1 Hans e l'anatra

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HANS E L’ANATRA (Fiaba yoga 1: la fiducia) È durante l’infanzia che molte persone compiono la prima esperienza spirituale, quella del legame innato e naturale con il sacro. La gioia, lo spirito ludico e la curiosità che ci hanno animato allora possono diventare il punto di partenza di una riscoperta piena di stupore. Se i nostri rapporti con i genitori sono improntati all’amore e al rispetto, ci serviranno da modello e fondamento cosicché anche tutte le altre nostre relazioni si baseranno sulla fiducia e sul rispetto. Jack Kornfield in Offerte. 365 pensieri di maestri buddhisti

C’è lo stesso mistero nel volo di un uccello, nella famiglia, nel grande grande sistema solare e in un vestito da clown, persino. Se vuoi scoprirlo, basta stare a sentire…

Per tutti i ruzzoloni! che caldo quel pomeriggio! Anche il sole pareva affaticarsi mentre nel profumo autunnale del bosco di castagni, alla luce arancio rossastra del tramonto, si rannicchiava lentamente dietro la valle. Accanto al bosco, poche abitazioni e un’enorme tenda da circo. Hans si sfilò la ridicola tutona dalle toppe multicolore, si tolse l’ingombrante parrucca azzurra e si lasciò cadere esausto sul prato, le braccia larghe come ali d’uccello. La schiena batté sul terreno senza contraccolpi, leggera come avesse trovato un materasso. L’erba alta gli faceva sempre quell’effetto. Poteva atterrare tranquillamente senza piegare le ginocchia, senza rallentare, senza mani dietro al sedere, qualunque capitombolo lo divertiva in quel giardino, non gli era mai capitato di farsi male, lì. Steso sul prato sorrise soddisfatto, malgrado gli occhi pesanti. Tentava di resistere al sonno e con un po’ di sforzo prese a seguire il volo di uno stormo di uccelli diretto a sud. Che ci andavano a fare, poi, a sud! Quell’autunno era già fastidiosamente torrido senza dovere andare in cerca dell’Equatore. Eppure quelli ci andavano, lo stesso passo deciso del ritardatario Bianconiglio di Alice ma alleggerito da un paio d’ali. Misteri della natura. Segreti del grande grande sistema solare. Abbassò gli occhi e tornò a gustarsi la dolce mollezza del terreno. Non come al circo. Quello stupido numero da clown, l’unico che mamma e papà gli consentissero di fare, non


gli riusciva mica allo stesso modo! Per tutti i ruzzoloni! cadere al circo significava battere sul legno, e non era mica stupido, lui: sul legno c’era da farsi male! Chi osava lasciarsi andare per terra! Certo, c’era il suo amico Christian ad afferrarlo mentre cadeva di schiena, ma chi si fidava di Christian! E se gli avesse tirato un brutto scherzo? Sempre a braccia aperte al centro della pista. Christian e le sue braccia aperte… bah… e chi si arrischiava! Vagava nei suoi pensieri quando un fragore insopportabile gli tuonò nelle orecchie. Per tutti i ruzzoloni! spari! ancora spari! Ormai li riconosceva. Lo rintronavano per una decina di secondi, poi, aprendo e chiudendo la bocca a forza di sbadigli, gli riusciva di rimettere le orecchie a posto. Si alzò in piedi e lesto lesto camminò verso casa, non gli andava di finire impallinato dai cacciatori, ma a pochi passi gli batté in testa un accidenti di qualcosa con tale violenza che finì faccia a terra senza neanche il tempo di brontolare. E allora sì che si fece male! Cadere sulla schiena va bene, ma strisciare il grugno per terra come si strisciano certe carte magnetiche, è tutt’altra cosa. Rialzatosi irritato, col naso, il mento e la fronte completamente rigati, si voltò di scatto sbraitando: “Per tutti i ruzzoloni! chi è stato?” Quale sorpresa, vederla! Non capita tutti i giorni di essere sbatacchiati da un’anatra selvaggia più selvaggia dei capelli al termine di una giornata di capitomboli. E ne aveva visti di volatili attraversare il suo pezzetto di cielo, ma mai che gliene fosse caduto in testa uno! Non sapeva se esserne onorato o terrorizzato. E se dopo anni e anni di appostamento dietro ai cespugli, quei cacciatori alla fine avessero imparato a tenere in mano il fucile? Cos’erano peggio, le pallottole tra gli alberi o le anatre tra i capelli? Cosa lo spaventava di più? “Oh oh!” fu l’unica cosa che si sentì di dire osservando il pennuto. “Aum!” fece quello per tutta risposta, aprendo e chiudendo il becco con movimenti lenti e prolungati. Chi facesse il verso più sconclusionato non era chiaro. L’anatra continuò: “Aum!” Uno strano modo di starnazzare. “Aùm!” gli fece eco Hans alzando il braccio come aveva visto fare ai capi indiani. “Sbadigliavo,” fece tutto a un tratto l’animale posandosi ai piedi del bambino.


“Sbadigliavi?” “Sì.” “Stanca?” “Non particolarmente.” “Annoiata?” “Niente affatto.” “Allora sbadigli per le orecchie intontite, come faccio io.” “Figuriamoci!” “Bah, poco importa,” fece il piccoletto voltandosi per andar via. Era un tantino scocciato. “Lo sbadiglio rilassato è un esercizio.” Hans si voltò di nuovo verso l’anatra. Con un’espressione curiosa stavolta: “Un esercizio?” “Sbadigliare mi rilassa, mi dà nuova forza e nuovo equilibrio. Un modo come un altro per ascoltare il mio corpo.” Diceva cose talmente insensate, che ad Hans non restava che ripetere le sue stesse parole per fare conversazione: “Ascoltare il tuo corpo?” “Sbadigliando, sento la mia bocca, sento il palato, sento la lingua, la gola e persino la laringe.” “Persino la laringe?” ripeté il pappagallo. “Già! Ascolto tutto. E per finire, ascolto il suono stesso dello sbadiglio. Lo sbadiglio ha un suono tutto suo. Sapessi quanto mi fa stare bene, ascoltarlo, un vero medicinale per la mia ala dolorante!” Solo allora Hans si accorse della ferita. L’ala sinistra della povera anatra tremava forte avvinghiata al petto, fiaccata da un brutto taglio sul dorso. “Ma tu sanguini!” fece il bambino preoccupato. Ogni tanto faceva il burbero, è vero, ma sotto le costole nascondeva un animo generoso. “Ti impressiona il sangue?” chiese l’anatra, preoccupata per il preoccupato.


“No no, figurarsi!” ma quando il sangue gli sporcò appena appena il palmo della mano, il bambino svenne. Ad ogni modo, ormai lo sappiamo, sapeva cadere di schiena sulla dolce mollezza di quel giardino. Neanche un minuto dopo, refrigerato dall’ala buona dell’anatra che svolazzava a mo’ di ventaglio per farlo riavere, il bimbo si sollevò e disse: “Ok, bisogna che faccia qualcosa!” “Sai medicare una ferita?” “Macché, scherzi? Ceeerto!” replicò poco convincente. “Va bene, fai quello che devi fare,” disse il pennuto strizzando gli occhietti in una smorfia di dolore. “Per tutti i ruzzoloni! non svenire anche tu,” strepitò Hans. “Resisti!” e prendendola in braccio si affrettò a portarla a casa. Attraversarono il giardino in fretta, raggiunsero un enorme tendone a righe colorate e costeggiandolo si spinsero fino a un terreno incolto disseminato di grandi gabbie vuote; per ultimo guadagnarono la via di casa. Casa… ehm… più una roulotte che una casa, ma è il calore della famiglia a scaldare, mica gli infissi buoni! gli ripetevano il papà e la mamma negli inverni più freddi. “Non mi metterai in gabbia, vero?” chiese l’anatra con un filo di voce, appena giunta davanti alla porta del focolare a quattro ruote. “Assolutamente no.” “E i tuoi genitori? Lo farebbero?” “Assolutamente no.” “Non posso finire in gabbia, lo sai? Devo raggiungere il mio stormo, i miei amici, se non fosse stato per il sole abbagliante, il cacciatore avrebbe colpito anche loro. Devo raggiungerli, devo migrare, capisci?” Hans scoppiò a ridere: “… se capisco che vuol dire migrare? Per tutti i ruzzoloni! il circo migra più di mille stormi di anatre, te lo assicuro.” “E quelle gabbie? Migrate con gli animali al seguito?” “Che animali? Sono vuote.” “L’ho visto, ma a che vi servono, allora?” “Ci servono a ricordarci che dobbiamo migrare, dice la mamma.”


“So cosa intende, e sono d’accordo: la libertà, il movimento, il cambiamento sono importanti, altrimenti la vita diventerebbe una gabbia,” fece l’anatra accennando un sorriso, ed esausta concluse: “Mi piace la tua mamma.” La tennero con sé qualche giorno, la medicarono, la coccolarono e, per tutti i ruzzoloni! la sopportarono. Cantava dalla mattina alla sera… una sorta di lamento felice che rilassava anche i tipi più frizzanti, anche papà e mamma, benché quando camminavano su un filo a trenta metri d’altezza o quando si lanciavano l’uno tra le braccia dell’altra senza rete di protezione, non è che avessero tanto da stare rilassati! Eppure quel canto metteva serenità e guariva dai malanni. Eh sì, l’anatra guarì con le coccole e col canto. Diceva di averlo appreso dal vento dell’India; che si chiamasse Mantra e che nascesse dal Sanskrito, una lingua come l’inglese o il tedesco, pare, ma c’è da credere a un’anatra parlante che sbadiglia per stare bene? Mantra… Sanskrito… chi le ha sentite mai parole più strampalate! Com’è come non è, l’anatra guarì sul serio. Un canto miracoloso, insomma, tanto miracoloso che presero a imitarlo, giù al tendone. Tra un’acrobazia e l’altra, quei pazzi artisti del circo dalle gabbie vuote, si sedevano a terra, le gambe incrociate, la schiena dritta, le spalle rilassate, le mani sulle ginocchia, gli occhi chiusi, e prendevano a inspirare e respirare… inspirare e respirare… sentendo l’aria in entrata dapprima nel ventre, poi nel petto, nelle spalle e nella gola; in ordine contrario l’aria che usciva. E intanto, come una vibrazione musicale, come il cinguettio di un passerotto, come una poesia della buonanotte, per tre volte stornellavano il garbato motivetto. OM Tryambakam Yajámahe 
 Sugandhim Pushtivardhanam 
 Urvárukamiva Bandhánám


Mrityor Mukshiya Máamritát
 Intendiamoci: non è che ci capissero nulla di parole talmente bislacche, ma a quanto pare, è l’energia a contare. Ne raccoglievano tanta, alle volte, che avevan voglia di volare. Così, si alzavano in piedi, allargavano le braccia e le ruotavano in piccoli cerchi, quindi in cerchi più grandi… e più grandi… e più grandi… dieci volte in avanti e dieci indietro, finché figurandosi sul serio d’essere i più leggeri dei pennuti, prendevano a sbatterle in su e in giù. Spennacchiate erano spennacchiate, come ali, ché mica basta andar di matto perché spuntino le piume, eppure dopo tanto respirare e vibrare e sbattere e sbadigliare, a cuor felice quei saltimbanchi facevano davvero le acrobazie più incredibili. Bah, ciò nondimeno, per l’anatra venne il giorno di ripartire. Hans la teneva dolcemente tra i palmi delle mani: “Posso chiederti una cosa?” fece curioso. “Certo. Puoi chiedermi quello che vuoi.” “Come hai potuto fidarti di me? Un uomo ti aveva fatto del male, ti aveva sparato. Non avevi paura che anche io e i miei genitori potessimo farti del male?” “Se una persona ti accoglie a braccia aperte, devi fidarti di lei, come io mi sono fidata della mia mamma la prima volta che l’ho seguita slanciandomi da una roccia.” Detto questo, dimenò le ali e prese il volo, planando intorno al piccolo Hans per l’ultima volta: “Ci rivedremo,” gli starnazzò dall'alto, prima di infilarsi tra le cime degli alberi. Fu così che migrò, in cerca di nuove primavere e nuovi cicli e nuovi tramonti e nuovi cieli imbruniti e nuovi venti e nuovi amici… Hans recitò tre volte il suo Mantra, perché la proteggesse accompagnandola tra le traiettorie impercettibili della geometria esistenziale, e la osservò scomparire nel profondo lila del cielo. Poi, con le lacrime agli occhi, si diresse alla roulotte. Si tinse la faccia di bianco, indossò la tuta colorata, la parrucca riccia, l’enorme papillon, il fiore all’occhiello, il naso di gomma rossa, e uscì. Christian, come sempre, lo aspettava al tendone a braccia aperte. Lo raggiunse di corsa, Hans, e voltandosi, si lasciò cadere all’indietro senza esitare.


E allora fu pronto per il circo, e per i numeri più eccezionali, perché la fiducia non è solo il segreto della famiglia o del volo degli uccelli, ma quello di ogni acrobazia nel nostro grande grande sistema solare. Parola di clown.


Semi Yoga Caro bambino, hai letto tante parole strane in questa storia e sicuramente non ti è stato difficile comprenderne il significato, ma se hai ancora qualche curiosità, continua a leggere. Lo Yoga è una ginnastica del corpo e della mente originaria dell’India. Hans e l’anatra è una storia di fiducia, ma soprattutto è una storia di Karma Yoga. Karma significa azione ed è lo Yoga dell’azione disinteressata, il servizio offerto al prossimo senza esigere nulla in cambio. In effetti, nella filosofia indiana l’amore è la suprema forza risanatrice. Quando aiutiamo gli altri, mossi da una compassione pura, priva di giudizi, non possiamo fare a meno di spingerli alla guarigione e, così facendo, aiutiamo noi stessi a guarire, perché il bene che facciamo ci viene restituito, donandoci unità ed equilibrio. In India, infatti, si crede che ogni tipo di malessere sia il risultato di uno squilibrio che frammenta l’organismo. Guarigione significa dunque recupero della completezza e quindi dell’equilibrio. La parola mantra significa liberare la mente. In Sanskrito man significa mente e tra significa liberare. Il Mantra è un insieme di suoni che riescono a calmare la mente con la loro vibrazione. La vibrazione è ritmo. Nella filosofia indiana l’universo intero è vibrazione ed ogni sua parte ha un particolare movimento: ogni essere animato, ogni oggetto inanimato possiede un suo linguaggio sottile che agisce su di noi. In Hans e l’anatra, i pazzi acrobati del circo dalle gabbie vuote recitano il Tryambakam Mantra, che dona vita, allontana la morte, tiene lontani gli incidenti, ha effetti curativi, concede longevità, pace, benessere economico, prosperità e soddisfazione.


Esercizi Yoga 1. Lo sbadiglio rilassato Sbadigliate… provateci e verrà da sé. Il corpo ha un impulso naturale a sbadigliare, che bilancia l’energia del corpo. Attraverso lo sbadiglio la bocca diventa tutt’uno con il palato morbido, con la lingua, con la gola, con la laringe. E la ricerca dell’unità, ormai lo sapete, è spinta all’equilibrio e alla guarigione. Sbadigliare abilita e rilassa i muscoli del collo e migliora la circolazione delle mucose. 2. La respirazione consapevole Seduti in una posizione comoda, osservate il vostro respiro e rendetelo sempre più profondo e completo. Inspirate profondamente nel ventre, poi nel petto e infine nelle spalle e nella gola. Quindi espirate lentamente capovolgendo l’ordine delle cose: ascoltate l’aria che fuoriesce dalla gola, dalle spalle, dal petto e infine dal ventre. Molto spesso adoperiamo solo una parte dei polmoni, quella alta. Lasciando inutilizzata la parte più bassa, riduciamo la ventilazione e gli effetti benefici della respirazione. Viceversa, la respirazione consapevole favorisce la completa ossigenazione del sangue e di tutto il corpo. 3. La rotazione delle braccia State in piedi con le braccia allargate e ruotatele in piccoli cerchi in una direzione, respirando profondamente. A poco a poco ampliate i cerchi sempre più. Ripetete il movimento dieci volte e poi invertite la direzione. In armonia con l’elemento aria, potete anche fingere di sbattere le braccia come ali e immaginare di volare, sempre con grandi respiri. La rotazione delle braccia stimola i muscoli della parte superiore delle braccia, delle spalle e della schiena.


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