"Ascoltate, signore e signori", di Raffaele Nigro (2012)

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11 Carte scoperte Storie e controstorie

Collana diretta da Valentino Romano


Capone Editore Via Provinciale Lecce-Cavallino 73100 Lecce Tel. 0832 611877 (anche fax) online: www. caponeditore. blogspot. com - www. caponeditore. it mail to: caponeeditore@libero. it - info@caponeditore. it Copyright 2012 Stampa: Tiemme, Manduria (Italia) Finito di stampare nel mese di luglio 2012 ISBN: 978-88-8349-166-5

Nella stessa collana:  1. Gianni Custodero, Il mistero del brigante 2. Alessandro Dumas, Cento anni di brigantaggio nelle province meridionali d’Italia 3. Valentino Romano, Nacquero contadini, morirono briganti 4. Orazio Ferrara, Sud. Storie di lazzari, sanfedisti, briganti e separatisti 5. Giorgio Cretì, Cucina e canti al tempo dei briganti 6. Gaetano Marabello, Briganti e pellirosse 7. C. Crocco - B. Del Zio, Il brigante che si fece generale. Auto e controbiografia di Carmine Crocco 8. Pasquale Ardito, Il brigante gentiluomo. Nicola Morra, Il Robin Hood del Sud 9. Orazio Ferrara, Addio Sud. O briganti o emigranti 10. José Mottola, Fanti e briganti el Sud dopo l’Unità In copertina: Gaetano Dura, Il cantastorie detto Rinaldo, Lit. Gatti, Napoli 1830 circa


Raffaele Nigro

Ascoltate, signore e signori Ballate banditesche del Settecento meridionale Prefazione di Valentino Romano

Capone Editore


Ai miei amici Luca Alinari – Michele De Palma – Vito Capone – Benito Gallo Maresca –Adolfo Grassi – Beppe Labianca – Irina Hale – Vanda Valente – Donato Linzalata – Michele Damiani – Pino Navedoro – Adriana Notte – Giulio Marchioli – Mimmo Fiorelli – Beppe Silos Labini – Felice Lovisco – Pasquale Ciliento – Gianna Maggiulli – Pietro Palmisano – Roberto Montemurro – Alberto Sughi – Michele Carone – Nicola Tullo Ginetto Guerricchio – Marcello Malandugno – Iginio Iurilli – Vito Matera affannati a restaurare i guasti del mondo con i colori


Prefazione di Valentino Romano Con Ascoltate, signori e signore. Ballate banditesche del Settecento meridionale irrompe nella collana uno dei protagonisti indiscussi della letteratura italiana contemporanea. È con legittimo orgoglio che l’Editore e il curatore di “Carte scoperte, storie e controstorie” ospitano il saggio di Raffaele Nigro, “Super Campiello” del 1987 che - con il fortunato Fuochi del Basento – ha raccontato e riportato alla ribalta e all’attenzione del grande pubblico l’epopea del mondo contadino meridionale. E che un suo allievo di sempre sia chiamato oggi ad introdurre un’opera del maestro non può che costituire occasione di motivato imbarazzo che si affida alla comprensione prima e all’indulgenza poi dell’Autore e dei lettori tutti. Il presente saggio, nelle intenzioni di Raffaele Nigro, costituisce la prima parte di un corpus organico che abbraccerà – tra l’altro - le ballate romagnole da Giuseppe Cesare Croce al Passator Cortese, quelle seicentesche meridionali da l’Abate Cesare a Titta Greco, le rapsodie e i canti popolari dell’Ottocento da Chiavone e Crocco a Musolino e le grandi figure brigantesche. Personaggi questi che tutti hanno contribuito a formare l’epos letterario del mondo banditesco che tanta parte ha avuto nella formazione e nell’opera complessiva di Nigro: si pensi, oltre al richiamato Fuochi del Basento, al Grassiere, al Piantatore di Lune, a Giustiziateli sul campo. Protagonista indiscusso è sempre il “brigante”, che è “una figura trasgressiva, un’idea irrazionale e romantica e antisociale che attraversa, come ansia di libertà i secoli e la storia”1. Così per Raffaele Nigro la figura banditesca risulta sempre sospesa tra una lettura colta e romantica (il brigante visto come raddrizzatorti, vendicatore del torto popolare subito dalle classi subalterne e giustiziere fai da te di una legalità costruita per difendere gli interessi delle classi abbienti) e una popolare che si alimenta della sua ferocia, della paura

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che incute, del fascino favolistico di immaginarie ricchezze accumulate e di fantasiosi tesori; che – a sostenere la fiammella della speranza di un possibile riscatto sociale – la trasforma in ribelle sociale. E se non c’è mai in Nigro la condivisione della violenza che è naturalmente insita nel darsi alla macchia, tuttavia egli non nasconde la sua simpatia per quegli uomini che “in un mondo di gente usa a camminare prona, ebbe la fierezza di procedere a schiena dritta”, come spesso plasticamente ripete nei suoi conversari. Ascoltate signore e signori presenta un esaustivo saggio introduttivo che avvia subito il lettore su una figura quasi del tutto scomparsa, quella del cantastorie. E Nigro, che quei personaggi ha conosciuto da sempre nella sua Melfi e che di essi ha mutuato la musicalità del racconto, immerge il lettore nell’atmosfera di un tempo che va scomparendo: “Girava da solo o in compagnia di un assistente, a volte la moglie, un figlio, o altro parente, nomade dell’arte. Sistemava un trespolo con un alto piede di legno, oppure infilava un chiodo in un muro sgretolato al quale appendeva una tela dipinta che srotolava, o un cartellone rigido, faceva pendere da altri chiodi delle cordicelle a cui erano legati dei quinterni a stampa o semplici fogli volanti multicolori,i successi e i libretti che riportavano un cantare o una canzonetta”. E, sempre sul filo della memoria, dipana il racconto dell’atmosfera magica che si creava all’istante nei paesi e nei borghi del Sud all’arrivo di questo personaggio che suppliva al vuoto degli spettacoli. Nel saggio il telone, che il cantastorie di allora srotolava per accompagnare con le scene riprodotte il pubblico accorso lungo il percorso della storia, si tramuta nel racconto erudito di quell’atmosfera e dei suoi ingredienti, fino a trasformare proprio l’autore in un nuovo cantastorie. Come non riandare con la mente, leggendo le pagine informate e vissute di Raffaele Nigro, alle tante nottate estive passate insieme, quando la musicalità della sua voce immergeva gli amici nell’atmosfera che il saggio ripropone? E al suo suadente sciorinare – tra i viali di Rivamarina e i tamerici del lungomare di Specchiolla – una messe incredibile di citazioni, di riferimenti, di collegamenti che rapivano e frastornavano

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ad un tempo? È proprio in quelle ore sottratte agli affanni della quotidianità che noi, suoi amici, ci siamo sentiti “pubblico” che accorre al richiamo del cantastorie. E come i vecchi cantastorie riuscivano con proprie pennellate, magari di rime semplici e raffazzonate, a coinvolgere l’uditorio e avvicinarlo ad una storia lontana, allo stesso modo Nigro – intervallando il racconto con una strofetta di canzoncina popolare – ci ricreava quelle stesse atmosfere. Forse grazie proprio a quei racconti estivi è nato Giustiziateli sul campo ed è maturato il progetto di una raccolta organica delle storie popolari. Nigro fa dire alla Maria delle Battaglie: “Saper raccontare è un dono. Bisogna avere lena, io ne ho e lo ritengo un dono” 2. Ma appare finzione letteraria pura quella di far dire ad altri ciò che si dovrebbe dire in prima persona. Perché questo è il dono di Raffaele: affabulare ed incantare attraverso un racconto che abbia il giusto ritmo, nel quale la narrazione proceda senza strappi e armoniosa,con la musicalità di chi si è appropriato appieno delle tecniche della trasmissione orale della cultura contadina. Il saggio introduttivo illustra poi le forme della trasmissione narrativa, l’epica minore del cantare banditesco e le varie forme di tradizioni letterarie, i libretti, i fogli a stampa. Di seguito Nigro raccoglie e analizza le più significative ballate del Settecento meridionale: La ballata di Don Ciro Annicchiarico (Leonardo Arcadio); Istoria della vita, uccisioni ed imprese di Antonio di Santo (Nicola Bruno); la Bellissima istoria delle prudezze ed imprese di Angelo Del Duca; la Istoria della vita e morte di Pietro Mancino, capo di banditi; la Crudelissima istoria di Carlo Rainone dove s’intende la Vita, Morte, ricatti, uccisioni, ed imprese da lui fatte (Giuseppe Di Sabato). Il volume si conclude poi con una variante (edizione Paci- Russo) della ballata su Pietro Mancini in appendice. Al lettore dunque il piacere di ripercorrere con queste ballate e con il lungo saggio introduttivo un segmento della letteratura popolare banditesca del Settecento meridionale, nel quale i cantastorie di allora ven7


gono raccontati dall’ultimo cantastorie contemporaneo. Siamo certi che, condotti dalla sapiente mano di Raffaele Nigro, saranno rapiti dal fascino di questa lettura. Allo stesso modo in cui il brigante Domenico Fuoco, sua moglie Michelina Di Cesare e tutti i componenti della banda vennero rapiti da quelle dei Reali di Francia e del Guerin Meschino, fino al punto di trattenere per alcuni giorni un ragazzo, unico in grado di leggere capitato a tiro – nonostante il riscatto fosse stato già pagato dalla famiglia – perché potessero riascoltarle.

1 E. CATALANO, in Ettore Catalano, Valentino Romano, Maria Minoia, Raffaele Nigro, Fuochi a colori, lune in bianco e nero, Mario Adda Editore, Bari, 2008. 2 R. NIGRO, Santa Maria delle Battaglie, Rizzoli, Milano, 2009.

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La leggenda di Angiolillo o Angelo del Duca Come ha scritto Domenico Scafoglio che di questo cantare è stato il più attento curatore e analista, la leggenda di Angelo Duca o del Duca, il brigante nato a San Gregorio Magno in provincia di Salerno nel 1734, ci è giunta attraverso varie narrazioni, tre delle quali scritte da uomini acculturati e altre anonime ritenute di origine popolare. La Bellissima istoria delle prudenze ed imprese di Angelo del Duca nativa della Terra di S. Gregorio, fu pubblicata a Napoli presso Luigi Russo senza data ma si presume tra il 1800 e il 1810 (cm. 15 x 10 - pp. 16, ottave 42)1. Di una Vera istoria della vita, prodesse, fatti e morte del famoso bandito Angiolo del Duca nativo della Terra di S. Gregorio, edita in Bologna per Gaspare de’ Franceschi alla Colomba e probabilmente successiva a quella del tipografo Russo, [12 pp. , 42 ottave] è notizia in Baronti2. Ristampe se ne ebbero varie nel corso del secolo e in altri luoghi d’Italia, segno della fama del bandito, a Foligno senza nome di stampatore e senza data e poi ancora a Napoli, nel 1818. Avallone in data imprecisata pubblicò ancora una Bellissima istoria delle prudezze ed imprese di Angelo del Duca. Si presume che la rapsodia sia nata subito dopo l’ impiccagione del brigante, avvenuta a Salerno il 26 aprile 1784 come ricorda Croce in Angiolillo (Angelo del Duca) capo di briganti3, e poi in La rivoluzione napoletana del 17994. Ma se questa letteratura di colportage o “a un soldo” e “da bancarella” pone gli stessi problemi delle origini e delle fonti della cultura orale, una scrittura diretta probabilmente al popolo e comunque colta si occupò di Angelo del Duca. Ci sono giunti infatti tre poemetti, due dei quali composti tra fine Settecento e inizi Ottocento e un terzo composto solo dopo la metà dell’Ottocento. Il più noto di questi poemi, secondo ciò che Croce ne ha scritto, è la storia in tre canti composta a fine Settecento da Pasquale Fortunato (1731-1813) di Rionero in Vulture. Il testo, rimasto per altro inedito, apparteneva a Giustino Fortunato che permise al conte Ludovico de la Ville di farne copia per la Biblioteca di Società Storica di Napoli. Contrariamente alle altre opere su Del Duca, il cantare è smaccatamente smitizzante e ostile e verrà utilizzato più tardi da Croce come falsariga per una ricostruzione cronistica della vita del brigante di San Gregorio Magno, proprio per la lettura impietosa che ne dà Fortunato. Secondo Croce, Angiolillo, figlio di gente povera, i braccianti Angela Urso e Pietro Duca, avrebbe condotto una vita da pastore almeno 113


fino ai cinquant’anni, ovvero fino al 1782-83, quando per una violenza subita da un suo nipote le cui pecore erano sconfinate nei territori di Francesco Caracciolo duca di Martina, marchese di Mottola, di Bovino e di altre terre di Calabria, spara una fucilata contro un guardiano e gli ammazza il cavallo. Ecco come la Bellissima istoria lo racconta “Ah cuor di fiera, cuor adamantino, cuore crudel, senza pietà, ed amore, ieri, dimmi, perché col cuor ferino battesti al mio garzon con gran furore?” Quello, questo vedendo, un tantino lo guardò, poi cacciò lo schioppo fuore, dicendo: “Ahi, briccon” e il cane tira, facendo fuoco, ma fu invan la mira. Secondo Fortunato il duca Caracciolo era disposto a perdonare purché il pastore si presentasse davanti alla legge, ma Angiolillo, diffidente delle modalità di applicazione del diritto nel Regno, si diede alla macchia, come ebbe a scriverne anche Dumas che è uno dei maggiori mitizzatori del nostro5. Angelo Duca si aggregò prima alla banda di Tommaso Freda di Andretta e poi, caduto in un agguato costui, prese il comando del gruppo e cominciò a operare tra Salerno e Avellino, “si spinse fino in Capitanata; ma il campo principale della sua azione fu la zona settentrionale della provincia di Basilicata”6. La sua condotta fu tanto cavalleresca da guadagnarsi il nomignolo di “Re della Campagna”. Non si citano infatti nella sua vita episodi violenti o di grassazioni se non ai danni dei ricchi feudatari e degli alti prelati. A farne le spese erano viaggiatori dalla larga borsa mentre beneficiari erano ragazze prive di dote e famiglie poverissime, a cui Angelo del Duca destinava grano e ducati tolti ai feudatari, proprio come dicevano i laudari dei santi, soprattutto senza alcun tornaconto personale. Una volta “arrestò un vescovo che si recava a Napoli. Gli s’appressò e gli domandò quanto danaro avesse: gli fu risposto mille zecchini. – Cinquecento vi bastano pel vostro viaggio; datemi gli altri cinquecento, e che Dio v’accompagni!”7. Il gesto ricorda il racconto di Boccaccio riferito a Ghino di Tacco. E nella rapsodia di Angelo del Duca si arriva persino a parlare di miracolosità delle sue gesta. Proprio perché egli esercitava tra i borghi e le campagne di quella che allora era Terra di Basilicata ma che oggi è area annessa alla Campania, una forma di diritto primitivo e naturale con lo sguardo rivolto ai poveri e non ai ricchi. 114


E tuttavia pronto a difendere anche le ragioni dei ricchi se ingiustamente offesi. I ricchi che dalla loro avevano il benessere, la legge e il favore della Corte. E questo gli creò le simpatie popolari e fece sì che insieme al terrore diffuso dalle figure brigantesche si diffondesse anche un largo consenso. Quest’arti lo renderon vieppiù grato al volgo ed alla turba de’ furfanti 8 La Bellissima istoria più che un racconto della vita di Angelo è una descrizione analitica delle battaglie da lui intraprese, una sorta di Iliade rusticana nella quale si mettono in mostra le sue prodezze di condottiero e di fuciliere. Un capitano di ventura della cui banda facevano parte Costantino Rocco, noto come il Re di Balvano, che fungeva per età, da consigliere della compagnia, Giuseppe Russo, il più crudele di tutti, Gian Giacomo Barberio di San Gregorio, detto Gianiaco, Giovanni Gallo di Montemarano e i due fratelli Parapiglia. Un Robin Hood del quale la Rapsodia descrive l’audacia e la misericordia: XXVI. Angelo allora, con giudizio ed arte fuori cacciò due schioppi incrociati facendo foco in questa e in quella parte, che ammazzò abbasso tre soldati. I soldati dicevano in disparte: “Scendi, caprar, con tuoi compagni armati”. Angelo allor calò per vie segrete, con dire: “S’io son caprar, capre voi siete”. XXVII. E gridando, e sparando con furore, fece de’ piú forti una salata; coi compagni suoi senza timore, da Santacroce prese un’altra strada facendo or qua, or là, novell’orrore per la gran Puglia e la Basilicata; che se volessi cantar il bene e ’1 danno, distintamente, ci vorrebbe un anno. 115


Nel 1785, dunque un anno appena dopo l’esecuzione, è un altro lucano a scrivere di Angelo del Duca, Filippo Oliveto. Originario di Muro Lucano e iscritto all’Arcadia col nome di Tirsinto Gerunteo, il poeta scrive l’Angeleide ossia la vita in comitiva del famoso Angelo del Duca di San Gregorio, in otto canti e in ottava rima. Oliveto accrebbe la prima stesura del poema dopo la cattura di Costantino Rocco conosciuto come il re di Balvano, avvenuta nel gennaio del 1785 nel convento dei Cappuccini di Muro Lucano. Rocco aveva sostituito Angiolillo nel comando della banda. Rimasta inedita, l’Angeleide venne descritta da Gaetano Amalfi, Di un altro poemetto inedito su Angelo del Duca.9 La posizione di Oliveto è del tutto mitizzante, Angiolillo è la creatura nobile e cavalleresca che solo la natura può creare, in ossequio al mito russoiano del buon selvaggio e a Robin Hood.10 Amalfi era stato probabilmente spinto ad occuparsene da un altro poemetto scritto qualche anno prima su Del Duca da Pompeo d’Ajutolo. Il testo venne pubblicato con un secolo di ritardo, in “La lega del Bene” col titolo di Istoria della vita del gran forescito di Lucania11. D’Ajutolo, spiegò Amalfi “palesemente influenzato dalla polemica antifeudale e anticlericale degli illuministi napoletani, idealizza oltre misura i provvedimenti sociali di Angiolillo ed è in tutto il suo poemetto favorevole al bandito”. Lo schema metrico è molto rispettato e il rapsodo si rivela abile manipolatore di versi con continui enjambement che costruiscono delle ottave molto discorsive e di lettura scorrevole. Più limitato mi pare l’uso di un vocabolario dialettale, il che ci restituisce l’immagine di un rapsodo non privo di una sua acculturazione.

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Prefazione, di Valentino Romano 5

Il cantastorie 9

Oralità, cronache e fogli volanti, 17; Le forme della trasmissione narrativa 20; Libretti e fogli a stampa 22; Sul cantare banditesco, ovvero dell’epica minore 27; Una tradizione letteraria 35; Dal verso alla prosa 41.

Leonardo Arcadio e la ballata di Don Ciro Annicchiarico 49 Vita di don Ciro Annicchiarico

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Nicola Bruno e la ballata di Antonio di Santo 89 Istoria della vita, uccisioni ed imprese di Antonio di Santo

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La leggenda di Angiolillo o Angelo del Duca 113 Bellissima istoria delle prudezze ed imprese di Angelo del Duca

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Pietro Mancini o Mancino 131 Istoria della vita e morte di Pietro Mancino, capo di banditi

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Giuseppe Di Sabato e L’istoria di Carlo Rainone 157 Crudelissima istoria di Carlo Rainone dove s’intende la Vita, Morte, ricatti, uccisioni, ed imprese da lui fatte 159

Appendice Istoria della vita e morte di Pietro Mancini capo di banditi

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