2 Hans e l'agnello

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HANS E L’AGNELLO (Fiaba yoga 2: il rispetto) Unite i vostri propositi, unite i vostri cuori. Possano i vostri spiriti essere uno nel dharma. Possiate voi abitare a lungo insieme in unità e concordia. Rig. Veda - Strofe della conoscenza

Uno, due, tre, quattro. Quattro?? Per tutti i ruzzoloni, quattro brufoli!? Due in più del giorno prima? Come caspita accade di addormentarsi con due brufoli e di svegliarsi con quattro! Per crescere di un centimetro il suo corpo ci impiegava anni, e quegli orridi brufoli si alzavano di cinque millimetri in una notte? Miseriaccia, il viso gli stava diventando un’abominevole catena montuosa, una specie di zona alpina, tanto erano slanciati, quegli immondi. Stette un tempo imprecisato davanti allo specchio impastandosi il volto di ogni genere di cosmetico, ma ogni volta, puntualmente, il brufolo, sempre più urticato, veniva fuori dal cerone come un vulcano dalle acque. Dietro la porta del bagno, la mamma bussava energicamente: “Accidenti, Hans, Christian ti aspetta al tendone da un’ora.” “Ho cose più importanti di Christian, in questo momento, mamma, smettila di picchiare sulla porta, mi farai uscire pazzo.” “Cosa c’è di più importante di un amico che si è alzato all’alba per allenarsi con te e che fa otto ore di attrezzi al giorno per permetterti di volare sulle sue braccia e poterti afferrare in tempo quando stai per finire a terra?” Hans, il volto in fiamme, uscì dal bagno, prese lo zaino e andò via di casa sbattendo la porta. “Sei in ritardo!” lo rimproverò l’amico. Hans si avvicinò a Christian e quando furono faccia a faccia lo fissò a lungo, quindi scoppiò a ridere. “Che c’è di tanto divertente?” gli domandò il paziente amico. “Ne hai undici.” “Undici cosa?” “Hai undici brufoli, per la miseria,” fece Hans ridendo a crepapelle. “E io che mi preoccupavo per me.”


“È per questo che mi fai aspettare ogni giorno da una a due ore, perché passi il tempo a contarti i brufoli?” “Per tutti i ruzzoloni, non farla tanto lunga!” Molti battibecchi dopo, provarono il nuovo salto. Hans si mise in posizione sulla pedana. Una decina di metri più in là, Christian lo attendeva appeso a testa in giù, le gambe annodate a una corda tesa, allacciata a due palizzate, e sotto di lui i tappetini paracolpi. Partenza! Una capriola in aria, e Hans prese ad avvitarsi nel vuoto per finire dritto tra le braccia di Christian. “Per tutti i ruzzoloni, che roba di poco conto! E dovremmo chiamarla acrobazia?” si lamentò il meno brufoloso. “Togliamo questi stupidi tappetini e riproviamo, ma stavolta dovrai afferrarmi con un braccio solo.” “Non se ne parla nemmeno,” fece Christian risoluto. “Prima di fare una cosa simile, devo allenare meglio il braccio e i tappetini se ne andranno solo quando mi sentirò sicuro della presa.” “Sai che c’è? Me ne vado!” pensò bene Hans. “Allenare il braccio, stra-allenare il braccio e super-allenare il braccio, come se al circo contasse la forza! Le acrobazie sono tecnica, caro mio, e in fatto di tecnica so quello che faccio. Potrò pur decidere come eseguire i miei numeri, no? Mi hai scocciato.” La verità? Non aveva proprio voglia di allenarsi, quel giorno. Così, borbottando, voltò le spalle all’amico e uscì dal tendone. “Aria di tempesta!” esclamò osservando il vento tra le cime dei castagni centenari. E si incamminò. Atterrito dal rumoreggiare lontano del temporale che a tratti coloriva il cielo di fulmini, marciava spedito con gli occhi rivolti sempre in alto, preoccupato che gli si potesse abbattere sul capo chissà quale orrendo affare: un ramo… una pigna… un’anatra… finché, noncurante di ciò che stazionava nel sottobosco, ebbe a mettere un piede su un ammasso di palline maleodoranti. Gnàffete! Pùffete! Squash! Per tutti i ruzzoloni! non è mica facile trovare il suono che dà l’idea precisa di una scarpa sulla cacca! “Cosa…” fece abbassando lo sguardo, ma un attimo dopo era già a terra, investito dalla furia di un esserino bianco che dopo averlo sbattuto sul selciato, continuava a correre all’impazzata tra un albero e l’altro, guardandosi terrorizzato alle spalle. Un fuggire che non lo portava da nessuna parte, dato che girava in tondo. Smarrita, fuori controllo, rincitrullita, la silhouette ossuta e vivace continuava a correre e correre, ripestando ad ogni passo le sue stesse cacche. Girava e correva e rigirava e ricorreva, un castagno dopo


l’altro, un castagno dopo l’altro, sempre attorno agli stessi fusti, un cerchio perfetto, una lancetta d’orologio accelerata e travolgente. “Fermati, piccolo!” proferì dolcemente Hans, che aveva capito di dovere usare un tono pacato se voleva fermare una biglia impazzita. Che poi, a guardarla bene, quella biglia, sembrava un agnello. Sì, proprio un agnello, lo aveva riconosciuto, la pelliccia incrostata e sudicia più che candida, ma pur sempre un agnello. “Fermati, piccolo, voglio aiutarti,” gli sussurrò. Otto giri dopo, l’animale si fermò. Esausto. Tra i rantoli del fiato corto e il cuore che picchiava, trasferì la folle accelerazione sulle parole: “Oibò, metti un allevamento di animali, metti un allevatore, metti che la mia mamma mi ha fatto fuggire, metti che ho attraversato da solo il bosco, metti tutta la notte in cammino, metti gli animali feroci, metti i fucili dei cacciatori, metti questo tempaccio, metti che un tuono mi ha terrificato, mettici tutto questo e… non è forse naturale fare un passo e una cacca, un passo e una cacca? Oibò.” E concluse stramazzando al suolo stremato. “Per tutti i ruzzoloni, tu sei messo peggio di me!” osservò Hans che a dispetto delle spalle larghe, era solito prendersi uno spaghetto per un nonnulla. “Dimmi cosa fare per aiutarti.” Ma il tipo non lo ascoltava più. Russava di brutto. Tanta era stata l’ansia accumulata, che la voce placida di Hans, calmando l’agnellino, aveva aperto una crepa da cui tutte le paure erano improvvisamente sgusciate via, spegnendolo di botto. Era crollato. Caricatoselo delicatamente sulle spalle, Hans lo portò a casa con sé. Quando il papà lo vide arrivare, in lontananza, gli andò incontro: “Figliolo, lo sai che non assumiamo animali nel nostro circo!” disse pensando che l’agnello sulle spalle fosse parte di un nuovo numero, ma avvicinatosi abbastanza da udire il trombonico russare, tramutò il disappunto in un’espressione incredula. “Lo so che non prendete animali, papà, e a dirla tutta non è nemmeno un tipo da circo,” chiarì figurandosi la cacca che avrebbe sparso per il tendone ad ogni spaventevole esercizio gli fosse assegnato. Quando un paio d’ore più tardi l’agnellino aprì gli occhi, vide per prima cosa la brandina a scacchi su cui stava sdraiato, poi un cane che lo guardava storto per avergli rubato la brandina a scacchi, poi un prato, l’ennesimo albero di castagno, una tettoia, una roulotte, un uomo e una donna che sgranocchiavano frutta assortita e un volto amico che lo fissava.


“Ben svegliato!” gli fece Hans. “Grazie. Che fai?” gli domandò osservandolo strofinare una foglia di castagno sulle suole lerce. “Cerco di levare la cacca dalle scarpe.” “Oibò, è un peccato! Perché non piantargli qualcosa? La cacca sputa verde facile facile. Dei semi di girasole? Non dovrebbero metterci molto a fiorire. Belli sono belli, i girasoli, ma a pensarci bene, potresti anche tentare con la porcellana selvatica, ha un gusto ottimo e pizzica appena appena la lingua. Già. La porcellana, prova con la porcellana, perché non provi con la porcellana?” “Perché mi servono per camminare, le scarpe, non per farci sopra l’orto.” “Oibò, se lo dici tu.” Doveva essere ancora molto scosso, povero imbratta boschi! così, afferrate altre foglie di castagno, Hans continuò il suo lavoro meglio che poté. “Quando ci muoviamo?” belò deciso l’agnello. “Muoverci per fare cosa?” “Per andare a parlare con l’allevatore e convincerlo a lasciare libera la mia mamma.” “Convincerlo? E cosa dovrei dirgli per convincerlo?” “Oibò, quello che è giusto. Che la vita è sacra, che tutti gli esseri vanno rispettati, che rispettarli significa prendersi cura di loro e proteggerli, non farne una cotoletta, e che dovrebbe mettersi nei nostri panni prima di infornare l’arrosto.” “Si può sapere come sei fuggito?” “Mi ha liberato la mia mamma, col muso è riuscita a sollevare il chiavistello.” “E perché la tua mamma non è scappata con te portandosi dietro i tuoi fratelli?” chiese Hans parecchio rattristato. “Perché l’allevatore se ne sarebbe accorto, come è successo tante volte, mentre io da solo, forse, sarei potuto passare inosservato.” “Quindi sono ancora tutti prigionieri dell’allevatore?” “Di un grande e grosso allevatore e di una vita che non si sono scelti.”


Hans alzò lo sguardo verso i genitori. Avevano smesso di mangiare. Anche la mela gli stava andando di traverso. “Cosa possiamo fare?” domandò il ragazzo. La mamma di Hans si alzò e prese ad accarezzare l’agnello, arruffando nel contempo i capelli di Hans, con un tocco leggero e rassicurante. “Avanti, raggomitolatevi su voi stessi,” li esortò. “Come neonati nel grembo materno. E rilassatevi… rilassatevi… rilassatevi… qui siete al sicuro, non c’è d’aver paura…” L’agnello e il ragazzo ascoltavano rincuorati quella voce gentile che guidava i loro gesti: “Abbracciate le ginocchia, chiudete gli occhi e restate in silenzio, senza pensare, ascoltando il vuoto nella vostra mente, e poi la luce dentro di voi. Ricercate voi stessi… fermatevi e ascoltate… fermatevi e ascoltate… e sprofondate nel vostro vero sentire…” Così, i due sprofondarono… e sprofondarono… e sprofondarono… Gli occhi chiusi e il pensiero altrove… Per tutti i ruzzoloni, funzionò! Quella pazza pazza signora che di mestiere faceva la trapezista -ve l’ho detto ch’era una pazza pazza signora- sapeva tirar fuori le soluzioni nei modi più sconclusionati. “Grazie, mamma!” fece Hans abbracciandola. “Mi hai dato un’ideona. Preparerò una lista di pregevolissime ragioni scientifiche per chiudere l’allevamento e trasformare gli animali da bistecca in compagni di vita. Non si può contraddire la scienza, dico bene?” “Ottima idea!” fece il papà entusiasta. Quella notte Hans, contando i brufoli per addormentarsi, si girava e rigirava nel letto, ma non c’era verso di prendere sonno. Il pensiero di un’intera famiglia di agnelli che contava su di lui per salvarsi, lo tormentava. Voleva aiutarli sì, quei bianchi animali, ma l’abbiamo detto, si prendeva uno spaghetto per un nonnulla, figuriamoci come doveva sentirsi all’idea di litigare con un omaccione che di mestiere faceva tutti in polpette. Così, prese a scuotere il candido amico per le spalle, rifilandogli strampalate paranoie: “Metti un allevatore arrabbiato, metti che va in giro con coltello e forchetta, metti uno stomaco affamato, metti un libro di ricette, metti un pentolone che bolle, metti un contorno di patate e rosmarino, metti un gustoso ragazzino al forno, metti tutto questo e…” e scappò al bagno.


L’agnello poté finalmente riposare, oibò. All’alba la pregevolissima lista era pronta. Ma non se ne parlava di affrontare faccia a faccia il bestione. Così, Hans scrisse le sue ragioni punto per punto e, mentre tutti dormivano ancora, si recò alla fattoria. Giunto sul posto, si guardò attorno: la vasta tenuta ospitava cavalli, asini, cani, gatti, pecore, capre, montoni, maiali, mucche, galline, anatre, struzzi, falchi, canarini e molti molti altri animali di cui Hans non conosceva neanche il nome, tra recinti più o meno larghi, steccati, siepi, palizzate, gabbie e voliere di tutte le dimensioni. Rapido, Hans imbucò il foglio nella cassetta delle lettere e scappò via. Il mattiniero allevatore, che lo aveva osservato da dentro la mangiatoia, incuriosito, andò subito alla cassetta. Un attimo dopo, leggeva: Egregissimo, pregiatissimo signore, 1. ti sei mai guardato i denti? Specchio alla mano e carie tralasciando, ti accorgerai che i tuoi denti sono adatti alla masticazione di sostanze vegetali, ma sul davanti sono privi, ahimè, o sarebbe meglio dire oibò, di quella sagoma aguzza che ti renderebbe semplice stracciare la carne con un morso piuttosto che affettarla col coltello. 2. Ti sei mai osservato le mani? Non credo, poiché avresti notato senz’altro che nemmeno gli artigli ce li hai granché appuntiti, e che il pollice, così diverso dalle altre dita, si oppone a loro più per raccogliere un frutto che per uccidere una preda. 3. E un’occhiatina allo stomaco vogliamo darla? Una qualsiasi eco-radio-microscopica analisi ti rivelerà che lo stomaco produce acidi venti volte meno forti di quelli che ti servirebbero per digerire la carne come si deve. 4. Per tutti i ruzzoloni, che dire dell’intestino? Sì, eminentissimo, gloriosissimo, ce l’hai pure tu, non c’è mica da vergognarsi! Come me, anche tu dal tratto intestinale elimini le sostanze tossiche, ma la carne putrefatta, ricorda, crea velenosi rifiuti all’interno del corpo. Prima li cacci via, meglio è. Per questa ragione i carnivori possiedono canali alimentari lunghi tre volte la lunghezza del loro corpo, capaci di eliminare in fretta ciò che potrebbe intossicarli. L’uomo no. Come tutti gli erbivori, anche tu, stimatissimo, fragrantissimo, hai canali digestivi lunghi dodici volte il tuo corpo, canali che tratterranno la carne troppo a lungo prima di ripulirsi, producendo numerosi e pericolosi effetti tossici. In conclusione, lo avrai capito, ti consiglio di chiudere baracca, speziosissimo signore, ché non c’è polpetta più saporita di quella di ceci.


PS: alza bandiera bianca se i miei pregevoli punti ti hanno convinto, bandiera come vuoi tu, se resti delle tue idee. Cordialissimamente, H Il tipo, ridendo da affaticare la mascella, si mise in tasca la lettera. Un’ora dopo, Hans, spiando la fattoria da dietro un albero, scorse una mutandona blu sventolare appesa al manico di un rastrello. Aveva fallito. Trascorso qualche giorno, l’agnellino e Hans si fissavano silenziosi e assorti nei propri pensieri. “La volete sentire una storia?” fece il papà di Hans avvicinandosi ai due sconsolati. “Certo!” fece il ragazzo. “Tuo nonno, caro Hans, era un famoso domatore di leoni.” “Davvero?” “Già, e i suoi spettacoli lo portarono ovunque, dall’Asia all’Europa, dall’Africa all’Oceania.” “Ooohhh!” gli fecero controcanto gli ascoltatori, pendendo dalle sue labbra. “Ma quando incontrò tua nonna, trapezista proprio come tua madre, se ne innamorò perdutamente. Solo che tua nonna non ne voleva sapere di animali in gabbia e accettò di sposarlo a patto che i leoni fossero riportati nella loro amata Savana.” “Sul serio?” chiese Hans inebetito. “Sul serio. Allora il nonno non ci dormì più la notte.” “Nemmeno contando i brufoli?” domandò Hans compenetrato. “Nemmeno contando i brufoli.” “Già, non funziona neanche con me.” “Oibò, e allora?” incalzò l’agnello. “E allora cosa scegliere? Il matrimonio o il lavoro? La donna o i leoni? L’amore o il successo? Aveva molta paura. Ci voleva molto buon senso per una decisione così!” “E cosa fece?” chiese Hans.


“Lui nulla, ma tua nonna lo denunciò alla polizia.” “Cosa? Perché? Che aveva fatto?” “Nulla di nulla. Ma tua nonna disse ai poliziotti che lo aveva visto rubarle di soppiatto del denaro. Passò una notte in gatta buia, poveretto, finché la sua amata cambiò versione e affermò di essersi sbagliata.” “Il nonno passò una notte in cella per niente?” “Non per niente. L’indomani liberò i leoni.” Hans trattenne il respiro, quella storia lo aveva avvinto: “E il nonno smise di lavorare?” “Tuo nonno smettere di lavorare?” intervenne la mamma avvicinandosi al gruppetto. “Ebbe ancora più successo. Il circo senza leoni fu una meravigliosa occasione, l’occasione di lavorare sui numeri più acrobatici mai sperimentati. Gli acrobati migliori al mondo passano dal nostro circo da allora.” Quella sera, Hans si sdraiò sull’addome, la fronte a terra e le gambe divaricate, quindi si sollevò lentamente inarcando la schiena e afferrando i piedi con le mani. Inspirando, immaginò d’essere un arco nelle mani di un’infallibile amazzone. Nei muscoli allungati e tesi, sentì scorrere il coraggio, la determinazione, la concentrazione. Infine, per liberarsi dall’ansia e dalla tensione, tornò a stendersi, rotolò pancia in aria, sollevò il busto e si mise a sedere sui talloni, la schiena dritta, le braccia tese, le dita delle mani a pugno sulle ginocchia, gli occhi chiusi. Fatto un profondo respiro, emise un lungo ruggito da leone, soffiando con forza, tirando fuori tutta la lingua, spalancando gli occhi e allargando le dita delle mani. Come un vero leone, Hans sputò dalla bocca dello stomaco un ruggito energico e profondo, urlando tanto forte da graffiarsi la gola. Per tutti i ruzzoloni, quanto fu divertente! Divertente e liberatorio. La mattina seguente si presentò dall’allevatore, ma al posto di un foglio scritto gli offrì il suo sorriso. Seduto su una panchina di legno, fiducioso, gli parlò a lungo dei benefici e del fascino di una fattoria didattica: un luogo dove potere incontrare famiglie, bambini, insegnanti, per spiegare loro tutto ciò che c’è da sapere su una fattoria, su un frutteto, sulla riproduzione degli animali, sulla raccolta delle ciliegie, sull’armonia tra specie diverse. Un rifugio più che una fattoria. Chiacchierava e chiacchierava, Hans, e immaginava il futuro, e le immagini incantavano l’allevatore. La grazia nello sguardo del ragazzo e l’imponenza della voce lo ammaliarono, come avesse davanti il re della foresta. Infine Hans chiese all’omaccione di fare qualcosa per lui. “Fare qualcosa per te?” gli fece eco il tipo.


“Sì.” “E sarebbe?” “Guardare il mondo sottosopra.” Quindi, Hans si alzò dalla panchina e assunse una bizzarra posizione, testa sotto e piedi in su, che gli permetteva di vedere le cose da una prospettiva nuova e insolita. All’omone piacevano le sfide, guai a tirarsi indietro, le gambe all’aria non lo spaventavano neanche un po’. Così, imitando il ragazzo, sotto la sua guida esperta, s’inginocchiò, intrecciò le dita delle mani e poggiò saldamente avambracci e gomiti a terra, poi appoggiò anche la fronte a terra, tenendo la parte posteriore della testa tra le mani; infine, aiutandosi con i piedi, sollevò le ginocchia e le portò contro l’addome. Quando sentì di avere il controllo del suo corpo, spinse lentamente il tronco in posizione verticale, le gambe ancora piegate alla ricerca dell’equilibrio, i piedi abbandonati sui glutei. Questione di attimi, quindi raddrizzò le gambe allungandole pian piano verso l’alto. Incredibile, riusciva a mantenere perfettamente l’equilibrio. Il suo corpo grande e grosso stava in verticale sulla testa. Sforzandosi di respirare in modo naturale, si rilassò. Sentì fluire l’energia nella spina dorsale. I suoi pensieri erano limpidi. Vedeva il mondo con occhi diversi, riusciva a scorgere anche gli orizzonti più lontani. Si sentiva fiducioso e stracolmo di gioia. Non dovette aspettare molto, Hans, prima di vedere appesa al rastrello una bandiera bianca. Il vecchio allevamento diventò un rifugio. I bambini di tutto il mondo lo visitano ancora oggi, cantando in coro un gradevole sinfonia chiamata mantra: Lokah Samastah Sukhino Bhavantu A detta di Hans, pare significhi qualcosa come Che tutti gli esseri dell’Universo siano felici! ma per tutti i ruzzoloni, vatti a fidare di un tipo da circo! Dell’agnellino cosa dire? Tornò dalla sua mamma, ma pensa ad Hans tutti i giorni e ha per lui una formidabile gratitudine. Quale migliore ricompensa? dice sempre la mamma di Hans al figliolo. Quei pazzi pazzi acrobati del circo dalle gabbie vuote chiamano una simile meravigliosa esperienza dharma, ma anche lì… chi li contraddice! E Hans? Hans aveva avuto modo di riflettere: guardare il mondo con occhi diversi era giovato anche a lui: ogni mattina, andava al tendone con mezz’ora di anticipo. Non gli andava più


di fare attendere Christian. Lo apprezzava, adesso, il suo lavoro, altro che affare di forza, pura concentrazione! Le braccia di Christian gli facevano salva la vita tutte le volte, con quale serenità dormiva la notte, povero Christian!? Se Hans poteva divertirsi con le acrobazie più spericolate, era grazie a lui, che si preoccupava abbastanza per tutti e due. Una mattina, a mo’ di scuse, Hans porse a Christian un piccolo pacco regalo. Christian lo scartò impaziente: “Pomata antisettica?” “Contro i brufoli.” “E funziona?” “No. Ma rispetta la pelle.” “Ah. Una proprietà importante!” “Già.” I due si fissarono. Dodici brufoli contro dodici brufoli. Una perfetta situazione di parità. Zelanti, si spalmarono sul viso l’inconcludente pomata al posto del solito cerone, e fecero impeccabili il loro numero.


Semi Yoga Caro bambino, hai mai sentito parlare di Yoga? Per spiegarlo con poche e semplici parole, sappi che lo yoga è una ginnastica del corpo e della mente originaria dell’India. Ma tante altre strane parole avrai letto in questa storia. Facciamo un po’ di chiarezza… Hans e l’agnello è una storia di rispetto che ruota attorno all’idea di dharma. Per dharma si intende uno spirito, custodito nel cuore di ogni uomo, che tiene insieme giustizia, verità, amore, non violenza entro un unico sentimento di pace. Dharma, in altre parole, è protezione della natura e di ogni essere vivente. La parola mantra, invece, che avrai già incontrato se hai letto Hans e l’anatra, significa liberare la mente. In Sanskrito man significa mente e tra significa liberare. Il Mantra è un insieme di suoni che riescono a calmare la mente con la loro vibrazione. E veniamo ai nostri esercizi…

Esercizi Yoga 1. Grembo materno Raggomitolatevi su voi stessi, come neonati nel grembo materno. E rilassatevi… rilassatevi… rilassatevi… Abbracciate le ginocchia, chiudete gli occhi e restate in silenzio, senza pensare, ascoltando il vuoto nella vostra mente, e poi la luce dentro di voi. Ricercate voi stessi… fermatevi e ascoltate… fermatevi e ascoltate… e sprofondate nel vostro vero sentire… Sprofondate… Sprofondate… 2. Arco Mettetevi in posizione prona, con la fronte a terra, e piegate le ginocchia tenendole divaricate quanto le anche, quindi afferrate la parte esterna delle caviglie.
 Inspirando, assumete la forma dell’arco: premete il bacino a terra, sollevate le gambe e iniziate a staccare la parte superiore del corpo dal pavimento.
 Per uscire dalla posizione, inspirate e allungate la spina dorsale, poi espirate e riportate lentamente le gambe e il tronco a terra. Lasciate andare le caviglie e rimanete nella posizione prona.


Se la parte inferiore della schiena ha bisogno di sollievo, entrate immediatamente in una contro-posizione e allungatevi. Come? Sedetevi a terra con le gambe distese di fronte a voi, inspirate e portate le braccia in alto, allungandovi dall’osso sacro fino alla punta delle mani, sopra la testa. Poi, con un’espirazione, piegatevi in avanti e allungatevi al di sopra delle gambe tenendo la spina dorsale dritta e lasciando che le mani scendano sulle gambe, sui piedi o a terra. Continuate in questa prima fase inspirando e allungandovi, poi espirando e approfondendo il piegamento in avanti, sempre mantenendo la spina dorsale dritta e la nuca allungata. Spalle rilassate, lasciate che la spina dorsale si rilassi. Approfondite il piegamento in avanti solo con il rilassamento, non con lo sforzo, respirate naturalmente.
 Se avete bisogno d’aiuto per mantenere la spina dorsale dritta durante l’allungamento, tenete le ginocchia leggermente piegate.
 Per uscire dalla posizione, inspirate e usate i muscoli dell’addome e della parte inferiore della schiena per ritrovare le curve naturali della spina dorsale. Poi sollevate e allungate le mani fin sopra la testa, riportando il tronco in posizione verticale. Espirate portando le braccia ai lati e ritornando per un momento in posizione seduta, prima di sdraiarvi sulla schiena. Ora rilassatevi e ascoltate il vostro corpo. La posizione dell’arco, sul piano mentale accresce la forza per superare gli ostacoli e per risvegliare, aumentare e controllare l’energia nella spina dorsale; sul piano fisico, la pressione gentile che questa postura esercita sull’addome, aiuta a stimolare gli organi interni e, attraverso la respirazione, a massaggiarli dolcemente. 3. Ruggito Quella del leone è una posizione che si esegue principalmente al mattino. In ginocchio, seduti sui talloni, aprite i palmi delle mani sulle ginocchia, le dita allargate e tese, le braccia dritte. Inspirate e poi, respirando con forza, spalancate la bocca e tirate fuori la lingua fino al mento. Espirate quindi dalla bocca, rumorosamente, come emettendo un ruggito, gli occhi aperti e girati verso il centro della fronte. Finita l’espirazione rumorosa, tirate dentro la lingua, arrotolatela contro il palato e trattenere il respiro per qualche secondo. Quindi rilassate la lingua, gli occhi e respirate normalmente. La vostra gola gioirà del rilassamento e ne beneficerà anche il timbro vocale. Tonificante e stimolante per il fisico e per la psiche. Vince la timidezza. 4. Mondo sottosopra


Vedere il mondo sottosopra è un’esperienza illuminante. Portatevi in ginocchio. Intrecciate le dita delle mani e appoggiate saldamente avambracci e gomiti a terra, formando un angolo retto. É importante mantenere i gomiti aperti quanto le spalle, non oltre, il loro sostegno é essenziale per sollevarvi in posizione. Appoggiate la fronte a terra all’altezza dell’attaccatura dei capelli, mettendo la parte posteriore della testa tra le mani. Poi sollevate le ginocchia da terra. Entra nella postura lentamente, con completo controllo. Il peso del corpo durante l’intera posizione é prevalentemente sulle braccia e solo in minima parte sul capo. Muovete i piedi lentamente in avanti, fino a quando il tronco raggiunge una posizione verticale. Ora con la forza delle braccia, dovreste essere in grado di sollevare lentamente il corpo da terra. Mantenete le ginocchia piegate contro l’addome con i piedi sopra i glutei. Quanto vi sentite in equilibrio in questa posizione, sollevate le ginocchia mantenendo le gambe piegate, fino a formare una linea retta tra le cosce e il busto. Portate le anche in avanti fino a quando sono in linea con le cosce e con il busto, altrimenti potreste cadere all’indietro. Infine raddrizzate le gambe, allungandole verso l’alto. Respirate in modo naturale, e rilassatevi. Sentite l’energia che fluisce nella spina dorsale. Infine, molto lentamente e con completo controllo, ritornate in ordine inverso alla posizione in ginocchio, poi distendetevi sulla schiena e concentratevi su un senso di profondo rilassamento. Questa posizione assicura un giusto rifornimento di sangue alle ghiandole pituitarie e pineali del cervello. La nostra crescita, la nostra salute e vitalità dipendono dal giusto funzionamento di queste due ghiandole. Per questo, una pratica regolare e accurata sviluppa il corpo, disciplina la mente e amplia gli orizzonti, destando equilibrio e fiducia in ogni situazione, nella gioia e nel dolore, nella sconfitta e nella vittoria.


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