"Il Salento da Ostuni a Leuca", di Lorenzo ed Enrico Capone (2012)

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Lorenzo ed Enrico Capone

Il Salento da Ostuni a Leuca dal mare all’entroterra delle province di Brindisi, Taranto e Lecce

Il Salento in un portolano di Piri Reis (XVI sec.)

Capone Editore


Capone Editore Via prov.le Lecce-Cavallino 73100 Lecce Tel. e fax 0832 611877 online: www.caponeditore.blogspot.com www.facebook.com/caponeditore mail to: caponeeditore@libero.it - info@caponeditore.it Le foto appartengono all’Archivio della Casa Editrice ISBN: 978-88-8349-164-1 Stampa: Servizi Grafici by Arti Grafiche Picene - Tuglie

Giugno 2012 © 2012

Si ringraziano: - Gabriella Battaglia e Giovanni De Cupertinis per il testo su Nardò (pagine 132-138); - Aldina Gallo per il testo sulla Basilica di Santa Caterina d’Alessandria a Galatina (pagine 148-153); - Luciano Faggiano del Museo Archeologico Faggiano di Lecce (pagine 98-104); - lo Zoosafari di Fasano per la foto di pagina 29, in alto; - la Casa Editrice Kurumuny per la foto di pagina 146, in basso a destra; - Max Tabasso di “Vie del Mediterraneo” per le foto delle pagine 144 e 145, in basso; - Attilio Caroli Caputo del club Bellavista di Gallipoli per averci consentito di realizzare la foto di pagina 126-127, in alto; - Carlo De Paola del bar “Da Carlo” di Porto Badisco per il contributo fornitoci sull’interpretazione dei pittogrammi della Grotta dei Cervi.


Da Ostuni a Leuca

Il Salento, denominato per molti secoli Provincia di Terra d’Otranto, comprende tradizionalmente la punta più meridionale della Puglia circondata a est dall’Adriatico e a ovest dallo Ionio. La linea che grosso modo va da Egnazia a nordovest di Taranto (Massafra, Mottola, Castellaneta, Laterza e Ginosa), compresa buona parte della Valle d’Itria e delle Murge materane, lo divide dal resto della Puglia e dalla Basilicata. Risale agli anni ‘20 del Novecento la divisione amministrativa attuale: Taranto e Brindisi, infatti, diventano province rispettivamente nel 1923 e nel 1927 staccandosi da quella di Lecce che, per estensione territoriale e numero di abitanti,

è più vasta e popolosa. Un tentativo per ridare unità politico-amministrativa al vecchio Salento, pur nelle differenze storico-culturali, risale alla Costituente: per un solo voto, infatti, non divenne Regione e fu così inserito nella Puglia la cui città-capoluogo, anche per centralità geografica, fu scelta Bari. L’idea di diventare una Regione a se stante è, comunque, tutt’altro che tramontata: tentativi lontani e recenti dimostrano, e forse non a torto, che nel rispetto delle secolari differenze esistenti nelle “Puglie”, il Salento è qualcosa di diverso rispetto alla Capitanata e alla Terra di Bari, e che, proprio per questo, meriterebbe di diventare Regione. 3


Santa Cesarea, Villa Sticchi


Incantevole Salento

Tutto arriva dall’Oriente Occorre attraversare l’intera regione, tra ulivi e viti, viti e ulivi, per raggiungere il Salento. Inserito tra due mari, l’Adriatico e lo Ionio, con più di quattrocento chilometri di costa, a volte bassa e sabbiosa, non di rado alta e a picco sul mare, è il territorio più orientale d’Italia con il Capo d’Otranto - Punta Palascìa distante dalla dirimpettaia Albania non più di 70 km. Un braccio di mare attra-

versato, sin dall’antichità più remota, da genti e popoli diversi che, spostandosi verso Occidente, arrivavano giocoforza nel Salento: basta visitare il Museo Nazionale Archeologico di Taranto, il più grande del Mezzogiorno, per rendersi conto di quanti, sin dall’età del bronzo, ma anche prima, raggiunsero e si stanziarono nella Puglia meridionale.

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Il paesaggio Il Salento manca di fiumi e di corsi d’acqua che scorrono, invece, sottoterra per il terreno carsico che fa perdere le acque pluviali immediatamente dopo che son cadute. Si contano sulle punta delle dita di una mano, dopo le grandi opere di bonifica della fine dell’Ottocento e degli anni ‘20 e ‘30 del secolo scorso, i laghi costieri, tutti a ridosso della costa, alle spalle di alte dune, quasi sempre comunicanti col mare. Laddove non è stata distrut6

ta dalla dabbenaggine dell’uomo, la macchia mediterranea, bassa, fitta, semprever de, puntinata in alcuni periodi dell’anno da bacche gialle e rosse, è diffusa dappertutto lungo la fascia costiera. In primavera, la campagna si copre di mille colori e lungo le stradine si possono ammirare ciclamini, orchidee, gladioli, papaveri, iris mentre, sempre in primavera, si diffonde nell’aria il profumo del lentisco, del mirto, del cisto. Non mancano i grandi boschi di pino, ma non sono assenti


quelli di querce, albero che un tempo doveva coprire grandi spazi. Qui cresceva la quercia vallonea, una pianta introdotta nel Salento dai monaci basiliani: di essa si conservano pochi maestosi esemplari, il più noto dei quali è la “vallonea dei cento cavalieri” presso Tricase.

La festa è generalmente annunciata di buon mattino dal botto forte e secco dei primi fuochi d’artificio, poi arriva il suono delle campane che annuncia le funzioni religiose, mentre la banda, in alta uniforme, con gli ottoni che brillano alla forte luce del giorno, gira per le strade del paese tra ali di bambini in festa. In piazza e nelle vie immediatamente limitrofe, tutte rigorosamente delimitate dalla

La festa Chi, soprattutto d’estate, vuole immergersi nell’anima del Salento non può non raggiungere una delle tante feste popolari che da secoli, in onore quasi sempre dei santi protettori, animano le giornate ma, soprattutto, le serate delle grandi città e dei più piccoli paesi.

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sono le processioni del Venerdì Santo in preparazione della Pasqua: richiamano decine di migliaia di fedeli e di turisti sia quella dei Perdùni a Taranto che quella di Gallipoli.

L’artigianato

paratura, baracche con dolciumi locali (la immancabile cupeta, un croccante a base di mandorle e miele), noccioline, scapece (una specialità gallipolina a base di pesce fritto, pane grattuggiato, aceto e zafferano) e giocattoli dai mille colori per la gioia dei bambini. Il clou della festa, però, inizia nel tardo pomeriggio con le fantasmagoriche luminarie, il lancio dei palloni aerostatici e la banda che suona sulla cassarmonica musiche di Verdi, Vivaldi, Puccini... A mezzanotte, poi, si scatena la gara pirotecnica. Prima del periodo estivo, particolarmente suggestive 8

Chi dal Salento vuol andar via con un ricordo tangibile, non può non ricorrere ai raffinati oggetti dell’artigianato locale, che raggiunge spesso alti livelli artistici. Lecce è nota in Italia e nel mondo per la produzione della


Manduria, mura e fossato

statuaria in cartapesta, mentre Grottaglie la fa da padrona per la produzione delle ceramiche. Non è da sottovalutare l’artigianato tessile, del ferro battuto, della cestineria in genere: in ogni fiera e nei mercatini settimanali, volendo, si possono trovare oggettini per ricordare la vacanza salentina.

goli del Salento: dolmen, menhir, specchie. Li troviamo un po’ dappertutto nei centri urbani come in aperta campagna. E lungo la costa o all’interno sono da visitare le grandi aree archeologiche (Egnazia, Manduria, Vaste, Rudiae, ecc.), i numerosi musei (Taranto, Egnazia, Brindisi, Lecce, Ugento, Vaste) le testimonianze della civiltà messaLe aree archeologiche pica, magnogreca, romana: Lungo la costa ma anche mura, necropoli, anfiteatri... sulle colline interne, nelle viscere della terra, in cunicoli Chiese e cripte La frequentazione secolare che bucano la roccia, si rinvengono tracce dei primi uomini con le popolazioni orientali e che abitarono il Salento: molti gli scambi intensi con la Grehanno lasciato testimonianze cia, non potevano non lasciare della loro presenza sin dal pa- il segno anche nell’architettura leolitico inferiore. Accanto ai religiosa per cui, accanto alle pittogrammi e ai graffiti, nu- chiese a una o a più navate a meroso è il materiale (vasellame e utensileria) venuto alla luce insieme a molti fossili di animali (resti di iena, di pachidermi, di orso, di cervi, ecc.) che, per le mutate condizioni climatiche, non sono più presenti sul nostro territorio. E poi la presenza di monumenti preistorici in tutti gli anVaste, cripta dei Santi Stefani


Otranto, Chiesetta di San Pietro

Torri, castelli, masserie

Esposto da sempre alle scorrerie dei pirati, ma anche agli assalti degli eserciti invasori, il Salento deve provvedere a chiudersi in una fitta rete di torri, di castelli e di masserie fortificate. Basta fare un giro veloce lungo la costa per rendersi conto delle decine e decine di torri che, in punti strategici, svettano solitarie sul cocuzzolo della roccia che, spesso, precicroce latina, non poche sono pita in mare. quelle di chiara impostazione bizantina, a croce greca inscritte in un quadrato: esemplare quella di San Pietro a Otranto. Ma non solo. Nell’intero Salento notevole è la presenza di cripte, cenobi, laure spesso “costruite per via di togliere” in luoghi isolati, non poche volte inserite nei villaggi rupestri lungo i costoni degli antichi letti dei fiumi. Una vera e propria civiltà che si sviluppa lungo le profonde gravine di Ginosa, Massafra, Mottola, oltre che nel brindisino e nel leccese. In questi villaggi, ma anche Surbo, masseria Melcarne in posti lontani dal frastuono degli uomini, sorgono grandiosi luoghi di culto scavati Costruite in periodi diversi, nella roccia che ospitano lungo tra XV e XVI secolo sopratle pareti, sulle volte e sui pila- tutto, servivano per controllare stri affrescati da artisti scono- l’eventuale arrivo via mare di sciuti, figure di Santi, Madonne bande di malintenzionati. Un e una infinità di immagini di apposito corpo a cavallo, Cristo Pantocratore: è la cosid- quello dei torrieri, ben addedetta “arte bizantina pugliese” strato, provvedeva a segnalare sulla quale, giustamente, vi è il pericolo con suoni o fuochi. una ampia pubblicistica. Non sempre, ovviamente, si 10


Savelletri di Fasano, Masseria Torre Coccaro

era in grado di rispondere all’attacco, certo è, però, che borghi fortificati con tanto di fossato, castelli ben solidi, masserie circondate da mura diventavano luoghi per ritirarsi in fretta e furia e organizzare la difesa. Sono migliaia le masserie presenti sull’intero territorio, alcune, tuttora in attività, sono diventate vere e proprie aziende agricole, altre, si sono trasformate in elegantissime residenze agrituristiche tanto costose da essere frequentate da pochi eletti. I castelli non sono da meno. Numerosi, anche se inferiori per numero rispetto alle strutture masserizie, sono presenti dappertutto: non c’è borgo che non ne conservi uno nel centro storico. Come per le masserie, anche questi complessi, perduta la funzione originaria di difesa, sono stati trasformati in residenze signorili utilizzati, oggi, per le grandi occasioni o

più semplicemente come hotel di gran lusso.

L’architettura barocca ed eclettica Maglie, Villa Tamborrino

Un discorso a parte riguarda l’architettura barocca e quella eclettica presente in misura notevole sul territorio. Per il barocco è la cultura spagnolesca di Napoli che 11


detta le “regole” in tutta l’Italia meridionale anche se è il Salento a recepirle con particolare attenzione. Lecce, in questo caso, è, con le sue chiese e con le numerose residenze civili, il luogo del barocco per eccellenza: il prospetto della Basilica di Santa Croce ne è il simbolo per antonomasia. Ma segni notevoli sono presenti a Martina Franca, a Taranto (basti pensare a quell’immenso patrimonio marmoreo della cappella di San Cataldo all’interno della Cattedrale) e in tanti altri centri piccoli e grandi. L’architettura eclettica, un misto di neoclassicismo, di moresco, di orientaleggiante è fenomeno otto-novecentesco. Esso è legato alla ripresa delle attività economiche, allo sviluppo delle comunicazioni, alle mutazioni culturali, alla crescita di una nuova classe so-

Selva di Fasano, il minareto

ciale ricca e attiva come la borghesia: sono fattori, tutti questi, che spingono molti nuovi ricchi e vivaci archi-


Supersano, Villa Vergine

tetti a realizzare alle periferie delle città, ma soprattutto nelle località marine alla moda, residenze dagli stili più vari. Leuca, con le sue numerose colorate ville costruite a pochi

metri dal mare, è sicuramente la capitale dell’eclettismo, anche se esempi significativi si trovano sparsi sull’intero territorio.

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La Grotta dei Cervi Poco a sud di Otranto, percorrendo la litoranea, si giunge a Porto Badisco, una insenatura lungo la costa rocciosa, sito di notevole importanza archeologica. È qui, infatti, che venne scoperta negli anni Settanta la Grotta dei Cervi o di Enea, uno degli insediamenti preistorici più rilevanti d’Italia: le pareti, infatti, sono ricchissime di graffiti che danno numerose informazioni sulla vita e la natura del Salento in età neolitica. La presenza di numerose scene di caccia al cervo, animale che in quel periodo era largamente presente nel Salento, spiega perché il complesso di cunicoli ha preso il nome di Grotta dei Cervi. Quello di Grotta di Enea viene collegato, invece, ad una tradizione che vuole che l’eroe troiano sia sbarcato qui prima di giungere nel Lazio anche se più recenti studi tendono a collocare più a sud il luogo del mitico sbarco del principe troiano. La datazione di frequentazione della grotta è avvenuta sulla base di alcuni reperti ceramici, deposti all’interno probabilmente a scopo rituale, che consentono di affermare che l’uomo frequentò la grotta tra il Neolitico Medio (35003000 a.C.) e l’Eneolitico (2000 a.C.). La grotta è internamente ar-

ticolata in quattro principali gallerie. I soggetti raffigurati sulle pareti riguardano per lo più scene di caccia al cervo, ma vi sono anche molti altri motivi decorativi a spirale e a croce. Alcune pitture vengono interpretate come rappresentazione del cosiddetto “sciamano”. Il Museo Archeologico Faggiano e la sezione di Lecce dell’Associazione Italiana Amici del Presepio, in occasione del 42mo anniversario della scoperta della Grotta dei Cervi (1 febbraio 1970) e in ricordo degli scopritori, gli speleologi Severino Albertini, Isodoro Mattioli, Remo Mazzotta, Enzo Evangelisti e Daniele Rizzo, hanno voluto ricordare tale l’eccezionale impresa con la realizzazione di un plastico della zona di Porto Badisco e di 5 diorami della grotta. Il plastico serve a posizionare correttamente la grotta nel contesto della Valle dei Cervi, mentre i diorami riproducono, con una certa approssimazione (dovuta all’esiguità del materiale documentario da cui si è attinto) i volumi interni, l’andamento del suolo, le formazioni stalattitiche e stalagmitiche, i gruppi pittorici, cercando di suscitare la fortissima suggestione che si può provare di fronte ad uno spettacolo di questa natura.

I diorami ed il plastico sono stati realizzati da Cosimo Jaconisi, Angelo De Leonardis, Tonino Graziali, Claudio Capone e Antonio Di Paola dell’Associazione Italiana Amici del Presepio.

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Grotta dei Cervi

Grotta del Diavolo

Il plastico di Porto Badisco, in scala 1:2.000, riproduce con buona approssimazione una parte della Valle dei Cervi e l’insenatura di Porto Badisco al momento attuale. C’è da considerare che, nel neolitico, periodo in cui sono state realizzate le pitture, il mare era arretrato di qualche decina di metri. La Grotta dei Cervi e la Grotta del Diavolo sono rappresentate, in nero, nella loro proiezione in superficie per dare un’idea della posizione che occupano in profondità.

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Nella pagina accanto, sopra: questa sezione della grotta rappresenta un segmento di circa 15 metri di profondità appartenente alla zona II del prmo corridoio. In essa sono rappresentate figure stilizzate, forse umane, a forma subtriangolare con macchie tondeggianti lungo il perimetro e a forma circolare con quattro appendici. L’intera zona II si sviluppa per circa 55 metri con un andamento alterno, in alcuni punti disagiato con restringimenti. Finisce con uno stretto passaggio fangoso ascendente di circa 3 metri dal quale si accede al secondo corridoio.

Grotta dei Cervi

Nella pagina accanto, sotto: questa sezione della grotta rappresenta un segmento profondo circa 10 metri e alto fra i 3 e i 4 metri con pitture dei gruppi 36 e 38. Costituisce la parte finale della zona V, secondo corridoio, il cui sviluppo iniziale comprende un’ampia sala di circa 20 mt per 10 di larghezza, a cui segue un restringimento dovuto alla presenza di numerose formazioni di stalagmiti; percorso leggermente inclinato che sbocca in un terrapieno artificiale, preistorico, da cui si passa per giungere alla sezione descritta all’inizio.

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La veduta della zona VII contiene figure umane stilizzate sporgenti dai quattro lati del quadrato, cacciatori con arco, cervi e disegni spiraliformi. L’intera zona inizia dopo un deposito di guano e si sviluppa in salita per circa 10 metri.

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Santa Cesarea

Verso Leuca Attraversando Porto Badisco non si può fare a meno di una breve sosta al bar “da Carlo” per assaggiare i ricci di mare, grossi, carnosi, per quello che può essere un riccio, freschissimi e profumati: è una sorta di rito al quale i turisti non sanno generalmente rinunciare. Subito dopo, sempre lungo la litoranea, attraversando prima un paesaggio brullo e desolato con a sinistra il mare splendente e sempre più profondo rispetto alla strada, sulla quale non pùò non notarsi la torre di Minervino, poi il fitto bosco di pini, si arriva a Santa Cesarea Terme che, come dice il nome, è nota per la presenza di impianti termali molto moderni. Qui vengono a curarsi, grazie alle acque sulfuree, coloro che soffrono di malattie respiratorie. La cittadina è a mezza costa tra l’alta roccia coperta da una pineta fitta di alberi, e che di fatto la riparano dai venti del nord, e la costa alta e a picco sul mare. Per fare il bagno funzionano un paio di stabilimenti per raggiungere i quali bisogna scendere attraverso delle scale tagliate nella viva roccia. Ma ne vale la pena: si tratta di

acqua di scoglio, quasi per intenditori. Qui, accanto a recenti insediamenti ben inseriti nell’ambiente, vi sono alcune residenze storiche: l’Albergo Palazzo, una serie di costruzioni sulla via principale del paese dove vi è la chiesetta (alcune di queste incuriosiscono perché sul prospetto hanno scritte in caratteri ebraici), e poi ville e villini lungo la stradina che porta agli stabilimenti balneari: tra tutte, molto bella, diventata quasi il simbolo della cittadina, è l’orientaleggiante Villa Sticchi con la superba cupola che si nota a distanza di chilometri attraversando il Canale d’Otranto o percorrendo la litora105


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La campagna e la costa tra Otranto e Porto Badisco

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Santa Cesarea, Villa Sticchi cade a picco sul mare mentre, sulla destra, un pendio di roccia assassata con qualche filo d’erba in primavera, qualche pianta di fico d’India e d’agave ti accompagna fin sotto la Zinzulusa, la grotta per antonomasia che si può visitare scendendo attraverso una comoda stradina. Una scaletta lunga e stretta tagliata nella roccia ti porta nella grande p a n c i a d e l l ’ a n t r o. I l percorso di 120 metri circa corre tra stalattiti e stalagmiti e finisce in una grandissima ed alta grotta occupata sul Porto Miggiano

nea che scende verso Castro. E a Castro, dopo aver superato Porto Miggiano con la sua bella torre cilindrica posta sulla roccia che mostra tutte le stratificazioni che si sono susseguite nei millenni, si arriva dopo tre km. La costa, sempre alta, si fa più bella. Nei giorni tersi, con buona visibilità, è da qui che si possono vedere gli Acrocerauni, i monti dell’Albania, e il profilo della prima isola greca, Fanò, che sembra ad un tiro di schioppo. La strada corre zigzagando su una costa che, a sinistra, 108


La Zinzulusa fondo dal guano delle colonie di pipistrelli che lì la fanno da padroni da millenni. Lungo la costa scoscesa, prima della Zinzulusa, si inseguono le grotte, generalmente a fior d’acqua: la Romanelli, la Colombaria, quella delle Streghe, che, esplorate, hanno fornito materiale fittile e resti di ossa attraverso i quali è stato possibile “stabilire” chi abitava questa terra all’alba della storia.

E siamo a Castro alta, svettante in cima ad una rupe. Le origini sono antichissime: tracce di mura messapiche si son trovate lungo la cinta muraria. È stata romana e bizantina, e più spesso sede vescovile. Come tutte le cittadine costiere, ha subìto scorrerie e assalti, ripetutamente è stata saccheggiata e per questo ha dovuto rafforzare più spesso le opere di difesa. Le

Castro

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Porto Miggiano


L’insenatura dell’Acquaviva

sue mura, coronate da merli, nel 1700 misuravano 35 palmi di altezza e avevano uno spessore di 10 metri. Nelle vicinanze della Cattedrale romanica (1171), che ha subìto una serie di trasformazioni nei secoli, vi sono i resti di una cripta bizantina con ruderi di colonne con capitelli che dovevan reggere la volta, e con due piccole absidi con cenni di affreschi. Sempre a Castro alta, vi è l’imponente cinquecentesco castello dei Gattinara a pianta quadrata con rinforzi ai lati. 112

Giù, Castro marina con il porto peschereccio e per le imbarcazioni da diporto: il tutto è stato ricavato sotto l’alta roccia che sembra caderti sulla testa. La località è molto bella, la piazzetta, prima del recente crollo di parte della parete che la chiudeva a nord, era il punto di ritrovo durante il periodo estivo. Piccola e raccolta, per alcuni versi ricordava quella di Capri. Si prosegue verso il Capo di Leuca, superando l’insenatura detta Acquaviva, un posto godibile per le acque cristalline e per il verde che la circonda; poi la marina di Marittima e quella di Andrano, con il porticciolo e con la Grotta Verde per il colore che il mare assume in essa, nonchè Tricase porto, borgo ricco di verde, con un porticciolo ben attrezzato, con ville in mezzo agli eucalipti che ricordano, in dimesione meno rilevante, quelle delle Cenate di Nardò e di Leuca. È, questa, l’ultima significativa marina prima di Santa Maria di Leuca. Una digressione. All’interno, ma a pochissimi chilometri


Castro

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Leuca Piccola, la chiesa

dalla costa, per chi ha curiosità di conoscere sempre meglio i luoghi, una veloce visita merita Leuca Piccola: borgo, un tempo, di microscopiche dimensioni in territorio di Morciano. Sotto la chiesa omonima si snoda per qualche centinaio di metri un’alta galleria scavata

Marina Serra

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nella roccia tufacea, con mangiatoie per animali, sedili lungo le pareti, pozzi ricchissimi di acqua lungo il percorso: si tratta di una sorta di stazione dove verosimilmente riposavano i pellegrini prima di raggiungere il santuario di Leuca. D’ora in avanti la strada, che corre sempre lungo una costa alta e a picco sul mare, ci farà incontrare, a sinistra, Marina Serra, con la torre quadrangolare, quella di Novaglie, e ci farà attraversare, in un paesaggio mozzafiato, il Ponte sul Ciolo, che unisce i due lati di un profondo canalone. Dal ponte si potrà ammirare un mare trasparentissimo dai colori che vanno dall’azzurro al verde, mentre le pareti del canalone, abitate dai corvi (ciole)


Il Ciolo

che danno il nome al ponte, ci impressioneranno per l’aspetto selvaggio. Nelle grotte del posto fu avvistata qualche po’ di anni addietro la foca monaca. Facendo questo tratto di mare (Porto Tricase - Leuca) con una barca ci si sentirà piccoli piccoli di fronte alla costa altissima che piomba sul mare,

alle grotte grandiose che si aprono dinnanzi a noi, ai molti colori dell’acqua: quando si parla di grandiosità della natura non si può non pensare a questi luoghi che ti ammaliano e che, nello stesso tempo, ti incutono paura. Già siamo sul Promontorium Iapigium, a Finibus Terrae, a Leuca.

Leuca, il santuario

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Leuca, punta Meliso, estremo lembo d’Italia

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Villa la Meridiana

Qui l’Adriatico, che pur abbiamo lasciato alle nostre spalle, e lo Ionio uniscono le loro acque. Sin dall’antichità Leuca, nome di origine greca che significa ”bianca”, citata da Strabone e da Lucano, oltre che da altri autori classici, ha rappresentato il punto di riferimento per attraversare buona parte del Mediterraneo settentrionale: sulla rotta estovest si doveva e si deve doppiare questo promontorio che si trova a metà strada tra la Sicilia e la Grecia. Oggi il faro della cittadina, alto 47 metri, si intravede a 27 miglia di distanza dalla costa, le sue segnalazioni “partono” da

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un’altezza di 102 m sul livello del mare. Leuca con il suo Santuario richiama da sempre pellegrini da tutta Europa: almeno una volta nella vita, secondo tradizione, i cristiani devon venire qui per poter accedere in Paradiso. Il Santuario si innalza sulla parte più alta del promontorio iapigio laddove sorgeva un tempio dedicato alla dea Minerva. Più spesso nell’occhio del ciclone per le scorrerie susseguitesi nei secoli, più spesso perciò ricostruito. L’attuale fabbrica è opera risalente al 1720. Leuca, come Castro, è stata per molti anni sede vescovile. La marina, chiusa tra Punta Meliso e Punta Ristola, con il suo ampio, moderno e attrezzato porto turistico, è ai piedi del promontorio e tra la fine dell’800 e i primi decenni del Novecento ha avuto uno sviluppo che tuttora continua. È qui che una serie di ville sorsero in quegli anni, alcune di stile decisamente orientale, anche se non mancano quelle neoclassiche. Lungo la costa che ci porterà verso Gallipoli una serie di grotte, frequentate sin dalla preistoria: la Porcinara, dove vi sono iscrizioni in greco e in messapico, del Diavolo, delle Tre Porte, dei Giganti, e tante e tante altre, tutte suggestive.


Da Ostuni a Leuca Incantevole Salento, tutto arriva dall’Oriente Ostuni e dintorni Brindisi e dintorni Taranto e dintorni Lecce

3 5 21 39 45 56

Gli itinerari La costa adriatica: da Casalabate a Otranto La costa adriatica: da Otranto a Leuca La costa ionica: da Leuca a Mancaversa La costa ionica: da Gallipoli a Porto Cesareo

74 96 120 130

Alla scoperta dei centri storici Ostuni, cartina del centro storico Brindisi, cartina del centro storico Taranto, cartina del centro storico Lecce, cartina del centro storico

19 36 45 54

Le altre località Fasano, lo Zoosafari e il parco archeologico di Egnazia, 29; a est di Ostuni: la Valle d’Itria con Alberobello, Martina Franca e gli altri centri, 31; Oria e Grottaglie, 42; Nei dintorni di Taranto, verso Lecce passando per Manduria (con Massafra, Mottola, Ginosa), 50; Otranto, 85; Gallipoli, 126; Nardò, 132; il Parco Naturale di Porto Selvaggio, 139; Galatina, 146; la Grecìa salentina, 154; Maglie, 159

Le schede Dolmen, menhir, specchie I Messapi, da dove vennero, chi erano, cosa ci hanno lasciato I laghi Alimini a Otranto San Nicola di Casole a Otranto La Grotta dei Cervi a Porto Badisco Museo del Novecento a Taviano La Basilica di Santa Caterina d’Alessandria a Galatina

14 18 84 94 98 125 148


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