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IL GIORNALE DEI GENITORI
Dalla cronaca alla stanza dei giochi
Femminicidi, sarà l’ora di parlarne di Nadia Riccio
La cronaca nera, quella che giustamente censuriamo alla vista dei nostri figli, apre interrogativi forti e sottende un appello di responsabilità a tutta la comunità educante. Come rivedere i modelli fondamentali, gli stili di vita famigliari, la scuola, i giocattoli, i cartoni animati, la pubblicità, persino i primi libri?
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marzo 2021: per la quattordicesima volta in due mesi una donna è stata brutalmente uccisa dal suo compagno. L’ennesimo femminicidio che conquista le prime pagine dei giornali, alimentando un’informazione che sfocia spesso nella morbosità, un’attenzione voyeuristica per quelle che
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vengono definite forme di amore criminale e per cui spesso le parole inciampano nell’equivoco di giustificare quasi l’assassino, con il ricorso all’idea di passione, di amore rifiutato. Oltre alla ferocia dei gesti sempre più spesso colpisce l’assoluta trasversalità socioeconomica e culturale dei contesti in
cui maturano le tragedie: non è possibile associare la genesi di questi delitti a una forma di deprivazione o arretratezza culturale, dal momento che l’incapacità di accettare la libera scelta delle proprie compagne sembra stravolgere maschi con storie e contesti di provenienza più vari. Ciò che accomuna gli omicidi è il non metabolizzare il cambiamento, il non riconoscere all’altra il diritto di scegliere per se stessa, una fragilità emotiva tanto clamorosa da far emergere una violenza cieca, da rompere il sistema di valori condivisi, arrivando ad esercitare estrema aggressività anche sui figli, privati della madre e spesso spettatori inermi di questi atti, quando non addirittura vittime essi stessi. Allora forse è giunto il tempo di una presa di coscienza del problema più profonda, di un’analisi accurata delle cause sociali, perché tali devono essere quelle di un fenomeno tanto ampio e in continua crescita, non riconducibile alla sfera della psicologia individuale. Perché gli uomini ammazzano le donne e non il contrario? Domanda provocatoria, espressa in questi termini, che tuttavia affonda le radici in una verità statistica agghiacciante. In questo spazio le ragioni che ci interessa investigare sono quelle dell’educazione, della trasmissione di modelli – diretti e indiretti – sui ruoli sessuali, le rappresentazioni di genere e le dinamiche di coppia, che forgiano gli individui all’interno delle società e possono aiutare a comprendere la genesi dell’orrore. Perché probabilmente all’omicidio non si arriva in preda a raptus che stravolgono la personalità, come gli avvocati difensori cercano di sostenere. La perdita del controllo si nutre sempre delle immagini profonde delle nostre rappresentazioni sociali. E la nostra società è molto lontana dal raggiungimento di un’uguaglianza sostanziale tra i sessi. C’è un filo rosso che lega il gender gap lavorativo, il sessismo informativo, la violenza fisica, l’abuso sessuale e che passa anche per la moda, la produzione di giocattoli, gli audiovisivi, la lingua che parliamo. Una testata locale si chiedeva come mai «la filosofia in cui era laureata» non avesse salvato l’ultima vittima dalla