per Genio, il desiderio di primeggiare. La tensione si fa via via più intensa per l’emersione di sentimenti ancora incerti e non univoci; il rapporto a tre non è però l’elemento di rottura. Questa avviene per il precipitare della situazione sociale. Da un giorno all’altro - proprio mentre i tre vivono Le sembrava che i Sovvertitori avessero solo rovesciato i ruoli ma che la loro forza avesse la stessa arroganza e prepotenza di quelli di prima.

una piccola disavventura che li conduce, per una strigliata, al cospetto delle autorità - si palesa il disegno delle oligarchie: le 3Città accoglieranno come liberi cittadini le élite, mentre tutti gli altri, ridotti a forza-lavoro strettamente sorvegliata e privata delle libertà, resteranno al Villaggio. Dalla strigliata Genio uscirà libero e pronto al trasferimento nelle 3Città con mansioni di sorvegliante, mentre Tito e Maja si ritroveranno con un braccialetto al polso che ne sancisce la condizione subordinata e, presto, con un microchip sottocutaneo che ne controlla gli spostamenti. Ai due non resta che una fuga oltre i territori noti, ma capiranno presto che anche la strada della ribellione nasconde delle insidie; forse la principale è proprio il cieco desiderio di controllo e sopraffazione, pure con diverse sfumature di violenza, che caratterizza l’intera umanità che li circonda. Sia quando si manifesti nel tentativo elitario, razionalista, schiavista e ipertecnologico delle 3Città sia nel presunto egualitarismo, brutale, primitivo e vendicativo dei Sovvertitori. Toccherà fuggire ancora, mentre il vecchio mondo crolla alle loro spalle. Prova narrativa alta e intensa di Mattia, a proprio agio con atmosfere sospese e diMarie-Christophe Ruata-Arn - trad. di Federico Appel, Matilda un’ora indietro, Roma, Sinnos, pp. 192, euro 13,00.

più che il romanzo è pubblicato con un font in alta leggibilità.

(martina russo)

Luisa Mattina, Quel che è tuo è mio, Cinisello Balsamo (MI), San Paolo, 2021, pp. 175, euro 15,00.

stopiche garbatamente in dialogo con un immaginario che spesso attribuiamo solo a ciò che arriva da altrove, ma che ha alfieri nostrani; un romanzo, insomma, che starà bene sugli scaffali a fianco, ad esempio, de La compagnia dei soli di Rinaldi e Paci e di Non leggerai di Antonella Cilento. (anselmo roveda)

Piovono cani e gatti

Paese che vai, proverbio che trovi. Ecco, proprio parafrasando un proverbio si può dar conto di questo divertente, semplice e arguto, libro illustrato che mostra come le diverse lingue e culture abbiano declinato, secondo il proprio immaginario, le espressioni utili a sottolineare una situazione in forma stringata. Succede allora che se per gli italiani una fitta pioggia è capace di evocare il versare di catini (Piove a catinelle), per gli inglesi e gli spagnoli lo stesso evento porti in bocca bestie a precipizio (rispettivamente “cani e gatti”, It’s raining cats and dogs, e “rane e serpenti”, Llover sapos y culebras), mentre per i francesi più sobrie corde (Il pleut des cordes). Non sempre c’è questa distanza (in ogni lingua è comunque la mela a tenere lontano il medico), anche perché talvolta i proverbi hanno una comune origine classica - lo sappiamo dal nonno di questo tipo di volumi, il Dizionario comparato di proverbi e modi proverbiali italiani, latini, francesi, spagnoli, tedeschi, inglesi e greci antichi... di Augusto Arthaber, da quasi cento anni nel catalogo Hoepli - o hanno viaggiato, senza bisogno di passaporti e green pass, di luogo in luogo acclimatandosi e convivendo con forme percepite come autoctone; in casa mia, ad esempio, hanno Michela Tartaglia - ill. di Daniele Si–monelli - progetto grafico di Marianna Rossi, Una mela al giorno, Busto Arsizio (VA), Nomos, 2020, pp. 144, euro 19,90

When in Rome, do as the Romans do [Quando vai a Roma, fai come fanno i Romani] sempre coabitato Non dire gatto se non ce l’hai nel sacco, parrebbe prettamente italiano, e Non vendere la pelle dell’orso prima di averlo ucciso, quest’ultimo calco dal francese ll ne faut pas vendre la peau de l’ours avant de l’avoir tué riportato nel volume. Volume che ha il pregio di accostare il tema, con il suo portato di riflessione linguistica e spunto interculturale, anche ai più giovani grazie a testi appassionatamente complici, al pulito progetto grafico e alle piacevoli illustrazioni. Se il tema appassiona i vostri piccoli potrete poi cercare Le bugie hanno le gambe corte, ovvero i proverbi spiegati ai bambini (Centoautori )di Anna Lavatelli o, questo solo in biblioteca, L’erba del vicino. Proverbi da tutto il mondo (Einaudi ragazzi) di Axel Scheffler. Infine, vi ricordo che di proverbi ne ha scritto recentemente su queste colonne (n. 375, settembre 2020) Martina Russo, rammentandoci la natura non assoluta del proverbio. Natura varissima, talvolta perfino contraddittoria e quindi buona per ogni, anche opposta, opzione: Chi lascia la strada vecchia per la nuova sa

Una compagnia stranamente assortita

Una clinica - piuttosto costosa - per casi limite, dai metodi invero non molto efficaci, e un gruppo di adulti e ragazzi, tutti uniti dal fallimento del tentativo di suicidio. Non male come inizio per un romanzo per adolescenti, ma non facciamoci ingannare: qui si toccano sì tematiche divenute nel tempo forse un po’ troppo ricorrenti e con esiti alterni (l’autolesionismo, il bullismo, la malattia mentale e il suicidio stesso), ma con un tono e una forma tanto surreale da meritare un’etichetta a sé, se proprio vogliamo darne una. Alex, narratore di questa storia, ha cercato di togliersi la vita prima con dei betabloccanti e poi con un colpo di pistola al cuore. Il perché è presto detto: dopo anni di rimozione del dolore per la morte della madre - a sua volta suicida - tutta la sofferenza si è ripresentata in una volta sola annicchilendo la sua voglia di vivere. Alex ne fa un discorso estremamente razionale e scientifico: “Siamo fatti per amare le persone e le persone sono fatte per morire.” Non volendo più soffrire, né amare qualcuno che poi potrebbe morire, ha trovato come unica soluzione quella di farla finita. Peccato che in clinica incontri Alice - al suo secondo tentativo di suicidio dopo un primo a otto anni - che fin da subito gli fa battere il cuore. Ma non siamo di fronte a un romanzo rosa, quanto piuttosto ad un’avventura on

Un’illusione, ecco cos’era, l’amore: un’illusione che finiva inevitabilmente nel dolore. Allora perché infliggersi una cosa simile?

the road: i due, insieme a Colette - anziana amante delle metafore e nostalgica del suo Lucien, che è riuscito dove lei ha fallito - Victor - adolescente ingenuotto con problemi di peso e Jacopo - erede di una ricca famiglia italiana, per cui la vita è solo “una rottura di palle”, decidono di approfittare del weekend privo di sedute di terapia per raggiungere la casa in Normandia di Jacopo e riuscire nel loro intento finale buttandosi dalla scogliera. In fuga verso la morte, la strana compagnia ha modo di confrontarsi con il proprio passato e di intrecciare rapporti che prima parevano impossibili, forti del fatto che quello sarà l’ultimo viaggio. Alex e Alice ad esempio decidono di mettersi insieme: non c’è rischio che il primo soffra per la morte della ragazza perché la faranno finita insieme. E sicuramente lui non potrà trattarla come un oggetto, come le è accaduto in passato, vista la brevità della relazione. Tra meccanici truffaldini, poesie in vendita e match su Tinder, si delinea così una vicenda incredibile, impreziosita dai giochi linguistici e da una cinica vena poetica che permea tutto il romanzo, rendendolo piuttosto originale. quel che lascia, non sa quel che trova, ma pure Chi non risica, non rosica. Dunque relatività e proverbi vanno a braccetto, pure in una medesima lingua.

(anselmo roveda)

Axl Cendres - trad. di Rosa Vanina Pavone, La compagnia degli addii, Milano, Il Castoro, 2021, pp. 191, euro 15,50.

Cendres, scomparsa nel 2019, è autrice di oltre una ventina di romanzi per adolescenti, tutti accomunati da un umorismo ficcante: a lei è dedicato il Premio che porta il suo nome, per romanzi young adult. (martina russo)

Nel soffio della poesia

La poesia, si sa, segue strade proprie; strade di ricerca intima (non necessariamente solitaria) e linguistica che raramente fioriscono con costanza, rilevanza e evidenza nelle proposte di lettura e tantomeno sugli scaffali delle librerie che già non abbiano giusta sensibilità e attenzione, dedicato spazio. E se è vero per la poesia tutta, figurarsi per quella rivolta ai più giovani (ammesso che la poesia possa avere un’indicazione d’età nel cercare lettori). La poesia, pur a fronte di vivaci e magmatiche esperienze collettive di minoranza (con editori, spazi letterari e festival dedicati), è spesso risolta sugli scaffali generalisti “per adulti” con classici intramontabili, e incriticabili, o con coinvolgenti voghe momentanee; e ancor più soventemente la si trova ormai assortita con titoli che arrivano dalle classifiche di vendita online, accostando così le silloge dei poeti alle raccolte di aforismi da post-it degli influencer del momento. Andiamo, più concretamente, alla poesia (anche) per bambini e ragazzi con una riflessione sul fiorire con minor costanza, insomma sulla complessivamente esigua proposta editoriale. Mi piace pensare, pur al netto dell’oggettiva mancanza di case dedicate, che corrisponda anche alla rarità della fioritura stessa, come nella breve stagionalità di un frutto prezioso, da cogliere solo quando il tempo dispone. Del resto la rarità (penso alla neve sugli orizzonti marini di Bertolani) o, meglio, la rarità di uno sguardo poetico sulle cose, pure quotidiane e minime, è cifra di molte buone considerazioni e scritture. In questo orizzonte di rarità …/ E il pallone/ sballottato dal vento/ si porta via ridendo/ lo sguardo stupito/ del bimbo Bernard Friot

…/ e pensano che senza il vento la vita/ è così noiosa, una vita a metà/ e sognano che torni dalla gita/ e sperano di sentirlo arrivare/e tremano, al pensiero di ballare. Sabrina Giarratana

ci sono però ora due fioriture da non perdere, due frutti preziosi, anzi due semi da mettere a dimora per goderne poi a lungo: sono le raccolte poetiche di Bernard Friot e di Sabrina Giarratana. Entrambe, se ne veda densità e foliazione, scaturiscono da un’urgenza fitta, da una confidente consuetudine e necessità. Friot ci consegna una raccolta mossa che ha punto d’equilibrio e forse ragione stessa in un dialogo serrato con l’infanzia; le bambine e i bambini sono sempre presenti, l’autore ne accosta con sensibilità l’immaginario, ne tratteggia le azioni d’ogni giorno, i timori e le fantasie, attribuisce a loro in definitiva il potere interpretativo oltreché la possibilità del piacere estetico. Giarratana ci dona una raccolta di sorprendente intensità emotiva (ci sarà da prendere il respiro tra un componimento e l’altro) e di perfetto incedere letterario, nutrita dalla confidenza assoluta con la lingua, precisa

Un’immagine di Aurélie Guillerey tratta da Buchi nel vento (Lapis, 2021). Bernard Friot - ill. di Aurélie Guillerey - trad. di Matteo Marchesini, Buchi nel vento, Roma, Lapis Edizioni, 2020, pp. 80, euro 14,50.

Sabrina Giarratana - ill. di Sonia Maria Luce Possentini, Poesie nell’erba, Otranto (LE), AnimaMundi Edizioni, 2021, pp. 62, euro 18,00

ed evocativa a un tempo; una nettezza partecipe, anch’essa capace di dirsi e farsi dire dall’infanzia.

Una mappa misteriosa

Come tanti altri classici L’isola del tesoro nasce quasi “per caso”, da un’occasione privata. Una sera Stevenson seguiva il figliastro Lloyd che stava disegnando una mappa: ne rimase affascinato e prese a denominare con nomi inventati i luoghi rappresentati. Nacque da lì l’idea del romanzo che, nello stesso 1881, approdò dapprima a puntate su di un periodico per poi conoscere il successo nel 1883 con la prima edizione in volume. Non c’è bisogno di raccontare la storia o di commentarla; un’opera intramontabile, un canone dell’avventura per ragazzi e per adulti. Sullo sfondo, credo, la rappresentazione del Male: non quello violento e sovente assurdo dei pirati, rozzi e ubriaconi, incapaci di progettare alcunché ma quello insinuante, intelligente e convincente di Long John Silver. Non casualmente Stevenson di lui ci fornisce una descrizione dettagliata e attenta. È il vero antagonista di Jim Hawkins, voce narrante. Non casualmente lo scrittore in qualche modo sottrae Silver al destino degli altri suoi compari e ci dice che, fuggito dalla Hispaniola con un buon bottino di tre o quattrocento ghinee, si sarà di certo “rifatto” una vita. In Italia il libro ha conosciuto in passato l’onta di non poche edizioni ridotte e/o malamente tradotte e malamente illustrate. Ma anche, cito su due piedi, la briosa ed elegante versione di un maestro dell’illustrazione italiana del primo Novecento come Gustavino e, in anni ben più recenti, Roberto Innocenti, con la sua inconfondibile maestria, in un’edizione per Prìncipi & Princípi riproposta poi da Gallucci. Di Olmos, illustratore catalano, ospite spesso del nostro paese e fra i docenti del master e dei corsi di Ars In Fabu-

Di Silver non abbiamo più saputo nulla. Quel formidabile marinaio con una gamba sola se n’è finalmente uscito per sempre dalla mia vita; ma credo abbia incontrato la sua vecchia nera, e forse se la passa ancora bene con lei e col Capitano Flint. C’è da sperarlo, immagino, perché le sue probabilità di passarsela bene in un altro mondo sono scarse.

la, ho recensito qualche tempo fa La foca bianca di Rudyard Kipling. Sono tavole a olio, realizzate con grandissima cura e dalla straordinaria forza evocativa. Visionarie ma capaci di calarsi nei momenti forti del romanzo cavandone nuovi interpretazioni e sottolineature inedite. Mi sembra quasi che di Tusitala (il narratore, così veniva chiamato lo scrittore nelle isole Samoa) abbia compreso i pregi di una scrittura intensa e coinvolgente ma sempre in grado di muoversi in perfetto equilibrio fra dettaglio e sintesi, lasciando così all’illustratore ampi spazi di manovra. Vi è un tono pressoché costante di sottolineatura espressionistica che porta ora alla voluta deformazione dei volti ora a puntate horror che fanno pensare, in certi particolari, al lavoro di Stefano Bessoni. Superbe e originali talune invenzioni. Penso alla mela putrida che stilla le sue gocce sul capo di Israel nel colloquio notturno con Silver. Ancora la mappa del tesoro aperta sul tavolo da Trelawney e dal dottor Livesey che par letteralmente lievitare, diventando tridimensionale. In altre occasioni Olmos fa Robert Louis Stevenson - illustrazioni di Roger Olmos - traduzione di Alberto Frigo, L’isola del tesoro, Modena, Logos, 2020, pp. 214, euro 15,00, Collana “I classici della Ciopi”.

tesoro di riferimenti cinematografici ma, al fondo, la sua è un’isola cupa e sanguigna: “Non tornerei - conclude Jim - su quell’isola maledetta neanche legato a un carro di buoi; e gli incubi peggiori che faccio sono quelli in cui sento i marosi infrangersi sulle sue coste o scatto a sedere sul letto con la voce stridula del Capitano Flint che mi risuona ancora nelle orecchie: ‘Pezzi da otto! Pezzi da otto!’”.

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