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di Nadia Riccio
Dalla cronaca alla stanza dei giochi
Femminicidi, sarà l’ora di parlarne
di Nadia Riccio
La cronaca nera, quella che giustamente censuriamo alla vista dei nostri figli, apre interrogativi forti e sottende un appello di responsabilità a tutta la comunità educante. Come rivedere i modelli fondamentali, gli stili di vita famigliari, la scuola, i giocattoli, i cartoni animati, la pubblicità, persino i primi libri?
13 marzo 2021: per la quattordicesima volta in due mesi una donna è stata brutalmente uccisa dal suo compagno. L’ennesimo femminicidio che conquista le prime pagine dei giornali, alimentando un’informazione che sfocia spesso nella morbosità, un’attenzione voyeuristica per quelle che vengono definite forme di amore criminale e per cui spesso le parole inciampano nell’equivoco di giustificare quasi l’assassino, con il ricorso all’idea di passione, di amore rifiutato. Oltre alla ferocia dei gesti sempre più spesso colpisce l’assoluta trasversalità socioeconomica e culturale dei contesti in cui maturano le tragedie: non è possibile associare la genesi di questi delitti a una forma di deprivazione o arretratezza culturale, dal momento che l’incapacità di accettare la libera scelta delle proprie compagne sembra stravolgere maschi con storie e contesti di provenienza più vari. Ciò che accomuna gli omicidi è il non metabolizzare il cambiamento, il non riconoscere all’altra il diritto di scegliere per se stessa, una fragilità emotiva tanto clamorosa da far emergere una violenza cieca, da rompere il sistema di valori condivisi, arrivando ad esercitare estrema aggressività anche sui figli, privati della madre e spesso spettatori inermi di questi atti, quando non addirittura vittime essi stessi. Allora forse è giunto il tempo di una presa di coscienza del problema più profonda, di un’analisi accurata delle cause sociali, perché tali devono essere quelle di un fenomeno tanto ampio e in continua crescita, non riconducibile alla sfera della psicologia individuale. Perché gli uomini ammazzano le donne e non il contrario? Domanda provocatoria, espressa in questi termini, che tuttavia affonda le radici in una verità statistica agghiacciante. In questo spazio le ragioni che ci interessa investigare sono quelle dell’educazione, della trasmissione di modelli –diretti e indiretti – sui ruoli sessuali, le rappresentazioni di genere e le dinamiche di coppia, che forgiano gli individui all’interno delle società e possono aiutare a comprendere la genesi dell’orrore. Perché probabilmente all’omicidio non si arriva in preda a raptus che stravolgono la personalità, come gli avvocati difensori cercano di sostenere. La perdita del controllo si nutre sempre delle immagini profonde delle nostre rappresentazioni sociali. E la nostra società è molto lontana dal raggiungimento di un’uguaglianza sostanziale tra i sessi. C’è un filo rosso che lega il gender gap lavorativo, il sessismo informativo, la violenza fisica, l’abuso sessuale e che passa anche per la moda, la produzione di giocattoli, gli audiovisivi, la lingua che parliamo. Una testata locale si chiedeva come mai «la filosofia in cui era laureata» non avesse salvato l’ultima vittima dalla
morsa del suo assassino, come se la cultura di lei potesse o dovesse proteggerla dalla ferocia di lui o, cosa ancora più grave, come se spettasse a lei difendersi. L’idea che tocchi solo alle donne farsi promotrici della loro emancipazione o difensore della loro libertà e incolumità è un vizio di forma persistente, che implicitamente agisce a più livelli e finisce, più o meno volontariamente, a fornire parziali assoluzioni per il maschile. Anche la copiosa letteratura sull’empowerment femminile, che coinvolge adesso anche la prima infanzia, troppo spesso tralascia il compito che spetterebbe agli uomini nel processo. Raccontiamo alle nostre figlie storie di bambine ribelli o facciamo vedere loro film con eroine coraggiose, ma chi e come spiega ai bambini cosa significano la parità e il rispetto? Chi insegna ai giovani maschi a non essere deboli schiavi di condizionamenti che affondano in un patriarcato mai del tutto debellato? È proprio nei primi anni di vita che si apprendono i modelli fondamentali. Gli stili di vita famigliari, la scuola, i giocattoli, i cartoni animati, la pubblicità, persino i primi libri parlano in modo esplicito, ma più spesso e più pericolosamente implicito, di ruoli sessuali, di attitudini, di modelli comportamentali presentati come “naturali” e perciò scontati e indiscutibili. La famiglia e la sua organizzazione, l’assegnazione dei compiti, le preferenze dei maschi e delle femmine sono raccontati, disegnati, mimati nel gioco in modo da veicolare taciti messaggi che costruiscono un immaginario a volte più arretrato della stessa realtà (in un parco pubblico è più facile incontrare un papà che spinge un passeggino con il suo bambino che un maschietto con un bambolotto!). Forse è necessario che sempre più genitori, insegnanti, scrittori, editori, produttori, si impegnino in modo consape vole e responsabile a determinare modelli di vita che non generino nell’età adulta senso di inadeguatezza e incapacità di affrontare in modo equilibrato frustrazione e dolore. Nel panorama dei giochi accade che alcuni marchi tentino negli ultimi anni di costruire di sé un’immagine più “femminista” dopo essere stati a lungo bersaglio di dure critiche: è il caso ad esempio delle Barbie, che ora vengono prodotte in taglie e caratteri etnici differenziati e accessoriate per svolgere le attività più disparate al claim di «puoi essere tutto quello vuoi». Lodevole iniziativa – sicuramente redditizia sul fronte commerciale – che tuttavia non esclude che la stereotipizzazione colpisca invece il maschile, con una scelta ridottissima di Ken che incarnano invece il modello di manichino standard da vetrina. Essere genitori consapevoli passa inevitabilmente per una faticosa attenzione prestata a tutti gli aspetti della vita dei figli, selezionando l’offerta di contenuti audiovisivi, guidandoli nell’interpretazione dei messaggi sociali, proponendo modelli di comportamento che contribuiranno a formare gli adulti di domani.
FUORITESTO SE ACCADESSE CHE… RODARI FOSSE MESSO IN ORDINE ALFABETICO
Francesca Baldini
La casa editrice Electa ha voluto meritoriamente rendere omaggio a Gianni Rodari, nel centenario della nascita, con questo lavoro collettaneo. A esso, strutturato in voci, hanno offerto i loro contributi vari esponenti del mondo della cultura, tra i quali spiccano quelli di “studiosi e studiose, scrittori e scrittrici” dalle provenienze più diverse. Il volume si distingue da opere consimili per l’impianto “nuovo”. I lemmi, ordinati secondo un principio alfabetico, non si propongono di configurarsi come un’Enciclopedia rodariana, quanto di strutturarsi come una sorta di “mappa”, atta a orientare il lettore nel suo processo di avvicinamento alla “stella Rodari”. Se da un lato il principio che ha ispirato la pubblicazione è stato quello di dare risalto allo scrittore che ha educato molte generazioni di giovani, e che ancora continua a farlo, dall’altro non si può negare che esso sia stato anche quello di consentire al lettore di orientarsi all’interno della complessa “galassia” letteraria rodariana. Ce lo confermano i due curatori, Pino Boero e Vanessa Roghi, i quali hanno osservato che l’opera è stata concepita quale strumento per indagare la copiosa produzione di Rodari in generale - e l’uomo in particolare in qualche modo trasversalmente. Non, come essi affermano, “con una lente di ingrandimento, ma semmai con un cannocchiale, da lontano”. I vari Autori hanno cercato di ricomporre il ricco contesto che si è mosso intorno a Gianni Rodari. Convinti che la conoscenza della “cornice” sia altrettanto necessaria dei particolari, sempre che ci si voglia davvero addentrare nello sconfinato “oceano Rodari”, essi hanno non a caso concepito “un lavoro polifonico” di grande spessore. Se si volesse riassumere la sostanza dell’opera, si potrebbe senza dubbio affermare che essa consista nella scelta di offrire al lettore un’attenta ricostruzione proprio di quella “galassia” cui si è fatto cenno, attraverso la descrizione di luoghi, di persone, di tematiche e di correnti di pensiero, le quali hanno influenzato la vita e l’opera dello scrittore. Tale “summa”, che parte da “Alice”, la protagonista dell’omonima novella ispirata al racconto di Lewis Carroll, arriva alla voce “Zoo”, relativa al vasto bestiario che popola i testi di Rodari, nei quali gli animali “presentano caratteristiche variegate e mai banali”. Un’opera, insomma, destinata ad aprire ai lettori nuove prospettive, in primo luogo quella non già di “conoscere” il mondo attraverso le parole dello scrittore, ma di capire quanto esso sia “diventato più ricco” anche grazie alla sua “relazione col meraviglioso Gianni Rodari”.
AA.VV., RODARI. DALLA A ALLA Z
a cura di Pino Boero e Vanessa Roghi, Electa, Milano, 2020