Lorenzo Capone
I luoghi dell’archeologia Puglia Basilicata Calabria Campania Molise
Capone Editore
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Via provinciale Lecce - Cavallino, km 1,250 - LECCE Mail to: info@caponeditore.it On line: www.caponeditore.it www.myspace.com/caponeditore www.caponeditore.blogspot.com Tutte le foto appartengono all’Archivio della casa editrice © Copyright 2011 ISBN: 978-88-8349-138-2 Stampa: gennaio 2011 - Tiemme - Manduria
Nota dell’autore La scelta dei siti archeologici presenti nel volume non ha una sua logica, nel senso che non si è andati alla ricerca di luoghi raccordati tra loro per affinità storiche, per civiltà espresse, per rapporti intrattenuti nei secoli, etc. Se una “selezione” è stata fatta, essa è legata soltanto all’area geografica, nel caso, all’Italia meridionale continentale, nella quale sono presenti tuttora tracce significative di città e luoghi che hanno avuto un ruolo rilevante nella storia, e non solo del Mezzogiorno. Non potevamo ovviamente inserirli tutti, anche se quelli presenti nel volume, a mio avviso, sono una sorta di florilegio che dà un’idea abbastanza ampia di quel che sono stati gli antichi popoli del Sud. l. c.
Puglia Egnazia Canosa Manduria Brindisi Roca Taranto
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Egnazia
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Egnazia
Acropoli Nella pagina precedente: la Via Traiana
Con Brindisi e Otranto, Egnazia era la città portuale per antonomasia lungo la costa adriatica della Puglia meridionale. Disponeva, infatti, di un bacino di 16mila mq con una imboccatura di 40m e cinque pontili per l’attracco e l’ormeggio delle imbarcazioni. Al confine tra la Messapia e la Peucezia, attraversata dalla Via Traiana, della quale al centro del tessuto urbano si con-
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serva un lungo tratto con basolato ben leggibile segnato da carrarecce e con marciapiede, la città disponeva di un porto frequentato sin dal periodo miceneo (XVI-XIV sec. a. C.). Negli anni ‘60 del secolo scorso, segno della frequentazione del posto anche in età precedente, sulla penisoletta che penetra nel mare azzurrissimo, divenuta acropoli in periodo storico e dove, si pensa, fu edificato anche un santuario, venne alla luce una serie di buche scavate nella viva roccia nelle quali si inserivano i pali per alzare le capanne preistoriche. L’abitato, messapico prima, romano successivamente, per la mancanza di sovrapposizioni ha pianta ben leggibile con le strade che si incrociano ad angolo retto, con le insulae che si susseguono, con il foro, l’area dei templi, un
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Nelle due pagine: il foro, una fornace, l’anfiteatro
grande criptoportico (una sorta di enorme magazzino per conservare derrate in parte scavato e in parte costruito), fornaci, anfiteatro, aree funerarie. Grandiose e numerose sono le tombe a camera, alcune utilizzate in età medievale addirittura come abitazione, e quelle a semicamera e a fossa: da tutte è stato recuperato materiale che si conserva in diversi musei, ma soprattutto in quello che insiste all’interno dell’area archeologica. Egnazia fu famosa e nota nel mondo antico per la elegante e caratteristica
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A lato: ingresso di una tomba a camera
Sotto: necropoli, tombe a semicamera
Nella pagina successiva: resti della fortificazione
produzione fittile (crateri, oinochoe, skiphos, pelike...) detta appunto di Gnathia: fondo in vernice nera brillante sulla quale, in rosso, giallo e bianco, venivano dipinte maschere, motivi geometrici, strumenti musicali e scene dionisiache con satiri e menadi che si inseguivano allegramente in mezzo a tralci, pampini e grappoli d’uva; una creazione nata nelle botteghe tarantine intorno al 370 a. C. della quale si impossessarono gli artigiani della Messapia. Alla fine del III secolo a. C. la lavozione ebbe fine: la clientela evidentemente aveva cambiato gusto e il mercato, di conseguenza, non la richiedeva più. Imponente quel che si conserva tuttora della città. Bene evidenti sono le mura che la circondavano, lunghe circa 2 km, realizzate con blocchi regolari: un tratto suggestivo è quello che è ancora ottimamente in piedi a nord dell’acropoli: sono 16 filari sovrapposti che si protendono verso il mare aperto.
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Sopra: galleria del criptoportico
A lato: anfore nel Museo
Nella pagina successiva: resti della fortificazione
Incendiata da Totila nel 545, rinacque sulle proprie ceneri, ma ormai era condannata ad un lento degrado. Nell’XI secolo venne definitivamente abbandonata.
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Canosa
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Basilicata Metaponto Siris / Eraclea Grumentum
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Metaponto
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Metaponto
Sin dall’età del bronzo l’area che va da Sibari a Siris/Eraclea fino a Metaponto era abitata dai Choni, uno dei tanti gruppi etnici che faceva capo ai più noti Enotri, giunti colà dall’area balcanica. Nel corso di molti secoli, essi svilupparono, sia pure con differenze tra coloro che abitavano sulla costa e quelli dell’interno, una cultura materiale di gran livello, venuta alla luce a seguito dello scavo di numerosissime necropoli, che risentì dell’influenza dell’arte greca per i contatti con le colonie greche della costa, arrivate intorno all’VIII sec. a. C., ma anche dell’influsso di quella etrusco-campana per la posizionecuscinetto che l’Enotria occupava nella Basilicata. Dei Lucani, popolo monta-
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Nelle due pagine: resti della peristasi del tempio dorico di Apollo
naro, rozzo e bellicoso, di stirpe sannitica, che occuperono le fertili ampie vallate e le ricche aree collinari coperte da fitti boschi, ancora non se ne parla. La loro “comparsa”, infatti, risale alla metà del V sec. a. C. Metaponto fu colonia achea fondata intorno al 640-630 a. C. tra il Basento, a ovest, e il Bradano. Sul luogo, secondo alcune fonti, sarebbero giunti altri Greci, Nestore e cittadini di Pilo, molti secoli prima e, comunque, subito dopo la guerra di Troia (XIII sec. a. C.). La verità è che tutto il lungo tratto di costa, basso e sabbioso, dello Ionio settentrionale era stato frequentato, molto prima della fondazione delle colonie di età storica, da commercianti provenienti dall’area dell’Egeo e dagli abili naviganti cretesi e micenei, i quali scambiavano i loro prodotti con quelli delle popolazioni italiche dell’interno della Basilicata che, attraverso i numerosi fiumi ricchi d’acqua, quasi tutti navigabili, facevano giungere le loro mercanzie sulla costa. Punto d’incontro erano generalmente le foci dei fiumi sulle quali vi erano dei fondachi, piccoli e comodi scali dove
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Canale di drenaggio Resti della peristasi del tempio ionico di Artemide (480-470 a. C.)
si scambiavano i prodotti. Metaponto fu città ricca e potente, non lontana da Siris, che è più ad Occidente, e da Taranto, a Oriente, la polis fondata molti decenni prima dai Parteni di Sparta e con la quale si alleò schierandosi con Pirro contro Roma nella famosa battaglia di Heraclea del 280. E contro Roma scese in campo anche al tempo della seconda guerra punica, dando ospitalità ad Annibale. Questo comportamento ebbe, ovviamente, delle conseguenze: i Romani vincitori gli inflissero a più riprese dure lezioni che la portarono a mano a mano verso la decadenza. Della ricchezza della città, che battè moneta con incusa una spiga di grano, segno della notevole produzione agricola della vastissima e pianeggiante chora, sono dimostrazione i pochi ma significativi brandelli dei grandi templi che erano presenti nell’area sacra (tre dorici, uno ionico), il teatro, di cui resta parte della gradinata, la fortificazione muraria con qualche scampolo delle fondamenta. Purtroppo, come è avvenuto spesso nel corso della storia e sotto tutte le latitudini, i materiali edilizi di tutti quei monumenti sono stati depredati e riutilizzati per secoli per la costruzione di altri edifici. Nel museo di conservano moltissimi reperti venuti alla luce nel corso delle numerose campagne di scavo. Si tratta di oggetti e di materiali che danno idea di quella che fu la
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Resti della peristasi del tempio di Hera (540-530 a. C.) diversamente detto delle “Tavole Palatine”
produzione delle popolazioni che si sono succedute nell’area nel corso dei millenni. Una curiosità: a Metaponto, fuggito da Crotone, dove era arrivato da Samo, Pitagora trascorse gli ultimi anni della sua vita. Qui morì nel 490 a. C. Oggi, la parte più monumentale di Metaponto, comunque, è costituita da quel che resta del santuario extraurbano dedicato a Hera, edificato tra il 540530 a. C., detto anche delle “Tavole Palatine”. Posto su una leggera collina in un’area lievemente ondulata, il tempio, di cui restano ben 15 colonne doriche della peristasi, fu meta di pellegrinaggio ed era ben visibile, proprio per la sua maestosità, da quanti navigavano lungo il litorale ionico.
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Resti della cavea del teatro
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Siris/Eraclea
Collane, fibule, pendagli in ambra e bronzo di produzione enotria Nella pagina successiva: modellino di casa-tempietto di produzione enotria
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Siris/Eraclea
Furono i Colofoni, all’inizio del VII sec. a. C., che, sotto la pressione dell’esercito persiano alla conquista dell’Asia Minore, fuggendo dalla Ionia, fondarono la città lungo il corso terminale del Sinni (l’antico Siris). L’area nella quale si insediarono era occupata dagli Enotri e da popolazioni indigene sin dal Neolitico ed era stata notevolmente frequentata durante l’età del bronzo e la prima età del ferro (X - IX sec. a. C.) da popolazioni di cultura egeo-micenea. Dalle indagini archeologiche e dall’analisi dei manufatti recuperati, so-
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prattutto nelle necropoli, da dove son venuti fuori pithoi, anfore, idrie di produzione corinzia, attica, oltre che locale, si può affermare che la città era diventata molto ricca grazie agli ottimi rapporti commerciali stabiliti con il mondo greco continentale e insulare, per la capacità di fabbricare in proprio e mettere sul mercato i prodotti delle botteghe cittadine, per aver saputo ben utilizzare la propria posizione geografica che gli consentiva di penetrare nel cuore della Lucania e, attraverso le vie interne lungo le vallate del Sinni e dell’Agri, controllare il commercio e le comunicazioni tra lo Ionio e il Tirreno. Ciò alla lunga non passò inosservato alle città achee dello Ionio (Crotone e Sibari a ovest, Metaponto a est) le quali, avendo creato subcolonie lungo il Tirreno e avendo interessi identici sul piano commerciale, si coalizzarono e mossero guerra alla città dei Colofoni. La polis venne così attaccata e, dopo qualche resistenza, rasa letteralmente al suolo. Si era, la data non si è ancora riusciti a stabilirla con esattezza, tra il 575 e il 535 a. C. A distanza di cento anni circa, la Siritide, che dopo la distruzione di Siris era rimasta abbandonata nonostante le obiettive ricchezze del territorio, venne rioccupata attraverso la fondazione di Eraclea, la città sacra ad Ercole. Ciò avvenne nel 433-32 a. C. ad iniziativa di Taranto e della città di Thuri. Progettata urbanisticamente con molta puntualità sin dalla fondazione, con strade ortogonali che si incrociavano con la Plateia e quindi con quartieri ben definiti, con marciapiedi lungo le strade interne e fognature che corre-
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Sopra e a lato: resti delle fondazioni di botteghe con pithos e canali di scolo
Sotto: resti di una fornace
Nella pagina precedente: la plateia
vano al di sotto delle stesse, con aree pubbliche e luoghi sacri sui quali sorsero alcuni templi (due dei quali dedicati rispettivamente a Dioniso e Demetra), con mura che la circondavano da tutti i lati, con un’acropoli realizzata nel punto più alto delle colline digradanti verso il Cavone dove oggi sorge il castello di Policoro, con il quartiere artigianale, Eraclea si sviluppò in modo ordinato e divenne, anche per alcune regole scritte che si diede, sia pure solo in materia agricola, incise nelle famose Tavole in bronzo, oggi conservate presso il Museo Nazionale di Napoli, città modello per i Greci d’Occidente. Fu capitale della Lega Italiota (370 a. C. circa), un’alleanza in funzione antilucana, che riuniva le città greche dello Ionio, nelle sue vicinanze. Col suo appoggio Pirro riuscì vittorioso sui Romani, alleati dei Lucani (280 a. C.). A non molti anni di distanza appoggiò anche Annibale nelle sue operazioni con-
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Sopra: tabella bronzea con l’elenco dei beni di una divinità venerata presso il Sinni
A lato: antefissa di tipo gorgonico dall’area sacra del Santuario di Dioniso
Nella pagina precedente: fondazioni di abitazioni, canale di scolo con lastra di copertura scanalata, plateia con al centro vora di scolo delle acque
tro Roma (214 a. C.). Si era alla fine del III secolo e Roma, non correndo più alcun pericolo nell’Italia centrale della quale era ormai padrona, guardava con sempre maggiore interesse verso il Mezzogiorno. Per Eraclea e per le altre città che si erano schierate contro i tempi cominciarono a diventare molto duri. Roma, infatti, non solo le conquistò, ma molte di esse furono, come usava in quei tempi, rase letteralmente al suolo. Non fu questo, fortunatamente, il destino di Eraclea che continuò a sopravvivere anche dopo la guerra sociale e il passaggio di Spartaco sino a tutta l’età augustea e dopo. Nel IV secolo d. C. iniziò un lento e inesorabile declino sino alla quasi totale scomparsa. Le numerose campagne di scavo, portate avanti con molta difficoltà per la sovrapposizione dell’attuale Policoro sull’antica città, hanno comunque restituito un quadro molto ampio del passato di Eraclea. Non solo numerose sono le tracce dell’abitato, delle mura e dei luoghi sacri, ma molteplici e grandiosi sono i materiali recuperati nelle necropoli, le cui tombe ci dicono del passaggio dal rito dell’inumazione all’interno di casse litiche a quello dell’incinerazione in grandi vasi fittili. Il Museo Archeologico Nazionale della
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Scene mitologiche a figure rosse del “pittore di Policoro” (fine V sec. a. C.) Nella pagina successiva: collane e monili in bronzo e ambra di produzione enotria (VII-VI sec. a. C.) Quel che sorprende non poco osservando i materiali enotri esposti nelle teche e rinvenuti nelle tombe, è la ricchezza davvero enorme dell’utilizzo dell’ambra per la realizzazione di ornamenti e gioielli femminili. Questo materiale, che fu rinvenuto anche a Troia nelle tombe del circolo A (XIV sec. a. C.), raggiungeva dal Baltico, attraverso la cosiddetta “via dell’ambra” (una fitta rete di mulattiere e di rotte fluviali), i mercati dell’Europa meridionale dimostrazione, tutto questo, dei contatti tra le popolazioni boreali e le civiltà che andavano formandosi nel Mediterraneo.
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Siritide, accanto ai materiali del periodo enotrio e precoloniale, espone un’enorme quantità di opere ceramiche uniche per ricchezza scenica e qualità artistica. Della cosiddetta tomba di Policoro, databile al IV sec. a. C., si espongono in una teca tutti i materiali in essa rinvenuti: si resta a bocca aperta per il numero e la qualità dei pezzi e per i racconti illustrati che rimandano al mito e all’epos greci. Si tratta di una produzione vascolare locale a figure rosse ad imitazione della produzione attica attribuita al pittore di Policoro, di Amykos, di Creusa, ...
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Grumento
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Grumento
Anche se le colline e la valle dell’alto Agri erano state frequentate sin dall’età del bronzo e, successivamente, da popolazioni enotrie, Grumentum fu città che venne fondata nel III sec. a. C. dai Romani. Questi, dovendo difendere i territori conquistati dopo averla fatta finita con i Sanniti e ampliare i propri domini, fondarono, in punti strategici dell’Italia meridionale, nel quadro di un disegno mirato a conquistare tutto il Sud (dove già vi era dal 318 a. C. la civitas foederata di Canusium), città-fortezze come Luceria, colonia romana dal 314 a. C., Venusia dal 291, Paestum, la subcolonia di Sibari che i Lucani avevano assoggettata nel V sec. a. C., dal 273, e, appunto, Grumentum, edificata da Roma e divenuta colonia nel I sec. a.C. Le quattro città diventarono gli
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Resti dell’anfiteatro
Nella pagina successiva: il Capitolium, le terme e una stenopos
avamposti decisivi da dove le legioni romane, tra alti e bassi, ma sempre con determinazione, partirono per sottomettere Dauni, Peuceti, Lucani, Magnogreci, Bruzi e Messapi. La città, posta a quasi 600 m slm su un pianoro alla confluenza dell’Agri con il torrente Sciaura, sorgeva all’incrocio di importanti vie di comunicazione che mettevano in relazione il mondo etrusco campano con quello magnogreco dello Ionio. Erano vecchi tratturi, ampliati e risistemati dai Romani, che univano da tempo immemorabile il nord della Lucania con il Sud e l’Adriatico con il Tirreno. Da nord-est giungeva a Grumentum, da Venosa, collegata a sua volta con Canosa, Canne e il porto di Barduli (Barletta) sull’Adriatico, la Via Herculea la quale, proseguendo verso sud ovest, si univa alla Via Popilia che portava in Calabria e in Sicilia. A sua volta, da Grumentum, attraverso la valle dell’Agri, un’altra mulattiera, durante l’età del bronzo univa le popolazioni indigene dell’interno con i fondachi sorti lungo la costa
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Scorcio dell’ambulacro e uno dei vomitoria del teatro
Nella pagina precedente: mosaico nella grande domus nei pressi del teatro e scampolo della strada che tagliava la città
ionica; questa, poi ampliata e sistemata in epoca romana, la collegava ad Eraclea e, quindi, alle città magnogreche dello Ionio. Dimostrazione del traffico che si svolgeva lungo questa antichissima mulattiera sono i rinvenimenti venuti alla luce nelle tombe dei vari centri della media e alta Val d’Agri: vasellame, oggetti di prestigio, ornamenti in oro e argento di produzione greca, tutti manufatti utilizzati dalle elitès degli Italici del luogo. Fu stazione militare molto importante. Sotto le sue mura si scontrarono i Romani con i Cartaginesi di Annone (215 a. C.) e, successivamente, nel corso della seconda guerrra punica, di Annibale (207 a. C.). Roma, in tutti e due i casi, vinse. Al tempo della guerra sociale (89 a. C.) Grumentum si schierò ovviamente con Roma. Assalita dalle popolazioni italiche, nonostante fosse ben murata, fu saccheggiata e per buona parte distrutta. Come se non bastasse, a distanza di qualche decennio, fra il 73 e il 71 a. C., venne depredata e in parte distrutta dai gladiatori di Spartaco. Abbandonata per alcuni decenni da molti
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Testa in marmo di Livia Drusilla vedova dell’imperatore Augusto, presente nel Museo. Era esposta nel Foro della città dove fu rinvenuta.
suoi cittadini, venne ricostruita e riprese a vivere con vivacità in periodo imperiale e nei primi secoli dell’era cristiana, quando divenne un centro molto popoloso e ricco. A testimoniarlo sono le tante opere pubbliche e le grandi domus private, delle quali ci restano scampoli significativi, dal teatro all’anfiteatro, dal Capitolium (dove si veneravano Giove, Giunone e Minerva, ovvero la Triade Capitolina) ai templi, dalla Basilica al Foro alle terme. Datano periodi diversi, certo, ma tutte queste opere sono dimostrazione della ricchezza raggiunta da Grumentum che, proprio per i numerosi e imponenti resti presenti, doveva avere un impianto urbano di tipo ippodameo tuttora ben leggibile. Ottimo, nel cuore della città, lo stato di conservazione del lungo tratto basolato della Via Herculea.
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Sibari
Dolos in terracotta per la fermentazione del mosto con indicazione in latino della capacitĂ (Q.XLIV.S - 44,5 Quadrantales pari a litri 1170 circa) - MetĂ del I sec. a. C. Rinvenuto in una villa rustica in localitĂ Ciminata di Rossano Calabro Nella pagina successiva: la lunga plateia basolata
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Sibari
Nell’immaginario collettivo i cittadini di Sibari sono passati alla storia come persone dedite al divertimento, al lusso e al vizio più sfrenati. Se questo antico luogo comune corrisponda a verità è difficile dirlo per mancanza di fonti sia testuali sia archeologiche. Una cosa sembra però certa: la polis achea doveva essere molto ricca e per molti storici era addirittura a capo di una sorta di “impero” con 25 città ad essa sottomesse. Uscendo dalle ipotesi, è comunque certo che Sibari battè moneta propria in argento con incuso sugli stateri un toro retrospiciente, allargò i propri confini verso est dopo la distruzione di Siris (metà VI a. C.) e fondò delle subcolonie lungo le coste del
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Domus con al centro i ricchi ed eleganti mosaici
Nella pagina successiva: la grande plateia all’incrocio con una strada secondaria (stenopos) a destra della quale si notano i resti di botteghe e abitazioni
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Tirreno: oltre a Laos e a Scidro, in Calabria, diede vita anche a Poseidonia, in Campania, città, tutte queste, con le quali ebbe scambi commerciali intensi attraverso la ragnatela di tratturi che correvano nelle vallate delle montagne calabro-lucane. Sibari era stata fondata da Achei del Peloponneso con il concorso dei cittadini di Trezene nel 720 a. C. al centro di una vasta fertile pianura ai lati della quale scorrevono il Crati e il Coscile, che sfociavano nel mare con foci allora ben distinte. Nei secoli successivi alla fondazione la linea di costa è avanzata di alcuni chilometri; i due fiumi, oggi, finiscono nello Ionio con una sola foce; l’impaludamento di tutta l’area retrostante la costa ha ricoperto di detriti i resti non solo di Sibari, ma anche quelli di Thurii, la città rifondata da Sibariti scampati alla distruzione e da Ateniesi, e di Copia, la urbs romana che sorse nel quadro di quella che fu la politica di Roma verso il Sud. A questa
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Ariballoi protocorinzi con opliti e tomba alla cappuccina esposti nel Museo Nella pagina successiva: la cavea del teatro romano e una ricostruzione in polistirolo, sughero, ghiaia e terre colorate realizzata da Antonio Adduci
ultima, infatti, risale quasi tutto quel che si vede nel Parco archeologico lungo la SS 106 Ionica. Una grande plateia selciata larga 13 m e lunga 350 con direzione nord-sud e con a lato marciapiedi e canali di scolo delle acque; un’altra, larga 7 m con marciapiede, la taglia ortogonalmente e lungo essa si affacciano una serie di botteghe, un teatro di epoca romana del I sec. d. C., terme, alcune abitazioni signorili, all’interno delle quali sono stati rinvenuti mosaici di grande raffinatezza. Tuttora sono in corso gli scavi; riportare, però, alla luce le diverse fasi di costruzione delle tre città sovrapposte tra loro non è cosa semplice: grandi idrovore sono continuamente in funzione per evitare che la palude si impossessi nuovamente del luogo, di qualche metro sotto il livello del mare. Sibari, ricca e potente, fu sconfitta e rasa al suolo da Crotone con il sostegno di Metaponto. Tutto avvenne per motivi di concorrenza commerciale anche se, stando ad alcuni storici, lo scontro tra le due città fu dovuto alla ritorsione di numerosi potenti esuli sibariti, a suo tempo sconfitti politicamente e fuggiti dalla loro città che misero in atto, coinvolgendo in questo il governo di Crotone. Si era nel 510 a. C. e Sibari, messa a sacco e fuoco e per buona parte abbattuta, restarono solo poche tracce. Una curiosità: a capo dell’esercito crotoniate era il celebre lottatore Milone, l’atleta che aveva vinto più volte a Olimpia, a Nemea e ai giochi istmici e pithici. A distanza di un cinquantennio, dopo vari tentativi per ricostruirla da parte di Sibariti scampati alla sconfitta e alla morte, la città risorse grazie agli Ateniesi di Pericle e ad altri coloni greci. Al progetto urbanistico si dedicò Ippodamo da Mileto, alle leggi costituenti Protagora di Abdera, alle attività cul-
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turali Erodoto, il grande storico nato ad Alicarnasso, che, proprio a Thurii, questo il nome della nuova polis, morì: siamo nel 444-443 a. C. La città divenuta nel giro di alcuni decenni molto potente, dopo essersi difesa molto bene dagli attacchi di Taranto e di Crotone, ma sconfitta a Laos dai Lucani nel 389 e continuamente sotto schiaffo di Lucani e di Brettii, chiese aiuto a Roma con la quale si schierò decisamente combattendo contro Pirro, prima, contro Annibale successivamente, tanto da essere saccheggiata da quest’ultimo nel 203 a. C. Nel giro di non molto tempo, nel 194 a. C., alcune migliaia di coloni romani vennero dedotti in quell’area: sorse così Copia o, come alcuni storici riportano, Copia -Thurii. Era Roma che ormai batteva le carte e decideva i destini delle città del mondo magnogreco.
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Locri Epizephiri
Reperti all’ingresso del Parco archeologico Nella pagina successiva: resti del tempio di MarasĂ
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Campania Cuma Poseidonia / Paestum Pompei Ercolano Aeclanum Saepinum (Molise)
Cuma
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Cuma
Grandi pithoi sull’acropoli Nella pagina precedente: il lago d’Averno
Cuma fu la prima colonia greca in Occidente. La sua nascita risalirebbe al 740 a. C. ad iniziativa degli Euboici di Eretria e Calcide che da Ischia, la antica Pithekoussai, dove avevano messo radici, passarono, non senza scontri con le popolazioni locali, sulla terraferma. Gli Euboici erano assidui frequentatori dell’isola sin dall’età del Bronzo finale (XII - XI sec. a. C.) perché, grandi navigatori sulle più diverse rotte del
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Mediterraneo, furono proprio loro a trasferire rame e ferro dall’Etruria e, in parte, anche dalla Corsica, verso le isole greche dell’Egeo. Ischia divenne proprio per questo una stazione portuale internazionale sulla quale arrivavano merci e prodotti dei paesi che affacciavano sul Tirreno del nord e dal quale partivano verso le destinazioni più varie, Egeo e Mediterraneo orientale in particolare. Gli Euboici, che in quanto a conoscenze marittime e a vivacità di lavoro sul mare avevano come concorrenti solo i Fenici, furono tra le popolazioni greche, che di mare si intendevano, quelle che più intensamente solcarono le rotte occidentali. Non è, quindi, un caso che erano di casa a Ischia, e che conoscessero e frequentassero le rotte più a nord, sino alla odierna Marsiglia. La tradizione letteraria e la documentazione archeologica, parlano di Cuma occupata dai Calcidesi di Ischia intorno al 740 a. C. L’area, abitata dagli Opici, una popolazione indigena, era un punto strategico di rilevante im-
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Muro di sostegno dell’acropoli Nella pagina precedente: strada esterna basolata
portanza perché non solo dominava, con i suoi due porticcioli naturali, i traffici marittimi, ma anche quelli di terra, molto intensi, tra le popolazioni del nord protoetrusche e del sud Italia. La città divenne molto potente tanto che fondò, nel VII sec., prima Partenope, sull’isola Megaride dove oggi sorge Castel dell’Ovo a Napoli, sulla quale in verità avevano messo già piede tra il IX e l’inizio dell’VIII secolo i Rodiesi; successivamente, nel 470, Neapolis, la città che diventerà poi la Napoli greca con impianto urbano ortogonale, con templi e mura. L’acropoli della città di Cuma sorse sul promontorio sul quale vi era un villaggio delle prime popolazioni italiche che abitarono la zona, gli Ausoni,
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Resti del tempio di Apollo Nella pagina successiva: l’”antro della Sibilla”
che erano stati scacciati secoli prima dell’arrivo degli Euboici dagli Opici. Quel che oggi sopravvive non è poco: i resti di un tempio dedicato a Giove, sull’acropoli, quelli del tempio dedicato ad Apollo, giù, verso il mare, e lunghi tratti della fortificazione della città alta. A Cuma, poi, il mito, come è noto, è di casa. Il cosiddetto “antro della Sibilla”, del quale parla Virgilio nell’Eneide, è certamente il luogo più celebre. Si tratta di una lunga grotta di forma trapezoidale scavata nella roccia che, secondo Mario Napoli, risalirebbe ad alcuni secoli prima della fondazione della colonia e che “doveva essere un deposito d’acqua o di derrate”.
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Indice Puglia 3 Egnazia 5 Canosa 13 Manduria 23 Brindisi 31 Roca 41 Taranto 49
Basilicata 55 Metaponto 57 Siris / Eraclea 67 Grumentum 75
Calabria 81 Sibari 83 Locri Epizephiri 89 Reggio Calabria 95
Campania 97 Cuma 99 Poseidonia / Paestum 105 Pompei 117 Ercolano 125 Aeclanum 131 Saepinum (Molise) 137
Finito di stampare nel mese di gennaio 2011
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